mercoledì 19 Novembre 2025
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Italia: l’esercito chiede al Parlamento di armare i droni

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L’esercito ha chiesto al Parlamento italiano l’autorizzazione ad armare i droni in dotazione, il che vorrebbe dire trasformarli da strumenti di osservazione e ricognizione a vere e proprie armi, dotate di potenza di fuoco. Secondo un’indiscrezione riportata da Il fatto quotidiano, la richiesta sarebbe stata avanzata in via informale dal Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, il generale Luca Goretti, che sin da subito si è mostrato favorevole ad aumentare la spesa per la Difesa fino al 2% del PIL, passando dall’attuale 1,4%. In questo modo, infatti, «si potrebbe invertire una tendenza che negli ultimi venti anni ha visto la riduzione drastica del numero di velivoli in dotazione, facendo avviare l’Italia verso una condizione di svantaggio numerico rispetto ad altri Paesi», ha affermato il generale Goretti.

Per il momento i droni dell’Aeronautica di classe MALE, in grado di volare fino a 15km di altezza con un’autonomia di circa 2000km, sono disarmati. Sul punto si è espresso lo stesso generale Goretti durante un intervento alle commissioni di Camera e Senato: «Vorrei stimolare una nuova riflessione anche in tema di velivoli a pilotaggio remoto, circa l’opportunità di riavviare il processo autorizzativo volto ad armarli, per dotarli finalmente di una componente d’ingaggio al suolo. Questi, qualora l’autorità politica e il Parlamento ne autorizzino successivamente l’uso, potranno essere impiegati con l’obiettivo di ridurre il rischio di perdite di vite umane», nonostante i fatti dicano che i droni armati siano coinvolti nella morte di diversi civili, come nel caso denunciato da Amnesty International della Somalia, dove negli ultimi anni vari attacchi statunitensi effettuati con velivoli a pilotaggio remoto hanno causato decine di vittime fra la popolazione civile.

L’idea di armare i propri droni ha radici profonde, che vanno oltre l’attuale contesto geopolitico dovuto al conflitto fra Ucraina e Russia. Già sul finire dello scorso anno, infatti, il Documento programmatico pluriennale della Difesa per il triennio 2021-2023 annunciava un aggiornamento riguardante i MALE Reaper capace di introdurre “una nuova opzione di protezione sia diretta alle forze sul terreno sia a vantaggio di dispositivi aerei durante operazioni ad elevata intensità/valenza”, lasciando intendere di voler seguire la strada tracciata da altri Paesi, tra cui Stati Uniti, Cina e Turchia, circa l’adozione dei droni armati. Nello stesso periodo si inserisce la richiesta avanzata al Parlamento dallo Stato maggiore, l’insieme degli ufficiali collocati al vertice degli organismi militari più complessi, di poter acquistare gli Hero-30 israeliani, cioè piccoli velivoli a pilotaggio remoto, armati con una testata esplosiva, dunque kamikaze.

[Di Salvatore Toscano]

Crisi Ucraina, Cremlino: Russia non renderà pubblica sua posizione nei negoziati

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Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Interfax, avrebbe affermato che la Russia non sarebbe intenzionata a rendere pubblica la sintesi della sua posizione – ossia dei suoi termini e delle sue condizioni – nei negoziati con l’Ucraina. «Sono ben noti alla parte ucraina», avrebbe a tal proposito dichiarato Peskov, aggiungendo che da quest’ultima sarebbero arrivate alcune risposte ma che la Russia vorrebbe avere «ogni volta risposte più concrete e tempestive».

 

Oggi è la giornata mondiale dell’acqua, un diritto non ancora di tutti

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Oggi, 22 marzo, si celebra la giornata mondiale dell’acqua, istituita nel 1992 dalle Nazioni Unite come risultato della conferenza di Rio. Seppur la percentuale della popolazione mondiale con accesso all’acqua potabile sicura sia cresciuta dal 70 percento (nel 2015) al 74 percento (2020), esistono ancora enormi diseguaglianze. E in quanto l’acqua rappresenta un diritto di tutti, è essenziale trovare soluzioni per colmare tali differenze. Così al trentennale della ricorrenza è stata pubblicata una nuova edizione del Rapporto mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche. Per il 2022, l’attenzione si concentra sulle acque sotterranee. Esse rappresentano il 99 percento, circa, delle acque dolci allo stato liquido della Terra. In quanto distribuite sull’intero pianeta, le acque sotterranee potrebbero rappresentare un’ottima soluzione per la crescente scarsità idrica registrata in diverse parti del mondo. Ecco come il rapporto del 2022 rende chiaro fin dall’inizio l’obiettivo da raggiungere. Da qui il titolo Acque sotterranee: rendere visibile la risorsa invisibile.

