venerdì 12 Dicembre 2025
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Cina: firmato patto su cooperazione in materia di sicurezza con Isole Salomone

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La Cina ha firmato un patto sulla cooperazione in materia di sicurezza con le Isole Salomone: a confermarlo è stato il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin, il quale, come riportato dall’agenzia di stampa Xinhua, ha dato notizia dell’accordo siglato tra i due paesi. “La cooperazione in materia di sicurezza tra Cina e Isole Salomone è aperta, trasparente, inclusiva e non prende di mira nessuna terza parte”, ha affermato il portavoce, aggiungendo che “le due parti coopereranno per salvaguardare l’ordine sociale, proteggere la sicurezza delle vite e delle proprietà delle persone, fornire aiuti umanitari e far fronte ai disastri naturali”.

Le gang minorili come fenomeno sociale: intervista al sociologo Franco Prina

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La cronaca giornalistica porta spesso all’attenzione dell’opinione pubblica i crimini perpetrati da gruppi di giovani identificati come baby gang. I reati violenti, soprattutto risse e rapine, sono spesso commessi per motivi a prima vista futili e fini a sé stessi. A Torino, in particolare, si assiste piuttosto di frequente a questi fenomeni, ma limitarsi a una trattazione semplicistica ed episodica rende difficile comprenderne la natura. Abbiamo approfondito il tema con Franco Prina, docente di Sociologia giuridica e della devianza presso l’Università di Torino e autore del libro Gang minorili.

All’interno del suo libro lei contesta fermamente il termine baby gang, mi può spiegare perché? 

La definizione di gang giovanili rimanda a gruppi di minorenni e giovani adulti con una struttura stabile e radicata sul territorio che gestiscono attività delinquenziali. In Italia questo tipo di realtà sono molto rare e di breve durata, soprattutto perché da noi molte attività illegali sono gestite dalle mafie. Ci sono stati dei gruppi di latinos un po’ più strutturati, ma non a Torino, dove c’è più un discorso di imitazione esteriore. Qui esistono bande di strada, ma non si tratta di gruppi organizzati con una gerarchia, un leader, riti di ingresso e una razionalità applicata alla gestione di attività illegali. Non sono baby, perché parliamo di adolescenti e giovani adulti tra i 16 e i 19 anni, e non sono gang perché non hanno quel tipo di organizzazione strutturata. Anche parlare di “abbassamento dell’età di chi compie i reati” è inesatto: è molto raro che ragazzini di 14-15 anni siano coinvolti in questo tipo di situazioni.

Che composizione hanno questi gruppi? Sono per lo più stranieri o vi sono anche italiani? 

Nella realtà torinese abbiamo entrambe le cose. Le periferie di Torino sono un mix nel quale convivono fianco a fianco famiglie straniere e italiane che condividono condizioni di precarietà economica e difficoltà lavorativa. I figli di queste famiglie hanno difficoltà a integrarsi e a scuola, e genitori che faticano a svolgere il loro ruolo. Ovviamente chi proviene da altri Paesi ha un surplus di difficoltà: il ricongiunto in età adolescenziale che è diviso tra due mondi, le seconde generazioni che non si vedono riconoscere i propri diritti, chi è soggetto a discriminazioni razziali… Vi possono essere delle similitudini di condizioni in quanto adolescenti e giovani che cercano una prospettiva, ma qualcuno ha qualche difficoltà in più.

Da quali quartieri di Torino provengono questi ragazzi?

Da tutte quelle zone dove c’è un insediamento di case di minore pregio e minore costo, dove si sono insediati gli immigrati anche per effetto delle catene migratorie. Per lo più i quartieri di Barriera di Milano, Aurora e un po’ San Salvario e alcune città dell’area metropolitana, come Nichelino. Le dinamiche sono le stesse di quando qui si insediarono gli immigrati provenienti dal Sud, con la differenza che loro si stanziarono prima nella zona della stazione e del centro e poi, quando furono costruiti i quartieri perché aumentava il bisogno di manodopera, a Falchera, Vallette, ma anche via Artom, Mirafiori Sud, Mirafiori Nord eccetera.

Quali sono le tipologie di reato che vengono commesse da questi gruppi?

