giovedì 20 Novembre 2025
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Spese militari al massimo, cooperazione al minimo: la scelta di campo del governo Draghi

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Il Governo italiano ha approvato l’aumento della spesa militare dall’1,4 al 2% del PIL, in linea con quanto stabilito dagli altri Paesi dell’Unione europea nel contesto dell’invasione russa dell’Ucraina. Tuttavia mentre la spesa militare continua a salire vertiginosamente, non si può dire che valga lo stesso per gli stanziamenti pubblici per lo sviluppo internazionale, i quali hanno toccato il minimo storico dello 0,22%. Nei prossimi anni lo stato italiano spenderà più per la difesa che non per le misure di contrasto alla povertà dei cittadini italiani e per gli aiuti ai paesi poveri messi insieme.

Con l’approvazione del Decreto Ucraina l’Italia porterà la propria spesa militare dall’1,4% del proprio PIL al 2%, passando dai 26 miliardi di euro attuali a 38 miliardi di euro circa all’anno. Il decreto è stato votato con 391 voti favorevoli su 421 deputati presenti. La tendenza ad aumentare le spese per la difesa era già evidente ben prima che scoppiasse il conflitto russo-ucraino: un aumento del 5,4% rispetto al 2021, pari a 1,3 miliardi di euro, era infatti già stato decretato alla fine dello scorso anno, portando le spese militari ai livelli più alti di sempre.

Tuttavia, parallelamente, i fondi per l’aiuto pubblico allo sviluppo sfiorano i valori più bassi mai registrati. Questi non superano infatti lo 0,22% del reddito nazionale lordo (Rnl), circa un decimo della spesa prevista per la difesa, corrispondente alla cifra esigua di 3,67 miliardi di euro.

Rapporto tra aiuto pubblico allo sviluppo e reddito nazionale lordo in Italia, tra il 2015 e il 2020 – Fonte: Openpolis

Gli aiuti pubblici allo sviluppo (Aps) fanno parte della cooperazione allo sviluppo perseguita con risorse pubbliche: in pratica si tratta di fondi che vengono stanziati per contribuire a progetti con Paesi a basso tasso di sviluppo. Se si esamina il rapporto tra Aps e Rnl, l’Italia risulta collocarsi al ventesimo posto su 30 Paesi che compongono il comitato dell’Ocse che coordina le politiche pubbliche. Il tutto nonostante in sede internazionale l’Italia, insieme ad altri Paesi, si sia impegnata a raggiungere l’obiettivo dello 0,7% di rapporto Aps/Rnl entro il 2030, ovvero più del triplo delle cifre attuali.

Inoltre, anche il contributo per l’accoglienza viene contabilizzato come aiuto pubblico allo sviluppo, rendendo di fatto alcuni Paesi occidentali tra i percettori principali del proprio stesso investimento in cooperazione. Questa impasse ha portato numerosi Paesi membri a rivalutare le proprie priorità nell’ambito della crisi ucraina, rivalutando in quali contesti di crisi inviare gli aiuti e quali sospendere.

Inoltre, se si effettua poi un paragone con l’erogazione del Reddito di cittadinanza, inteso come misura di contrasto alla povertà, si può notare che nel complesso, da marzo 2019 (al quale risalgono le prime elargizioni della misura) a dicembre 2021 siano stati spesi a questo fine 19,8 miliardi, circa la metà dei 38 miliardi di euro previsti per la spesa militare dopo l’aumento al 2% del valore del PIL. Se al Reddito di Cittadinanza volessimo aggiungere anche l’intera somma erogata dal governo per misure di varia natura di sostengo a famiglie, imprese e cittadini in difficoltà per la crisi scaturita dalla pandemia da Covid-19 arriveremmo a 27 miliardi. Insomma, l’Italia nei prossimi anni destinerà più soldi al comparto militare che non al contrasto della povertà dei propri cittadini, alla crisi delle imprese e al sostegno allo sviluppo dei paesi poveri messi insieme.

[di Valeria Casolaro]

Abbiamo calcolato male: la surreale ammissione USA sui numeri dei bambini morti di Covid

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“Un errore nell’algoritmo ha portato a classificare in maniera sbagliata i decessi che non erano correlati al Covid-19”, motivo per cui “il 14 marzo scorso i dati sulla mortalità legata al virus sono stati modificati”: è quanto comunicato dal CDC (Centers for Disease Control and Prevention), ovvero l’organismo di controllo sulla sanità pubblica degli Stati Uniti. Quest’ultimo, ha fatto sapere che tale correzione abbia “comportato la rimozione di 72.277 decessi precedentemente segnalati in 26 Stati Usa” ed inoltre, tramite alcune dichiarazioni rilasciate all’agenzia di stampa Reuters, ha specificato che tra i decessi rimossi 416 fossero “pediatrici“: un dato alquanto rilevante, in quanto in tal modo sarebbe stata ridotta del 24% la stima delle morti nei bambini.

