lunedì 15 Dicembre 2025
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Il Libano importava il 90% del grano da Russia e Ucraina, ora è a rischio carestia

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libano crisi pane

Da più di due anni il Libano si trova a fare i conti con una delle più grosse crisi finanziarie mai affrontate nel paese, negli ultimi 10 anni. In questi giorni la situazione è diventata ancora più drammatica, insinuandosi sempre più nel quotidiano della vita dei cittadini: comincia a scarseggiare il pane. Per quale motivo? Manca il grano, conseguenza diretta della guerra tra Russia e Ucraina, che qui sta mostrando, probabilmente più di ogni altro paese, i suoi frutti già maturi. Infatti, una nota pubblicata da Farid Belhadj, vicepresidente della Banca mondiale per la regione del Medio Oriente e del Nord Africa, ha evidenziato che il Libano importa oltre il 90% dei suoi cereali da Ucraina e Russia.

Mentre alcuni panifici si sono già arresi, abbassando definitivamente la saracinesca, altri sono in procinto di farlo, lamentando una penuria di farina tale da non poter più soddisfare il fabbisogno della popolazione. Le scorte, infatti, possono arrivare a coprire la richiesta di pane per soli ulteriori 10 giorni, dopo i quali i granai saranno definitivamente vuoti. Che la situazione sia critica, lo ha confermato anche la Federazione dei sindacati dei mulini e dei fornai del Libano, secondo la quale il paese “è sull’orlo di una crisi dei farinacei dopo che diversi mulini hanno interrotto il loro lavoro”. E quando alla popolazione manca il pane di bocca, non è raro che si verifichino episodi di violenza. Negli scorsi giorni, ad esempio, nella periferia di Beirut una persona è stata ferita da alcune pallottole sparate in coda davanti ad un panificio. Questo episodio potrebbe essere solo il primo di una lunga escalation. Cosa che la classe politica non si augura affatto, viste le imminenti elezioni legislative del 15 maggio prossimo.

Anche se il Ministro dell’Economia Amin Salam continua a ribadire che una soluzione sarà trovata nell’arco di pochissimo tempo (in ore, addirittura), e il Governo ha recentemente previsto l’impiego di 15 milioni di dollari per gli acquisti urgenti di grano, la Banca centrale non avrebbe comunque i fondi necessari per poter pagare a lungo importazioni di grano estero (con i prezzi attuali). Per il Libano la mancanza di pane aggrava ulteriormente una situazione che, secondo l’Onu, vede più di due terzi della popolazione vivere in povertà, con il valore d’acquisto della moneta (la lira) che è praticamente sprofondato nell’arco di due anni (ha perso più del 90%). Eppure, c’era un tempo in cui il Libano si fregiava dell’appellativo di “Svizzera del Medio Oriente”, soprannome guadagnatosi grazie alla prosperità che aveva costruito.

Ad oggi, invece, per il paese sta diventando quindi di vitale importanza rafforzare e incrementare la produzione interna. Proprio lo scorso mese il Consiglio dei ministri del Libano aveva dato il via libera ad un progetto agricolo nazionale, per garantire l’autoproduzione di almeno il 30 per cento del fabbisogno di grano tenero della popolazione locale. Potrebbe tuttavia essere arrivato troppo tardi: quelle che il Libano sta scontando, sono solo le prime conseguenze di una guerra che sta lasciando (e continuerà a farlo) strascichi in tutto il mondo. E se anche il prezzo del grano dovesse scendere o stabilizzarsi, non potremmo dirci salvi: il costo e la reperibilità del pane non dipende solo dalla farina con cui è impastato. Bisogna tener conto del carburante, della logistica, della manodopera…

[di Gloria Ferrari]

Mercoledì 20 aprile

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7.50 – Camorra, maxi operazione a Napoli contro il clan Moccia: 59 arresti.

9.00 – Crolla il settore dell’auto in Europa: vendite al – 18,8% rispetto a un anno fa.

10.00 – Sondaggio Demos: per metà degli italiani l’informazione sulla guerra in Ucraina è distorta e pilotata dai media.

10.30 – Roma: tre ragazzi di “Ultima Generazione” andranno a processo per manifestazione di fronte a sede ENI.

11.20 – Usa, Canada e Regno Unito annunciano nuovo invio di armi all’Ucraina per “difendere il Donbass”.

12.00 – La Corte di Londra emette l’ordine di estradizione negli USA per Julian Assange.

