martedì 30 Dicembre 2025
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Guernica: l’arazzo torna all’Onu un anno dopo

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A un anno dalla la sua improvvisa scomparsa, l’arazzo raffigurante Guernica di Pablo Picasso, è tornato al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. La famiglia Rockefeller, che ne è proprietaria, ha annunciato la reinstallazione dell’opera per questa mattina ed ha ammesso un errore di comunicazione: l’arazzo era stato rimosso solo per essere pulito. La famiglia avrà comunque la possibilità di riprenderlo temporaneamente per mostre negli Stati Uniti e nel mondo.

Nel febbraio 2021, dopo quasi 37 anni, mentre il campus delle Nazioni Unite era deserto nel mezzo dell’acuta crisi da Covid-19, il vasto affresco era scomparso, senza spiegazioni, dall’ingresso del Consiglio di Sicurezza, per volere della famiglia Rockefeller che ne è proprietaria.

L’arazzo, tratto dall’opera di Pablo Picasso e che rappresenta il bombardamento della città di Guernica il 26 aprile 1937 dalla Germania nazista e dall’Italia fascista, venne Commissionato nel 1955 da Nelson Rockefeller e tessuto dalla bottega francese Jacqueline de La Baume-Dürrbach.

Etiopia, allarme Unicef: servirà assistenza umanitaria per 6,8 milioni di persone

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In Etiopia oltre 6,8 milioni di persone necessiteranno di assistenza umanitaria entro metà marzo 2022 a causa della siccità. A lanciare l’allarme è il fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef), che tramite un comunicato ha fatto sapere che tre stagioni di piogge consecutive mancate abbiano generato una situazione di grave siccità in 4 regioni dell’Etiopia: Afar, Oromia, la regione delle Nazioni, Nazionalità e Popoli del Sud (SNNPR) e quella dei Somali. «Si prevede che nel 2022 circa 850.000 bambini soffriranno di malnutrizione grave nelle 4 regioni», ha inoltre aggiunto l’Unicef, specificando che ciò sarà causato non solo da fattori come la recessione economica ma anche dalla siccità.

Ora anche i virologi da TV raccontano che le morti Covid in Italia sono sovrastimate

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«Non è possibile che un malato che è risultato positivo al tampone ma che soffre di una patologia differente venga catalogato come Covid»: è quanto affermato dal primario del reparto di malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, Matteo Bassetti, durante una puntata del programma “L’Aria che Tira”, andata in onda sul La7. Bassetti ha infatti messo sotto accusa il modulo per la refertazione dei decessi causati dal Covid affermando che «ci sono delle cause primarie e delle cause accessorie, ma se il medico che compila il modulo scrive positivo al tampone, il decesso viene automaticamente classificato come decesso avvenuto per Covid». Dunque secondo Bassetti si dovrebbe cercare di capire «quanti dei decessi sono realmente legati alla polmonite da Covid e quanti ad altre problematiche».

Tali affermazioni hanno sostanzialmente lasciato di stucco l’altro ospite del programma, il giornalista e divulgatore scientifico Alessandro Cecchi Paone, il quale ha dichiarato che «ci metteremmo in un guaio, perché dovremmo rivedere tutte le statistiche degli ultimi due anni». Una obiezione a cui Bassetti ha risposto dicendo che sarebbe «proprio questo quello che si dovrebbe fare»: potrebbe infatti essere questo il motivo per cui vi sono alcune anomalie rispetto a paesi come la Spagna, dove il numero di decessi da Covid registrati nell’ultimo periodo è più basso di quello riportato in Italia nonostante non vi siano le restrizioni presenti nel nostro paese.

Insomma Bassetti, spesso presente nei salotti dei talk show televisivi a tema Covid, ha di fatto affermato che probabilmente sono stati sovrastimati i morti causati dal virus. Eppure, tutto ciò fino a poco tempo fa non era stato preso assolutamente in considerazione da parte dei media mainstream, che anzi hanno spesso screditato i sostenitori di tale tesi.