I più piccoli, del resto, stando ai dati statunitensi attuali hanno una possibilità di morire a causa del virus molto bassa. Infatti, come riportato in questi giorni dalla American Academy of Pediatrics – un’associazione professionale americana di pediatri che riassume i dati comunicati dagli Stati Usa – il 19% dei casi di Covid registrati negli Stati Uniti dall’inizio della pandemia è stato attribuito ai bambini, tuttavia i più piccoli hanno rappresentato solo lo 0,00% – 0,27% del totale delle persone decedute a causa del coronavirus. Inoltre, solo lo 0,00% – 0,01% del totale dei bambini contagiatisi è deceduto.

L’errore ammesso da parte del CDC rappresenta senza dubbio un argomento estremamente rilevante arrivando esso dal più grande centro di verifica dei dati sanitari in Occidente, e non è di certo un azzardo affermare che tale sbaglio abbia contribuito in maniera importante alla diffusione di un certo tipo di informazioni da parte dei media mainstream. Sicuramente anche grazie ad esso, infatti, gran parte della stampa aveva potuto affermare che la variante Omicron fosse alquanto pericolosa nei bambini spingendo in questo modo a convincere i genitori circa la necessità di vaccinarli. Ad esempio, proprio poco prima della correzione da parte del CDC, il New York Post aveva comunicato che un terzo dei decessi nei bambini degli Stati Uniti fosse “avvenuto durante l’ondata Omicron”. Ma non solo, perché andando a ritroso nel tempo ci si rende conto che se i dati del CDC fossero stati corretti in partenza, probabilmente i media non avrebbero parlato così tanto dei presunti rischi maggiori della variante Omicron nei bambini proprio nel periodo in cui, tra l’altro, si discuteva molto della reale necessità di vaccinarli. Una campagna di stampa che anche in Italia coinvolse tutte le testate principali, con La Repubblica che, ad esempio, il 9 gennaio scorso titolò “Salgono i ricoveri tra i bambini, Omicron li colpisce di più” citando proprio i dati sbagliati del CDC come dimostrazione.

Ora che il CDC ha fatto sapere di aver riportato i dati in maniera sbagliata, i media mainstream non hanno dedicato nemmeno una riga all’argomento nonostante fino ad ora avessero ampiamente parlato della pericolosità della variante Omicron nei più piccoli. Eppure si tratterebbe di un errore su cui porre, in maniera critica, la lente di ingrandimento, in quanto appunto proveniente direttamente dall’organismo di controllo sulla sanità pubblica degli Stati Uniti, quello direttamente preposto ad autorizzare le vaccinazioni e che, anche in base a dati calcolati in modo scorretto, ha improntato politiche pubbliche che poi sono state seguite anche in Europa.

[di Raffaele De Luca]

Sri Lanka: i manifestanti assaltano il palazzo presidenziale

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Di fronte alla grave crisi sociale creata dall’aumento dei prezzi il presidente dello Sri Lanka, Gotabaya Rajapaksa, si è rivolto alla nazione chiedendo ai cittadini di avere fiducia nel governo con un discorso televisivo. Ma nelle strade si moltiplicano le richieste di dimissioni. Da due giorni si susseguono le proteste e nella giornata di ieri centinaia di manifestanti, contenuti a stento dall’esercito, hanno cercato di assaltare il palazzo presidenziale. Lo Sri Lanka è alle prese con la peggiore crisi finanziaria dalla sua indipendenza dal Regno Unito, ottenuta nel 1948. In tutto il paese ci sono gravi carenze di cibo, carburante e farmaci.

Il Consiglio di Stato contro la provincia di Trento: no all’abbattimento degli orsi

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Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso della Provincia Autonoma di Trento contro una sentenza del TAR trentino in materia di gestione della fauna selvatica. Secondo quanto annunciato dal WWF, Trento prevedeva la possibilità di uccidere gli esemplari identificati come problematici senza il preventivo ricorso a metodi alternativi. Il tentativo di gestire autonomamente la fauna selvatica è stato quindi bocciato e non è la prima volta che ciò avviene. Così, la Provincia non potrà né catturare né abbattere orsi senza interpellare le autorità nazionali. La gestione dei grandi carnivori ritenuti pericolosi, infatti, dovrà passare per un parere dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra).

