martedì 25 Novembre 2025
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Cibo cotto e cibo crudo: i segreti per ottenere il meglio dalla nostra dieta

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La cottura dei cibi ha un potere alchemico, a volte negativo, di togliere delle proprietà agli alimenti, ma altre volte positivo di apportare dei benefici. Ci sono dunque dei pro e dei contro e cercheremo di conoscerli per sfruttare al meglio quello che ogni alimento può rappresentare in termini di salute.

Si pensa che la cottura degli alimenti abbia avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione dell’uomo. Con la scoperta del fuoco infatti, insieme alla possibilità di scaldarsi e di difendersi dagli attacchi degli animali, l’uomo ha potuto sperimentare un nuovo modo di mangiare. La cottura ha dato al cibo sapori e odori prima sconosciuti, ha reso digeribili alimenti pressoché immangiabili da crudi come i cereali e i legumi, ha ridotto significativamente il rischio di infezioni da batteri, funghi e virus. 

La cottura rende più digeribili molti cibi, perché il calore spezzetta in unità più piccole sia le proteine che gli amidi, predigerendoli e rendendoli più accessibili agli enzimi digestivi che altrimenti dovrebbero fare interamente questo lavoro, con maggiore dispendio di energia e calorie dal nostro organismo, fra l’altro. Ecco perché gli amidi cotti di cereali e legumi, essendo maggiormente digeribili, apportano più calorie degli amidi crudi. Questo è anche il motivo per cui i neonati e chi è malato o defedato devono nutrirsi di cibi morbidi già cotti: impiegheranno meno energie e meno sforzi per estrarne il nutrimento. Ed ecco anche perché l’alimentazione di oggi, basata in prevalenza su cibi ultra-lavorati e creati per sciogliersi in bocca, si associa a una vera e propria epidemia di obesità.

La cottura pare abbia avuto un ruolo fondamentale per la sopravvivenza della specie umana: aumentando la disponibilità di calorie apportate da cereali, legumi e patate, ha fornito all’uomo l’energia necessaria per la crescita e il sostentamento. Secondo le teorie evoluzionistiche cuocere il cibo ha contribuito a far crescere di volume il cervello dell’uomo e di conseguenza a migliorare lo status sociale dell’Homo sapiens sapiens rispetto ad altri primati che non hanno avuto accesso al cibo cotto. Una dieta crudista con cibi non lavorati – dato che in passato non esistevano frullatori e centrifughe – non sarebbe quindi stata in grado di sostenere l’evoluzione del cervello dell’uomo se l’avvento della cottura non avesse concesso ai nostri antenati delle caverne la possibilità di aumentare il numero dei propri neuroni (86 miliardi), riuscendo così a staccare di alcune lunghezze altre specie meno evolute. Si pensi che il cervello dei gorilla ha 33 miliardi di neuroni e quello degli scimpanzè 28 miliardi. Neuroni che apportano numerosi benefici ma che richiedono molte calorie per funzionare. Non a caso il cervello umano consuma da solo il 20 per cento dell’intero fabbisogno energetico giornaliero di tutto il corpo. Secondo questa teoria, dunque, noi umani dobbiamo il nostro patrimonio di neuroni alla cottura, che ci avrebbe liberati dalla condanna di dover trascorrere buona parte della vita sugli alberi a masticare cibi crudi. Potendo passare più tempo a terra davanti al fuoco, l’uomo sarebbe stato avviato alla socializzazione, al parlare, allo sviluppo di strutture sociali via via più complesse. Tutti compiti per cui è necessario possedere cervelli più complessi e sostenuti dall’energia disponibile grazie al cibo cotto. Una dieta crudista, quindi, sarebbe perfetta per perdere peso (masticare richiede dispendio di calorie da parte del nostro corpo), ma assolutamente deleteria per far crescere un bambino e permettergli un adeguato sviluppo cerebrale e che ha bisogno di mettere da parte più calorie di quelle che consuma.

Le virtù dei cibi crudi

La cottura ha avuto un ruolo rilevante nell’evoluzione umana, ma ciò non significa che non ci siano benefici nel consumo in forma cruda di una parte del nostro cibo. Se la cottura dei cibi ci offre più calorie ed energia, e migliora il gusto di svariati cibi, c’è però anche un lato negativo in quanto essa distrugge molti nutrienti degli alimenti, in primo luogo gli enzimi e molte vitamine. Gli enzimi sono importantissimi per la salute perché moltiplicano la velocità di tutte le reazioni chimiche che avvengono nel nostro corpo fino a milioni di volte Chi non produce o assume abbastanza enzimi è “rallentato” in tutte le funzioni corporee. Servono enzimi infatti per le funzioni metaboliche e digestive, la riparazione cellulare, l’attività del sistema immunitario. Senza enzimi gli ormoni, le vitamine, i minerali e le cellule non funzionano. Tutti gli alimenti crudi possiedono al loro interno il patrimonio di enzimi necessario per la loro digestione, ma la cottura oltre 45 gradi distrugge quasi del tutto queste sostanze. Il cibo crudo è quindi un vero concentrato di enzimi e vitalità. I cibi crudi sono più leggeri e non appesantiscono i processi chimici del nostro organismo, anzi li aiutano favorendo quelli di rigenerazione cellulare, disintossicazione, antinvecchiamento. 

