martedì 2 Dicembre 2025
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Family Act: ok definitivo al Senato, è legge

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Con 193 voti favorevoli, 10 contrari e 15 astenuti, il Senato ha approvato definitivamente il cosiddetto “Family Act”, ovverosia il disegno di legge contenente deleghe al Governo per il sostegno e la valorizzazione della famiglia. Il provvedimento, approvato dalla Camera il 18 novembre scorso, diventa così legge. Si tratta, nello specifico, di un pacchetto di misure pensate per sostenere le famiglie con figli che hanno, tra l’altro, lo scopo di promuovere la genitorialità e la funzione sociale ed educativa delle famiglie, di contrastare la denatalità e di promuovere l’autonomia dei giovani.

Riciclo, una volta tanto l’Italia è la nazione più virtuosa in Europa

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L’Italia è la nazione europea più virtuosa in materia di riciclo e di riutilizzo delle materie prime riciclate all’interno dell’Unione Europea. Secondo i dati raccolti dal CEN (Circular Economy Network), si posiziona al primo posto per gli indicatori più importanti dell’economia circolare, assieme alla Francia. Nel complesso, la percentuale italiana di riciclo ha raggiunto quasi il 68%. Per quanto riguarda i rifiuti urbani, nel 2020 nell’UE ne sono stati riciclati mediamente il 47,8%, in Italia il 54,4%. Tra i cinque principali paesi dell’UE che sono state oggetto di analisi – Italia, Germania, Polonia, Spagna e Francia – il Belpaese si pone in testa anche per la quantità di riciclo dei rifiuti speciali (quelli provenienti da industrie e aziende): circa il 75%.

Nel 2020, in Europa nella media sono state consumate circa 13 tonnellate di materiali per abitante e, tra le cinque maggiori economie al centro dell’analisi, le differenze sono rilevanti: 7,4 tonnellate per abitante nel nostro paese, 17,5 in Polonia, 13,4 tonnellate in Germania, 8,1 in Francia e 10,3 in Spagna. Per nessuno di questi paesi è stato riscontrato un incremento della produttività delle risorse nel 2020 e in Italia la riduzione del consumo durante il periodo di lockdown è stata maggiore, con dati del 36% più bassi rispetto a quelli pre-pandemici. Sempre facendo riferimento allo stesso anno, il tasso italiano di utilizzo di materia proveniente dal riciclo ha raggiunto il 21,6%. Una percentuale quasi due volte maggiore della media europea (12,8%), seconda solamente a quella della Francia (22,2%) e più alta a quella della Germania (13,4%). Questo dato, tuttavia, ha il rovescio della medaglia, in quanto nel nostro paese il 20% dei rifiuti finisce ancora in discarica, dato rilevante se confrontato con Germania (0,7%), Paesi Bassi (1,4%) e Belgio (1,1%).

Ci sono quindi anche alcuni settori in cui l’Italia non brilla, tra cui quello dell’ecoinnovazione. Nel 2021, dal punto di vista degli investimenti in questo senso, il paese appare al 13° posto nell’UE con un indice di 79 (la Germania è a 154). Altro settore in cui ci sono difficoltà è la riparazione dei beni. Nel 2019 è stato stimato che 23mila aziende lavoravano alla riparazione di beni elettronici e di altri beni personali (vestiario, calzature, orologi, gioielli, mobili, ecc.). In Francia, ad esempio, le aziende erano quasi 34mila, e in Spagna circa 28mila. In questo settore l’Italia ha perso quasi 5mila aziende (circa il 20%) rispetto al 2010.

[di Eugenia Greco]

Cottura dei cibi: quali metodi fanno bene o male? Alcuni miti sono da sfatare

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Nell’articolo precedente sul cibo crudo e quello cotto abbiamo sottolineato già come qualsiasi cottura a temperature superiori a 42 gradi distrugga gli enzimi naturalmente presenti nel cibo fresco. In quel caso sarà il nostro organismo a dover produrre gli enzimi necessari per la digestione del cibo, un lavoro che consuma risorse del nostro corpo. Cuocere i cibi d’altro canto ha dei vantaggi: offre la possibilità di scaldare il corpo nei mesi freddi dell’anno mangiando cibi caldi, aumenta la digeribilità delle proteine, degli amidi presenti nei cereali e delle fibre nei vegetali. Infine favori...

