venerdì 19 Dicembre 2025
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Gli OGM in Europa a rischio deregolamentazione: una petizione cerca di impedirlo

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Allo stato attuale, e forse ancora per poco, nell’Unione europea tutti gli organismi geneticamente modificati (OGM) sono soggetti ad autorizzazione e, se presenti in determinati prodotti, devono essere sempre segnalati in etichetta. Tuttavia, Bruxelles sta lavorando ad un nuovo quadro normativo che potrebbe non far valere più queste regole per i prodotti ottenuti con le nuove tecniche genomiche. Così, per evitare questo scenario, è stata lanciata una petizione europea “a tutela dell’ambiente e della trasparenza per i consumatori”. L’iniziativa è stata promossa dal Coordinamento Italia libera da OGM, composto da 29 associazioni contadine, del biologico, ambientaliste e della società civile, tra cui Slow Food, FederBio e Wwf. Le nuove tecniche transgeniche che si chiede si continuino a regolamentare sono le cosiddette New Breeding Techniques (NBTs): delle indubbie conquiste della scienza che, tuttavia, tengono ancora vivo il dibattito sulla loro effettiva sicurezza in termini di impatto sulla biodiversità.

A detta dei legislatori europei non ci sarebbe motivo di mantenere le stesse norme anche per le nuove tecniche poiché queste, aumentando la resilienza delle colture ai cambiamenti climatici e riducendo l’uso dei pesticidi, contribuirebbero alla sostenibilità delle produzioni alimentari. Lo affermano in un rapporto in cui, per l’appunto, si chiede che la normativa Ue si adegui al progresso scientifico. Il Coordinamento promotore della raccolta firme, d’altro canto, non la pensa alla stesso modo e sottolinea che «solo l’agricoltura biologica, l’agroecologia e le scelte responsabili di produttori e consumatori potranno assicurare la tutela della biodiversità, la riduzione di pesticidi e la produzione di cibo sano in un ambiente sano». Chiedono, inoltre, che l’Italia resti un paese libero da Ogm di modo che il prezioso patrimonio genetico delle colture da secoli tramandato non venga contaminato. Allarmismi o timori fondati? È presto per dirlo. Nel dubbio, perché deregolamentare? In linea con il principio di precauzione, a maggior ragione se ‘nuove’, tutte le varietà colturali sottoposte ad ingegneria genetica andrebbero sottoposte ad una rigorosa valutazione.
Nel mentre – sottolineano nella petizione – «è necessario approfondire la ricerca sui rischi ambientali e sulle alterazioni della biodiversità e sull’impatto socio-economico per gli agricoltori e sull’intero sistema alimentare nel lungo periodo».

Il principio secondo cui, invece, si punta a cambiare le regole è legato al fatto che i nuovi OGM, a differenza degli altri, sono prodotti mediante una tecnologia di editing genetico per cui i tratti delle colture vengono alterati senza che vi sia l’effettivo inserimento di geni estranei. Tuttavia, nel 2018, proprio la Corte di Giustizia Europea stabilì che vecchi e nuovi OGM andavano normati ai sensi della medesima direttiva. La ragione andò così a diverse associazioni francesi che avevano citato in giudizio il Ministero dell’Agricoltura d’Oltralpe il quale aveva autonomamente esentato i nuovi prodotti biotecnologici dalle regole vigenti. La questione, comunque, resta spinosa. Da un lato si hanno le pressioni delle multinazionali dell’agroalimentare le quali, in quanto spesso produttrici di sementi GM, spingono affinché le nuove varietà siano libere di circolare. Dall’altro c’è un’agricoltura tradizionale, di sussistenza, a piccola scala, custode di una diversità genetica minacciata da un’agricoltura industriale alla quale gli OGM sono intimamente legati. Dall’altro ancora c’è il progresso scientifico e la sicurezza alimentare: dovremmo preoccuparci – si interroga un ricercatore su Food Science & Nutrition – più di garantire cibo ad una popolazione umana in rapida crescita o più dei rischi ecologici potenziali della biotecnologia in campo agricolo? Il dibattito è aperto.

