Il cancelliere tedesco Olaf Scholz è stato sfiduciato al Bundestag con 207 voti a favore, 394 contrari e 116 astenuti. Per avere la fiducia, Scholz avrebbe dovuto ottenere almeno 366 voti. Ora avrà tre settimane di tempo per proporre al presidente federale Frank-Walter Steinmeier lo scioglimento del Bundestag. Dopo di che, se il presidente – come è praticamente certo – procederà in tal senso, si terranno nuove elezioni entro 60 giorni. Fra i partiti c’è già un accordo per andare alle urne il 23 febbraio. Nel suo discorso al Parlamento, Scholz ha in particolare attaccato i liberali del FDP che hanno fatto venire meno la “coalizione semaforo” che reggeva l’esecutivo.
Come il modello americano ha colonizzato anche le nostre feste
C’è una parola d’ordine ormai inscindibile dall’idea del Natale nella società contemporanea, anzi tre: comprare, comprare e ancora comprare. Il modello consumistico nato negli Stati Uniti all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, creato a tavolino per plasmare una “cultura dei desideri” che garantisse alle aziende di continuare a intascare profitti, ha rapidamente colonizzato il nostro modo di celebrare questa festività, spogliandola del tutto di ogni valore spirituale per renderla la celebrazione massima della società dei consumi.
Questo cambiamento antropologico prevede che, all’interno di una società ormai standardizzata, l’uomo esista in quanto consumatore. È il trionfo della cultura materiale, che trasforma anche la sfera spirituale in merce pronta a essere impacchettata e venduta, meglio se con nomi che le conferiscano un carattere esotico – che sia una “dieta zen” o un manuale di “mindfulness nel trading”. Grazie a precise tecniche di manipolazione sociale, pubblicità e marketing dettano sapientemente le ultime tendenze in fatto di consumi, quale smartphone costosissimo sia necessario comprare per essere al passo coi tempi o quali capi d’abbigliamento non possiamo non avere nell’armadio.
Un altro aspetto non da poco conto di tale fenomeno è l’impatto ambientale che genera. Oltre ai quintali di prodotti acquistati destinati inevitabilmente a trasformarsi in rifiuti, sono in media 80 mila le tonnellate di carta impiegate nel mese di dicembre per confezionare i regali (all’incirca tre chili per ogni famiglia), 125 mila le tonnellate di imballaggi in plastica. Il consumo di energia elettrica cresce all’incirca del 30%, mentre l’86% della popolazione ha ammesso di sprecare cibo, per un ammontare complessivo di circa 500 mila tonnellate di alimenti finite nella spazzatura ogni anno. Per non parlare, poi, dell’inquinamento generato dal trasporto delle tonnellate di prodotti in giro per il mondo.
Eppure, bastano pochi accorgimenti per trasformare le festività natalizie in una celebrazione più sostenibile e autentica, senza necessariamente dover imporre cambi radicali al proprio stile di vita. In questo nuovo numero del Monthly Report, il mensile d’inchiesta e di approfondimento de L’Indipendente, ne elenchiamo alcuni, sperando che così possa compiersi il vero miracolo del Natale: ritornare a una dimensione più sostenibile e autentica, creando un beneficio non solo per il proprio portafoglio e per l’ambiente, ma anche per la società.
L’indice del nuovo numero:
- La società dei desideri: come il capitalismo americano ha inventato il consumismo
- Il grande intervallo
- Economia del dono: ieri come oggi il regalo è un atto sociale
- La vera storia del Natale è molto diversa da come la conosciamo
- Come la spiritualità orientale è diventata un prodotto commerciale
- I minori sui social subiscono il riflesso del consumismo voluto dagli adulti
- Regali, addobbi e cenoni: l’impatto ambientale delle feste
- Piccola guida per acquisti fuori dalla schiavitù del consumismo
- “Black Friday”: il selvaggio west degli sconti veri e presunti
- La tavola della festa: sappiamo realmente cosa mangiamo?