Come sottolineato dal rapporto sopracitato, si potrebbe agire sfruttando risorse ancora troppo sottovalutate, che potrebbero invece “Garantire alle società enormi vantaggi sociali, economici e ambientali, anche in relazione all’adattamento ai cambiamenti climatici”. Se dalle acque sotterranee viene già prelevato fino alla metà del volume dei prelievi idrici per uso domestico e circa il 25 percento dei prelievi per l’irrigazione, la gestione di una ricchezza tanto grande è spesso alquanto inadeguata e disattenta. I problemi però non si fermano a una potenziale risorsa non utilizzata propriamente. E non sono solo aree come l’Africa subsahariana, dove 400milioni di persone non hanno accesso ai servizi idrici essenziali, a soffrire di una vera e propria emergenza mondiale. Anche la situazione italiana non è delle più rosee, aggravata quest’anno da svariati disastri ambientali e gravi periodi di siccità. Ma in Italia le difficoltà non nascono solo da agenti “esterni”. Nel Belpaese ogni giorno si consuma quasi il doppio di litri d’acqua rispetto alla media europea ed esistono grandi difficoltà a preservare le risorse idriche territoriali. Nel 2020, il 36,2 percento dell’acqua immessa in rete nei capoluoghi di provincia è andata letteralmente sprecata. Questo perché oltre alla comprovata vetustà delle reti, l’Italia risente di alcuni gravi ritardi nell’adeguamento dei sistemi di fognatura e depurazione. Non a caso il Paese ha subito ben quattro procedure di infrazione per l’inadeguata attuazione alla direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane.

Troppi inghippi infrastrutturali, con dati che rendono tutto ancora più evidente. Una situazione preoccupante, quella dipinta durante la presentazione della monografia del servizio idrico integrato realizzata dalla Fondazione Utilitatis con l’Istat e la Cassa Depositi e Prestiti, il cosiddetto Blue book 2022. La soluzione però si conosce, “basterebbe” mettere mano a una rete idrica che risulta del tutto inadeguata. Se i necessari interventi non verranno attuati, lo spreco delle risorse idriche non subirà mai lo stop di cui necessita e potrebbero verificarsi episodi come quelli avvenuti in ben 11 città dell’Italia meridionale, dove i cittadini hanno vissuto un vero e proprio razionamento della distribuzione dell’acqua. Ciò riporta anche a un’altra grave disuguaglianza interna all’Italia: le aree meridionali si trovano in una condizione peggiore rispetto alle zone centro-settentrionali. Per colmare il divario infrastrutturale del Sud, il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) ha stanziato 4,4 miliardi di euro; non rimane che auspicare in un corretto uso dei fondi. Inoltre, proprio cogliendo l’occasione della giornata mondiale dell’acqua, oggi la campagna Forum dei Movimenti per l’Acqua ha organizzato un evento per dire stop a un pericoloso processo di privatizzazione di servizi pubblici. Visto anche il successo del referendum contro la volontà del Governo di privatizzare l’acqua, sarebbe grave se chi è ai vertici procedesse in una direzione opposta alla volontà dei cittadini italiani.

[di Francesca Naima]

Chiesa Cattolica e pedofilia in Italia: una questione nascosta

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Quello degli abusi sessuali all'interno della Chiesa Cattolica - nonostante la presenza di quest'ultima nel territorio nazionale sia sostanziale - è un tema su cui in Italia non si è finora mai indagato e sul quale, d'altro canto, non si è nemmeno mai tenuto un serio dibattito pubblico e politico. Adesso però, sulla scia di alcune recenti inchieste condotte in altri paesi europei tramite le quali la pedofilia si è confermata essere un fenomeno alquanto diffuso nel clero, anche nel nostro Paese qualcosa inizia a muoversi: la Chiesa, o almeno una parte di essa, sembrerebbe infatti aver aperto la...

