Il Dipartimento di Stato statunitense sta imponendo divieti di viaggio ad alcuni funzionari cinesi ritenuti responsabili di repressione nei confronti di minoranze etniche e religiose, giornalisti, difensori dei diritti umani ed esponenti della società civile. I nomi dei funzionari colpiti dal provvedimento non sono stati resi pubblici. La mossa si aggiunge alle restrizioni sui visti già volute da Trump con il pretesto della repressione dei musulmani uiguri da parte della Cina. Le sanzioni arrivano a pochi giorni di distanza dai colloqui tra Biden e Xi Jinping riguardanti la crisi ucraina e le difficili relazioni tra i due Paesi per quanto riguarda i rapporti con Taiwan.
Ucraina: Zelensky abolisce la libertà dei media e mette fuorilegge l’opposizione
Oltre che con le armi, il conflitto tra Ucraina e Russia continua a essere combattuto da ambo le parti a colpi di censura. Dopo la decisione dell’Unione europea di interrompere l’informazione fornita da RT e Sputnik, media accusati di fare propaganda per conto del Cremlino, e la nuova legge varata in Russia contro le fake news legate alla guerra, sembra sia arrivato anche il turno di Volodymir Zelensky. Ieri sera il presidente ucraino ha, infatti, firmato un nuovo decreto con cui ha accorpato tutti i canali tv ucraini per creare “un’unica piattaforma informativa” per “una comunicazione strategica”. Nella stessa misura è prevista la limitazione delle attività condotte da 11 partiti politici ucraini d’opposizione, alcuni dei quali accusati di avere legami diretti con Mosca. Il decreto avrà validità fino a quando resterà in vigore la legge marziale, rinnovata fino al 25 aprile.
Sulla prima disposizione è intervenuto Mykhailo Podolyak, consigliere di Zelensky, che a Bruxelles ha assicurato: «Le reti verranno unificate, ma non chiuse». Ciò non toglie che in Ucraina andrà in onda giorno e notte un contenuto singolo, che consisterà «principalmente in programmi informativi e analitici». Per quanto riguarda, invece, la seconda misura, il Consiglio nazionale della difesa si è appellato alla “tutela della sicurezza” del Paese e ha deciso così di sospendere l’attività di 11 partiti d’opposizione. Tra questi, emerge “Piattaforma d’opposizione – per la vita”, organizzazione partitica che occupa 44 seggi (su 450) alla Rada, il Parlamento ucraino. Silenziare parte dell’opposizione di Kiev è «un altro errore che dividerà il Paese», ha commentato Vyacheslav Volodin, presidente della Duma di Stato russa.
[di Salvatore Toscano]
Assad in visita agli Emirati Arabi Uniti, prima volta dal 2011
Bashir al-Assad, presidente della Siria, ha incontrato il 18 marzo il principe ereditario di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed al-Nahyan, e l’emiro di Dubai, Mohammed bin Rashid al-Maktoum, per la prima volta dallo scoppio del conflitto in Siria nel 2011. Assad e al-Maktoum avrebbero discusso di “questioni di interesse comune”, tra le quali l’integrità territoriale della Siria e il ritiro delle forze straniere dal Paese. Secondo al-Jazeera, citata da Sicurezza Internazionale, sarebbero numerosi i Paesi del mondo arabo che starebbero cercando di riallacciare i legami con Assad, insistendo perché gli USA allentino le sanzioni su Damasco.
Due anni di restrizioni hanno aumentato i problemi di alcol tra i ragazzi
Negli scorsi giorni, durante la conferenza stampa sul decreto Riaperture tenuta dal Presidente del Consiglio Mario Draghi e dal Ministro della Salute Roberto Speranza, le politiche anti Covid italiane sono state ampiamente elogiate, con il green pass che, ad esempio, è stato definito «un grande successo». C’è però un altro lato della medaglia su cui non è stata posta l’attenzione durante l’incontro con i giornalisti, ovverosia quello degli importanti problemi di alcol tra i più giovani con ogni probabilità connessi alla situazione emergenziale: come ammesso dallo stesso Speranza alla Conferenza nazionale alcol 2022, infatti, «c’è un consumo significativo tra i giovani ed un aumento del consumo fuori dai pasti», il che potrebbe essere stato determinato dagli «ultimi due anni che abbiamo vissuto». Dichiarazioni che certamente non sono frutto del caso, emergendo essi dalla relazione al Parlamento sugli interventi realizzati nel 2021 in materia di alcol e problemi correlati, recentemente trasmessa dal Ministro della Salute alle Camere.
