Nel 2023, i colossi tech Google e Microsoft hanno consumato più energia di oltre 100 nazioni, tra cui Islanda, Ghana e Tunisia. Nel complesso, secondo un’analisi condotta dal sito Tom’s Hardware, il fabbisogno delle due aziende americane può essere paragonato a quello dell’Azerbaijan, che ha oltre 10 milioni di abitanti, pari a 24 terawattora (Twh). Inserendo le multinazionali nella classifica dell’utilizzo di elettricità, si posizionerebbero subito dietro la Slovacchia e la Libia. Per ridurre il loro impatto ambientale, entrambi i colossi della tecnologia avevano pianificato di ridurre i propri consumi entro il 2030, ma non avevano fatto i conti con l’avvento dell’intelligenza artificiale (IA) generativa, la quale è altamente energivora soprattutto nelle fasi di addestramento. L’IA si sta rapidamente trasformando in un business molto redditizio, tanto che gli analisti attribuiscono il successo economico e finanziario di Microsoft ai suoi investimenti precoci in questo settore che hanno permesso alla società di diventare uno dei colossi più quotati al mondo con una valutazione di mercato di oltre tre trilioni di dollari. L’amministratore delegato di Microsoft, Satya Nadella, ha attribuito l’aumento dei ricavi, del reddito operativo e dell’utile netto alla «nuova era della trasformazione dell’IA». Tuttavia, la nuova tecnologia non è esente da pesanti ripercussioni in ambito energetico e ambientale: lo stesso Elon Musk ha affermato che saremmo sul punto della più grande svolta tecnologica con l’IA, ma che, allo stesso tempo, entro il 2025 non ci sarà abbastanza energia per sostenerla. Per questo motivo i giganti della tecnologia stanno cercando fonti di energia alternative per continuare a sviluppare e a lavorare con l’IA.
OpenAI, ad esempio, vorrebbe utilizzare la fusione nucleare per soddisfare il fabbisogno energetico dei suoi data server. Anche Microsoft sta cercando soluzioni alternative meno energivore e impattanti e, a tal fine, ha stretto un accordo con Helion per generare energia nucleare attraverso la fusione entro il 2028. Le Big Tech si starebbero, dunque, impegnando per ridurre al minimo il loro impatto ambientale, ma fino a quando non riusciranno a raggiungere l’obiettivo, le loro attività resteranno tra le più nocive a livello ambientale. Un paradosso se si pensa che sono proprio alcuni dei magnati fondatori di queste società i principali sostenitori della transizione energetica e i paladini della battaglia climatica, come ad esempio Bill Gates. Eppure, non si fanno scrupoli a portare avanti una tecnologia fortemente dannosa per l’ambiente non solo per via dell’utilizzo di energia elettrica prodotta per ora da fonti non rinnovabili, ma anche per l’utilizzo di milioni di litri di acqua dolce necessari per raffreddare i componenti elettronici nei data center. Alcuni di questi ultimi sono peraltro dislocati in aree colpite da siccità, dove l’acqua usata per il raffreddamento è la stessa che occorre alla popolazione per dissetarsi e non solo. Mentre, dunque, il filantrocapitalismo spinge sulla transizione energetica e alimentare e sulla sostenibilità per limitare le conseguenze del cambiamento climatico, allo stesso tempo non esita a fare profitti con una delle tecnologie attualmente più dispendiose e impattanti. Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, nel 2022 i consumi di elettricità a livello globale per i data center ammontava a circa 460 TWh, una cifra destinata a più che raddoppiare fino a 1.000 TWh entro il 2026. Allo stesso tempo, un rapporto ONU ha evidenziato come il consumo stimato di elettricità da parte di 13 dei maggiori operatori di data center – tra cui Amazon, Alphabet, Microsoft e Meta – sia più che raddoppiato tra il 2018 e il 2022.
[di Giorgia Audiello]