lunedì 8 Dicembre 2025
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Recensioni indipendenti: PLASTIC WAR (documentario)

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Un documentario del 2021 di 46 minuti, diretto da Leonardo Lo Frano visibile su RaiPlay. L’emblematico titolo di questo documentario rende perfettamente l’idea di quanto la plastica abbia creato una vera e propria guerra dove si fronteggiano interessi economici enormi e alcune coscienze che, soprattutto ultimamente, si sono rese conto di quanto questo diffusissimo materiale, che negli anni del secondo dopo guerra sembrava avesse risolto tanti problemi, sia dannoso per l’ambiente. Gli autori vogliono comunicare fin da subito quale realmente sia, anche visivamente, il differente approccio che c’è fra le parti che si confrontano in questa battaglia. Con un ben studiato gioco cromatico di foto in bianco e nero e riprese a colori differenziano distintamente una visione artistica e di denuncia da quella che svela quanti retroscena, quante cose non dette ci siano sull’argomento plastica. Quanti comportamenti opachi nel dare vero impulso a un riciclo che, ben lontano dall’essere totalmente risolutivo, è certamente una pratica corretta ed indispensabile.

Nel susseguirsi delle immagini, due mondi paralleli si delineano: Castel Volturno e Bruxelles. A Castel Volturno il fotografo Giovanni Izzo da anni testimonia, con i suoi inconfondibili scatti, l’inaccettabile degrado di quei luoghi un tempo bellissimi e ritrae il giovane migrante Steven, che guarda ai rifiuti con creatività artistica trasformandone l’osservazione in utilità. Bruxelles dove le lobbies, società di consulenza privata come “Eamonn Bates”, regolarmente iscritte nei registri e quindi legalmente riconosciute, tutelano gli interessi di petrolieri e grossi produttori di materiali plastici ma anche di aziende d’imballaggi e della grande distribuzione di cibi e bevande come Burger King, Mcdonald’s e Sturbucks. Là si decide il destino di 27 paesi e di 446 milioni di persone. Un business che produce 396 milioni di tonnellate di plastica su scala globale ogni anno, con un indotto di 840 miliardi di euro cui non si vuole rinunciare usando ogni mezzo lecito ma talvolta anche arbitrario, come riuscire a ritardare la scadenza della direttiva Europea SUP (Single Use Plastics), che di fatto proibisce l’uso della plastica monouso, o di sostenere il riciclo come sola e unica soluzione pur di non modificare il modello di produzione e non rinunciare ad un lucroso business. L’influenza delle lobbies è così grande da condizionare scelte e decisioni politiche che vadano principalmente a vantaggio dei loro clienti. Associazioni del settore come Plastics Europe, che ogni anno spende milioni di euro per fare attività di lobbying, possono contare sull’influenza che sempre più i lobbisti hanno presso le Istituzioni Europee. Partecipano alle riunioni del Consiglio, trattano direttamente con uomini politici, convincendo, talvolta sotto forma di velata minaccia, che certe restrizioni imposte alle aziende del settore porterebbero ad una perdita di milioni di posti di lavoro.

Attivisti e ONG continuano a battersi contro questo sistema e per il suo radicale cambiamento, ma anche per una maggiore responsabilità da parte dei cittadini che devono compiere un effettivo cambiamento culturale che modifichi vecchie abitudini ormai insostenibili fino a raggiungere lo “zero rifiuti”. Poiché come dice un personaggio nel filmato, «non è vero che il mare distrugge tutto come si credeva una volta, il mare viene distrutto». Dopo 60 anni la plastica economica e di largo consumo creata dal premio Nobel per la Chimica Giulio Natta insieme a Karl Ziegler nel 1963 mostra sempre di più il suo lato oscuro.

