sabato 6 Dicembre 2025
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Foggia: ragazzo picchiato da un poliziotto in strada (video)

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Nelle scorse ore è diventato virale su TikTok il video di un ragazzo preso a calci da un poliziotto. I fatti risalgono al 2 aprile scorso, quando a Foggia un giovane di 23 anni è stato immobilizzato al culmine di un inseguimento in auto durato circa 3 km tra le vie della città, iniziato secondo la questura per il mancato accostamento a un posto di blocco. All’interno del video diffuso da un cittadino si può notare come il 23enne, immobilizzato a terra da un agente, venga sopraggiunto da un violento calcio da parte di un collega. L’aggressione continua per diversi secondi, anche con il tentativo di schiacciare la testa del ragazzo, fino a quando il poliziotto viene allontanato dagli altri agenti presenti sul luogo.

La questura di Foggia ha dichiarato in una nota che “nei confronti del poliziotto, destinato ad altra sede, è stata avviata l’azione disciplinare”. Nel frattempo, il giovane 23enne ha esposto la propria versione dei fatti, in linea con quanto immortalato all’interno del video: «Mi sono accasciato e lui mi ha tirato un calcio forte. Gli altri poliziotti dicevano di smettere ma lui continuava. Ha continuato anche quando eravamo in questura. Gli chiedevo scusa e lui continuava a schiaffeggiarmi». Il legale del ragazzo, Paolo Ferragonio, ha assicurato che “una volta raccolta tutta la documentazione medica e i video che circolano sul web, verrà presentata una denuncia alla Procura”. La notizia dell’episodio è arrivata anche fra i banchi della politica, dove il deputato Michele Bordo (Pd) ha annunciato l’intenzione di presentare un’interrogazione parlamentare.

[Di Salvatore Toscano]

Lecce, 17 arresti in un blitz antimafia

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Nelle prime ore del giorno a Lecce è scattata l’operazione Game Over. Il blitz, condotto dalla polizia, è nato da un’indagine della Direzione distrettuale Antimafia nei confronti di soggetti che farebbero parte del clan Briganti. Sono state disposte così diciassette misure di custodia cautelare per associazione a delinquere di stampo mafioso, associazione finalizzata al traffico e alla commercializzazione di sostanze stupefacenti, estorsione e violazione della legge sulle armi. In mattinata, la questura di Lecce fornirà ulteriori dettagli nel corso di una conferenza stampa.

È finalmennte iniziato il processo internazionale per i crimini di guerra in Darfur

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Il 4 aprile la Corte penale internazionale dell’Aia, con sede nei Paesi Bassi, ha dato il via al primo processo per condannare i crimini commessi durante la guerra civile in Darfur, dopo un lungo periodo dalla fine della missione delle Nazioni Unite nel paese. La provincia ad ovest del Sudan è stata infatti, dal 2003 al 2006, teatro di scontri che, a parere dell’ONU, hanno portato alla morte di 300mila persone. Chi sono gli imputati? Al momento uno solo: si tratta di Ali Kushayb, 72 anni ed ex capo di una milizia segretamente appoggiata dal Governo Nazionale (gli Janjawid), accusato di 31 incriminazioni relative a crimini di guerra e crimini contro l’umanità compiuti tra il 2003 e il 2004. L’uomo fu arrestato nel 2020 e consegnato alla Corte penale internazionale dopo ben 13 anni di latitanza.

Di cosa è accusato nello specifico? La Corte penale internazionale sostiene che Ali Kushayb, insieme alle sue milizie, abbia commesso in alcune zone del Darfur stupri, torture, omicidi e saccheggi. Il leader militare sarebbe inoltre stato fondamentale nella strategia d’attacco adottata dal Governo, che di fatto si concretizzò con il compimento di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Al processo però ci sarebbero dovute essere altre tre persone, incriminate proprio come Ali Kushayb. Tra loro l’ex presidente del Sudan, Omar al Bashir, accusato di crimini di guerra nel 2009. Bashir era salito al potere nel 1989, con un colpo di stato. Il suo Governo si è protratto fino al 2019, quando un altro colpo di stato lo costrinse a lasciare la presidenza. Il nuovo Governo, nel tentativo di guidare il Paese verso una transizione democratica, promise di consegnare Bashir alla Corte dell’Aia, ma ad oggi l’uomo è ancora detenuto nelle prigioni del Sudan.