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Russia, Navalnyj condannato per “frode su larga scala”

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Frode su larga scala e oltraggio alla corte: di questi due reati è stato riconosciuto colpevole Alexei Navalnyj, dissidente politico russo e principale oppositore del presidente Putin, condannato dalla Corte di Mosca a 9 anni di carcere. L’accusa di frode è riferita alla presunta appropriazione indebita dei fondi della Fondazione Anticorruzione fondata da lui stesso, accusa del tutto inconsistente secondo i suoi difensori. L’accusa aveva chiesto una pena di 13 anni di carcere.

Rai, i giornalisti contro l’azienda: basta alla censura delle notizie da Mosca

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Nei giorni scorsi i corrispondenti esteri della Rai hanno condannato fermamente la decisione della televisione di Stato di sospendere i collegamenti con i suoi inviati da Mosca, non informando così su ciò che accade dall’altra parte del conflitto e mettendo di fatto un bavaglio alla libera informazione. Lo si legge in una nota dell’UsigRai – il sindacato dei giornalisti di viale Mazzini – a firma di Daniele Macheda, Segretario UsigRai, e Rino Pellino, fiduciario Corrispondenti Esteri. Da più di tre settimane, infatti, la Rai – così come Mediaset e Ansa – ha sospeso tutti i servizi giornalistici dalla Federazione Russa: la motivazione addotta dai vertici dell’azienda è quella di tutelare i propri corrispondenti dalla legge recentemente approvata dalla Duma che prevede multe e pene detentive per i giornalisti che diffondono notizie false. Tuttavia, secondo i dipendenti Rai ormai non c’è più motivo di proseguire in questa direzione, in quanto tutti i principali network di comunicazione internazionali sono tornati ad operare regolarmente dalla capitale russa. Nell’incipit della nota si legge, infatti, che “Da quasi tre settimane la Rai non trasmette corrispondenze dalla Federazione Russa. Dopo che le principali televisioni europee hanno ripreso a trasmettere regolarmente da Mosca e anche i maggiori quotidiani italiani informano dalla capitale della Federazione Russa con i loro inviati sul posto, la Rai continua a non informare su cosa accade dall’altra parte del conflitto”.

Secondo i giornalisti si tratterebbe di un vero e proprio bavaglio per impedire che trapelino notizie non gradite all’establishment politico in merito agli eventi che riguardano il conflitto ucraino. La nota, infatti, prosegue asserendo che “Ormai lo stop ai servizi giornalistici dalla sede di Mosca più che di un provvedimento cautelare a tutela dei giornalisti del servizio pubblico, assume la forma di un bavaglio imposto dall’amministratore delegato Carlo Fuortes e dai vertici aziendali su improprie pressioni arrivate dai partiti a danno di uno storico e prestigioso presidio giornalistico della nostra azienda”. In altre parole, stando a quanto riportato nel comunicato, saremmo di fronte ad un atto di censura nei confronti di tutte quelle notizie che potrebbero mettere in discussione la narrazione dominante sul conflitto in corso in Ucraina, divulgata a reti unificate da tutti i media occidentali.

Le prime polemiche in tal senso hanno coinvolto in particolar modo il capo dell’Ufficio di corrispondenza Rai da Mosca, Marc Innaro, il più longevo corrispondente italiano dalla Federazione russa, con una profonda conoscenza del territorio e del contesto geopolitico. A seguito di alcune sue dichiarazioni non in linea con i resoconti sul conflitto in corso divulgati dai media mainstream, infatti, è stato accusato da alcuni esponenti di Pd e FI di essere “filorusso”, con il senatore di FI, Francesco Giro, che ha elogiato il direttore del TG2 Sangiuliano per averlo interrotto in diretta, “chiosando che quelle di Innaro erano cavolate”. Proprio dopo le accuse rivolte all’inviato sono stati sospesi tutti i collegamenti da Mosca e anche in questo caso, i corrispondenti esteri della Rai hanno manifestato in un comunicato piena solidarietà al collega, asserendo che contro Innaro “sono state mosse accuse pretestuose e infondate”.