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Miracolo: l’Ex Ilva non è più pericolosa, almeno secondo i suoi legali

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La struttura commissariale dell’Ex Ilva ha presentato alla Corte d’assise di Taranto un’istanza di dissequestro degli impianti dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico pugliese. La richiesta, avvenuta in amministrazione straordinaria, verrà valutata dallo stesso organo giudiziario che nel giugno del 2021 inflisse, nell’ambito del processo “Ambiente Svenduto”, 26 condanne (tra dirigenti della fabbrica, manager e politici) per un totale di 270 anni di carcere. All’interno della sentenza venne poi disposta sia la confisca (per equivalente) di 2,1 miliardi di euro nei confronti di Ilva Spa, Riva fire e Riva forni elettrici sia la confisca degli impianti dell’area a caldo, in continuità con la decisione del gip Patrizia Todisco di porre sotto sequestro la struttura nel 2012. Secondo i legali dell’Ex Ilva, nel corso degli anni successivi al sequestro diversi interventi strutturali avrebbero “significativamente modificato l’assetto impiantistico operativo”, eliminando quidi i “rischi per la collettività e per l’ambiente” che ora non sarebbero più presenti “neppure allo stadio potenziale”.

Già nei primi anni 2000 la nuova normativa comunitaria, ispirata a una logica di “sviluppo sostenibile”, e la crescente sensibilità dell’opinione pubblica in tema ambientale misero in luce il problema della nocività delle emissioni di diossina e benzo(a)pirene in atmosfera da parte degli stabilimenti di Genova e Taranto. Il primo venne chiuso nel 2005 e il secondo posto sotto sequestro nel 2012, salvo poi essere riaperto all’inizio dell’anno successivo, nonostante le Direttive europee indicassero tutt’altra direzione. Dopo la riapertura degli stabilimenti, si registrarono nuove denunce da parte di cittadini e ONG, a causa delle esalazioni inquinanti provenienti dall’acciaieria. A quegli anni risale una perizia che mise in luce l’influenza delle emissioni industriali sulla salute degli abitanti di Taranto, attribuendo all’inquinamento proveniente dagli stabilimenti dell’Ex Ilva la causa di 30 decessi, 18 casi di tumore maligno, 19 eventi coronarici e 74 ricoveri ospedalieri per malattie respiratorie (in gran parte bambini) ogni anno. Tutti eventi che avrebbero potuto avere esito differente, se solo le istituzioni fossero intervenute all’interno di un territorio che già a partire dagli anni ’70 mostrò inevitabili segni di insofferenza, dovuta all’incompatibilità fra tessuto urbano e un polo industriale di elevate dimensioni come quello dell’Ex Ilva. D’altronde, il finanziamento di 400 milioni di euro da parte della Banca europea per gli investimenti (BEI) alle aziende coinvolte nella gestione degli impianti lasciò intendere già nel 2012 come la priorità fosse “la competitività internazionale e l’occupazione” piuttosto che la salute pubblica.

Il 26 settembre 2013 la Commissione europea inviò all’Italia un avviso di messa in mora, invitandola ad adeguarsi alla nuova Direttiva 2010/75/UE (Direttiva IED) sulle emissioni industriali e i grandi impianti di combustioni. Le prove di laboratorio, eseguite per conto della Commissione europea, evidenziarono un forte inquinamento dell’aria, delle acque e del terreno di Taranto riguardante sia l’area industriale dell’acciaieria sia le zone abitative adiacenti (in particolare il quartiere di Tamburi). Oltre alla mancata trasposizione della Direttiva IED nei termini prescritti, la Commissione europea rilevò anche l’assenza di controlli e di interventi delle autorità italiane sul corretto funzionamento dell’impianto Ilva. Ciò spinse l’organo sovranazionale nel 2014 a inviare al Governo italiano un parere motivato, strumento volto a far allineare gli Stati membri alla legge comunitaria, con il quale segnalò diverse infrazioni: mancata riduzione dei livelli di emissione generati dai processi di produzione dell’acciaio, insufficiente monitoraggio del suolo e delle acque reflue, inosservanza delle condizioni stabilite per le AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) dalla Direttiva IED. Nel frattempo, il 15 maggio 2017, fu avviato il procedimento innanzi alla Corte d’assise di Taranto per disastro ambientale, avvelenamento da sostanze chimiche e associazione a delinquere, noto come “Ambiente svenduto”.

