martedì 13 Maggio 2025
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Gli Usa si arrendono: il gasdotto tra Russia ed Europa si farà

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Il gasdotto Nord Stream 2 che mira a incrementare il flusso di carburanti fossili russi in favore delle necessità energivore della Germania e dell’Unione Europea è stato motivo di tensioni tra Europa e Stati Uniti sin dai tempi di Barack Obama. Ora, la Cancelliera tedesca Angela Merkel e il Presidente USA Joe Biden hanno finalmente siglato un compromesso, con il risultato che l’opera potrà finalmente essere conclusa senza il timore di dover incappare nelle sanzioni d’oltreoceano.

Sia gli attriti passati che la soluzione odierna orbitano attorno all’incessante sfida di potere tra Stati Uniti e Russia: Washington non vuole che gli alleati atlantisti si leghino economicamente e strutturalmente al proprio avversario, tuttavia non vanta neppure quella forza che servirebbe a offrire un’alternativa appetibile agli europei.

Con il 90 per cento del gasdotto ormai già pronto per l’attivazione, Biden non ha potuto che rassegnarsi all’evidenza della situazione, preferendo cercare un accordo piuttosto che rischiare di compromettere i rapporti con la nazione più rilevante dell’UE facendo uso smodato di sanzioni, dazi e altri eventuali bullismi finanziari.

Alla Germania è stato di conseguenza concesso di accedere a una quantità maggiore di risorse energetiche russe senza dover incorrere in contraccolpi economici, tuttavia la nazione ha anche dovuto prendersi l’impegno di compensare questo sodalizio con il nemico versando non pochi contributi all’Ucraina, Paese in cui la sfida tra USA e Russia trova una concretizzazione materiale attraverso una guerriglia fomentata da ingerenze estere.

L’intesa bilaterale appena siglata prevede infatti che i tedeschi aprano a favore di Kiev un fondo dedicato alle energie “green” in cui dovranno versare immediatamente 150 milioni di euro, fondo che ha l’obiettivo di arrivare un giorno a contare un miliardo di dollari di investimenti. Parallelamente, 70 milioni di euro verranno concessi sull’unghia per sostenere le iniziative di sicurezza energetica ucraine.

Il compito della Merkel e dei suoi successori si estenderà anche sul piano diplomatico. La Germania dovrà “sponsorizzare” i negoziati energetici dell’Iniziativa dei Tre Mari e trattare con Mosca perché questa estenda il patto energetico siglato con l’Ucraina almeno fino al 2034, un impegno che foraggia Kiev con circa 3 miliardi di dollari annui.

Questa clausola dovrebbe essere in grado di proteggere Kiev dal più grande dei timori manifestati da USA e Paesi dell’Est Europa, ovvero che Mosca possa decidere di adoperare il Nord Stream 2 e il Nord Stream, entrambe strutture off-shore, per indebolire quei Governi che si reggono anche grazie alle tasse di transito versate oggigiorno dagli impianti russi che le attraversano con i gasdotti via terra.

Che l’energia sia una forte leva di controllo politico non è affatto un mistero. Gli USA lo sanno bene e sono convinti che quanto ottenuto sia un «cattivo risultato per la Germania, per l’Ucraina e per l’Europa». Non per nulla, come ulteriore tutela, gli Stati Uniti avevano domandato alla Germania di garantire l’esistenza di un “kill switch” che potesse fermare l’erogazione dei servizi russi senza preavviso, opzione prontamente cassata dai tedeschi, che hanno preferito piuttosto accettare il generico impegno ad approvare sanzioni verso Mosca nel caso dovesse compiere qualche passo falso.

In tutto questo resta sullo sfondo la Polonia, nazione di confine profondamente contraria al gasdotto e costantemente oppressa dai contrasti tra l’Occidente e la Russia. A quanto pare, una delegazione statunitense sarebbe pronta a fare visita a Varsavia per discutere della faccenda, con il rischio che il controverso Governo di Andrzej Duda possa allontanarsi ulteriormente dall’UE in favore di un legame più solido con gli USA.

