Meta, la società di proprietà di Marck Zuckerberg, permetterà agli iscritti alle piattaforme Facebook e Instagram di alcuni Paesi di postare contenuti di incitamento all’odio contro l’esercito russo e il presidente Putin. La pubblicazione di contenuti che inneggiano alla violenza è proibita dalle norme interne alla community, ma la società ha dichiarato che “come risultato dell’invasione russa in Ucraina” verrà fatta un’eccezione, secondo quanto riportato da Reuters. Il temporaneo cambiamento delle norme si applicherà in Armenia, Azerbaijan, Estonia, Georgia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Russia, Slovacchia e Ucraina. L’ambasciata russa negli Stati Uniti ha chiesto a Washington di “fermare le attività estremiste” di Meta.
Dal 14 marzo la polizia sarà dotata di pistola taser in 18 città italiane
A partire dal prossimo 14 marzo, in 18 città italiane le Forze di polizia saranno armate di taser. Si tratta di una pistola elettrica che paralizza temporaneamente la persona colpita ma che, secondo la Ministra degli Interni Luciana Lamorgese, «costituisce un passo importante per ridurre i rischi per l’incolumità del personale di polizia impegnato nelle attività di prevenzione e controllo del territorio». Nello specifico saranno 4.482 le armi ad impulso elettrico consegnate agli agenti, in 14 città metropolitane e in 4 capoluoghi di provincia (Caserta, Brindisi, Reggio Emilia e Padova). Il programma prevede però che l’iniziativa venga estesa, a partire da fine maggio, anche alle restanti aree del territorio nazionale.
Dal #14marzo in 18 città #Taser operativi per le #Forzedipolizia, #Lamorgese: passo importante per incolumità operatori e gestione situazioni critiche e di pericolo.#10Marzo
📰➡️https://t.co/26TaH37nAU pic.twitter.com/OtkKPZAr6d— Il Viminale (@Viminale) March 10, 2022
La Ministra ha ribadito che in questo modo gli agenti saranno in grado di gestire in modo più efficace e sicuro le situazioni critiche e di pericolo. È davvero così? Capiamo meglio.
Il taser è stato introdotto per la prima volta nel 2004 in Regno Unito, affidato all’uso esclusivo degli agenti in Inghilterra e in Galles. Questi potevano usufruirne per un numero limitato di operazioni, e più in generale, solo in caso di estremo pericolo per la propria vita o per la sicurezza pubblica. Per la giurisdizione si tratta infatti di un’arma vera e propria (seppur non letale), che si aziona premendo il grilletto.
Dal click si diramano dal corpo della pistola due “dardi” collegati a fili conduttori che trasmettono una scarica di 63 microcoulomb di elettricità per 5 secondi. Che succede alla persona colpita? I suoi muscoli si paralizzano all’istante, anche se la mente rimane lucida e in grado di ascoltare. Ma il corpo è di fatto immobile. Tale effetto dovrebbe comunque svanire in poco tempo, permettendo al soggetto di recuperare una normale forma fisica. Tuttavia, indipendentemente dalle condizioni della “vittima”, gli agenti sono obbligati a richiedere l’intervento del personale sanitario.
Qual è stato l’iter italiano che ci ha portato fino a qui? Durante il Governo Conte I, nell’ottobre 2018, l’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini, si fece promotore di un decreto legge – convertito poi in legge a fine anno– che introdusse l’utilizzo, in alcune zone, del taser per un periodo di prova.
Della pistola elettrica si è poi tornati a parlare nel gennaio 2020, dopo il via libera del Consiglio dei Ministri del Governo Conte II alla modifica delle norme del DPR 5 ottobre 1991. Le novità includevano un “ammodernamento” dell’armamento delle forze dell’ordine. In quell’anno l’utilizzo del taser è stato legalmente approvato in 12 città (Milano, Napoli, Genova, Torino, Bologna, Firenze, Palermo, Catania, Padova, Caserta, Reggio Emilia e Brindisi), autorizzato dal decreto legge 119/2014 e sua successiva proroga.
Tuttavia, nel luglio del 2020, l’attuale Ministro dell’Interno Lamorgese sospese l’utilizzo dell’arma con una circolare ministeriale, ritenuta non idonea dopo una serie di prove balistiche. Ma il suo ritiro, visto l’annuncio di questi giorni, è stato solo temporaneo.