I reati sono in genere di tipo predatorio, ovvero io ti vengo a portar via delle cose che non mi posso permettere: il ragazzo che parte da Barriera di Milano per andare in piazza Castello, trovarsi con altri e rubare (spesso in maniera non programmata) un bel giubbotto o l’iPhone di qualcuno. Questi reati sono spesso connotati da caratteristiche di tipo espressivo: sto esprimendo la mia rabbia, il mio poterti umiliare perché tu hai ciò che io non ho, vivi come vorrei vivere io. I reati predatori sono ispirati da un senso comune e valori molto diffusi: non consideriamo mai che l’idea di portarsi via l’ultimo iPhone gliel’ha ispirata il mondo degli adulti, la cultura consumistica più diffusa, per la quale sei qualcuno solo se possiedi quegli oggetti. Quando non hai gli strumenti culturali per difenderti da questa pressione accadono queste cose. I ragazzi, da questo punto di vista, sono devianti solo nei modi, non negli obiettivi. Anche le risse sono un reato tipicamente espressivo: riflettono un bisogno di affermazione, di appartenenza.

Che ruolo giocano i social media nel diffondersi del fenomeno? 

Molti di questi comportamenti possono essere motivati dagli scambi sui social, o possono essere pensati come qualcosa di rilevante perché dà visibilità, consente di farsi vedere, di mostrarsi. Quando i gruppi di Barriera sono andati a Nichelino per picchiarsi con le bande locali, è stata una risposta a una comunicazione via social che ha a che fare con le offese, l’onore e la propria affermazione. L’approvazione sui social oggi è estremamente importante, al punto da arrivare al paradosso di filmarsi mentre si compiono i reati. È di una ingenuità disarmante, perché la polizia vede i video e le persone sono facilmente reperite. Mostrarsi, pur essendo controproducente, è fondamentale. Da questo punto di vista giornali e televisioni, nel raccontare le gesta di questi gruppi, contribuiscono a produrre effetti di rinforzo ed emulativi, perché diventa motivo di vanto il fatto di essere finiti sul notiziario. Il problema non è raccontare i casi di cronaca, ma insistere sulla cronaca senza scavare e cercare di capire.

Che tipo di difficoltà e disagio vivono i giovani che si trovano in queste situazioni?

Si tratta di ragazzi che vivono il tempo presente come tutti gli altri, che presenta delle difficoltà per chi sta crescendo o affrancandosi dalla famiglia. Il lockdown di questi due anni ha compresso la socialità di tutti questi ragazzi, privandoli degli spazi in cui si incontravano. E appena sono stati liberati sono accaduti fatti come le risse tra i gruppi di Barriera e Nichelino. Il bisogno adolescenziale di sfidare il mondo non è nato oggi, né ieri e neanche dieci anni fa, è sempre esistito. Le problematiche espresse sono sempre le stesse: crescere, diventare autonomi, avere un’identità, trasgredire, sfidare gli adulti, sfidare le istituzioni. Essere in banda risponde a bisogni quali lo stare insieme, il fare gruppo, esprimere coraggio e sfida, confrontarsi con gli altri, necessità che purtroppo poche altre proposte aggregative soddisfano. Vi è poi il bisogno di identità, in particolar modo per chi proviene da un Paese straniero. I ricongiunti, cresciuti in un altro Paese e giunti adolescenti in Italia, vivono con particolare intensità questo problema. A questo si accompagna il bisogno di riconoscimento, di sentirsi utili e importanti per gli altri, di sentirsi coraggiosi, di sfidare eccetera. Naturalmente più gli adulti e le istituzioni educative hanno difficoltà a esercitare il ruolo educativo e normativo, più queste cose avvengono in modo estremo ed evidente.

Quindi c’è una certa difficoltà, da parte di scuola e famiglie, a gestire il fenomeno.

Io credo che sia utile spostare il punto di vista dai ragazzi a chi sta loro intorno: è necessario parlare del disagio degli adulti, delle famiglie che devono affrontare problemi come la disoccupazione, che hanno fatica ad essere normative, di insegnanti che si trovano a dover governare gruppi di ragazzi numerosi avendo pochi strumenti. Finché la scuola veniva pensata come luogo in cui si forniva istruzione gli insegnati sapevano cosa fare. Oggi sempre di più devono confrontarsi con le difficoltà dei ragazzi e delle famiglie e ciò richiede competenze che spesso non hanno. Bisogna aiutare molto gli adulti e bisogna creare opportunità di rispondere ai bisogni dei giovani in maniera costruttiva, favorendo l’accompagnamento e la prevenzione prima ancora della risposta repressiva e punitiva.