Oltre all’ex presidente, sarebbero dovuti comparire in tribunale altri due funzionari: Abdel-Rahim Mohammed Hussein, ex Ministro dell’Interno, in carica durante il conflitto e Ahmed Harun, ex funzionario dedito alla sicurezza vicino a Bashir. Entrambi, accusati di crimini contro l’umanità, sono ad oggi latitanti.

Perché si è combattuta una guerra in Darfur?

Secondo gli arabi il conflitto nel Darfur, che ha effettivamente preso piede (per come lo conosciamo) dal febbraio del 2003, è stato generato in parte dall’astio fra etnie diverse. Di che etnie si tratta? In generale, da una parte c’erano gli arabi (nomadi) e dall’altra le tribù di neri africani (agricoltori). Il Governo sudanese – appoggiato dalle etnie arabe – sostiene che il conflitto nella regione del Darfur sia frutto unicamente della competizione tra pastori e allevatori (e quindi le due macro fazioni) per il controllo del territorio.

Al contrario, i leader delle tribù non arabe affermano che il Governo abbia portato avanti una strategia mirata per arabizzare il Darfur e soffocare con la violenza le proteste, cercando di spopolare i villaggi. Come? Servendosi dell’aiuto dei Janjawid ad esempio, una milizia di origine e di lingua araba responsabile di attacchi contro la popolazione civile. Le tribù dei neri hanno raccontato di brutali repressioni, discriminazioni da parte del governo sudanese ed esclusione dall’economia nazionale. L’Amministrazione di Khartoum è stata per questo più volte accusata di incoraggiare “la pulizia etnica e il genocidio” in Darfur (che va avanti tuttora) e di strumentalizzare a tale scopo alcune tribù arabe.

[di Gloria Ferrari]

Giovedì 7 aprile

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7.30 – Funzionari del Pentagono affermano che l’Ucraina può «assolutamente» vincere la guerra, ma potrebbe durare a lungo.

8.30 – Italia: il Parlamento approva in via definitiva la rimozione del divieto ad essere iscritti a due corsi di laurea contemporaneamente.

9.00 – Foggia: diffuse le immagini di un 23enne colpito con calci alla testa da un poliziotto mentre era a terra.

12.40 – Germania: la maggioranza va sotto in Parlamento sull’obbligo vaccinale agli over 60: vince il no.

14.00 – L’Italia approva nuovi incentivi per l’acquisto di auto elettriche per 650 milioni di euro.

15.30 – Il Parlamento UE vota a larga maggioranza la richiesta di embargo immediato su petrolio e gas russo.

16.10 – Il governo ucraino presenta un nuovo piano di pace, la Russia lo bolla come «inaccettabile».

17.00 – L’Agenzia delle Entrate ha iniziato a spedire le multe agli over 50 non vaccinati.

17.45 – Gas: emissari di 12 aziende Usa ricevuti dall’UE per discutere aumento forniture di GNL.

18.30 – L’Assemblea Generale ONU ha sospeso la Russia dal Consiglio dei diritti umani approvando la richiesta USA.

19.20 – Caso Cucchi: il Tribunale di Roma ha condannato anche gli 8 carabinieri accusati di depistaggi sulle indagini.

19.40 – Il Libano si accorda con il Fondo Monetario Internazionale: finanziamenti in cambio di riforme.