Contemporaneamente, cittadini e associazioni tarantine si rivolsero alla Corte Europea dei diritti umani (Corte di Strasburgo) accusando i vertici dell’Ilva di crimine contro l’umanità. Cinque anni dopo, alla notizia della richiesta di dissequestro degli impianti, abitanti e organizzazioni di Taranto hanno manifestato la loro incredulità. Il comitato “Cittadini e lavoratori liberi e pensanti” ha scritto sui propri profili che “solo pensare queste cose è pura follia ma metterle nero su bianco in una richiesta di dissequestro è un’azione criminale perché significa negare l’evidenza dei continui “incidenti” che in questi anni si sono verificati”.

[Di Salvatore Toscano]

Twitter annuncia stretta sugli account ufficiali russi

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Nelle scorse ore Twitter ha annunciato l’introduzione di misure che limiteranno “l’impatto della propaganda ufficiale russa sull’Ucraina” all’interno della piattaforma. In questo modo, gli account ufficiali russi non verranno più “raccomandati” agli utenti del social network su tutte le categorie disponibili sull’app, inclusa la ricerca. La misura si inserisce nella serie di sanzioni nei confronti di Mosca, seguendo la messa al bando dei media RT e Sputnik, accusati di essere “fabbriche di fake news” al soldo del governo russo.

Usa, aiuti all’Ucraina: sbloccati altri 100 milioni di dollari

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Gli Stati Uniti sbloccheranno altri 100 milioni di dollari per aiutare l’Ucraina a rispondere all’invasione russa. Lo ha affermato la scorsa notte, con un tweet da Bruxelles, il segretario di Stato Usa Antony Blinken. Per venire incontro all’urgente bisogno dell’Ucraina, gli Stati Uniti gireranno sistemi anti-corazzati, ma è prevista anche la fornitura di altre armi.

La decisione, avvenuta nelle scorse ore, rappresenta la prima risposta di Washington dopo la condanna dei fatti di Bucha.

Nelle acque reflue di Milano c’è sempre più cocaina

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Tra il 2020 ed il 2021 la quantità di benzoilecgonina, ovverosia il principale metabolita della cocaina, rilevata all’interno delle acque reflue di Milano è aumentata rispetto a quella rintracciata negli anni precedenti: è quanto emerso da un recente rapporto della rete di ricerca Score e dell’Emcdda – l’Osservatorio europeo sulle droghe – con cui sono stati analizzati i dati relativi alla presenza di alcune sostanze stupefacenti nelle acque reflue di circa 80 città europee. Nello specifico, per quanto riguarda il 2021, nel report si legge che la quantità media giornaliera di benzoilecgonina per 1.000 abitanti a Milano è stata di 385,29 milligrammi, mentre nel 2020 essa è stata di 401,44 milligrammi. Numeri, questi ultimi, di gran lunga superiori a quelli registrati nel 2019, anno in cui sono stati rilevati 236,55 milligrammi ogni 1.000 abitanti negli scarichi della città.

