mercoledì 2 Aprile 2025
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Protesta dei pescatori: Inghilterra e Francia mandano navi da guerra

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Un blocco di pescatori bretoni e normanni presso l’isola di Jersey (territorio inglese davanti alle coste francesi) ha scatenato un escalation militare senza precedenti. L’Inghilterra ha inviato sul posto due cannoniere mentre la Francia ha mandato due motovedette. La disputa ha origine dagli accordi sulla pesca nel quadro della Brexit.

“Ci uccidono, ma la lotta continua”: cosa succede in Colombia nel silenzio internazionale

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Sono scene drammatiche quelle che arrivano dalla Colombia. In sette giorni di sciopero generale, a seguito della volontà del governo guidato da Iván Duque di attuare una riforma fiscale che avrebbe colpito in maniera pesante i ceti medio-bassi, si contano più di 30 morti, un migliaio di feriti e centinaia di persone arrestate. Il 2 maggio Duque ha fatto marcia indietro annunciando il ritiro del progetto e il Ministro dell’Economia, Alberto Carrasquilla, si è dimesso. Questo non è bastato a placare la protesta. Infatti, la situazione sociale ed economica della Colombia era già grave prima della pandemia da Covid-19, che ha ulteriormente peggiorato la cosa, e la riforma voluta dal delfino del potente ex Presidente Uribe Vélez è stata la gocciolina di un vaso ormai più che colmo. La repressione violenta, brutale e armata del disagio sociale sono la manifestazione lampate di cosa sia il sistema di potere colombiano.

La pace del 2016 siglata tra il governo colombiano e le FARC ha messo fine ad una guerra civile che ha causato 220.000 vittime e 7 milioni di sfollati. Mentre le vittime militari sono diminuite drasticamente, attivisti per i diritti umani, leader sociali ed ecologisti – coloro che stanno cercando di attuare la pace a livello di base – vivono nella paura costante. In questi anni si sono registrati migliaia di uccisioni di indios e di attivisti eco-sociali.

Omicidi selettivi, massacri e spari sui manifestanti hanno generato un clima da guerra civile che rappresenta solo l’ultima ondata di violenza che, dalla firma degli Accordi di Pace del 2016 ad oggi, ha ucciso più di mille attivisti ed attiviste sociali. Tra i territori più colpiti c’è la regione del Cauca dove si è sviluppata una delle resistenze indigene più importanti del paese e un modello di governo autonomo e alternativo alla violenza dello Stato e dei gruppi armati. È quanto raccontato da Manuel Rozental in un’intervista in cui spiega quali siano i molteplici interessi in gioco nel paese e come ci sia una fitta rete di intrecci tra varie organizzazioni e perché oggi vengono uccisi così tanti attivisti impegnati dal basso per le questioni sociali ed ecologiche.

Un ruolo importante lo giocano senz’altro i potenti cartelli del narcotraffico, con uomini e amicizie ai massimi livelli dello stato e dell’élite del paese, in costante guerra tra di loro. L’ex Presidente Uribe Vélez è stato più volte accusato di essere alleato del cartello di Medellin di Pablo Escobar, come si può leggere anche in un rapporto della DIA del 1990. Rozental, membro di Pueblos en Camino, attivista per le lotte comunitarie e per la difesa della terra, nell’intervsita dice: «L’ex-presidente Uribe Vélez è la personificazione di un sistema di potere che si sostiene grazie all’appropriazione dei terreni per produrre cocaina». Quindi, si capisce bene il perché di tanta ostilità nei confronti di chi vuole proteggere la propria terra e che vorrebbe poter governarsi autonomamente nella politica, nell’economia e nelle questioni sociali. Anche un nostro connazionale, Mario Paciolla, lo scorso anno ha perso la vita in quello che, a tutti gli effetti, sembra un nuovo capitolo della guerra in Colombia.

Perché nessuno dei grandi media ha riportato quanto sta accadendo in Colombia? Perché i politici non hanno fatto a gara a condannare e lanciare moniti (o hashtag)? Perché tutto tace? Provate a immaginare se tutto ciò fosse accaduto in qualche altro paese. Vorrà forse dire qualcosa il fatto che la Colombia, unica nell’America Latina, dal 2017, è partner globale della NATO?

