Pablo Gonzalez (nome riferito dal suo avvocato), reporter spagnolo per diversi media quali Publico e La Sexta, è stato arrestato in Polonia con l’accusa di svolgere attività di spionaggio per la Russia. Se le accuse fossero confermate, Gonzalez rischierebbe una pena detentiva di 10 anni. Dal giorno dell’arresto, avvenuto lunedì 28 febbraio, Gonzalez non avrebbe avuto la possibilità di ricevere alcuna assistenza legale o comunicazioni con il mondo esterno. Varie associazioni di tutela dei giornalisti, quali Reporters senza frontiere (RSF) e il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) hanno contestato la legittimità dell’arresto e richiesto l’immediato rilascio del giornalista.
Xylella, nuove prove sulle origini del batterio killer
Xylella fastidiosa, il batterio che ha letteralmente devastato il paesaggio salentino, è arrivato in Puglia dal Costa Rica ‘a bordo’ di una pianta da caffè infetta, probabilmente, nel 2008. Queste nuove informazioni sulle origini del patogeno dell’olivo provengono da un recente studio condotto da un gruppo di ricerca internazionale di cui fa parte anche il Centro Nazionale delle Ricerche italiano. Scoperte, inoltre, specifiche mutazioni nel batterio adattato agli olivi pugliesi che aprono nuove porte per soluzioni più mirate. Geni che potrebbero diventare bersagli per contrastare la patologia alterando il patogeno fino a renderlo innocuo.
I ricercatori, tra il 2013 e il 2017, hanno raccolto campioni biologici da oltre 70 olivi affetti da CoDiRO, il Complesso del Disseccamento Rapido di cui Xylella fastidiosa è responsabile. Sfruttando un nuovo protocollo per estrarre il Dna batterico, gli scienziati si sono poi concentrati sulla variabilità di quest’ultimo, confrontandolo, inoltre, con quattro campioni analoghi di piante da caffè del Costa Rica. Studi precedenti, infatti, avevano già individuato in quest’ultima specie dell’America centrale il più probabile serbatoio originario. Ora, la conferma: i risultati hanno difatti evidenziato poche differenze genetiche tra i campioni suggerendo che il patogeno è arrivato in Italia con un’unica introduzione dal Costa Rica. Valutando poi il tasso medio di mutazione del Dna batterico è stato possibile risalire anche ad un preciso anno di introduzione in Italia: il 2008. Considerando che il periodo di incubazione della patologia può durare più di due anni e che le prime segnalazioni di alberi infetti da parte degli agricoltori pugliesi sono giunte nel 2010, tale evidenza appare ancor più verosimile.
Xylella fastidiosa è un patogeno altamente invasivo. Si trasmette alle piante dagli insetti vettori che si nutrono della loro linfa, provocando gravi conseguenze in circa 595 specie diverse. In Europa l’epidemia ha fatto la sua comparsa proprio in Puglia, per poi diffondersi in Francia, Spagna e Portogallo. È però tra le province di Lecce e Brindisi dove ha avuto gli impatti peggiori, tanto da essere definita «la peggior emergenza fitosanitaria al mondo». Le varietà di olivo tipiche del Salento, difatti, sono tra le più vulnerabili alla patologia. Tra deceduti e abbattuti, ad oggi, sono già milioni gli alberi che non produrranno più olive con disastrose conseguenze per una terra culturalmente ed economicamente fondata sul settore olivicolo. Già secondo le stime del 2019, erano almeno 4 milioni le piante che avevano perso del tutto la loro capacità produttiva. Ogni anno sono state perse 29 mila tonnellate di olio d’oliva, pari in media a circa il 10% della produzione olivicola italiana, per un totale di 390 milioni di euro complessivi di valore della mancata produzione. Senza contare poi gli impatti sul paesaggio, ora, visibilmente cambiato.