Ciò, dunque, porta naturalmente a pensare che la pandemia possa aver influito su tale crescita. Tuttavia, volendo contestualizzare in maniera migliore i dati, bisogna tenere conto del fatto che una crescita dei numeri vi sia in realtà dal 2016: si ha infatti a che fare con un vero e proprio decennio diviso in due, in quanto dal 2011 al 2015 c’è stato un calo del metabolita intercettato nelle acque reflue mentre dal 2016 in poi – con la sola eccezione del 2019 – i numeri sono stati nettamente superiori. Va allo stesso tempo precisato, però, che il picco lo si è avuto proprio proprio nel 2020 – ossia l’anno pandemico per eccellenza – durante il quale i numeri sono praticamente raddoppiati rispetto a quelli del 2015, anno in cui sono stati registrati 206,12 milligrammi di benzoilecgonina per 1.000 abitanti.

Non si può dunque non ipotizzare che l’emergenza sanitaria abbia contribuito al raggiungimento di tale picco, anche se si tratta semplicemente di una mera ipotesi. È infatti alquanto difficile, o meglio praticamente impossibile, stabilire se la pandemia abbia prodotto un cambiamento negli stili di consumo, non essendovi nemmeno la certezza del fatto che i numeri riportati siano sinonimo di un esponenziale aumento del consumo: i dati potrebbero essere stati determinati, ad esempio, da un aumento della purezza della sostanza. Essendo essa nelle mani della criminalità organizzata, infatti, non è possibile sapere se tale aumento sia dovuto o meno ad una differente composizione della cocaina che – giova ricordarlo – d’altro canto potrebbe anche essere stata tagliata in maniera differente rendendola potenzialmente più nociva e dunque più pericolosa per la salute pubblica. Non è un caso, quindi, se all’intero del rapporto si legge che “l’analisi delle acque reflue offre un’interessante fonte di dati complementari per monitorare le quantità di droghe illecite utilizzate a livello di popolazione, ma non può fornire informazioni su prevalenza e frequenza di consumo, principali classi di consumatori e purezza delle droghe”.

Ad ogni modo, ad essere certo è il fatto che dal 2016 la cocaina sia stata rintracciata in maniera maggiore non solo a Milano ma anche in gran parte delle altre città oggetto dell’analisi. “Un quadro relativamente stabile del consumo di cocaina è stato osservato tra il 2011 e il 2015 nella maggior parte delle città, ma nel 2016 ci sono stati i primi segnali di cambiamento di questo modello con aumenti osservati nella maggior parte delle città ogni anno da allora”, si legge infatti nel rapporto, che infine pone la lente di ingrandimento sulle città europee in cui si ritiene che il consumo sia più elevato. “I carichi di benzoilecgonina osservati nelle acque reflue indicano che il consumo di cocaina rimanga più elevato nelle città dell’Europa occidentale e meridionale, in particolare in quelle del Belgio, dei Paesi Bassi e della Spagna” concludono in tal senso gli autori del rapporto, aggiungendo che “livelli bassi sono stati riscontrati nella maggior parte delle città dell’Europa orientale, anche se i dati più recenti mostrano alcuni segnali di aumento”.

[di Raffaele De Luca]

Martedì 5 aprile

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6.50 – La Russia avrebbe bombardato un ospedale pediatrico a Mikolaiv, uccidendo 11 civili tra cui un bambino: l’accusa proviene dalle autorità ucraine.

8.00 – Ex Ilva, i commissari chiedono il dissequestro degli impianti: «sono ormai sicuri per salute e ambiente».

9.00 – L’Unione Europea annuncia nuove sanzioni da 10 miliardi di euro contro la Russia.

11.00 – L’Italia espelle 30 diplomatici russi accusati di far parte dei servizi segreti. Mosca accusa: «misura miope che avrà conseguenze».

13.30 – Proteste a Torino durante la visita del premier Mario Draghi, scontri e cariche della polizia.

14.00 – Elon Musk entra nel consiglio di amministrazione di Twitter.

15.40 – La Russia annuncia il probabile stop alle esportazioni alimentari verso i “paesi ostili”.

16.00 – Zelensky interviene all’ONU chiedendo una “nuova Norimberga” contro la Russia e la sua esclusione dal Consiglio di Sicurezza.

19.00 – Stoltenberg (segretario NATO): «Gli alleati sono determinati ad aumentare il sostegno militare all’Ucraina».

