Venerdì, centinaia di manifestanti per il cambiamento climatico hanno bloccato i terminal petroliferi, per costringere il governo del Regno Unito a fermare i nuovi progetti di petrolio e gas. I manifestanti, che hanno bloccato le raffinerie intorno a Londra, Birmingham e Southampton, appartengono ai gruppi di Extinction Ribellion e Just Stop Oil e 83 di loro sono stati arrestati.
Le proteste sono iniziate lo stesso giorno in cui la Gran Bretagna ha assistito al più grande aumento del costo dell’energia da decenni, dovuto alla questione Ucraina. Per questo, settimana prossima, il governo Johnson prevede di pubblicare la sua nuova strategia energetica. Entro il 2050 infatti, la Gran Bretagna si è impegnata a raggiungere l’obiettivo di emissioni zero, ma l’invasione Ucraina da parte della Russia, ha messo sotto pressione quei piani. Ad oggi il governo inglese ha affermato che aumenterà la produzione interna di petrolio e gas per riuscire, entro la fine del 2022, ad eliminare gradualmente le importazioni di petrolio russo.
— Extinction Rebellion London 🌍 (@XRLondon) March 5, 2022
Nonostante questo, Extinction Rebellion ha affermato che finché il governo non si allontanerà dalle industrie inquinanti, scongiurando i peggiori scenari di devastazione del riscaldamento globale, la pressione e le proteste aumenteranno. Se i loro sforzi dovessero fallire, intendono paralizzare essi stessi la catena di approvvigionamento, utilizzando un’azione diretta non violenta per interrompere l’infrastruttura strategica che mantiene in movimento il Regno Unito.
La protesta che stanno intraprendendo gli ecologisti inglesi va contro ad una dinamica che dal 24 febbraio, sta prendendo piede in tutta Europa. Italia in primis. Con l’avvento dell’invasione russa e le conseguenti sanzioni nei confronti del Paese, infatti, l’Europa ha scelto di rinunciare al gas proveniente dalla Russia. Per compensare il fabbisogno energetico, molti paesi europei stanno retrocedendo rispetto a quelli che erano gli obbiettivi di abbandono dell’energia fossile.
Più di 90 persone sono morte nel naufragio di un’imbarcazione al largo della Libia, lo riferisce Medici Senza Frontiere (MSF), aggiungendo che una petroliera commerciale, Alegria 1, ha soccorso gli unici 4 sopravvissuti ieri mattina all’alba.
Il comandante di Alegria 1, che nonostante l’offerta di assistenza da parte dell’equipaggio della GeoBarents di MSF, ha deciso comunque di proseguire sulla sua rotta dirigendosi verso la Libia, ha ora l’obbligo di assicurarsi che le persone soccorse sbarchino nel porto sicuro più vicino.
Sull'altare della guerra e in nome della sicurezza alimentare, l'Europa appare determinata a sacrificare - ancora una volta - la sostenibilità ecologica. In questi giorni, infatti, sono diverse le misure a favore dell'ambiente derogate o rinviate a data da destinarsi perché - a detta della Commissione Ue - le priorità ora sono altre. In tutto questo però potrebbe esserci anche lo zampino dell'una o l'altra industria per cui la guerra è un'occasione ghiotta per rivendicare la propria fetta di torta. Gli indizi in questo senso non mancano ed è dimostrato che le pressioni arrivano da più fronti. ...
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A partire da ieri sera, coprifuoco di 36 ore e truppe armate dispiegate tra le strade dello Sri Lanka dopo che il presidente ha dichiarato lo stato di emergenza, per via delle numerose manifestazioni di protesta contro il governo. Lo hanno annunciato le autorità, per prevenire ulteriori proteste causate dalla crisi alimentare e da scarso carburante. Il Paese è sull’orlo del baratro per la peggior crisi economica degli ultimi decenni, causata dal calo del 70% di valuta straniera nelle casse del Paese.
Il capo dello Stato ha giustificato la decisione con la necessità di “protezione dell’ordine pubblico e il mantenimento delle forniture e dei servizi essenziali per la comunità”. Intanto, all’interno del Paese si verificano code interminabili per i beni essenziali razionati e black-out di 10 ore.
6.00 – Guerra in Yemen, l’annuncio dell’ONU: raggiunto accordo per tregua di due mesi.
7.00 – Secondo quanto riportato dal New York Times, gli Usa hanno deciso di inviare carri armati all’esercito ucraino.