Lo stesso capo-corrispondente da Mosca, interpellato telefonicamente dall’agenzia AdnKronos, si è espresso sulla decisione della Rai di non riprendere i collegamenti dalla capitale russa: «Io sono a Mosca – ha asserito – e constato che ci sono altre testate internazionali che hanno ricominciato ad operare già da tempo, e sono tantissime, dalla Bbc a France Press, Associated Press, Washington Post, giapponesi, indiani, arabi, cinesi. La Rai no. Per me questo stop è una lacuna grave, anche perché come presidi stabili di corrispondenza della stampa italiana a Mosca siamo rimasti solo in due, la Rai e l’Ansa». Proprio per questo, secondo alcune indiscrezioni, dopo le polemiche interne alla Rai suscitate dall’interruzione dei servizi da Mosca, l’azienda starebbe lavorando per riprendere i collegamenti: lo ha riferito il direttore di Rai Day Time, Antonio Di Bella, durante la trasmissione Mezz’ora in più di ieri domenica 20 marzo. Al momento si tratta comunque di mere ipotesi in quanto non vi è ancora alcuna certezza né comunicazione ufficiale al riguardo.

I giornalisti della Rai insistono, dunque, affinché la Tv pubblica riprenda ad informare, consentendo agli inviati di svolgere il proprio lavoro. Nella stessa nota si legge infatti che i corrispondenti esteri “auspicano che la Rai non ceda a pressioni improprie provenienti dall’esterno. Chiedono che i vertici aziendali tutelino il buon nome dei propri dipendenti e che al più presto la Rai riprenda a informare dalla Russia con i suoi corrispondenti della sede di Mosca – osservatorio strategico come non mai in questo momento storico – e con i suoi inviati sul campo”.

[di Giorgia Audiello]

Discorso di Zelensky a Montecitorio: “servono ulteriori sanzioni”

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Ha avuto inizio poco fa il collegamento in diretta del presidente ucraino Zelensky con le Camere riunite a Montecitorio. Il presidente ha dichiarato che “la guerra è preparata da anni da una sola persona che ha lucrato col gas”, riferendosi a Putin, e che l’Ucraina rappresenta “il cancello per l’Europa”, alludendo ad ulteriori mire del presidente russo nel continente. Per tali ragioni “abbiamo bisogno di ulteriori sanzioni”, sostiene Zelensky, che ha anche richiamato la somiglianza della città di Mariupol con Genova per le dimensioni. Il presidente ha poi ringraziato l’Italia per aver accolto oltre 70 mila profughi ucraini. Assenti in sala i deputati di Alternativa e alcuni tra le file dei 5 Stelle e della Lega.

In Spagna la protesta degli autotrasportatori paralizza il settore del commercio

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Entra oggi nel suo nono giorno la protesta degli autotrasportatori spagnoli che si è diffusa a macchia d’olio in tutta la Spagna paralizzando il settore alimentare e comportando perdite stimate intorno ai 600 milioni di euro. A partire da lunedì 14 marzo gli autotrasportatori hanno infatti cominciato a bloccare le strade in varie province spagnole, principalmente per protestare contro il caro prezzi del carburante, che ha subito un’impennata con lo scoppio della guerra in Ucraina. Nella giornata di ieri, lunedì 21 marzo, anche le associazioni che inizialmente avevano preso le distanze dalle proteste hanno lanciato un ultimatum al governo: o soddisferà le rivendicazioni dei trasportatori o prenderanno anche loro parte agli scioperi.

Da più di una settimana gli autotrasportatori spagnoli paralizzano alcune città e bloccano la distribuzione delle merci. Tra le proprie rivendicazioni, la principale riguarda la proibizione dell’appalto dei servizi di trasporto su strada con stime al di sotto dei costi operativi. In seguito all’aumento del costo del carburante, schizzato alle stelle in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, i trasportatori stanno infatti subendo ingenti perdite. Ciò a cui mirano è il raggiungimento un accordo come quello siglato dall’esecutivo francese, che prevede sussidi ai trasportatori per i prossimi 4 mesi nella misura di 15 centesimi al litro per ogni rifornimento. La misura, secondo quanto richiesto, dovrà avere carattere retroattivo e prevedere sanzioni per il mancato pagamento di queste settimane. Tra le altre misure richieste vi sono anche il divieto di carico e scarico da parte dei camionisti e 400 milioni di euro di aiuti pubblici da distribuirsi tra gli addetti ai lavori in misura differente a seconda della grandezza del mezzo, dai 300 euro ai conduttori di furgoncini ai 1300 euro per coloro alla guida di camion per il trasporto di carichi pesanti.