[di Michele Manfrin]

Riforma del lavoro: la Grecia sciopera

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Una serie di scioperi e di proteste di piazza è prevista per oggi in molte della maggiori città della Grecia. Per la seconda volta in una settimana, le persone manifestano contro la riforma del lavoro che introduce la flessibilità degli orari e regolamenta lo smartworking.

SpaceX: dopo 4 esplosioni, atterraggio riuscito per Starship

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Starship, nuovo protoripo di razzo di SpaceX, è atterrato con successo nella base in Texas al suo quinto tentativo, dopo che nei precedenti quattro si erano registrate esplosioni del razzo al momento dell’atterraggio

Come e perché gli algoritmi dei social ti chiudono in una bolla

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Settimana scorsa il Congresso statunitense si è riunito per discutere di un argomento che tiene in ballo la politica USA ormai da cinque anni: come i social media plasmano il nostro dibattito e le nostre menti. Nel 2016, reduci dallo scandalo Cambridge Analytica, i politici americani si erano riuniti affannosamente attorno a un tavolo per mostrarsi impegnati, per convincere i cittadini che il Governo volesse evitare a ogni costo che le “bugie strategiche” fossero nuovamente fomentate da un uso oculato – e illegale – degli algoritmi internettiani.

Nulla è successo. Il Congresso ha fatto capire con una certa trasparenza di non voler intervenire per castrare «uno dei settori commerciali più innovativi e in rapida crescita dell’Occidente». D’altro canto è proprio questo il punto essenziale: i social network scommettono sul promuovere tossicità proprio perché questo gli concede ricavi finanziari notevoli che superano di molto le eventuali sanzioni con cui vengono raramente colpiti.

Per capire come mai la situazione sia tanto incancrenita bisogna prima di tutto essere consapevoli di due presupposti: gli esseri umani si fidano naturalmente delle intelligenze artificiali e la disinformazione, specie quella di estrema destra, si accattiva il massimo dell’attenzione da parte del pubblico. Operando con il dichiarato intento di aumentare il fatturato delle rispettive aziende, i social media non hanno potuto che cavalcare dinamiche tanto grottescamente promettenti. Anzi, le hanno espressamente enfatizzate, radunando i vari gruppi in “camere eco” attraverso cui idee e ideologie si sono polarizzate fino a garantire la normalizzazione delle fantasie più audaci.

Facebook, per esempio, vuole accuratamente evitare che personaggi di diverse sponde politiche possano confrontarsi, non solo perché un bacino di utenti ben definito è più facile da piazzare agli inserzionisti, ma anche perché un dibattito aperto renderebbe più frequenti e immediate le denunce delle violazioni dei contratti di servizio. Per assicurarsi che ciò non accada, il social ha deciso quindi di “ridurre i contenuti politici” visibili nelle bacheche degli utenti, incanalando così i discorsi tossici in comunità sempre più insondabili, lontane dagli occhi del pubblico e dei critici.

Avendo un bacino di consumatori più ristretto e selezionato, Twitter se la cava leggermente meglio. Leggermente, però, poiché neppure lui riesce a chiamarsi fuori all’economia dell’attenzione che deriva dal fomentare polemiche e controversie. Proprio del portale è il concetto del “cattivo del giorno”, un termine con cui si identificano quegli utenti che finiscono elencati nella lista dei “trend” promossi dal sito, spesso a causa di alcune esternazioni che, motivatamente o non, si guadagnano una posizione privilegiata nei meccanismi della gogna pubblica.

Tutto questo, tuttavia, porta soldi e ogni eventuale incidente viene considerato un danno collaterale più che tollerabile. L’unico modo per imporre alle aziende digitali un drammatico cambio di rotta sarebbe quello di alterare le modalità di monetizzazione dei social media, di assicurarsi che la raccolta dei dati non possa essere più adoperata ai fini commerciali e che le Big Tech debbano direzionarsi verso modelli aziendali alternativi, magari affidandosi su degli abbonamenti. L’idea di dover pagare mensilmente Facebook e omologhi potrebbe sembrare folle, tuttavia la fantasia che simili servizi siano gratuiti è, per l’appunto, una fantasia: le Big Tech guadagnano su altri frangenti e la merce immessa sul mercato è la vita privata degli internauti. Il videostreaming, gli antivirus, i programmi di grafica fanno affidamento da anni su servizi da pagare a intervalli regolari e non hanno problemi a sopravvivere e, addirittura, a prosperare. Se poi i social network dovessero estinguersi perché nessuno sarà disposto a versare un fio alle Big Tech, vorrà dire che le Big Tech non hanno nulla di meritevole da offrire.