[di Simone Valeri]

Consulta: illegittime norme che attribuiscono automaticamente cognome padre a figli

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La Corte costituzionale ha “dichiarato l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi”: è quanto si legge in un comunicato dell’Ufficio comunicazione e stampa della Consulta, nel quale viene precisato che “la Corte ha ritenuto discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre”. “La regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due”, viene specificato inoltre nel comunicato, all’intero del quale viene precisato altresì che “in mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, resta salvo l’intervento del giudice in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico”.

I ricercatori useranno l’intelligenza artificiale per misurare le galassie

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Un gruppo di scienziati, tra cui alcuni dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), userà l’intelligenza artificiale per misurare le dimensioni di galassie distanti fino a circa sette miliardi di anni luce dalla Terra. Nello specifico, per fare questo, è stata sviluppata una rete neurale convoluzionale, la quale si ispira al funzionamento biologico della corteccia visiva, per processare informazioni più velocemente di quanto riescano a fare i sistemi tradizionali. Il suo nome è GaLNet (GAlaxy Light profile convolutional neural NETwork) e si tratta di uno strumento progettato per analizzare l’enorme mole di dati che arriverà prossimamente da telescopi come Rubin ed Euclid, impegnati nell’osservazione della volta celeste.

È la prima volta che questa tecnica viene applicata su dati raccolti da Terra, e dimostra quanto l’AI sia ormai considerata tecnologia densa di promettenti potenzialità nei più diversi campi e non solo nel comparto militare e nel controllo sociale, fortunatamente. I ricercatori paragonano GaLNet a un vero e proprio occhio che permetterà agli astronomi di conoscere forma e dimensione delle galassie, dettagli dai quali ci si aspetta certamente di poterne capire la struttura e, magari, anche di ricostruirne la storia evolutiva. Gli scienziati hanno sviluppato dei software riproducenti le connessioni neurali all’interno della corteccia visiva animale, al fine di trovare lenti gravitazionali, ovvero rari eventi che si manifestano quando la luce di una galassia lontana viene deflessa dal campo gravitazionale di una galassia (lente) più vicina. Il tutto avviene grazie alla machine learning (apprendimento automatico), tecnica che consiste nell’addestramento del sistema effettuato fornendo immagini simulate di galassie con parametri specifici, le quali fungono da traccia. Così facendo, i ricercatori stanno ottenendo precisi parametri strutturali delle galassie sotto osservazione.

Insomma, la speranza è che tramite l’intelligenza artificiale sarà possibile ottenere analisi e informazioni mai avute prima su galassie di diverse epoche cosmiche e di diversa massa. Un’enorme quantità di dati che consentirà di ottenere il rilevamento di dettagli (massa, dimensione, colore, forma) delle galassie, e in futuro – si spera – per comprendere quei processi fisici che ne guidano l’evoluzione.

[di Eugenia Greco]

Carcere di Capua Vetere: 107 agenti verso il processo per le violenze sui detenuti

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La Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per 107 persone, tra poliziotti della Penitenziaria e funzionari del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (DAP), imputati per le violenze ai danni dei detenuti avvenute nell’aprile del 2020 nella casa circondariale casertana di Santa Maria Capua Vetere e registrate da alcune telecamere di sicurezza. La richiesta del rinvio a giudizio è stata avanzata nel corso dell’udienza preliminare davanti al gup Pasquale D’Angelo, ad alcuni mesi dal primo incontro, risalente a fine 2021. Nel corso della seduta, è stato richiesto per uno dei 108 imputati iniziali il proscioglimento, misura che va ad aggiungersi ad altri dodici analoghi provvedimenti avanzati dalla Procura alcuni mesi fa. 2 dei restanti 107 accusati hanno chiesto, invece, di poter accedere al rito abbreviato.