Un altro pregio del cibo crudo è che a differenza di quello cotto non induce la leucocitosi digestiva, ossia non fa aumentare il numero di cellule del sistema immunitario che si attivano contro le sostanze “estranee” contenute nei cibi ingeriti (specialmente cibi cotti perché creano nuove sostanze anche tossiche nell’alimento, come furosina, acrilammide, ecc.). Il termine leucocitosi si riferisce ai leucociti (o globuli bianchi) che sono cellule di difesa immunitaria contro agenti esterni di ogni genere come batteri, virus, e anche sostanze estranee contenute nei cibi, che prima di essere neutralizzate dall’organismo vengono attaccate e controllate dalle cellule immunitarie come i leucociti. In questo processo di leucocitosi digestiva viene reclutato un enorme numero di globuli bianchi e tutto questo non fa altro che “distrarre” il sistema immunitario dell’intestino, che rappresenta i 4/5 della nostra immunità. Nel tentativo di combattere questi “patogeni” del cibo però si toglie la sorveglianza immunologica verso le cellule cancerose. I globuli bianchi, messi in allerta all’ingresso nell’intestino del cibo cotto, aumentano di numero dopo 15 minuti dall’ingestione, rimangono alti per alcune ore e poi tornano ai livelli basali. Questo è in sintesi un fenomeno infiammatorio che avviene ogni volta che mangiamo cibi cotti, ma che non si verifica con i cibi crudi. Poiché le infiammazioni del corpo sono di diversa natura e si sommano tra di loro, un modo per abbassare l’infiammazione totale è quello di ridurre il più possibile le sollecitazioni infiammatorie parziali come quella ai pasti appena descritta. 

Il crudo prima del cotto

Una soluzione efficace per limitare il fenomeno della leucocitosi è quella di consumare del cibo crudo (un frutto o una verdura) prima di quello cotto. Consumando un alimento crudo, per esempio una mela, prima di quello cotto si può gestire il fenomeno della leucocitosi digestiva. Questo perché nell’alimento crudo sono presenti una serie di sostanze (panallergeni) che preparano il nostro sistema immunitario in modo tale da evitare tutte quelle reazioni di difesa immunitaria che si attivano coi cibi cotti. In parole più semplici dobbiamo aggirare il nostro sistema immunitario. Per evitare che si attivi la leucocitosi digestiva e con essa tutti quei segnali di “pericolo” che predispongono il nostro organismo all’obesità, sovrappeso e infiammazione, basta mangiare una carota, un finocchio o un frutto, perché sono riconosciuti come cibi “amici”, prima di mangiare un alimento cotto, in modo tale che i globuli bianchi non aumentino e non si attivino con essi tutti i processi infiammatori nocivi per il nostro corpo. 

Cibi cotti salutari

Qualcuno potrebbe dedurre erroneamente, dalle informazioni appena illustrate sulla leucocitosi digestiva, che i cibi cotti siano da limitare come nemici della salute. Niente affatto. È vero che con la cottura i cibi perdono molti nutrienti come la clorofilla, le vitamine e gli enzimi, tuttavia essa può anche rendere alcune sostanze antiossidanti più numerose in quantità e maggiormente disponibili per l’assorbimento intestinale. Il pomodoro, ad esempio, cuocendo libera licopene, un potente antiossidante della famiglia dei carotenoidi, che protegge le cellule dai danni dei radicali liberi e dal loro invecchiamento precoce. Con la cottura il licopene diventa più facilmente assimilabile. Poiché il licopene è una sostanza liposolubile allo stesso modo delle vitamine liposolubili (cioè si scioglie nei grassi), l’aggiunta di olio al pomodoro favorirà ulteriormente l’assorbimento di questa sostanza: la sua concentrazione nel sangue sarà molto più alta dopo aver mangiato un buon sugo di pomodoro cotto piuttosto che un’insalata di pomodori crudi, magari senza olio. Quanto detto per i pomodori vale anche per le carote, i cui carotenoidi si liberano meglio se le saltiamo in padella con aggiunta di olio. I broccoli e gli altri vegetali della famiglia delle Crucifere (cui appartengono cavolfiore, cavolo cappuccio, verza, cavolini di Bruxelles, cavolo nero, rucola, ravanello e senape) sono considerati fra le verdure più importanti da consumare regolarmente grazie alla ricchezza non solo di vitamine, minerali e composti antiossidanti, ma anche di sostanze ad azione antitumorale come il sulforafano. In questo caso occorre però attuare una strategia di preparazione e cottura particolare, altrimenti non riusciamo a sfruttarne le proprietà. Il sulforafano non è presente nel vegetale integro ma si forma solo in seguito alla rottura delle pareti cellulari grazie all’azione di un enzima chiamato mirosinasi, come accade quando tagliamo o mastichiamo le verdure. L’enzima però viene distrutto dalla cottura e quindi, per ottenere i benefici del sulforafano, dobbiamo prima dare modo all’enzima di fare il suo compito. Occorre frantumare le cellule del vegetale in 2 modi: mangiando le crucifere crude (come nel caso della rucola, del cavolo rosso e del ravanello), oppure tagliandole e lasciandole riposare 10-20 minuti prima di cuocerle, per dare tempo all’enzima di agire. Perciò se prepariamo una zuppa o un minestrone a base di cavolfiore o broccoli, per ottenere la formazione di sulforafano dovremmo prima frullare le verdure crude, lasciarle riposare per 10-20 minuti e quindi cuocerle: il contrario di quanto facciamo normalmente.

