mercoledì 2 Aprile 2025
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Traffico di rifiuti a Milano

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Trenta ordinanze di custodia cautelare sono in corso di esecuzione da parte della Polizia Locale. “Rifiuti preziosi” è l’indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia  e coinvolge il campo nomadi di via Bonfadini, nel capoluogo lombardo. Le ipotesi di reato sono quelle di “estorsione con metodo mafioso, associazione a delinquere per traffico illecito di rifiuti e associazione a delinquere per spaccio di stupefacenti”

I piani europei per il Green Pass erano già pubblici 20 mesi prima della pandemia

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La pandemia da Covid-19 ha portato i governi ad adottare soluzioni per far fronte all’emergenza e cercare di tamponare il contagio, sia in termini numerici sia di espansione geografica. Il Green Pass sembra proprio rispondere a queste esigenze e sarà richiesto per tutti i viaggi internazionali e, in molti paesi, per entrare in negozi, ristoranti, bar, palestre, hotel, teatri, concerti ed eventi sportivi: l’impressione che ci viene fornita è che la misura sia conseguenza diretta della pandemia. Eppure, la pianificazione dei “passaporti vaccinali” è iniziata almeno 20 mesi prima dell’inizio dell’epidemia di COVID-19. Dunque la pandemia non è la causa del “passaporto vaccinale” ma ha convenientemente fornito la giustificazione per la sua introduzione.

Infatti la Commissione europea, già il 26 aprile 2018, aveva prodotto un documento in cui si proponeva per la prima volta l’idea del “pass vaccinale”. L’anno successivo sono stati specificati i piani di proposta per l’attuazione di un documento elettronico utile per i viaggi transfrontalieri, prevedendo di poter legiferare in materia entro il 2022. Nel documento di pianificazione del 2019, uno dei punti chiave sembra essere il supporto ai paesi europei per «contrastare l’esitazione dei vaccini» e si fa specifico riferimento al sostegno per l’autorizzazione di «vaccini innovativi» oltre ad affermare che l’industria farmaceutica ha un ruolo centrale nel soddisfare gli obiettivi descritti nel documento. La tabella di marcia elenca «il miglioramento della capacità produttiva dell’UE» e lo stoccaggio dei vaccini come ulteriori punti d’azione da tenere in seria considerazione.

Si prevede che il mercato totale dei vaccini COVID-19 varrà 100 miliardi di dollari di vendite e 40 miliardi di dollari di profitti netti. Inoltre, le vaccinazioni annuali contro le mutazioni del coronavirus potrebbero aumentare ulteriormente questi numeri, visto che si tratterà di vaccinare centinaia di milioni di persone, se non miliardi, ogni anno e per molti anni a venire.

Il Green Pass, o “passaporto vaccinale”, oltre a porre il problema dei dati medici personali – in un mondo dove ormai la privacy è pura illusione – sembra essere un grande favore a chi fa enormi profitti con i vaccini. Infatti, senza dover mettere alcun obbligo formale al vaccino, il “passaporto vaccinale” forza la mano alle libertà degli individui che si sentirebbero costretti, seppur non obbligati, a vaccinarsi per poter vivere normalmente la propria vita, potendosi così spostare liberamente in altre nazioni oppure, addirittura, all’interno del proprio paese e nei luoghi del proprio vivere quotidiano.

[di Michele Manfrin]

Il governo messicano si scusa con i Maya

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Il governo del Messico ha ufficialmente presentato le sue scuse al popolo indigeno Maya, per i torti commessi contro di loro dopo la conquista spagnola. Le scuse sono state rese su iniziativa del presidente messicano Andrés Manuel López Obrador e del suo omologo guatemalteco Alejandro Giammattei nel comune di Felipe Carrillo Puerto, nello stato sudorientale di Quintana Roo.

Negli Usa offrono di tutto per convincere i cittadini a vaccinarsi

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Dopo i grandi numeri delle scorse settimane, negli Stati Uniti si è verificato un rallentamento della campagna di vaccinazione anti Covid in quanto è notevolmente diminuito il numero di persone che sceglie di sottoporsi al siero. Per questo, diverse aziende ed amministrazioni locali hanno deciso di convincere i cittadini a vaccinarsi tramite offerte materiali di vario tipo tra cui cibo e ricompense in denaro.

La città di Detroit, ad esempio, sta offrendo 50 dollari a coloro che danno ad altri cittadini un passaggio per arrivare nei centri di vaccinazione e, inoltre, a partire da oggi invierà delle persone che busseranno ad ogni porta della città ed aiuteranno i residenti a prenotarsi. Anche lo Stato federato del West Virginia ha scelto di puntare sulle ricompense in denaro: i vaccinati più giovani (tra i 16 e i 35 anni) vengono premiati con un buono da 100 dollari. Nella città di Chicago, invece, i funzionari stanno progettando la costruzione di centri di vaccinazione all’interno dei luoghi dove si svolgono festival e feste con l’obiettivo di fare in modo che chi fa il vaccino potrà andare al concerto o all’evento del caso. Inoltre, i funzionari stanno anche cercando di accordarsi con barbieri e parrucchieri per offrire servizi gratuiti ai vaccinati.