Il 15 dicembre 2021 è iniziata nell’aula bunker del carcere campano di Santa Maria Capua Vetere l’udienza preliminare del processo legato alle violenze nei confronti dei detenuti della casa circondariale “Francesco Uccella”. I 108 imputati (divenuti 107 nell’udienza di ieri) sono accusati a vario titolo di: tortura, lesioni, abuso di autorità, falso in atto pubblico e cooperazione nell’omicidio colposo del detenuto algerino Lakimi Hamine (addebitato a 12 individui). Per quanto riguarda il reato di tortura, esso viene contestato a circa 50 pubblici ufficiali: si tratta della prima volta dall’introduzione, nel 2017, dello stesso. Nei prossimi giorni, ai fini del proseguimento dell’iter giudiziario, il gup Pasquale d’Angelo dovrà esprimersi sulla richiesta avanzata dalla Procura, approvando o meno il rinvio a giudizio per i 107 imputati che, nel caso, dovranno presentarsi dinanzi al giudice di primo grado per difendersi dalle accuse emerse in seguito allo svolgimento e alla conclusione delle indagini investigative.

[Di Salvatore Toscano]

Tre esplosioni, nessun colpevole: cosa sta succedendo in Transnistria?

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Martedì 26 aprile il Consiglio di sicurezza della Transnistria ha dichiarato il livello di allerta rossa per terrorismo. Il presidente della regione moldava, Vadim Krasnoselsky, ha convocato la riunione d’urgenza a seguito dell’attacco con un lanciagranate all’edificio del Consiglio di sicurezza dello Stato a Tiraspol del 25 aprile e delle esplosioni occorse il 26 aprile, presso il centro radiofonico di Mayak nel distretto di Grigoriopol e a un’unità militare di stanza nel villaggio di Parcani. La Transnistria è una regione separatista filo-russa (di fatto indipendente) all’interno della Moldavia, che confina con l’Ucraina e rappresenta idealmente un punto d’approdo della fascia di controllo territoriale che Mosca sta cercando di conquistare sulle coste meridionali ucraine, distando meno di 100 chilometri da Odessa.

Ma procediamo con ordine per provare a fare luce su una questione piuttosto torbida.

Su i tre incidenti ancora si sa poco e Mosca e Kiev si accusano vicendevolmente. Secondo le filo-russe autorità locali della Transnistria i responsabili del primo attacco, quello occorso a Tiraspol, sarebbero tre attentatori giunti dall’Ucraina. Visto da Kiev invece gli attacchi rappresentato un probabile casus belli provocato dalla Russia per intervenire nella regione. Che gli attacchi siano pretesto ordito da Mosca per un allargamento del conflitto anche alla Moldavia è tesi sostenuta anche del vicepresidente moldava, Vlad Batrincea, secondo cui dietro le esplosioni c’è un tentativo di trascinare il Paese in un conflitto armato. Parole più nette di quelle della presidente Maia Sandu che, in ossequio alla condizione di spaventata neutralità che il Paese sta tenendo rispetto al conflitto ucraino, si è limitata a parlare di «tensioni tra le diverse forze all’interno della regione interessate a destabilizzare la situazione». Che la tensione in Moldavia sia alle stelle lo dimostra ad ogni modo la convocazione da parte della presidente del Consiglio di Sicurezza dello Stato. Da Mosca, invece, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov si è per ora limitato a ribadire che Mosca sta seguendo con preoccupazione l’evolversi della situazione.

Ma cos’è’ la Transnistria? Denominata ufficialmente “Repubblica Moldava di Pridniestrov”, è di fatto uno stato indipendente, anche se non riconosciuto a livello internazionale, ed e’ governata da una amministrazione autonoma con sede a Tiraspol. La regione, facente parte della Moldavia si è dichiarata unilateralmente autonoma nel 1990. Nel 1992, come conseguenza di una guerra di pochi mesi, è stata creata una zona demilitarizzata tra la Moldavia e la Transnistria grazie ad un cessate il fuoco siglato con il sostegno della Russia. Nel 2014, dopo l’annessione della Crimea, il governo della Transnistria aveva chiesto di essere annessa alla Russia.