[di Gianpaolo Usai]

Juventus, nuove accuse di falso in bilancio: perquisizioni in varie sedi

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La guardia di finanza ha eseguito diverse perquisizioni nelle sedi della società Juventus di Torino, Milano e Roma. I provvedimenti sono stati messi in atto nel contesto dell’indagine sulle plusvalenze in diversi anni di rendiconto finanziario (282 milioni di euro in tre anni), che nel 2021 avevano portato i dirigenti della società a essere iscritti nel registro degli indagati. Gli inquirenti vorrebbero in particolare far luce su 4 mensilità che i calciatori avrebbero congelato nel 2020, in accordo con la società, per permettere la riduzione dei costi nei bilanci durante la pandemia.

Obbligo vaccinale ai sanitari: sollevata la questione di costituzionalità

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Il Consiglio di giustizia amministrativa (Cga) per la Regione siciliana ha sollevato davanti alla Consulta la questione di legittimità costituzionale relativa alla disciplina che impone l’obbligo di sottoporsi alla vaccinazione anti Covid per il personale sanitario. Il massimo organo della giustizia amministrativa operante in Sicilia, infatti, tramite un’ordinanza pubblicata nella giornata di ieri ha ritenuto che il decreto-legge con cui l’obbligo è stato introdotto potrebbe essere in contrasto con diversi articoli della Costituzione. Nello specifico, all’interno dell’ordinanza si legge che il Cga ha ritenuto “rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 2, del d.l. n. 44/2021 (convertito in l. n. 76/2021), nella parte in cui prevede, da un lato l’obbligo vaccinale per il personale sanitario e, dall’altro lato, per effetto dell’inadempimento all’obbligo vaccinale, la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie, per contrasto con gli artt. 3, 4, 32, 33, 34, 97 della Costituzione”.

Spiegando poi, nel dettaglio, quali sarebbero i profili di incostituzionalità, il Cga ha posto la lente di ingrandimento sul “numero di eventi avversi”, sulla “inadeguatezza della farmacovigilanza passiva e attiva”, sul “mancato coinvolgimento dei medici di famiglia nel triage pre-vaccinale” e sulla “mancanza nella fase di triage di approfonditi accertamenti e persino di test di positività/negatività al Covid”. Tali aspetti, infatti, non consentirebbero di “ritenere soddisfatta, allo stadio attuale di sviluppo dei vaccini anti Covid e delle evidenze scientifiche, la condizione, posta dalla Corte costituzionale, di legittimità di un vaccino obbligatorio solo se, tra l’altro, si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e pertanto tollerabili”. Non vi sarebbe prova, dunque, della esclusiva presenza di rischi che rientrino in un normale margine di tollerabilità.

Proprio riguardo quest’ultimo punto, non ci si può non soffermare sulla spiegazione data dal Cga, il quale sottolinea che nel novero dell’elencazione degli effetti collaterali “rientrano evidentemente anche patologie gravi, tali da compromettere, in alcuni casi irreversibilmente, lo stato di salute del soggetto vaccinato, cagionandone l’invalidità o, nei casi più sfortunati, il decesso”. Certo, come precisato dall’organo amministrativo “le reazioni gravi costituiscono una minima parte degli eventi avversi complessivamente segnalati”, ma ciò non toglie che “il criterio posto dalla Corte costituzionale in tema di trattamento sanitario obbligatorio non pare lasciare spazio ad una valutazione di tipo quantitativo, escludendosi la legittimità dell’imposizione di obbligo vaccinale mediante preparati i cui effetti sullo stato di salute dei vaccinati superino la soglia della normale tollerabilità”. Ciò dunque non sembrerebbe “lasciare spazio all’ammissione di eventi avversi gravi e fatali, purché pochi in rapporto alla popolazione vaccinata”, anche perché, tra l’altro, seguire tale criterio “implicherebbe delicati profili etici (ad esempio, a chi spetti individuare la percentuale di cittadini “sacrificabili”)”.

Oltre a tutto questo, poi, il Cga ha dichiarato “rilevante e non manifestamente infondata” la questione di legittimità costituzionale anche “dell’art.1 della l. 217/2019 nella parte in cui non prevede l’espressa esclusione dalla sottoscrizione del consenso informato delle ipotesi di trattamenti sanitari obbligatori” e, sempre relativamente al decreto-legge sull’obbligo vaccinale per i sanitari, dell’articolo 4 dello stesso “nella parte in cui non esclude l’onere di sottoscrizione del consenso informato nel caso di vaccinazione obbligatoria, per contrasto con gli artt. 3 e 21 della Costituzione”.

Volendo infine contestualizzare tale provvedimento, bisogna ricordare che l’ordinanza ha fatto seguito alla valutazione da parte del Cga dell’appello proposto da un tirocinante, iscritto al terzo anno del corso di Laurea infermieristica presso l’Università di Palermo, contro quest’ultima, in quanto non ammesso – tramite un provvedimento datato 27 aprile 2021 – ad un corso formativo all’interno delle strutture sanitarie perché non vaccinato. Nello specifico, l’appellante ha impugnato l’ordinanza del Tar della Sicilia che aveva respinto la domanda cautelare nel ricorso proposto contro tale provvedimento. In Sicilia, infatti, in primo grado vi è il Tar, le cui decisioni possono essere appellate davanti al Cga, che svolge nell’isola le funzioni proprie del Consiglio di Stato e che, come anticipato, è il massimo organo della giustizia amministrativa operante in Sicilia. Quest’ultimo, dunque, ha deciso di sollevare la questione di legittimità, con la Corte Costituzionale che adesso, stando alla sua consolidata giurisprudenza, potrebbe avere qualche difficoltà a decidere nel senso della legittimità dell’obbligo vaccinale.