Il mensile, in formato PDF, può essere acquistato (o scaricato dagli abbonati) a questo link: lindipendente.online/monthly-report/
Salvatore Baiardo in carcere: si riapre la pista politica sulle stragi di mafia del 1993
Nella notte di sabato 14 dicembre, è finito in manette a Palermo l’ex gelataio di Omegna Salvatore Baiardo, già condannato nel 1997 come favoreggiatore della latitanza dei boss stragisti Giuseppe e Filippo Graviano. Lo ha deciso la Cassazione, che ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare disposta ad agosto dal tribunale del riesame di Firenze nei confronti di Baiardo, accusato di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra. L’uomo è ritenuto dai pm del capoluogo toscano responsabile di favoreggiamento nei confronti di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, nonché di calunnia nei confronti del giornalista Massimo Giletti. La storia di Baiardo si inserisce dunque a pieno titolo nell’inchiesta fiorentina sui mandanti esterni delle stragi del 1993, in cui risulta indagato l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri (e, per vicende parallele, dallo scorso maggio anche l’ex capo dei ROS Mario Mori). Fino alla sua morte, nella lista degli indagati figurava anche il nome di Silvio Berlusconi.
Il provvedimento della Cassazione ha respinto l’ennesimo ricorso di Salvatore Baiardo, il quale, secondo i pm fiorentini, avrebbe aiutato Berlusconi e Dell’Utri a «eludere le investigazioni» attraverso «plurime condotte commissive e omissive di un medesimo disegno criminoso, attuato in tempi diversi, volto a compromettere l’attendibilità di collaboratori di giustizia» e a «ricostruire i rapporti esistenti tra (…) Giuseppe e Filippo Graviano e gli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri in modo difforme rispetto a quanto realmente accaduto». L’inchiesta avrebbe evidenziato come le condotte di Baiardo siano andate incontro agli obiettivi perseguiti dal boss Giuseppe Graviano – arrestato il 27 gennaio 1994 e da allora in galera –, che puntavano allo screditamento dei pentiti di mafia Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina, che hanno illustrato ai magistrati di Firenze i legami tra gli uomini di Cosa Nostra, Dell’Utri e Berlusconi. Secondo la Procura, inoltre, l’ex gelataio avrebbe creato un falso alibi che collocava Giuseppe Graviano a Omegna il 19 luglio del 1992, giorno della strage di via D’Amelio. Un attentato per il quale Graviano è stato condannato in via definitiva all’ergastolo.
Salvatore Baiardo è diventato un personaggio celebre agli occhi del pubblico generalista nel 2022, quando ha cominciato ad apparire come ospite nella trasmissione “Non è l’Arena”, condotta su La7 dal giornalista Massimo Giletti. A quest’ultimo Baiardo avrebbe mostrato una fotografia in cui sarebbero stati ritratti insieme Silvio Berlusconi, il generale Francesco Delfino e il boss Giuseppe Graviano dopo gli attentati del 1992. Baiardo aveva accusato Giletti di avere reso false dichiarazioni al pm quando, in Procura, il presentatore televisivo raccontò che l’ex gelataio gli aveva mostrato la foto. Baiardo aveva anche riferito dell’esistenza della fotografia al giornalista di Report Paolo Mondani, che aveva registrato il colloquio, fornendone la traccia audio agli inquirenti. «Non sappiamo se la fotografia (…) sia vera, (…) ma in ogni caso la calunnia ha l’effetto di determinare una confusione a sua volta portatrice di agevolazione a Cosa Nostra – avevano scritto i giudici del Riesame nel dispositivo dello scorso agosto –. Se è vera, è evidente che la smentita di averla mostrata al giornalista potenzialmente preclude l’accesso ad un tassello importante per lo sviluppo investigativo sulle stragi del 1993 e su quella mai attuata dello stadio Olimpico di Roma. Se è falsa, l’aver mostrato una simile immagine falsificata, alterata o comunque l’aver fatto credere della sua esistenza ad un giornalista di primo piano quale Massimo Giletti, averne avvalorato l’autenticità parlando con un altro autorevole giornalista, Paolo Mondani, per poi smentirla, finisce per sbalestrare le investigazioni».
