Negli USA il week end di Pasqua è stato segnato da tre sparatorie di massa, che hanno portato alla morte di 2 minorenni e decine di feriti. Due di queste sono avvenute nella Carolina del Sud, in un nightclub e all’interno di un centro commerciale, causando rispettivamente il ferimento di 9 e 14 persone. A Pittsburgh, nel corso di una festa organizzata all’interno di un Airbnb, due minori sono stati uccisi e almeno altre 8 persone ferite: la polizia dichiara di aver trovato almeno 100 bossoli e ritiene che la scena sia stata presa di mira da più punti.
Palermo: i renziani sul carro di Dell’Utri, già condannato per associazione mafiosa
Le trame della politica siciliana in vista delle elezioni amministrative di Palermo (tra due mesi) e delle Regionali (previste per il prossimo autunno), non smettono di riservare sorprese. In Sicilia è andato in scena un nuovo episodio chiave: il “renziano di ferro” Davide Faraone, lanciato in pompa magna dal leader di Italia Viva come candidato sindaco del suo partito a Palermo già alla Leopolda dello scorso novembre, ha dichiarato di voler «fare un passo di lato», annunciando che appoggerà il candidato “civico” in quota Udc Roberto Lagalla. Colui che, soltanto pochi giorni fa, ha ricevuto l’appoggio ufficiale dell’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, sul cui protagonismo politico nemmeno la condanna definitiva a sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa rimediata nel 2014 sembra riuscire a esercitare un freno.
Ma facciamo un passo indietro. In queste settimane, sul fronte elettorale, il centro-destra siciliano è apparso lacerato dalle divisioni: il Presidente dell’Ars e dirigente di Forza Italia Gianfranco Miccichè ha preso le distanze da Musumeci e da una sua eventuale riconferma come governatore, mentre per la poltrona da primo cittadino di Palermo punta tutto sul medico Francesco Cascio. Su questo nome ha raggiunto un accordo con la Lega, che aveva precedentemente candidato Francesco Scoma, poi sfilatosi dopo essere stato “sacrificato” sull’altare dell’intesa (che pure, in occasione di un’eventuale vittoria, gli avrebbe garantito la carica di vice-sindaco). Fratelli d’Italia ha presentato in solitaria la candidata Carolina Varchi; dall’altra parte, invece, scalpita Totò Lentini, uomo degli autonomisti di Raffaele Lombardo. Sul confronto-scontro in atto aleggia inoltre il severo giudizio dell’ex Presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro, altro condannato definitivo per mafia (nel suo caso, favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra): il politico agrigentino, che nel 2020 ha ricostituito la Democrazia Cristiana in Sicilia, ha più volte messo in guardia il centro-destra sul concreto rischio che la frammentarietà che tiene in scacco le ambizioni della coalizione possa spianare la strada al candidato del fronte progressista Franco Miceli, appoggiato da Pd e M5S.
Lo scorso 7 Aprile, in un’intervista rilasciata all’AdnKronos, era arrivata la stoccata di Marcello Dell’Utri all’indirizzo del suo ex pupillo Miccichè: «La candidatura di Francesco Cascio è un errore, gli diano un altro incarico. La persona giusta per fare il sindaco di Palermo è Roberto Lagalla», aveva detto il cofondatore di Forza Italia, asserendo che «Gianfranco sbaglia: lui ha la sua testa e ragiona con la sua testa. E io ho detto quello che penso, al di là di ogni contrapposizione». Non contento, lo storico braccio destro di Silvio Berlusconi aveva dichiarato che la scelta migliore per le Regionali fosse «la riconferma di Nello Musumeci», il quale sarà appoggiato da Fratelli d’Italia ma che è, appunto, assolutamente inviso a Miccichè.
In un post pubblicato su Facebook, poi, Davide Faraone ha ufficializzato il suo ritiro dalla corsa a sindaco: «Nei giorni passati, più si moltiplicavano i candidati, più trovavo spiacevole trovarmi in quella situazione, c’ero anch’io tra i protagonisti di questa imbarazzante fiera delle vanità, che ci ha allontanato in maniera siderale dai palermitani – ha scritto il senatore di Italia Viva – Ho deciso quindi di essere coerente, da un lato togliendomi dall’imbarazzo, dall’altro lato scegliendo un candidato in campo, semplificando e sforzandomi di dare un segnale di unità innanzitutto ai miei concittadini. Non faccio un passo indietro, sosterrò il mio amico Roberto Lagalla, l’ho conosciuto da Rettore, poi da vicepresidente del CNR, quando ho avuto l’onore di ricoprire l’incarico di sottosegretario alla Scuola, all’Università e alla Ricerca scientifica. Lo reputo il più adatto a svolgere il ruolo di Sindaco e il più affine alle mie idee, non me ne vogliano tutti gli altri candidati, che stimo ed apprezzo. Darò il mio contributo da Senatore della Repubblica, come ho sempre fatto e continuerò a fare».