Più nel dettaglio, ad essere respinta è stata la possibilità che il presidente della Provincia possa autorizzare il prelievo, la cattura e l’uccisione di esemplari, poiché questa si discosta dai principi di gradualità e proporzionalità delle misure previste dalla direttiva Habitat. Secondo i giudici amministrativi, non è ammissibile che un unico, isolato episodio di aggressione possa essere «il presupposto per l’abbattimento dell’esemplare, senza ulteriori verifiche se non quelle di identificazione». I giudici sottolineano poi «l’irragionevolezza e la sproporzione della disposizione, poiché trascura la valutazione specifica del caso concreto, da condurre contestualmente alla valutazione di ogni singolo intervento di rimozione». Un ulteriore pronunciamento che, in questo caso, sostiene il ricorso della Lega animalista LEAL contro “le linee guida provinciali per la gestione degli orsi” deliberate lo scorso 25 giugno 2021 dalla giunta Provinciale di Trento. E che ricorda che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale.

L’approccio più volte proposto dalla Provincia autonoma individua invece l’orso come una specie “naturalmente pericolosa” e dannosa, pretendendo di gestirla in modo autonomo, senza coinvolgere lo Stato (come previsto dalla Costituzione), secondo un modello incentrato non sulla promozione della convivenza ma sulla risoluzione dei conflitti attraverso il ricorso a soluzioni cruente e irrimediabili, come gli abbattimenti di un numero indeterminato di esemplari, quale unica opzione attuabile nelle ipotesi di atteggiamenti dannosi. Così il WWF ha commentato la decisione del massimo organo della giustizia amministrativa ricordando poi che la politica di riduzione del numero di esemplari presenti sul territorio provinciale – perseguita da Trento – non è infatti basata su elementi scientifici ma sulla percezione, non dimostrata, di una maggiore dannosità e pericolosità dell’orso bruno trentino.

[di Simone Valeri]

Israele: 4 morti in attacco terroristico

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In Israele, secondo quanto riportato dal quotidiano The Times of Israel, 4 persone sarebbero state uccise a causa di un attacco terroristico verificatosi a Beersheva. L’autore dell’attacco, un beduino israeliano che già in passato sarebbe stato in prigione in quanto membro di un gruppo terroristico, avrebbe prima accoltellato una donna in una stazione di servizio, poi sarebbe entrato nella sua macchina ed avrebbe investito un ciclista ed infine avrebbe accoltellato un uomo e una donna. Sarebbe inoltre a sua volta stato colpito dai colpi d’arma da fuoco di un conducente di un autobus sceso per soccorrere le persone aggredite e, secondo quanto riferito dai primi soccorritori israeliani, sarebbe successivamente morto.

Scoperta una proteina in grado di riparare le cellule cerebrali

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È stata scoperta una molecola in grado di riparare le cellule cerebrali. Secondo un gruppo di ricercatori australiani è stato raggiunto un traguardo scientifico importantissimo, che potrebbe aprire nuove strade nella cura delle lesioni del sistema nervoso, una delle più grandi sfide nella medicina.

Le principali cellule del sistema nervoso sono i neuroni, i quali comunicano tra loro e con i muscoli attraverso una piccola porzione sottile e allungata chiamata assone. L’assone, infatti, funge da cavo elettrico nella trasmissione di segnali e impulsi lungo tutto il sistema nervoso per garantirne il funzionamento. È scontato, dunque, specificare quanto gli assoni siano delicati e che, se lesionati, potrebbero causare seri danni, se non addirittura disabilità permanenti. Fortunatamente, però, una lesione all’assone non è necessariamente sinonimo di traumi irreversibili, in quanto le cellule possiedono la capacità di auto-ripararsi. Un aspetto che si riscontra specialmente in alcuni animali i quali, rispetto a noi umani, riescono a riparare i propri neuroni ripristinando le funzioni cerebrali anche dopo lesioni estese. 

Per questo motivo, i ricercatori australiani hanno condotto la ricerca su un invertebrato, precisamente un verme nematode della specie Caenorhabditis elegans, il quale è noto alla scienza per la sua efficienza nel riparare le cellule nervose tramite un metodo particolare chiamato la fusione dell’assone. Nello specifico, si tratta di un processo che vede la parte dell’assone ancora attaccata al neurone colpito dal danno, ricrescere e fondersi con la parte rimasta recisa, ripristinando così le capacità della cellula, la quale sarà nuovamente in grado di trasmettere i segnali. Gli scienziati, quindi, dopo aver studiato l’invertebrato al microscopio ed essersi serviti di tecniche di genetica e biologia molecolare, hanno scoperto che la proteina Adm-4 è la principale responsabile della fusione dell’assone. Più precisamente, gli esperti hanno capito non solo che senza questa specifica proteina la riparazione del neurone non potrebbe avvenire, ma anche che aumentandone l’espressione, i vermi riescono ad auto-riparare le cellule nervose in maniera ancora più efficiente. 