[di Federico Mels Colloredo]

Guerra Ucraina: Ue stanzia altri 500 milioni di aiuti militari

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Nella giornata di oggi il Consiglio Ue ha “adottato due misure di assistenza” nell’ambito del cosiddetto “Fondo europeo per la pace (EPF)”, grazie alle quali l’Unione europea potrà “sostenere ulteriormente” le forze armate ucraine: è quanto ha reso noto proprio il Consiglio Ue tramite un comunicato con cui è stato specificato che adesso 500 milioni di euro saranno aggiunti alle risorse del Fondo, le quali ammonteranno così complessivamente a 1,5 miliardi di euro. «Con questi nuovi 500 milioni di euro aggiuntivi, l’Ue ha stanziato un totale di 1,5 miliardi di euro per sostenere le forniture di equipaggiamenti militari degli Stati membri alle forze armate ucraine», ha infatti affermato l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza Josep Borrell, aggiungendo che sia «fondamentale intensificare il sostegno militare all’Ucraina».

Svezia e Finlandia vogliono entrare nella NATO: la Russia muove le truppe al confine

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L’incontro tra i Paesi membri della NATO in programma a Madrid il 29 e il 30 giugno 2022 sta assumendo, giorno dopo giorno, una rilevanza più ampia. Il Segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, ha infatti riferito che durante il summit verranno discussi i progetti «dell’adattamento a lungo termine della NATO», leggasi dispiegamento militare in Europa orientale. A quest’ipotesi si aggiunge poi la volontà di Svezia e Finlandia di entrare a far parte dell’Alleanza. Il primo ministro finlandese Sanna Marin, in una conferenza stampa congiunta a Stoccolma con l’omologa svedese Magdalena Andersson, ha dichiarato che «la Finlandia deciderà se candidarsi alla NATO entro poche settimane». Nel frattempo, un filmato pubblicato da diversi media internazionali mostra la risposta di Mosca alle indiscrezioni: lo spostamento di veicoli militari al confine con la Finlandia (lungo 1.340 km).

Sulla volontà di Finlandia e Svezia di entrare a far parte dell’organizzazione, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato lo scorso 11 aprile che «un ulteriore allargamento della NATO non contribuirà alla sicurezza nel continente europeo». Oggi, a distanza di due giorni, i primi ministri di Svezia e Finlandia hanno parlato del futuro, con particolare riguardo nei confronti della scelta di mantenere la propria neutralità o aderire alla NATO. Si tratta di un dubbio che, senza la guerra in Ucraina, avrebbe di certo un esito scontato, come dimostra un sondaggio rivolto alla popolazione finlandese nel 2019, quando soltanto il 20% degli intervistati si mostrò favorevole all’adesione all’Alleanza Atlantica. Ma la guerra in Ucraina c’è da quasi due mesi ormai e, come ha dichiarato il primo ministro svedese nel corso della conferenza stampa, «c’è un prima e un dopo il 24 febbraio». Sul binomio con la Finlandia, Magdalena Andersson ha sottolineato quanto «sarà importante per la Svezia la scelta del Paese», ammettendo che la decisione finale sarà influenzata da quanto accadrà a Helsinki. Durante la stessa conferenza stampa, Sanna Marin ha  affermato che «la Finlandia condivide con la Russia un lungo confine», e oggi non può far altro che riflettere sul suo comportamento in Ucraina. «È una guerra in Europa che non volevamo accadesse, ma ora purtroppo è così. Sarà necessario capire cosa fare per evitare che accada nel nostro Paese».

