Sono quasi 3 milioni (2.952.026) le persone che dal 24 febbraio, inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, al 14 marzo hanno lasciato il Paese. A comunicarlo è l’ONU, attraverso la pubblicazione dei dati sul sito dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). I numeri indicano che oltre la metà delle persone fuggite dall’Ucraina sono arrivate in Polonia (1,8 milioni di rifugiati). Circa 420.000 profughi sono giunti invece in Romania e quasi 340.000 in Moldavia.
Negli Usa è al via il rilascio di due miliardi di zanzare OGM in natura
Lunedì scorso, l’Ente statunitense per la protezione ambientale (EPA) ha ufficialmente concesso a Oxitec, una società biotecnologia con sede nel Regno Unito, il via libera per il rilascio di oltre due miliardi di zanzare geneticamente modificate. La misura riguarda gli stati di Florida e California. Si prevede che nei prossimi due anni in Florida voleranno libere 400 milioni di esemplari, mentre per la California si prevede il rilascio di ben due miliardi di zanzare. Si tratterà della più grande immissione di zanzare geneticamente modificate mai verificatosi. Lo scopo è quello di contrastare la proliferazione della Aedes aegypti, la cosiddetta zanzara della febbre gialla, introducendo una specie geneticamente modificata che una volta riprodottasi con quelle presenti in natura darà vita a prole incapace di riprodursi.
In California da quando la zanzara Aedes aegypti è arrivata nel 2013, si è diffusa in più di 20 contee dello Stato, aumentando il rischio di trasmissione all’uomo di virus e malattie. Piuttosto di adottare soluzioni “killer“, dove si ipotizza di eliminare del tutto l’insetto dal Pianeta, l’inserimento di zanzare OGM viene considerato una soluzione migliore rispetto ai rischi ambientali e per la salute derivanti dalla soluzione alternativa: lo sterminio gli esemplari esistenti con uso di sostanze chimiche. Se eliminare del tutto una specie vivente non dovrebbe rappresentare una scusa plausibile, prendere le zanzare che non pungono (quindi i maschi) della specie Aedes aegypti e riprogettarne il patrimonio genetico è considerata la via migliore. È ciò che ha fatto Oxitec, prendendo gli esemplari maschi per farli diventare portatori della proteina tTAV-OX5034: una volta che gli esemplari geneticamente modificati saranno reintrodotti in natura, con il loro accoppiarsi trasmetteranno alle femmine di zanzare selvatiche la proteina, letale per le discendenti. Quindi, gli esemplari femmine che nasceranno da rapporti simili non avranno modo di sopravvivere a lungo, morendo prima di raggiungere la maturità.
Di conseguenza, il numero di zanzare sarà ridotto in maniera molto significativa senza tra l’altro causare danni ad altre specie. O almeno questo è quanto assicura la società biotecnologica. Oxitec ha precisato quanta attenzione sia stata posta per la riuscita del progetto, vista anche l’esistenza di una tecnologia di controllo che mira dritta all’obiettivo, senza danneggiare insetti invece benefici. Le rassicurazioni di Oxitec sono innanzitutto dirette a rassicurare la popolazione locale, nella quale si è diffuso un certo malcontento per l’operazione. A fomentare la diffidenza anche il fatto che, nel recente passato, un simile esperimento messo in atto in Brasile non è andato come previsto, visto che tante zanzare femmina sono sopravvissute addirittura aggravando la situazione nell’area interessata. Non mancano poi associazioni che giudicano l’esperimento da evitare a priori: è la posizione dell’International Center for Technology Assessment e Center for Food Safety, che sostiene che in California non c’è un vero problema con gli insetti presi in esame, almeno non come in altre parti del mondo. Di base, è il ragionamento, la California non registra casi di febbre gialla, Zika, chikungunaya o dengue, quindi mettere in atto la sperimentazione della Oxitec potrebbe essere non solo inutile, ma pericoloso.
[di Francesca Naima]
Ucraina: quarto pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia
Il Consiglio dell’Unione europea ha deciso oggi di imporre un quarto pacchetto di sanzioni nei confronti della Russia, in virtù della sua aggressione militare contro l’Ucraina. Nello specifico, tra l’altro, sono state vietate tutte le transazioni con alcune imprese statali ed i nuovi investimenti nel settore energetico russo. Inoltre, è stato deciso di stabilire restrizioni all’esportazione di apparecchiature, tecnologie e servizi destinati al settore energetico nonché al commercio del ferro, dell’acciaio e dei beni di lusso, e di introdurre il divieto di fornire servizi di rating ai clienti russi. «Le sanzioni mirano a convincere il presidente Putin a porre fine a questa guerra disumana e insensata», ha affermato a tal proposito Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.
