venerdì 12 Dicembre 2025
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Pechino assicura la riunificazione con Taiwan

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il portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian, ha affermato che «ci sarà la riunificazione con Taiwan», minacciando anche l’utilizzo di «misure efficaci» a tutela di sovranità e integrità territoriale. Le dichiarazioni sono state rilasciate qualche ora dopo l’arrivo nell’isola di una delegazione del Senato statunitense che ha incontrato oggi la presidente Tsai Ing-wen. In questo modo Pechino si oppone a ogni relazione fra Taiwan e Stati Uniti. Zhao Lijian ha infine aggiunto che «le azioni dell’esercito cinese sono una contromisura alle recenti azioni negative degli Usa, compresa la visita della delegazione del Congresso», riferendosi alle manovre militari dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) nei pressi di Taiwan.

La nuova idea del governo: contro l’astensionismo serve il pass elettorale digitale

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La Commissione di studio sul fenomeno dell’astensionismo elettorale ha formulato diverse misure per favorire la partecipazione dei cittadini alle elezioni. La proposta consentirebbe nuove modalità di espressione del voto, in particolare la votazione anticipata presso uffici postali e comunali (da dove le schede verrebbero spedite, e scrutinate, al seggio naturale)  attraverso l’istituzione di una tessera elettorale digitale, già ribattezzata election pass. Proprio come la certificazione verde, andrebbe scaricata sul proprio cellulare o stampata, per poi essere presentata al momento delle elezioni che, secondo la proposta della Commissione voluta dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico d’Incà, andrebbero concentrate in due appuntamenti: uno primaverile e l’altro autunnale, così da limitare i disagi dovuti alle interruzioni didattiche per tutte quelle scuole adibite a seggi.

Alla votazione anticipata si aggiunge poi la possibilità di votare “in contemporanea”, in un seggio diverso da quello naturale o in hub elettorali temporanei (sul modello di quelli allestiti per le vaccinazioni), magari più accessibili perché vicini al territorio in cui si vive. Si tratterebbe di un’opportunità per i lavoratori e studenti fuori sede (4,9 milioni) o per gli anziani con gravi difficoltà motorie (2,9 milioni) che comunque non deve far distogliere lo sguardo dalle motivazioni principali dell’astensionismo: indifferenza, poca attrazione dall’offerta politica e sfiducia. Nel momento in cui le scelte dei cittadini vengono tradite, ormai sistematicamente, è difficile ricucire poi il rapporto, non solo con la forza politica in questione ma con tutto il sistema. Non a caso, come sottolinea lo stesso D’Incà, “alle Politiche del 1948 votò il 92% degli italiani, mentre nel 2018 poco meno del 73%”. Cos’è cambiato? Praticamente tutto. Nel 1948 il senso di appartenenza da parte dei cittadini alla vita politica e alla cosa pubblica era massimo, “favorito” da due anni di guerra civile, in cui si era combattuto per la democrazia e per la libertà. Poi sono arrivati i primi tradimenti dalla classe politica, con cui fino a qualche mese prima si era combattuto gomito a gomito. Paradossalmente avremmo potuto assistere al fenomeno dell’astensionismo anche tra gli anni ’50 e ’60, ma ciò non è accaduto per via di un compromesso: il boom economico. È vero, da un lato dilagava la consapevolezza di un sistema politico corrotto, ma dall’altro si sorvolava perché c’era il benessere economico, un miraggio dopo anni di sofferenza causati dalla guerra.

Così, andando avanti nel tempo, è sempre esistito un collante che faceva da contraltare alla consapevolezza di una classe politica corrotta. Oggi il collante è svanito: crisi del 2008 e pandemia hanno mostrato i nervi scoperti di un rapporto tossico fra cittadini e rappresentanti, fatto di sfiducia e di indifferenza. Ultima l’esperienza del 2018, quando circa 15 milioni di italiani (il 50% di chi si presentò alle urne) votarono due partiti definibili allora anti-sistema: Lega e M5S, accomunati dalla lotta all’euro. Dopo tre anni entrambi sono entrati a far parte di un Governo tecnico, ben visto dall’Unione europea e a suo supporto. Si tratta soltanto di una delle tante incongruenze a cui si è assistito negli ultimi decenni, che hanno mostrato come il problema dell’astensionismo affondi le radici in un sistema che andrebbe rivisto a tutela degli elettori, per non trattarli più come semplice strumento a cadenza cinquennale ma come fonte e riferimento.