13.40 – Le forze ucraine asserragliate nell’acciaieria di Mariupol respingono l’ultimatum russo.

14.00 – Torino: 22 agenti penitenziari andranno a processo per violenze sui detenuti.

14.10 – Via libera della Camera al DEF: aiuti a famiglie e imprese per 5 miliardi di euro.

15.00 – Netflix perde 200.000 abbonati e il 40% del valore in borsa, trascinando al ribasso il listino Nasdaq.

16.50 – Tennis, al torneo di Wimbledon non potranno partecipare atleti russi e bielorussi.

17.20 – Russia testa missile balistico intercontinentale, Putin: «farà riflettere chi ci minaccia».

 

Covid: le associazioni di medici chiedono un dibattito sul ruolo dell’Ordine

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Lo scorso 11 aprile si è tenuta l’assemblea dell’Ordine dei Medici di Torino per l’approvazione del bilancio consuntivo annuale: quest’ultimo, però, è stato sorprendentemente bocciato grazie all’opposizione di 126 medici, che hanno espresso voto contrario. Una vera e propria mossa strategica che di certo non è stata fine a se stessa, essendo in realtà servita ad esternare quello che è un disagio diffuso all’interno della classe medica. Ad essersi schierati contro l’approvazione del bilancio, infatti, sono stati medici sia vaccinati che non vaccinati, e dunque sia in attività che sospesi, che ritengono si debba dare vita ad una discussione sul ruolo del medico e dell’Ordine dei Medici nella cura dei pazienti, il quale “negli anni e soprattutto con la pandemia è stato fortemente modificato e influenzato dalle politiche governative”. A sottolinearlo è un documento, redatto dalla dott.ssa Rossana Becarelli e dal professor Ciro Isidoro, a nome dei medici torinesi che hanno bocciato il bilancio ed in rappresentanza delle Associazioni di professionisti di area medica e cittadini tra cui ContiamoCi!, Società Italiana di Medicina, ed Eunomis. All’interno dello stesso, infatti, viene specificato che i 126 medici di Torino non sono soli, bensì “si muovono in modo coordinato e organizzato all’interno di varie associazioni di professionisti dell’area medica che includono anche altri operatori della sanità”, tra cui quelle sopracitate.

“I medici di Torino non sono No Vax: sono professionisti seri e responsabili che difendono l’etica del loro ruolo, l’indipendenza della professione e il fondamentale principio di autodeterminazione“, si legge poi nel documento, nel quale si sottolinea che però “questi sanitari, in prima linea nel 2020, molto spesso anche guariti dall’infezione, non possono più lavorare se non si sottopongono al vaccino”. Tuttavia si tratta – precisano gli autori del testo – di un vaccino che “presenta molte incognite e ci obbliga ad una riflessione sul reale rapporto beneficio/rischio di una campagna vaccinale di massa” nonché “ad una accurata valutazione personalizzata dell’effettiva utilità della vaccinazione caso per caso”. È dunque evidente che per assolvere al compito fondamentale della professione medica – ovverosia quello di curare i pazienti in scienza e coscienza – quest’ultima debba assolutamente essere autonoma ed indipendente, e quindi per forza di cose “libera da conflitti di interesse tanto quanto da coercizioni e ricatti”. È questa la convinzione dei “Medici per la Medicina Umanistica”, denominatisi in tal modo proprio poiché aventi l’obiettivo di recuperare la dimensione umanistica della medicina. Per farlo, però, c’è bisogno di smuovere l’Ordine, che dovrebbe aprire un “dibattito franco ed approfondito” su diversi temi.

Nello specifico, la discussione dovrebbe riguardare innanzitutto il “ruolo autonomo e indipendente” che l’Ordine dovrebbe “riaffermare in contrasto con la posizione subalterna alla politica subita nel corso della recente pandemia a detrimento e mortificazione della posizione lavorativa e di ruolo professionale dei propri iscritti”. Inoltre, dovrebbe avere ad oggetto gli “effetti e le conseguenze della politica sanitaria condotta in Italia per il contenimento della pandemia”, le “terapie domiciliari precoci”, “l’efficacia e la sicurezza dei vaccini in commercio”, “tutte le prove scientifiche relative a tali punti”, “l’informazione corretta e realmente trasparente da fornire alla popolazione a tutela della sua salute” e “la formazione agli iscritti in base a quanto emerso dai punti precedenti”. Infine, l’Ordine dovrebbe assumere pienamente la propria funzione di rappresentanza di tutta la categoria medica ed intervenire in ogni sede istituzionale per discutere “dell’opportunità della sospensione di medici in un momento di particolare emergenza sanitaria e di ingravescente decurtazione degli organici” e “degli investimenti finanziari indispensabili per garantire un servizio efficiente al paziente”. Sono queste, dunque, le rivendicazioni dei Medici per la Medicina Umanistica, i quali ritengono che in tal modo verrebbe perseguito l’intento comune: “ristabilire una medicina umanistica per la salute degli individui e della comunità”.