 

Guerra Ucraina: Onu sospende Russia da Consiglio diritti umani

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La richiesta degli Usa di sospendere la Russia dal Consiglio dei diritti umani di Ginevra è stata approvata dall’Assemblea Generale dell’Onu con 93 voti a favore, 24 contrari e 58 astenuti. Nella bozza di risoluzione si chiedeva nello specifico di “sospendere il diritto della Russia” di far parte del Consiglio e si esprimeva “grave preoccupazione per la crisi umanitaria in Ucraina, in particolare per le notizie di violazioni e abusi del diritto internazionale umanitario da parte di Mosca”.

Bambini separati e cure tradizionali: la Cina le prova tutte per mantenersi Covid zero

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In Cina, dove nell’ultimo periodo sono aumentati in maniera netta i casi di Covid, il governo ha deciso di adottare il pugno di ferro con l’obiettivo di fermare i contagi nel Paese: nello specifico, dopo che nelle scorse settimane quasi 40 milioni di persone sono state messe in lockdown, a catturare l’attenzione mediatica adesso è Shanghai, che attualmente rappresenta l’epicentro della nuova ondata presente in Cina. A tutti i 26 milioni di residenti della città, infatti, da qualche giorno non solo è stato imposto il lockdown ma anche tutta una serie di altre restrizioni quali massicci test a tappeto e la separazione dei bambini risultati positivi dalle loro famiglie, mentre dal punto di vista preventivo le autorità stanno distribuendo ai residenti le medicine tradizionali cinesi. Misure che se da un lato lasciano di stucco dall’altro sembrano essere in linea con il rigido modus operandi adottato in Cina, dove fin dall’inizio per contrastare l’emergenza sanitaria ci si è rifatti alla cosiddetta “strategia zero-Covid” – il cui obiettivo è quello di stroncare possibili focolai sul nascere – che però mentre finora aveva permesso di mantenere i contagi molto bassi, ultimamente pare non essere più così efficace. Come detto, infatti, i casi sono adesso in crescita, ma nonostante ciò le autorità continuano a non mettere in discussione la propria strategia, che viene perseguita strenuamente.

A Shanghai, dove vi è il peggior focolaio cinese di Covid da quando il virus ha preso piede a Wuhan nel 2020, i contagi sono in costante crescita e nella giornata di ieri sono stati registrati 19.660 nuovi casi asintomatici di coronavirus e 322 nuovi casi sintomatici. È per questo, dunque, che le autorità sono corse ai ripari e dopo aver imposto la scorsa settimana un lockdown in due fasi (la prima riguardante la parte est di Pudong e la seconda quella ovest di Puxi), negli scorsi giorni il confinamento è stato esteso all’intera città sine die.

Non solo, perché nella metropoli si stanno mettendo in campo le misure più disparate ed in tal senso non si possono non citare quelle relative ai rigorosi test a tappeto. Tre giorni fa, infatti, più di 38.000 operatori sanitari provenienti da 15 suddivisioni provinciali cinesi sono accorsi a Shanghai per contribuire alla battaglia contro il virus: nello specifico – come dichiarato dall’alto ufficiale Commissione Sanitaria Nazionale Jiao Yahui – più di 11.000 medici hanno assunto incarichi di lavoro negli ospedali temporanei, più di 23.000 operatori sanitari si sono occupati della raccolta di campioni per i test molecolari e quasi 4.000 sono stati dispiegati per sostenere il lavoro da svolgere nei laboratori di analisi per il Covid-19. Alla fine, nella giornata di lunedì, grazie a questo massiccio dispiegamento di personale sanitario tutti i cittadini di Shanghai sono stati sottoposti al test molecolare.