[di Walter Ferri]

Capri: minibus esce di strada e precipita, 1 morto e 19 feriti

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A Capri, questa mattina un minibus con a bordo una ventina di persone è uscito di strada e, dopo aver distrutto la barriera di protezione al lato della carreggiata, è precipitato per 5-6 metri. Secondo le prime informazioni disponibili, l’incidente ha provocato la morte di una persona, l’autista, mentre altre 19 sono rimaste ferite e sono arrivate all’ospedale Capilupi di Capri: quattro di esse sono in gravi condizioni.

Migranti: naufragio al largo della Tunisia, almeno 17 vittime

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Un naufragio verificatosi nella giornata di ieri al largo della città di Zarzis, in Tunisia, ha provocato la morte di almeno 17 migranti. Lo ha comunicato all’agenzia di stampa Ansa il responsabile del Comitato della Mezzaluna Rossa tunisina di Medenine, Mongi Slim. Secondo quest’ultimo, a bordo dell’imbarcazione partita dalla Libia vi erano circa 400 persone, di cui 160 sono state al momento tratte in salvo dalla Guardia costiera e dalla Marina militare della Tunisia. Inoltre, mentre i sopravvissuti sono di varie nazionalità, tutte le vittime erano del Bangladesh.

Grecia: di nuovo in migliaia contro l’obbligo vaccinale, la polizia usa lacrimogeni e idranti

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In Grecia, i cittadini sono scesi nuovamente in piazza per protestare contro la proposta del governo di rendere il vaccino anti Covid obbligatorio per alcune categorie di lavoratori. In particolare ad Atene migliaia di persone nella giornata di ieri hanno manifestato davanti al Parlamento: il clima, però, non è stato di certo mite e vi sono stati attimi di tensione con le forze dell’ordine. Infatti, secondo quanto riportato da alcuni media locali, dopo che la polizia ha esortato i manifestanti ad abbandonare il corteo, una parte di essi ha iniziato a lanciare bottiglie ed altri oggetti contro gli agenti, che hanno risposto utilizzando gas lacrimogeni, granate flash ed idranti, così da disperdere la folla. Inoltre, i quotidiani greci riferiscono che 5 persone sono state arrestate. Ad ogni modo, la repressione da parte delle forze dell’ordine è documentata anche da alcuni video pubblicati dagli utenti sui social.

 

Detto ciò, non solo ad Atene vi sono state proteste: anche in altre città, come ad esempio Salonicco, le persone hanno espresso il loro dissenso contro la politica sanitaria del governo. E non si tratta di certo della prima volta che in Grecia i cittadini scendono in piazza per tale motivo: già la settimana scorsa, infatti, vi sono state manifestazioni in diverse città, e la principale si è svolta sempre ad Atene, con più di 5000 persone che hanno gridato al Primo ministro Kyriakos Mitsotakis:«prendi i tuoi vaccini e vattene di qui».

Tuttavia, mentre quella protesta era stata organizzata a causa del fatto che quest’ultimo aveva annunciato la volontà di rendere obbligatori i sieri per alcune categorie, la manifestazione di ieri si è tenuta poiché tale possibilità si sta concretizzando sempre di più: infatti, è stato presentato al Parlamento il disegno di legge avente ad oggetto l’obbligo per il personale sanitario e delle case di cura di sottoporsi al siero, e coloro che non rispetteranno tale disposizione potrebbero essere sospesi nonché privati dello stipendio.

[di Raffaele De Luca]

Missioni all’estero: dove operano i militari italiani, perché e a quali costi

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La Camera ha approvato il finanziamento delle missioni militari italiane all'estero per l'anno 2021. Sui media l'attenzione si è concentrata sul rifinanziamento alla cosiddetta guardia costiera libica, ma il quadro è molto più ampio e complesso. L'Italia sarà impegnata in 37 missioni in 22 diversi Paesi, con migliaia di effettivi e costi che superano il miliardo di euro. Dall'Albania, al Niger, dal Marocco al Pakistan, passando per Bosnia, Mali e Somalia. Abbiamo ricostruito la mappa delle operazioni all'estero e soprattutto gli scopi di ogni missione.
Europa
Non bisogna andare lontano per inc...