La possibilità che si tratti di una ipotesi concreta, inoltre, è emersa anche da un recente servizio del programma Rai “Re Start”, il quale ha raccolto le testimonianze di alcuni sanitari secondo cui dietro al modo di contare pazienti e morti covid ci sarebbero ragioni utilitaristiche per gli ospedali. «È frequente che venga scritto sulla cartella – ha spiegato a volto coperto un medico di un ospedale romano – che un paziente è morto di Covid quando in realtà non lo è in modo che salga il numero dei positivi, e la stessa cosa accade con i ricoveri: se un malato oncologico entra in ospedale e poco dopo si rivela positivo, anche se non ha sintomi diventa immediatamente un paziente Covid». Il tutto servirebbe a «fare soldi», dato che «l’ospedale prende dei rimborsi in proporzione al numero di ricoveri». Come spiegato da Restart, un decreto ministeriale prevede infatti oltre 3.000 euro per i ricoveri in area medica e oltre 9.000 euro per ogni paziente in terapia intensiva per Covid, con l’intera degenza a venire contabilizzata come Covid. Tuttavia non  si può non notare che, nonostante l’importanza fondamentale di tale ipotesi, il servizio non è stato ripreso dai media mainstream.

[di Raffaele De Luca]

Copie col trucco: i mirabolanti numeri sulle vendite dei giornali italiani

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Il velo sul dorato mondo delle copie digitali dei quotidiani è stato squarciato con una certa dose di brutalità, diciamo così, ormai sei anni fa. Quando venne a galla, dagli scantinati e dai sotterranei del Gruppo 24 Ore, l’affare sporco dei numeri gonfiati e dei conti taroccati. Una vera e propria tempesta si è abbattuta in poco tempo sul Sole 24 Ore, travolgendo la prima testata economico-finanziaria del paese.

L’inchiesta della procura di Milano, impegnata insieme alla Consob per fare luce su una truffa che era iniziata almeno nel 2013, stando alle carte degli inquirenti, ha portato alla luce un collaudato sistema per truccare i dati di diffusione e di vendita del giornale. Un robusto e sistematico maquillage ai numeri per fare apparire quello che non era, uno stato di salute strepitoso del giornale diretto all’epoca da Roberto Napolitano, finito poi sotto processo insieme al management dell’azienda (gli altri due imputati hanno patteggiato) e destinatario con gli altri imputati di richieste di risarcimento di decine di milioni.

Il trucco svelato nel 2016 riguardava soprattutto le copie digitali del quotidiano (quelle cartacee finivano al macero), in particolare i cosiddetti abbonamenti multipli che le testate sottoscrivono con aziende o enti che poi provvedono a smistarli a utenti e clienti. Nel marzo 2016 gli “abbonamenti digitali multipli” del Sole erano 109.500, rispetto ai seimila scarsi dichiarati dalle altre corazzate Corriere della Sera e Repubblica un’enormità che non poteva non attirare l’attenzione e porre qualche domanda.

Diverse erano le tecniche per gonfiare i numeri, alcune delle quali assomigliano molto a quelle utilizzate da altre testate per accalappiare clienti e lettori, e poi non mollarli più. Insieme a robuste dosi di doping che il marketing faceva ai dati di diffusione, per sintetizzare, c’era il sistematico ricorso a database di utenti che in gran parte erano solo virtuali, con download di copie creato ad hoc. Oppure c’erano società che sottoscrivevano abbonamenti che non venivano mai attivati, fino al 93%  dei casi.

Lo scandalo del Sole, parafrasando un celeberrimo titolo di pellicola, concluso con un buco da circa 50 milioni di euro nei conti del gruppo, è stato appunto un meteorite piovuto sul mondo dell’editoria digitale, la strada maestra che gli editori hanno scelto in coro quando è stato decretato il funerale della carta e dell’editoria tradizionale. Da lì in poi sono iniziati dubbi e perplessità su un sistema di diffusione e vendita delle copie “virtuali” che spesso sfugge anche ai propri fruitori, ossia i lettori.

Vittime più o meno inconsapevoli di politiche aggressive e di marketing selvaggio da parte delle testate, disposte (quasi) a tutto pur di far lievitare i dati di vendita e diffusione e pur di fidelizzare anche clienti quasi inconsapevoli, se non renitenti. Abbonamenti a prezzi stracciati e promozioni gratuite si sprecano, al simbolico prezzo di un caffè pare si possa comprare e leggere praticamente tutto. Ma non è così.

Spesso gli utenti, come vengono chiamati i lettori dei giornali nel terzo millennio, restano imprigionati dietro ad “offerte” sottoscritte ma solo in parte consapevolmente. Come nel caso del Corriere, che per tenersi stretti i sottoscrittori di abbonamenti mette una serie di “intralci” alla disdetta o sfrutta le loro dimenticanze, puntando a formule ambigue tipo “in qualsiasi momento/entro 24 ore”. In modo che basta un nulla per trovarsi ancora vincolati alla testata e rientrare nel numero dei fedeli lettori delle copie digitali.