L’ingombrante figura di Baiardo si staglia anche sullo sfondo dell’arresto di Matteo Messina Denaro, avvenuto il 16 gennaio 2023. A tal proposito, infatti, sono risultate incredibilmente profetiche le dichiarazioni rese dall’ex favoreggiatore dei fratelli Graviano – legati a doppio filo con Messina Denaro, che nella fase post-Tangentopoli e pre-elezioni del 1994 fu una delle più sofisticate menti “politiche” di Cosa Nostra – alla trasmissione di Giletti “Fantasmi di mafia”, andata in onda su La7 il 5 novembre 2022: «Chi lo sa che magari non arriva un regalino? Che magari presumiamo che Matteo Messina Denaro sia molto malato e che faccia una trattativa lui stesso per consegnarsi e fare un arresto clamoroso? E che così, arrestando lui, possa uscire qualcuno che magari è all’ergastolo ostativo senza che ci sia clamore»? Baiardo, insomma, a novembre dimostrava di essere già al corrente del precario stato di salute del latitante (poi effettivamente morto di tumore nel settembre 2023), sostenendo che il suo imminente arresto potesse costituire l’oggetto dell’ennesimo do ut des sul binario di una trattativa ancora in essere tra la mafia e apparati istituzionali. Alla domanda di Giletti su quando sarebbe andata in scena la cattura di Matteo Messina Denaro, Baiardo rispose facendo un chiaro riferimento all’arresto di Totò Riina, avvenuto il 15 gennaio 1993: «Ci sono delle date che parlano». Messina Denaro sarebbe stato arrestato poco più di due mesi dopo la “profezia” di Baiardo, esattamente a 30 anni e un giorno di distanza dalla cattura di Riina.
Lo scorso maggio, all’indagine sui presunti mandanti esterni degli attentati del 1993 si è aggiunto un altro tassello. È infatti emerso che l’ex generale del ROS Mario Mori – divenuto anche capo dei servizi segreti nel 2001 su nomina berlusconiana –, è indagato a Firenze per strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico. Secondo i pm, Mori non avrebbe impedito «mediante doverose segnalazioni o denunce, ovvero con l’adozione di autonome iniziative investigative o preventive, gli eventi stragisti di Firenze, Roma e Milano di cui aveva avuto plurime anticipazioni». Con una clamorosa invasione di campo, vari membri del governo hanno difeso a spada tratta Mori. Alfredo Mantovano, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, lo ha addirittura ricevuto immediatamente a Palazzo Chigi per esprimergli solidarietà.
[di Stefano Baudino]
UE, ok a 167 milioni di aiuti ad agricoltori italiani
La Commissione Ue ha dato l’ok a un regime di aiuti per l’Italia da 167 milioni di euro al fine di sostenere il settore agricolo primario nel contesto del conflitto russo-ucraino. Lo ha reso noto con un comunicato stampa la Commissione europea. Il regime di aiuti al settore agricolo italiano è stato approvato nell’ambito del Quadro di riferimento temporaneo per le crisi e la transizione (Tctf). Gli aiuti consisteranno in importi limitati sotto forma di sgravi contributivi. La misura riguarderà i datori di lavoro del settore della produzione agricola primaria in determinati territori di Emilia-Romagna, Marche e Toscana colpiti dall’alluvione del maggio 2023.