Quali sono le difficoltà principali delle famiglie? 

Si tratta delle difficoltà generali degli adulti che esercitano la funzione genitoriale, ma che sono maggiori per le persone che sono arrivate da poco in Italia, che hanno difficoltà a comprendere il funzionamento delle istituzioni, a interloquire e via dicendo. Nel caso dei giovani partiti da Torino per andare a Milano a Capodanno e arrestati per violenze sessuali, le famiglie si sono dette del tutto ignare delle problematiche esistenti. Vi è l’idea che il fatto di essere riusciti ad arrivare in Italia costituisca una prospettiva positiva di per sè.

Il disagio di questi ragazzi si esprime in altro modo, oltre che con la violenza?

Oltre allo sfogo violento verso gli estranei o verso le istituzioni, come è accaduto nel caso dei gruppi che sono andati a spaccare le vetrine dei negozi in centro, vi è certo una forma di disagio che si ripiega verso sé stessi. Questo si manifesta nella chiusura del legame solo attraverso i social o con la realtà virtuale, l’anoressia e altre problematiche alimentari. In un periodo come quello del lockdown molti hanno manifestato una sofferenza fisica, ma è stato difficile intercettarli perché erano chiusi in casa.

Vengono fatti interventi a supporto delle famiglie?

Molto poco: sia sul piano educativo che del supporto e nel costruire un rapporto sinergico con la scuola. A Torino vi sono alcune educative di strada che si occupano sia dei giovani che delle famiglie, ma sono poche.

Che tipo di interventi vengono messi in campo con i ragazzi?

A Torino vi sono educative di strada e di territorio che vanno a incontrare i gruppi che si ritrovano ai giardinetti o in alcune strade e piazze. È importante che i giovani incontrino figure adulte non giudicanti, consapevoli, professionalmente preparate ad un dialogo, che offrano loro opportunità di cui essere protagonisti: attività sportive, di cura dell’ambiente, di fare teatro o musica. Penso all’Asai, alle educative di strada del gruppo Abele, alle educative di territorio di Save the Children piuttosto che del comune di Torino. L’oratorio San Luigi per molto tempo ha mandato al Parco del Valentino e dei Murazzi educatori che incontravano i ragazzi che spacciavano e proponendo negli spazi del Valentino la possibilità di fare doposcuola, sport e attività ludiche. Quello che manca a Torino è un maggiore investimento da parte dell’amministrazione comunale, perché negli anni queste iniziative sono state gestite prevalentemente dal privato sociale. Molti di questi gruppi sono sostenuti dalla Compagnia San Paolo, come il progetto Nomis, del quale sono referente scientifico, che da anni raggruppa molte di queste educative per lavorare insieme e fare rete. È necessaria una maggiore assunzione di responsabilità da parte del Comune: per sostenere queste attività e perché possano affiancare anche le famiglie. Significherebbe potenziare la prevenzione.

Quali sono a suo parere gli interventi necessari?

Investire sui servizi sociali di territorio, che in questi anni sono stati depauperati in termini di personale e risorse, è fondamentale. Il Pnrr sembra far ripartire le assunzioni e aumentare le risorse, che vuol dire potenziare la risposta preventiva e le misure alternative al carcere. Rafforzando le educative di strada e di territorio, i servizi sociali e di comunità, gli psicologi che escano dalle NPI [Neuropsichiatrie Infantili, ndr] e vadano nelle scuole a intercettare il disagio psichico di tanti adolescenti, gli etnopsichiatri ed etnopsicologi che hanno un’attenzione particolare per i giovani di origine straniera e le famiglie. Direi che c’è molto da fare, motivo per cui gli operatori devono essere preparati e in numero sufficiente per poter mettere in atto un lavoro di intercettazione e prevenzione del disagio.

[di Valeria Casolaro]

Salmonella nei prodotti Kinder Ferrero: primo caso in Italia, ricoverato un bambino

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Un bambino di 12 anni è finito in ospedale, a Ravenna, dopo aver presentato i sintomi di una intossicazione alimentare. I medici, dopo averlo visitato, hanno confermato la diagnosi di salmonellosi. Il bambino aveva mangiato un ovetto della serie Kinder Sorpresa x6 Pulcini, immediatamente sequestrata dai carabinieri, che li hanno poi consegnati ai colleghi del Nucleo Antisofisticazione (NAS). Gli ovetti verranno analizzati nella giornata di oggi: se confermata la presenza del batterio, si tratterebbe del primo caso di intossicazione direttamente correlata ai prodotti Ferrero in Italia.