Oppure, ancora nel caso del Corriere (ma anche altre importanti testate praticano queste politiche di ribasso selvaggio), con un’offerta super scontata a 12 euro all’anno – per 2 anni – invece che 99,99: praticamente un regalo per gli ex abbonati che hanno deciso di abbandonare la scelta, o anche solo sono riusciti a uscire da questo dedalo di offerte, proposte e fluide clausole. Un mondo molto liquido in cui gli abbonamenti multipli, come dimostra il caso del Sole 24 Ore, sono un’incognita che pesa parecchio, sulla realtà vera dei dati e dei numeri.

Gli sconti e i ribassi con cui vengono proposte le copie digitali delle testate autorizzano a pensare che quello che doveva essere il traino delle aziende editoriali italiane, sia in realtà un refugium peccatorum. Copie digitali proposte al 30% del prezzo delle copie cartacee (da sempre, comunque, gonfiate col meccanismo dei resi e delle copie omaggio). Nonostante questo, le copie digitali incidono in modo marginale rispetto alle vendita in edicola che pure sono in crollo costante da almeno 10 anni: secondo il rapporto PWC “Entertainment & Media Outlook in Italy 2021-2025”, il cartaceo pesa (e peserà almeno fino al 2025) per l’87% dei ricavi delle aziende editoriali. Solo 5 delle 56 testate rilevate nei rapporti di ADS vendono più di 10mila copie digitali al giorno, ma quattro di loro hanno comunque vendite in calo. Per vincere la guerra dei numeri e sopravvivere, i giornali avranno bisogno di ben altro che di qualche maestro del bianchetto.

[di Salvatore Maria Righi]

Ambiente: mozziconi sigarette sono i rifiuti più scartati, ogni anno 766mila tonnellate

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Sono i mozziconi di sigarette i rifiuti più scartati al mondo, rappresentando più di 766mila tonnellate di rifiuti tossici ogni anno: un dato allarmante dato che, se smaltiti in modo improprio, i mozziconi di sigaretta rilasciano microplastiche, metalli pesanti e molte altre sostanze chimiche ed impattano in maniera importante sulla salute umana e dell’ambiente. A denunciarlo è il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), che insieme al Segretariato della Convenzione quadro dell’Oms sul controllo del tabacco (FCTC) ha lanciato una campagna per sensibilizzare e incoraggiare il contrasto alle microplastiche contenute all’interno dei filtri delle sigarette.

Putin e Xi Jinping hanno sancito un’alleanza tra Russia e Cina

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Venerdì 4 febbraio, il presidente russo Vladimir Putin e quello cinese Xi Jingpin si sono incontrati a Pechino, in vista della cerimonia di apertura delle Olimpiadi Invernali che si terranno nella capitale cinese e che sono state boicottate dalle delegazioni occidentali. Il confronto aveva come scopo principale quello di portare i due paesi a fare fronte comune contro gli Stati Uniti a causa delle recenti tensioni relative all’Ucraina e non solo, e pare essere decisamente riuscito, almeno in base al documento rilasciato al termine del vertice dai due leader.

I due presidenti si sono infatti promessi sostegno reciproco per quanto concerne la politica estera. I russi, appoggiando le posizioni di Pechino su Taiwan e i cinesi condannando le mire espansionistiche della NATO (Organizzazione del Trattato Atlantico del Nord) in Europa. Fronte comune Mosca e Pechino, l’hanno dimostrato anche nel condannare l’alleanza militare AKUS (tra Stati Uniti, Australia e Regno Unito) volta a incrementare l’influenza occidentale nell’Oceano Pacifico. Il vertice di Pechino, ha inoltre portato al rafforzamento dei legami economici tra i due. Xi Jinping ha assicurato che supporterà economicamente Mosca nel caso di eventuali nuove sanzioni economiche in relazione alla questione Ucraina, mentre Putin ha espresso la volontà di siglare un nuovo accordo commerciale volto ad incrementare le esportazioni di gas russo verso il gigante asiatico.

La politica estera degli Stati Uniti, considerata come una “minaccia” da parte di Mosca e Pechino ha portato queste due potenze ad avvicinarsi sempre di più‘ anche a discapito dei loro reali interessi di lungo termine. Al momento, questa alleanza appare molto più’ solida di quella tra Washington e i suoi alleati. Anche tra Russia e Cina esistono divergenze di vedute e interessi, sulla questione Ucraina ad esempio, Pechino avrebbe lasciato intendere la sua contrarietà ad un invasione russa. Allo stesso modo, Mosca ha “chiuso almeno un occhio”, davanti ai progetti d’espansione economica di Pechino nelle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale, tradizionalmente sotto l’influenza del Cremlino. La capacità di mettere da parte le divergenze d’interessi per un obiettivo comune pare invece al momento mancare tra gli alleati di Washington. Il peso economico di Pechino, non può non essere una fonte di preoccupazione per i paesi europei e Medio orientali alleati degli americani. Cosi per i paesi dell’Europa occidentale non sarebbe una scelta facile andare allo scontro frontale con la Russia, principale fornitore d’energia del “vecchio” continente.

