mercoledì 26 Novembre 2025
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Il Senato approva l’aumento delle spese militari con voto di fiducia

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Il Senato ha appena approvato il disegno di legge n. 2562 di conversione del decreto-legge 25 febbraio n. 14, recante “disposizioni urgenti sulla crisi in Ucraina”. La votazione, nominale con appello, è avvenuta nei confronti del testo approvato dalla Camera dei Deputati, sul quale il Governo ha posto la questione di fiducia, la 42°, come dichiarato dalla senatrice Bianca Laura Granato durante la discussione generale precedente alla votazione. Il disegno di legge è stato approvato con 214 favorevoli, 35 contrari e nessun astenuto, su un totale di 249 presenti (su 321 seggi). Il fronte del no, alla cui guida avrebbe dovuto esserci il M5S, si è mostrato poco compatto. Tra le fila dei pentastellati, così come per Forza Italia, si sono registrate diverse assenze, ma nel complesso i partiti si sono allineati alla decisione dell’esecutivo, scongiurando una spaccatura in maggioranza e quindi una crisi di Governo.

Il disegno di legge approvato dal Senato prevede, tra le diverse misure, “la partecipazione di personale militare italiano al potenziamento di dispositivi della NATO sul fianco Est dell’Alleanza fino al 30 settembre 2022”, la cessione di mezzi ed equipaggiamenti militari all’Ucraina a titolo gratuito e l’aumento delle spese militari, presentato tramite ordine del giorno (O.d.G.) lo scorso 16 marzo. L’ultima misura comporta l’allineamento all’accordo informale NATO del 2006 e quindi all’incremento degli investimenti nel settore fino alla soglia del 2% del PIL.

[Di Salvatore Toscano]

 

 

 

Ucraina, cessate il fuoco a Mariupol: partiti 17 autobus per evacuare i civili

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Sono 45 gli autobus predisposti per l’evacuazione della popolazione civile dalla città di Mariupol, dopo che Mosca ha accettato un cessate il fuoco per la giornata di oggi, giovedì 31 marzo, a partire dalle ore 10 locali (le 9 in Italia). Secondo quanto riportato dall’Ansa, la vicepremier Iryna Vereshcuk ha dichiarato che 17 mezzi sono già partiti da Zaporizhzhia, 220 km a nord-ovest di Mariupol. Ulteriori 28 autobus stanno attendendo l’autorizzazione a superare il checkpoint russo di Vasylivka, nei pressi di Zaporizhzhia.

La maggioranza degli italiani dice no alle armi e alla criminalizzazione della Russia

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Nei giorni scorsi diversi sondaggi hanno mostrato una certa lontananza tra la volontà dell’opinione pubblica e le decisioni del Governo Draghi, soprattutto in materia di spese militari e conflitto Russia-Ucraina. Due rilevazioni, realizzate da SWG e EMG su diversi campioni, hanno condotto allo stesso risultato: oltre un italiano su due (54%) è contrario all’aumento delle spese militari, fissato alla soglia del 2% del PIL da un accordo informale NATO. Nel primo sondaggio, il 34% si è dichiarato invece favorevole e il restante 12% si è astenuto. Al contrario, la rilevazione di EMG ha mostrato un equilibrio fra chi accoglierebbe positivamente l’incremento di investimenti nel settore (23%) e chi si è mostrato indeciso (23%).

Nel frattempo, tra il 28 e il 29 marzo la società Izi ha raccolto, su un campione di 1029 intervistati, diversi dati sulle opinioni degli italiani in materia di conflitto in Ucraina, aumento delle spese militari e fiducia nei media. Se da un lato è emerso che il 44,4% degli intervistati non giustifica in alcun modo la Russia, dall’altro è stato rilevato che il 48,9% non criminalizza in modo esclusivo il Paese: una parte (22,1%) “non giustifica la guerra ma afferma che la Russia stia difendendo i propri interessi”, un’altra fetta (18,4%) crede che le responsabilità “vadano attribuite ai due Stati”, e la restante quota (8,4%) afferma che il Paese “sia stato provocato dall’Ucraina e/o dalla NATO e si stia legittimamente difendendo”. Interessante poi il dato sulla fiducia verso i mezzi di informazione “che stanno raccontando e testimoniando gli sviluppi della guerra in Ucraina e la situazione in Russia”: soltanto un intervistato su tredici (7,8%) sostiene che i media stiano facendo un ottimo lavoro e quindi nutre molta fiducia in loro. Quasi un italiano su due (46,3%) fa poco affidamento, o non lo fa affatto, sulle notizie fornite dagli organi di stampa. Inevitabile quando comunicazione a senso unico e fake news fanno parte, quasi quotidianamente, dell’informazione fornita ai lettori.

