domenica 7 Dicembre 2025
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L’Italia manterrà le mascherine a scuola fino a giugno, ma in Europa sono un ricordo

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“È fatto obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo chirurgico, o di maggiore efficacia protettiva, fatta eccezione per i bambini
sino a sei anni di età, per i soggetti con patologie o disabilità incompatibili con l’uso dei predetti dispositivi e per lo svolgimento delle attività sportive”: sono queste le regole a cui dovranno attenersi gli studenti italiani fino alla conclusione dell’anno scolastico secondo quanto previsto dall’ormai noto decreto riaperture, legato al “superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19”. Con ogni probabilità, infatti, nel mentre non vi sarà alcun cambio di rotta rispetto a tali disposizioni, dato che secondo alcune indiscrezioni trapelate le istituzioni preferirebbero restare prudenti e non anticipare la fine dell’utilizzo delle mascherine in classe. In tal senso, in vista della verifica che il governo dovrà fare dopo Pasqua per decidere in quali luoghi al chiuso rimuovere del tutto le mascherine, il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi si sarebbe confrontato con il ministro della Salute Roberto Speranza, e da tale colloquio sarebbe emersa la volontà di non cambiare nulla a riguardo. Una linea estremamente rigida, dunque, che tuttavia a quanto pare è in contrasto con le politiche tendenzialmente perseguite in Europa.

Come denunciato dalla Rete Nazionale Scuola in Presenza, un coordinamento nazionale di comitati composti da genitori ed insegnanti, in molti paesi europei infatti non vi è l’obbligo di indossare la mascherina a scuola, motivo per cui in una lettera indirizzata, tra gli altri, proprio al ministro Speranza ed al ministro Bianchi, l’associazione ha chiesto al governo di “uscire dalla propria posizione di isolamento nelle politiche di gestione del SARS-CoV2 a cominciare dall’utilizzo delle mascherine e del distanziamento in ambito scolastico”. Ad oggi, ha sottolineato infatti Rete Nazionale Scuola in Presenza, pochi Paesi, come Grecia e Portogallo, prevedono l’obbligo di utilizzare le mascherine in ambito scolastico. Diversi, invece, sono i paesi che hanno detto addio alla mascherina in classe, tra cui Belgio, Regno Unito, Olanda e Francia. Certo, come riportato dai quotidiani locali alcune scuole francesi sono tornate a chiedere di utilizzare il dispositivo di protezione in classe, ma si tratta di rare eccezioni essendo l’obbligo di indossare la mascherina stato abolito dal governo per la maggior parte dei luoghi al chiuso, tra cui appunto le scuole.

Ad ogni modo, però, sembra che in Italia le mascherine rimarranno obbligatorie a scuola almeno fino all’ultima campanella dell’anno in corso. Eppure, ci sarebbero anche alcuni esponenti governativi favorevoli alla fine dell’obbligo di indossare la mascherina in classe. «A scuola si può togliere la mascherina, soprattutto durante le lezioni perché abbiamo bambini che sostanzialmente sono distanziati», avrebbe infatti affermato il sottosegretario alla Salute Andrea Costa, la cui indicazione tuttavia, a quanto pare, è destinata a rimanere disattesa.

[di Raffaele De Luca]

La Scozia ha triplicato le sue foreste in un secolo, ora ricoprono il 18% del territorio

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Le foreste scozzesi si stanno espandendo a una velocità vertiginosa. Queste, in un solo secolo, si sono triplicate e il paese ora ha quasi la stessa densità forestale di mille anni fa. In cento anni la foresta in Scozia è cresciuta da circa il 6% a quasi il 18%.

La Scozia è ricoperta da foreste sin dalla fine dell’era glaciale, ovvero circa 11mila anni fa, ma con l’invasione romana dell’Inghilterra, quasi la metà delle foreste scozzesi è andata perduta a causa della deforestazione. Un incremento delle distese verdi si ebbe con la prima guerra mondiale, quando la carenza di molti beni di prima necessità rese chiara l’importanza della piantumazione di alberi. Il paese venne ricoperto di pini, i quali contribuirono a rafforzare la copertura forestale, ma si rivelarono dannosi per la biodiversità. Per questo motivo, a partire dagli anni Ottanta, l’attenzione si spostò sulla piantumazione di alberi autoctoni, fondamentali per l’ecosistema della foresta.

