“263 milioni di persone in più potrebbero essere spinte in condizioni di povertà estrema nel 2022, a causa dell’impatto combinato del Covid-19, della disuguaglianza e dell’inflazione relativa ai prezzi di cibo ed energia, accelerata dalla guerra in Ucraina”: è quanto comunica l’Oxfam, la confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, sulla base di un suo recente rapporto intitolato “Prima crisi, poi catastrofe”. “Abbiamo bisogno di un piano di salvataggio economico globale”, sottolinea in tal senso l’Oxfam, aggiungendo che “a meno che i leader del G20, il FMI e la Banca mondiale non agiscano immediatamente, oltre un quarto di miliardo di persone in più potrebbero trovarsi in una situazione di povertà estrema nel 2022”.
Quarta dose vaccino, Walter Ricciardi: “In autunno sarà per tutti”
«In autunno sarà necessaria una nuova dose per tutti»: è quanto ha affermato, in un’intervista rilasciata al quotidiano Il Messaggero, Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute Roberto Speranza. «L’autunno sarà un momento delicato e difficile, perché ci saranno le condizioni favorevoli per la propagazione del virus e ci sarà un’attenuazione della protezione vaccinale in tutta la popolazione», ha dichiarato in tal senso Ricciardi, aggiungendo che la speranza sia quella di «avere dei vaccini onnicomprensivi, perché i vaccini che oggi abbiamo non proteggono in maniera completa e gli anticorpi monoclonali, tranne in un caso, non si sono rivelati efficaci contro il virus». Per questo, ha concluso Ricciardi, «quando arriveranno i nuovi vaccini sarà consigliabile un richiamo per tutti».
Dall’Ucraina niente di buono: aggiornamenti dal fronte militare e diplomatico
A quasi due mesi dall’inizio delle ostilità, i combattimenti continuano a scuotere il territorio ucraino, tra le offensive russe e il fallimento della diplomazia. In queste ore Mariupol, città dell’Ucraina sudorientale considerata strategica da Putin, è sotto assedio, con il porto che sembrerebbe ormai nelle mani russe. Da Mosca arriva anche la notizia di circa 1000 soldati ucraini fatti prigionieri nella città, confermata nella sostanza ma smentita nei numeri da Kiev che parla di prigionia esclusivamente per “una parte della 36a Brigata Marine”, quindi “non mille persone, ma molte meno”. Al largo di Odessa, invece, ieri sarebbe stato colpito da due missili ucraini l’incrociatore russo Moskva, costringendo i militari a bordo (oltre 500) ad abbandonare la nave da guerra. Secondo il Cremlino si tratterebbe di un incendio e non di un attacco. In ogni caso la Russia ha perso l’operatività di una delle maggiori navi della sua flotta militare, dotata della massima tecnologia bellica sviluppata dal Paese.

Nel frattempo, la diplomazia fallisce giorno dopo giorno con incontri inconcludenti fra le parti, ultima la trasferta a Mosca del cancelliere austriaco Karl Nehammer, il primo leader occidentale (membro dell’Unione europea ma non della NATO) a incontrare Vladimir Putin dall’inizio della guerra. L’intenzione di Nehammer era quella di arrivare nel Paese per “far capire al leader russo di aver perso la guerra“: questo atteggiamento di certo non ha ripagato, consegnando alla storia un incontro di 75 minuti praticamente inutile, definito dallo stesso cancelliere “non amichevole” e “molto difficile”. Nehammer ha infine minacciato di inasprire le sanzioni verso la Russia «finché in Ucraina le persone continueranno a morire», ribadendo che l’Unione europea sia allineata a questa scelta. Si tratta, tuttavia, di una misura che ha appena scalfito l’export russo: secondo i dati raccolti dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), le sanzioni congiunte di Regno Unito, Unione europea e Stati Uniti hanno inciso infatti soltanto sul 7% delle esportazioni totali russe. Per i Paesi occidentali si profila oltre al danno anche la beffa, visto che paradossalmente le entrate di Mosca (relative all’energia) sono aumentate rispetto a due mesi fa.

Nei giorni scorsi hanno fatto riflettere, o almeno dovrebbero spingere a farlo, le dichiarazioni del Presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden che, dopo aver definito Putin “un macellaio”, lo ha accusato di genocidio per le atrocità commesse in Ucraina. L’uso inedito del termine (in relazione alle azioni russe nel Paese) continua l’escalation verbale avviata già nelle scorse settimane da Russia e Occidente. “Parole vere da un vero leader” ha scritto prontamente su Twitter Volodymyr Zelensky, che dagli Stati Uniti riceverà 800 milioni di dollari di nuove armi. Dalla Francia è arrivata, invece, una reazione diversa alle dichiarazioni di Biden, con Emmanuel Macron che ha dichiarato: «È una follia quello che sta succedendo, una brutalità inaudita, ma allo stesso tempo sto osservando i fatti e voglio cercare il più possibile di continuare a essere in grado di fermare questo conflitto e ricostruire la pace. Non sono sicuro che l’escalation di termini servirà alla causa». Sulla questione è intervenuta anche la Cina, attraverso le parole del portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian: «Qualsiasi sforzo della comunità internazionale dovrebbe raffreddare la tensione, non alimentarla, e dovrebbe spingere per una soluzione diplomatica, non aggravare ulteriormente gli scenari».