Tra tante dichiarazioni e ipotesi è bene fare un passo indietro e consultare le fonti del diritto, internazionale in questo caso. L’articolo 10 del Trattato Nord Atlantico afferma che “le parti [Stati membri] possono, con accordo unanime, invitare ad aderire a questo Trattato ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale“. Considerare questa condizione è fondamentale per comprendere i meccanismi della NATO e riflettere sul suo funzionamento, soprattutto alla luce della guerra in Ucraina. In un contesto geopolitico così delicato, l’entrata a far parte dell’Alleanza di Svezia e Finlandia (che condivide con la Russia un confine di 1.340 km, una lunghezza pari alla distanza tra le Alpi e Lampedusa) pone il rischio di una risposta da parte di Mosca, che da anni critica l’allargamento a Est dell’organizzazione, e per estensione un problema giuridico a monte per l’Alleanza perché uno Stato (europeo) può richiedere di far parte della NATO a patto che esso contribuisca alla sicurezza dei territori e dei membri coinvolti, cosa che non farebbero Svezia e soprattutto Finlandia in un momento storico così precario. Si tratta, pertanto, di una scelta estremamente delicata, che merita di essere trattata con la massima attenzione  per evitare strumentalizzazioni che rischierebbero di alimentare una guerra internazionale.

[Di Salvatore Toscano]

Corsa al turismo spaziale: i numeri di una follia ecologica

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SpaceX, l’azienda aerospaziale di Elon Musk, ha ufficialmente dato il via alla prima ciurma spaziale composta totalmente da privati. A bordo, tre turisti paganti e il capo astronauta di Axiom, azienda che ha cogestito i preparativi e che prevede in futuro di installare un modulo turistico sulla International Space Station (ISS). Axiom non ha voluto rivelare nulla sui costi della spedizione, ma le testate statunitensi stimano che ogni visitatore abbia pagato 55 milioni di dollari pur di riservarsi un posto in questa gita extraterrestre della durata di 8 giorni. Un traguardo indubbiamente epocale, considerando che è la prima volta in assoluto che la Nasa ospita passeggeri privati sul proprio avamposto. Il turismo spaziale pare sia quindi ufficialmente ai nastri di partenza. Tuttavia, questo ha dei costi, e non solo economici. L’impatto ambientale di un volo nello spazio è infatti enorme, cosa accadrebbe se le gite di piacere in orbita diventassero frequenti come sperano i loro miliardari promotori?

Le emissioni di anidride carbonica di un volo spaziale, con a bordo 4 passeggeri, sono tra le 50 e le 100 volte maggiori rispetto alle circa 2 tonnellate stimate per ogni passeggero di un volo aereo convenzionale a lungo raggio. Ad oggi, alla luce del relativamente basso numero di lanci nello spazio, questa quota di carbonio potrebbe considerarsi trascurabile, ma se i viaggi orbitali diventassero ‘il futuro’ – come spera l’uno o l’altro magnate – le cose cambierebbero e nemmeno di poco. Secondo le stime dell’astrofisico francese Roland Lehoucq, le emissioni della navicella Virgin Galactic – di proprietà dell’imprenditore britannico Richard Branson – si aggirano intorno alle 4-5 tonnellate per passeggero: oltre il doppio del budget annuale individuale di anidride carbonica raccomandato dall’Accordo di Parigi. Gli obiettivi di quest’ultimo potrebbero essere così messi a repentaglio da un settore emergente che ha tutte le carte in regola per imporsi sul mercato. Basti pensare che la Virgin Galactic, da sola, punta ad almeno 400 voli l’anno.

Tra l’altro, il problema non è solo l’anidride carbonica. Per superare l’atmosfera, i razzi hanno bisogno di un’enorme quantità di propellenti, come il cherosene, per il Falcon 9 di SpaceX, o l’idrogeno liquido, nel caso del nuovo Space Launch System della Nasa. Secondo uno studio di Earth’s Future, due terzi del propellente esausto vengono rilasciati negli strati atmosferici intermedi dove permangono anche per diversi anni. I combustibili poi, oltre alla più preoccupante – in termini climatici – anidride carbonica, rilasciano altre sostanze chimiche nell’atmosfera. In primo luogo, tutti i razzi emettono enormi quantità di calore che favoriscono la conversione dell’azoto atmosferico in ossidi di azoto molto reattivi e, a seconda del carburante impiegato, anche fuliggine, cloro e particelle di ossido di alluminio. Nel complesso, si tratta di tutte sostanze che, da un lato, inducono un assottigliamento dello strato di ozono mentre, dall’altro, esacerbano un già critico riscaldamento globale. È bene quindi che i viaggi orbitali diventino sostenibili prima che si affermino sul panorama globale. Premura che non sembra essere nell’agenda dei più, intanto però, i ricchi fautori del turismo spaziale vengono insigniti, per il loro impegno ambientale, delle più svariate onorificenze.