Lo scorso novembre vi avevamo raccontato come in Sicilia si stesse concretizzando quel processo di “approdo al centro” da parte di Italia Viva, che aveva addirittura costituito un intergruppo all’Ars assieme a Forza Italia con la “benedizione” di Marcello Dell’Utri. I cui giudizi e le cui “larghe vedute”, evidentemente, continuano a trovare importanti sponde nelle scelte politiche dei renziani.
[di Stefano Baudino]
Turchia, lanciata nuova offensiva contro ribelli curdi
Il ministro della Difesa turco Hulusi Akar ha annunciato il lancio di una nuova operazione turca di aria e di terra che ha come obiettivo i combattenti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) che si trovano nel nord dell’Iraq. Non ha tuttavia specificato quante truppe sono coinvolte nell’operazione. Secondo il governo turco, il PKK stava programmando un attacco su larga scala contro la Turchia. Questa conduce abitualmente attacchi contro le basi e i campi di addestramento del PKK, designato dal governo turco e dai suoi alleati occidentali come gruppo “terrorista”.
Tunisia, la petroliera affondata non sta perdendo petrolio
La petroliera affondata sabato scorso al largo delle coste tunisine è stata controllata dai sommozzatori, che hanno constatato l’assenza di perdite. La nave trasportava 750 tonnellate di carburante, motivo per il quale si temeva una catastrofe ambientale imminente. Nella serata di ieri sono iniziate le operazioni di messa in sicurezza della nave.
Gerusalemme: non si fermano le violenze israeliane alla spianata delle moschee
Gerusalemme è stata teatro dell’ennesimo scontro tra palestinesi e forze di polizia israeliane: nello specifico, le violenze si sono consumate dopo l’ingresso delle autorità israeliane nel complesso della moschea di al Aqsa. Il bilancio è di più di 150 persone ferite: sarebbe potuto essere più alto visto che all’interno del luogo di culto erano presenti molti fedeli, riuniti per la preghiera. I video diffusi da chi era presente mostrano palestinesi intenti a lanciare sassi e la polizia che spara gas lacrimogeni e granate. In altre immagini si vedono fedeli barricati nella moschea, in attesa dei soccorsi che, secondo alcune associazioni umanitarie, sono stati ostacolati proprio dalle autorità israeliane. La polizia ha giustificato il suo assalto parlando di un atto necessario per “disperdere una folla violenta rimasta nella moschea alla fine delle preghiere mattutine”.
Soldati israeliani dentro la Moschea di #AlAqsa, non sono entrati per pregare ma bensì per aggredire i fedeli palestinesi nel loro luogo sacro durante il #Ramadan
Per queste aggressioni non ne parla nessuno? #Gerusalemme #Palestina— MaurizioDomenico loi (@loidomemau) April 15, 2022
La moschea di al Aqsa è considerata la più importante di Gerusalemme, terza solo a Medina e la Mecca. Il Corano dice che dal suo perimetro partì il “viaggio notturno” di Maometto, cioè quel miracoloso tragitto attraverso cui il profeta, attraversando l’aldilà, riuscì ad incontrare Allah, ricevendo da lui tutti gli insegnamenti sul testo sacro.
Questa striscia di terra è spesso luogo di scontro e rivendicazioni anche per un altro motivo. Poco distante dalla moschea di al Aqsa, si trova anche il Muro del Pianto, cioè quello che gli ebrei reputano l’unico resto del Tempio di Salomone (che era stato distrutto dai Romani nell’assalto a Gerusalemme del 70 d.C.). Poco più in là c’è anche la Basilica del Santo Sepolcro, luogo di culto cristiano (dove cioè si pensa che Gesù Cristo sia stato seppellito prima di risorgere).
Sarebbero almeno centocinquanta i feriti nei violenti scontri che ci sono stati tra manifestanti palestinesi e polizia israeliana sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme pic.twitter.com/DH6ncfudF7
— Tg3 (@Tg3web) April 15, 2022
C’è il timore che nei prossimi giorni possano susseguirsi ulteriori attacchi di questo tipo, soprattutto perché quest’anno, dopo dieci anni, le festività religiose di tre diversi culti, si sono sovrapposte: Pasqua cristiana, Pasqua ebraica e Ramadan.