Tra le aziende che hanno aderito alla campagna di promozione c’é la catena Krispy Kreme, che dal 22 marzo sta offrendo una ciambella gratuita al giorno a tutti coloro che mostrano il loro certificato di avvenuta vaccinazione. Anche la Boston Beer Company, società statunitense che produce la birra Samuel Adams, ha deciso di premiare le prime 1000 persone che posteranno sui social la foto dell’inoculazione con una birra gratis. Inoltre in varie città degli Stati Uniti, tra cui New York e Washington, alcuni dispensari di marijuana stanno offrendo spinelli e prodotti a base di cannabis ai cittadini vaccinati, mentre in Alaska la Norton Sound Health Corporation, un’organizzazione sanitaria senza scopo di lucro che gestisce 15 cliniche, ha regalato premi tra cui biglietti aerei e 500 dollari per l’acquisto di generi alimentari o carburante. Infine, il presidente Joe Biden ha annunciato negli scorsi giorni un credito d’imposta per le piccole imprese così da garantire ferie retribuite alle persone che si sottopongono al siero.

La diminuzione delle domande di vaccinazione negli Stati Uniti non era inaspettata, infatti era facilmente prevedibile che ciò sarebbe accaduto dopo che i soggetti più vulnerabili e più desiderosi di vaccinarsi avessero avuto la possibilità di farlo. In tal senso, secondo i dati del Centers for Disease Control and Prevention l’82% delle persone sopra i 65 anni e più della metà degli adulti ha ricevuto almeno una dose, e mentre a metà aprile si è raggiunto il record di sieri somministrati, mediamente 3,2 milioni al giorno, tale numero la scorsa settimana è sceso a 2,5 milioni ed in alcune zone degli Stati Uniti non viene più richiesta al governo la massima fornitura possibile di vaccini.

[di Raffaele De Luca]

Danimarca: stop definitivo al vaccino Johnson & Johnson

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Il vaccino Johnson & Johnson è stato escluso definitivamente dal programma di vaccinazione anti Covid della Danimarca: la decisione è arrivata a causa dei rari casi di trombosi riscontrati in seguito alla somministrazione ed è stata presa nonostante l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) e l’Ema (Agenzia europea per i medicinali) abbiano autorizzato il siero in questione. «I vantaggi dell’utilizzo del vaccino Johnson & Johnson non superano il rischio di causare il possibile effetto avverso», si legge in un comunicato dell’autorità sanitaria danese.

Bangladesh: scontro tra due imbarcazioni, almeno 25 morti

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Almeno 25 persone hanno perso la vita in seguito ad uno scontro tra due imbarcazioni avvenuto questa mattina su un fiume del Bangladesh centrale. La polizia ha infatti riferito che una barca con almeno 30 passeggeri a bordo si è scontrata con un altro natante sul fiume Padma, vicino alla città di Shibchar. «Abbiamo salvato 5 persone e recuperato 25 corpi», ha affermato il capo del dipartimento di sicurezza locale Miraz Hossain.

Turchia, scoperto un antico anfiteatro romano quasi perfettamente conservato

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È stato battezzato il “Colosseo dell’Anatolia” l’anfiteatro riaffiorato sulle colline dell’antica città di Mastaura, vicino alla città di Nazilli, in Turchia. Un complesso monumentale risalente al 200 d.C. circa, quando la dinastia dei Severi governava l’impero (dal 193 al 235 d.C). In quel periodo, grazie all’amministrazione degli ufficiali romani, Mastaura era un centro molto ricco ed economicamente sviluppato, come dimostrato dalle monete del periodo qui ritrovate. L’equipe di archeologi dell’Università di Aydin ha dichiarato l’importanza del rinvenimento, in quanto non è mai stato ritrovato un anfiteatro così ben conservato in Anatolia o dintorni.

Gli anfiteatri erano luoghi progettati per ospitare spettacoli sanguinosi, come i giochi dei gladiatori o le lotte tra questi e animali feroci. Nel “Colosseo dell’Anatolia” infatti, gli esperti hanno identificato aree specializzate, tra cui gli ambienti dove si preparavano i combattenti prima di entrare in scena, ma anche le sale di intrattenimento privato destinate agli spettatori più importanti e rinomati. Inoltre, grazie alla buona conservazione della struttura, sono visibili alcune file di sedili, l’arena dove avvenivano i combattimenti e le mura di sostegno dell’edificio. Considerando che il Colosseo di Roma, l’anfiteatro più grande del mondo, poteva ospitare circa 50mila persone, si comprende quanto l’anfiteatro turco, più piccolo e in grado di accoglierne dalle 15mila alle 20mila, fosse comunque un edificio imponente per una città minore come Mastaura.

