venerdì 26 Dicembre 2025
Home Blog Pagina 1350

Blitz anti-mafia a Taranto: 38 arresti

0

Una maxi operazione anti-mafia è stata messa a segno dalla polizia di Taranto che, nell’ambito di un’indagine coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Lecce, ha dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 38 persone, di cui 28 in carcere e 10 agli arresti domiciliari. Gli individui sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e di altri reati tra cui estorsione, detenzione e porto illegale di armi e munizioni. Inoltre, nell’ambito della medesima operazione risultano altresì indagate in stato di libertà altre 20 persone.

La politica italiana dopo il voto per il Quirinale

1

Il “Romanzo Quirinale” andato in scena negli scorsi giorni, terminato con la rielezione di Sergio Mattarella, ha riservato molti colpi di scena prima di concludersi con l’esito più banale. D’altronde, in una sfida così delicata, si fanno molto labili le sfumature tra le nette prese di posizione e i messaggi tra le righe, le parole d’onore e i fragorosi bluff, la ricerca di un obiettivo comune e la necessità di intestarsi il risultato finale. Le elezioni presidenziali sono state caratterizzate, in particolare, da due fattori salienti: le sconfitte a metà e le fratture politiche, che potrebbero avere un peso determinante sul prossimo futuro.

Chi ha perso? Sicuramente Mario Draghi, arrivato a Palazzo Chigi un anno fa con in tasca il sogno (e, forse, l’esplicita promessa) di una rapida salita al Colle. Eppure, così non è stato: l’asse giallo-verde è tornato in auge con il no di Salvini e Conte al trasloco dell’attuale Primo Ministro al Quirinale, che ha indotto il segretario del PD Enrico Letta, grande sponsor di Draghi, ad abbandonare il suo piano. Eppure, a pensarci bene, il match potrebbe non essere ancora definitivamente chiuso. Le mire quirinalizie di Draghi, infatti, sarebbero state demolite da qualsiasi profilo in grado di garantire il completamento del settennato previsto dalla Costituzione per il Presidente della Repubblica; invece, con l’inaugurazione del Mattarella-Bis, piano B attuato in nome della stabilità dell’esperienza del Governo Draghi, la prospettiva cambia: Mattarella ha 80 anni suonati e non si può escludere che, come il predecessore Napolitano, non deciderà di porre fine al suo secondo mandato con ampio anticipo. A quel punto, Mario Draghi tornerebbe a coltivare concretamente la sua manifesta brama.

L’altro sconfitto è, sicuramente, Silvio Berlusconi. La cosiddetta “operazione scoiattolo” non è riuscita e l’animale è dovuto tornare nella sua tana con la coda tra le gambe. C’è da dire, però, che la riabilitazione politica e mediatica offertagli dall’ufficializzazione della sua candidatura da parte delle forze politiche del centro-destra (non raccolta per mancanza di numeri), così come la mancata elezione di tutti i suoi competitor, siano fattori che, se non hanno rafforzato la sua immagine pubblica, di certo non l’hanno indebolita.

A uscire spaccato da queste elezioni è il centro-destra. Giorgia Meloni, che sente di avere politicamente il vento in poppa, è uscita allo scoperto con un attacco senza precedenti ai suoi partner di coalizione (in particolare, a Matteo Salvini), a cui ha imputato di avere tradito gli accordi votando per la rielezione di Mattarella. Poco dopo le 11:30 di Sabato 29 Gennaio, la leader di FDI pubblica un tweet estremamente eloquente: “Salvini propone di andare tutti a pregare Mattarella di fare un altro mandato da Presidente della Repubblica. Non voglio crederci”. Il giorno successivo dichiara in una diretta Facebook di voler essere la protagonista della rifondazione del centro-destra, palesando l’ambizione di mettere all’angolo il leader del Carroccio. Nel frattempo, Salvini rilancia un progetto politico congegnato negli scorsi mesi: l’unione dei partiti di centro-destra che appoggiano il Governo Draghi in una federazione. Insomma, un’alleanza strutturale tra Lega e Forza Italia che, fisiologicamente, porterebbe Salvini a diventarne il leader. Ma che sancirebbe, di fatto, la definitiva “normalizzazione” della Lega come forza di establishment: una spinta verso il centro che potrebbe però aprire una fertile prateria a destra per Giorgia Meloni. Uno strappo insanabile? Difficile ipotizzare una rottura a lungo termine, dal momento che, numeri alla mano, ognuno ha bisogno dell’altro: la Meloni per ambire a Chigi, Salvini per non perdere definitivamente la simpatia dell’elettorato della destra più “radicale”, spazientito ormai da mesi dalle sue condotte chiaroscurali.