[di Simone Valeri]

Pnrr: Ue versa a Italia prima rata da 21 miliardi

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La Commissione Ue ha versato all’Italia la prima rata per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) da 21 miliardi di euro: è quanto fa sapere il Governo Italiano tramite un comunicato presente sul proprio sito. All’interno dello stesso, nello specifico, si legge che il pagamento ha ad oggetto “10 miliardi di contributo a fondo perduto e 11 sotto forma di prestito” e che esso sia stato ricevuto “a seguito della valutazione positiva della Commissione europea e di tutti gli Stati membri UE sul raggiungimento dei 51 obiettivi del Pnrr nel 2021”.

Microdosi di Lsd per combattere l’ansia e lo stress

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La dietilamide dell’acido lisergico (Lsd) è un composto psichedelico con potenziali proprietà ansiolitiche e antidepressive. Sono anni che vanno avanti studi sui possibili effetti benefici della sostanza, anche se i meccanismi neurobiologici alla base dell’assunzione rimangono poco chiari. Seguendo il nuovo studio pubblicato dall’American Collage of Neuropsychopharmacology, coordinato da Gabriella Gobbi del Dipartimento di Psichiatria della McGill University di Montreal con la collaborazione di Stefano Comai del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università di Padova e di Danilo De Gregorio dell’Università Vita Salute San Raffaele di Milano, si apprendono curiose novità su come l’Lsd possa alleviare i sintomi dell’ansia, un problema in crescita negli ultimi anni specialmente nella società occidentale e tra i più giovani.

La ricerca effettuata dagli studiosi afferma come l’assunzione di micro-dosi di Lsd possa prevenire e curare comportamenti ansiosi, in un approccio più facilmente traducibile in una terapia clinica. Sono state effettuate delle prove sui topi da laboratorio, sottoposti a una condizione di stress cronico ai quali è stato poi somministrato Lsd sotto forma di micro-dosi. Sembra infatti che l’assunzione ripetuta e controllata della sostanza eviti di provocare allucinazioni, lasciando spazio a degli effetti invece positivi. Com’è stato possibile riscontrare sugli animali protagonisti degli esperimenti, i quali hanno vissuto una drastica diminuzione dei sintomi d’ansia indotta dallo stress e alcuna conseguenza negativa degna di nota. Nell’esplorare i cambiamenti dell’utilizzo dosato di Lsd a livello cerebrale, è stato inoltre possibile scoprire quale sia il meccanismo alla base dell’azione benefica del composto psichedelico.

È stato dimostrato come l’azione dell’Lsd sia vicina a quella degli antidepressivi Ssri in commercio (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina). Gli antidepressivi utilizzati oggi contro ansia e stress funzionano in modo tale da potenziare l’attività dei circuiti cerebrali legati alla serotonina, neurotrasmettitore la cui produzione cala in maniera preoccupante in caso di stress cronico. Se i periodi prolungati di stress provocano una diminuzione dell’attività dei neuroni della serotonina, l’Lsd è invece in grado di desensibilizzare i recettori della serotonina che regolano l’attività stessa dei neuroni serotoninergici. Quindi, a seguito di un trattamento prolungato con Lsd a basse dosi i neuroni serotoninergici sarebbero di conseguenza in grado di rilasciare più serotonina. Non solo, ma sempre se assunto in micro-dosi, l’Lsd riuscirebbe a stimolare la formazione di nuove spine dendritiche, cioè le protuberanze con cui i neuroni entrano in contatto tra loro, anch’esse gravemente danneggiate in caso di ansia e stress.