[di Enrico Phelipon]

Birmania, forze di sicurezza bruciano case degli oppositori

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Le forze di sicurezza del governo birmano hanno dato alle fiamme centinaia di abitazioni nei villaggi nella regione del Sagaing, a nord-ovest del Paese, costringendo all fuga migliaia di militanti della resistenza. Centinaia di persone sarebbero poi state arrestate per aver partecipato ad una forma di resistenza silenziosa, con la chiusura di decine di negozi nel giorno dell’anniversario del golpe militare. Secondo quanto riportato dall’Ansa, in una trasmissione di Stato andata in onda giovedì sera il governo avrebbe accusato gli oppositori di aver dato fuoco alle abitazioni, definendoli dei “terroristi”.

Nigeria, esplode una petroliera: rischio disastro ambientale

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Al largo delle coste della Nigeria è esplosa la nave Trinity Spirit, adibita alla produzione e allo stoccaggio di petrolio, causando il riversarsi in mare di migliaia di barili. Dalle prime notizie sembra che vi fossero almeno 10 membri dell’equipaggio a bordo prima dell’incidente, ma non è chiaro quale sia stato il loro destino.

Le immagini del quotidiano locale The Cable mostrano un intenso fumo nero sprigionarsi dalla nave in fiamme, mentre questa sta lentamente affondando. La Trinity Spirit, che sarebbe in grado di contenere fino a due milioni di barili di petrolio e di trattarne fino a 22 mila al giorno, è di proprietà della SEPCOL (Shebah Exploration and Production Company), la quale ha comunicato: “Abbiamo debitamente avvisato tutte le autorità competenti e ci appelliamo al pubblico affinché stia lontano dall’area mentre il nostro team di gestione della crisi continua a monitorare la situazione e ad aggiornare tutte le parti interessate con nuove informazioni man mano che l’indagine si evolve”.

Al momento dell’esplosione potrebbero esserci stati fino a 50 mila barili a bordo della Trinity Spirit, che si trovava al largo delle coste del Delta del Niger, zona ricca di petrolio. Il rischio della fuoriuscita di petrolio è altissimo, e sono forti i timori per una disastrosa crisi ambientale. La Nigeria è uno dei maggiori produttori di petrolio dell’Africa, ma gli alti costi operativi causano frequenti incidenti legati alla sicurezza.

[di Valeria Casolaro]

Austria, approvato obbligo vaccinazione per tutti i maggiorenni

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Con 47 voti favorevoli su 59 totali, il Consiglio federale austriaco ha espresso il proprio parere favorevole sulla vaccinazione obbligatoria, che diventerà effettiva dopo l’approvazione del presidente federale. L’obbligo, applicabile a tutti gli austriaci al di sopra dei 18 anni, sarebbe dovuto diventare effettivo già da sabato, ma alcune questioni ancora non risolte potrebbero farlo slittare addirittura fino ad aprile, secondo quanto riporta Kronen Zeitung. Tra queste il fatto che il portale sul quale andrebbero inserite le esenzioni vaccinali (che potrebbero riguardare almeno 250 mila persone in tutta l’Austria) non sarà pronto in tempo. Inoltre sono previste sanzioni fino a 600 euro per i trasgressori della norma, ma ancora non è chiaro come verranno effettuati i controlli.

Quando gli abusi sono commessi dalle forze di pace

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Dodici gruppi per i diritti umani hanno reso pubblica una lettera indirizzata al sottosegretario generale per le operazioni di pace delle Nazioni Unite Jean-Pierre Lacroix, in cui veniva espressa preoccupazione sull’utilizzo delle Rapid Action Battalion (RAB) del Bangladesh nelle missioni di pace.