20.30 – Ministro degli Esteri russo, Lavrov: «Fake news su atrocità russe sono diffuse ad arte per far deragliare i colloqui di pace».

 

Africa, Croce Rossa: crisi sicurezza alimentare colpisce una persona su quattro

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“Circa 346 milioni di persone –  più di un quarto della popolazione africana – stanno affrontando una crisi relativa alla sicurezza alimentare che costringe milioni di famiglie a saltare i pasti ogni giorno”: è quanto ha fatto sapere, nella giornata di oggi, il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr). “La crisi alimentare è presente in tutto il continente, dalla Mauritania e dal Burkina Faso ad ovest fino alla Somalia e all’Etiopia ad est”, ha precisato il Cicr, aggiungendo che “diversi fattori” – tra cui conflitti armati, cambiamenti climatici ed aumento dei prezzi di cibo e carburante – abbiano contribuito a creare tale situazione.

Il Regno Unito sperimenterà la settimana lavorativa di 4 giorni al 100% di stipendio

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È stato annunciato un nuovo programma per i lavoratori nel Regno Unito, che prevede la possibilità di lavorare per quattro giorni alla settimana, senza variazioni retributive. Tremila lavoratori appartenenti alle aziende che prendono parte alla sperimentazione seguiranno per sei mesi il nuovo modello lavorativo denominato 100:80:100. Ciò significa che i lavoratori riceveranno il 100% della retribuzione, lavorando l’80% del tempo precedentemente impiegato (in linea di massima 32 ore anziché 40), ma dovranno puntare a mantenere al 100% il livello di produttività. Un modo per sperimentare dove porti la riduzione dell’orario di lavoro sia dal punto di vista della produttività delle imprese che del benessere dei loro lavoratori.

Nello specifico nel Regno Unito a partire da giugno di quest’anno fino a gennaio 2023, circa sessanta tra aziende e organizzazioni britanniche sperimenteranno il più grande periodo di prova settimanale di quattro giorni. A vivere la nuova realtà della settimana lavorativa breve saranno circa 3.000 dipendenti e anche nel Regno Unito sarà possibile testare se e quanto la produttività aumenti. Il programma è gestito dai ricercatori delle università di Cambridge e Oxford e del Boston College e da gruppi di difesa senza scopo di lucro quali 4 Day Week Global, la campagna 4 Day Week UK e il think tank britannico Autonomy.

Puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità negli ambienti lavorativi si sta infatti trasformando in un’importante consapevolezza e da qualche anno diversi Paesi stanno testando simili novità. Come Microsoft Japan che nel 2019 ha ridotto la settimana lavorativa a quattro giorni, vivendo un aumento della produttività del 40%. Non solo, ma la mossa dell’azienda portato anche benefici ambientali, con il consumo di elettricità diminuito del 23%. Anche la carta per stampato è stata utilizzata molto meno del solito, con una differenza del 59%.

Anche Belgio, Islanda, Spagna e Scozia hanno o stanno alleggerendo l’intensità tempistica delle occupazioni, anche per un miglioramento sull’equilibrio tra lavoro e vita privata. A Reykiavik per esempio, capitale islandese, è andato in porto un progetto simile a quello inglese. Più di 2.500 persone hanno potuto vivere quel che è stato reputato un “successo schiacciante”: meno stress, una riduzione del rischio di esaurimento e alcun effetto negativo sulla produttività o sui servizi. Era il 2015/2016 e il four-week trial ha portato a cambiamenti sostanziali nel paese.

La differenza nel Regno Unito rispetto ad altre sperimentazioni è che non ci sarà un giorno libero in più con ore più intense durante i giorni di effettivo lavoro; nel caso inglese le ore saranno a tutti gli effetti minori e lo stipendio sarà mantenuto lo stesso. Un’idea che arriva dopo un periodo molto difficile, con la pandemia da Covid-19. Un momento storico tanto intenso ha fatto cambiare prospettiva e punto di vista a molti, sempre più vogliosi di aumentare la qualità della propria vita, avendo sperimentato cosa voglia dire non poterla vivere “liberamente”.

[di Francesca Naima]