Oltre a questa coincidenza, nelle scorse settimane si erano già susseguiti alcuni episodi di terrorismo compiuti dai palestinesi ai danni di Israele (almeno due sono stati però portati a termine da persone di origine palestinese ma con la cittadinanza israeliana). Ricordiamo, ad esempio, quello del 22 marzo a Be’er Sheva, a sud del paese, dove un uomo ha ferito a morte con un coltello un ciclista e tre clienti di un centro commerciale. Poi quello di Hadera, avvenuto cinque giorni: due uomini hanno esploso diversi colpi contro due poliziotti israeliani, ammazzandoli. Gli attentati hanno costituito un ottimo pretesto per mettere in atto una dura repressione nei confronti del popolo palestinese, anche se l’impressione è che le forze israeliane stiano “colpendo nel mucchio”, più che avere un’idea precisa della provenienza degli attentati.
Il Governo del primo ministro israeliano Naftali Bennett ha infatti consigliato alle persone in possesso di armi proprie, di muoversi armate. Gli attacchi potrebbero non essere avvenuti per caso. In quei giorni, infatti, si celebrava per la Palestina una data importante: il Giorno della Terra, in memoria delle proteste di massa del 1976 contro una legge israeliana sulle espropriazioni di terreni agricoli in Cisgiordania.
Qui, in funzione preventiva, Bennett ha aumentato il numero di militari, di fatto presenti su un territorio che Israele occupa illegalmente dal 1967. “Frammentazione territoriale, segregazione e controllo, espropriazione dei terreni e delle proprietà dei palestinesi e negazione dei diritti economici e sociali”: è così che Amnesty ha scritto in merito alla condizione a cui la Palestina è sottoposta da Israele. Di fatto, come riporta l’ente, “un’apartheid”. Ricordiamo inoltre che la Corte penale internazionale (CPI) ha aperto un’indagine sui crimini di guerra commessi da Israele nella Palestina occupata.
Una situazione che, visto il periodo storico in corso, in cui l’attenzione mediatica e dei governi del mondo è rivolta altrove, potrebbe di proposito aggravarsi ulteriormente.
[di Gloria Ferrari]
Domenica 17 aprile
9.00 – Scaduto l’ultimatum a Mariupol, Zelensky vieta alle forze ucraine accerchiate di arrendersi.
11.00 – Nessun cessate il fuoco tra Russia e Ucraina, sospesi i corridoi umanitari.
12.00 – Dall’UE accuse di appropriazione indebita per Le Pen a una settimana dal ballottaggio contro Macron.
13.00 – Parigi, la polizia circonda l’università Sorbona occupata: scontri e barricate nelle strade.
15.20 – Assedio di Mariupol, Mosca avvisa: saranno eliminati tutti i soldati che non si arrendono.
16.00 – Nuove esercitazioni NATO in Norvegia, secondo Mosca non fanno altro che aumentare rischi.
17.30 – Zelensky: «non cederemo mai il Donbass», si tratta di una delle richieste inderogabili per la pace.
18.30 – Tunisia: iniziate le operazioni per la messa in sicurezza della petroliera affondata ieri.
Svezia: disordini per le azioni islamofobe dell’estrema destra
In Svezia si sono registrate tre notti di scontri in seguito alle annunciate manifestazioni anti-islamiche del partito di estrema destra Hard Line, il cui leader Rasmus Paludan aveva annunciato di voler bruciare copie del Corano durante i raduni previsti in diverse città. Si sono registrati così diversi disordini fra la polizia e i contromanifestanti, soprattutto alla periferia di Stoccolma ma anche a Linköping, Norrköping e Malmö. I portavoci di Iran e Iraq hanno protestato nei confronti delle istituzioni svedesi, affermando che la vicenda potrebbe avere serie ripercussioni sulle relazioni tra il Paese scandinavo e le comunità musulmane in generale. Nel frattempo, Magdalena Andersson, primo ministro svedese, ha dichiarato: «In Svezia è permesso esprimere le proprie opinioni, anche quelle di cattivo gusto, ed è parte della nostra democrazia».
Zelensky: “non cederemo il Donbass”. Nel frattempo continuano gli scontri
Il presidente ucraino Voldymyr Zelensky in un’intervista alla CNN ha ribadito che Kiev «non cederà il Donbass perché farlo potrebbe condizionare il corso della guerra». Le dichiarazioni arrivano a qualche ora dalla notizia di un attacco russo che ha distrutto una fabbrica di munizioni a Brovary e di un raid sul centro di Kharkiv, che ha provocato la morte di diverse persone. Nel frattempo, a Kiev si registrano nuove esplosioni e a Mariupol è scaduto l’ultimatum sulla resa dei soldati barricati nell’acciaieria della città.