Va senza dubbio menzionato, poi, il trattamento riservato ai positivi: in linea con la strategia “zero Covid”, infatti, ai cittadini risultati positivi è richiesto di recarsi in veri e propri centri di quarantena. A tal proposito, però, critiche sono arrivate da parte della popolazione, infastidita dalle condizioni antigieniche in cui tali centri verserebbero a causa del loro sovraffollamento e non a caso, dunque, recentemente a Shanghai si è deciso di convertire il National Exhibition and Convention Center (Necc) in un ospedale di emergenza con una capacità prevista di 40.000 letti. Non si tratta tuttavia di certo dell’unica criticità legata ai centri per la quarantena: la decisione più osteggiata, infatti, è stata quella sopracitata di separare i bambini positivi dai loro genitori, che ha scatenato una rabbia diffusa nella popolazione. Come confermato negli scorsi giorni da Wu Qianyu, funzionario della Shanghai Municipal Health Commission, i bambini dai 7 anni in giù dovrebbero essere portati “in un centro sanitario pubblico” mentre tutti gli altri dovrebbero essere “isolati nei centri di quarantena”. Vi sono state quindi proteste diffuse tra i cittadini, in seguito alle quali un alto funzionario sanitario della città avrebbe affermato che i genitori di bambini con non meglio definiti “bisogni speciali” avrebbero potuto ora presentare domanda per fare compagnia ai figli.

Oltre a tutto ciò poi, come anticipato precedentemente Shanghai sta distribuendo ai residenti milioni di scatole di medicina tradizionale cinese (MTC), come prodotti a base di erbe e capsule antinfluenzali, che si sostiene possano curare il Covid-19. In tal senso, secondo quanto testimoniato all’agenzia di stampa Reuters dal presidente dell’ospedale “Shuguang” Fang Min, circa il 98% dei pazienti Covid di Shanghai starebbe “assumendo un trattamento con MTC”, anche se parrebbero non esserci dati clinici affidabili a riguardo. Ad ogni modo, però, ciò che in conclusione non si può non ricordare è il fatto che tutte queste misure di contrasto adottate in Cina, ed in particolare ora a Shanghai, sembrano quantomeno divenire discutibili se si paragona la situazione cinese con quella dei paesi occidentali. Prendendo ad esempio in riferimento l’Italia, si nota che mentre nel nostro Paese ieri sono stati registrati circa 69.000 casi e 150 decessi, in Cina vi sono stati circa 23.000 casi (tra asintomatici e sintomatici) e nessun nuovo decesso.

[di Raffaele De Luca]

L’Italia ha pubblicato un bando per la produzione di cannabis a fini medici

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Il Ministero della Difesa ha pubblicato un bando per la coltivazione della cannabis terapeutica. Operatori privati, dopo un lungo percorso, diveranno autorizzati a produrre cannabis per le necessità dei malati italiani sotto la supervisione delle autorità pubbliche. Un risultato che costituisce un passo in avanti evidente per i malati, ma che mostra alcuni limiti. Lo stesso documento ufficiale pubblicato sul sito del Ministero della Difesa riporta la dicitura “Procedura ristretta”, andando a mettere in evidenza fin da subito le svariate limitazioni interne all’affidamento del “Servizio di coltivazione di piante di cannabis per la fabbricazione di medicinali e di materie prime farmaceutiche”. Eppure in Italia la produzione annuale è pari a 100-150 chilogrammi: una quantità irrisoria, specialmente considerando la richiesta di cannabis medicinale che equivale a 3 tonnellate all’anno. E l’unico produttore autorizzato in tutto il territorio nazionale è lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze (SCFM).

È dal 2015 che lo SCFM ha iniziato a coltivare e produrre cannabis ad uso medico, poi utilizzata per trattamenti di patologie quali la sclerosi multipla, malattia di Parkinson, corea di Huntington, la sindrome di Gilles de La Tourette. Ma la Cannabis Terapeutica è utile anche per lenire alcune forme di epilessia o come terapia del dolore cronico, della nausea e degli effetti indesiderati di chi è sottoposto a chemioterapia. Considerando la notevole richiesta annua in tutto il territorio nazionale e i benefici medici della pianta, il bando tanto spinoso non rimane altro che una “buona” notizia. Perché gli eventuali candidati dovranno fin da subito farsi strada in un sistema molto restrittivo che tiene a distanza tante speranze. Nonostante il tentativo sia quindi di buon auspicio, l’effettiva applicazione di un’ipotesi che circola fin dal 2018 appare cingente. Come riportato nel bando, per la procedura burocratica prevista, gli interessati hanno tempo solo fino al 27 giugno 2022. Un lasso temporale di soli due mesi per organizzarsi e inoltrare la richiesta, possibile tra l’altro per i soli operatori che soddisfino determinati requisiti quali l’essere provvisti di un impianto di coltivazione indoor e un personale già formato e completo.