9.05 – Il presidente ucraino Zelensky dichiara: «La vittoria è l’unico accordo che accetteremo».
11.56 – Centro Studi Confindustria rivede al ribasso stime sul Pil italiano: + 1,9% nel 2022 anziché il + 4% previsto prima della crisi ucraina.
13.00 – Scontri e proteste in Sri Lanka, il governo impone lo stato di emergenza.
15.30 – Ambientalisti occupano i terminal petroliferi in Inghilterra: oltre 80 arresti.
16.00 – Portavoce di Putin:«Dialogo con l’Europa riprenderà quando smaltiranno la sbornia americana e riprenderanno a occuparsi della sicurezza del continente».
19.00 – La Cina annuncia la fase 2 nella sperimentazione della moneta digitale in diverse città del Paese.
Nel 2021 è cresciuto il debito delle famiglie italiane: a renderlo noto è la Cgia (Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre), la quale ha fatto sapere che “al 31 dicembre 2021 esso ammontava complessivamente a 574,8 miliardi di euro” e che ciò ha fatto registrare un aumento di 21,9 miliardi rispetto all’anno precedente. Nello specifico, “l’importo medio per nucleo familiare era di 22.237 euro” e, confrontandolo con il dato di 12 mesi prima, ci si accorge di come “la variazione sia stata positiva e pari a 851 euro”. Oltre a ciò, però, a preoccupare la Cgia è il rischio di usura. “Le forze dell’ordine denunciano da tempo molti segnali di avvicinamento delle organizzazioni criminali al mondo dell’imprenditoria, in particolar modo di quella composta da artigiani, negozianti e partite Iva”, afferma a tal proposito la Cgia.
Nella giornata di oggi, sabato 2 aprile, tre palestinesi sono stati uccisi nel corso di una sparatoria con le forze armate israeliane in Cisgiordania. Secondo la polizia israeliana si trattava di una “cellula terroristica” coinvolta nelle recenti attività contro le forze di sicurezza e “apparentemente pronta a lanciare un altro attacco”. Quattro membri delle forze israeliane sono stati feriti. Si tratta dell’ultimo episodio di una rapida escalation di violenze che ha registrato, nella settimana scorsa, il più alto numero di vittime israeliane in un contesto non di guerra da molti anni a questa parte. Gli attentati hanno costituito un ottimo pretesto per mettere in atto una dura repressione nei confronti del popolo palestinese, anche se l’impressione è che le forze israeliane stiano “colpendo nel mucchio”, più che avere un’idea precisa della provenienza degli attentati.
Sono tre i palestinesi uccisi nella giornata di oggi in Cisgiordania dalle forze di sicurezza israeliane, che li accusavano di essere terroristi. Giovedì 31 marzo almeno due palestinesi sono rimasti uccisi durante un raid nel campo profughi di Jenin, un terzo su di un autobus. Il 30 marzo due fratelli palestinesi, accusati dai poliziotti israeliani di star preparando un attentato, sono stati arrestati nella Gerusalemme ovest dopo che la polizia ha sparato loro alle gambe. I media palestinesi denunciano decine di arresti tra la popolazione. Le rappresaglie scattate in Cisgiordania hanno anche visto gli israeliani abbattere ulivi e danneggiare case e veicoli degli abitanti con pietre e bastoni. La rapida escalation di violenze e arresti segue l’intensificarsi degli attacchi da parte dei militanti, che ha portato a 11 il totale delle vittime israeliane, il bilancio più alto registrato in una sola settimana in un contesto non di guerra dal 2006. Otto di questi erano civili e tre agenti di polizia, a fronte di quattro attentatori. Gli attacchi da parte araba sono stati tre in tutto: il più sanguinoso ha avuto luogo in un sobborgo di Tel Aviv nella giornata di martedì 29 marzo.
In seguito agli attacchi, il primo ministro israeliano Naftali Bennett si è rivolto alla popolazione con un video nel quale ha affermato «Cosa ci si aspetta da voi cittadini israeliani? Vigilanza e responsabilità. A chi ha il porto d’armi dico che questo è il momento di tenere una pistola (a portata di mano)». Il netto incitamento alla violenza accompagna l’aumento del contingente armato per le strade: saranno ben un migliaio, infatti, i soldati che affiancheranno le forze di polizia. Tuttavia, la risposta di Israele agli attacchi palestinesi non sembra avere dei target precisi, ma pare più mettere in atto una repressione che colpisce alla cieca obiettivi casuali. “Israele sta affrontando una crisi di sicurezza” scrive l’analista Amos Harel, esperto dei media israeliani sulle questioni militari e di difesa, su Haaretz: “Il senso di sicurezza personale degli israeliani ha subito un duro colpo”. Nessuno degli attacchi, infatti, era stato previsto dall’intelligence israeliana. “Per ora i terroristi sembrano essere un passo avanti rispetto ai servizi di sicurezza, che brancolano nel buio” scrive l’analista.
