Il nuovo premier francese è il politico centrista François Bayrou. Lo ha reso noto il presidente Emmanuel Macron, che stamani aveva avuto con il leader del MoDem, principale forza politica di centro, un colloquio di quasi due ore. Bayrou subentra al gollista Michel Barnier, che lo scorso settembre era stato nominato dal presidente francese alla guida del governo ed è stato sfiduciato in Parlamento ad appena tre mesi dal suo insediamento. Bayrou avrà il difficile compito di formare un esecutivo in grado di sopravvivere a una Assemblea nazionale senza maggioranza.
Il Word Economic Forum indica Israele come esempio del “grande reset alimentare”
Il World Economic Forum (WEF), la potente organizzazione dell’élite finanziaria globale che ogni anno si riunisce a Davos influenzando le decisioni dei governi, ha individuato in Israele il capofila di quella trasformazione alimentare all’insegna delle proteine alternative che costituisce uno dei capisaldi dei progetti del WEF per il mondo del futuro, sempre più digitalizzato e dominato dalle tecnologie della Quarta rivoluzione industriale. Se quest’ultima, con le sue tecnologie “futuristiche” (intelligenza artificiale, nanotecnologie, biotecnologie, l’Internet delle cose (IoT)), promette un grande reset socioculturale, lavorativo e antropologico, il nascente mercanto delle proteine alternative – che per ora stenta a decollare – è la chiave del grande reset alimentare che, secondo i sacerdoti di Davos, sarebbe indispensabile per fermare il riscaldamento globale e garantire “la sicurezza alimentare”. “Guardando al 2030, la produzione di proteine alternative rappresenta un’opportunità significativa per migliorare la sostenibilità e la circolarità all’interno della filiera alimentare”, si legge nel report del WEF intitolato “Creating a Vibrant Food Innovation Ecosystem”. In quanto Nazione all’avanguardia in questo settore, secondo il rapporto, “Esaminando Israele come caso di studio, si possono identificare spunti più ampi che altri paesi possono seguire, utilizzando risorse locali e sottolineando l’importanza della collaborazione internazionale in questo settore per dare forma al futuro del cibo”.
Israele risulta il più grande investitore globale in proteine alternative – ottenute attraverso tre tecnologie: carne coltivata in laboratorio, derivata dalle piante e fermentata – dopo gli Stati Uniti: Tel Aviv, infatti, nel 2023 ha speso ben 1,2 miliardi di dollari in questo campo, dietro solo a Washington con un investimento di 10,2 miliardi di dollari. Il mix vincente di Israele è costituito da una stretta sinergia tra conoscenze accademiche multidisciplinari, un ambiente imprenditoriale dinamico e propenso al rischio e un coinvolgimento attivo del settore pubblico. Secondo il WEF, infatti, i governi hanno un ruolo fondamentale in questa svolta verso il “cibo del futuro”. Nello Stato ebraico, ci sono più di 70 ricercatori che lavorano allo sviluppo di proteine alternative, oltre a più di 300 scienziati che lavorano in settori paralleli, quali biotecnologie, microbiologia e prodotti farmaceutici. L’Università di Hebron e il Volcani Center (il centro nazionale di ricerca e sviluppo agricolo di Israele) sono le istituzioni con il più alto numero di progetti sulle proteine alternative del Paese. «La leadership di Israele nelle proteine alternative è una testimonianza dell’impegno dell’Innovation Authority (Autorità dell’Innovazione) per l’innovazione nel settore alimentare. Oltre il 75% degli investimenti dell’Authority in tecnologie alimentari è indirizzato verso tecnologie profonde ad alto rischio. Consentiamo lo sviluppo di settori verticali di crescita come incubatori alimentari e consorzi collaborativi quali il Cultivated Meat Consortium, nonché il finanziamento diretto di aziende, dalle start-up in fase iniziale fino alle aziende mature con linee di produzione», ha affermato Ronit Eshel, capo dell’Innovation Authority di israele.