[di Raffaele De Luca]

NATO: l’adesione dell’Ucraina non è in agenda

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«L’adesione dell’Ucraina alla NATO non è in agenda, ma il sostegno al Paese è in cima alle nostre priorità e sarà uno dei principali temi della discussione di domani», ha detto il Segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, in riferimento al summit straordinario dell’Alleanza previsto per il 24 marzo. Nel frattempo, Stoltenberg ha annunciato il rafforzamento sul lato orientale dell’organizzazione, mediante il dispiegamento di «quattro battlegroup in Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia». Durante l’incontro di domani si parlerà anche della Cina che, secondo il Segretario generale della NATO, «ha fornito sostegno politico alla Russia».

Il Comune di Fidenza introduce la patente a punti per le case popolari

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Il consiglio comunale di Fidenza ha deliberato lo scorso 17 febbraio il nuovo regolamento unico comunale in materia di edilizia residenziale pubblica (E.R.P.). Il documento introduce, ai sensi dell’articolo 8, Titolo III, Parte II dello stesso, un sistema a punti per chi abita nelle case popolari che, ricordando il sistema dei crediti sociali cinesi, attribuisce a ogni nucleo familiare la “Carta dell’assegnatario”, riportante un punteggio iniziale di 50 punti. Attraverso il comportamento dei residenti il credito potrà lievitare o diminuire: nel caso in cui si esaurissero tutti i punti a disposizione, gli assegnatari sarebbero costretti a lasciare l’alloggio.

All’interno del documento vengono riportate le tabelle “dei divieti e degli obblighi legati all’alloggio e agli spazi accessori”, entrati in vigore dal 19 marzo scorso. Tra i divieti, figurano “l’utilizzo di barbecue e griglie sul balcone” (pena la perdita di 10 punti) o l’ospitare “persone estranee al nucleo senza la preventiva autorizzazione del Comune e/o dell’Ente gestore”, comportamento che si tradurrebbe in una multa di 50 euro e nella decurtazione di 25 punti dalla “Carta dell’assegnatario”. Per quanto riguarda, invece, gli spazi comuni è vietato consumare alcolici o “distribuire cibo alle popolazioni libere di colombi e volatili in genere”, pena la perdita di 10 punti. Nel caso di segnalazioni e quindi di possibili “comportamenti illeciti”, il nuovo regolamento approvato dal Comune di Fidenza prevede l’intervento di un “agente accertatore” formato da ACER, la società che gestisce gli alloggi popolari in Emilia-Romagna. Al funzionario è assegnata la facoltà di ispezionare gli alloggi e sanzionare i nuclei familiari.

Secondo il comma V del sopracitato articolo 8, “agli assegnatari che, per un periodo consecutivo di tre anni, non incorrono in sanzioni è attribuito automaticamente un incremento di punti 5, fino al raggiungimento del punteggio massimo di punti 65”, ricalcando dunque il modello della patente di guida. All’interno del nuovo regolamento vengono poi citati altri due modi per ottenere un punto da aggiungere al proprio credito: “sistemando un danno provocato” o partecipando alle iniziative per “imparare a vivere bene insieme”. La misura, che ha già provocato diversi malumori nella popolazione locale, segue la strada tracciata da altre amministrazioni italiane, come nel caso dei cinque Comuni del Parmense (Felino, Sala Baganza, Collecchio, Traversetolo e Montechiarugolo) che nel 2019 escogitarono il sistema degli alloggi popolari a punti “per incentivare gli inquilini a comportarsi bene”, attraverso però rigide regole che minano la discrezionalità degli individui, obbligandoli a optare per determinate scelte comportamentali, pena la perdita dell’alloggio.

[Di Salvatore Toscano]

 

Putin: Russia non accetterà pagamenti in dollari o euro per gas

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La Russia non accetterà pagamenti in dollari o euro da parte dei Paesi considerati ostili in cambio del rifornimento di gas naturale: è ciò che avrebbe affermato – secondo quanto riportato dai media locali il presidente russo Vladimir Putin. Quest’ultimo avrebbe in tal senso dichiarato che le forniture di gas naturale dovrebbero essere pagate in rubli, motivo per cui alle autorità russe sarebbe stata concessa una settimana di tempo per attuare nella pratica il passaggio al nuovo sistema in valuta locale.