[Di Salvatore Toscano]

Torino, scarico abusivo di amianto nei boschi: 4 rinvii a giudizio

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Si è conclusa l’inchiesta dei carabinieri forestali di Torino, avviata con la denuncia dei residenti del comune di Canelli, riguardo lo scarico abusivo di lastre in amianto nelle campagne della Valle Belbo, avvenuto in particolare nell’estate 2020. Lo riporta La Stampa, che specifica come per la Direzione distrettuale antimafia di Torino si sia configurato il reato di traffico illecito di rifiuti che ha comportato gravi danni per l’ecosistema, tutelato dall’UNESCO. Il giudice ha disposto il rinvio a giudizio per 4 presunti responsabili: l’ex titolare di un’impresa edile specializzata nella rimozione di tetti in amianto, la proprietaria di un’altra ditta complice nello smaltimento illegale e due autisti dell’azienda. Il processo avrà inizio il 23 giugno prossimo ad Asti.

A chi giova la guerra del gas? Gli USA sono già passati all’incasso

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Lo scorso 25 marzo, in concomitanza con il viaggio in Europa del Presidente americano Joe Biden, Stati Uniti e Unione Europea hanno stretto un accordo bilaterale che prevede l’aumento delle forniture di Gas Naturale Liquefatto (GNL) USA all’UE, con l’obiettivo di ridurre almeno di due terzi entro quest’anno la dipendenza europea dal gas russo. Progressivamente lo scopo sarà quello di ridurre del tutto le importazioni di combustibili fossili da Mosca entro il 2027. Lo scoppio del conflitto russo-ucraino, infatti, insieme alla recente decisione del Cremlino di fare pagare le forniture di metano in rubli ai Paesi europei, ha fatto ulteriormente aumentare il prezzo dell’energia, costringendo Bruxelles a trovare fonti energetiche alternative. L’accordo tra USA e UE prevede, dunque, la creazione di una task force congiunta che lavori per ridurre la dipendenza europea da Mosca, rafforzando la sicurezza energetica del Vecchio continente. Nel dettaglio, Washington si impegnerebbe a fornire ai partner europei 15 miliardi di metri cubi (bcm) ulteriori rispetto a quelli già concordati entro la fine del 2022 e ad esportare 50 bcm annui fino al 2030.

Tuttavia, la sostituzione delle importazioni di gas russo con quello americano non è così semplice, in quanto comporta problemi di natura tecnica, economica e ambientale: in primo luogo, la capacità di esportazione statunitense è già ai suoi massimi e di conseguenza si presenterebbe la necessità di sottrarre alcune forniture a quegli Stati che hanno già sottoscritto contratti con gli USA come ad esempio Giappone e Corea del Sud, alleati di Washington nell’area dell’Indo-pacifico. Ma i problemi più grandi derivano dagli aspetti tecnici e logistici: il GNL è, infatti, metano che viene liquefatto attraverso tecniche di raffreddamento e condensazione e trasportato su apposite navi cisterna: servono, dunque, particolari terminal per il carico e lo scarico delle cisterne e le infrastrutture necessarie per lo stoccaggio e la rigassificazione che consenta di pompare il GNL nei gasdotti tradizionali. Secondo le stime degli esperti, la costruzione di queste infrastrutture richiederebbe dai due ai cinque anni. Un lasso temporale che sicuramente gli Stati UE non possono permettersi. Inoltre, stando a quanto riporta Reuters, gli analisti di ING Bank hanno affermato che anche se l’aumento di 15 bcm fosse raggiungibile nell’arco del 2022, non sarebbe comunque sufficiente “a sostituire le importazioni di gas russe, che ammontavano a circa 155 miliardi di metri cubi nel 2021”.