Israele ha approvato un piano per espandere l’occupazione in Siria
Il governo israeliano ha approvato un piano per espandere i propri insediamenti nelle alture del Golan occupate, raddoppiando la popolazione nell’area. A dare la notizia è l’ufficio stampa del primo ministro israeliano, che ha comunicato che l’esecutivo ha approvato all’unanimità quello che definisce un piano per lo «sviluppo demografico» del territorio occupato dal 1967: esso prevede l’installazione di nuove infrastrutture energetiche, e l’implementazione di servizi educativi e residenziali da portare avanti nell’area del Golan già dotata di insediamenti. Procede, intanto, l’avanzata dell’esercito dello Stato ebraico in quella parte di Golan non ancora occupata, così come la distruzione delle infrastrutture militari siriane, mentre i Paesi occidentali iniziano a riaprire i canali diplomatici.
Il piano per l’espansione degli insediamenti nel Golan occupato è stato approvato ieri, domenica 15 dicembre. Da quanto comunicano i media israeliani, il progetto prevede un investimento 11 milioni di dollari per ampliare il numero di residenti nell’area, attraverso la creazione di un villaggio studentesco, un programma di sviluppo per integrare i nuovi residenti e iniziative per rafforzare il sistema educativo e le infrastrutture per le energie rinnovabili. «Rafforzare le alture di Golan significa rafforzare lo Stato di Israele», ha dichiarato il primo ministro, Benjamin Netanyahu, «continueremo a trattenerlo, a farlo fiorire e a sistemarlo». Scopo ultimo del piano è quello di raddoppiare la popolazione di coloni, che a oggi conta circa 30.000 abitanti; a essi si affiancano i circa 20.000 drusi che vivono ancora nell’area, che, tuttavia, nella maggior parte dei casi, mantengono ancora una forte identità siriana. Il piano israeliano riguarda solo l’area già occupata da Israele nel 1967, e non sembra toccare la porzione di Golan conquistata da Tel Aviv nell’ultima settimana.
Il Golan siriano, situato nella Siria sud-occidentale, è stato occupato da Israele nel 1967. Con gli accordi di disimpegno che seguirono la Guerra d’Ottobre del 1973, la Siria riconquistò una parte di territorio che comprendeva Qneitra, la capitale del Golan – completamente rasa al suolo dagli israeliani pochi giorni prima del loro ritiro. Le restanti aree del Golan occupato furono formalmente annesse da Israele nel 1981, decisione cui seguì la condanna della comunità internazionale. La risoluzione 497 dell’ONU ha definito all’unanimità «nulla e non valida» la mossa israeliana e ogni anno, da allora, approva una risoluzione dal titolo Il Golan siriano occupato che ribadisce tale posizione. I colloqui di pace tra Siria e Israele sono iniziati nel 1991 e la restituzione dei territori del Golan occupati costituiva un argomento centrale. Tuttavia, questi si sono arenati proprio per il rifiuto di Israele a ritirarsi completamente dalla zona.
Mentre Tel Aviv consolida la propria presenza nel Golan occupato, l’esercito israeliano continua l’avanzata nell’area delle alture non occupate, inaugurata in seguito alla caduta di Al-Assad una settimana fa, e l’aviazione porta avanti il proprio piano di distruzione totale delle capacità militari del Paese. La Turchia, invece, ha riaperto la propria ambasciata a Damasco dopo 12 anni, e si è offerta di fornire supporto militare alla nuova amministrazione messa in piedi da Al-Jolani, leader di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), il principale gruppo che ha guidato l’avanzata “ribelle”. L’Occidente e i Paesi arabi, dal canto loro, iniziano ad aprire i canali diplomatici con il governo transitorio. In un comunicato congiunto, Bahrein, Francia, Germania, Qatar, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito, Stati Uniti d’America, UE, e inviato speciale ONU hanno detto di impegnarsi «a sostenere e lavorare con il popolo siriano mentre intraprende questa transizione senza precedenti». Poco chiaro, invece, il destino dei soldati russi stanziati sul territorio: oggi la Russia ha annunciato il ritiro di alcune delle proprie truppe da Damasco, comunicando che l’ambasciatore, al contrario, rimarrà nel Paese. Negli ultimi giorni sul web è circolato un video che mostrerebbe le truppe statunitensi entrare in una delle basi militari abbandonate dai russi, ma non è arrivato nessun commento ufficiale sulla fonte.