I movimenti argentini scendono in piazza contro il Fondo Monetario Internazionale

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Il 17 marzo il Senato argentino ha concesso la sua autorizzazione all’amministrazione del presidente Alberto Fernández per ristrutturare il debito del governo di 45 miliardi di dollari con il Fondo monetario internazionale (FMI) ed evitare un tracollo finanziario. Che significa? Il debito contratto dal paese (che corrisponde a circa 39,5 miliardi di euro) si rifà al grosso prestito di 57 miliardi di dollari (circa 51 miliardi di euro) che il Fondo Monetario Internazionale aveva fatto all’Argentina nel 2018, per evitare che lo stato, in sintesi, fallisse. Il prestito era stato concordato dall’allora presidente Mauricio Macri, con l’intento di fa fronte alla crisi monetaria. Stando agli accordi precedenti, l’Argentina avrebbe dovuto restituire al FMI un primo “acconto” di 19 miliardi quest’anno, poi 19,27 nel 2023 e 4,856 nel 2024. Cioè più di 40 miliardi in 3 anni. Invece, dopo due anni di trattative, i pagamenti saranno “rateizzati” per tutto il prossimo decennio, (fino al 2032), ma partiranno dal 2024, sotto la supervisione stessa dell’FMI. Per il governo il riaccordo è essenziale per evitare un collasso totale, che andrebbe, a suo dire, ad affossare ancora di più l’economia.

Il rifinanziamento era già stato approvato dalla Camera dei Deputati la scorsa settimana: per rendere a tutti gli effetti ufficiale la nuova soluzione mancherebbe solo la votazione del consiglio del FMI. A proposito, cos’è il Fondo monetario internazionale? Ha sede a Washington, ed è un’istituzione internazionale cui partecipano 188 paesi, con la finalità di “promuovere la stabilità economica e finanziaria”. Sta succedendo anche in Argentina?

Gli argentini in realtà protestano da molto tempo, scendendo in piazza per dire no al patto con il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Lo scorso 8 febbraio un corteo di 200 raggruppamenti ha sfilato contro l’accordo, mentre il 10 marzo alcuni manifestanti argentini hanno bruciato pneumatici, scagliato pietre e rotto finestre fuori dal palazzo del Congresso, per mostrare dissenso contro il nuovo accordo. Perché gli argentini sono così scontenti? Continuare ad essere in debito con il FMI, per larga parte della popolazione rappresenta un ulteriore “soffocamento” dell’economia nazionale.

 

Il prestito infatti avrebbe dovuto essere impiegato per correggere la finanza pubblica, gli squilibri fiscali, rafforzando l’esportazione e riducendo l’altissimo tasso di inflazione che da anni affligge il Paese. Ma per molti giuristi ed economisti non c’è dubbio che in realtà il piano sia stato una truffa fin dall’inizio. L’accordo iniziale (di 57 miliardi di dollari poi ridotto da Fernández a 44), conteneva già in partenza obiettivi impossibili da raggiungere e la bilancia dello stato sarebbe stata solo più appesantita dalla restituzione del debito. Il rischio era inoltre che la maggior parte di questi fondi finisse investito in altri paesi o utilizzato in maniera illecita. E così è stato.

A tal proposito, Celeste Fierro, leader del Movimento Socialista dei Lavoratori, aveva affermato che «il debito è una truffa: si tratta di soldi usciti con la fuga di capitali per sostenere la campagna elettorale di Macri. Soldi che non sono mai stati spesi per risolvere i problemi strutturali del Paese».

L’Argentina si era già trovata in una situazione simile a causa gli effetti del debito estero: nei primi anni 2000, a seguito dell’indebitamento messo in atto dalla dittatura militare, il Paese subì un collasso economico e sociale che portò la disoccupazione al 40% e alla contrazione del più grande debito estero nella storia economica del mondo. Le proteste che seguirono i tagli ai settori dell’educazione, della sanità e dei servizi pubblici spaccarono il Paese, portando a una grave e violenta crisi sociale.

[di Gloria Ferrari]

Afghanistan: talebani negano scuola secondaria alle donne

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Dopo aver preso il potere in Afghanistan nell’agosto scorso, i talebani promisero l’accesso all’istruzione secondaria alle ragazze afghane. La data per la riapertura delle scuole venne fissata al 23 marzo 2021 ma oggi, quando centinaia di donne si sono recate presso gli istituti del Paese, è stato negato loro l’accesso, confermando dunque la limitazione all’istruzione femminile esclusivamente al livello primario. Si ricorda che il diritto paritetico all’istruzione resta uno dei punti chiave per gli aiuti e il riconoscimento politico dei talebani da parte della comunità internazionale.

Vite rubate: dal sogno capitalista al futilitarismo

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Futilitarismo: Neil Vallelly, autore del libro Vite rubate – Dal sogno capitalista al futilitarismo, conia questo neologismo per indicare la condizione nella quale verte l’uomo moderno. Figlio del capitalismo e dell’utilitarismo, il futilitarismo imbriglia il soggetto nelle maglie della propria rete e lo spinge ad mettere in atto azioni futili, atte al solo fine del guadagno monetario e non al perseguimento del bene sociale. Nel suo libro, in uscita oggi nelle librerie italiane, Vallelly accompagna il lettore in un viaggio attraverso la storia che mostra come la società sia arrivata a questo impasse, ma come sia anche possibile uscirne. Ritenendo che possa essere di grande interesse per i nostri lettori, pubblichiamo in esclusiva un estratto del libro, edito da Blu Atlantide.