[Di Salvatore Toscano]

Chiudere alle 18 non era una misura sanitaria: la Torteria Chivasso vince la causa

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Non vi è prova del fatto che la chiusura delle attività di ristorazione alle ore 18:00, che era stata stabilita dal Dpcm del 24 ottobre 2020, fosse sinonimo di una minore diffusione del virus: è ciò che sostanzialmente emerge dalla sentenza n. 215/22 del Giudice di Pace di Ivrea, con la quale è stato accolto il ricorso proposto da Rosanna Spatari – titolare della Torteria di Chivasso diventata simbolo della resistenza verso le restrizioni anti Covid – contro la Prefettura di Torino. La stessa, infatti, nell’aprile 2021 aveva imposto tramite un provvedimento la chiusura del locale in questione per 5 giorni, il tutto in virtù proprio del mancato rispetto del Dpcm appena citato.

Nello specifico, detto provvedimento trovava fondamento in un precedente verbale della Guardia di finanza di Chivasso del mese di ottobre 2020, in cui si contestava alla Spatari l’esercizio della “attività di servizi di ristorazione oltre gli orari consentiti” – ovverosia “dalle ore 05:00 sino alle ore 18:00” – dall’art. 1, comma 9, lett. ee) del Dpcm del 24 ottobre 2020. La Guardia di finanza, infatti, aveva sorpreso “all’intero dei locali dell’attività 10 avventori” in un orario non consentito dalle limitazioni anti-Covid.

È per questo, dunque, che successivamente era arrivata la sanzione amministrativa da parte della Prefettura di Torino, la quale però è appunto stata impugnata dalla titolare della Torteria, assistita dall’avvocato Alessandro Fusillo, a cui il giudice Giampiero Caliendo ha sostanzialmente dato ragione. “L’unico impedimento alla prosecuzione oltre orario delle attività di ristorazione va individuato nel rischio di assembramento, comportamento tuttavia già vietato così che l’ulteriore misura restrittiva (limitazione di orario)” appare “sussidiaria ed attivata solo per la possibilità che il primo divieto non venga rispettato”, ha scritto infatti il giudice nella sentenza, precisando che “in altri termini già esistevano apposite disposizioni approntate al fine di contrastare l’assembramento, pienamente operative a prescindere dall’apertura o meno del pubblico esercizio, e pertanto la limitazione di orario in questione si rileva essere sostanzialmente non una misura dettata da autonomie e peculiari esigenze sanitarie non disciplinate bensì ulteriore cautela per l’eventuale inosservanza di altra norma da parte dei consociati”.

“Allo stato non risultano riscontri/evidenze tecnico-scientifiche che consentano di comprendere le ragioni del (paventato) maggior rischio di diffusione del contagio negli orari non consentiti, e ciò configura altro difetto motivazionale dell’atto”, ha poi aggiunto il giudice tra le motivazioni della sentenza, con la quale ha accolto l’opposizione, annullato il provvedimento impugnato, disposto la compensazione delle spese di lite e, soprattutto, disapplicato l’art. 1 comma 9, lett. ee) del Dpcm del 24 ottobre 2020 “nella parte in cui pone limitazioni al normale orario di apertura dei servizi di ristorazione”.

Si tratta dunque di una nuova vittoria per Rosanna Spatari: solo un mese fa, infatti, un’ottima notizia per la titolare della Torteria di Chivasso era arrivata dalla Corte di Cassazione. Una sentenza della stessa, risalente allo scorso 11 marzo, aveva annullato senza rinvio la conferma del sequestro preventivo, da parte del Tribunale del riesame di Torino, della Torteria, che durante l’emergenza Covid non aveva rispettato le misure di contenimento. La Cassazione aveva infatti stabilito che la Spatari non aveva commesso il reato di “inosservanza dei provvedimenti dell’autorità” previsto dall’articolo 650 del Codice Penale, precisando che la condotta contestata a quest’ultima con il decreto-legge n.19 del 25 marzo 2020 era stata depenalizzata e trasformata in illecito amministrativo. Se dunque la sentenza della Cassazione aveva stabilito che il comportamento della Spatari non potesse considerarsi reato, quella del Giudice di Pace di Ivrea ha adesso annullato la sanzione amministrativa ad opera della Prefettura.