Se e quando idonei, gli Operatori Economici dovranno passare una selezione divisa in quattro fasi principali. Ci sarà innanzitutto una selezione qualitativa dei candidati e a seguire un’ispezione tecnica e giudizio d’idoneità. Dopodiché, è prevista la conferma della manifestazione d’interesse e trasmissione inviti alla procedura ristretta e, per finire, l’avvio della sperimentazione con valutazione finale e giudizio di idoneità degli Operatori Economici. Dalla seconda fase, la procedura rimarrà invariata anche con un solo operatore valido. Ai candidati viene inoltre richiesto l’utilizzo di lampade al sodio, quantunque le lampade LED siano ben più convenienti dal punto di vista di risparmio energetico. È poi richiesta una capacità produttiva di 500 chilogrammi l’anno, quantità assai difficile da raggiungere considerando i numeri annuali dello SCFM. Il documento pubblicato lunedì, risulta quindi essere una manovra tanto attesa quanto deludente, vista la rigidità del bando che invece dovrebbe snellire alcune procedure per soddisfare una richiesta molto alta per un prodotto, come dimostrato, tanto utile e ancora poco valorizzato.

[di Francesca Naima]

Non solo Cucchi: gli altri morti nelle mani dello Stato in cerca di giustizia

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La giornata del 4 aprile 2022 segna una data storica nella lotta per i diritti in Italia. I due carabinieri autori del brutale pestaggio di Stefano Cucchi, che ne causò la morte in appena una settimana, sono stati condannati in via definitiva a 12 anni di carcere. Un traguardo che segna un punto finale nella vicenda della famiglia Cucchi, da più di un decennio in lotta perché la verità sotto gli occhi di tutti divenisse anche verità giudiziaria. Una vittoria parziale, tuttavia, che aspetta ancora un giudizio definitivo per gli altri carabinieri coinvolti nella vicenda, tra omertà e insabbiamen...

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Ue: Parlamento chiede embargo immediato su energia russa

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Il Parlamento europeo ha approvato, con 513 voti favorevoli, 22 contrari e 19 astensioni, una risoluzione di maggioranza con cui chiede ulteriori sanzioni contro la Russia, tra cui un “embargo totale e immediato sulle importazioni russe di petrolio, carbone, combustibile nucleare e gas”. “Colleghi, questo è un momento significativo, la nostra posizione è chiara” avrebbe affermato la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola in seguito all’approvazione della risoluzione, con cui i deputati chiedono altresì ai leader dell’Ue di “escludere la Russia dal G20 e da altre organizzazioni multilaterali, come l’Unhcr, l’Interpol, l’Organizzazione Mondiale del Commercio e l’Unesco”.

Burkina Faso: finalmente condanne per l’omicidio di Sankara, l’ex leader antimperialista

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Il 6 aprile un tribunale militare di Ouagadougou ha condannato all’ergastolo Blaise Compaoré, ex presidente 71 enne del Burkina Faso in carica dal 1987 al 2014, per aver contribuito attivamente all’omicidio di Thomas Sankara, suo predecessore. Insieme a Compaoré, che non era presente al processo perché attualmente in esilio, sono stati condannati all’ergastolo anche Hyacinthe Kafando, all’epoca a capo della sicurezza e Gilbert Diendéré, un ex comandante accusato di aver partecipato in prima persona all’uccisione di Sankara, avvenuta nel 1987 (Diendéré era invece presente al processo). Sono state condannate anche altre otto persone, con pene che oscillano tra i tre e i venti anni di carcere, mentre tre imputati sono stati completamente assolti.