Un’epidemia che crea ancora problemi e in continua evoluzione, sebbene appaia oggi meno invadente. «Negli ultimi anni – ha commentato Maria Saponari, ricercatrice del Cnr e tra gli autori dello studio – abbiamo riscontrato focolai nella zona di Bari, a nord, ma la diffusione è inferiore, grazie alle misure di contenimento e al fatto che questa zona è più diversificata, con colture e paesaggi diversi che frenano la trasmissione». Misure di contenimento che oggi restano l‘unica arma a disposizione. Allo scopo di eradicare il batterio, inizialmente, si è puntato tutto, in quanto unica soluzione tangibile, sull’abbattimento degli olivi infetti e di quelli nei loro paraggi. Già da qualche anno, però – secondo uno studio del 2017 – si è appurato come non sia più possibile eliminarlo dal territorio salentino. In questa fase, quindi, intervenire biotecnologicamente andando a modificare il batterio in funzione delle nuove evidenze genetiche potrebbe contribuire a risolvere l’emergenza. Allo scopo, sarebbe necessario creare un ceppo mutato di Xylella, con geni silenziati o aggiunti, «ma tali studi – secondo Saponari – saranno difficili da eseguire in Italia, a causa della mancanza di impianti con le strutture di quarantena necessarie per manipolare il patogeno».
[di Simone Valeri]
UE domina esportazioni pinne di squalo in Asia: rischio estinzione di molte specie
Un rapporto realizzato dall’IFAW (Fondo Internazionale per il Benessere Animale) ha rivelato come i Paesi europei dominino la metà del commercio asiatico di pinne di squalo, nonostante un terzo delle specie di squali esistenti sia a rischio estinzione. Il rapporto ha analizzato circa 20 anni di dati doganali in 3 importanti centri commerciali asiatici. La Spagna, in particolare, si è rivelata la maggior fonte di importazioni per i mercati di Hong Kong, Singapore e Taiwan, avendo esportato quasi 52 mila tonnellate di pinne di squalo in 20 anni. Tali pratiche, spiega il report, favoriscono l’estinzione degli squali, mettendo a rischio interi ecosistemi oceanici e la sicurezza alimentare di molti Paesi.
Vaccini ai bambini: l’efficacia sbandierata da Pfizer affossata dai dati reali
Nei mesi scorsi le approvazioni delle vaccinazioni a bambini e ragazzi si erano basate sugli studi condotti dalle aziende produttrici. La Pfizer, nei propri comunicati, aveva sbandierato una “efficacia del 100%” nei soggetti di età compresa tra i 12 ed i 15 anni nonché di oltre il 90% nei bambini tra i 5 e gli 11 anni. Ma i dati che stanno arrivando dalle ricerche indipendenti mostrano una realtà assai diversa. Con la diffusione della variante Omicron, l’efficacia nel prevenire il contagio di due dosi del vaccino Pfizer è diminuita rapidamente nei più piccoli: è quanto si evince da uno studio realizzato da alcuni ricercatori del Dipartimento della Salute dello Stato di New York, che hanno analizzato i dati di oltre mille individui rientranti nella fascia di età 5-17 anni. Secondo lo studio l’efficacia nel prevenire il contagio sarebbe crollata dal 68% al 12% in appena sei settimane nei bambini tra 5 e 11 anni. In calo anche la capacità dei vaccini di prevenire la malattia, anche se questo dato – per stessa ammissione degli esperti – non può essere calcolato in modo esatto poiché il numero dei ricoveri «è troppo basso» anche tra i non vaccinati.
Dal 13 dicembre 2021 al 30 gennaio 2022, infatti, nei bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni l’efficacia del vaccino nel prevenire il contagio è scesa dal 68% al 12%, mentre per i ragazzi rientranti nella fascia 12-17 anni è passata dal 66% al 51%. Inoltre, per quanto riguarda i soggetti vaccinatisi recentemente, ossia tra il 13 dicembre 2021 ed il 2 gennaio 2022, l’efficacia contro il contagio entro due settimane dalla vaccinazione è stata del 76% ed entro 28-34 giorni del 56% per i ragazzi di età compresa tra i 12 ed i 17 anni, mentre per i bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni l’efficacia è comunque diminuita dal 65% al 12% entro 28-34 giorni. Oltre a tutto ciò, anche l’efficacia contro il ricovero è risultata essere diminuita, scendendo dal 100% al 48% nei bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni e dall’85% al 73% nei ragazzi di età compresa tra i 12 ed i 17 anni.