Dall’analisi, che illustra il quadro epidemiologico sul fenomeno alcol nel nostro Paese aggiornato al 2020, si evince infatti non soltanto che nell’anno della pandemia in Italia sono stati 8,6 milioni i consumatori di alcol a rischio – in aumento rispetto al 2019 sia per quanto riguarda gli uomini (+6,6%) che le donne (+5,3%) – ma che per quasi 800mila di essi si sia trattato di minori. “Il consumo di bevande alcoliche tra i giovani permane una criticità”, si legge nel report, nel quale si sottolinea altresì che “i comportamenti a rischio sul consumo di alcol nella popolazione giovanile sono particolarmente diffusi nella fascia di età compresa tra i 18 e i 24 anni. Nel 2019 il consumo abituale eccedentario nella classe di età 18-24 anni era l’1,7%”, mentre “nel 2020 il consumo abituale eccedentario nella stessa classe di età è stato il 2,5%”, viene specificato in tal senso nella relazione. Tra i comportamenti a rischio, inoltre, c’è il “binge drinking” (o assunzione di numerose bevande alcoliche al di fuori dei pasti e in un breve arco di tempo), che rappresenta l’abitudine più diffusa e consolidata. Nel 2019, il fenomeno “riguardava il 16% dei giovani tra i 18 ed i 24 anni di età” mentre “nel 2020 il fenomeno ha riguardato il 18,4% dei giovani tra i 18 ed i 24 anni di età”.
Si tratta dunque di una tendenza in crescita, che non fa che aggiungersi a tutta una serie di altri problemi connessi alle restrizioni pandemiche. Quanto emerso dalla relazione, infatti, costituisce l’ennesima prova del fatto che due anni di misure anti Covid abbiano generato diverse difficoltà soprattutto nei giovani. Basterà ricordare che, come confermato da diversi studi scientifici, due anni di lockdown e restrizioni hanno portato un grande numero di bambini e ragazzi ad avere problemi seri a livello psicologico, inclusi disturbi da stress post-traumatico, ansia, depressione e tentativi di suicidio. Una pandemia nella pandemia alla quale non si presta la necessaria attenzione e su cui, evidentemente, dovrebbe basarsi almeno in parte anche la valutazione degli effetti delle restrizioni anti Covid.
[di Raffaele De Luca]
Ucraina-Russia: colloqui finiti, spazio ai gruppi di lavoro
Le delegazioni di Ucraina e Russia hanno appena concluso un colloquio durato circa un’ora e mezza, nato con l’obiettivo di risolvere la crisi in corso. La discussione proseguirà sotto forma di gruppi di lavoro nel corso della giornata odierna. Secondo fonti turche, un accordo sarebbe vicino, ma il portavoce del Cremlino frena su quest’ipotesi e spiega che non ci sono ancora le condizioni per un incontro Putin-Zelensky. Anche dalla sponda ucraina si avverte un certo pessimismo, con il consigliere del presidente, Alexander Rodnyansky, che ha affermato: «I russi hanno usato questi colloqui come un modo per distrarre l’attenzione da ciò che sta accadendo sul campo di battaglia. Non si cerca la pace e allo stesso tempo si bombardano città su larga scala».
I droni sono sempre più protagonisti della guerra in Ucraina
In Ucraina, i blindati, i carri armati e le truppe di terra si stanno manifestando con una presenza che è palpabile e scenografica, tuttavia si stanno muovendo anche altri mezzi bellici, mezzi che forse sono meno evidenti, ma che rappresentano una parte integrante dei campi di battaglia odierni: gli Unmanned Aerial Vehicle (UAV), colloquialmente noti come droni.
Topiche sono ormai le immagini aeree diffuse dal Governo di Kiev in cui i carri nemici vengono fatti detonare con bombardamenti mirati. Tenendo conto della scarsa frequenza dei fotogrammi dei video in questione, è facile intuire che le clip siano state registrate dai droni stessi, più nello specifico da quei Bayraktar TB2 di fabbricazione turca che figurano nell’arsenale ucraino. I droni turchi prodotti dalla Baykar Technologies non sono particolarmente sofisticati, ma sono efficienti e relativamente economici, inoltre, prima dell’invasione, l’Ucraina si stava preparando ad avviarne la costruzione in loco predisponendo stabilimenti che, non a caso, pare siano stati tra i primi bersagli colpiti dal Cremlino. A latere, l’Amministrazione ucraina sta inoltre cercando di intensificare la capillarità della propria Intelligence chiedendo a tutti i civili esperti di droni hobbistici di partecipare alla sorveglianza del nemico con gli apparecchi che hanno a disposizione.