[di Dario Lucisano]
Il DNA dell’Homo Sapiens più antico d’Europa rivela nuovi dettagli sull’incontro coi Neanderthal
Appartengono ad una donna vissuta nell’attuale Repubblica Ceca e ad almeno sei individui provenienti dalla città di Ranis in Germania e rivelano dettagli tutt’altro che indifferenti riguardo alla nostra evoluzione: sono i più antichi genomi umani finora noti, risalenti a circa 45mila anni fa e contenenti le tracce del primo incontro tra Homo Sapiens e Neanderthal. È quanto emerge da due nuovi studi scientifici che hanno riscontrato risultati simili, ottenuti da ricercatori del Max Planck Institute e dall’Università della California a Berkeley ed inseriti rispettivamente sulla rivista scientifica Nature in pubblicazione rapida e sulla rivista Science dopo revisione paritaria. Le analisi evidenziano come l’incrocio tra le due specie sia stato un processo lungo e ripetuto, e che tale fenomeno inoltre risultò cruciale per influenzare l’adattamento a climi rigidi e patogeni grazie a mutazioni ancora presenti nei genomi moderni. «Eravamo molto più simili di quanto fossimo diversi», ha commentato Priya Moorjani, professoressa dell’Università della California e coautrice della ricerca pubblicata su Science.
I Neanderthal, una specie umana estinta, vissero in Eurasia per circa 250.000 anni, adattandosi a climi rigidi durante l’era glaciale. Parallelamente, l’Homo sapiens emerse in Africa circa 300.000 anni fa, migrando in altre regioni a partire da circa 60.000 anni fa. L’incontro tra le due specie è documentato da tracce genetiche rinvenute nei genomi umani moderni anche se, grazie alle ricerche pubblicate recentemente, non è escludibile che diverse ipotesi vengano aggiornate grazie alle nuove evidenze. Gli scienziati, attraverso tecnologie avanzate di sequenziamento del DNA, hanno analizzato 13 frammenti ossei rinvenuti in una grotta sotto un castello medievale a Ranis, in Germania, i quali risalivano a circa 45.000 anni fa e hanno permesso di stabilire che i loro antenati che vivevano nell’area circostante si sarebbero incrociati con i Neanderthal circa 80 generazioni prima. Lo studio pubblicato su Science, che ha analizzato le informazioni dai genomi di 59 esseri umani antichi confrontandole con quelle dei genomi di 275 esseri umani moderni, ha riscontrato risultati simili, individuando un periodo iniziato circa 50.500 anni fa e terminato 43.500 anni fa caratterizzato da una elevata attività di incroci e scambi genetici. «Le differenze che immaginavamo fossero molto grandi tra questi gruppi, in realtà erano molto piccole, geneticamente parlando. Sembra che si siano mescolati tra loro e abbiano vissuto fianco a fianco per un lungo periodo di tempo», ha commentato la ricercatrice Priya Moorjani.