L’allerta era stata emanata dalla stessa Ferrero pochi giorni fa, quando in tutta Europa avevano cominciato a verificarsi intossicazioni da salmonella apparentemente connesse con il consumo di prodotti recanti il marchio dell’azienda. Sono già oltre un centinaio le diagnosi in cui è stata confermata una diretta correlazione con i prodotti Kinder, su 150 casi sospetti totali. I sintomi sono per tutti i medesimi: febbre, crampi addominali e diarrea, che si possono presentare con diversi stadi di gravità. Per un bambino di 12 anni di Ravenna è stato necessario il ricovero e una terapia a base di antibiotici, dopo che i medici dell’ospedale dove i genitori lo avevano portato in seguito al malore accusato hanno confermato l’intossicazione da salmonella. La sorellina, che presentava i medesimi sintomi, sarebbe tuttavia risultata negativa all’esame.

Il bambino aveva iniziato a sentirsi male subito dopo aver consumato della cioccolata Kinder, motivo per il quale i NAS esamineranno nella giornata di oggi il restante contenuto della confezione, una scatola da 6 ovetti della serie Pulcini. L’episodio risale ormai a due settimane fa, come riportato dal Corriere di Romagnaproprio nel momento in cui Ferrero comunicava il ritiro dal commercio di alcuni prodotti.

Venerdì 8 aprile scorso l’azienda comunicava infatti la chiusura dello stabilimento di Arlon, in Belgio, imposta dall’Agenzia belga per la sicurezza della catena alimentare (Afsca), per sospetta contaminazione da salmonella. Ferrero avrebbe tuttavia ammesso di essere a conoscenza della contaminazione sin dal 15 dicembre 2021, ma di non averne dato comunicazione all’Afsca in quanto aveva a sua detta già provveduto a ritirare i prodotti a rischio dal mercato. Sull’azienda sono piovute una pioggia di critiche da parte di consumatori e associazioni, che l’hanno accusata di aver sottovalutato e taciuto una situazione che a questo punto risulta potenzialmente fuori controllo.

Il richiamo dal mercato è stato esteso anche ad alcuni prodotti italiani dopo l’allerta emanata dal Ministero della Salute: tra questi vi sono Kinder Sorpresa T6 Pulcini, Kinder Sorpresa Maxi 100g Puffi e Miraculous. Per le uova pasquali Kinder GranSorpresa prodotte interamente nello stabilimento di Alba non vi sarebbe alcun pericolo.

[di Valeria Casolaro]

Kabul, esplosioni in scuola sciita: almeno 6 vittime

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Il portavoce della polizia di Kabul ha riferito che una scuola superiore maschile sita nel quartiere hazara sciita di Dasht-e-Barchi, nella parte occidentale della città, è stata colpita da due esplosioni. Al momento si contano sei vittime, ma il numero potrebbe aumentare. Le esplosioni avrebbero avuto luogo mentre gli studenti stavano uscendo dalle lezioni mattutine, secondo quanto riportato da Al Jazeera. Nessun gruppo ha al momento rivendicato l’attacco.

50 medici hanno querelato il virologo Matteo Bassetti

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Nel corso della puntata televisiva della trasmissione Zona Bianca andata in onda su Rete4 il 19 gennaio scorso il virologo genovese Matteo Bassetti aveva definito i medici del Comitato per le terapie domiciliari precoci Covid «quattro santoni millantatori, fattucchieri e maghi, che hanno curato la gente con la liquirizia e gli infusi d’acqua fredda. Anzi non le hanno curate in quanto è morta un sacco di gente». Per tale motivo cinquanta di questi medici, guidati dall’avvocato Erich Grimaldi, hanno presentato una querela presso la Procura della Repubblica di Napoli contro Bassetti e il deputato dem Andrea Romano, presente alla trasmissione.