Nel 2023, in Israele, si è registrato un record di 15 nuove start-up nel settore delle proteine alternative, dedicate allo sviluppo di tutte e tre le tecnologie (carni coltivate, vegetali e fermentate). A partire da gennaio 2024, invece, Israele ha 73 start-up attive solo in questo settore e più di 200 start-up nelle tecnologie alimentari nel loro complesso. Secondo l’amministratore delegato (Ad) del Good Food Institute di Israele, Nir Goldstein, «I sistemi alimentari globali affrontano sfide immense, dai fallimenti nella filiera alimentare globale ai declini macroeconomici e alle tensioni geopolitiche che sottolineano la necessità di soluzioni trasformative. Il raggiungimento di zero emissioni nette e la creazione di sistemi alimentari resilienti richiedono l’adozione diffusa di tecnologie proteiche innovative e l’ecosistema israeliano sta tracciando la strada». Secondo il WEF per affermare il grande reset alimentare c’è ancora molta strada da fare, in quanto molte nazioni non stanno investendo in questo settore: “per accelerare la transizione proteica alla scala e al ritmo richiesti sono necessari livelli molto più alti d’investimento”. Come esempi di Stati “virtuosi” che si stanno muovendo in questa direzione, il rapporto dell’organizzazione di Davos cita Danimarca, Singapore e Paesi Bassi. A livello d’investimenti, dopo Stati Uniti e Israele si collocano Svezia, Regno Unito, Cile, Australia, Francia, Singapore, Paesi Bassi e Cina.
Il progetto del Grande Reset – un piano proposto dal fondatore del WEF, l’ingegnere ed economista tedesco Klaus Schwab, e dall’allora Principe del Galles, ora re Carlo III, nel maggio 2020 – nella sua versione alimentare mira a ridurre anche l’agricoltura e il cibo a entità artificiali create in laboratorio e controllate dall’uomo stesso. Quest’ultimo, oltre a voler essere artefice di se stesso (transumanesimo), punta inevitabilmente a voler controllare anche l’alimentazione, nella sua versione artificiale, lontana dai criteri di produzione naturali. Il rischio è quello di un accentramento sempre più esclusivo della produzione alimentare nelle mani di poche multinazionali, a causa degli alti costi di produzione e delle tecnologie necessarie per sviluppare le proteine alternative. Allo stesso tempo, gli eventuali rischi per la salute connessi a questo tipo di tecnologie alimentari non sono presi in considerazione. In questo contesto, grazie alla sua superiorità tecnologica e alla visione di vedute comune con il WEF, Israele viene indicato come esempio virtuoso, mentre gli adepti del circolo di Davos ignorano completamente la strage che sta perpetrando a Gaza, dove i palestinesi soffrono una grave carestia alimentare ormai da più di un anno.
[di Giorgia Audiello]
NAS, controlli su B&B: irregolare 1 su 5
In tutta Italia i Nas dei Carabinieri hanno svolto controlli sui Bed and Breakfast, anche in vista del Giubileo, riscontrando irregolarità in una struttura su 5. Ad alzare la media è proprio la città di Roma, in cui sono fuori regola 7 B&B su 30 verificati. Su oltre mille strutture ricettive controllate, ne risultano irregolari 200 per autorizzazioni, aumento della capacità ricettiva, carenze igienico-sanitarie e violazioni in materia di sicurezza. Dieci le strutture sequestrate o sospese, per un valore di 3,5 milioni. Tra i sequestri, nella provincia di Pescara, c’è anche un B&B totalmente abusivo allestito in un garage di un’abitazione privata.
Ucraina, dagli USA altri 500 milioni di aiuti
Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha approvato un nuovo pacchetto di assistenza alla sicurezza e alla difesa per l’Ucraina, che comprende ulteriori sistemi di difesa aerea, capacità di artiglieria e altri armamenti per un totale di 500 milioni di dollari. A renderlo noto è stato il portavoce del Consiglio sulla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, John Kirby. «Nell’ambito dell’aumento degli aiuti alla sicurezza annunciato dal presidente Biden il 26 settembre, gli Stati Uniti stanno fornendo un altro importante pacchetto di armi e attrezzature ai nostri partner ucraini, affinché si difendano dagli attacchi in corso della Russia», ha dichiarato Kirby in un briefing alla stampa.