Nel paese nordico il tema della riforestazione è molto sentito, specialmente in relazione alla crisi climatica. Circa l’80% degli scozzesi ha sostenuto il rimboschimento delle Highlands in un sondaggio del 2021 finanziato da Forestry and Land Scotland, il quale ha interrogato mille giovani tra i 18 e i 35 anni. Le Highlands scozzesi ospitano circa 350mila ettari di silvicoltura – quasi il 13,5% della superficie terrestre -, e producono circa 500mila tonnellate di legname all’anno, il quale viene utilizzato in moltissimi ambiti produttivi. Non solo. Nel giugno dello scorso anno, l’amministrazione regionale di Glasgow ha annunciato il progetto di piantare 18 milioni di alberi nel prossimo decennio, al fine di creare vaste foreste urbane al posto di spazi degradati, collegare storiche zone boschive, e contribuire al raggiungimento dell’obiettivo di copertura forestale del 21% entro il 2032.

[di Eugenia Greco]

La NATO pianifica una presenza militare “su larga scala” al confine con la Russia

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Il Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha dichiarato che l’Alleanza «sta lavorando a piani per una presenza militare su vasta scala al suo confine orientale, nel tentativo di combattere future aggressioni russe». L’ipotesi entrerebbe a far parte di un quadro più ampio, quello della riforma dell’Alleanza, che negli ultimi tempi era «nel bel mezzo di una trasformazione». «Oggi siamo di fronte a una nuova realtà, una nuova normalità per la sicurezza europea. Pertanto, abbiamo chiesto ai nostri comandanti militari di fornire diverse opzioni per quello che chiamiamo un reset, un adattamento a lungo termine della NATO», ha poi aggiunto Stoltenberg. In tal senso, risulterà fondamentale l’esito dell’incontro tra i Paesi membri dell’Alleanza previsto a giugno a Madrid, che potrebbe confermare l’indiscrezione e aprire al dispiegamento militare in Europa orientale, in particolare in Polonia e negli Stati baltici.

Stoltenberg ha accolto con favore la decisione di diversi Paesi membri, tra cui l’Italia, di adeguarsi all’aumento delle spese militari concordato nel 2006, ribadendo che la spesa del 2% del Prodotto Interno Lordo (PIL) per la Difesa dovrebbe essere considerata un valore minimo per gli Stati della NATO e non un punto d’arrivo. Così, verrà ben accolto ogni aumento degli investimenti rivolti al settore da parte degli Alleati, anche quelli che «attualmente spendono già più della soglia indicata» (8 su 30 membri). Alle dichiarazioni di Stoltenberg relative a una presenza militare “su larga scala” al confine con la Russia, si affianca un’indiscrezione del Times, secondo cui sarebbe imminente (entro l’estate) l’entrata della Finlandia e della Svezia nell’Alleanza atlantica. Ciò vorrebbe dire estendere il confine NATO-Russia di diverse centinaia di chilometri (la Finlandia condivide con il Paese una frontiera lunga 1.340 km), alimentando le tensioni fra le due forze.

[Di Salvatore Toscano]

Bielorussia, Lukashenko: Minsk sarà sempre con Mosca

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La Bielorussia resterà al fianco della Russia, in qualsiasi modo si evolverà la situazione: è ciò che – secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Tass – avrebbe affermato il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, che ha incontrato il suo omologo russo Vladimir Putin nel cosmodromo di Vostochny, in Russia. «Sappi che non importa quale sarà la situazione, potrai contare sempre sui bielorussi così come i russi potranno contare su di noi, saremo sempre lì», avrebbe precisamente dichiarato Lukashenko in un passaggio del suo colloquio con Putin.