[di Raffaele De Luca]

Lo Sri Lanka dichiara default e si getta tra le braccia del Fondo Monetario Internazionale

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Fra le strade dello Sri Lanka nelle ultime settimane si sente un solo grido: «Gota vattene a casa». Gota sta per Gotabaya Rajapaksa, presidente del paese, appartenente ad una dinastia che in pratica governa su tutto lo Sri Lanka da 20 anni. Mahinda, uno dei fratelli, ricopre la carica di primo ministro, mentre Basil Rajapaksa e Chamal, rispettivamente ministri delle finanze e dell’irrigazione, si sono dimessi qualche giorno fa insieme a tutto il parlamento (ma non il presidente né il primo ministro). La popolazione è in rivolta da settimane. La gente accusa la dinastia Rajapaksa di essere la principale causa del tracollo economico e finanziario che sta mettendo in ginocchio il paese. I soldi stanno per terminare e le riserve monetarie sono praticamente esaurite. Gli esperti dicono che sono rimasti in “cassa” meno di 600 milioni, cioè denaro a malapena sufficiente per coprire il costo delle importazioni di una sola settimana. È diventato difficile reperire gasolio, fertilizzanti, medicinali, cibo e le autorità staccano l’energia elettrica per più della metà della giornata.

Ecco perché il 12 aprile il Governo ha ufficialmente dichiarato il default, cioè quella condizione economica per cui le entrate finanziarie statali (le tasse) non sono sufficienti a coprire le uscite dello stato.

Tra le altre cose, significa quindi che il Governo smetterà di ripagare il debito estero (sia le obbligazioni che i prestiti concessi da Governi e istituzioni internazionali), perché «dobbiamo concentrarci sulle importazioni essenziali e non possiamo preoccuparci del servizio del debito estero», ha sottolineato Nandalal Weerasinghe, a capo della Banca centrale. Andando più nel dettaglio, negli ultimi 15 anni lo Sri Lanka ha contratto debiti per il 65% del PIL, e nel 2022 ha in scadenza circa 4 miliardi di dollari di oneri. Come riporta il Sole24ore, Fitch – agenzia internazionale di valutazione del credito – crede che al paese serviranno “altri 2,4 miliardi di dollari per rimborsare i debiti contratti da aziende statali e private”.

Per far fronte alla crisi, le autorità hanno deciso di indebitarsi ulteriormente, aprendo un negoziato con il Fondo monetario internazionale (FMI) che, ricordiamolo, è un’istituzione con sede a Washington, a cui partecipano 188 paesi, con la finalità di “promuovere la stabilità economica e finanziaria”. In concreto, un programma che teoricamente dovrebbe “ristrutturare il debito”, modificando cioè le condizioni originarie di un prestito (tassi, scadenze, divisa, periodo di garanzia) per alleggerire nel tempo la posizione del debitore. Stando a quanto si apprende dalle fonti governative, le contrattazioni sono in corso e non senza malumori, espressi soprattutto dall’ex capo della Banca centrale Ajith Nivard Cabraal, che fino all’ultimo si è opposto all’accordo definendolo «una ferita alla sovranità del Paese».

Il FMI salverà quindi il paese dal collasso? No, o meglio, è bene sottolineare che il denaro concesso dal Fondo monetario non è a costo zero. I paesi che ricevono aiuti dal FMI devono accettare delle clausole e delle regole molto rigide, compresi tagli ai settori dell’educazione, della sanità e dei servizi pubblici. In pratica, i paesi debitori sottoscrivono dei “piani di aggiustamento strutturale”, impegnandosi a intervenire duramente sulle proprie politiche economiche con privatizzazioni e riforme di stampo liberista. Delle condizioni che in altri paesi non solo non hanno risolto strutturalmente il problema del debito, ma hanno anzi alla lunga aggravato le condizioni economiche dei paesi interessati. Basta guardare il caso dell’Argentina, che negli anni ha usufruito più volte di questa risorsa.

[di Gloria Ferrari]

Israele, irruzione in moschea provoca decine di feriti

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Dall’inizio del Ramadan (e ora della Pasqua ebraica), le tensioni tra Israele e Palestina si sono intensificate. Prima dell’alba, la polizia israeliana ha fatto irruzione nella moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme Est, mentre migliaia di fedeli erano riuniti per le preghiere del primo mattino. Diverse fonti parlano di decine di palestinesi feriti (secondo alcune si sfiorerebbero le 90 persone) nelle violenze che sono seguite all’arrivo degli agenti: i video mostrano gli spari di gas lacrimogeni da parte di questi ultimi e il lancio di pietre da parte dei palestinesi. “L’irruzione è stata effettuata per fermare una folla violenta” ha dichiarato la polizia israeliana.

Giovedì 14 aprile

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7.00 – La Commissione Giustizia della Camera approva gli emendamenti alla riforma del CSM.

9.30 – Incrociatore russo colpito e danneggiato al largo di Odessa, per Kiev colpito da missili ucraini.