Il taser serve davvero? Secondo uno studio dell’università di Cambridge di qualche anno fa, in realtà la pistola elettrica ha aumentato (quasi raddoppiato) il rischio che la polizia usi la violenza e che gli agenti vengano aggrediti. Mentre l’Organizzazione delle Nazioni Unite lo ha addirittura definito uno strumento di tortura.
Secondo una stima effettuata dall’agenzia Reuters, dall’inizio degli anni 2000, negli USA sarebbero state colpite a morte con un taser azionato dalla polizia 1.042 persone. Un quarto di loro soffriva di crisi psicotiche o disturbi neurologici, in nove casi su dieci la vittima era disarmata. Reuters ha potuto consultare le autopsie di 712 del totale delle vittime censite. In 153 casi il taser è indicato come unica causa o come fattore che ha contribuito alla morte, le altre autopsie menzionano invece una combinazione di problemi, da scompensi cardiaci all’abuso di droghe e traumi di vario genere.
[di Gloria Ferrari]
Istat: disoccupazione al 9,1% nell’ultimo trimestre 2021
Nel quarto trimestre del 2021 il tasso di disoccupazione è stato pari al 9,1%, quindi stabile rispetto al trimestre precedente e in calo dello 0,7% rispetto allo stesso periodo del 2020. A comunicarlo è l’Istat attraverso un rapporto. Secondo i dati raccolti, i disoccupati sarebbero 2.277.000 (-0,3% sul terzo trimestre dello stesso anno e -5,4% sul quarto trimestre del 2020) e gli occupati 22.791.000, con un incremento rispetto al periodo precedente dello 0,4% (+80.000). Il tasso di occupazione si attesta dunque al 59,1%.
Bombe sui bambini o disinformazione? Cosa sappiamo di quanto successo a Mariupol
Prima che essere un esempio di devastazione da guerra, il bombardamento dell’ospedale pediatrico di Mariupol è un caso esemplare di confusione mediatica. Dichiarazioni, articoli di giornale, narrazioni, si sono rapidamente rincorse e smentite, rendendo impossibile farsi un’idea chiara di cosa sia successo il 9 marzo scorso. E questo non solo perché, come era prevedibile, la versione russa e quella ucraina sulla situazione all’ospedale sono diverse. Ma anche perché, in alcuni casi, sono le fonti di una stessa parte a divergere.
In questa situazione torbida, testate giornalistiche italiane non hanno comunque mancato di sospendere la deontologia professionale. Scegliendo arbitrariamente di trasmettere una sola versione, quella Ucraina, e spesso elevandola senza motivo a fonte certa e verificata, abbandonando oltretutto l’uso del condizionale. Ma le informazioni giunte, sino ad ora, non sono sufficienti per giudicare i fatti di Mariupol, rendendo evidente come siano necessarie verifiche e conferme.
La notizia del bombardamento dell’ospedale pediatrico è stata data in primis dal premier ucraino Zelensky. Le sue parole, accompagnate da un video, sono state: «persone, bambini sono sotto le macerie. È un’atrocità! Per quanto tempo ancora il mondo sarà un complice che ignora il terrore? No fly zone adesso!». Tuttavia, quasi nello stesso momento, Pavlo Kyrylenko, attuale governatore del Donetsk Oblast, dichiarava che nell’attacco erano rimaste ferite 17 persone, ma che a quanto si sapeva non era morto nessuno: né donne né bambini.
Da parte russa, poco dopo, è arrivata una decisa smentita, carica di accuse di fake news. Dmitry Polyanskiy, primo deputato e rappresentante permanente presso le Nazioni Unite della Russia, ha polemizzato per il modo in cui mezzi d’informazione occidentali e le stesse UN hanno parlato dell’accaduto: «Ecco come nasce una fakenews. Abbiamo avvertito nella nostra dichiarazione del 7 marzo che questo ospedale è stato trasformato in un oggetto militare dai radicali. Molto inquietante che l’ONU diffonda queste informazioni senza verifica».