 

Diversi aspetti lasciano perplessi se si vanno ad analizzare i tre attacchi occorsi in questi giorni. Tutti i tre gli attacchi non hanno causato né morti né feriti (per quanto ad oggi si sappia) e non hanno procurato danni sostanziali. La regione autonoma è saldamente controllata dal governo di Tiraspol e sul territorio sono presenti circa 1.500-2.000 soldati russi. Truppe che, dato il conflitto in corso nella vicina Ucraina, è presumibile supporre siano sul massimo livello di allerta ma che non sarebbero state in grado di fermare nessuno dei tre attacchi né di effettuare un singolo arresto. Un quadro che ha spinto molti in Occidente a teorizzare che, dietro questa serie di avvenimenti, ci possa essere lo zampino del Cremlino per creare ad arte un pretesto. Difficile dirlo, ed è possibile anche teorizzare il gesto di qualche battaglione ucraino isolato o un disegno di Kiev dai contorni non chiari, ma a favore dell’ipotesi ci sono indirettamente anche le parole del generale russo Rustam Minnekayev, che durante un forum dell’industria bellica russa aveva affermato che «il controllo di tutta l’Ucraina del sud avrebbe lasciato campo libero verso la Transnistria alle truppe del Cremlino». Ipotesi, quella che la Russia possa puntare alla conquista di tutta la parte sud dell’Ucraina, per bloccarne l’accesso al mare di cui avevamo già parlato su L’Indipendente lo scorso 30 marzo. E d’altra parte che la Russia possa considerare tatticamente utile un ingresso in territorio ucraino anche da un nuovo fronte attraverso la Transnistria è apparentemente logico, dato che costringerebbe le forze ucraine ad un nuovo fronte rendendo più difficile da difendere la cintura di Odessa, presumibilmente ancora nelle mire di Mosca, nel disegno di creare un unico corridoio di controllo dal Donbass fino alla Moldavia.

[Di Enrico Phelipon]

La legge per salvarli c’è, non il decreto attuativo: così i visoni rimangono in gabbia

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In Italia più di cinquemila visoni vivono ancora chiusi nelle gabbie degli allevamenti, perché i Ministri delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, della Salute e della Transizione Ecologica, non hanno emanato il Decreto per regolamentare la cessione degli animali da pelliccia presso strutture autorizzate. Un Decreto che sarebbe dovuto esistere da tempo ma di cui non si ha traccia, sebbene la data di scadenza (il 31 gennaio 2022) sia stata di gran lunga superata. È stata l’organizzazione Essere Animali a lanciare un appello, ricordando come dal primo gennaio 2022 nel Paese non sia rispettato il divieto d’allevamento di qualsiasi specie col fine di ricavarne pellicce, ma anche quanto ci sia da fare per garantire il benessere degli animali da pelliccia tuttora rinchiusi negli allevamenti italiani.

Perché il divieto introdotto a gennaio, previsto dall’emendamento numero 157.04 alla Legge di Bilancio, ha posto il 30 giugno 2022 come data ultima per la dismissione degli allevamenti esistenti di animali da pelliccia. Per quanto l’allevamento e l’uccisione dei visoni siano vietati, le strutture interessate possono continuare a detenere i mammiferi già presenti almeno fino alla data sopracitata. Ciò significa prolungare inutilmente le sofferenze di “Animali riproduttori, da anni costretti in gabbie di dimensioni molto limitate e prive di arricchimenti ambientali adeguati alla specie”, come denuncia Essere Animali. Gli allevamenti in cui ancora sono presenti i visoni si trovano in Lombardia, in Emilia Romagna e in Abruzzo. Le strutture autorizzate gestite direttamente o in collaborazione con associazioni animaliste riconosciute esistono e sono pronte ad accogliere i mammiferi, manca solo il Decreto che regolamenti il loro passaggio fino ai rifugi. Gli stessi attivisti di Essere Animali, i quali hanno documentato l’attuale situazione dei Mustelidi ancora in cattività, hanno dato la massima disponibilità per impegnarsi attivamente nella cura e nel mantenimento degli stessi.