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Covid: Cina boccia seconda indagine Oms su origine virus

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Il vice ministro della Commissione sanitaria nazionale cinese, Zeng Yixin, si è opposto alla proposta dell’Oms di portare avanti una seconda fase dell’indagini sulle origini del Covid in Cina, la quale include l’ipotesi che esso possa essere fuoriuscito dal laboratorio di Wuhan. Si tratta di «arroganza verso la scienza», ha affermato Yixin, il quale ha aggiunto che Pechino non accetterà «un tale piano di tracciamento delle origini» proprio perché in alcuni aspetti «sfida la scienza ed ignora il buon senso».

I mobili Ikea sono realizzati grazie al disboscamento illegale delle foreste siberiane

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Cosa c’entra la deforestazione illegale della Siberia con le sedie e i tavolini per bambini in vendita da Ikea? C’entra. Questo è quanto emerge da una serie di inchieste giornalistiche andate avanti per anni: diversi prodotti per bambini che Ikea vende in tutto il mondo, come la serie Sundvik o Flisat, sono realizzati con del legno proveniente dal disboscamento di aree protette della Russia. La maggior parte del legname incriminato proviene dalla taiga della Siberia orientale, e in particolare dall’Oblast di Irkutsk. In questa regione opera ExportLes, un gigantesco gruppo di imprese forestali che si occupano dell’export della materia prima. ExportLes è controllato dal politico multimilionario Evgeny Bakurov.

Secondo un’inchiesta dell’organizzazione Earthsight le società presiedute da Bakurov hanno deforestato 2,16 milioni di metri cubi di legno illegale proveniente da aree protette con il pretesto, purtroppo piuttosto comune in Russia, di «disboscamento sanitario». Il disboscamento, cioè, che dovrebbe servire a impedire il propagarsi di parassiti e malattie della vegetazione, ma che invece è usato come scusa per accaparrarsi la materia prima protetta. Agli ingenti danni ambientali dovuti al taglio degli alberi si aggiungono quelli causati dalla mancata bonifica delle aree deforestate, lasciate in balia di incendi sempre più frequenti.

Il pino che Bakurov fornisce indirettamente ad Ikea viene per giunta certificato dal Forest Stewardship Council (FSC), l’ente di certificazione internazionale il cui bollino dovrebbe garantire la sostenibilità e la tracciabilità del legno su cui è applicato. In seguito, il pino viene spedito ad un produttore indonesiano che si occupa di rifornire i punti vendita Ikea nella gran parte dei paesi europei e negli Stati Uniti. La multinazionale svedese, ma con sede fiscale opportunamente spostata in Olanda, dal fatturato annuo che si aggira intorno ai 35 miliardi di euro, ha negato qualsiasi responsabilità e ha annunciato il blocco momentaneo dei rifornimenti di materia prima proveniente da Siberia e Russia orientale. Il colosso svedese ha ammesso di essersi rifornita tramite il legno di Bakurov ma insiste sulla sua raccolta perfettamente legale. Nonostante ciò, Ikea ha comunque deciso di sospendere la partnership con le aziende del magnate russo a causa di non specificati «motivi di preoccupazione». FSC, l’ONG che certificava il legno di Bakurov, continua a respingere ogni accusa di illecito ma dichiara di aver revocato il bollino al legno raccolto da ExportLes.

Non è la prima volta che l’azienda svedese si trova al centro di scandali. L’anno scorso furono proprio le false dichiarazioni sulla provenienza del legno a giustificare un procedimento penale amministrativo del Dipartimento federale dell’economia (DEFR) in Svizzera. Inoltre, in Francia l’azienda è stata condannata dal tribunale di Versailles a pagare una multa di un milione di euro perché riconosciuta colpevole di aver fatto spiare i propri dipendenti, nel privato e sul lavoro, stanziando fino a 630.000 euro l’anno e avvalendosi della collaborazione di poliziotti corrotti. Nel 2012 Ikea si trovò nuovamente ad essere messa alle strette da acute inchieste giornalistiche quando un documentario svedese svelò che negli anni ’80 alcuni fornitori del gigante del mobile approfittarono di manodopera gratuita di prigionieri politici della DDR. ovvero il regime dell’ex Germania Est. Anche in questo caso Ikea si è limitata a fare un pubblico mea culpa e ad insabbiare le controversie.