“Nel lungo periodo, i neoliberisti hanno vinto la partita. La stagnazione economica e le crisi politiche degli anni Settanta hanno delegittimato la logica keynesiana, e Hayek e la cabala neoliberale della scuola di Chicago ne hanno approfittato per imporre il loro paradigma alternativo, grazie al sostegno di politici di spicco negli Stati Uniti, nel Regno Unito e altrove. Il violento rovesciamento del governo socialista di Salvador Allende in Cile nel 1973 segnò l’inizio del neoliberismo come realtà politica, e lo stesso Hayek divenne presidente onorario di un think-tank che sovrintese alla trasformazione del Cile in un’economia neoliberale sotto la dittatura di Augusto Pinochet. Mentre i neoliberisti attaccavano lo Stato keynesiano, principalmente a livello economico, quello stesso Stato stava subendo una forte critica sociale anche da sinistra da parte di coloro che lo consideravano un dispensatore di normatività sociale e culturale. Per alcuni critici del neoliberismo, questa nuova critica sociale simboleggia l’ambigua eredità delle rivolte del maggio del 1968. Harvey ha sostenuto che «per quasi tutti coloro che erano coinvolti nel movimento del ’68 lo Stato, con la sua invadenza, era il nemico e doveva essere riformato; e su questo i neoliberisti potevano facilmente concordare». Allo stesso modo, Alain Badiou ha concluso, nel quarantesimo anniversario delle rivolte del maggio ’68: “Si commemora Maggio ’68 perché il suo vero risultato, il vero eroe di Maggio ’68, è il capitalismo liberale nella sua massima espressione. Le idee libertarie del ’68, la trasformazione dei costumi, l’individualismo, il gusto del godimento, trovano il loro compimento nel capitalismo postmoderno e nel suo variegato universo di consumismi d’ogni genere”.

Ma come ha illustrato Kristin Ross nel suo indispensabile libro May ’68 and Its Afterlives (‘Il maggio ’68 e le sue molteplici vite’), la lettura dei moti di maggio semplicemente come nascita di un nuovo individualismo è retrospettiva e riduttiva, e ignora la lunga genesi che quei moti hanno avuto nelle proteste contro la guerra d’Algeria e nei vari scioperi operai nel corso degli anni Sessanta.

Boltanski e Chiapello implicano che il nuovo individualismo emerso negli anni Settanta ebbe a che fare tanto con la risposta governativa e capitalistica al maggio del 1968 quanto con la logica culturale monolitica delle rivolte. Essi notano che in Francia la risposta del governo alle rivolte comportò concessioni sui salari e sulla sicurezza sociale come tentativo di «smorzare la lotta di classe». Ma queste concessioni fecero lievitare i costi per le imprese, il che, insieme alle crisi economiche dei primi anni Settanta, spinse i capitalisti a cercare soluzioni innovative per tagliare i costi, soprattutto perché «il livello della critica con cui si confrontavano non sembrava diminuire nonostante le concessioni fatte». Di conseguenza, le imprese hanno sviluppato nuove forme di organizzazione del lavoro, «che si presentano come un’accumulazione di piccole evoluzioni e piccoli cambiamenti [che] hanno avuto l’effetto di svuotare, pur senza abrogarle, un gran numero di disposizioni del diritto del lavoro». E come mostrano Boltanski e Chiapello, questi sviluppi hanno attinto a un solo aspetto del movimento del 1968, ossia la «denuncia dell’oppressione quotidiana e dell’atrofizzazione dei poteri creativi dei singoli prodotte dalla società industriale e borghese». Successivamente, «la trasformazione delle modalità del lavoro si è […] realizzata in gran parte per rispondere alle loro aspirazioni, tanto che sono stati chiamati a parteciparvi, soprattutto dopo l’avvento della sinistra al potere durante gli anni Ottanta». L’ascesa di un nuovo individualismo non fu una conseguenza inevitabile del movimento del 1968, concludono Boltanski e Chiapello, ma fu invece un effetto degli sforzi profusi dai capitalisti per ridurre le energie collettive del movimento alla mera sete di autonomia individuale e per costruire un nuovo modello di produzione attorno a questa sete. All’inizio degli anni Ottanta, osservano Boltanski e Chiapello, «l’autonomia è stata scambiata con la sicurezza, aprendo la strada a un nuovo spirito del capitalismo incentrato sulle virtù della mobilità e dell’adattabilità mentre il precedente si articolava in termini più di sicurezza che di libertà». La condizione futilitaria è emersa proprio in questo frangente storico, in cui i capitalisti hanno colonizzato le rivendicazioni della sinistra anticapitalista, producendo un nuovo spirito capitalista che celebrava l’autonomia economica e sociale dell’individuo.

Il concetto di massimizzazione dell’utilità rimane parte integrante del neoliberismo – come discuterò nel dettaglio nel capitolo 6 nel contesto della pandemia di Covid-19 – perché gli individui sono incoraggiati e persino costretti a rendersi utili per sopravvivere. Ma se il neoliberismo è utilitaristico dal punto di vista della richiesta di massimizzazione dell’utilità – laddove l'”utilità” è definita dai datori di lavoro e dalle imprese – non è certamente utilitaristico nei suoi effetti. Indubbiamente, l’idea che la massimizzazione dell’utilità possa portare al benessere della maggioranza – per quanto sia sempre stato un mito – è ormai svanita del tutto nel XXI secolo. La condizione futilitaria traspare e prolifera quando l’utilitarismo rimane la giustificazione del capitalismo, nonostante il fatto che la massimizzazione dell’utilità sia ormai completamente slegata dal principio di felicità generale.