Svantaggi economici e problemi ambientali

Se, da un lato, le importazioni di metano statunitensi non sono semplici sotto l’aspetto logistico e infrastrutturale, dall’altro non mancano gli svantaggi da un punto di vista economico e ambientale: proprio a causa delle lavorazioni di cui necessita il gas liquefatto – in particolare stoccaggio e rigassificazione – il costo industriale è in media più elevato del gas che arriva tramite i gasdotti dalla Russia come il Nord Stream. Si stima, infatti, che questo processo produttivo sia più costoso di circa il 20% rispetto all’importazione di gas naturale. In Italia, ad esempio, il gas russo viene importato per circa sette dollari per mmBtu (million metric British thermal units), un’unità di misura equivalente al barile per il greggio, mentre – stando a quanto riportato da un articolo del Sole 24 Ore – “il GNL americano costa più dei sette dollari pagati dall’Italia per acquistarlo dalla Russia di almeno un 20%”. A questi costi vanno poi aggiunte le spese per la costruzione di nuove infrastrutture che permettano lo scarico delle cisterne, in vista dell’aumento di importazioni dagli Stati Uniti.

Dal punto di vista ambientale, invece, il metodo di estrazione del gas adottato non è privo di scompensi: gli Stati Uniti, infatti, estraggono il metano dalle rocce argillose – shale gas – considerate giacimenti non convenzionali per la difficoltà di raggiungimento e di estrazione: in questo caso, oltre alle tradizionali trivellazioni verticali, si ricorre anche a quelle orizzontali tramite la tecnica dell’hydrofracking o fratturazione idraulica: quest’ultima consiste nell’iniezione di una soluzione ad alta compressione di acqua e sabbia negli strati rocciosi per spaccarli. In questo modo viene liberato il metano intrappolato che viene raccolto e stoccato. Questa tecnica comporta diversi impatti ambientali negativi: può aumentare il rischio idrogeologico e provocare eventi sismici vicino ai siti di trivellazione. Inoltre, un ulteriore problema è dato dalla contaminazione delle falde acquifere e dalle grandi quantità d’acqua necessarie alla fratturazione. Tutto ciò sicuramente non è in linea con gli obiettivi di transizione ecologica previsti dall’UE e più in generale con gli obiettivi di salvaguardia ambientale.

Geopolitica dell’energia

Il conflitto tra Russia e Ucraina ha solo esasperato una condizione di dipendenza e scarsità energetica che affliggeva l’UE già prima dello scoppio delle ostilità e a cui hanno contribuito in modo determinante gli Stati Uniti: da sempre, infatti, Washington fa pressione su Bruxelles affinché riduca le sue importazioni di petrolio da Mosca e aumenti invece quelle di GNL americano. Già nel dicembre 2021, le esportazioni di gas statunitense verso l’Europa sono aumentate del 37% rispetto al gennaio dello stesso anno. In questo modo gli USA ottengono un doppio vantaggio di tipo economico e geostrategico: sostituiscono le importazioni russe aumentando i ricavi sulla vendita di gas e indeboliscono un potenziale asse tra Russia e Unione Europea e, in particolare, tra Mosca e Berlino, riconducendo il Vecchio continente nell’orbita atlantica sotto l’ala di Washington, anche in vista di un ricompattamento della NATO in funzione antirussa e anticinese. In questa cornice, fin dall’inizio del progetto, gli USA sono stati contrari alla costruzione e all’attivazione del gasdotto Nord Stream2 e già l’amministrazione Trump nel 2019 si era prefissata di aumentare del 50% le esportazioni di metano in Europa, con l’obiettivo di fare concorrenza al gas russo: in particolare, la Germania, che importa la metà del suo fabbisogno energetico dalla Russia, era dovuta scendere a patti con l’amministrazione Trump impegnandosi a realizzare una piattaforma per degassificare il gas liquefatto proveniente da oltreoceano in cambio di un tacito consenso degli USA alla realizzazione, allora già ben avviata, del Nord Stream 2. In realtà, gli americani non hanno mai gradito né accettato realmente la costruzione del gasdotto, sul quale hanno spesso minacciato di imporre sanzioni. Successivamente, sia l’aumento dei prezzi dell’energia prima della crisi ucraina, sia ora il conflitto e le conseguenze provocate dalle sanzioni imposte dalla stessa UE hanno giocato a favore di Washington e ai danni dei Paesi dell’Unione. Se, infatti, Mosca può compensare l’eventuale perdita dei mercati occidentali con gli emergenti mercati orientali – in particolare con India e Cina – e gli USA aumentano i loro guadagni attraverso l’incremento delle esportazioni, l’Unione Europea è l’unica a rimetterci non solo a causa di un aumento considerevole dei prezzi, ma anche a causa di una potenziale impossibilità di approvvigionamento: dal 31 marzo, infatti, Mosca potrebbe sospendere le forniture – che fino ad ora sono avvenute regolarmente – nel caso in cui i Paesi europei non fossero disposti a pagare in rubli e, allo stesso tempo, le esportazioni americane potrebbero non bastare o arrivare solo in parte per via della mancanza di infrastrutture. In questo contesto, da un lato, la stessa Unione Europea ha agito contro i suoi stessi interessi imponendo sanzioni ad un Paese con cui è in strettissimi rapporti commerciali e rinunciando al Nord Stream2, dall’altro Washington ha utilizzato Bruxelles come mezzo per perseguire i suoi interessi di natura geopolitica, compromettendone stabilità e sicurezza energetica.