True words of a true leader @POTUS. Calling things by their names is essential to stand up to evil. We are grateful for US assistance provided so far and we urgently need more heavy weapons to prevent further Russian atrocities.
— Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) April 12, 2022
Oltre a un aspetto puramente lessicale, un’escalation dialettica potrebbe mutare radicalmente lo scenario geopolitico attuale, soprattutto se condotta dalla potenza più influente della NATO. Stabilizzare, agli occhi dell’opinione pubblica, la guerra in Ucraina sui termini del genocidio potrebbe spianare la strada al modus operandi adottato a fine XX secolo nei Balcani, quando la NATO intervenne militarmente per “porre fine a una deliberata campagna di oppressione, pulizia etnica e violenze intrapresa nella regione del Kosovo dal regime jugoslavo contro i propri cittadini di origine albanese”. Prima del 24 marzo 1999, inizio dell’operazione Allied Force, le ragioni umanitarie dell’intervento erano state più volte ribadite sia in ambito propriamente Nato, ad esempio dal Segretario generale Javier Solana, sia da parte dei governi degli Stati membri. L’allora Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, in un discorso alla nazione, dichiarò che le operazioni NATO appena avviate (erano le 20 del 24 marzo 1999) si erano rese necessarie per «difendere la vita di migliaia di innocenti» e che porre fine alla tragedia del Kosovo con la forza costituiva «un imperativo morale». Nelle operazioni, terminate il 10 giugno successivo, morì un numero (ancora) indefinito di civili.
[Di Salvatore Toscano]
Usa, agente uccide afroamericano mentre è a terra
Nelle ultime ore la polizia ha diffuso il filmato di quanto accaduto il 4 aprile scorso a Grand Rapids, in Michigan. Le immagini, riprese da diverse telecamere (tra cui una bodycam), mostrano il 26enne Patrick Loyola e un poliziotto scontrarsi sul taser estratto dall’agente. Successivamente, il ragazzo è a terra con il poliziotto che lo bracca con la gamba sulla schiena: lo scontro continua, fino a quando l’agente estrae la pistola d’ordinanza e colpisce mortalmente il 26enne, fermato in precedenza per un controllo stradale. «Durante lo scontro l’agente ha sparato. Sarà trattato come chiunque altro», ha affermato il capo della polizia Eric Winstrom.
No Tav: notte di proteste in Val di Susa
Nuove azioni dimostrative degli attivisti No-Tav per protestare contro la grande opera nella Val di Susa. Nella notte tra il 12 e il 13 aprile i manifestanti hanno fatto esplodere fuochi d’artificio nei pressi del cantiere dell’autoporto di San Didero, opera connessa all’Alta Velocità, e tagliato parte delle recinzioni. La polizia presente sul posto ha risposto con il lancio di lacrimogeni. Con questa iniziativa i No-Tav si preparano alla grande marcia del 16 aprile, “contro la devastazione del territorio e contro la guerra”.
Non si fermano le azioni degli attivisti No-Tav nella Valle di Susa, martoriata dai lavori per la grande opera che dovrebbe un giorno collegare le città di Torino e Lione. Nell’anniversario dello sgombero del Presidio Ex Autoporto di San Didero gli attivisti hanno messo in atto una marcia tra i territori che un anno fa furono teatro di una dura azione repressiva, facendo poi esplodere fuochi d’artificio nei pressi del cantiere.
Nella notte tra il 12 e il 13 aprile 2021, infatti, oltre 300 agenti delle forze dell’ordine si presentarono laddove allora sorgeva il presidio per far sgomberare gli attivisti, anche grazie all’uso di lacrimogeni. Il mattino seguente la zona era stata isolata, decine di alberi erano stati abbattuti ed erano state installate recinzioni in jersey e filo spinato per proteggere la futura sede dell’autoporto.
Con questa azione i manifestanti si preparano alla grande marcia che avrà luogo sabato 16 aprile prossimo da Bussoleno a San Didero. L’iniziativa avrà come oggetto il no alla realizzazione della grande opera e alla devastazione del territorio, ma anche il rifiuto della guerra e dell’aumento delle spese militari.
[di Valeria Casolaro]
Parigi, Sorbona occupata: “non vogliamo nè Macron nè Le Pen”
Centinaia di studenti hanno occupato la sede della prestigiosa università parigina “La Sorbona” nel pomeriggio di mercoledì 13 aprile, per protestare contro la presenza di Macron e Le Pen al ballottaggio per le elezioni presidenziali. La mobilitazione studentesca era cominciata già lunedì con l’occupazione dell’Ecole Normale Supérieure. Gli studenti della capitale hanno lanciato vari appelli ai colleghi di tutta la Francia affinchè si uniscano alle proteste. Buona parte di coloro che hanno preso parte alle proteste sono sostenitori di Jean-Luc Mélenchon, candidato di sinistra alle presidenziali ed escluso per un soffio dal ballottaggio.