Raid pakistano provoca 45 morti in Afghanistan: cresce la tensione tra i due Paesi
Il 16 aprile due attacchi missilistici hanno provocato in Afghanistan almeno 45 vittime, tra cui diversi bambini. Il portavoce del governo talebano, Zabihullah Mujahid, ha affermato che: «L’Emirato islamico dell’Afghanistan condanna nei termini più forti possibili i bombardamenti e gli attacchi provenienti dal Pakistan». Si tratta di «una crudeltà che sta aprendo la strada all’inimicizia tra i due Paesi». Secondo le prime ricostruzioni, gli attacchi sarebbero avvenuti in rappresaglia per l’uccisione di sette soldati pakistani caduti in un’imboscata nella regione del Nord Waziristan, lungo il confine con l’Afghanistan. Nelle ore successive ai bombardamenti, centinaia di civili di Khost, una delle province afghane colpite (l’altra è Kunar), si sono riversati nelle strade al grido di slogan anti-Pakistan.

Le tensioni tra i due Paesi si sono inasprite da quando i talebani hanno preso il potere in Afghanistan nell’agosto scorso. Da quel momento, il governo di Islamabad sostiene che Kabul stia ospitando gruppi militari accusati di incursioni sul suolo pakistano. I talebani negano, canalizzando invece la tensione sulla costruzione di una recinzione che il Pakistan sta erigendo lungo il loro confine (2.700 chilometri), noto come linea Durand. Nei suoi pressi, si è verificata giovedì scorso l’imboscata ai danni di un convoglio militare pakistano, che ha portato, secondo una dichiarazione del governo, il numero di soldati uccisi al confine dall’inizio dell’anno a 128. Nella nota si legge che “l’esercito pakistano è determinato a eliminare la minaccia del terrorismo e i sacrifici dei soldati non fanno altro che rafforzare ulteriormente questa determinazione”. Rendendo omaggio ai militari uccisi, il nuovo primo ministro pakistano Shehbaz Sharif ha detto che Islamabad «continuerà a combattere il terrorismo», alimentando dunque le tensioni con l’Afghanistan. Si tratta di un atteggiamento completamente diverso da quello adottato nei confronti dell’India circa la “soluzione pacifica da trovare sulla disputa del Kashmir“, una regione rivendicata da entrambi i Paesi.

Le tensioni tra Afghanistan e Pakistan hanno radici ben più profonde e risalgono al processo di ridefinizione dei confini attuato dall’impero britannico, a cui i due territori hanno fatto capo fino al XX secolo. La frontiera attuale, la linea Durand del 1893, ha infatti frammentato il mondo pashtun, un gruppo etnico-linguistico che si è ritrovato ad abitare tra l’Afghanistan orientale (e meridionale) e il Pakistan occidentale. Questa frammentazione ha, sin da subito, trovato l’opposizione dell’Afghanistan che, dopo aver riconosciuto il confine nel 1919 (come prezzo dell’indipendenza dall’impero britannico), cambiò posizione nel 1947, in seguito alla dissoluzione del dominio britannico in India e alla nascita del Pakistan. In quell’anno, Kabul disconobbe la linea Durand quale confine internazionale, esprimendo il proprio dissenso nei confronti del nuovo “vicino” attraverso il voto contrario al suo riconoscimento presso le Nazioni Unite. Al 1949 risale la dichiarazione di indipendenza delle tribù pashtun residenti in Pakistan, sostenuta da Kabul: l’obiettivo era ottenere la rinegoziazione del confine per spostarlo verso est, nei pressi del fiume Indo. Così nel 1952 il governo afghano pubblicò un documento in cui rivendicava non solo il territorio pashtun all’interno del Pakistan, ma anche la provincia del Belucistan. Qualche anno dopo arrivò la risposta da parte di Islamabad, il cui esecutivo decise di affrontare la questione irredentista attraverso tre elementi-chiave:
- La presenza dei Pashtun in settori cruciali come la burocrazia e l’esercito, aumentando così la loro proporzione rispetto agli altri gruppi etnici.
- Una politica di favore verso i Pashtun nella concessione delle licenze relative alle attività economiche.
- L’incorporazione della questione etnica nella politica dell’islamizzazione.
Dagli anni ’60 e ’70 l’identità islamica è diventata così la principale strategia del Pakistan per ridurre al minimo l’irredentismo pashtun. Durante e dopo gli anni della guerriglia anti-sovietica in Afghanistan (1979-1989), Islamabad proiettò la propria forza all’esterno, supportando le correnti più radicali del fronte islamista presenti nello Stato confinante. In questo modo ha contribuito alla radicalizzazione della scena religiosa del Paese e all’affermazione dei talebani, formatisi proprio nelle scuole coraniche pakistane (oltre a quelle afghane). L’obiettivo era la creazione di un potere stabile a Kabul. Tuttavia, tra le parti non si trovò nessun accordo. Da quel momento le relazioni fra i due Paesi viaggiano ai minimi storici, tra il risentimento reciproco fra le due popolazioni e le accuse rimbalzate da un esecutivo all’altro sul problema del terrorismo.
[Di Salvatore Toscano]