Norvegia: 30.000 soldati NATO rinnovano l’esercitazione alla guerra tra i ghiacci
Ieri 14 marzo è iniziata in Norvegia Cold Response 2022, un’esercitazione della NATO organizzata con cadenza biennale nel Paese scandinavo. Fino al primo aprile, circa 30.000 soldati provenienti da 27 Paesi dell’Europa e del nord America prenderanno parte all’addestramento, accompagnati da 200 aerei e 50 navi. L’obiettivo è verificare e implementare le abilità delle forze NATO, testando la loro “capacità di lavorare insieme anche in ambienti particolarmente freddi”, dove “il minimo errore può risultare fatale”.

La nascita del progetto, risalente al 2006, quando parteciparono alla prima esercitazione 11 Paesi con una forza di circa 10.000 soldati. Con il passare del tempo le cifre sono cambiate, arrivando all’edizione del 2020, dove più di 15.000 truppe presero parte alle operazioni in Norvegia, così come riporta il Dipartimento della Difesa statunitense. Cold Response 2022 conterà, invece, sulla presenza di 27 Paesi e circa 30.000 soldati. Una edizione da “record” quindi, che non potrà far altro che surriscaldare ulteriormente la temperatura nei rapporti con la Russia, confinante in un breve tratto a nord proprio con la Norvegia.
Al 2011 risale il Documento di Vienna, un tentativo volto a rafforzare la fiducia e la trasparenza fra i 57 membri dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). Tra le diverse misure, è stata introdotta la possibilità per i membri dell’Organizzazione non facenti parte della NATO (tra cui la Russia) di partecipare, in qualità di osservatori, alle sue esercitazioni. Mosca ha rinnovato il rifiuto opposto alla partecipazione negli ultimi anni, ribadendo la propria contrarietà nei confronti degli addestramenti NATO, e in particolare per Cold Response, giudicata troppo vicina ai propri confini. Negli ultimi anni le esercitazioni NATO vicine ai confini russi si stanno moltiplicando. Ad esempio, tra aprile e maggio del 2020 è avvenuta l’esercitazione DEFENDER-Europe 20, definita dalla stessa NATO come il “più grande dispiegamento di forze militari americane in Europa degli ultimi 25 anni, con 20.000 soldati statunitensi“, arrivati sul suolo europeo, in particolare a nord e a Oriente, come in Lettonia e Polonia. A questa si aggiungono altre esercitazioni avvenute nel 2021 a ridosso dei confini russi, come nel caso dell’addestramento Sea Breeze che ha visto nel Mar Nero la presenza di 32 navi da guerra, 40 aerei e 5.000 soldati inviati da più di 30 Paesi fra Stati membri della NATO e partner dell’Alleanza.
[di Salvatore Toscano]
Taiwan: incursione di 13 caccia militari cinesi
Il ministero della Difesa di Taiwan ha denunciato l’incursione di 13 caccia cinesi nella zona di identificazione aerea dell’isola: quest’ultima, che costituirebbe la più grande iniziativa effettuata nell’ultimo mese dall’Esercito di liberazione popolare, sarebbe avvenuta ieri, ovverosia nel giorno in cui si è tenuto a Roma l’incontro tra il consigliere per la sicurezza nazionale Usa Jake Sullivan e il capo della diplomazia del partito comunista Yang Jiechi. In tal senso, appare probabile il fatto che il dossier Taiwan sia stato trattato da Sullivan e Yang, dato che la questione taiwanese rimane il nodo più difficile da sciogliere nei rapporti con gli Stati Uniti.
Energia, l’Italia sblocca la realizzazione di sei parchi eolici
Il Consiglio dei ministri ha recentemente sbloccato la realizzazione ed il potenziamento di sei parchi eolici localizzati in Puglia, Sardegna e Basilicata: a renderlo noto è stato proprio l’esecutivo, il quale tramite un comunicato stampa ha fatto sapere che questi ultimi assicureranno una potenza pari a 418 Megawatt. Nello specifico, si tratta di quattro nuovi progetti di impianti eolici dislocati in provincia di Foggia (nel Comune di Castelluccio dei Sauri, nei Comuni di Cerignola e Orta Nuova, nel Comune di Sant’Agata di Puglia e nel Comune di Troia) a cui si affianca il potenziamento del parco eolico “Nulvi Ploaghe” situato in provincia di Sassari nonché la proroga del parco eolico “Corona Prima” in provincia di Matera. Questi sei parchi eolici “si aggiungono ai due sbloccati lo scorso 18 febbraio, per una potenza di 65,5 Megawatt”, ha sottolineato il Consiglio dei ministri, il quale ha altresì precisato che “a partire dalla fine del 2021 sono stati sbloccati impianti di energia per una potenza totale di 1.407,3 Megawatt (1,407 Gigawatt) da fonti rinnovabili”.