Con l’appello ai Ministri l’organizzazione spera che dopo quattro mesi di stasi la situazione possa cambiare. E certo, l’obiettivo è che in questo caso i tempi siano più brevi dei ben 10 anni investiti per chiedere al Governo ciò che è avvenuto solo da gennaio 2022. La campagna Visoni Liberi è iniziata nel 2013 quando ancora la situazione era non troppo lontana da quella del 1990, dove esistevano circa 125 allevamenti di visoni, volpi e cincillà e venivano uccisi 400.000 animali. Il numero delle strutture è poi iniziato a scendere anno dopo anno, fino ad averne 13 in tutto il territorio italiano (2019). Il 2020 è stato poi decisivo a causa del coronavirus diffusasi negli allevamenti dei Mustelidi in tutta Europa, Italia compresa. Per fronteggiare la pandemia, migliaia di esemplari sono stati necessariamente abbattuti. A febbraio dell’anno successivo, anche grazie all’esempio di più Paesi europei, la produzione di pellicce è stata sospesa e le riproduzioni dei cuccioli di visoni sono state vietate. Finalmente, a dicembre del 2021 l’Italia ha vietato gli allevamenti per pellicce salvando circa 60.000 esemplari, ma dall’entrata in vigore del divieto ad oggi, il benessere dei mammiferi non è ancora garantito.

[di Francesca Naima]

Gazprom blocca i rifornimenti a Polonia e Bulgaria. Prezzi in aumento

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Nelle scorse ore, Gazprom ha annunciato la cessazione delle forniture di gas verso Polonia e Bulgaria a causa dei mancati pagamenti in rublo. La notizia ha provocato un’impennata fino al 20% del prezzo del gas, che ha toccato quota 107 euro per Megawattora al Ttf, prima di ripiegare a 99 euro (comunque in rialzo del 6,6% rispetto a lunedì). «La Germania a giorni sarà in grado di rinunciare al petrolio russo», ha annunciato nelle stesse ore il ministro dell’Economia  Robert Habeck, affermando che «un embargo oggi è diventato gestibile per la Germania». Il governo tedesco ha ridotto infatti la dipendenza da Mosca ad appena il 12% (dal 35% risalente al momento dell’invasione dell’Ucraina) individuando approvvigionamenti alternativi.

Martedì 26 aprile

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1.00 – Il ministro degli Esteri russo, Lavrov: «La terza guerra mondiale è un pericolo reale».

6.00 – Il Quebec diventa la prima giurisdizione al mondo a vietare la ricerca di gas e petrolio.

9.00 – Twitter diventa proprietà di Elon Musk: accettata offerta da 44 mld di dollari.

10.00 – UK: «legittimo che Kiev usi nostre armi per colpire in territorio russo». Mosca avvisa: «faremo altrettanto».

12.20 – Attacchi in Transnistria (Moldavia): colpita radio in lingua russa. Ignota la matrice, Mosca accusa Kiev.

13.00 – A Kiev avviata la rimozione delle statue che ricordano la Russia e l’Urss, incluse quelle che celebrano la vittoria contro il nazismo.

17.00 – La Camera dà il via libera alla riforma del Csm, ora passa al Senato.

18.50 – Putin: «Vogliamo la pace, ma impossibile senza un accordo su Crimea e Donbass».

19.40 – Blinken, segretario di Stato USA: «aperti ad accordo su Ucraina neutrale e fuori da NATO, se Kiev è d’accordo».