La forza politica che, più di ogni altra, esce con le ossa rotte dalle elezioni presidenziali è il Movimento 5 Stelle, ormai diviso a metà dopo il furioso scontro consumatosi tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio nei giorni convulsi delle trattative. Dopo un incontro tenuto con Letta e Salvini venerdì 28, il leader dei 5 Stelle aveva quasi chiuso i giochi per portare al Quirinale Elisabetta Belloni, direttrice generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (che coordina e vigila l’attività dei servizi segreti), ma tutto è sfumato a causa dello stop di Di Maio, in asse con Renzi, Guerini e Tajani, e del successivo passo indietro dello stesso Letta. Subito dopo l’elezione di Mattarella, Di Maio ha denunciato davanti a una schiera di giornalisti appositamente convocati il fallimento di «alcune leadership», chiedendo di aprire una «riflessione politica interna» al M5S e lodando il Parlamento e il Premier Draghi per avere risolto lo stallo elettorale. A stretto giro, Conte ha contrattaccato, dichiarando al Fatto Quotidiano che «Di Maio dovrà rendere conto di diverse condotte, molto gravi, ai nostri iscritti e alla nostra comunità». Di Maio ha ricevuto la solidarietà di vari forzisti, tra cui il Ministro Renato Brunetta, del Senatore Andrea Marcucci (ritenuto la quinta colonna di Renzi nel PD) e della stessa Maria Elena Boschi di Iv. Un risultato da vero democristiano 2.0. Insomma, profili e posizioni appaiono ormai inconciliabili e la resa dei conti sembra essere alle porte. Vedremo con quali modalità andrà in scena.

Se il buongiorno si vede dal mattino, il percorso che porterà fino alle prossime elezioni parlamentari, previste per la primavera 2023, sarà pieno di aspre battaglie per la leadership delle coalizioni nonché per il vero e proprio collocamento politico all’interno dell’establishment di due forze politiche che si pretendevano “anti-sistema”: Lega e Movimento 5 Stelle. È vero, i parlamentari hanno mantenuto il loro seggio e la stabilità del Governo sembra essere stata preservata. Eppure, basta volgere lo sguardo oltre l’orizzonte per comprendere che il detto gattopardiano “tutto cambi perché nulla cambi” sia, in questo caso, da rovesciare. Infatti, niente è cambiato, ma molto potrebbe presto cambiare.

[di Stefano Baudino]

Canada: i camionisti rifiutano di fermare le proteste contro le restrizioni

0

In Canada, i camionisti in protesta contro l’obbligo vaccinale e le restrizioni anti-Covid si sono rifiutati di lasciare il centro cittadino della capitale federale Ottawa nonostante le richieste delle autorità. Il governo Trudeau ha infatti recentemente chiesto la fine delle proteste ed ha cercato di delegittimare la condotta dei contestatori spiegando che essa costi alle casse pubbliche 800.000 dollari canadesi al giorno. Tale esortazione però a quanto pare non ha generato i risultati sperati dato che, come riportato dalla CBC – il servizio pubblico radiotelevisivo nazionale in Canada – oggi la protesta è proseguita nel centro cittadino per il quinto giorno consecutivo.

Un insegnante si è dato fuoco, apparentemente per protesta

6

Un insegnante di 33 anni è ricoverato in condizioni gravissime in seguito alle ustioni che si era provocato dandosi fuoco attorno alle ore 10 di ieri, 31 gennaio, davanti alla caserma dei Carabinieri di Rende, in Calabria. Una vicenda dai tratti oscuri, in quello che appare, per il luogo scelto, un evidente atto di protesta. Resa ancor più torbida da una serie di indizi, poi scomparsi, che legavano l’atto ad una protesta a seguito dalla sospensione dal servizio per non essersi vaccinato e quindi per non essere in possesso del super green pass. Questo è quanto avevano affermato i colleghi del sindacato Uil Scuola Monza e Brianza (l’insegnante era in servizio in Lombardia) che in un comunicato su Facebook avevano scritto: “Sembrerebbe che all’origine del gesto ci sia la sospensione dal servizio per non aver effettuato la vaccinazione anti-Covid”. Il messaggio è stato poi rimosso senza spiegazioni, così come nulla trapela sui media, con i principali giornali che non hanno dedicato nemmeno una riga all’accaduto. Anche il portale specializzato in informazione scolastica Orizzonte Scuola, aveva dedicato un pezzo alla vicenda, ma poi ha scelto di rimuoverlo e il link all’articolo riporta ora a una pagina di errore.