Chi era Thomas Sankara? E come mai nel suo omicidio sono coinvolte figure governative? Anche se la sua morte è accaduta ormai più di trent’anni fa, la storia del frère juste (fratello giusto, come veniva chiamato) non è mai stata dimenticata dai suoi conterranei. Thomas Sankara rimase a capo del Burkina Faso dal 1983 fino al 15 ottobre del 1987, fino cioè al giorno del suo assassinio (a cui seguì la salita al potere di Compaoré).

Ad alcuni piace ricordarlo come un moderno Che Guevara, ad altri come una figura mitologica, una meteora, che ancora oggi ispira una gioventù africana che lotta contro abusi e soprusi. Ma, per chi non lo conoscesse, Sankara era “semplicemente” un uomo che al posto delle limousine presidenziali aveva voluto una flotta di Renault 5 e che aveva cambiato quel nome, Alto Volta, affibbiato al suo paese dalle potenze coloniali, con Burkina Faso, il paese degli “uomini integri”. Quello stesso paese di cui prese le redini il 4 agosto del 1983, secondo alcuni grazie ad un colpo di stato militare. In realtà Sankara ebbe fin da subito l’appoggio della popolazione, ansiosa di liberarsi dalle pressioni francesi, dagli abusi e innumerevoli sopraffazioni. Ciò che alla fine Sankara fece, a tutti gli effetti, individuando la soluzione più giusta per gli interessi dei suoi “uomini e donne integri”. Se le terre e le miniere erano gestite da compagnie straniere e non portavano ricchezza alla nazione, la risposta era nazionalizzarle e metterle al servizio della ricchezza popolare, ad esempio.

Sankara era un personaggio scomodo, con una missione non facile e che avrebbe nel tempo (se ne avesse avuto di più) cambiato totalmente la mentalità degli abitanti, liberandola dai fantasmi del colonialismo. Parlare di Sankara è un po’ come racchiudere un’intera lotta antimperialista e panafricanista che non accetta la condizione di vita in cui Burkina Faso e l’Africa subsahariana si ritrovano a vivere. Parliamo di una terra che accoglie sette milioni di uomini, il 98% dei quali non sa leggere né scrivere, dove 1 bambino su 5 muore prima di compiere cinque anni, con un solo medico ogni 50mila abitanti e un reddito pro capite che non arriva a 100 dollari l’anno.

Dopo il suo assassinio, al suo posto ha preso il potere il capitano (condannato) Blaise Compaoré, una sorta di vice che Sankara considerava un fratello. Oltre a lui, è difficile pensare che grandi potenze come l’ex padrone francese e gli Usa potessero permettersi di tollerare un uomo ribelle e pensante, in grado di sovvertire il solito iter che prevede sfruttamento estremo di paesi ricchi di risorse ma svuotati dalle multinazionali; Per questo motivo continuano ad aver ragione di esistere i sospetti del sostegno che Blaise Compaoré ha ricevuto dagli Stati Uniti e della Francia, intenzionati a “far fuori” un individuo “fuori dal gregge”.

“È un uomo un po’ fastidioso, il presidente Sankara. È vero! Ti provoca, pone domande… Con lui non è facile dormire in pace, non ti lascia la coscienza tranquilla!”. Sono le parole con cui il presidente francese dell’epoca, François Mitterrand, aveva definito Sankara durante una visita ufficiale a Ouagadougou. Certo, da qui a dire che la Francia abbia a tutti gli effetti commissionato di far fuori l’ex primo ministro ce ne vuole, ma sono tutti piccoli elementi che vanno a completare un immenso e ingarbugliato puzzle.

Tuttavia la notizia della condanna di Compaoré è comunque un grosso traguardo. Dopo la sentenza, la vedova di Sankara, Mariam Sankara ha detto: «penso che i burkinabe sappiano ora chi era Thomas Sankara…cosa voleva e cosa volevano anche coloro che lo hanno assassinato».

[di Gloria Ferrari]