[di Walter Ferri]

Mali: giornalista francese rapito da jihadisti

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Un reporter francese, Olivier Dubois, è stato rapito in Mali all’inizio di aprile da parte di jihadisti affiliati ad Al-Qaeda. Lo si apprende tramite un video di origine indeterminata diffuso nella giornata di oggi sui social network, nel quale il giornalista afferma di essere stato rapito nella città di Gao dal gruppo jihadista «Jnim», motivo per cui chiede di rivolgersi alle autorità francesi affinché facciano il possibile per ottenere il suo rilascio. La scomparsa è stata confermata all’agenzia di stampa Afp da un funzionario del ministero degli Esteri francese.

L’Unione Europea ha dato il via libera al cibo a base di tarme

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I 27 Stati Membri dell’Unione Europea hanno approvato la proposta della Commissione europea di consentire la commercializzazione ad uso alimentare dei cosiddetti «vermi gialli della farina», ossia le larve del coleottero «tenebrione mugnaio». È il primo via libera dell’Ue circa l’utilizzo di un insetto nel settore alimentare ed esso fa seguito alla valutazione scientifica fornita negli scorsi mesi dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa), che aveva definito tali larve sicure da mangiare per l’uomo. Adesso il prossimo passo è quello di adottare un regolamento dell’Ue che autorizzi l’uso dei vermi gialli della farina come alimenti, cosa che sarà fatta nelle prossime settimane.

Secondo molti ricercatori si tratta del cibo del futuro in quanto potenzialmente sostenibile, in grado cioè di nutrire la popolazione crescente del pianeta senza intaccare eccessivamente le risorse naturali e il clima. Infatti, è un alimento a basse emissioni di carbonio, motivo per cui allevare tali insetti come risorsa alimentare potrebbe generare risvolti positivi per l’ambiente. In tal senso, la decisione rientra all’interno della strategia Farm to Fork, il piano d’azione Ue 2020-30 che mira a rendere sostenibili i sistemi alimentari e che indica gli insetti come una fonte di proteine a basso impatto ambientale. A tutto ciò si aggiunge il fatto che queste larve siano una fonte di cibo sana ed altamente nutriente: hanno un elevato contenuto di grassi, proteine e fibre e possono essere utilizzate essiccate o come farina proteica in numerosi prodotti alimentari.

[di Raffaele De Luca]

A 10 anni dalla morte di Bin Laden, i talebani sono più forti che mai

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10 anni fa, nella notte tra l’1 e il 2 maggio del 2011, moriva Osama Bin Laden per mano delle forze speciali statunitensi Navy Seal. Noto fondatore del gruppo terroristico Al-Qaeda e la mente dietro l’attacco alle Torri Gemelle, Bin Laden era il nemico pubblico numero 1 degli Stati Uniti. 10 anni dopo l’avvenimento e al termine di una sanguinosa guerra, la presenza dei talebani in Afghanistan si è rafforzata. I talebani controllano almeno il 70% del paese, con molte zone contestate e altrettante che, seppur ufficialmente sotto il controllo del governo, sono vessate da continui attacchi e guerriglia di matrice terroristica. Durante i recenti negoziati di pace con gli Stati Uniti, hanno attaccato persino del personale sanitario locale.

Sembrerebbe, come ha affermato lo scrittore e storico afghano Ahmed Rashid in un’intervista, che la guerra al terrorismo sia stata un successo solo per gli Stati Uniti. La pacificazione che ha in teoria motivato l’intervento americano in Afghanistan non si è mai avviata, e nessuno ha garantito la sicurezza della popolazione locale. Gli USA si sono liberati del loro nemico, ma hanno lasciato l’Afganistan in balia dei Talebani, il cui potere, ad oggi, è cresciuto.