Una schermata del tweet, poi rimosso, dedicato alla vicenda poi rimosso del sindacato Uil Scuola Monza e Brianza

Difficile capire l’atteggiamento del sindacato e se si sia trattato di una cancellazione dovuta dalla presa d’atto di aver scritto un’inesattezza o se la decisione abbia altre ragioni. La redazione de L’Indipendente ha provato a contattare la sede Uil per chiarimenti, al momento senza risposta. Nel frattempo un quotidiano locale ha negato che la questione sia correlata all’obbligo vaccinale scrivendo che l’insegnante aveva concluso la doppia dose vaccinale a metà agosto e il suo green pass sarebbe stato valido sino a metà febbraio in attesa della terza dose.

Quale che sia la verità rimane l’estremo atto di protesta di un insegnante (le cui generalità non sono ancora state rivelate) che ha deciso di tentare di togliersi la vita in modo atroce, cospargendosi di benzina prima di darsi fuoco. Possibile dietro la scelta ci siano scelte personali e che cercare altre ragioni sia sbagliato, tuttavia il luogo scelto per l’atto, ovvero la caserma dei Carabinieri, lascia perplessità. Quali che siano le cause risuona frastornante il silenzio dedicato alla vicenda da tutti i principali quotidiani italiani che alla notizia, almeno per ora, non hanno dedicato nemmeno una riga. In rete è circolato un video amatoriale della scena, per dovere di cronaca segnaliamo il link al contenuto, ma le immagini sono molto crude e quindi ne sconsigliamo la visione.

Rettifica ore 23:06 del 01/02/22: nella versione originale dell’articolo avevamo scritto che l’insegnante era deceduto. Così era stato riportato da diversi media locali. Un aggiornamento diffuso in serata specifica che l’insegnante è ancora in vita seppur in condizioni critiche. Ci scusiamo con i lettori e la famiglia per l’errore.

Amazon ha cominciato a comprarsi i programmi scolastici americani

1

L’Inland Empire è una regione metropolitana della California meridionale con circa 4,5 milioni di abitanti, adiacente alla California costiera della contea di Los Angeles, le cui due maggiori città sono San Bernardino e Riverside. Questa zona è dominata dalla presenza di Amazon: i suoi camion e i suoi furgoni sono dappertutto e intasano il traffico della regione; l’azienda di Jeff Bezos è il maggior datore di lavoro. Nell’Inland Empire, in cui l’80% della popolazione appartiene a comunità afroamericane e latinoamericane, Amazon impiega circa 40.000 lavoratori (il doppio rispetto alla situazione pre-pandemica) in ben 14 centri logistici e due hub aerei. Dal 2018, la Cajon High School di San Bernardino ha dato vita ad Amazon Logistics and Business Management Pathway, una serie di corsi “di marca” sul settore della logistica. Leggendo i programmi dei corsi è semplice capire il perché dell’interesse della multinazionale verso la formazione dei giovani, quello che si insegna infatti non è logistica dal punto di vista esclusivamente tecnico, ma una vera e propria dottrina del mondo del lavoro e dello sviluppo progettato dall’azienda di Jeff Bezos.

Sono 96 gli studenti attualmente iscritti al percorso di studi offerto da Amazon, che ha speso 50.000 dollari per fornire i materiali necessari per avviare il programma. Sul sito del Distretto Scolastico si legge: «L’Amazon Logistics Pathway presso la Cajon High School è il primo nel suo genere, che insegna agli studenti la tecnologia delle informazioni e delle decisioni, i sistemi di gestione e la leadership aziendale. Il programma consente agli studenti di praticare capacità di pensiero innovative e critiche mentre sviluppano soluzioni ad autentici problemi logistici vissuti da Amazon». Insomma, un bell’affare per Bezos che con un piccolissimo investimento potrà avere qualche idea e soluzione a costo irrisorio, assicurandosi di poter formare a suo piacimento le nuove generazioni dell’Inland Empire, la quale potrebbe essere rinominata Amazon Empire.