Secondo questi gruppi, ci sarebbero infatti prove concrete che, dalla loro creazione nel 2004, le RAB sarebbero state responsabili di esecuzioni extragiudiziali, torture e sparizioni forzate in territorio bengalese. Già nel 2006, un report dell’organizzazione per la tutela dei diritti umani Human Rights Watch, evidenziava le responsabilità delle RAB per le uccisioni extragiudiziali di 350 persone detenute. Inoltre, secondo diverse organizzazioni non governative (ONG) firmatarie della lettera, dal 2018 ad oggi le RAB avrebbero commesso circa 600 omicidi extragiudiziali. Le denunce relative all’operato delle RAB non arrivano esclusivamente dalle ONG, anche gli Stati Uniti lo scorso dicembre, avevano sanzionato diversi ali ufficiali delle RAB per abusi e diffuse violazioni dei diritti umani. Nella lettera a Lacroix, in particolare veniva sottolineato il fatto che le Nazione Unite non avessero in alcun modo applicato le misure che prevedevano i controlli relativi al rispetto dei diritti umani per le forze di pace (caschi blu) impiegati nelle missioni. Dal 2012, infatti esiste una politica che prevede che gli Stati membri che nominano o forniscono personale per servire con le Nazioni Unite siano tenuti a effettuare controlli sul loro personale, certificando che non abbiano commesso reati e/o violazioni dei diritti umani.

Nonostante la lettera fosse stata inviata l’8 novembre scorso, ad oggi, dalle Nazioni Unite non è ancora giunta alcuna risposta in merito. Il silenzio per quanto riguarda la questione delle RAB, probabilmente deriva dal fatto che il Bangladesh nel 2020, con 6.731 soldati, è stato uno dei principali “fornitori” di personale per le varie missioni. Al momento sono 12 le missioni di pace attive in varie zone del mondo che vedono impegnati oltre 70.000 caschi blu. Che le forze di pace non siano sempre state un esempio di integrità morale è tristemente cosa risaputa. Accuse di violenze sessuali da parte dei caschi blu sono emerse già durante gli anni ’90 con la missione delle Nazioni Unite in Cambogia. Seguite poi da denunce simili, relative alle missioni in Bosnia Erzegovina, Haiti, Repubblica Democratica del Congo (RDC) e Timor Est. Queste accuse sono diventate più comuni con l’aumento della portata di queste missioni. Nel 2006, ad esempio, ci sono state 357 denunce di sfruttamento e abusi sessuali che hanno coinvolto le forze di pace delle Nazioni Unite. Tuttavia, le forze di pace colpevoli di violenze sessuali e altri crimini di guerra perpetuati durante le operazioni hanno goduto sempre di un certo livello di impunità sia nei loro paesi d’origine che da parte delle Nazioni Unite. Sarebbe infatti controproducente per le Nazioni Unite indagare in modo approfondito tutte le denunce di violazioni, con il rischio di andare a compromettere quella che è “l’immagine” dei caschi blu, come stabilizzatori e portatori di pace. Bisogna inoltre considerare che una ampia parte dei caschi blu proviene da paesi, dell’Asia e dell’Africa , in cui la tutela e il rispetto dei diritti umani non è certo una priorità. Purtroppo, abusi e crimini sono stati commessi anche da soldati di paesi occidentali, nel 2014, truppe internazionali in servizio come forze di pace nella Repubblica Centroafricana avrebbero abusato sessualmente bambini in cambio di cibo o denaro. I presunti colpevoli provenivano in gran parte da membri dell’operazione militare francese Sangaris, che operava su autorizzazione del Consiglio di sicurezza ma non sotto il comando delle Nazioni Unite . Stando ad un’indagine di Associated Press, negli ultimi 12 anni sarebbero oltre 2.000 le denunce di violazioni e abusi da parte dei caschi blu.

Per il momento le Nazioni Unite hanno fatto poco per porre un freno a tali crimini, non avendo un vero e proprio potere legale per punire i colpevoli, anche nei casi in cui le indagini abbiano confermato abusi da parte dei caschi blu non si è andati oltre alla segnalazione ai governi dei paesi di provenienza. Se poi siano stati presi provvedimenti verso questi soldati nei loro paesi non è dato saperlo. Le missioni di pace delle Nazioni Unite svolgono un ruolo fondamentale nello scenario internazionale come strumento utile a mitigare i conflitti, e negli anni queste missioni hanno ottenuto anche diversi successi. Essendo parti terze al conflitto e provenendo da paesi diversi, i caschi blu, sono spesso molto più tollerati dalla popolazione locale rispetto alle operazioni militari guidate da un singolo stato. Proprio per mantenere questo ruolo fondamentale, servono maggiori controlli sulle truppe dispiegate e che le denunce di abusi non vengano “nascoste sotto il tappeto” ma affrontate per punire i colpevoli.

[di Enrico Phelipon]