Inoltre, le analisi hanno rivelato che i Neanderthal contribuirono significativamente al patrimonio genetico umano con varianti legate all’immunità, alla pigmentazione della pelle e al metabolismo, cruciali per l’adattamento a climi rigidi. «I Neanderthal vivevano fuori dall’Africa in climi rigidi, da era glaciale, e si erano adattati al clima e ai patogeni di questi ambienti. Quando gli esseri umani moderni lasciarono l’Africa e si incrociarono con i Neanderthal, alcuni individui ereditarono geni dei Neanderthal che presumibilmente permisero loro di adattarsi e prosperare meglio nell’ambiente», ha spiegato Leonardo Iasi, coautore dello studio pubblicato su Science. Tuttavia, spiegano i ricercatori, le varianti ereditate non sono distribuite in modo uniforme nel nostro genoma: alcune regioni, chiamate dagli esperti “deserti arcaici”, risultano totalmente prive di geni neandertaliani. Questi “deserti” si sarebbero formati rapidamente, entro 100 generazioni, dopo che i due gruppi si sono incrociati, forse a causa di difetti alla nascita o malattie che avrebbero influenzato radicalmente le possibilità di sopravvivenza della prole. In particolare, è stato scoperto che il cromosoma X faceva parte di queste regioni e ciò, secondo il genetista non coinvolto Tony Capra, sarebbe dovuto al fatto che effettivamente è presente in due copie nelle femmine ma solo una nei maschi: «Il cromosoma X ha anche molti geni che sono collegati alla fertilità maschile quando modificati, quindi è stato proposto che parte di questo effetto potrebbe essere derivato dall’introgressione che porta alla sterilità ibrida maschile». In tutti i casi, nonostante serviranno maggiori ricerche a riguardo, rimane il fatto che «i dati genetici di questo periodo cruciale della nostra evoluzione sono molto rari» e che gli studi «sottolineano come avere anche solo pochi genomi antichi fornisca una prospettiva potente che ha permesso agli autori di affinare la nostra comprensione della migrazione umana e dell’introgressione dei Neanderthal», ha concluso il genetista.
[di Roberto Demaio]
Mayotte colpite da un ciclone: si temono centinaia di morti
Da ieri, l’arcipelago delle Mayotte, territorio francese nell’Oceano Indiano, sta affrontando una grave crisi umanitaria a causa dell’arrivo del ciclone Chido sul territorio. I danni si preannunciano ingenti: il ciclone ha colpito durante la notte con venti di oltre 200 km/h, danneggiando abitazioni, edifici governativi e ospedali. I meteorologi sostengono che Chido sia la tempesta più forte che abbia colpito le isole negli ultimi 90 anni. L’ultimo bilancio ufficiale rilasciato ieri sera parla di 14 vittime, a cui vanno aggiunti oltre 250 feriti gravi, ma secondo le autorità il reale numero di morti potrebbe essere nell’ordine delle «centinaia» se non addirittura delle «migliaia» di persone.
La luna di miele tra Meloni e il premier ultraliberista argentino Javier Milei
L’approccio politico di Milei lungi dall’essere isolato sembrerebbe essere una sorta di manifesto della destra internazionale. Tra il nuovo gabinetto per l’efficienza statale di Trump e la “motosega” dell’argentino, questa nuova destra che si percepisce alleata a livello globale sembra emergere con sempre maggiore chiarezza. Essa usa gli stessi argomenti per portare avanti le stesse politiche, e si propone come un’alternativa anti-establishment volta a contrastare le élite «della sinistra», lanciando moniti sulla pericolosità della “ideologia woke”, favorendo approcci securitari, e assumendo atteggiamenti caricatureschi e teatrali (come la stessa motosega di Milei, simbolo del taglio alla spesa pubblica). Lo scopo di fondo, tuttavia, è quello di proporre politiche ultraliberiste di svendita dei servizi statali, che finiscono per aumentare il divario tra ricchi e poveri.
[di Dario Lucisano]
Gaza, raid israeliano su scuola a Khan Younis: 20 morti
Le forze militari israeliane hanno bombardato una struttura scolastica nel sud di Khan Younis, uccidendo almeno 20 persone. Lo ha reso noto l’agenzia di stampa palestinese Wafa, evidenziando che tra le vittime ci sono anche dei bambini e che molte persone sono rimaste ferite. La scuola è gestita dall’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) e si trova nei presso del complesso medico Nasser. In un altro attacco, verificatosi nell’area del mercato del campo di Al-Nuseirat, nella Striscia di Gaza centrale, è rimasto ucciso un giornalista di Al Jazeera. L’emittente ha parlato di un «omicidio mirato».