Un italiano racconta le incredibili restrizioni anti-Covid in vigore a Shanghai

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Alessandro Pavanello, un ragazzo di Padova residente da diverso tempo a Shanghai, si trova da tre giorni all’interno di un centro Covid nella metropoli cinese. Attraverso i social fornisce una preziosa quanto ironica testimonianza di cosa significhi trovarsi all’interno di questi enormi centri, pensati per il contenimento della pandemia ma all’interno dei quali le norme igieniche di base vengono del tutto dimenticate. Unica nota positiva: «qui quantomeno abbiamo da mangiare». Le persone rimaste nelle proprie abitazioni, infatti, si trovano nell’impensabile situazione di non riuscire a procurarsi il cibo, perché i negozi sono chiusi e gli addetti al delivery sono sempre meno.

L’ironia come arma per esorcizzare le difficoltà del quotidiano vivere: così Alessandro Pavanello, giovane padovano residente a Shanghai, affronta la quotidianità all’interno di un centro Covid. Attraverso video e foto postate sul proprio profilo Instagram, Alessandro rende partecipe il resto del mondo di cosa significhi vivere in un centro di contenimento della pandemia da Covid in Cina. Shanghai ha infatti recentemente registrato un’impennata nei casi di Covid, motivo per il quale da settimane si è tornati in un regime di lockdown duro. Ma all’atto pratico le misure messe in atto dalle istituzioni governative non sembrano affatto adeguate ad un effettivo contenimento dei contagi.

Il centro in cui Alessandro si trova da tre giorni è una gigantesca ex area expo, al cui interno sono state stipate centinaia di brandine da campo. Le persone vivono in una condizione di totale promiscuità, dove il distanziamento minimo non è garantito e dove non vengono prese nemmeno le precauzioni di base per monitorare e prevenire il contagio. «Ci fanno quasi quotidianamente dei test (oggi, per esempio, non ne abbiamo fatti)» racconta Alessandro, ma «non viene misurata la temperatura» ed è evidente dalle immagini che in molti non dispongono nemmeno delle mascherine chirurgiche. A far da sottofondo quasi continuo vi è il coro di tosse dei contagiati. Nemmeno le norme igieniche di base vengono rispettate adeguatamente: i bagni sono sporchi e non vi sono docce. Per lavarsi vengono forniti una confezione di lozione, una bacinella (da riempire con acqua rigorosamente fredda) e un asciugamano da immergere nell’acqua per strofinare il corpo. I capelli si lavano nel lavandino, sotto il rubinetto.

Alcuni centri, come quello dove è ospite la fidanzata di Alessandro, contengono fino a 5000 persone, motivo per il quale è difficile che tutti riescano a passare per l’iter predefinito corretto. Lei è già sulla lista di coloro che hanno due tamponi negativi e quindi potrebbero uscire, ma ancora non l’hanno lasciata andare. «Appena avrò i due tamponi negativi chiederò immediatamente l’aiuto del Consolato italiano per uscire il prima possibile, ma lei è ucraina e in questo momento difficilmente potrà ricevere lo stesso aiuto». La notte risulta anche difficile dormire, a causa del continuo rumore e del fatto che le luci rimangono costantemente accese. «Dove sta lei è peggio, perché tengono tutte le luci accese sempre. Qui quantomeno ne spengono qualcuna per dormire, anche se non tutte». In giro per la struttura si vede gironzolare anche qualche bambino: fino a un paio di giorni fa li separavano dai genitori in caso di bambini positivi e genitori negativi o viceversa, ma ora hanno smesso, spiega il Alessandro.