Il neoliberismo garantisce l’autonomia ponendo la scelta individuale e la flessibilità alla base dell’economia di mercato. Ma questa autonomia compromette la sicurezza sociale che anche utilitaristi quali Bentham e Mill vedevano come un aspetto fondamentale per garantire il principio della massima felicità. Il neoliberismo genera semplicemente le condizioni per l’autonomia, indipendentemente dal fatto che una maggiore autonomia renda felici o meno gli individui. E, come esemplificano le enormi disuguaglianze sociali, la precarietà onnipresente e le depressioni e le ansie di massa della nostra epoca, il neoliberismo genera principalmente infelicità nella maggioranza delle persone. A questo proposito, Franco “Bifo” Berardi fa un’osservazione molto puntuale: «I padroni del mondo non vogliono certo che l’umanità possa essere felice, perché un’umanità felice non si lascerebbe intrappolare nella produttività, nella disciplina del lavoro o negli ipermercati». Perché mai la felicità dovrebbe essere il fine ultimo del capitalismo se quella stessa felicità potrebbe minacciare l’accumulazione di capitale?

Questa domanda riflette l’irriducibile contraddizione tra autonomia e libertà che ossessiona la condizione futilitaria. Per quanto il neoliberismo abbia fatto propria la bandiera dell’autonomia, la verità è che la maggior parte di noi oggi contribuisce alla macchina del capitale senza alcuna possibilità di sfuggire ai suoi tentacoli. Anche il nostro tempo libero è colonizzato dal capitale della sorveglianza. Come sosteneva Marx, «nella libera concorrenza, non gli individui, ma il capitale è posto in condizioni di libertà». La libertà, insisteva Marx, è un’illusione che il capitalismo imprime nella vita umana; ma esso utilizza anche le aspirazioni individuali alla libertà per liberare il capitale dai vincoli della vita sociale. I neoliberisti hanno perseguito aggressivamente questa dualità sostenendo che l’unico modo in cui gli esseri umani possono essere veramente liberi è collocare il mercato al centro di tutti i loro sforzi, liberalizzando al tempo stesso la sfera del lavoro e quella sociale, sapendo che gli esseri umani (certamente la maggioranza degli esseri umani) e il mercato non possono essere contemporaneamente liberi. Wendy Brown osserva che «la rivoluzione neoliberale si svolge nel nome della libertà – liberi mercati, paesi liberi, uomini liberi – ma distrugge il fondamento della libertà nella sovranità sia per gli Stati che per i sudditi». Il trucco qui, come sottolinea Byung-Chul Han, è che «il capitale sviluppa bisogni propri, che per errore percepiamo come nostri». Crediamo che la libertà che desideriamo possa essere raggiunta attraverso la nostra capacità di liberare il capitalismo da ogni costrizione – e di liberarci dalle nostre relazioni con gli altri – ma questo il più delle volte si traduce in forme di autosfruttamento e di non libertà.

Il soggetto della condizione futilitaria è certamente autonomo, ma solo perché questa autonomia alimenta il mercato. Essere autonomi significa essere incatenati a una libertà molto più volatile, che spesso offusca la distinzione tra libertà e precarietà. Ci viene
costantemente ripetuto di essere noi stessi, di celebrare la nostra unicità, di commercializzarci come diversi dagli altri, di condividere i nostri pensieri come se fossero ascoltati da qualcuno. Allo stesso tempo, ci viene detto che dobbiamo contare su noi stessi, essere flessibili e resilienti, e considerare le nostre condizioni sociali ed economiche come riflessi delle nostre caratteristiche individuali. Questo è il prezzo dell’autonomia nell’era neoliberale. La grande ironia è che questo non è il mondo che i pensatori neoliberali avevano immaginato alla metà del XX secolo. Le idee di Hayek, Milton Friedman e dei Chicago Boys erano, in teoria, mirate a proteggere la libertà economica dell’individuo all’interno dell’ordine di mercato neoliberale. Ma gli effettivi processi materiali della neoliberalizzazione hanno reso futile anche questo insidioso ideale. Le forme di autonomia individuale emerse all’inizio del XXI secolo non sono perfezionamenti della teoria neoliberale, ma mutazioni di questa teoria in un’ideologia ancora più discutibile come conseguenza della prassi neoliberale. È individualismo senza libertà; individualismo come merce; individualismo come sorveglianza; individualismo come dati; individualismo come narcisismo; individualismo o muerte.

I vantaggi dell’uso del termine “futilitarismo” o “condizione futilitaria” per definire questo individualismo pervasivo derivano dal fatto che richiamano direttamente la futilità esistenziale che permea la vita del XXI secolo. Quando ci troviamo di fronte alle vere calamità della nostra epoca – crescenti disuguaglianze, cambiamenti climatici, crisi dei rifugiati, pandemie mortali – ci troviamo contemporaneamente di fronte alla nostra futilità
nell’affrontare questi problemi. Ma è una futilità di cui spesso non siamo neanche coscienti. Anzi, molti di noi finiscono per ripiegare su singoli atti di (non) resistenza: sostituire le buste di plastica con la borsa di stoffa, fare una donazione a un’associazione umanitaria ecc. Ma l’ombra della futilità si staglia su ogni nostra azione, e lo sappiamo. Per sostituire questa presenza ossessionante, ci diamo pacche sulle spalle per i nostri atti di filantropia, celebriamo e incoraggiamo la nostra autonomia reciproca e continuiamo a illuderci di essere soggetti etici che si prendono cura del nostro pianeta. Ammettere che le nostre azioni sono futili significa ammettere che siamo stati ingannati dal capitalismo, che i nostri desideri di autonomia individuale sono stati usati contro di noi per rinchiuderci ancora di più negli spasimi del realismo capitalista.