Ad aprile del 2021, il nuovo presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dichiarato di voler ritirare le truppe USA e NATO dal paese. Si tratta di 2500 truppe americane e 7000 truppe di alleati Nato. Il presidente ha detto di volerle ritirare tutte, «per porre fine alla guerra più lunga d’America». L’intenzione è quella di ritirare le truppe entro l’11 settembre del 2021, una data chiaramente simbolica, a 20 anni dall’attacco che sconvolse gli Stati Uniti e che segnò l’inizio della terribile “war on terror.” La decisione è comunque controversa, soprattutto perché motivata dalle pressioni fatte agli USA dai talebani stessi. Oltretutto, sembra che l’atto abbia un valore esclusivamente simbolico, e che gli Americani, più che ritirarsi, stiano cercando di “privatizzare” la guerra.

Nel caso di un’improvvisa debolezza del governo afghano, i talebani potrebbero approfittare della situazione e prendere il potere, con una soluzione militare. Zalmay Khalilzad, l’alto rappresentante americano per l’Afghanistan, ha dichiarato che questo rischio non sussiste. Per quanto la partenza delle truppe sia un fatto positivo, la primissima mossa dopo quasi 20 anni per liberare il popolo afghano dalla guerra, rimane il fatto che, tolto un male, la popolazione ne dovrà affrontare un altro. La guerra in Afghanistan è stata lunga, distruttiva e sanguinosa, e la sua fine è un sollievo per tutti. Ma è stato risolto qualcosa in 20 anni?

[di Anita Ishaq]

Napoli, blitz dei carabinieri: documenti falsi per immigrati clandestini

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A Napoli, è stata sgominata un’associazione a delinquere che, dietro compenso, procurava documenti falsi per permessi di soggiorno in Italia a pakistani, indiani, marocchini, tunisini, afghani, russi, ucraini e ad extracomunitari delle aree di crisi a rischio terrorismo. I Carabinieri del Ros e del Comando provinciale hanno infatti eseguito tre arresti (di cui uno in carcere e due ai domiciliari) ed hanno stabilito 11 obblighi di dimora per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, falso ideologico e materiale. Dell’organizzazione facevano parte cittadini italiani, afgani e pakistani.

Cesenatico, camminata dopo le 22: multati e denunciati

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In seguito alla seconda edizione della «Passeggiata contro il coprifuoco», la protesta tenutasi a Cesenatico (FC) sabato sera alla quale hanno partecipato 150 persone, uno dei principali organizzatori, Mauro Mammana, sarà denunciato in quanto la manifestazione non era stata autorizzata ed anche altri organizzatori potrebbero ricevere lo stesso trattamento oltre alla denuncia penale in programma nei loro confronti per «istigazione a disobbedire alle leggi». Inoltre, saranno multati una cinquantina di partecipanti per non aver rispettato le regole anti Covid: polizia, carabinieri e la Digos (arrivata anche da Forlì) erano infatti presenti sul posto ed hanno identificato in loco una ventina di persone mentre un’altra trentina di loro saranno individuate tramite i filmati registrati al corteo.

La protesta di sabato è stata pacifica: i manifestanti hanno semplicemente espresso, intonando cori e slogan, la loro volontà di non rispettare il coprifuoco. Esso costituisce un problema notevole per il settore del turismo e di conseguenza per le attività economiche di una zona turistica come Cesenatico. Per questo motivo, non solo i cittadini pretendono una modifica di questa restrizione ma anche il sindaco della città, Matteo Gozzoli. «È evidente a tutti che non può esistere una stagione estiva con delle regole così forti: sarebbe una «non estate», senza possibilità di organizzare anche piccoli eventi, attività culturali e spettacoli. Per non parlare delle cene e delle attività presso le nostre strutture turistiche. Confido che dal mese di giugno, se non prima, il coprifuoco sarà gradualmente allentato», ha affermato il sindaco negli scorsi giorni in seguito alla notizia della proroga del coprifuoco alle 22 stabilita dal governo.

[di Raffaele De Luca]