10.00 – Approvato emendamento che prevede che il canone RAI non sia più inserito in bolletta.

10.30 – Mosca avvisa la NATO: se entrano Finlandia e Svezia ci saranno conseguenze.

12.10 – Elon Musk lancia OPA da 41 mld per acquistare la maggioranza di Twitter.

12.20 – UK, il governo intende trasferire in Ruanda i richiedenti asilo arrivati illegalmente.

13.00 – Festival di Cannes, Bruni Tedeschi e Martone sono gli italiani in concorso.

14.00 – Mosca accusa Kiev di aver bombardato abitazioni civili in due villaggi ucraini sotto controllo russo.

14.30 – Walter Ricciardi: «In autunno con vaccini aggiornati quarta dose sarà per tutti».

16.00 – Gli Usa annunciano che gli ucraini riceveranno nuove armi in meno di una settimana.

17.00 – L’UE destina un miliardo di euro in progetti per la protezione degli oceani.

Oxfam: 263 milioni di persone in più a rischio povertà estrema nel 2022

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“263 milioni di persone in più potrebbero essere spinte in condizioni di povertà estrema nel 2022, a causa dell’impatto combinato del Covid-19, della disuguaglianza e dell’inflazione relativa ai prezzi di cibo ed energia, accelerata dalla guerra in Ucraina”: è quanto comunica l’Oxfam, la confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, sulla base di un suo recente rapporto intitolato “Prima crisi, poi catastrofe”. “Abbiamo bisogno di un piano di salvataggio economico globale”, sottolinea in tal senso l’Oxfam, aggiungendo che “a meno che i leader del G20, il FMI e la Banca mondiale non agiscano immediatamente, oltre un quarto di miliardo di persone in più potrebbero trovarsi in una situazione di povertà estrema nel 2022”.

L’Olanda diventerà la prima nazione europea a ridurre gli allevamenti intensivi

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L’Olanda ha annunciato di voler ridurre gli allevamenti intensivi: l’obiettivo prevede la diminuzione del 30% degli animali al loro interno entro il 2030. Si tratterebbe di un grandissimo ridimensionamento del settore dell’allevamento al fine di dimezzare le emissioni di azoto e proteggere così l’ambiente. È la prima nazione europea a prendere questa strada.

Il governo olandese ha deciso di concentrarsi su questo settore perché il  paese è al primo posto a livello europeo per l’esportazione di carne. L’Olanda conta 100milioni di capi di bestiame per 17 milioni di abitanti. Una densità davvero molto alta per un territorio non molto esteso, grande più o meno come la Lombardia e il Veneto insieme. L’allevamento intensivo, infatti, causa conseguenze non di poco conto, specialmente al terreno per via dall’ammoniaca prodotta da letame e liquami. Inoltre, importanti aree territoriali olandesi sono state inquinate dall’azoto con una progressiva acidificazione e sovrafertilizzazione.

Lo Stato è quindi pronto ad azionarsi per la riduzione degli allevamenti intensivi negli anni a venire, affinché anche il suolo possa tornare in salute. Per raggiungere l’obiettivo, i Paesi Bassi si impegneranno a produrre meno rifiuti e a riciclare ove possibile, ricavare mangime per animali dagli scarti dell’industria alimentare, e salvaguardare il benessere degli animali anche con la costruzione di spazi più ampi, per evitare malattie e l’impiego di antibiotici. Il piano prevede anche un paracadute per i lavoratori del settore: nei 25 miliardi di euro che verranno investiti in questo percorso di transizione, sono previsti risarcimenti e incentivi per accompagnare e sostenere gli allevatori che dovranno adattarsi ai cambiamenti e abituarsi a uno sfruttamento del territorio più rispettoso.

La speranza che le misure introdotte in Olanda siano da esempio anche per gli altri paesi europei è grande, soprattutto se si considera che per ridurre notevolmente le emissioni di gas serra – precisamente del 68% -, bisognerebbe eliminare totalmente gli allevamenti a livello globale, come confermato da un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Plos Climate. In questo modo, infatti, si ridurrebbe la quantità di anidride carbonica, metano e ossido di azoto, e non ci sarebbe più bisogno di sfruttare i campi per la produzione di mangime. Il tutto renderebbe possibile il recupero della vegetazione nativa, considerando che il 30% della superficie terreste viene utilizzata per il pascolo o la coltivazione di mangimi per gli animali.