[di Raffaele De Luca]

Russia, testato nuovo missile intercontinentale

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La Russia ha dichiarato di aver testato il suo nuovo missile balistico intercontinentale Sarmat, definito dal presidente Vladimir Putin come «un’arma che fornirà spunti di riflessione a coloro che minacciano la Russia». Successivamente, Putin ha ordinato al governo di preparare entro il primo giugno una strategia per rispondere, nell’ambito dell’Organizzazione per il commercio internazionale (WTO), alle sanzioni occidentali, che ha definito «illegittime e contrarie ai principi dell’Organizzazione». Infine, il presidente russo è apparso sui canali televisivi del Paese mentre veniva informato dai militari circa il lancio del missile da Plesetsk, nel nord-ovest della Russia, che ha successivamente colpito obiettivi nella penisola di Kamchatka in lontananza.

Il Messico si oppone alle multinazionali nazionalizzando il litio

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Il Parlamento messicano ha approvato una legge di iniziativa presidenziale che stabilisce la nazionalizzazione del litio, metallo prezioso utilizzato nella produzione di batterie di cellulari e auto elettriche. All’interno della misura, approvata con 298 voti favorevoli e 197 astensioni, è previsto l’affidamento della risorsa a un’impresa pubblica, il che ha scatenato diverse proteste da parte di investitori privati ed esperti. «Nel Paese esistono già concessioni minerarie a società private, tra cui le imprese straniere dedicate allo sfruttamento delle miniere che possiedono vari depositi di questo metallo prezioso», ha dichiarato in un’intervista a El Universal Juan Carlos Machorro, dell’azienda Santamarina + Steta.

Negli ultimi anni, la transizione verso l’elettrico ha puntato i riflettori sul litio, elemento cruciale in questo settore. Il Messico ha deciso di giocare d’anticipo per evitare di vivere un secondo periodo di sfruttamento, come accaduto in passato quando le sue riserve fossili sono finite nelle mani delle multinazionali, ottenendo in cambio ridotte percentuali sui profitti. Il 17 aprile scorso, il Presidente Andrés Manuel López Obrador ha avanzato anche una modifica nei confronti della legge costituzionale che regola le attività del settore elettrico, ottenendo però una bocciatura. Visto il rango della norma, Obrador avrebbe dovuto ottenere infatti una maggioranza di due terzi, quindi 332 voti. La riforma si è fermata a 275 consensi e così il ritorno della maggioranza (53%) di questo settore industriale nelle mani della Commissione federale dell’elettricità (CFE), un organismo pubblico, non avverrà, confermando invece l’ingerenza delle imprese private e straniere. Lo scopo della legge approvata, nonché di quella che non ha raggiunto il quorum, è chiaro: garantire l’autodeterminazione dello Stato e ribadire la propria sovranità energetica, cruciale per lo sviluppo indipendente di un Paese. Tuttavia, José Jaime Gutiérrez Núñez, Presidente della Camera mineraria del Messico (CAMIMEX), ha affermato che la Costituzione considera i minerali come proprietà della nazione e quindi «devono essere utilizzati nell’ambito di uno schema trasparente di concessioni che generano assistenza sociale al Paese», ritenendo incongrua e non necessaria la nazionalizzazione.