Questa futilità non riflette un nostro fallimento personale, ed è forse la paura che possa essere così che ci impedisce di riconoscerla appieno. La futilità esistenziale è piuttosto l’esito logico del rapporto storico tra utilitarismo e capitalismo. L’utilitarismo ha sempre portato con sé la possibilità del futilitarismo, in quanto era inevitabile che gli aspetti dell’etica utilitaristica che vanno a vantaggio dell’accumulazione sfrenata del capitale avrebbero finito per mettere in ombra qualunque nozione di benessere sociale, come è successo in modo spettacolare quando i neoliberisti hanno vinto la battaglia ideologica del XX secolo. In quanto membri della generazione neoliberale, oggi subiamo le conseguenze devastanti della metamorfosi dell’utilitarismo in futilitarismo. Il mio obiettivo nel resto del libro non è solo illustrare come si manifesta il futilitarismo nella società contemporanea, ma anche gettare le basi per l’emergere di una nuova politica che possa confrontarsi con la logica distruttiva del futilitarismo”.

Spese militari al massimo, cooperazione al minimo: la scelta di campo del governo Draghi

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Il Governo italiano ha approvato l’aumento della spesa militare dall’1,4 al 2% del PIL, in linea con quanto stabilito dagli altri Paesi dell’Unione europea nel contesto dell’invasione russa dell’Ucraina. Tuttavia mentre la spesa militare continua a salire vertiginosamente, non si può dire che valga lo stesso per gli stanziamenti pubblici per lo sviluppo internazionale, i quali hanno toccato il minimo storico dello 0,22%. Nei prossimi anni lo stato italiano spenderà più per la difesa che non per le misure di contrasto alla povertà dei cittadini italiani e per gli aiuti ai paesi poveri messi insieme.

Con l’approvazione del Decreto Ucraina l’Italia porterà la propria spesa militare dall’1,4% del proprio PIL al 2%, passando dai 26 miliardi di euro attuali a 38 miliardi di euro circa all’anno. Il decreto è stato votato con 391 voti favorevoli su 421 deputati presenti. La tendenza ad aumentare le spese per la difesa era già evidente ben prima che scoppiasse il conflitto russo-ucraino: un aumento del 5,4% rispetto al 2021, pari a 1,3 miliardi di euro, era infatti già stato decretato alla fine dello scorso anno, portando le spese militari ai livelli più alti di sempre.

Tuttavia, parallelamente, i fondi per l’aiuto pubblico allo sviluppo sfiorano i valori più bassi mai registrati. Questi non superano infatti lo 0,22% del reddito nazionale lordo (Rnl), circa un decimo della spesa prevista per la difesa, corrispondente alla cifra esigua di 3,67 miliardi di euro.

Rapporto tra aiuto pubblico allo sviluppo e reddito nazionale lordo in Italia, tra il 2015 e il 2020 – Fonte: Openpolis

Gli aiuti pubblici allo sviluppo (Aps) fanno parte della cooperazione allo sviluppo perseguita con risorse pubbliche: in pratica si tratta di fondi che vengono stanziati per contribuire a progetti con Paesi a basso tasso di sviluppo. Se si esamina il rapporto tra Aps e Rnl, l’Italia risulta collocarsi al ventesimo posto su 30 Paesi che compongono il comitato dell’Ocse che coordina le politiche pubbliche. Il tutto nonostante in sede internazionale l’Italia, insieme ad altri Paesi, si sia impegnata a raggiungere l’obiettivo dello 0,7% di rapporto Aps/Rnl entro il 2030, ovvero più del triplo delle cifre attuali.

Inoltre, anche il contributo per l’accoglienza viene contabilizzato come aiuto pubblico allo sviluppo, rendendo di fatto alcuni Paesi occidentali tra i percettori principali del proprio stesso investimento in cooperazione. Questa impasse ha portato numerosi Paesi membri a rivalutare le proprie priorità nell’ambito della crisi ucraina, rivalutando in quali contesti di crisi inviare gli aiuti e quali sospendere.

Inoltre, se si effettua poi un paragone con l’erogazione del Reddito di cittadinanza, inteso come misura di contrasto alla povertà, si può notare che nel complesso, da marzo 2019 (al quale risalgono le prime elargizioni della misura) a dicembre 2021 siano stati spesi a questo fine 19,8 miliardi, circa la metà dei 38 miliardi di euro previsti per la spesa militare dopo l’aumento al 2% del valore del PIL. Se al Reddito di Cittadinanza volessimo aggiungere anche l’intera somma erogata dal governo per misure di varia natura di sostengo a famiglie, imprese e cittadini in difficoltà per la crisi scaturita dalla pandemia da Covid-19 arriveremmo a 27 miliardi. Insomma, l’Italia nei prossimi anni destinerà più soldi al comparto militare che non al contrasto della povertà dei propri cittadini, alla crisi delle imprese e al sostegno allo sviluppo dei paesi poveri messi insieme.

[di Valeria Casolaro]