Inizialmente agli scioperi e ai picchetti aveva aderito solamente la Piattaforma spagnola per la difesa del settore del trasporto merci su strada, mentre le maggiori associazioni del settore, rappresentate dal Comitato Nazionale del Trasporto su Strada (CNTC), ne avevano preso le distanze. Questo perché dopo gli scioperi di Natale la CNTC aveva già negoziato alcune misure con il governo: tra queste, attive dal 17 marzo scorso, vi erano il divieto di carico e scarico da parte degli autisti e l’obbligo di aggiornare le tariffe del trasporto in base alle variazioni del prezzo del carburante. Tuttavia le compensazioni non tengono conto dell’ingente aumento dei prezzi dovuto allo scoppio della guerra tra Ucraina e Russia. Per tale motivo nella giornata di ieri CNTC ha voluto sollecitare azioni concrete da parte del governo lanciando un ultimatum: se gli aiuti diretti per far fronte all’aumento del costo del carburante non arriveranno entro breve anche gli associati di CNTC potranno aggiungersi alle proteste.

Per tale motivo, e in seguito all’infruttuoso incontro tenutosi la scorsa settimana con la ministra dei Trasporti, nella giornata di ieri lunedì 21 marzo le associazioni hanno incontrato la vicepresidente e ministro dell’Economia, Nadia Calviño, e la ministra delle Finanze, María Jesús Montero, per dare il via a una nuova sessione di negoziati. Il Governo si è impegnato a concedere 500 milioni di euro in aiuti diretti per l’acquisto di carburante a partire dal primo di aprile, dopo che la misura sarà resa concreta dal Consiglio dei Ministri del 29 marzo, ma senza applicare riduzioni di IVA. La proposta non ha soddisfatto tutti i gruppi del settore, che l’hanno ritenuta poco concreta, motivo per il quale gli scioperi proseguiranno e vi prenderanno parte anche alcuni gruppi afferenti al CNTC.

Nel frattempo, un comunicato delle associazioni del settore dei consumi stima le perdite legate agli scioperi intorno ai 600 milioni di euro. Nei supermercati alcuni beni di prima necessità, come farina, olio e latte, iniziano a scarseggiare per l’effetto congiunto degli scioperi e della crisi ucraina. Paralizzata anche la distribuzione di automobili, mentre l’Associazione Nazionale delle Stazioni di servizio Automatiche (Aesae) ha fatto sapere che gli scioperi stanno causando la mancanza di carburante in alcune stazioni di rifornimento.

La reazione del governo spagnolo, il quale fatica a mantenere il controllo sulla situazione, è stata di criminalizzare coloro che hanno aderito alle proteste, etichettandoli come violenti dell’estrema destra sostenitori di Putin. Nei giorni scorsi sono stati mobilitati 24 mila membri delle forze dell’ordine per garantire il funzionamento dei trasporti, ma non si è dimostrata una misura sufficiente a porre rimedio alla mancanza di rifornimenti. I negoziati non hanno avuto per ora esito positivo e le proteste minacciano di assumere un carattere ancora più vasto: si vedrà nei prossimi giorni se e in che modo il governo riuscirà a gestire la crisi.