Il comunicato russo del 7 marzo effettivamente esiste. È stato infatti pubblicato due giorni prima del bombardamento sul sito ufficiale della Rappresentanza russa alle UN. Vi si legge che le Forze Armate ucraine avrebbero da un po’ di tempo occupato l’ospedale pediatrico di Mariupol, rendendolo un appostamento militare per il tiro: «I radicali ucraini mostrano il loro vero volto ogni giorno di più. La gente del posto riferisce che le forze armate ucraine hanno cacciato il personale dell’ospedale n. 1 della città di Mariupol e hanno allestito un sito di tiro all’interno della struttura. Inoltre, hanno completamente distrutto uno degli asili della città».
In rete è poi possibile leggere un articolo di lenta.ru, sito di informazione russo, che confermerebbe la versione del comunicato. Pubblicato l’8 marzo, riporta il racconto di un cittadino, Igor, secondo cui l’ospedale di Mariupol era già stato evacuato e occupato da forze militari non identificate. Ecco il paragrafo in questione tradotto in Italiano:
“Igor ha detto che gli ultimi giorni di febbraio persone in uniforme sono arrivate all’ospedale di maternità, dove lavora sua madre. Riferisce che non sa se fossero combattenti delle Forze Armate ucraine o del battaglione nazionalista “Azov” (bandito nella Federazione Russa ). I militari hanno distrutto tutte le serrature, disperso il personale dell’ospedale e posizionato punti di fuoco, per preparare, come hanno spiegato ai medici, la “fortezza di Mariupol” alla difesa. La reazione dei militari alle obiezioni è standard: colpi con il calcio dei fucili, sparando in aria”.
A chi credere dunque? Le informazioni al momento non permettono di pendere da nessuna delle due parti. Siamo nel classico campo della battaglia informativa che accompagna ogni guerra.
Ieri mattina, inoltre, la BBC ha pubblicato un video dove Sergei Orlov, vice sindaco di Mariupol, dichiara che a causa del bombardamento ci sarebbero 17 persone ferite e 3 morti, fra cui un bambino. Le nuove dichiarazioni sono compatibili con quelle di ieri, fatte dal governatore Pavlo Kyrylenko, tuttavia non è chiaro se le persone decedute fossero all’interno dell’ospedale.
Fra i quotidiani ucraini che hanno trattato l’aggiornamento, vi è ad esempio Lb.ua. che riporta, come fonte, dei nuovi dati sulle vittime il profilo telegram del Comune di Mariupol. Effettivamente vi si trova un post dove si parla di tre persone decedute. Però non si dice di un bambino fra queste, ma una bambina. E alcune testate, anche italiane, come l’Adn Kronos, hanno riportato che “il bambino” aveva 6 anni. Il sospetto, a questo punto, è che vi sia un errore e che si tratti non di una vittima del bombardamento ma della bambina di 6 anni morta per disidratazione.
È in questo quadro ancora poco chiaro che testate come la Repubblica, hanno titolato “L’agonia di Mariupol: mamme e bambini colpiti in ospedale”. Oppure “strage di donne e bimbi”, come ha fatto il Giornale di Brescia. Ma il titolo più gridato è forse stato quello di La Stampa. Senza la minima prova infatti il quotidiano torinese titola “Orrore a Mariupol: i bambini nel mirino” dando a intendere al lettore non solo che vi siano certamente morti e feriti, ma addirittura che l’intenzione russa fosse proprio quella di colpire civili, in particolare i più piccoli.
Quale fosse l’intenzione dei russi è ancora da verificare, così come è da verificare ogni lato di questa notizia. Abbiamo invece certezza su quella dei giornalisti italiani che se ne sono usciti con titoloni: sposare la narrazione comoda all’Occidente e ignorare tutto il resto. Evidentemente, quando si tratta di guerra in Ucraina, non interessa più come stiano davvero le cose. Non c’è bisogno di verificare, è vero, giusto, fondato, solo ciò che viene una delle due parti in causa. E, naturalmente, al pubblico italiano va riportato con qualche esagerazione o abbellimento emotivo: così si fanno pure tanti click. Ma questa non è deontologia giornalistica.