La grandiosa scoperta è avvenuta grazie al Ministero della Cultura e del Turismo che, nell’estate del 2020, ha dato l’autorizzazione per iniziare ad attuare ricerche archeologiche nell’antica città. Qui, gli studiosi, dopo aver individuato tracce di muratura in pietra sporgenti dal terreno, hanno deciso di ripulire il sito, ritrovando così l’imponente struttura muraria. Adesso, l’intenzione è quella di preservare l’area, restaurare ciò che risulta particolarmente danneggiato e ricreare, una volta terminati i lavori, una mappa 3D per la comunità accademica.

 

[di Eugenia Greco]

Embraco: arrivate lettere di licenziamento per i 400 dipendenti

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Sono arrivate le prime lettere di licenziamento per i 400 lavoratori dell’ex Embraco di Riva di Chieri, lo hanno riferito gli stessi dipendenti della fabbrica. All’interno delle lettere, scritte in data 30 aprile e firmate dal curatore fallimentare Maurizio Gili, si legge infatti che il licenziamento sarà valido a partire dal 22 luglio e che, in tal senso, la cassa integrazione resterà in vigore fino a tale data. Il licenziamento non era certamente inaspettato: il Primo Maggio, infatti, i lavoratori avevano manifestato per chiedere al governo di affrontare la loro situazione.

Colombia, proteste dopo l’ultima riforma neoliberista: la polizia fa 35 morti

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Da mercoledì 28 aprile 2021, in Colombia si è scatenato uno sciopero generale di proporzioni enormi. La causa scatenante è stata l’introduzione di una riforma tributaria da parte del governo neoliberista di Iván Duque Márquez. Si tratta della terza riforma economica nei tre anni dalla sua elezione. Lo scopo è da una parte aumentare l’IVA e le accise sul carburante e dall’altra estendere la tassa sul reddito anche alle classi più basse e ai pensionati (che precedentemente ne erano esclusi). Queste misure penalizzano gli strati più deboli e indigenti della popolazione colombiana.

Per affrontare la crisi economica causata dal Covid, che ha colpito molto duramente la Colombia, Duque ha deciso di introdurre un apposito fondo di ripresa. Per nutrirlo, però, è andato a pesare particolarmente sulle classi medie e basse. L’aumento dell’IVA introdotto dall’ultima riforma non colpisce infatti né la Chiesa il settore militare le grandi aziende, ma penalizza i cittadini. Ovviamente si tratta di cittadini che hanno già patito per via della pandemia e che ora in nome di questa dovrebbero soffrire ulteriormente: una sorta di circolo vizioso.

La riforma ha scatenato la reazione dei movimenti di base e ampi strati della popolazione: gruppi studenteschi, movimenti sociali, femministe, indigeni. Il 28 aprile soltanto sono scesi in piazza più di 5 milioni di manifestanti, prima solo nella capitale Bogotà e poi, a macchia d’olio, anche nel resto del paese. Gli scontri più duri sono però avvenuti il secondo giorno dello sciopero generale, il 29 aprile, sia a Bogotà che nella città di Cali. I militari hanno risposto alle manifestazioni con il pugno di ferro, arrestando e aggredendo un numero ancora imprecisato di manifestanti (parliamo comunque di diverse centinaia). Secondo un rapporto di Human Rights Watch gli squadroni ESMAD (le forze colombiane anti-sommossa) avrebbero ucciso almeno 35 persone, e a Cali si è registrato anche un episodio di violenza sessuale. Alcuni manifestanti sembrano essere scomparsi.

Lo scenario è quello di una vera e propria guerriglia urbana. Le proteste sono già in partenza piuttosto violente, cariche della frustrazione accumulata dai cittadini, che sono stati sottoposti allo stesso tempo alla pandemia e all’austerità di matrice neoliberista del loro governo. La risposta feroce e repressiva della polizia ha poi esasperato la situazione.

[di Anita Ishaq]

Le infinite bufale dei giornali mainstream sulle proteste No Tav

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Tra gli argomenti che i media mainstream trattano più spesso a sproposito c’è senza dubbio il Tav. Sia per motivazioni politiche che economiche è ormai 20 anni che chiunque desideri farsi un’opinione veritiera e non filtrata su ciò che avviene in Val di Susa deve tenersi alla larga da tutte le Tv e da quasi tutta la stampa italiana, con rare eccezioni. I fatti delle ultime settimane, a cominciare da quanto accaduto alle manifestazioni No Tav del 17 aprile scorso non fa eccezione e, purtroppo, non stupisce. La vicenda di Giovanna Saraceno, attivista gravemente ferita al volto dal lancio di un lacrimogeno da parte della polizia, è stata coperta solo in parte, e narrata in modo da creare un’opinione distorta dei fatti.