Nel corso della puntata, Bassetti aveva aggiunto che dietro alle terapie domiciliari vi fosse “solo un grande business senza alcuna volontà di curare i pazienti, con terapie addirittura paragonate a quelle di stregoni e millantatori”, riportano i medici all’interno della querela. L’avvocato Grimaldi ha anche fatto notare che i video andati in onda nel corso della trasmissione mostravano in maniera evidente il logo del Comitato terapia domiciliare.

La replica del virologo non ha tardato ad arrivare: «Non ho fatto nessuna accusa specifica nei confronti di nessuno» dichiara Bassetti, «ma vedo che sono stato accusato di un comportamento illecito, come se avessi ammazzato qualcuno, secondo l’avvocato Erich Grimaldi, che querelerò». «Attendo con ansia la querela di Bassetti» ha risposto Grimaldi, «così finalmente potremo chiarire, innanzi la magistratura penale, coinvolgendo anche il Ministero della Salute, il motivo per cui nel nostro paese, sia stata utilizzata l’unica arma della vaccinazione, senza considerare le esperienze dei territori».

[di Valeria Casolaro]

Monthly Report n.9: Guerra in Ucraina, farsi luce nel risiko globale

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Ma voi de L’Indipendente con chi state nella guerra in Ucraina? Ce lo hanno chiesto in tanti in queste settimane e la domanda stessa è sintomo della distorsione del nostro sistema mediatico, che tende a dividere sempre in tifoserie. Questa nuova guerra è in realtà un conflitto tra Russia e Stati Uniti, uno scontro che Mosca combatte direttamente mentre Washington ingaggia per procura, riempiendo di armi gli ucraini e lasciando che siano loro a morire. A questo punto, almeno per quanto ci riguarda, la scelta è semplice. Non si può stare con la Russia, non questa volta: l’invasione di uno stato sovrano è sempre da condannare e le bombe stanno colpendo anche civili incolpevoli come in ogni guerra. Ma il discorso non si può interrompere qui. Sarebbe troppo semplice, utile solo a dividere falsamente il mondo in buoni e cattivi come amano fare i governi e i media a loro asserviti. Perché dall’altra parte appunto c’è la NATO, ovvero gli Usa e gli altri 29 stati loro vassalli, Italia inclusa. Le guerre hanno sempre delle cause e la politica imperiale degli Usa, che da sempre cercano di mettere Mosca all’angolo e di circondarla, è la ragione primaria di quella in corso in Ucraina. Biden accusa i russi di genocidio, ma i presidenti americani criminali di guerra lo sono per professione, da Hiroshima ad Abu Ghraib, dal 1945 ad oggi. Nemmeno con gli Stati Uniti si può stare, visto che con i propri disegni di dominio costituisce una minaccia costante alla pace globale e alla sovranità delle nazioni che scelgono di non volersi allineare al suo volere.

Non si può stare neanche con l’Unione Europea, che da questa guerra sta emergendo nettamente per quello che è: un’istituzione utile solamente come cinghia di trasmissione dei desideri economici e politici del capitalismo nordamericano. Kiev e Mosca sono città europee, questa è una guerra europea che mette a repentaglio la sicurezza di tutto il continente. Eppure non un paese del vecchio continente sta cercando di facilitare le trattative. Tutti i governi dell’Unione, Italia in testa, stanno approvando piani per colossali aumenti delle spese militari. Serviranno a proteggere la pace, dicono, ma quella secondo cui la pace si ottiene preparando la guerra è una delle più grandi bugie della storia.

Quindi, in definitiva, con chi sta L’Indipendente? «Le guerre vengono dichiarate dai ricchi e potenti che poi ci mandano a morire i figli dei poveri» ebbe a dire uno che i disastri provocati da ogni conflitto li conosceva bene, Gino Strada. Ecco, qui troviamo una delle poche certezze. Anche se la guerra dovesse diventare mondiale sotto le bombe non moriranno né Putin, né Biden, né i loro figli, né ogni altro leader politico e non moriranno nemmeno gli imprenditori di armi che si stanno arricchendo come in ogni conflitto. Per questi soggetti la guerra è un gioco di potere e ricchezza. Può sembrare banale ma in guerra bisogna stare con chi rischia di morire: con i civili ucraini, così come con quelli siriani e afghani. E bisogna stare dalla parte della verità, la prima vittima di ogni conflitto.