Un cambio di strategia

Solo un cambio di strategia da parte dell’Europa che riveda la sua posizione nell’ambito dello scacchiere internazionale, dunque, potrebbe modificare lo stato delle cose: l’Unione Europea si configura, infatti, come un’entità di natura strettamente economica e monetaria, sprovvista di una propria politica estera e di un suo ruolo geopolitico strategico, in quanto interamente al traino degli Stati Uniti. Da questa condizione deriva anche la sua mancanza di sicurezza energetica, poiché quest’ultima è strettamente correlata a questioni di politica internazionale su cui Bruxelles ha dimostrato di non avere alcuna autonomia.

L’indipendenza energetica presuppone quella geopolitica, motivo per cui l’UE dovrebbe smarcarsi al più presto dall’influenza di Washington, puntando su una difesa comune e diversificando le fonti energetiche. Le soluzioni possibili, in un continente in grossa parte privo di idrocarburi, sono essenzialmente due: le rinnovabili e il nucleare. Tuttavia, considerati i lunghi tempi di attuazione, sono iniziative che i Paesi del Vecchio continente avrebbero dovuto intraprendere con maggiore rapidità già da tempo, onde evitare di rimanere schiacciati tra Mosca e Washington, innescando una speculazione dei prezzi al rialzo e una potenziale crisi economica e industriale senza precedenti. Infatti, si tratta di misure che permetterebbero di uscire dalla dipendenza energetica non prima del 2025 e sulle quali, in ogni caso, ora più che mai è necessario investire.

[di Giorgia Audiello]

Tunisia, il Presidente scioglie il Parlamento

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Il Presidente della Repubblica tunisina, Kaïs Saïed, ha annunciato lo scioglimento del Parlamento, portando a termine un processo di assunzione di poteri eccezionali, tra cui la possibilità di legiferare, iniziato sette mesi fa con la sospensione dell’organo costituzionale. La decisione è arrivata durante una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale, a poche ore da una riunione virtuale dei deputati (sospesi) che hanno votato l’annullamento delle misure eccezionali decise dal Presidente tunisino il 25 luglio 2021. Secondo Saïed, si è trattato di “un tentativo di colpo di stato”, pertanto ha annunciato
«la dissoluzione dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo per preservare lo Stato e le sue istituzioni e per preservare il popolo tunisino».

Mercoledì 30 marzo

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7.00 – Il ministero della Difesa ucraino definisce «ingannevole» il ritiro annunciato dai russi.

9.23 – La Germania attiva l’allerta per il piano di emergenza energetica.

11.28 – Guardia di Finanza sequestra 5 società che gestivano depositi abusivi di carburante in Puglia e Campania.

12.00 – «Russia e Cina sono una voce unica per la pace e contro le egemonie», lo dichiarano i ministri degli Esteri di Mosca e Pechino dopo incontro bilaterale.

12.14 – La Commissione Europea approva strategia per rendere l’industria della moda ecologicamente sostenibile e socialmente responsabile entro il 2030.

12.50 – Secondo il Cremlino non c’è stata «nessuna svolta promettente» nei colloqui con l’Ucraina.