Sull’altro fronte, la Russia ha schierato con una certa titubanza gli Orion prodotti dal Kronstadt Group, mastodonti dall’apertura alare di sedici metri, potenti strumenti di sorveglianza e guerra che, nonostante abbiano preso parte attiva all’attacco, vengono più che altro adoperati per identificare il posizionamento degli obiettivi, una reticenza che è giustificata dal loro essere facile bersaglio della contraerea. Per compensare questa vulnerabilità, Mosca starebbe dunque confidando sull’agilità dei droni da ricognizione Orlan-10 e sugli UAV kamikaze ZALA KYB, velivoli che si scaraventano sul bersaglio e, al momento della detonazione, eiettano con forza un’ampia rosa di sfere d’acciaio, generando danni ingenti.
#Ukraine: The first proof of loitering munitions combat use by the Russian army. ZALA KYB "kamikaze" UAV fell down in #Kyiv today.
The drone didn't explode, however it is unknown if it malfunctioned or it was downed using Ukrainian electronic warfare systems. pic.twitter.com/Ju38t0Qhrp
— 🇺🇦 Ukraine Weapons Tracker (@UAWeapons) March 12, 2022
Droni kamikaze sono in procinto di unirsi anche ai ranghi ucraini per “bontà” della Casa Bianca. Gli USA hanno infatti annunciato aiuti militari da 800 milioni nei quali figurano dei Switchblade della AeroVironment, armi che, più che droni, potrebbero essere considerate vere e proprie bombe a ricerca. Sparato da un mortaio, lo Switchblade è in grado di essere manovrato in remoto e di coprire distanze che raggiungono gli 80 chilometri. Nello specifico, il senatore repubblicano Mike McCaul ha annunciato che sta «lavorando con gli alleati» per inviare a Kiev una maggiore quantità di Switchblade 300, modelli che sono relativamente inefficienti contro i mezzi blindati, ma letali contro gli esseri umani.
Nel frattempo, l’Italia è divenuta invece crocevia di velivoli di ricognizione. La Naval Air Station statunitense ospitata a Sigonella sta facendo decollare senza sosta dei Northrop Grumman RQ-4B, UAV meglio noti come Global Hawk, in direzione Ucraina, Polonia, Bielorussia e Mar Nero. Bisogna sottolineare che i velivoli in questione siano, per quanto ci è dato sapere, strumenti di pura sorveglianza, ovvero che non siano caratterizzati da un carico missilistico. Allo stesso tempo è anche importante ricordare che la posizione dell’Italia nei confronti dei droni bombardieri sta rapidamente cambiando: appena pochi mesi fa, un documento della Difesa aveva infatti sibillinamente lasciato a intendere che i droni nostrani stiano venendo armati, dettaglio di cui abbiamo chiesto conferma alle autorità, senza però ricevere alcuna risposta.
[di Walter Ferri]
In Messico è riesplosa la guerra dei narcos
Lo scorso 14 marzo il governo degli Stati Uniti ha annunciato che il consolato nella città messicana di Nuevo Laredo chiuderà temporaneamente dopo essere stato bersagliato da diversi colpi di arma da fuoco. La comunicazione del governo Usa impone al personale rimasto sul territorio di rispettare il coprifuoco notturno. Una misura alla quale i diplomatici sono abituati solo in scenari di guerra aperta. Ma in Messico non è in corso nessuna guerra, almeno formalmente. Perché la realtà racconta altro, ovvero di un conflitto strisciante che da tempo oppone i cartelli della droga alle autorità del Paese. Una guerra che vede i narcos capaci di schierarsi come un vero e proprio esercito di guerriglia, senza timore alcuno di ingaggiare scontri militari non solo contro l’esercito messicano ma anche contro il personale della potenza a stelle e striscie. La vicenda che ha portato di nuovo le violenze sopra il livello di guardia è stata l’arresto di un boss locale di Nuevo Laredo, Juan Gerardo Trevino detto “El Huevo”. La risposta dei narcos è stata immediata: hanno messo a ferro e fuoco la città bloccando strade, bruciando veicoli e sparando all’impazzata. Proiettili che avevano tra i principali obiettivi il consolato americano e alcuni edifici dell’esercito messicano. Su Trevino, leader del Cartello del Nordest, un ramo del cartello de Los Zetas, nonché boss del gruppo di sicari “Tropas del Infierno” (Truppe dall’Inferno), pende infatti un ordine di estradizione negli Stati Uniti.