[di Andrea Giustini]
Le forze della NATO si stanno addestrando in Piemonte
È iniziata in Piemonte l’esercitazione Volpe bianca – CaSTA2022, che vedrà impegnate per due settimane forze della NATO sul territorio italiano della Via lattea. Si tratta di un appuntamento annuale, non legato dunque alle attuali circostanze geopolitiche, che ha come obiettivo la verifica del livello di addestramento in ambiente invernale delle truppe di montagna. L’esercitazione spazierà dal soccorso al movimento e combattimento in alta quota, definito in gergo NATO come Mountain Warfare.
A #Sestriere #MichelaMoioli, vincitrice della medaglia d’argento alle Olimpiadi invernali di #Pechino nella specialità snowboard cross a squadre miste, ha acceso il tradizionale braciere dell’esercitazione #VolpeBianca #CaSTA2022 che si svolge sulle montagne olimpiche pic.twitter.com/DhcodKnypl
— Città MetroTorino (@CittaMetroTO) March 7, 2022
Alla 72° edizione dell’addestramento, interrotto soltanto negli ultimi due anni causa pandemia, prenderanno parte le Brigate Julia e Taurinense e il Centro Addestramento Alpino, a cui si aggiungeranno la 27ª Brigata di Fanteria da Montagna francese e la 173ª Brigata Aviotrasportata dell’esercito statunitense. L’appuntamento di quest’anno, sviluppato all’interno di un perimetro di circa 60 km², verrà suddiviso in due fasi: nella prima è prevista una collaborazione con reparti specialistici dell’Esercito, intervento di elicotteri, velivoli senza pilota Raven e sistemi di comunicazione con copertura satellitare. Nella seconda fase, chiamata invece “ricognizione sul ghiaccio”, le forze NATO prenderanno parte alla tradizionale gara di pattuglia, confrontandosi su diverse attività, tra cui: topografia, tiro, trasporto di un ferito, superamento di un ostacolo naturale, navigazione tattica, collegamenti radio e realizzazione di un bivacco.
«La montagna è quel caratteristico ambiente che impone una familiarizzazione e una preparazione fisica e mentale specifiche» ha spiegato il Comandante delle Truppe Alpine dell’Esercito, Generale di Corpo d’Armata Ignazio Gamba. «In 150 anni di vita del Corpo degli Alpini, noi soldati di montagna abbiamo affinato e fatto sempre più nostre le caratteristiche di articità e verticalità, che ormai fanno parte del nostro Dna: la capacità di vivere, muovere e combattere in climi rigidi e in ambienti dove lo sviluppo verticale del movimento tempra e garantisce la consapevolezza di saper operare in tutti gli ambienti non permissivi».
[Di Salvatore Toscano]
Ue: obiettivo indipendenza da gas russo
«Nel breve termine abbiamo bisogno di affrontare il caro prezzi nell’energia e prepararci al prossimo inverno», ha detto Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, al vertice dei leader europei di Versailles. «Al di là della regolamentazione dei prezzi e agli aiuti di Stato, stiamo esaminando opzioni per limitare i prezzi dell’elettricità. Siamo troppo dipendenti dalla Russia in particolare sul gas. Dobbiamo diversificare. Proporremo lo stoccaggio del gas almeno al 90% entro il 1 ottobre di ogni anno». La decisione arriva qualche giorno dopo il discorso di Joe Biden e l’annuncio dello stop alle importazioni di gas russo negli Stati Uniti.
Produrre energia verde combattendo la siccità: la California punta sui canali solari
In California sta per essere testata la solar-canal solution (soluzione del canale solare), studiata per salvare una delle risorse più in crisi nello Stato occidentale del Stati Uniti, l’acqua. Non solo, i prototipi in fase di sviluppo nella Central Valley della California mostrano quanto quella dei solar-canal possa essere una scusa salvifica per raggiungere gli obiettivi di energia rinnovabile, con un’importante convenienza anche dal punto di vista economico. Il primo prototipo di canale solare supportato dal Dipartimento statale delle risorse idriche, sarà costruito dal distretto di irrigazione di Turlock (TID), nella San Joaquin Valley in California, progetto che vede la collaborazione di Solar Aquagrid, svariati studiosi e ricercatori. L’ambizioso progetto Project Nexus avrà inizio quest’anno e dovrebbe essere completato entro il 2024.