L’aula dove si svolgono i corsi della Amazon Logistics and Business Management Pathway di San Bernardino

Il corso di formazione, tutt’altro che imparziale, propone le tecniche utilizzate all’interno del colosso come linee standard e modelli che non possono essere cambiati ma solo implementati. Per tale motivo nei programmi si affrontano i principi del taylorismo, imperanti nella gestione scientifica del lavoro di Amazon orientata alla massima efficienza di produzione. Proprio sulla base dei principi elaborati da Frederick Taylor, il colosso creato e guidato da Bezos ha imposto politiche del lavoro disumane in cui il controllo e la gestione del tempo sono spinti a livelli estremi, tali da non tener di conto neanche dei bisogni fisiologici umani. Proprio in tal proposito, nel percorso formativo ci si sofferma anche sullo studio della piramide dei bisogni di Maslow e come questa possa essere utilizzata per aumentare l’efficienza dei lavoratori.

Altro argomento scottante che riguarda Amazon e il suo modello di lavoro è l’organizzazione sindacale, o meglio, la mancanza di organizzazione sindacale. Il corso specifico si chiama “Gestione delle risorse umane e delle relazioni sindacali” in cui si spiega come formare e valutare il lavoratore e quali siano le importanti da sapere riguardo l’organizzazione dei lavoratori. Come parte di questo corso, gli studenti partecipano ad uno stage di lavoro presso Amazon oppure in altra azienda del settore logistico.

“Logistica e concetti globali” è il nome di uno dei corsi proposti nel programma formativo sponsorizzato da Amazon: gli studenti apprendono le catene di approvvigionamento globali, per cui Amazon ha dimostrato una enorme capacità di gestione. Amazon e “il suo impatto sui settori dell’e-commerce e della logistica” riguarda la storia evolutiva e organizzativa dell’azienda e la sua visione.

Il percorso di studi viene svolto all’interno di una classe per cui, come detto all’inizio, Amazon ha sborsato 50.000 dollari per i materiali, oltre che per lo studio e l’applicazione di un ambiente che ponesse gli studenti in uno stato di sudditanza al colosso di Bezos. L’aula, colorata con i colori dell’azienda, è ricoperta di scritte sui muri in cui si riportano gli slogan e i principi che ogni lavoratore Amazon deve sapere e rispettare: insomma, sui muri dell’aula vi è la “Bibbia di Amazon”, i “Comandamenti di Bezos”. In occasione dell’inizio dei corsi del 2019, la preside della Cajon High School, Teenya Bishop, come una normalissima dipendente Amazon, è stata fotografata con la polo – la divisa – dell’azienda.

Corina Borsuk, portavoce del distretto scolastico unificato di San Bernardino, in merito alle critiche poste ha risposto: «Il percorso prende il nome da Amazon in ringraziamento per la generosa donazione dell’azienda e Amazon è stato portato come esperto del settore, qualcosa che tutti i percorsi di apprendimento collegato dovrebbero avere».

Il percorso formativo targato Amazon della Cajon High School non è l’unico in cui l’azienda è protagonista: diverse scuole e altre organizzazioni giovanili partecipano al programma Amazon Future Engineers. Proprio seguendo quest’ottica di formazione e fidelizzazione diretta di migliaia e migliaia di giovani, all’inizio di questo anno Amazon ha annunciato una partnership con Girl Scouts of the USA (GSUSA).

Insomma, colossi multinazionali come Amazon non si accontentano di vendere e far enorme profitto monopolizzando interi settori ma vogliono, oltre che la forza lavoro, anche la mente delle nuove generazioni in un percorso di fidelizzazione molto pressante che sembra voler sostituire le vecchie carcasse della propaganda e della formazione statale. Amazon, e soggetti affini, stanno ponendo le basi per una graduale sostituzione delle prerogative pubbliche e statali.