Ma vi è un particolare che rende ancora più inquietante la sua testimonianza. Alessandro riferisce infatti che «La cosa che mi ha colpito di più è stato un signore che mi ha detto “qua c’è cibo gratis”. Adesso a Shanghai, fuori da questi centri, è difficilissimo ottenere cibo e acqua. La gente si sta dannando per ottenere delle consegne di cibo, di frutta e verdura, di carne, uova, è quasi impossibile. Appena sono risultato positivo la prima volta, il 28 marzo, mi hanno detto di rimanere in casa. Abbiamo ordinato dalle app di delivery un po’ di scorte di cibo e il governo ha dato al complesso dove vivevamo un sacchetto con delle scorte di frutta e verdura, uova eccetera. Questo solo una volta. Io sono arrivato al 9 aprile che avevo il frigo quasi vuoto, ho dovuto chiedere una mano ai miei vicini che mi hanno dato un pacchetto con un cetriolo, del pane e della frutta secca. Però quando tornerò a casa, se la situazione rimane la stessa, io ho cibo solamente per due o tre giorni».

«Il problema» spiega il ragazzo «è stato che hanno chiuso i negozi e c’erano pochissimi delivery man. Tutto il cibo sta andando verso questi centri qua, la gente fuori non ne riceve. Noi qua viviamo in una situazione un po’ così ma non abbiamo il cibo, la gente fuori vive nel comfort di casa ma non ha il cibo».

In conclusione, Alessandro afferma che «Essendo stati trattati in modo quasi disumano, dal mio punto di vista, la mia percezione della Cina è cambiata totalmente. Noi stiamo cercando un modo di andarcene. I cinesi protestano sì, ma nemmeno troppo. Non danno dimostrazione di volere un cambio. Si lamentano ad alta voce, ma senza quella marcia in più. Nel centro alla fine la gente è tranquilla: loro dicono “Abbiamo un letto, cibo per tre volte al giorno: aspettiamo e poi andiamo a casa”. Per quanto riguarda me, prima o poi questa situazione finirà. Non posso far altro che sedermi e aspettare».

[di Valeria Casolaro]

Putin: “L’obiettivo di proteggere il Donbass verrà raggiunto”

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Putin è tornato a parlare pubblicamente al Cosmodromo di Vostochny, dopo giorni di silenzio, affermando che ciò che la Russia sta facendo è «sia aiutare e salvare le persone nel Donbass sia lavorare per la propria sicurezza». «Ovviamente non avevamo scelta, questa è la decisione giusta» ha detto, sbilanciandosi poi sulle mosse future: «L’obiettivo di proteggere il Donbass verrà raggiunto. Questo è quello che accadrà, non ci sono dubbi. Gli obiettivi sono perfettamente chiari e nobili». Le dichiarazioni si inseriscono in un contesto d’allarme lanciato dall’Ucraina e dalla NATO circa la previsione di “una grande offensiva di Mosca nel Donbass”.

Sui laboratori biologici in Ucraina ci sono troppe domande senza risposta

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La questione dei laboratori biologici ucraini continua a tenere banco con la maggior parte dei media mainstrem che bollano la questione come fake news e complottismo senza alcun reale approfondimento e senza porsi alcuna domanda. Eppure è ormai certo che questi laboratori vi fossero, come per stessa ammissione di Victoria Nuland - Sottosegretario di Stato per gli Affari Politici deli USA - la quale si è detta molto preoccupata circa la possibilità che passassero sotto il controllo russo. Tale preoccupazione, condivisa anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ravvisa il fatto che ...

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Filippine, le forti piogge provocano 25 morti

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Sono almeno 25 le persone vittime delle forti piogge e delle frane causate dalla tempesta tropicale Megi, la prima della stagione a colpire l’arcipelago del sud-est asiatico. Da domenica 10 aprile, il Paese è attraversato da forti venti (fino a 65 km/h) e raffiche (fino a 80 km/h) che, unitamente alla violenza delle piogge, hanno causato morte e devastazione. Alle vittime e ai dispersi si sono aggiunte poi circa 30.000 famiglie costrette a lasciare le proprie case, colpite da frane e inondazioni.