[di Valeria Casolaro]

 

Monthly report: Scuola e formazione, i progetti delle élite contro le lotte studentesce

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Da mesi le mobilitazioni degli studenti in Italia si susseguono. Rigorosamente al riparo dalle strabiche agende dei principali media da ottobre a oggi sono state occupate centinaia di scuole, si sono moltiplicati i cortei di protesta, sono nati decine di collettivi. Una intera generazione spesso ingiustamente additata come impigrita dalla realtà virtuale e poco combattiva sta cercando di prendere in mano il proprio futuro dopo due anni in cui gli è stato ordinato di rimanere chiusa in casa allo scopo di proteggere i nonni. Mentre gli esami di maturità si avvicinano, in questo nuovo numero del monthly report abbiamo deciso di fare luce sul mondo della scuola e dell’università, per capire cosa contesta e cosa chiede quella che passerà alla storia come generazione Dad. Abbiamo incontrato i ragazzi e le ragazze in lotta entrando dentro una scuola occupata a Torino, dando voce a una generazione che come prima cosa – per quanto ingenuamente paradossale possa sembrare – occupando le scuole cerca di riappropriarsi della normalità dello stare insieme tra coetanei, riscoprendo quel mondo fatto di spazi e incontri reali che per troppo tempo gli è stato precluso.

Ma interpretare quanto accade nelle scuole come semplice reazione alla pandemia sarebbe una restrittiva banalizzazione. La generazione Dad è infatti anche la generazione dell’alternanza scuola-lavoro, della competizione insegnata come caposaldo sociale, dell’ideologia dell’efficienza che sta trasformando scuole e università da luogo di formazione di coscienze critiche a luogo di programmazione di forza lavoro formata in base alle esigenze dell’economia. Di neologismo in neologismo la generazione Dad è anche la generazione Ted, nel senso dei nuovi licei per la Transizione Ecologica e Digitale approvati nel silenzio del dibattito pubblico dal governo Draghi. I licei Ted sono i luoghi di formazione pensati al servizio della cosiddetta società 4.0, con tanto di programmi formativi scritti dal personale ministeriale in collaborazione con multinazionali e grandi aziende italiane ed estere. L’ideale approdo finale di 30 anni di riforme che hanno progressivamente posto la formazione al servizio dell’impresa con il beneplacito di tutti i governi, di destra, tecnici e di sinistra. Sono dinamiche che gli studenti hanno colto con molta più lucidità di quanto si potrebbe pensare, ponendole nel mirino delle proteste e chiedendo che la scuola torni ad essere luogo posto al servizio dell’interesse pubblico degli studenti e non di quello privato delle aziende.

Indice:

  • Generazione DAD: cosa rimane dell’apprendimento se si sta soli?
  • Libertà è partecipazione e autogestione: reportage da un liceo occupato
  • I miei 40 anni di insegnamento universitario, cercando di leggere i segni
  • 30 anni di riforme hanno progressivamente posto la scuola italiana al servizio del mercato
  • Nuovi Licei TED: l’Italia progetta la scuola di domani insieme alle multinazionali
  • Cos’è realmente l’alternanza scuola-lavoro (e perché gli studenti vogliono abolirla)
  • Scuola: l’educazione come processo di socializzazione
  • Le scuole differenti: dall’istruzione parentale al metodo Montessori
  • Baby gang: il “mondo di mezzo” dei ragazzini
  • Le gang minorili come fenomeno sociale: intervista al sociologo Franco Prina
  • Arte e moda: l’Italia non forma alle sue eccellenze
  • Educazione civica: dove la scuola si tira indietro
  • Fare come la Francia: Basterebbe poco per migliorare il diritto allo studio
  • Essere e Avere, un film di Nicolas Philibert

Il mensile, in formato PDF, può essere scaricato dagli abbonati a questo link: lindipendente.online/monthly-report/

USA, divieto di viaggio per funzionari cinesi per “atti repressivi”

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Il Dipartimento di Stato statunitense sta imponendo divieti di viaggio ad alcuni funzionari cinesi ritenuti responsabili di repressione nei confronti di minoranze etniche e religiose, giornalisti, difensori dei diritti umani ed esponenti della società civile. I nomi dei funzionari colpiti dal provvedimento non sono stati resi pubblici. La mossa si aggiunge alle restrizioni sui visti già volute da Trump con il pretesto della repressione dei musulmani uiguri da parte della Cina. Le sanzioni arrivano a pochi giorni di distanza dai colloqui tra Biden e Xi Jinping riguardanti la crisi ucraina e le difficili relazioni tra i due Paesi per quanto riguarda i rapporti con Taiwan.