Commentando quanto emerso dallo studio, i ricercatori si affrettano a consigliare in ogni caso la vaccinazione in quanto, nonostante tutto, si è rivelata “protettiva contro le malattie gravi”, tuttavia hanno altresì sottolineato che “questi risultati evidenziano la potenziale necessità di studiare un dosaggio alternativo di vaccino per i bambini“. A tal proposito, bisogna infatti ricordare che la differenza di efficacia tra i bambini ed i ragazzi potrebbe essere dovuta al fatto che i bambini tra i 5 e gli 11 anni ricevono 10 microgrammi di vaccino in meno rispetto ai giovani di età compresa tra 12 e 17 anni. La soluzione proposta è quindi quella di valutare un eventuale aumento dei dosaggi spalmato su tre dosi.
Lo studio è attualmente in fase di preprint – ossia non è stato ancora sottoposto a revisione paritaria – motivo per cui i risultati debbono essere considerati ancora provvisori. Ad ogni modo però, il suo valore preliminare è degno di nota, non solo poiché i ricercatori appartengono come detto al Dipartimento della Salute di New York ma anche perché i dati analizzati riguardavano centinaia di migliaia di bambini. Certo c’è anche chi, come l’esperto di malattie infettive pediatriche presso il Children’s Hospital di Filadelfia Paul Offit, sostiene che il numero di ricoveri sia troppo basso per trarre conclusioni certe riguardo ad una significativa diminuzione dell’efficacia del vaccino contro le malattie gravi. Tuttavia questo non fa che alimentare i dubbi sul fatto che, nei periodi in cui puntava ad ottenere l’approvazione del vaccino da parte delle agenzie federali per queste fasce di età, la Pfizer abbia sbandierato percentuali di efficacia elevate nonostante la malattia sia di fatto molto rara nei giovani ed essendo dunque difficile capire con precisione quale sia la reale protezione offerta.
La Pfizer infatti negli scorsi mesi non si è astenuta dal diffondere comunicati trionfali relativi ad una presunta ” efficacia del 100%” nei soggetti di età compresa tra i 12 ed i 15 anni nonché di oltre il 90% nei bambini tra i 5 e gli 11 anni. Tuttavia ora, davanti ai dati che stanno col tempo emergendo circa una efficacia nettamente ridotta, Pfizer sembra voler prevenire i danni in quanto ha affermato di star studiando un programma a tre dosi del vaccino nella popolazione pediatrica, dato che gli studi sugli adulti suggerirebbero che “le persone vaccinate con tre dosi possono avere un grado di protezione più elevato”.
[di Raffaele De Luca]
No Tav, attivista condannato per aver cercato di appendere uno striscione
Un anno e sei mesi: questa la condanna che dovrà scontare Stefano Mangione, giovane attivista No Tav, per aver cercato di appendere uno striscione sulla ringhiera del Tribunale all’esterno del Palazzo di Giustizia di Torino. Secondo quanto riferito dal sito notav.info, Mangione si trovava all’esterno del Palazzo insieme a un gruppo di No Tav con l’intenzione di esprimere solidarietà a un’attivista molestata dalla polizia durante alcune proteste in Val Clarea e poi accusata di resistenza. La polizia avrebbe reagito al presidio caricando i presenti e in seguito denunciandone alcuni, tra cui Stefano, che ora si trova al carcere Le Vallette di Torino con una condanna per resistenza aggravata.
L’ex premier Massimo D’Alema scoperto a trattare la vendita di armamenti alla Colombia
Cosa lega il Paese dove nel 2021 sono stati uccisi 145 difensori dei diritti umani a Massimo D’Alema? Un’operazione a nove zeri, mediata dall’ex Presidente del Consiglio, che avrebbe portato in Colombia quattro corvette, due sommergibili e diversi caccia intercettori prodotti in Italia. Precisamente, le aziende coinvolte sono Fincantieri e Leonardo, il cui amministratore delegato, Alessandro Profumo, intrattiene da anni una certa amicizia con D’Alema, come dimostra la sua partecipazione nel 2015 alla cena da mille euro a coperto per finanziare la fondazione dell’ex segretario del Pds.