[di Jacopo Pallagrosi]

 

Antitrust: avviato procedimento contro Autostrade sui pedaggi

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L’Autorità Antitrust ha fatto sapere, tramite una nota, di aver avviato un procedimento di inottemperanza nei confronti di Autostrade per l’Italia poiché «la società concessionaria a marzo ha ricevuto una sanzione da 5 milioni e non ha ancora ridotto il costo del pedaggio nelle tratte con notevoli problemi di viabilità». Nello specifico, la non riduzione dei pedaggi ha ad oggetto le tratte sulla A/16 Napoli/Canosa, A/14 Bologna/Taranto, A/26 Genova Voltri-Gravellona Toce e, per le parti di sua competenza, quelle sulla A/7 Milano-Serravalle-Genova, A/10 Genova-Savona-Ventimiglia e A/12 Genova-Rosignano.

Consumo di suolo: l’Italia continua a cementificare senza sosta

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In Italia, nonostante il blocco di gran parte delle attività dovuto al lockdown, le colate di cemento non rallentano neanche nel 2020 ed hanno ormai impermeabilizzato il 7,11% del territorio nazionale. Precisamente, esse ricoprono quasi 60 chilometri quadrati ed «ogni italiano ha a disposizione circa 360 mq di cemento (erano 160 negli anni ’50)». È quanto si apprende dal nuovo rapporto dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), relativo appunto allo scorso anno. Da esso emerge che il nostro paese perde quasi 2 metri quadrati di suolo al secondo e che, nello specifico, il primato per il consumo di suolo maggiore spetta alla Lombardia, con 765 ettari in più in 12 mesi. C’è poi il Veneto (+682 ettari), la Puglia (+493), il Piemonte (+439) ed il Lazio (+431).

Detto ciò, il consumo di suolo si registra anche nei territori a pericolosità sismica, dove il 7% del suolo risulta ormai cementificato. Inoltre, in quelli a rischio idraulico, la percentuale è maggiore del 9% per quelle a pericolosità media e del 6% per quelle a pericolosità elevata. In tal senso, «il confronto tra i dati 2019 e 2020 mostra che 767 ettari del consumo di suolo annuale si sono concentrati all’interno delle aree a pericolosità idraulica media e 285 in quelle a pericolosità da frana, di cui 20 ettari in aree a pericolosità molto elevata e 62 a pericolosità elevata».

Nel documento viene sottolineato anche il rapporto intercorrente tra il consumo di suolo e l’aumento della temperature. Si legge infatti che, a livello nazionale, superano i 2300 gli ettari consumati all’interno delle città e nelle aree produttive (il 46% del totale) negli ultimi 12 mesi, motivo per cui «le nostre città sono sempre più calde, con temperature estive, già più alte di 2°C, che possono arrivare anche a 6°C in più rispetto alle aree limitrofe non
urbanizzate».

Per quanto riguarda, invece, la categoria “Transizione ecologica e fotovoltaico”, nella sola regione Sardegna sono stati ricoperti più di un milione di mq di suolo: si tratta del 58% del totale nazionale dell’ultimo anno. Nello specifico, il suolo perso in un anno a causa dell’installazione di questa tipologia di impianti sfiora i 180 ettari e «si prevede un aumento al 2030 compreso tra i 200 e i 400 kmq di nuove installazioni a terra che invece potrebbero essere realizzate su edifici esistenti». Dopo la Sardegna è la Puglia la regione che consuma di più in tal modo: 66 ettari.