Ciò che rende la scoperta sensazionale è che Adm-4 risulta essere simile a una proteina risiedente nei mammiferi, e questo apre la possibilità di poter sfruttare un giorno lo stesso processo negli esseri umani. Gli scienziati sperano che, agendo su essa, si arrivi ad avere un maggior controllo sull’auto-riparazione delle cellule nervose o a trovare sostanze farmacologiche che attivino questa proteina.

[di Eugenia Greco]

Italia: l’esercito chiede al Parlamento di armare i droni

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L’esercito ha chiesto al Parlamento italiano l’autorizzazione ad armare i droni in dotazione, il che vorrebbe dire trasformarli da strumenti di osservazione e ricognizione a vere e proprie armi, dotate di potenza di fuoco. Secondo un’indiscrezione riportata da Il fatto quotidiano, la richiesta sarebbe stata avanzata in via informale dal Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, il generale Luca Goretti, che sin da subito si è mostrato favorevole ad aumentare la spesa per la Difesa fino al 2% del PIL, passando dall’attuale 1,4%. In questo modo, infatti, «si potrebbe invertire una tendenza che negli ultimi venti anni ha visto la riduzione drastica del numero di velivoli in dotazione, facendo avviare l’Italia verso una condizione di svantaggio numerico rispetto ad altri Paesi», ha affermato il generale Goretti.

Per il momento i droni dell’Aeronautica di classe MALE, in grado di volare fino a 15km di altezza con un’autonomia di circa 2000km, sono disarmati. Sul punto si è espresso lo stesso generale Goretti durante un intervento alle commissioni di Camera e Senato: «Vorrei stimolare una nuova riflessione anche in tema di velivoli a pilotaggio remoto, circa l’opportunità di riavviare il processo autorizzativo volto ad armarli, per dotarli finalmente di una componente d’ingaggio al suolo. Questi, qualora l’autorità politica e il Parlamento ne autorizzino successivamente l’uso, potranno essere impiegati con l’obiettivo di ridurre il rischio di perdite di vite umane», nonostante i fatti dicano che i droni armati siano coinvolti nella morte di diversi civili, come nel caso denunciato da Amnesty International della Somalia, dove negli ultimi anni vari attacchi statunitensi effettuati con velivoli a pilotaggio remoto hanno causato decine di vittime fra la popolazione civile.

L’idea di armare i propri droni ha radici profonde, che vanno oltre l’attuale contesto geopolitico dovuto al conflitto fra Ucraina e Russia. Già sul finire dello scorso anno, infatti, il Documento programmatico pluriennale della Difesa per il triennio 2021-2023 annunciava un aggiornamento riguardante i MALE Reaper capace di introdurre “una nuova opzione di protezione sia diretta alle forze sul terreno sia a vantaggio di dispositivi aerei durante operazioni ad elevata intensità/valenza”, lasciando intendere di voler seguire la strada tracciata da altri Paesi, tra cui Stati Uniti, Cina e Turchia, circa l’adozione dei droni armati. Nello stesso periodo si inserisce la richiesta avanzata al Parlamento dallo Stato maggiore, l’insieme degli ufficiali collocati al vertice degli organismi militari più complessi, di poter acquistare gli Hero-30 israeliani, cioè piccoli velivoli a pilotaggio remoto, armati con una testata esplosiva, dunque kamikaze.

[Di Salvatore Toscano]

Crisi Ucraina, Cremlino: Russia non renderà pubblica sua posizione nei negoziati

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Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Interfax, avrebbe affermato che la Russia non sarebbe intenzionata a rendere pubblica la sintesi della sua posizione – ossia dei suoi termini e delle sue condizioni – nei negoziati con l’Ucraina. «Sono ben noti alla parte ucraina», avrebbe a tal proposito dichiarato Peskov, aggiungendo che da quest’ultima sarebbero arrivate alcune risposte ma che la Russia vorrebbe avere «ogni volta risposte più concrete e tempestive».