La repressione delle forze israeliane è avvenuta su larga scala in tutta la Cisgiordania e si è svolta con particolare intensità in concomitanza con le celebrazioni per il 46° anniversario della Giornata della Terra, in ricordo del sequestro dei Territori palestinesi da parte del governo israeliano nel 1976. Contro la popolazione sono stati usati proiettili di metallo rivestiti in gomma, bombe sonore e lacrimogeni. Il momento è poi particolarmente delicato anche in ragione del fatto che ad aprile convergeranno l’inizio del Ramadan e la Pasqua cristiana ed ebrea. Le festività precedono inoltre una serie di anniversari delicati, tra i quali il Giorno dell’indipendenza israeliana, la commemorazione della Nakba palestinese e il primo anniversario del conflitto di 11 giorni svoltosi nel maggio scorso, nel corso del quale 250 persone furono uccise a Gaza e 13 in Israele. In vista del probabile aumento delle tensioni, Israele ha rinforzato le truppe schierate lungo il confine con la striscia di Gaza.
Il presidente palestinese Mahmud Abbas ha condannato l’attacco avvenuto a Tel Aviv, secondo quanto riportato da Times of Israel, affermando che “L’uccisione di civili palestinesi e israeliani porterà solo a un ulteriore deterioramento della situazione, mentre noi tutti stiamo lottando per la stabilità“. Nel frattempo Israele ha ricevuto messaggi di sostegno da varie parti, inclusi gli Stati Uniti e il segretario generale dell’ONU Guterres.
Nella versione italiana dell’enciclopedia online Wikipedia è stata totalmente modificata la pagina relativa al massacro avvenuto ad Odessa, Ucraina, il 2 maggio del 2014, quando 48 persone persero la vita nella Casa dei Sindacati della città dove avevano trovato rifugio in seguito agli scontri tra manifestanti in favore del nuovo governo filo-occidentale e sostenitori del precedente governo filo-russo deposto. Le persone rimaste uccise nell’edificio appartenevano a questo secondo gruppo. L’edificio andò a fuoco, la causa del rogo non è mai stata accertata per il semplice fatto che la magistratura e la polizia ucraina non hanno svolto indagini sulle responsabilità, come accertato da un rapporto dell’Onu. Quello che è certo che al di fuori dell’edificio centinaia di sostenitori del nuovo governo, guidati da gruppi neonazisti, lanciarono bottiglie incendiare contro l’edificio.
La pagina Wikipedia è stata stravolta già a partire dal titolo della pagina che da “Strage di Odessa” è stato cambiato in “Rogo di Odessa”. Il contenuto stesso della pagina è stato quasi completamente cambiato e stravolto. Se nella versione precedente la “strage di Odessa” veniva definita: “un massacro avvenuto il 2 maggio 2014 ad Odessa presso la Casa dei Sindacati, in Ucraina, ad opera di estremisti di destra, neonazisti e nazionalisti filo occidentali ucraini ai danni dei manifestanti sostenitori del precedente governo filo russo”. Nella nuova versione si legge che “il rogo di Odessa è un incendio verificatosi a seguito di violenti scontri armati fra fazioni di militanti filo-russi e di sostenitori del nuovo corso politico ucraino”.
Il numero delle fonti utilizzate scende da 23 a 13 e cambiano quasi tutte ad eccezione di un paio, evidentemente utili alla nuova narrazione fatta dell’evento. Le fonti utilizzate nella versione precedente alla modifica comprendevano rapporti delle Nazioni Unite e articoli di importanti testate mainstream di carattere nazionale e internazionale, come il New York Times, Bloomberg, Panorama e Radio Free Europe: insomma, tutt’altro che fonti smaccatamente di parte filo-russa. A dimostrazione di come la pagina originaria non fosse certamente di parte, al suo interno troverete anche articoli del Kyiv Post, compreso l’articolo in cui si fornisce la versione della polizia ucraina, la quale sosteneva la possibilità dell’incendio scaturito dall’interno anziché per l’effetto del lancio di molotov da parte di gruppi ultras e formazioni neonaziste – come Pravyj Sektor – che stavano all’esterno della struttura. Dunque, la ricostruzione antecedente dei fatti riportata nella pagina della “strage” non era certamente di parte e in alcun modo sbilanciata ma offriva una panoramica abbastanza chiara degli eventi del 2 maggio 2014.