18.00 – Un’ora di colloquio telefonico tra Draghi e Putin, le fonti governative si limitano a riportare che hanno parlato di gas e trattative di pace, senza specificare dettagli.

18.22 – Il Governo annuncia che sarà posto il voto di fiducia al Senato sul ddl Ucraina, che contiene l’aumento delle spese militari.

18.35 – «Ue deve essere meno tollerante con criptovalute, sono giochi d’azzaro», lo ha affermato il Comitato esecutivo della Bce.

20.13 – Gas: Putin specifica che i clienti europei potranno pagare in euro (anziché in dollari come oggi) a Gazprombank che convertirà il denaro in rubli.

 

 

 

La rivoluzione urbana di Barcellona per una mobilità sostenibile

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Il progetto di pianificazione urbana in atto nella città di Barcellona verrà ampliato a partire da giugno di quest’anno. Spostandosi da est a ovest si vogliono rimodellare 21 strade entro il 2030 così da rispettare il Piano di mobilità urbana 2024. L’intenzione è quella di rendere la città spagnola sempre più sostenibile e vivibile, favorendo la crescita degli spazi verdi e rendendo le strade meno trafficate. Basti pensare che nel caso venga attuata l’implementazione dei 503 superbcocchi di cui si parla in tutta Barcellona, l’aspettativa di vita aumenterebbe in media di circa 200 giorni, vista la diminuzione dei livelli di calore urbano, di inquinamento atmosferico e acustico. I cosiddetti superblocchi sono unità di 400 x 400 m, più grandi di un isolato ma meno estesi di un intero quartiere.

L’ultimo piano relativo all’ampliamento dei superblocks a Barcellona è stato inaugurato nel 2016 con le prime grandi isole pedonali. L’obiettivo fissato era quello di arrivare a 500 nuovi parchi e giardinetti entro una decina di anni e la strada intrapresa pare essere quella giusta. Per il momento infatti, sono stati completati sei superblocchi mentre rimangono in attesa di essere realizzati altri undici.Il piano urbanistico descritto fu pensato originariamente da Salvator Rueda a fine Ottocento ed è stato applicato per la prima volta a partire dal 1996. Il concetto di base è dividere lo spazio urbano in blocchi (superblokcs o superilles in catalano) che sarebbe anche un’ottima soluzione per tanti altri centri urbani. È quel che emerge da un nuovo studio pubblicato su nature.com, in cui si analizzano i risultati dei lavori urbanistici a Barcellona mentre viene dimostrato come più del 40% della rete stradale in diverse città sarebbe potenzialmente adatta a trasformazioni simili ai superblocchi tipici della città spagnola, i quali apporterebbero solo che benefici.

Ora si vuole fare un ulteriore vero e proprio passo avanti, per trasformare la città nella sua interezza e non più “solo” alcuni quartieri. L’esempio di aree come quella di Eixample ha quindi generato risposte talmente positive da spingere l’amministrazione a concentrarsi su altre parti della città, per arrivare a modificarne l’intero assetto. Anche perché Barcellona è una delle città più trafficate d’Europa ma anche assai popolosa, e l’esempio di uno sviluppo urbano in questi termini sta mostrando come tanto i cittadini quanto l’ambiente possano trarne benefici. L’organizzazione urbana attuale si compone di nove blocchi con strade interne in cui è stato applicato un limite di velocità di 10 o 20 km orari. I superblocchi hanno ridefinito la mobilità urbana spostando la ripartizione modale verso il trasporto pubblico, il ciclismo e favorendo i pedoni ma hanno anche l’intenzione di migliorare le infrastrutture verdi urbane e la biodiversità creando corridoi urbani che attraversino la città. Così l’obiettivo è ora quello di implementare continuamente i superbcocchi in tutto il territorio cittadino, trasformando ogni singolo quartiere.

FMI: Nord Africa e Medio Oriente i più colpiti dai disastri ambientali

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La frequenza e la gravità dei disastri legati al clima stanno aumentando più velocemente in Medio Oriente e in Africa settentrionale che in qualsiasi altra parte del mondo. A confermarlo è un nuovo studio del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Secondo i dati raccolti, negli ultimi decenni i disastri climatici nella regione hanno ferito e sfollato sette milioni di persone ogni anno, causando più di 2.600 morti e 2 miliardi di dollari di danni materiali. Inoltre, i dati relativi al secolo scorso mostrano come le temperature nella regione siano aumentate di 1,5 °C, il doppio della media globale.