[di Michele Manfrin]

Sanità: medici di base proclamano stato di agitazione

0

«Proclamiamo lo stato di agitazione per la Medicina Generale»: è quanto comunicato tramite una nota congiunta da alcune organizzazioni sindacali dei medici di base tra cui Fp Cgil Medici e Dirigenti Ssn (struttura di categoria della Confederazione Generale Italiana del Lavoro) e la Federazione C.I.Pe (Confederazione Italiana Pediatri). Sono diversi i motivi alla base di tale decisione: tra questi, le disfunzioni e la burocrazia legata al Covid-19, il «mancato recepimento delle proposte delle organizzazioni sindacali sulla riorganizzazione della medicina territoriale» ed il «mancato riconoscimento dell’attività svolta dai medici di medicina generale e pediatri di libera scelta nella gestione dei pazienti Covid sul territorio». Tra le richieste avanzate, poi, vi è il riconoscimento, la valorizzazione e la protezione del ruolo svolto dai medici di medicina generale e la semplificazione delle procedure e dei percorsi amministrativi.

Il Mali ha deciso a furor di popolo la cacciata dei francesi

2

Lunedì 31 gennaio, il governo del Mali ha dato 72 ore di preavviso all’ambasciatore francese Joel Meyer per lasciare il paese. La decisione di allontanare l’amabasciatore, arriva in seguito a dichiarazioni ritenute “ostili e oltraggiose” fatte da Parigi, sull’operato del governo di transizione.

Venerdì scorso, Jean-Yves Le Drian ministro degli esteri francese, aveva infatti dichiarato che la giunta militare al governo del paese fosse “fuori controllo” e responsabile di aver contribuito al deterioramento dei rapporti con la Francia e gli altri partner europei. Nelle sue dichiarazioni Le Drian, aveva inoltre denunciato la giunta militare come illegittima. Le relazioni tra Francia e Mali, sono deteriorate rapidamente nelle ultime settimane a seguito della decisione della giunta militare di rimandare le elezioni, inizialmente previste in febbraio, al 2025. Truppe francesi sono presenti in Mali dal 2013, quando Parigi scelse di intervenire militarmente nella ex colonia per contrastare le rivolte armate scoppiate nelle regioni del nord.

La giunta militare ha preso il potere in Mali con un colpo di stato nel 2020, costringendo alle dimissioni l’allora presidente Ibrahim Boubacar Keita. Da quel momento le tensioni con la Francia sono aumentate sensibilmente, Keita veninva infatti considerato molto vicino agli interessi di Parigi. Anche la decisione della giunta militare di dispiegare nel paese i mercenari russi del gruppo Wagner ha contribuito ad aumentare le tensioni. Parigi e altri paesi europei avevano infatti definito la presenza dei mercenari russi come “incompatibile” con la presenza delle loro truppe. Incompatibilità’ probabilmente dovuta più’ a interessi politici, evitare che la Russia potesse avere influenze nel paese, piuttosto che da motivi strategico-militari.

Diverse missioni militari hanno operato in Mali dal 2013 ad oggi, e praticamente tutte hanno fallito nel contenere le rivolte nelle regioni del nord del paese. Anzi negli anni quelle regioni hanno visto crescere in modo costante il numero di attacchi terroristici da parte dei numerosi gruppi fondamentalisti attivi in quelle zone. La presenza di truppe straniere, l’insicurezza e l’aumento del terrorismo sono tutti fattori che hanno portato alla crescita’ del malcontento popolare. Le recenti decisioni della giunta militare al momento infatti sembrano avere il sostegno da parte della popolazione. Anche in risposta alle sanzioni economiche contro il Mali, la popolazione non ha mancato di dimostrare sostegno alla giunta scendendo in migliaia per le strade della capitale Bamako. Le dimostrazioni che hanno attraversato il Paese in queste settimane sono state letteralmente oceaniche nelle quali i cittadini brandivano cartelli con slogan crudi e netti: “Morte alla Francia e ai suoi alleati” quello più diffuso. Storicamente le giunte militari al governo nei paesi dell’Africa, cosi come in altri continenti, hanno portato a poco di buono. In Mali però appare evidente come al momento, la volontà della giunta incontri quella della popolazione nel voler rompere i legami con la Francia, e nel riprendere in mano il proprio destino.