Oggi è sciopero generale nei trasporti: il TAR boccia la precettazione di Salvini
Questa volta non ce l’ha fatta. Il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, già ribattezzato “Precetto la qualunque” dai sindacalisti, si è visto bocciare dal TAR del Lazio l’ennesimo tentativo di bloccare uno sciopero proclamato dai lavoratori. Di conseguenza oggi, 13 dicembre, ci sarà lo sciopero generale proclamato per l’intera giornata nel settore dei trasporti dall’Unione Sindacale di Base (USB). Per il TAR «non sono emerse ragioni» per la precettazione. Salvini non l’ha presa bene e, dopo aver usato la solita tattica di cercare di dividere i lavoratori in sciopero dal resto dei cittadini che «vivranno l’ennesimo venerdì di caos e disagi», ha annunciato di voler rimettere mano alla legge sugli scioperi in Italia, che in realtà è già una delle più stingenti in Europa. Mentre dalla USB fanno notare come il leader leghista consideri «essenziali» i trasporti pubblici solo quando serve a fermare gli scioperi, e non quando i tagli – che i sindacati denunciano da anni – li rendono ogni giorno più carenti.
Il TAR ha dunque detto no alla precettazione con cui il ministro dei Trasporti e leader della Lega Matteo Salvini aveva ristretto a 4 ore (dalle 9 alle 13) lo sciopero generale nei trasporti ferroviari, locale, marittimo e del servizio taxi indetto da USB con l’adesione di Cobas e lavoratori Atm Milano. Nel verdetto, il TAR ha evidenziato che «non emergono, dalla gravata ordinanza, quelle ragioni che, in assenza della segnalazione della predetta Commissione (di garanzia, ndr), possano sorreggere la disposta precettazione». Per il Tribunale amministrativo, infatti, «i richiamati disagi discendenti dallo sciopero appaiono riconducibili all’effetto fisiologico proprio di tale forma di astensione dal lavoro, né emergono le motivazioni in base alle quali i disagi eccederebbero tale carattere, tenuto conto della vincolante presenza di fasce orarie di garanzia di pieno servizio». I giudici hanno dunque sospeso l’efficacia della precettazione di Matteo Salvini poiché «l’invito formulato dalla Commissione di Garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali – quale Autorità Indipendente di settore – è stato accolto dalle sigle sindacali, con conseguente conformazione alle relative indicazioni e prescrizioni» e che «tale Commissione non ha formulato al Ministero alcuna segnalazione o proposta con riferimento allo sciopero in questione». Inoltre, il TAR ha evidenziato che non c’è «un imminente e fondato pericolo di pregiudizio ai diritti della persona costituzionalmente tutelati» né altri rischi per i cittadini. «USB esulta, perché al di là dello schiaffo morale al ministro, quello che si è difeso è il diritto costituzionale dei lavoratori a scioperare per rivendicare i loro diritti», ha scritto la sigla sindacale in un comunicato dal titolo “Salvini attaccati al TAR”.
Non è la prima volta che Salvini ricorre allo strumento della precettazione. Lo scorso 26 novembre, il vicepremier leghista aveva precettato lo sciopero del 29 novembre nel settore dei trasporti, riducendolo a 4 ore. Lo scontro con i sindacati si era già aperto alla fine dello scorso anno, con tre precettazione imposte nel giro di un mese dal ministro. A fine marzo, il TAR del Lazio aveva bocciato l’ordinanza con cui Salvini aveva precettato lo sciopero nazionale dei trasporti del 15 dicembre, ordinando la sua riduzione a sole 4 ore. Secondo il tribunale amministrativo – che ha dato dunque ragione alle sigle sindacali che, attraverso due ricorsi paralleli, si erano opposte alla decisione di Salvini – il provvedimento era infatti «affetto da violazione di legge e da eccesso di potere per carenza di presupposto, con riferimento alla fase di impulso dell’esercizio del potere».
[di Stefano Baudino]
Inquinamento da plastica, lo Stato di New York porta in tribunale la Pepsi
Lo stato di New York ha mosso un’azione legale contro il gigante delle bibite Pepsi, accusandolo di «danneggiare la popolazione e di non aver avvertito i consumatori delle minacce per la salute e per l’ambiente poste dagli imballaggi di plastica monouso». Nel 2023, lo stato di New York ha in particolare imputato alla multinazionale di aver inquinato il fiume Buffalo con tonnellate di plastica, mettendo a repentaglio l’approvvigionamento idrico di Buffalo. Il 17% dei rifiuti di plastica trovati nel fiume e nelle sue vicinanze era di proprietà della Pepsi. Il giudice della città ha archiviato le accuse definendole «speculative», ma il procuratore generale dello Stato negli scorsi giorni ha presentato un ricorso contro la decisione, riaprendo la partita a livello giudiziario.