Il dietilamide dell’acido lisergico, LSD, è una tra le più potenti sostanze psichedeliche conosciute e fu sintetizzato per la prima volta nel 1933 dal chimico svizzero Albert Hofmann. Per lungo tempo la ricerca sulle sue proprietà terapeutiche è stata osteggiata e di fatto impedita dalle leggi che lo consideravano solo come droga. Negli ultimi anni però le cose sono cambiate e sempre più ricercatori guardano con interesse alle sue proprietà. L’uso di microdosi controllate, infatti, secondo i ricercatori non ha effetti psichedelici, ma può aiutare in ambito psichiatrico e psicoterapeutico.

[di Francesca Naima]

Nessuna fossa comune a Makariv: i media mainstream “si sbagliano” ancora

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La notizia che a Makariv, paese vicino Kiev, sarebbe stata scoperta una fossa comune con 132 corpi di civili, prima torturati e poi giustiziati dai russi, è una bufala. Probabilmente, nasce da fraintendimenti delle dichiarazioni di Vadim Tokar, sindaco di Makariv. Oppure dalla confusione con altre notizie, ad esempio quelle su Buzova. Vediamo brevemente cosa è stato scritto dai media italiani e perché non corrisponde al vero. 

Il Sole 24 Ore ha titolato: “Ucraina: fossa comune vicino a Kiev. Eccidio a Makariv”. Nel testo del pezzo, molto breve, si dice che 133 persone sarebbero state torturate e uccise dai russi. Una cosa simile avviene ad esempio su La Stampa. In “Guerra Russia-Ucraina: 133 civili torturati e uccisi”, si parla del “nuovo orrore” di 133 civili di cui “molti trovati in fosse comuni”: anche qui sarebbero stati torturati e poi uccisi. Così è stato narrato a destra e manca, anche in televisione. In sostanza l’idea passata è che i russi abbiano recentemente lasciato il paese di Makariv, e che prima di farlo, in una sorta di macabra vendetta, abbiano torturato, giustiziato e infine gettato in una grande fossa comune ben 132 innocenti, in modo simile a come sarebbe successo a Boucha. Ma le cose non stanno così.

La prima cosa da dire è che i russi non se ne sono andati da un paio di giorni ma da quasi un mese. Già il 22 marzo scorso fonti ucraine informavano che la zona di Makariv era di nuovo in mano alle forze giallo-blu. Tuttavia da quel momento e fino a pochi giorni fa, la situazione nel paese è stata piuttosto critica. A causa dell’occupazione russa subita, sono mancati i rifornimenti di energia, acqua e viveri. In particolare le comunicazioni erano impossibili, e tutt’ora sono state solo parzialmente ripristinate. È per questo che il sindaco del paese, Vadim Tokar, ha potuto riferire solo da poco quale fosse l’effettivo stato di Makariv.

L’8 aprile, in diretta presso TV 1+1, ha parlato per la prima volta del ritrovamento di 133 persone. Sono decedute nel corso degli attacchi, che non si sono arrestati con la dipartita dei russi, e sono state ritrovate nell’arco di 20 giorni di ricerche e soccorsi. Soprattutto, non si trovavano tutte assieme all’interno di una o più fosse comuni. Si riporta qui un passaggio del suo intervento, preso e tradotto da una fonte ucraina: «Queste – le 133 persone – sono quelle che abbiamo trovato in superficie, il numero di persone sepolte da vicini e parenti nel proprio giardino o cortile: non conosciamo ancora il numero esatto delle vittime».

Solo alcune di queste persone avrebbero segni compatibili con forme di tortura, ma la cosa non è ancora stata accertata: sono in corso indagini. Francesca Mannocchi, giornalista italiana a Kiev, ha potuto verificare di persona quale fosse la situazione a Makariv. In collegamento presso La7 ha infatti chiarito che nel paese non vi è alcuna fossa comune, che i 132 corpi sono stati ritrovati nell’arco di molti giorni, e che le presunte torture, riguardanti solo alcuni individui, sono ancora un’ipotesi.