[di Eugenia Greco]

E171: il colorante pericoloso che l’industria alimentare usa da troppi anni

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Partiamo dalla fine: il 7 Agosto 2022 entrerà in vigore in tutta Europa il divieto totale di impiego del colorante alimentare E171 (biossido di titanio) negli alimenti e negli integratori, ma rimarrà consentito l’uso in prodotti di cosmesi e nel rivestimento delle compresse dei farmaci. La Commissione europea ha messo definitivamente fuori legge questa sostanza tossica (dopo oltre 14 anni di impiego in ambito alimentare) con il Regolamento UE 2022/63 del Gennaio 2022, concedendo però all’industria un termine di adeguamento di sei mesi dalla data del Regolamento, al fine di poter smaltire le sc...

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Lo sport dei ragazzi senza green pass riparte da Cesenatico, con un torneo autogestito

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A Cesenatico si tornano a fare prove di normalità: domenica 10 aprile si è tenuto il primo torneo di basket libero a 8 squadre all’esterno del Palazzetto dello sport cittadino. Sono stati 90 i ragazzi tra i 9 e i 17 anni che hanno partecipato alla gara, per sperimentare di nuovo la bellezza dello stare insieme dopo mesi di restrizioni. Senza bisogno di esibire alcun green pass. A causa delle nuove regole imposte a gennaio di quest’anno, infatti, i ragazzi al di sopra dei 12 anni non hanno più potuto fare sport se non in possesso della certificazione verde rafforzata, ottenibile in seguito a vaccinazione o guarigione da Covid. Così, i genitori hanno scelto di auto-organizzarsi e fornire ai propri figli nuove opportunità di socializzazione con un torneo interregionale che ha richiamato ragazzi da Lombardia, Marche ed Emilia-Romagna.

Domenica 10 aprile a Cesenatico si è tenuto un grande torneo di basket, che ha coinvolto 8 squadre per un totale di 90 ragazzi tra i 10 e i 16 anni. Le squadre provenivano dalle città di Rimini, Pisa, Sassuolo, Forlì, Pesaro, Altedo, Casal Maggiore Cremona e Bologna. Tutti, o quasi, senza green pass. L’iniziativa è nata da un gruppo di genitori i cui figli, in seguito all’entrata in vigore del decreto legge 229/2021, a partire dai 12 anni di età non avrebbero più potuto praticare sport di squadra se non in possesso della certificazione sanitaria ottenibile con la vaccinazione o la guarigione da Covid. «Abbiamo fatto i primi allenamenti nella prima settimana di gennaio, prima che il decreto entrasse in vigore» mi racconta Anna Ballerini, genitore membro del gruppo Rimini Basket Libero e tra le organizzatrici dell’iniziativa, il cui figlio undicenne si è rifiutato di proseguire l’attività nella propria società sportiva dopo che il migliore amico ne era stato escluso in quanto sprovvisto della certificazione sanitaria.

Sin da subito i bambini hanno trovato adulti, tra i quali ex giocatori di basket, disposti ad allenarli all’aperto. «Abbiamo iniziato ad incontrarci tutti i sabati e nel frattempo, grazie ai gruppi Telegram, abbiamo visto che c’era una realtà analoga a Forlì. Li abbiamo contattati, e il 12 marzo abbiamo fatto la prima trasferta per far incontrare le due squadre. In quell’occasione abbiamo rilasciato un comunicato stampa e hanno iniziato a contattarci altre realtà da tutta Italia. Il 27 marzo abbiamo ospitato una squadra del cremonese, ma nel frattempo se ne sono aggiunte altre, così abbiamo deciso di organizzare il torneo di domenica scorsa».

L’evento, ospitato dal Palazzetto dello Sport di Cesenatico e dal significativo nome di “Festa del Basket Libero”, si è trasformato in un gioioso momento di incontro e condivisione sia per i ragazzi che per gli adulti. I ragazzi, provati da due anni di restrizioni e isolamento che hanno pesantemente influito sulla salute fisica e psicologica, hanno beneficiato enormemente di questa nuova opportunità di socializzazione. «Domenica ho visto solo gioia. I ragazzi praticamente non li abbiamo visti, hanno giocato ininterrottamente per dieci ore senza mai abbandonare il campo. Non abbiamo fatto nemmeno la pausa pranzo» mi racconta Anna entusiasta.

«La nostra non sarà una realtà momentanea» mi spiega Anna, parlandomi delle iniziative future del gruppo, «troveremo una forma di organizzarci e andremo avanti. La nostra non vuole essere una realtà chiusa, tra i ragazzi ce n’era almeno uno vaccinato. Non vogliamo creare discriminazione, ma offrire un’alternativa inclusiva».

[di Valeria Casolaro]