Draghi prepara la stretta sulle acquisizioni delle “imprese strategiche”

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Tra i progetti del Governo Draghi è emersa la volontà di rafforzare il controllo sulle acquisizioni societarie in Italia, attraverso una nuova divisione dedicata a supervisionare le operazioni di fusione che coinvolgono le “imprese strategiche” del Paese. Lo scopo dell’esecutivo è porre una stretta per evitare che società “sensibili” (come quelle operanti nelle telecomunicazioni o nella difesa) possano veder entrare nei consigli di amministrazione (CdA) membri di Stati esteri giudicati pericolosi. Come sottolinea l’Agenzia Reuters, l’azione pare principalmente orientata a contrastare la presenza cinese nelle aziende della terza economia dell’eurozona, in linea con quanto avvenuto lo scorso marzo, quando l’Italia ha annullato la vendita di una società di droni militari (Alpi Aviation) a investitori cinesi.

Sul tema, Enrico Borghi, membro del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (COPASIR) aveva dichiarato che: «Roma dovrebbe creare un organismo simile al Comitato per gli investimenti esteri negli Stati Uniti (CFIUS), che indaga attivamente su qualsiasi accordo di mercato ritenuto di importanza strategica e non solo sulle transazioni notificate». Qualche mese dopo è emersa l’indiscrezione: il Governo prevede di formalizzare entro la fine di maggio nuove regole che porteranno le società coinvolte in beni e servizi “sensibili” a informarlo delle discussioni preliminari con potenziali acquirenti. Si tratta di una misura volta a filtrare la presenza straniera nelle imprese italiane, più volte richiesta dai lavoratori nel corso degli anni ma mai ascoltata. Così, il cambio di direzione dovrebbe arrivare nelle prossime settimane per contrastare l’espansione cinese in Italia, perché evidentemente la semplice tutela dei lavoratori non rappresenta, oggi come in passato, una motivazione altrettanto forte e valida.

[Di Salvatore Toscano]

Italia: armi con i soldi della scuola? Dal DEF scompaiono fondi per l’istruzione

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Nelle scorse settimane il Governo Draghi ha comunicato l’intenzione di aumentare la spesa per la difesa fino al 2% del Pil, con un aggravio stimato in 13 miliardi di euro l’anno. Un risultato ottenibile attraverso due possibili strade: l’innalzamento del debito pubblico o, in alternativa, la sottrazione di tali risorse da altri capitoli di spesa. In attesa che la prossima legge finanziaria faccia luce sulla strada che il Governo intraprenderà, al momento non si può non notare che un primo taglio sostanzioso il governo “dei migliori” lo abbia effettuato alle spese relative all’istruzione. Nel nuovo Documento di economia e finanzia (DEF) recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri, infatti, i fondi stanziati in favore della scuola sono stati ridotti: se oggi l’Italia vi destina il 4,0% del Pil, si passerà al 3,5% entro il 2025.

Dal governo giustificano il taglio come un semplice “razionamento” dovuto al calo demografico. Nel DEF, infatti, si legge che “da tempo le proiezioni ufficiali evidenziano una tendenza generalmente comune, anche se con intensità diverse nei paesi dell’Unione Europea, ad un rapido invecchiamento della popolazione” e che “ciò comporta, in primo luogo, una riduzione significativa della popolazione attiva e un maggiore carico su di essa delle spese di natura sociale”. Di conseguenza sembra che, per far fronte alla probabile diminuzione della popolazione, l’esecutivo abbia deciso di ridurre la spesa riservata all’istruzione.

Tuttavia, ciò che non viene detto nel documento è che l’Italia già negli scorsi anni ha riservato all’istruzione una percentuale di Pil notevolmente minore rispetto alle media europea. Per rendere l’idea, secondo i dati dell’Eurostat (Ufficio statistico dell’Unione europea, nel 2018 con il 3,9 del Pil destinato all’istruzione l’Italia si è classificata a quartultimo posto in Europa. Peggio solo Bulgaria, Irlanda e Romania. La media dei Paesi dell’Unione è del 4,7% di prodotto interno lordo destinato alla scuola, entro il 2025 l’Italia potrebbe collocarsi all’ultimo gradino continentale. Ma ben armata.

[di Raffaele De Luca]