«Questa mattina ci siamo svegliati con la notizia di una presunta fossa comune a Makariv, e del ritrovamento di 132 corpi uccisi e torturati […]. Siamo dunque andati a Makariv a verificare questa notizia. Tenete conto che Makariv è stata dichiarata libera dalle forze di occupazione russa il 22 di marzo […] A Makriv non c’è nessuna fossa comune, non esiste alcuna fossa comune né scavata dagli ucraini né dai russi. Il sindaco Vadim Tokar ha dichiarato che questi 132 corpi sarebbero stati trovati in 20 giorni quasi, da quando la città è stata dichiarata liberata. Che ci sarebbero alcuni corpi su ci si sta indagando perché presenterebbero segni di tortura, ma non sono stati trovati 130 corpi tutti insieme, torturati e vittime di esecuzione. Questo non corrisponde alla realtà».

[di Andrea Giustini]

Firenze, ancora un caso di violenza da parte della polizia

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Il 5 aprile scorso a Firenze un cittadino senegalese, Pape Demba Wagne, è stato vittima di un fermo avvenuto con metodi violenti, adottati da alcuni agenti in borghese della polizia municipale. A riprendere l’accaduto sono stati alcuni ragazzi presenti sul luogo, che hanno poi deciso di pubblicare il video in rete, raggiungendo migliaia di profili. Il ministero degli Affari Esteri del Senegal ha protestato ufficialmente per il fermo di Pape Demba Wagne, cittadino senegalese e venditore ambulante in Italia che ha dichiarato: «Stavo vendendo braccialetti, collane e fazzoletti, come sempre, quando mi sono sentito strattonare da dietro. Ero terrorizzato». Nelle immagini, girate in lungarno Acciaiuoli, si vede un agente che tiene il braccio stretto attorno al collo del cittadino senegalese per tutta la durata del video (circa due minuti e mezzo) mentre un altro agente, in alcune fasi dell’azione, lo immobilizza sedendosi sulle sue gambe.

 

Come si può notare dal video, due ragazzi cercano di fermare l’azione degli agenti in borghese, che continua invece imperterrita di fronte a centinaia di residenti e turisti. Dopo alcuni giorni, Pape Demba Wagne ha dichiarato di essere arrivato in Italia cinque anni fa con un visto che è poi scaduto. «Adesso sono irregolare. Ero terrorizzato quando hanno iniziato a controllarmi». Il controllo, degenerato in strada, è poi continuato in caserma, dove al giovane sono state prese le impronte prima di essere rilasciato alle 19 del 5 aprile. Dal governo senegalese è arrivata prontamente un’accusa nei confronti dei due agenti per “trattamento razzista e inumano“. L’ambasciatore senegalese a Roma, Papa Abdoulaye Seck, si è subito recato a Firenze per parlare con il prefetto e con il sindaco Dario Nardella. Quest’ultimo ha dichiarato di confidare nella correttezza dell’operato della polizia municipale, aggiungendo che «sarà avviata una verifica interna proprio perché siamo noi i primi a voler far luce su tutto», dando seguito a una nota del municipio in cui viene affermato che “i vigili, prima del momento di tensione ripreso dai passanti, erano stati colpiti”. Nel frattempo, a Firenze è stato organizzato per sabato 16 aprile un corteo di protesta insieme alla comunità senegalese.

[Di Salvatore Toscano]

Il business della clonazione animale

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Bastano un paio di cellule prelevate da un orecchio, qualche migliaio di dollari e un anno di tempo perché il vostro animaletto domestico defunto possa tornare a scorrazzare allegramente per il salotto di casa. O meglio, non propriamente lui, ma un suo clone, una creatura geneticamente identica che condivide con il compianto compagno tutti i tratti fisici che lo caratterizzavano. Questo è il business model su cui l’azienda texana ViaGen sta costruendo la propria fortuna.