La spesa militare mondiale ha raggiunto il suo massimo nella storia

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Secondo un’indagine del SIPRI (Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma), la spesa militare globale ha raggiunto nel 2021 il suo massimo storico, stabilizzandosi a quota 2.113 miliardi di dollari. Si tratta di una soglia superata per la prima volta dal 1949, anno in cui l’istituto ha iniziato a monitorare i dati della spesa militare globale. Ciò significa che nemmeno la pandemia da Covid-19, che ha avuto pesanti contraccolpi sulle economie di tutto il globo, ha arrestato l’aumento delle spese militari, la cui crescita è stata costante per il settimo anno di fila. I cinque paesi con gli investimenti più alti sono Stati Uniti, Cina, India, Regno Unito e Russia, che rappresentano complessivamente il 62% della spesa totale.

Spesa militare mondiale, SIPRI

Rispetto al 2020, la spesa militare in termini nominali è cresciuta nel 2021 del 6,1%. Tale incremento è stato “bruciato” dall’inflazione, che lo ha fatto attestare allo 0,7% (in termini reali, cioè rapportando l’investimento al livello generale dei prezzi). I finanziamenti statunitensi per la ricerca e lo sviluppo militare (R&S) sono aumentati del 24% tra il 2012 e il 2021, mentre i finanziamenti per l’approvvigionamento di armi sono diminuiti del 6,4% nello stesso periodo. L’anno scorso, gli Stati Uniti hanno investito 801 miliardi di dollari nel settore della Difesa, circa il 3,5% del proprio PIL di 23.000 miliardi. «L’aumento della spesa in R&S nel decennio scorso suggerisce una maggior concentrazione da parte degli Stati Uniti sulle tecnologie di nuova generazione», ha affermato Alexandra Marksteiner, ricercatrice del programma SIPRI per la spesa militare e la produzione di armi. «Il governo degli Stati Uniti ha più volte sottolineato l’obiettivo di preservare il vantaggio tecnologico del proprio esercito rispetto agli altri attori geopolitici», ha infine aggiunto. Alle spalle degli USA si posiziona la Cina che nel 2021 ha investito circa 293 miliardi di dollari (+4,7% rispetto al 2020) nel settore militare, confermando una crescita che va avanti da 27 anni consecutivi. Dopo un calo registrato tra il 2016 e il 2019 a causa dei bassi prezzi dell’energia e delle sanzioni in risposta all’annessione della Crimea, anche la Russia ha destinato più fondi al settore della Difesa, raggiungendo quota 65,9 miliardi di dollari nel 2021, ovvero il 4,1% del PIL che nello stesso anno si è stabilizzato sui 1.600 miliardi (14 volte inferiore di quello statunitense). 

Secondo gli autori del rapporto, la guerra in Ucraina intensificherà l’aumento delle spese militari, alimentando la tendenza di crescita costante degli ultimi sette anni. D’altronde, segnali in questo senso sono arrivati da diversi paesi già nelle scorse settimane, quando è stata annunciata la volontà di allinearsi all’obiettivo NATO, prevedendo di investire nei prossimi anni (almeno) il 2% del PIL nazionale nel settore. Tra questi, figura anche l’Italia che, di fronte a una possibile crisi di governo, ha posticipato il raggiungimento dell’obiettivo dal 2024 al 2028.  

[Di Salvatore Toscano]

Ucraina, tensioni Londra-Mosca

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Il governo britannico considera interamente legittimo l’uso da parte ucraina di armi fornite dal Regno Unito «per prendere di mira obiettivi all’interno del territorio della Russia». A dichiararlo è il viceministro della Difesa, James Heappey, ai microfoni della BBC. «Se il governo britannico considera legittimo l’uso da parte di Kiev di armi ricevute dall’Occidente» per colpire in profondità le linee di rifornimento di Mosca in territorio russo, la Russia «potrebbe ritenere altrettanto legittimo prendere di mira le linee di rifornimento ucraino all’interno di quei paesi che, trasferendo armi all’Ucraina, producono morte e distruzione», ha affermato Maria Zacharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, in risposta alle dichiarazioni di Londra.