Il problema, sia per le istituzioni italiane sia per D’Alema, non è di certo finanziare un Paese accusato da Amnesty International e Human Rights Watch per gravissime violazioni dei diritti umani. L’Italia, come gli altri paesi occidentali non si fa remore a mettere il business delle armi davanti ai diritti umani, e il nostro paese già vende armi anche all’Egitto e a Israele, tornato di recente a far parlar di sé per le violente repressioni nei confronti del popolo palestinese. Il problema è più che altro la sovrapposizione verificatasi fra i ruoli, visto che la trattativa per vendere armi al governo colombiano sembrerebbe essere stata avviata già nel 2018. Quindi inizialmente sono le istituzioni italiane a trattare, con diversi incontri fra le parti, fino a quando a metà febbraio l’ambasciatrice colombiana a Roma chiama il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè per riferirgli di aver ricevuto una telefonata di D’Alema, che si presentava come mediatore della fornitura per incarico di Leonardo. A confermare l’accaduto è lo stesso Mulè, in un intervento televisivo dove afferma: «Sulla base di questo, convoco i dirigenti dell’azienda» per fargli notare che «è già in corso un’interlocuzione diretta tra governi, peraltro sollecitata e voluta dalla stessa Leonardo. Quindi chiedo loro quale sia il ruolo del Presidente D’Alema». Seguono giorni di silenzio da parte dell’azienda, che non fornisce una risposta adeguata a giustificare il motivo per cui si sia affidata a un intermediario, violando tra l’altro la legge n. 185 del 9 luglio 1990, norma che vieta la presenza di mediatori durante la compravendita di armi.
A prendere la parola nei giorni scorsi è stato lo stesso Massimo D’Alema, avanzando una tesi contrastante le parole di Mulè: «Non c’erano stati contatti a livello governativo, per questo ho fatto due cose: innanzitutto ho parlato con l’ambasciatrice della Colombia. Non ne sapeva nulla e ne sono rimasto sorpreso. Poi ho provveduto a informare Giorgio Mulè dell’attività in corso». In seguito, l’ex leader della FGCI (Federazione giovanile del Partito comunista) ha ammesso una posizione che sin da subito era apparsa contraddittoria, quella relativa al suo guadagno finale, affermando in un’intervista a Repubblica, di aver cercato di «dare una mano a imprese italiane per prendere una commessa importante» che, stando all’audio finito in rete un anno fa relativo ai giorni delle trattative, ammonterebbe a 80 milioni di euro, da dividere con i soci dello studio Robert Allen Law, e i «colombiani». «Ero stato contattato da personalità colombiane che si erano dette disposte a sostenere questa ipotesi. Evidentemente a qualcuno dava fastidio ed è intervenuto per impedirlo. Sia il Governo sia l’ambasciata colombiana erano stati chiaramente avvertiti di tutto. Trovo incredibile come sia facile reclutare in Italia qualcuno disponibile a danneggiare il nostro Paese», ha infine aggiunto Massimo D’Alema.
Nel silenzio generale di una parte degli interessati, si è mosso qualcosa fra i banchi della politica, non tanto a sinistra dove alcuni esponenti del Pd hanno preferito la strada del “non commento per non alimentare polemiche”, ma più sul centro-destra, dove ad esempio Fratelli d’Italia ha annunciato un’interrogazione parlamentare con l’obiettivo di chiedere e ottenere delucidazioni da parte del Governo circa i tanti aspetti della vicenda ancora rimasti nell’ombra.
[Di Salvatore Toscano]
Pakistan: strage in moschea
In una moschea sciita a Peshawar, nel Pakistan settentrionale, si è verificata una violenta esplosione che ha causato almeno 30 morti e più di 50 feriti. Secondo le prime ricostruzioni, l’attentato sarebbe avvenuto durante la preghiera del venerdì, quando due uomini armati avrebbero aperto il fuoco contro i poliziotti all’esterno della moschea, ferendone a morte uno, con l’obiettivo di entrare all’interno della struttura. Poco dopo è avvenuta l’esplosione.