Non è difficile leggere articoli che, indirettamente, spingono il lettore a intendere che la versione dei No Tav sia falsa: si sostiene che le forze dell’ordine non hanno lanciato lacrimogeni ad altezza d’uomo. La giovane attivista non è quindi stata colpita al volto da uno di essi, anche perché – secondo le opinioni della Questura, riportate acriticamente dai giornali – le ferite non sarebbero compatibili. Un “buon esempio” di ciò è questo pezzo de il Giornale, ma fatti a fotocopia se ne possono trovare molti altri. Si ospitano le parole di Martina Casel, referente del movimento, ma poi l’articolo cerca di smontarle e subissarle di opinioni (non fatti) che deresponsabilizzano le forze dell’ordine e criminalizzano i manifestanti. Prima fattualmente, dalla ricostruzione della questura: «Si è trattato di trauma da corpo contundente, non provocato da un lacrimogeno, che a distanza di 30-40 metri si sfaldano in dischi di sostanza polverosa di pochi millimetri, che si incendiano e fanno fumo». E poi moralmente, da Silvia Fregolent (Iv), che descrive gli attivisti come «pericolosi» e «senza scrupoli», e le loro attività come «tentativi di omicidio». L’opinione della deputata è non solo senza contraddittorio, ma è inoltre posta a conclusione del pezzo, in modo da chiudere il cerchio. Inutile poi dire che la Fregolet è una politica schierata contro i No Tav, quindi la sua opinione non è esattamente neutrale.

In realtà a supportare la tesi che quel giorno le forze di polizia abbiano sparato lacrimogeni ad altezza d’uomo ci sono due video, diffusi dai No Tav nelle medesime ore in cui anche il Giornale scriveva, ma omessi da molte testate. Il primo documento mostra un agente di polizia nell’atto di puntare il lancia lacrimogeni e sparare ad altezza d’uomo. La manovra risulta chiaramente volontaria. Il secondo, forse anche più importante, riporta una conversazione fra colleghi, uno dei quali afferma distintamente di aver lanciato lacrimogeni in faccia a manifestanti per la strada. A provare che già in passato la polizia abbia lanciato lacrimogeni ad altezza d’uomo, sta anche una sentenza della Corte d’Appello di Torino. E’ emerso in modo inconfutabile che a una manifestazione del 2011, sempre compiuta da No Tav in Val di Susa, le forze dell’ordine hanno compiuto svariati illeciti contro il movimento. Adottarono condotte contrarie ai proprio doveri e, in alcuni casi, altamente pericolose, esplodendo ordigni lacrimogeni con un’angolazione insufficiente, tale che alcuni manifestanti potevano venir colpiti dai bossoli.

Non è tutto, negli stessi giorni i media hanno pubblicato, con grande sensazionalismo, titoli come questi: “No tav, cavi d’acciaio ad altezza d’uomo sulla A32” (Rai News); “Follia No Tav in autostrada: un cavo d’acciaio ad altezza uomo” (Il Giornale); “No Tav, cavo d’acciaio in autostrada: l’ultima follia per bloccare l’A32” (Il Mattino). Un lettore che si fermi ai titoli avrà avuto gioco facile a credere che i No Tav abbiano compiuto una sorta di attentato terroristico, mettendo a rischio la vita degli automobilisti tendendo un cavo d’acciaio in autostrada. Ebbene, in realtà si trattava di una manifestazione durante la quale il traffico autostradale era già stato bloccato e quindi nessuno ha corso alcun pericolo. Ma parlare di una “normale” protesta, seppur radicale, imporrebbe di doversi concentrare anche sulle sue ragioni e spiegarne i perché. Molto più semplice è farlo passare come un gesto folle.

Niente di sorprendente, sono gli stessi media che per anni hanno dipinto l’alta velocità Torino-Lione come un’opera assolutamente necessaria, raccontando che il grosso delle spese per la sua realizzazione era inoltre coperto da fondi europei. A questo punto non dovrebbe sorprendervi sapere che – poche settimane fa – quando si è scoperto che la Francia sta stanziando pochissimi fondi per l’opera (che evidentemente non ritiene così prioritaria) e l’Europa ha dato solo spiccioli, al punto che l’Italia sta coprendo da sola l’82% dei costi, praticamente nessuno tra i media citati abbia dato la notizia.

[Andrea Giustini]