[di Enrico Phelipon]

Roma, blitz ecologista al Ministero della Transizione Ecologica

0

Quattordici persone appartenenti alla campagna Ultima Generazione – Assemblee Cittadine ORA! del movimento Extinction Rebellion sono entrate questa mattina all’interno del Ministero della Transizione Ecologica, a Roma, e hanno lasciato sulle pareti scritte quali “Ministero della truffa” e “Ministero delle bugie”. Gli attivisti hanno intrapreso l’azione dopo il silenzio del Governo in seguito alle numerose domande di un incontro pubblico tra il gruppo, il Presidente del Consiglio e alcuni Ministri. L’intento, portato avanti con l’invio di oltre 26 mila mail al Ministero, era quello di intavolare un confronto riguardante la questione climatica.

Le azioni di stamattina rientrano nella più ampia campagna di disobbedienza civile non violenta messa in atto dal movimento Extinction Rebellion, che ha fatto sapere di avere intenzione di proseguire con azioni simili sino a che i Ministri Draghi, Carfagna, Patuanelli, Cingolani, Giorgetti e Orlando non concederanno loro l’occasione di un confronto pubblico nel quale sia esposta in maniera chiara la posizione del Governo “in merito alla necessità di aderire radicalmente per contrastare la crisi ecologica e climatica”.

L’incontro pubblico tra rappresentanti del Governo e Assemblee Cittadine, composte da “un’assemblea di cittadini/e selezionati/e” estratti casualmente perché costituiscano “un campione statistico davvero rappresentativo di tutta la popolazione” avrebbe l’intenzione di creare una comunità che possa lavorare concretamente per elaborare proposte “vincolanti per il Governo”. Il fine è poter partecipare direttamente alle decisioni riguardanti una tematica che dovrebbe essere considerata prioritaria all’interno dell’agenda politica ma che il Ministero soprannominato “della Finzione Ecologica” sembra scartare con manovre malcelate.

In caso i Ministri non rispondano alla domanda di Ultima Generazione di intavolare un’Assemblea di Cittadini nazionale deliberativa sulla giustizia climatica ed ecologica, il movimento ha fatto sapere che verrano intraprese altre azioni di protesta nel mese di aprile. Il 5 febbraio, a Roma, presso l’Orto Insorto, verrà presentata nel dettaglio la campagna di Extinction Rebellion. 

[di Valeria Casolaro]

Un triumvirato di garanzia per le oligarchie internazionali

6

Con le attenzioni della stampa nazionale tutte concentrate sulla rielezione di Mattarella a capo dello Stato e sulle beghe partitiche che ne sono derivate un’altra notizia degna di attenzione è passata in sordina. Lo scorso 29 gennaio, Giuliano Amato – professore emerito di diritto pubblico comparato e per due volte presidente del Consiglio – è stato eletto all’unanimità presidente della Corte costituzionaleCon la sua elezione a capo del più importante organo di garanzia costituzionale – insieme alla rielezione di Mattarella alla presidenza della Repubblica e a Draghi presidente del Consiglio – ci troviamo di fronte a quello che può essere considerato a tutti gli effetti un “triumvirato” che avrà, tra le altre, la funzione di rassicurare le oligarchie finanziarie transnazionali sul fatto che l’Italia non si allontanerà di un millimetro dallo status quo desiderato. Non è un caso che le potenti banche d’affari americane come Goldman Sachs, i grandi fondi d’investimento quali Black Rock, ma anche le organizzazioni di categoria finanziaria e industriale come la Trilateral, nonché l’impalcatura burocratica di Bruxelles abbiano tutte quante salutato con giubilo le nomine italiane.

La biografia politica di Giuliano Amato merita di essere rinfrescata: il governo da lui guidato come presidente del Consiglio nel 1992, fu quello che mise in campo la svendita del patrimonio pubblico italiano, proprio nel periodo in cui, sotto i colpi dell’operazione giudiziaria “Mani pulite”, l’Italia transitava dalla prima alla seconda Repubblica, quella che nei fatti si sarebbe mossa come “curatrice fallimentare” dell’industria italiana e rappresentante degli interessi dei grandi potentati economici. A portare avanti la privatizzazione degli asset pubblici nazionali sul famigerato panfilo Britannia c’era proprio lui, l’uomo dei mercati, delle banche e dell’euro: Mario Draghi, allora Direttore generale del Tesoro. Incarico che avrebbe ricoperto dal 1991 al 2001, naturalmente anche per conto del governo Amato. L’azione dei due ebbe il risultato di devastare l’ascesa industriale italiane che proprio nel 1991 era diventata la quarta potenza economica globale scavalcando Francia e Regno Unito. 