All’Italia resta tuttavia della strada da fare, basta considerare che dovrebbe installare impianti di energie rinnovabili capaci di produrre complessivamente 80 Gigawatt entro il 2030 per essere in linea con gli obiettivi europei di decarbonizzazione, dunque circa 10 Gigawatt all’anno nei prossimi otto anni. Un obiettivo il cui raggiungimento a quanto pare non può essere dato per scontato, dato anche che – come rivelato da un rapporto curato da Elemens e Public Affairs Advisors nell’ambito dell’iniziativa volta ad approfondire l’evoluzione e le barriere delle fonti di energia rinnovabile nelle regioni italiane “R.E.gions 2030” – la maggior parte dei progetti eolici risulta ancora intrappolata negli uffici pubblici, in attesa dei necessari permessi.
È in tale contesto dunque che va collocato il via libera ai sei parchi eolici, che con ogni probabilità sono stati urgentemente sbloccati in virtù della attuale crisi energetica legata alla guerra in Ucraina. Come sottolineato dall’associazione ambientalista Legambiente, però, l’Italia potrebbe fare meglio, raccogliendo immediatamente la proposta lanciata da Elettricità Futura – la principale associazione delle imprese che operano nel settore elettrico italiano – di “autorizzare entro l’estate nuovi 60 Gigawatt di rinnovabili da realizzare nei prossimi 3 anni”. Ciò, infatti, permetterebbe di “ridurre i costi in bolletta del 30%” nonché di diminuire “il fabbisogno di gas russo al 7%”, una quantità per la quale sarebbe “facile trovare soluzioni alternative”.
L’invito dell’associazione ambientalista è inoltre quello di non agire così come è stato fatto negli ultimi anni, dato che le rinnovabili “dal 2013 hanno registrato un brusco rallentamento dovuto alla riduzione degli incentivi, portando le installazioni di eolico e solare a meno di 1 Gigawatt l’anno contro i 5,9 Gigawatt installati nel triennio 2010-2013″. Secondo Legambiente, infatti, “se in questi anni lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile (solare ed eolico) fosse andato avanti con lo stesso incremento annuale medio registrato in quel triennio, oggi l’Italia avrebbe potuto ridurre i consumi di gas metano di 20 miliardi di metri cubi l’anno, diminuendo le importazioni di gas dalla Russia del 70%”.
[di Raffaele De Luca]
Donetsk, Ucraina accusata di strage: un missile uccide almeno 20 civili russi
In mattinata un missile “Tochka-U” ha provocato nella popolazione civile russofona almeno 20 morti e diverse decine di feriti nel centro di Donetsk. Ad annunciarlo, accusando della strage l’esercito ucraino, sono stati i separatisti filo-russi della regione. Le immagini strazianti della strage stanno facendo il giro del web, ma la notizia spesso non ha trovato neppure una riga tra i principali media nostrani. Nel frattempo la guerra di propaganda che accompagna ogni guerra è partita e da Kiev si nega la paternità dell’attacco affermando che «si tratta inconfondibilmente di un razzo russo o di un’altra munizione». Da parte ucraina in pratica si accusano i russi di essersi bombardati da soli. Nessuna reazione neppure a livello politico con la deputata del Movimento 5 Stelle Carla Ruocco che è stata fra i pochi a commentare, attraverso un tweet, la notizia in Italia.