Poco più di un mese fa, il giudice che aveva archiviato il caso aveva affermato che erano i singoli consumatori, e non l’azienda, a essere responsabili dei rifiuti abbandonati. Eppure, in una nota alla divisione d’appello della corte resa pubblica questa settimana, Letitia James, procuratore generale dello stato di New York, ha asserito che il giudice ha «applicato erroneamente la legge e i fatti». Nella sua originale denuncia, il procuratore aveva puntato il dito contro l’azienda produttrice di bibite gassate, tra i maggiori produttori di rifiuti di plastica al mondo, accusandola di danneggiare la popolazione e di non aver avvisato i consumatori in merito ai pericoli per la salute e l’ambiente rappresentati dai suoi imballaggi. James ha inoltre accusato Pepsi di avere ingannato i cittadini sull’efficacia delle procedure di riciclo dei prodotti, nonché sui suoi sforzi per ridurre l’inquinamento causato dalla plastica. Nello specifico, l’inchiesta condotta dall’ufficio di James ha scoperto che gli imballaggi in plastica della PepsiCo erano di gran lunga la principale fonte di inquinamento da plastica nel fiume Buffalo, addirittura di tre volte superiore rispetto a quello prodotto da McDonald’s, inquadrato come il secondo responsabile. «Nessuna azienda è troppo grande per garantire che i propri prodotti non danneggino l’ambiente e la salute pubblica – ha affermato il procuratore generale James –. Tutti i newyorkesi hanno un diritto fondamentale all’acqua pulita, eppure l’imballaggio e il marketing irresponsabili di PepsiCo mettono a repentaglio l’approvvigionamento idrico, l’ambiente e la salute pubblica di Buffalo».
PepsiCo, che ha sede nello stato di New York, produce e confeziona almeno 85 diversi marchi di bevande e 25 marchi di snack che vengono prevalentemente venduti in contenitori di plastica monouso. Come è emerso da una recente ricerca condotta da un team internazionale di scienziati, sottoposta a revisione paritaria e pubblicata sulla rivista scientifica Science Advances, l’azienda figura tra le circa 60 multinazionali responsabili di quasi la metà dell’inquinamento mondiale di plastica. Insieme a The Coca-Cola Company, Nestlé, Danone e Altria, essa rientra addirittura tra le cinque aziende che, da sole, rappresentavano quasi un quarto del totale. Circoscrivendo l’analisi agli Stati Uniti, uno studio nazionale condotto dall’organizzazione non governativa Break Free From Plastic ha aggregato 2.125.415 articoli di rifiuti di plastica da 2.373 raccolte separate dal 2018 al 2022, attestando come PepsiCo sia il produttore numero uno o numero due di rifiuti di plastica di marca raccolti ogni anno negli Stati Uniti d’America.
[di Stefano Baudino]
USA, Biden grazia 39 persone e commuta pene di altre 1.500
L’arresto di Luigi Mangione ha scatenato un’ondata di solidarietà negli Stati Uniti
Sin dai primi istanti dopo la cattura di Luigi Mangione, l’assassino dell’amministratore delegato di UnitedHealthCare, dal web è emerso un ingente moto di solidarietà nei confronti del ragazzo. In rete hanno iniziato a circolare meme, battute, commenti di vicinanza e pagine dedicate al giovane informatico. C’è chi, addirittura, ha lanciato una raccolta fondi per coprire le spese legali della difesa, chi è arrivato a scrivere canzoni sulle sue azioni e chi ha disegnato magliette raffiguranti l’attimo che precede l’omicidio, stampato sotto le stesse parole incise sui proiettili che hanno colpito Brian Thompson. “Deny, Defend, Depose” sta diventando un motto di ribellione, un urlo di riscatto contro un sistema di sfruttamento, e ha costretto la politica a correre ai ripari e a ricordare che, in teoria, tra Thompson e Mangione la vittima dovrebbe essere il primo. Il senso di frustrazione nei confronti del sistema assicurativo statunitense, però, ha fomentato un generale sentimento di disprezzo nei confronti della classe dominante, generando iniziative di sostegno e solidarietà verso quello che sta rapidamente diventando un simbolo di lotta.