Le Commissioni del Senato approvano l’aumento delle spese militari senza nemmeno votare

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Gli ordini del giorno (O.d.G.) relativi al decreto Ucraina continuano a destabilizzare la tenuta della maggioranza. Ieri 29 marzo è stato presentato alle Commissioni Esteri e Difesa del Senato l’O.d.G. speculare al documento approvato dalla Camera dei Deputati lo scorso 16 marzo. Ad avanzare il provvedimento è stato Fratelli d’Italia, con prima firmataria la senatrice Isabella Rauti. L’obiettivo è impegnare il governo a dare seguito alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio Mario Draghi circa la «necessità di aumentare le spese per la Difesa, puntando al raggiungimento dell’obiettivo del 2% del PIL». L’ordine del giorno è stato approvato dalle Commissioni del Senato, riunite in seduta congiunta, senza ricorrere al voto dell’Aula, come invece richiesto dal Movimento 5 Stelle e Liberi e Uguali, contrari all’aumento delle spese militari. Tuttavia, il regolamento del Senato disciplina tale circostanza, affermando che soltanto il proponente, in questo caso FdI, può chiedere di porre in votazione l’ordine del giorno. Ciò non è avvenuto e pertanto Roberta Pinetti, Presidente della Commissione Difesa, non ha potuto accogliere la richiesta avanzata da M5S e LeU.

«Siccome per Fratelli d’Italia l’obiettivo politico era stato raggiunto, a conferma del fatto che non era un dispettuccio per mettere in crisi la maggioranza ma la riaffermazione di un principio, abbiamo ritenuto di non chiedere la messa ai voti, richiesta che paradossalmente invece è venuta da alcuni esponenti della maggioranza» ha dichiarato Isabella Rauti al termine della seduta delle due Commissioni. Nelle stesse ore è arrivata la risposta del M5S: “È inaccettabile che il Governo abbia deciso di accogliere l’ordine del giorno di FdI sull’aumento delle spese militari al 2% del Pil entro il 2024 malgrado la forte contrarietà della principale forza di maggioranza“. A dichiararlo in una nota sono stati la vicepresidente del M5S Paola Taverna e i senatori Vito Crimi, Gianluca Ferrara, Ettore Licheri, Andrea Cioffi e Gianluca Castaldi, mentre era in corso l’incontro sul tema tra Giuseppe Conte e Mario Draghi, conclusosi con un nulla di fatto che ha evidenziato come le attuali rotte di M5S e Palazzo Chigi siano in collisione. La linea attuale del Governo è chiara: senza il rispetto dell’impegno con la NATO sugli investimenti militari viene meno il patto di maggioranza. Allo stesso tempo, il partito fondato da Grillo continua a ribadire che l’accordo con l’Alleanza non va messo in discussione (anche perché non rinnegato da Conte nelle sue esperienze da premier) ma deve tener conto delle sopravvenienze avvenute, in riferimento ai due anni di pandemia, al caro energia e alla recessione, di fronte alle quali «non si capisce per quale motivo le priorità debbano essere le spese militari».

Al termine dell’incontro con Giuseppe Conte, Mario Draghi si è poi recato al Quirinale per aggiornare il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella circa gli sviluppi della questione, a dimostrazione di come l’aumento delle spese militari rappresenti un tema cruciale per la tenuta del Governo. Nel frattempo, il Senato sarà chiamato nella giornata di domani a votare sulla conversione in legge del decreto n.14 del 25 febbraio 2022, comunemente denominato decreto Ucraina, integrato con l’ordine del giorno avanzato da Fratelli d’Italia. Sulla conversione, il governo sta valutando di porre l’ennesima questione di fiducia, così come anticipato da Luca Ciriani, esponente di FdI, che nelle scorse ore ha affermato: «Chi voleva il voto dell’O.d.G., adesso si deve chiedere se voterà il decreto o meno in Aula». Dato lo spettro di una spaccatura in maggioranza, «è inevitabile che il governo ponga la questione di fiducia», ha aggiunto poi Ciriani, accennando a una «bella baraonda avvenuta durante i lavori delle due Commissioni».

[Di Salvatore Toscano]