Inoltre, «con la logistica l’Italia perde ancora più terreno», poiché anziché riqualificare spazi già edificati sono stati consumati 700 ettari di suolo agricolo nell’arco di 7 anni, e tale cifra è in crescita. Nello specifico, è il Veneto ad aver raggiunto il record di maggiori trasformazioni dovute alla logistica (181 ettari dal 2012 al 2019, di cui il 95%
negli ultimi 3 anni).

Detto ciò, vengono infine citati anche i danni derivanti da tutto ciò. «Se la velocità di copertura artificiale rimanesse quella di 2 mq al secondo registrata nel 2020 i danni costerebbero cari e non solo in termini economici. Dal 2012 ad oggi il suolo non ha potuto garantire la fornitura di 4 milioni e 155 mila quintali di prodotti agricoli, l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana (che ora scorrono in superficie aumentando la pericolosità idraulica dei nostri territori) e lo stoccaggio di quasi tre milioni di tonnellate di carbonio, l’equivalente di oltre un milione di macchine in più circolanti nello stesso periodo per un totale di più di 90 miliardi di km. In altre parole due milioni di volte il giro della terra».

[di Raffaele De Luca]

WhatsApp, nuova stretta censoria: bloccati 2 milioni di utenti

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WhatsApp ha bloccato 2 milioni di account in India nell’arco di un mese, ossia dal 15 maggio al 15 giugno del 2021: ciò è stato fatto nel 95% dei casi poiché gli utenti hanno inviato, senza esserne autorizzati, messaggi automatici o di massa (spam). L’app di messaggistica aveva infatti annunciato nel mese di aprile del 2020 l’imposizione di un limite alla condivisione di un messaggio identico tramite la funzione di inoltro, nel tentativo di contrastare la disinformazione.

Il numero di utenti che sono stati “puniti” il tal modo è stato reso noto da WhatsApp tramite il suo primo “rapporto di conformità” che, in base alle nuove regole stabilite dal governo indiano ed entrate in vigore a maggio, ogni mese le piattaforme digitali con più di cinque milioni di utenti sono tenute a pubblicare. Al loro interno devono essere riportate dettagliatamente le azioni intraprese ed i reclami ricevuti. A tal proposito, WhatsApp ha fatto sapere di aver ricevuto 345 segnalazioni di reclami.

Detto ciò, per individuare gli account spam, l’app di messaggistica ha utilizzato un algoritmo basato sull’Intelligenza Artificiale che, stando a quanto sostenuto dalla società, è capace di analizzare il comportamento degli utenti senza leggere il contenuto delle conversazioni. In pratica, si tratta di una censura preventiva che si basa semplicemente sui meccanismi attuati dagli utenti.

Non sorprende, però, il fatto che il client di proprietà di Facebook si voglia tutelare in tal modo, dato che si è spesso trovato ad affrontare critiche sulla diffusione della disinformazione in India, paese che rappresenta uno dei suoi principali mercati con 400 milioni di iscritti. Ad esempio, la società è stata contestata quando nel 2018 decine di persone sono state linciate in seguito alla circolazione di informazioni su WhatsApp riguardanti presunte bande che rapinavano bambini. Ciò, dunque, ha spinto l’azienda a limitare la possibilità per gli utenti di inoltrare i messaggi.

Ad ogni modo, WhatsApp non condivide alcuni punti delle regole indiane sui social media. Proprio per questo, ha citato in giudizio il governo indiano per uno dei requisiti, ovvero quello per cui le aziende dovrebbero individuare il “primo originatore” dei messaggi, quando richiesto. Il governo, però, ha dichiarato che tali richieste sarebbero state avanzate solo in relazione a reati gravi, ma nonostante ciò WhatsApp teme che ciò metterebbe fine alla tutela della privacy degli utenti in quanto richiederebbe alla società di monitorare ogni messaggio. E se ad affermarlo è proprio l’app di messaggistica che blocca moltissimi utenti senza farsi troppi problemi (a livello mondiale vengono bloccati mediamente otto milioni di account al mese), è probabile che quanto stabilito dal governo indiano superi davvero i limiti accettabili.

[di Raffaele De Luca]