#Mexico🇲🇽
Una nueva ola de violencia se desata en la ciudad de Nuevo Laredo, en el estado de Tamaulipas, tras la captura del líder del Cártel del Noroeste. pic.twitter.com/nlhQBe1Z9c— AquelarreNews (@aquelarre_news) March 14, 2022
Le violenze dei cartelli della droga in Messico non sono certo una novità. Nel 2021, in Messico sono stati registrati 33.308 omicidi, un piccolo miglioramento rispetto al 2020 quando gli omicidi furono 34.514. Quasi due mila in meno rispetto all’anno record, il 2018, quando gli omicidi furono 35.964. Dati comparabili, se non superiori, a quelli di una guerra vera e propria. Ad esempio nella regione ucraina del Donbass, tra il 2014 e il 2021, i morti registrati nel conflitto sono stati 13.000, circa un terzo di quelli annuali del Messico.
Uno degli indicatori solitamente usati per valutare il livello di sicurezza di un determinato paese è il tasso di omicidi, ossia il numero di omicidi commessi ogni 100.000 abitanti. Utilizzando appunto questo indicatore il Messico, con circa 130 milioni di persone, non risulta nemmeno nei primi tre posti delle classifiche del Sud America.
I dati totali però parlano pero di una realtà diversa, la Giamaica che risulta al primo posto di questa classifica nel 2021 ha registrato 1.493 omicidi. Ossia circa 30.000 in meno rispetto al Messico. Numeri che non sono spiegabili esclusivamente dalla differenza in termini di abitanti tra i due paesi. Quello che non ha praticamente uguali in ogni altra parte del mondo è il livello dell’intensità che gli scontri hanno raggiunto. Nel marzo 2021, a Coatepec Harinas, distante qualche centinaio di chilometri dalla capitale Città del Messico, in un imboscata vennero uccisi 13 poliziotti. La regione di Coatepec Harinas è al centro di una guerra tra vari gruppi criminali, tra cui Familia di Michoacan e Jalisco Cartel New Generation (Cartel Jalisco Nueva Generación – CJNG). Le guerre tra i cartelli della droga sono legate al controllo dei territori in cui si concentra la produzione della droga, marijuana, oppio e droghe sintetiche. E nei territori di confine con gli Stati Uniti dove queste sostanze vengono poi contrabbandate. Gli stati messicani al centro di questa guerra sono sei: Guanajuato, Baja California, Michoacán, lo Stato del Messico, Chihuahua e Jalisco. In questi territori sono stati registrati oltre la metà di tutti gli omicidi nello scorso anno. Ma le violenze in Messico, non sono esclusivamente legate alle lotte tra bande criminali, nel febbraio 2021, una dozzina di poliziotti messicani, di un reparto d’élite addestrato negli Stati Uniti, vennero implicati nel massacro di 19 migranti nello stato del Tamaulipas.
Come spiegato dall’osservatorio sulla criminalità Insight Crime: “Il panorama criminale del Messico è diventato sempre più frammentato e predatorio, creando un clima di iperviolenza. Le armi da fuoco vengono utilizzate nella maggior parte degli omicidi e i gruppi criminali possono fare affidamento su un flusso costante di armi ad alta potenza dagli Stati Uniti. Sebbene il traffico di droga sia ancora un fattore importante che contribuisce a focolai di violenza, in particolare le droghe sintetiche, anche i rapimenti e le estorsioni sono diventati sempre più redditizi”.