maggio 1991, Corriere Della Sera

La svendita del patrimonio pubblico attraverso le privatizzazioni e la sottoscrizione del trattato sull’Unione Europea nel 1992 ebbero la conseguenza di deindustrializzare il Paese e a rallentarne la crescita, incatenandolo a rigide politiche di austerità fiscale come previsto dai famigerati parametri di Maastricht. Nel contesto di questo “disegno” vanno anche inserite due nefaste decisioni politiche intraprese dal governo Amato I: l’abolizione della scala mobile che permetteva di indicizzare automaticamente i salari in funzione dell’inflazione e il prelievo forzoso notturno del 13 settembre 1992, in seguito all’attacco speculativo alla lira da parte del noto finanziere, oggi definito “filantropo”, George Soros.

Dal canto suo, in Sergio Mattarella – come in tutti i presidenti della Repubblica degli ultimi decenni – le istituzioni globali cercano il garante dell’impianto eurocratico, liberista e atlantista in Italia, riflesso degli interessi plutocratici internazionali. Prova ne è il fatto che nel suo settennato egli abbia avallato tutti i governi e le iniziative politiche di stampo europeista, dando il suo aperto appoggio a organizzazioni sovranazionali come la Commissione Trilaterale, organizzazione delle élite economiche che esercita grande influenza sulle politiche dei Paesi occidentali e la cui dottrina è riassunta nel rapporto del 1975 “La crisi della democrazia”. Solo in un’occasione, il presidente è intervenuto risolutamente nelle vicende politiche nazionali, non per difenderle, ma per scongiurare un pericolo, peraltro inesistente, di uscita dall’euro: si oppose, infatti, alla nomina di Paolo Savona a ministro dell’economia nel primo governo Conte, in quanto colpevole di sostenere tesi euro-scettiche.

Dunque, dopo la breve e inconcludente parentesi dei (finti) partiti antisistema eletti nel 2018, la politica italiana completa la giravolta che – tradendo il voto popolare che alle urne premiò partiti che si erano presentati come anti-sistema ed euro-scettici – in appena tre anni ha riportato l’Italia non solo nel novero delle politiche liberali propugnate da Bruxelles, ma l’ha collocata addirittura all’avanguardia della governance globale, come palesato con compiacimento dal fondatore del World Economic Forum, Klaus Schwab, che in occasione dell’ultimo vertice di Davos ha definito il nostro Paese un’avanguardia della cosiddetta governance 4.0, ovvero quella in cui élite politiche nazionali ed élite economico-finanziarie globali governano a braccetto. O se preferite, mantenendo la prolissa sintassi del documento di Schwab, quella in cui il governo nazionale non agisce più “come se da solo avesse tutte le risposte”, accettando una verticalizzazione e una concentrazione dei processi decisionali che si pone al di fuori del perimetro delle istituzioni democratiche nazionali.

Tornando alla nomina di Amato a presidente della Corte costituzionale, infine, utile notare come egli, nelle sue prime esternazioni, abbia specificato che «il compito della giurisprudenza della Corte costituzionale, nelle materie in cui la scienza ha un peso, è di ascoltare le ragioni della scienza»Affermazione che lascia intendere come non vi sia alcuna intenzione di valutare la preminenza di altri diritti costituzionalmente garantiti nella fase storica in cui le big pharma e i comitati tecnici scientifici governativi si sono autoeletti a unici depositari della disciplina.

[di Giorgia Audiello]

USA, Qatar diventa uno dei principali alleati non NATO

0

Il presidente degli Stati Uniti Biden ha dichiarato nella giornata di lunedì 31 gennaio che il Qatar diventerà uno dei principali alleati non NATO del Paese. Lo status fornirà “vantaggi nelle aree di commercio della difesa e della cooperazione in materia di sicurezza”, ma senza che vi sia un impegno ad agire, come invece previsto per gli alleati NATO. L’annuncio è stato fatto subito prima dell’incontro con l’emiro del Qatar al-Thani, svoltosi a Washington, nel corso del quale si sarebbero tenute discussioni in materia di sicurezza, investimenti tra i due Paesi e rafforzamento della cooperazione commerciale. Biden starebbe anche guardando al Qatar per la fornitura di energia alternativa all’Europa, in caso di esplosione del conflitto tra Russia e Ucraina e possibile interruzione delle forniture di gas da parte delle Russia.