 

Oggi è la giornata mondiale dell’acqua, un diritto non ancora di tutti

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Oggi, 22 marzo, si celebra la giornata mondiale dell’acqua, istituita nel 1992 dalle Nazioni Unite come risultato della conferenza di Rio. Seppur la percentuale della popolazione mondiale con accesso all’acqua potabile sicura sia cresciuta dal 70 percento (nel 2015) al 74 percento (2020), esistono ancora enormi diseguaglianze. E in quanto l’acqua rappresenta un diritto di tutti, è essenziale trovare soluzioni per colmare tali differenze. Così al trentennale della ricorrenza è stata pubblicata una nuova edizione del Rapporto mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche. Per il 2022, l’attenzione si concentra sulle acque sotterranee. Esse rappresentano il 99 percento, circa, delle acque dolci allo stato liquido della Terra. In quanto distribuite sull’intero pianeta, le acque sotterranee potrebbero rappresentare un’ottima soluzione per la crescente scarsità idrica registrata in diverse parti del mondo. Ecco come il rapporto del 2022 rende chiaro fin dall’inizio l’obiettivo da raggiungere. Da qui il titolo Acque sotterranee: rendere visibile la risorsa invisibile.

Come sottolineato dal rapporto sopracitato, si potrebbe agire sfruttando risorse ancora troppo sottovalutate, che potrebbero invece “Garantire alle società enormi vantaggi sociali, economici e ambientali, anche in relazione all’adattamento ai cambiamenti climatici”. Se dalle acque sotterranee viene già prelevato fino alla metà del volume dei prelievi idrici per uso domestico e circa il 25 percento dei prelievi per l’irrigazione, la gestione di una ricchezza tanto grande è spesso alquanto inadeguata e disattenta. I problemi però non si fermano a una potenziale risorsa non utilizzata propriamente. E non sono solo aree come l’Africa subsahariana, dove 400milioni di persone non hanno accesso ai servizi idrici essenziali, a soffrire di una vera e propria emergenza mondiale. Anche la situazione italiana non è delle più rosee, aggravata quest’anno da svariati disastri ambientali e gravi periodi di siccità. Ma in Italia le difficoltà non nascono solo da agenti “esterni”. Nel Belpaese ogni giorno si consuma quasi il doppio di litri d’acqua rispetto alla media europea ed esistono grandi difficoltà a preservare le risorse idriche territoriali. Nel 2020, il 36,2 percento dell’acqua immessa in rete nei capoluoghi di provincia è andata letteralmente sprecata. Questo perché oltre alla comprovata vetustà delle reti, l’Italia risente di alcuni gravi ritardi nell’adeguamento dei sistemi di fognatura e depurazione. Non a caso il Paese ha subito ben quattro procedure di infrazione per l’inadeguata attuazione alla direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane.

Troppi inghippi infrastrutturali, con dati che rendono tutto ancora più evidente. Una situazione preoccupante, quella dipinta durante la presentazione della monografia del servizio idrico integrato realizzata dalla Fondazione Utilitatis con l’Istat e la Cassa Depositi e Prestiti, il cosiddetto Blue book 2022. La soluzione però si conosce, “basterebbe” mettere mano a una rete idrica che risulta del tutto inadeguata. Se i necessari interventi non verranno attuati, lo spreco delle risorse idriche non subirà mai lo stop di cui necessita e potrebbero verificarsi episodi come quelli avvenuti in ben 11 città dell’Italia meridionale, dove i cittadini hanno vissuto un vero e proprio razionamento della distribuzione dell’acqua. Ciò riporta anche a un’altra grave disuguaglianza interna all’Italia: le aree meridionali si trovano in una condizione peggiore rispetto alle zone centro-settentrionali. Per colmare il divario infrastrutturale del Sud, il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) ha stanziato 4,4 miliardi di euro; non rimane che auspicare in un corretto uso dei fondi. Inoltre, proprio cogliendo l’occasione della giornata mondiale dell’acqua, oggi la campagna Forum dei Movimenti per l’Acqua ha organizzato un evento per dire stop a un pericoloso processo di privatizzazione di servizi pubblici. Visto anche il successo del referendum contro la volontà del Governo di privatizzare l’acqua, sarebbe grave se chi è ai vertici procedesse in una direzione opposta alla volontà dei cittadini italiani.

[di Francesca Naima]

Chiesa Cattolica e pedofilia in Italia: una questione nascosta

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Quello degli abusi sessuali all'interno della Chiesa Cattolica - nonostante la presenza di quest'ultima nel territorio nazionale sia sostanziale - è un tema su cui in Italia non si è finora mai indagato e sul quale, d'altro canto, non si è nemmeno mai tenuto un serio dibattito pubblico e politico. Adesso però, sulla scia di alcune recenti inchieste condotte in altri paesi europei tramite le quali la pedofilia si è confermata essere un fenomeno alquanto diffuso nel clero, anche nel nostro Paese qualcosa inizia a muoversi: la Chiesa, o almeno una parte di essa, sembrerebbe infatti aver aperto la...

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