È evidente come gli interessi in gioco siano alti, racchiusi tra due posizioni differenti e distanti: chi vuole spingere sulle concessioni e privatizzazioni e chi, invece, vuole ribadire la sovranità del Paese, consapevole di come la presenza delle multinazionali possa influenzare la vita di uno Stato, soprattutto in America del Sud. Si pensi al golpe in Guatemala del 1954 o a quello più recente della Bolivia, dove nel 2019 il socialista Evo Morales si è dimesso su invito delle forze armate e polizia. Diversi analisti sostengono che alla base del colpo di Stato ci fossero gli interessi economici, in particolare il controllo dei giacimenti di litio che iniziavano a far gola a livello mondiale. Dal 2021 a oggi, il prezzo del minerale è aumentato del 157%, con previsioni a rialzo, visto i diversi dubbi sulla capacità da parte dell’offerta di soddisfare la domanda prevista per il 2030: circa 2 milioni di tonnellate. Di questi, 1.6 milioni saranno probabilmente destinati alla produzione di batterie di dispositivi elettrici. Si spiegano, dunque, le preoccupazioni delle aziende attive in questo campo, una su tutte Tesla, in vista di una nazionalizzazione del litio in Messico, dove tra le diverse imprese opera una società mineraria di capitale cinese e inglese, il cui 50% della produzione viene destinato proprio all’azienda statunitense. Secondo diverse stime, la miniera in gestione alla società straniera avrebbe una riserva di circa 243 milioni di tonnellate di minerali, tra cui ovviamente il litio.

[Di Salvatore Toscano]

Pechino a Usa: Taiwan fa parte della Cina e nessuno può cambiarlo

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Taiwan fa parte della Cina e nessuno può cambiarlo: è ciò che, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Reuters, avrebbe affermato nella giornata di oggi il ministro della Difesa cinese Wei Fenghe durante un colloquio telefonico avuto con il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin. “Se la questione di Taiwan non fosse gestita correttamente, vi sarebbe un impatto dannoso sulle relazioni tra Cina e Stati Uniti”, avrebbe inoltre aggiunto a tal proposito Wei Fenghe.

Il Governo italiano vara l'”operazione termostato”

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Dal primo maggio scatterà il piano del Governo Draghi per tagliare i consumi dell’elettricità e del gas, in quella che è stata prontamente ribattezzata “operazione termostato”. L’obiettivo dichiarato è risparmiare 4 miliardi di metri cubi di gas soltanto nel 2022, attraverso l’abbassamento della temperatura negli edifici pubblici e la riduzione dell’uso dei condizionatori per diminuire la dipendenza energetica dalla Russia. La stretta sui consumi, in vigore fino al 31 marzo 2023, non riguarderà (almeno per ora) le abitazioni private, nonostante la volontà in tal senso di una parte del Governo che lascia non poche perplessità sui modi in cui avverrebbe il controllo del rispetto delle misure.

Negli edifici pubblici, tra cui le scuole, la temperatura non dovrà superare i 19 gradi in inverno e non dovrà scendere al di sotto dei 27 gradi in estate, con un “margine di tolleranza” di due gradi. Sono previsti dei controlli ma la disposizione non ne chiarisce i dettagli: ciò che è certo è che in caso di violazione delle regole su termosifoni e aria condizionata si rischieranno multe da 500 a 3.000 euro. L’emendamento al decreto bollette, avanzato dal M5S e approvato dalle Commissioni Ambiente e Attività produttive, non avrà validità nelle cliniche, negli ospedali e nelle case di cure, oltre alle abitazioni private. Attualmente, quest’ultime fanno riferimento infatti a delle raccomandazioni (non vincolanti) disposte dagli enti minori che in linea di massima prevedono di non superare in inverno la temperatura interna di 20 gradi, con l’accensione dei termosifoni prevista in fasce specifiche a seconda delle regioni: si va dal 15 ottobre per quelle più fredde al primo dicembre per quelle più calde.

[Di Salvatore Toscano]

L’inutilità dell’Europa di fronte a una guerra europea

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La posizione che l’Unione Europea ha assunto all’interno del conflitto russo-ucraino è caratterizzata da un palese allineamento alla volontà e alle strategie degli alleati d’oltreoceano: le decisioni di natura geopolitica assunte da Bruxelles, infatti, rafforzano e ricalcano fedelmente i piani di Washington per il “contenimento” e l’indebolimento della Russia in un’area considerata strategica per il mantenimento del primato economico e geopolitico mondiale. I Paesi europei – le cui uniche eccezioni sono costituite da Serbia e Ungheria – hanno deciso di sacrificarsi per difendere ciò che resta ...