L’impresa è nata nell’ormai lontano 2002 con l’obiettivo originale di permettere agli allevatori di preservare il DNA di bovini, suini ed equini di qualità particolarmente rinomata. Da allora l’impresa si è fatta protagonista di fusioni e assorbimenti, intrecciandosi con Intrexon e Trans Ova Genetics e specializzandosi nella fecondazione in vitro. Nel 2015 ha dunque aperto i suoi laboratori agli animali d’appartamento, varando infine il ramo “Pets” della propria attività. Se la pratica della clonazione animale vi richiama alla memoria l’episodio della pecora Dolly, non siete affatto in errore: nel 2003 ViaGen ha inglobato la statunitense Prolinea, ottenendo di conseguenza anche i diritti sulle tecnologie di clonazione sviluppate dal Roslin Institute di Edimburgo, Scozia, istituto famoso proprio per aver clonato il celebre ovino.

Con “soli” 1.600 dollari è possibile prelevare e preservare le cellule dell’animale prediletto, quindi ne servono almeno altri 35.000 per clonare un gatto, cifra che sale a 50.000 se invece si preferisce finanziare la copia di un cane. Cifre impressionanti che non fanno desistere celebrità quali Barbra Streisand – la quale ha fatto clonare per ben due volte il suo defunto Coton de Tuléar -, ma che tuttavia sono prese seriamente in considerazione anche da persone dalle risorse più contenute.

Stando alle statistiche offerte da ViaGen Pets, circa il 10% delle persone che iberna il DNA dei propri animali finisce prima o poi per procedere con la clonazione, anche se ci volessero anni per racimolare la somma necessaria a finanziare l’operazione. Inutile dire che si sollevi immediatamente un dubbio deontologico, ovvero vien da chiedersi se sia opportuno spendere decine di migliaia di dollari per finanziare un laboratorio quando, parallelamente, vi sono centinaia di trovatelli che rischiano di terminare la propria esistenza in canili e strutture di accoglienza. A questo quesito si somma dunque la consapevolezza che il clone non riporterà mai in vita l’animale originale e che i retroscena di laboratorio potrebbero essere complessi e poco gradevoli.

Seppure siano passati quasi trent’anni dal successo di Dolly, le tecniche di clonazione sono lungi dall’essere perfette, quindi non è insolito che gli embrioni sviluppino anomalie e mutazioni che portano la madre surrogata ad abortire il feto o a partorire una creatura dotata di pochi attimi di vita. Anche se il processo dovesse andare a buon fine, bisogna inoltre tenere a mente che il carattere di un essere vivente si sviluppa anche, se non soprattutto, attraverso alle esperienze vissute sulla propria pelle, quindi due animali possono maturare caratteri profondamente divergenti pur partendo da una medesima genetica.

In questi anni di attività, ViaGen Pets ha preferito mantenere un profilo estremamente basso, reclamizzando la propria esistenza solamente attraverso il passaparola dei clienti, tuttavia pare che l’impresa sia ormai pronta a farsi notare del mondo, convinta della solidità di un prodotto potenzialmente controverso che, in ogni caso, già conta centinaia di acquirenti. Di quante centinaia si stia parlando è difficile a dirsi, ViaGen non ci tiene particolarmente ad approfondire l’argomento.

[di Walter Ferri]

La Camera conferma la fiducia al Governo sul decreto Bollette

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Nelle scorse ore la Camera dei deputati ha confermato la fiducia al Governo sul decreto-legge Bollette con 422 voti favorevoli, 54 contrari e un astenuto. L’Assemblea è poi passata all’esame dei vari ordini del giorno, che saranno votati in mattinata. Sempre nelle prossime ore è atteso il voto definitivo sul provvedimento, che contiene le misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali. Il testo passerà poi all’esame del Senato, con scadenza al 30 aprile per la conversione in legge.