Tutti coloro che fomentano il conflitto tra #Russia e #Ucraina compiono un crimine contro l'umanità. La guerra è sempre sbagliata e il bombardamento delle truppe ucraine nella regione separatista del #Donetsk ne è la prova. pic.twitter.com/NumS8H7o0S
— Carla Ruocco (@carlaruocco1) March 14, 2022
Sappiamo come notizie del genere possano essere particolarmente delicate, vista l’impossibilità di verificarle con mano sul campo. Tuttavia l’avvenimento è verificato così come l’alto numero di vittime testimoniato anche dai reperti video dell’accaduto. Da annotare, tuttavia, la decisione presa dalla quasi totalità delle redazioni italiane di non dedicare spazio alla notizia, discostandosi dalla linea tenuta in occasione di attacchi mossi dai russi nei confronti della popolazione civile, ai quali è stato dedicato sempre ampio spazio nonché scarso uso di condizionali anche quando l’impossibilità di una verifica sul campo lo avrebbe reso deontologicamente necessario, incappando non di rado in vere e proprie fake news. Così facendo non emerge altro che un trattamento di disparità verso l’informazione e una classificazione discriminatoria verso le vittime. Le immagini dell’attacco sono dispobili a questo link (lo alleghiamo per dovere di cronaca, segnalando la crudezza delle stesse come avviso preventivo verso chi volesse guardarle).
Ucraina, Onu: da inizio invasione russa uccisi almeno 636 civili
Sono almeno 636 i civili che hanno perso la vita in Ucraina dall’inizio dell’invasione russa: ad renderlo noto è stato l’ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr), tramite una dichiarazione inviata all’emittente televisiva statunitense Cnn. Tra i morti – ha fatto sapere l’Ohchr – vi sono anche 16 adolescenti e 30 bambini, mentre al momento i civili rimasti feriti risultano essere 1.125. Ad ogni modo il bilancio delle vittime, che riguarda esclusivamente quelle accertate, secondo l’ufficio delle Nazioni Unite potrebbe essere notevolmente più pesante.
Batterie, l’europa adotta un regolamento per il ciclo di vita sostenibile
Il Parlamento europeo ha adottato il regolamento per il ciclo di vita sostenibile delle batterie. Questo con 584 voti favorevoli, 67 contrari e 40 astensioni, abroga la direttiva risalente al 2006 e modifica il regolamento del 2019 (2019/1020). Nel testo di legge sono fissati obiettivi e tassi di raccolta delle batterie più rigorosi, e nuove norme finalizzate ad aumentarne la sostenibilità. Il prossimo passo sarà la negoziazione con i singoli governi dell’Unione Europea.
In cosa consiste il regolamento? Prima di tutto la normativa sostiene l’introduzione dell’obbligo di diligenza per i produttori, al fine di scongiurare il mancato rispetto dei criteri di natura sociale. Stando ai deputati europei, l’industria dovrebbe garantire maggior rispetto dei diritti umani, tenendo in considerazione i rischi relativi all’approvvigionamento, alla lavorazione e al commercio delle materie prime concentrate solo in pochi Paesi. Altro punto importante del testo è dedicato alla sostenibilità, la quale dovrà riguardare tutto il ciclo di vita della batteria. Il Parlamento Europeo, infatti, stabilisce requisiti più rigorosi in materia di sostenibilità, prestazioni ed etichettatura, introducendo la categoria “batterie per mezzi di trasporto leggeri (LMT)” – quali scooter e bici elettriche – a causa del loro crescente utilizzo, e stabilendo che le batterie vengano dotate di un’etichetta indicante la propria impronta di carbonio. Questo indicatore servirà a rendere più trasparente l’impatto ambientale di ogni dispositivo.
Altra questione affrontata dal testo di legge è lo smaltimento, il quale dovrà incentivare il riciclaggio e l’utilizzo delle tecnologie per promuovere il riuso delle batterie. Entro il 2024, le batterie portatili (smartphone) e quelle per i LMT, dovranno essere progettate in modo da poter essere sostituite facilmente e in sicurezza. Inoltre, a tal proposito, l’Europarlamento ha stabilito i livelli minimi di materie prime – litio, piombo, nichel, cobalto – da recuperare dalle batterie non più funzionanti per utilizzarle in quelle nuove.
Per la prima volta nella legislazione europea, il regolamento sulle batterie stabilisce un insieme olistico di regole con l’intento di controllare l’intero ciclo di vita del prodotto. Si tratta di un approccio innovativo, che introduce nuovi standard di sostenibilità nell’intero mercato globale delle batterie, dispositivi importantissimi per la tecnologia. Si stima non solo che entro il 2030 la domanda globale di batterie aumenterà di 15 volte rispetto al 2021, ma anche che il fabbisogno per l’Unione Europea rappresenterà il 17% della domanda totale. Tale fenomeno è da considerare una conseguenza dell’ascesa dell’economia digitale, dello sviluppo delle energie rinnovabili e del crescente aumento di veicoli elettrici alimentati a batteria.
[di Eugenia Greco]