Indice:

  • Siamo di fronte a una guerra per procura tra Russia e USA: intervista al generale Fabio Mini
  • Le parole giuste, cioè la cultura come arma di pace
  • Il disegno degli Usa di fronte al conflitto in Ucraina: intervista all’analista geopolitico Federico Petroni
  • Allargare la prospettiva: il conflitto in Ucraina visto dalla Cina
  • L’inutilità dell’Europa di fronte a una guerra europea
  • Gli effetti della guerra e delle sanzioni economiche in Russia
  • Alle origini del conflitto russo-ucraino: intervista allo storico Franco Cardini
  • Sui laboratori biologici in Ucraina ci sono troppe domande senza risposta
  • Denazificare l’Ucraina? Il reale potere dei gruppi neonazisti sul governo Zelensky
  • Le bufale di guerra confezionate dai media mainstream
  • 11 ex corrispondenti di guerra italiani scrivono contro l’informazione sull’Ucraina
  • I droni sono sempre più protagonisti della guerra in Ucraina
  • Donbass, il documentario sulla guerra ucraina prima che il mondo se ne accorgesse

Il mensile, in formato PDF, può essere scaricato dagli abbonati a questo link: lindipendente.online/monthly-report/

È morto lo scrittore Valerio Evangelisti

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Si è spento nella serata di lunedì lo scrittore Valerio Evangelisti, autore dirompente e innovativo nel panorama italiano. La passione per la narrativa lo ha portato a essere estremamente prolifico nel genere horror e fantasy, e molti dei suoi romanzi gli sono valsi premi e riconoscimenti internazionali. Tra i più celebri, la saga di Nicolas Eymerich e quella di Nostradamus sono divenuti dei veri e propri best seller. Parallelamente, Evangelisti nutriva una pulsante passione per la politica, che lo ha portato a scrivere numerosi saggi di carattere storico-politico degni di nota, in particolare riguardo i movimenti operai dell’800 e del ‘900. Accorato antifascista e pacifista, nel 2004 fonda la rivista online Carmilla, che tratta di critica letteraria e politica e della quale è stato direttore editoriale sino alla fine.

Catalogna, leader indipendentisti spiati con spyware Pegasus

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Oltre 60 persone legate al movimento indipendentista catalano sarebbero state spiate attraverso lo spyware Pegasus, prodotto dal NSO Group di Israele. Secondo il leader regionale della Catalogna vi sarebbe il governo spagnolo dietro le operazioni di spionaggio.  Reuters riferisce che il governo si sia rifiutato di commentare quando interprellato sulla vicenda. Secondo l’associazione per i diritti digitali Citizen Lab, le operazioni sarebbero avvenute tra il 2017 e il 2020, quando il tentativo di indipendenza catalano fece sprofondare la Spagna nella peggiore crisi politica della storia recente. Le prove contro Pegasus, riferisce Citizen Lab, sono tuttavia ancora “circostanziali”.

L’Unione Europea destina un miliardo di euro alla protezione degli oceani

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Ieri in occasione della conferenza Our Ocean (OOC) di Palau l’Unione Europea ha deciso di destinare un miliardo di euro per la protezione e il ripristino degli oceani. In quel che Bruxelles ha definito come l’impegno finanziario più cospicuo per l’economia blu, il piano dell’Unione Europea prevede 44 impegni per il periodo 2020-2022, dalla lotta all’inquinamento marino alla promozione di agricoltura e pesca sostenibili, l’introduzione di nuove aree marine protette e la salvaguardia di quelle esistenti, fino alla creazione di economie blu sostenibili, cosicché l’oceano diventi sempre più “Sicuro, giusto e protetto”. Non solo, ma centrali saranno gli stessi cittadini europei, i quali potranno rimanere costantemente aggiornati grazie all’apposito strumento di monitoraggio Copernicus.

La prima conferenza Our Ocean ha avuto luogo negli Stati Uniti nel 2014. Dall’anno di partenza è stato possibile proteggere circa cinque milioni di miglia quadrate di oceano, attraverso più di 1.400 impegni per un valore di circa 85 miliardi di euro. L’edizione del 2022 Our Ocean, Our People, Pur Prosperity (il nostro oceano, il nostro popolo, la nostra prosperità) si congiunge a un’attenzione crescente per la salvaguardia dell’ambiente, che vede una cooperazione internazionale sempre maggiore per la salvaguardia del Pianeta, dov’è chiaro quanto la preservazione degli oceani sia fondamentale (si ricorda il vertice One Ocean, a cui anche l’UE ha preso parte). In attesa della prossima conferenza delle Nazioni Unite sull’oceano prevista per giugno o luglio a Lisbona, l’Unione Europea ha messo a punto un piano per focalizzandosi sulla ricerca, lo sviluppo e l’innovazione nei finanziamenti per avviare un’impresa (i cosiddetti “seed”) destinando 500 milioni di euro tra il 2021-2023 alla missione Horizon Restore our Ocean and Waters.