Non appena il nome di Mangione è uscito sui giornali del Paese, la popolarità del ragazzo è schizzata alle stelle. I suoi profili social hanno guadagnato centinaia di migliaia di follower e sui maggiori canali è esploso l’hashtag (una parola o frase preceduta dal simbolo del cancelletto, utilizzata per categorizzare e rendere facilmente ricercabili i contenuti) di tendenza #FreeLuigi: su Instagram il suo profilo ha superato i 20.000 follower, mentre su X (ex Twitter) ha toccato quota 300.000. In un moto di solidarietà, il McDonald’s dove è stato trovato e segnalato alle autorità è stato sanzionato dagli utenti del web, che hanno iniziato a bombardarlo di recensioni negative, spesso corredate da accuse di tradimento e di collusione con le autorità. La viralità del ragazzo si è presto trasformata in una fonte inesauribile di meme (i contenuti multimediali di stampo umoristico che si diffondono rapidamente sui social), e altrettanto rapidamente il movimento di celebrazione da una parte e solidarietà dall’altra ha assunto diverse sfumature. La popolarità del ragazzo, inoltre, è arrivata anche oltreoceano e si sta diffondendo in sempre più Paesi.
Dal punto di vista celebrativo, sulle varie piattaforme social sono iniziati a circolare diversi contenuti che lo ritraggono come una sorta di icona ribelle: oltre ai meme, sono apparse stampe e articoli di merchandising su Luigi Mangione, sono state scritte diverse canzoni, sono stati pubblicati commenti di apprezzamento sul suo aspetto fisico, e in generale, su tutti i social network, sono fiorite pagine e profili celebrativi con il suo nome. In suo sostegno, tra commenti in sua difesa, boicottaggio di McDonald’s e hashtag, è stata lanciata una piattaforma per raccogliere fondi per sostenere le sue spese legali che ieri, mercoledì 11 dicembre, secondo l’agenzia di stampa Reuters, ha raggiunto almeno 31.000 dollari. Sul web, inoltre, sono iniziate a girare foto di altri amministratori delegati di compagnie assicurative, ritratti in grafiche che richiamano quelle dei volantini per i ricercati; per le strade di New York sono stati affissi analoghi volantini.
Giornali, media, politici e social stessi stanno provando a frenare questa sempre più crescente ondata di celebrazione e sostegno di massa nei confronti della figura di Mangione. In diversi quotidiani statunitensi sono apparsi editoriali che condannano le reazioni degli utenti, le piattaforme stanno provvedendo a chiudere – oltre a quelli di Mangione stesso – i profili di plauso all’omicida, Google sta eliminando le recensioni negative al ristorante dove Mangione è stato arrestato, mentre intanto iniziano a esporsi anche i primi politici statunitensi: il governatore della Pennsylvania, Josh Shapiro, ha definito «profondamente disturbanti» i commenti degli utenti sui social, ricordando che «in America, non uccidiamo le persone a sangue freddo per risolvere differenze politiche o esprimere un punto di vista».
La cosa interessante di tale fenomeno, che sta venendo largamente ignorata o ridotta alla viralità del caso, è proprio la carica politica che circonda molti dei contenuti che circolano in rete. Al di là dei meme umoristici, che ironizzano sulle origini italiane di Mangione o associano il suo nome a quello dell’omonimo personaggio della serie di videogiochi Super Mario, infatti, tante delle immagini che stanno venendo diffuse intendono assumere una postura prettamente anti-sistema. Mangione non è in alcun modo assimilabile a figure come quella di Theodore Kaczynski, in arte Unabomber, il noto anarchico statunitense condannato all’ergastolo per una serie di attentati con pacchi bomba da cui si dice lo stesso Mangione tragga ispirazione; tuttavia, l’assassino di Thompson sta tirando fuori un desiderio di rivalsa che il popolo statunitense sembrerebbe aver represso per lungo tempo, e che pare andare oltre il semplice mondo delle assicurazioni.
[di Dario Lucisano]