Nella pagina del “rogo” le fonti vengono utilizzate in maniera selettiva e parziale facendo emergere le sole colpe dei manifestanti filo-russi negli scontri andati in scena nella giornata del 2 maggio 2014 omettendo altre informazioni che le stesse fonti hanno portato sul caso di Odessa. Solo sul finire, nelle ultime due righe, molto sbrigativamente, viene evidenziata la totale mancanza di risposta dei soccorsi e della polizia. Quel giorno, i vigili del fuoco arrivarono quasi un’ora dopo, seppur subito allertati, mentre la polizia, seppur presente sul luogo, ha sostanzialmente lasciato che la tragedia si consumasse. Sempre nelle stesse due righe si accenna soltanto agli enormi vuoti giudiziari mai colmati di un tragico evento che non ha portato all’arresto e alla condanna di alcun responsabile. Vogliamo qui ricordare che il Ministro degli Interni, che tra le altre cose sovraintende la polizia, era già allora il signor Arsen Avakov, colui che poi ha cooptato e irreggimentato in vari corpi statali i gruppi paramilitari neonazisti come, ad esempio, il Battaglione Azov, e che ha nominato Vadym Troyan, ex numero due di Azov, a capo della polizia – come da noi già spiegato in un articolo riguardante la presenza e il potere dei gruppi neonazisti in Ucraina.
La pagina “Strage di Odessa” prima delle modifiche [versione del 26 marzo 2022]La pagina sul “Rogo di Odessa” dopo la modifica [fonte consultata il primo aprile 2022]Sostanzialmente, ciò che si evince dalla nuova pagina è l’assoluta coincidenza di fatti e una sostanziale mancanza di dolo in quella che viene interpretata come una tragedia scaturita dal fato piuttosto che da intenzionali comportamenti. Una rilettura dei fatti smaccata che, se già fosse accaduta in altra situazione sarebbe stata alquanto discutibile, ma il fatto che avvenga proprio durante il conflitto russo-ucraino lascia più che delle perplessità e fa subito balzare alla mente la strumentalizzazione e la volontà di rappresentare la realtà storica come qualcosa di diverso, magari per aiutare la narrazione occidentale che minimizza o nega del tutto la massiccia presenza di gruppi e movimenti estremisti, molti dei quali neonazisti.
Dopo le modifiche la pagina del rogo di Odessa è stata bloccata. Questo significa che le modifiche possono essere fatte solo dalla stretta cerchia di amministratori, ossia di utenti convalidati e autoverificati, questo a differenza delle normali pagine di Wikipedia che possono essere riviste e modificate da tutti gli utenti.
«Sono lieto di annunciare che oggi gettiamo le basi per un ulteriore rafforzamento della cooperazione tra Italia e Azerbaijan anche in campo energetico, che auspico conduca ad un ulteriore consolidamento del nostro partenariato economico e commerciale»: è quanto ha affermato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in visita a Baku, dove – come reso noto dalla Farnesina tramite un tweet – quest’ultimo ha co-presieduto insieme al ministro degli Esteri della repubblica dell’Azerbaijan, Jeyhun Bayramovn, la prima riunione del dialogo strategico bilaterale. «L’Azerbaijan rappresenta per l’Italia un partner prioritario essendo il nostro primo fornitore di petrolio e terzo di gas, con interessanti potenzialità di incremento delle forniture di gas naturale», ha inoltre dichiarato Luigi Di Maio.
A pensarci bene appare quasi paradossale la necessità di approfondire il tema di uno specifico diritto alla disconnessione. Per il manovale non è mica previsto un diritto ad hoc a staccarsi dal cacciavite o dal martello a fine turno, così come non è espressamente presente una prescrizione specifica che riconosca al medico il diritto di lasciare andare lo stetoscopio alla fine del servizio. Eppure diventa sempre più stringente il bisogno di introdurre un apparato normativo completo a protezione delle lavoratrici e dei lavoratori, le cui attività si prestino al rischio di iperconnessione.
Il dir...
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