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Torino: a processo 22 agenti per violenze carceri

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È stato disposto il processo per i 22 agenti della polizia penitenziaria indagati nell’inchiesta sulle presunte torture avvenute all’interno della casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino, definita come “uno degli istituti italiani più difficili” dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia, lo scorso marzo. L’inchiesta, coordinata dal pm Francesco Pelosi, era stata sollecitata da diverse segnalazioni del garante comunale dei detenuti Monica Gallo. Tra gli indagati, appaiono l’ex direttore della casa circondariale Domenico Minervini, rimosso dall’incarico dopo l’apertura dell’inchiesta, e l’ex comandante Giovanni Battista Alberotanza. Entrambi, accusati di favoreggiamento e omessa denuncia, hanno scelto il rito abbreviato.

L’interessata battaglia “pacifista” degli USA contro le armi antisatellitari

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Fa strano pensare che gli USA si facciano promotori di un’iniziativa di smilitarizzazione, eppure la Vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris ha rivelato al mondo intero che gli Stati Uniti cesseranno ogni test relativo alle armi missilistiche antisatellitari (ASAT). Non solo, la diplomatica ha chiesto che le nazioni tutte si impegnino a discutere nuove leggi atte a imporre un «comportamento responsabile nello spazio». Sebbene il ridimensionamento della corsa alle armi sia sempre da accogliere a braccia aperte, sarebbe però ingenuo leggere le mosse di Washington come un atto pacifista dettato da meri scrupoli di coscienza.

Facciamo un passo indietro. Nel novembre del 2021 il Cremlino ha lanciato nello spazio un ordigno puntato in direzione di un satellite dell’era sovietica, ormai obsoleto. Nonostante Mosca abbia offerto rassicurazioni asserendo che l’operazione fosse comparabile a un servizio di rottamazione, la manovra si è prestata a una lettura cupamente bellica, assumendo le sembianze di una prova di forza. Pur sorvolando sulla prospettiva puramente politica dell’accadimento, l’episodio ha però ricordato agli osservatori le insidie a cui si legano i missili ASAT, armi il cui uso è apertamente criticato dagli Stati Uniti, dalla NATO e dall’Unione Europea. Per quanto l’idea ufficialmente espressa dalla Russia fosse infatti quella di frammentare lo strumento in pezzi che sarebbero poi dovuti poi ricadere sulla Terra incenerendo nell’atmosfera, l’impatto ha nondimeno generato detriti che sono rimasti in orbita – almeno 1.500, denunciano gli USA – e che rappresentano ora una minaccia concreta all’attività umana nello spazio.

L’orbita terrestre bassa, quella più sfruttata, è ormai sempre più popolata da satelliti e ciarpame di varia natura, con il risultato che ogni singolo oggetto privo di controllo, per quanto minuscolo, può trasformarsi in un proiettile vagante capace di causare danni immensi, danni che a loro volta possono dar vita a nuovi detriti in un circolo vizioso che, nel peggiore dei casi, potrebbe obbligarci a dire addio ai viaggi spaziali, e ai servizi satellitari, riportandoci tecnologicamente ai tempi della SIP. Al pari delle testate nucleari, anche gli ASAT vengono dunque considerati un pericoloso deterrente, più che un’arma vera e propria, tuttavia questa consapevolezza non aiuta a dormire sonni tranquilli.

Quello che non ha esplicitato Harris è il fatto che l’esopolitca sia incastrata in una fase di stallo in cui le varie parti si bilanciano asimmetricamente per assicurarsi che sia preservato lo status quo. Gli USA hanno istituito un esteso network satellitare, militare e commerciale, tuttavia il dominio spaziale statunitense viene tenuto in scacco dal fatto che Cina e Russia, sostiene l’Intelligence americana, abbiano sviluppato gli ASAT al punto di raggiungere la capacità operativa iniziale (IOC). Normare i missili antisatellitari, quindi, non contribuirebbe troppo ad attenuare la militarizzazione dello spazio, piuttosto impedirebbe agli avversari di Washington di fare affidamento su una leva politica molto potente e relativamente accessibile.

Approfittando del legittimo orrore umano rappresentato dalla guerra, gli Stati Uniti stanno spingendo perché tutti gli alleati si impegnino a «mettere pressioni» su Cina e Russia, così che le due nazioni si trovino costrette a seguire l’esempio americano o a essere etichettate «come coloro che potranno potenzialmente causare futuri incidenti legati ai detriti, i quali finiranno con il danneggiare tutti». Una pretesa corretta, ma che dovrebbe essere bilanciata da una regolamentazione altrettanto rigida della militarizzazione orbitale, così che l’intervento sia mirato a garantire un equilibrio pacifico e non all’istituzione di un ennesimo monopolio americano.

[di Walter Ferri]