Centrale nella missione è considerare l’oceano e le acque come un tutt’uno e raggiungere gli obiettivi dell’UE di proteggere il 30 percento dell’area marina degli Stati membri, ripristinando gli ecosistemi marini, prevenendo ed eliminando l’inquinamento, riducendo i rifiuti di plastica in mare, le perdite di nutrienti e l’uso di pesticidi chimici. Ci sarà inoltre un’ottimizzazione del monitoraggio satellitare (Copernicus) per cui l’UE ha investito 55 milioni di euro. Sempre col fine di controllare le transizioni dell’ambiente marino e dei cambiamenti climatici, verrà perfezionato WEkEO, strumento a servizio della comunità di ricerca internazionale che permette di avere accesso a una dettagliata raccolta di dati ambientali mentre offre strumenti online per le scienze ambientali su strutture di cloud computing.

[di Francesca Naima]

Una grande marcia No Tav ha attraversato la Val di Susa

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Sabato 16 aprile 5000 persone hanno preso parte alla marcia organizzata dal movimento No Tav partita dal Comune di Bussoleno e giunta sino al Presidio di San Didero. Oltre a rimarcare un fermo “no” alla realizzazione dell’Alta Velocità, che intende collegare le città di Torino e Lione attraversando la Val di Susa, l’iniziativa ha costituito anche un’occasione di contestazione contro la guerra e le devastazioni ambientali. “Il cambiamento per la giustizia climatica e per la libertà dei popoli può partire solo da noi” afferma con forza il movimento tramite la propria pagina.

Il movimento No Tav è stato caratterizzato sempre più, col passare degli anni, da un impegno attivo in questioni sociali che non riguardano esclusivamente la costruzione della grande opera in Val di Susa, quali per esempio la questione migranti o la tutela dell’ambiente e la lotta alle devastazioni ambientali. Complice di ciò anche la fortissima partecipazione giovanile, che ha fatto della lotta al cambiamento climatico uno dei punti chiave delle contestazioni di questa generazione. In quest’ottica si è svolta, sabato 16 aprile, una marcia che ha percorso la statale 25 dirigendosi dal Comune di Bussoleno al Presidio di San Didero, situato di fronte all’autoporto. All’iniziativa hanno aderito all’incirca 5000 persone tra attivisti e sostenitori, per protestare contro l’insensatezza della guerra in Ucraina, le devastazioni ambientali e il riarmo delle nazioni.

A essere duramente contestata è stata infatti la decisione del Governo Draghi di portare al 2% del PIL la spesa militare in seguito allo scoppio del conflitto. Scelta che, secondo il movimento, non porterà altro se non ulteriore distruzione e morte, mentre il Paese sarà costretto ad affrontare le conseguenze economiche che il conflitto porta con sé. Il contesto di economia di guerra che ne emerge di conseguenza favorisce in maniera esclusiva “le aziende che producono armi, rimpolpando le già ricche tasche delle società energetiche (come ad esempio l’Eni)”.

Ad essere contestate sono state poi le decisioni del Governo di proseguire nella realizzazione di “grandi opere inutili e dannose” come la Tav, che ha permesso la militarizzazione di un’intera valle con spese immense per il controllo poliziesco e le barriere a protezione di cantieri che per lunghissimo tempo sono rimasti inattivi. La vicesindaca di Bussoleno, Cinzia Richetto, ha anche ricordato come Telt (la società costruttrice francese) abbia appaltato la direzione dei lavori di due grandi cantieri direttamente collegati alla costruzione della Tav senza darne alcuna comunicazione ufficiale al Comune di Bussoleno.

Una volta giunta al Presidio No Tav di San Didero, sito di fronte all’autoporto (opera collaterale alla realizzazione dell’Alta Velocità), i manifestanti hanno cominciato a battere contro le recinzioni che circondano la struttura, in segno di protesta.

[di Valeria Casolaro]