[di Enrico Phelipon]
In Cina dopo due anni sono tornati i contagi: quasi 40 milioni in lockdown
La Cina torna alle prese con una crescita dei contagi da Covid, dopo che per due anni il Paese era riuscito a tenere ad un livello molto basso la diffusione del virus, recentemente vi è stato un incremento netto nel numero di casi registrati. Lunedì scorso, secondo quanto riportato dalla Commissione Nazionale di Sanità cinese, sono stati registrati 3.602 nuovi casi, segnando il record dei contagi dalla prima (e fino ad ora unica) ondata subita dalla Cina nei mesi di gennaio e febbraio ’20. Numeri che, visti dall’Italia, sono da niente (il nostro paese continua ad avere circa 60.000 casi al giorno con una popolazione 23 volte inferiore a quella del gigante asiatico). Ma le autorità di Pechino, fedeli alla strategia “zero Covid” perseguita fin dall’inizio, hanno posto prontamente in lockdown 37 milioni di persone. Ai residenti delle città di Changchun (situata nella prima provincia in lockdown dal 2020, lo Jilin) Shenzhen e Dongguan è stato vietato di lasciare i quartieri di residenza se non in caso di stretta necessità e ciascuna famiglia ha avuto il permesso di inviare una sola persona a fare la spesa ogni 2/3 giorni. Nella città di Langfang, invece, a tutti i residenti è stato vietato di lasciare le loro case se non per motivi di emergenza.
Se i numeri, confrontati a quelli a cui siamo abituati in Europa non sono certo impressionanti, è vero che in Cina l’aumento è giunto inaspettato e sta facendo discutere: il Paese infatti fin dall’inizio si è rifatto a un modus operandi molto rigido per contrastare l’emergenza sanitaria, la cosiddetta “strategia zero-Covid”, con cui si è puntato a stroncare possibili focolai sul nascere prevedendo test di massa e la chiusura delle città anche solo in presenza di pochi casi di coronavirus. Questa modalità ha permesso di mantenere i contagi e i decessi molto bassi, dato che a quanto pare nella Cina continentale si sono verificati in totale 127mila casi e 4.636 decessi: numeri davvero contenuti se comparati, sempre per rendere l’idea, a quelli dell’Italia, dove vi sono stati 13,7 milioni di casi e 158mila decessi. Tuttavia seppur fino ad ora tale politica sembrava aver prodotto buoni risultati, adesso in Cina – dove quasi l’88% della popolazione si è sottoposta al ciclo di vaccinazione primario – i casi sono in drastico aumento, motivo per cui, alla luce anche delle conseguenza economiche ad essa legate, ci si chiede se possa ancora essere sostenuta a lungo.
Le autorità cinesi spiegano il rialzo dei contagi con l’arrivo anche nel loro paese della più contagiosa variante Omicron: come affermato al Global Times da Wu Zunyou, capo epidemiologo presso il Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie, la variante ha infatti ora sostituito Delta come ceppo dominante nel Paese, rappresentando circa l’80% dei casi recenti. Di conseguenza, uno dei motivi per cui i casi si sono diffusi così velocemente potrebbe essere dovuto ai sintomi più lievi di Omicron, che la renderebbe più difficilmente rintracciabile. Tale tesi sarebbe inoltre maggiormente plausibile alla luce della presenza nel Paese della sotto-variante “BA.2” della Omicron, che secondo le prime evidenze scientifiche avrebbe una trasmissibilità maggiore rispetto alla “BA.1”, ovverosia l’originale variante Omicron.
Da citare infine la situazione presente ad Hong Kong, dove è stato registrato un elevato tasso di mortalità: la media giornaliera ad oggi è infatti di 37 morti al giorno per milione di abitanti, il che conferisce alla regione amministrativa cinese il più alto tasso al mondo attuale. In tal senso però, da sottolineare è senza dubbio la bassa percentuale di vaccinazione tra gli anziani, che in molti ipotizzano essere alla base di tali numeri. Seppur infatti attualmente l’82% delle persone di età pari o superiore a 12 anni abbia ricevuto due dosi di vaccino, solo il 38% delle persone di età pari o superiore ad 80 anni si è sottoposto a due dosi.
[di Raffaele De Luca]
Cina: si schianta aereo con 132 persone a bordo
Un aereo passeggeri con 132 persone a bordo è precipitato nella provincia meridionale del Guangxi, in Cina: a riportarlo sono i media cinesi, tra cui l’agenzia di stampa ufficiale Xinhua. Secondo quanto riferito da quest’ultima, l’incidente avrebbe coinvolto precisamente un Boeing 737 della compagnia China Eastern Airlines, che si sarebbe schiantato nella contea di Teng provocando un incendio sul fianco di una montagna. Le operazioni di soccorso e ricerca sarebbero state attivate, anche se al momento non si avrebbero notizie sul numero di eventuali morti e feriti.