Il problema della siccità negli Stati Uniti occidentali è spaventosamente crescente e allarmante. La California è uno dei territori che più risente di un fenomeno tanto pericoloso: dal 2000 al 2021, c’è stato un periodo di siccità tanto grave e atipico come non accadeva dall’800. Una delle cause della crescente siccità è l’evaporazione dell’acqua dai canali della California, che secondo quanto dimostrato potrebbe essere rallentata o addirittura fermata grazie ai pannelli solari. L’idea è quella di coprire tutta la lunghezza dei canali, quindi ombreggiare i corsi d’acqua e farlo con dei “canali solari”. Secondo le stime, in questo modo si potrebbero salvare fino a 65 miliardi di galloni d’acqua all’anno (circa 246 miliardi di litri). Riducendo l’evaporazione non solo si salverà della preziosa acqua ma si potrà generare una notevole quantità di energia pulita. Secondo le stime, si arriverebbe molto vicino al raggiungimento degli obiettivi ambientali californiani, perché i solar-canal potranno generare fino alla metà di energia da fonti rinnovabili che lo Stato dovrebbe aggiungere per un’elettricità carbon free entro il 2045.
Senza parlare del migliore rendimento dei pannelli solari quando posti sopra i canali, visto che l’acqua si riscalda più lentamente della terra quindi scorrendo essa sotto i pannelli, potrebbe raffreddarli aumentando di conseguenza la produzione di elettricità. Non si parla solo di risparmio idrico e generazione di energia rinnovabile, per quanto sia già rincuorante. Se i pannelli solari riuscissero a occupare lo spazio al di sopra dei corsi d’acqua, si risparmierebbero fino agli 80.000 acri di terreni agricoli o habitat naturali (Circa 33mila ettari) altrimenti necessariamente destinati alla costruzione di fattorie solari. Per quanto l’istallazione dei solar-canal sia più costosa rispetto alla classica costruzione a terra, i benefici sono numerosi, sia nel breve che nel lungo termine: dal risparmio idrico, a una maggiore efficienza fotovoltaica fino alla mitigazione delle erbe infestanti acquatiche e, ovviamente, un ensemble di benefici per la salute della Terra e umana, vista la riduzione delle emissioni di gas serra che porterebbe, quindi un’aria con qualità assai superiore. Infine, tra le cause delle catastrofi a cui ormai notoriamente la California è stata soggetta, c’è anche l’invecchiamento dell’infrastruttura energetica dello Stato. Ciò ha contribuito alla diffusione di incendi e importanti interruzioni di elettricità per più giorni. Degli insediamenti solari intelligenti sui canali potrebbero invece essere utili anche per evitare eventi tanto nefasti.
[di Francesca Naima]
Ucraina, Oim: più di 2,3 milioni di profughi
Sono più di 2,3 milioni le persone che ad oggi, a causa della guerra in Ucraina, sono state costrette a fuggire dal Paese ed a recarsi nelle nazioni confinanti. A renderlo noto è stata l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) delle Nazioni Unite tramite un tweet, con il quale ha altresì precisato non solo che 112 mila profughi appartengano a Paesi terzi ma che essi abbiano “bisogno di supporto umanitario vitale e di protezione”.
Tribunale di Pistoia: sentenza dà ragione al genitore che non vuole vaccinare il figlio
“Il Tribunale non può ragionevolmente ritenere corrispondere al miglior
interesse, anche medico, del minore la somministrazione dei preparati vaccinali
attualmente in uso per la malattia da Sars-Cov-2”: è quanto si legge all’interno di un recente sentenza del Tribunale di Pistoia, con cui il giudice – la dottoressa Lucia Leoncini – ha respinto il ricorso di una madre che aveva chiesto all’ufficio giudiziario l’autorizzazione a sottoporre i 3 figli minori alla vaccinazione anti Covid contro la volontà dell’ex coniuge. Sostanzialmente il giudice ha dato ragione al padre, che si è opposto alla vaccinazione dei figli (di cui uno di età superiore a 12 anni e gli altri due di età inferiore ai 12 anni) ed ha riconosciuto che il rapporto rischi/benefici non fosse adeguato.
“Occorre prendere le mosse dai dati scientifici ed epidemiologici a disposizione”, ha innanzitutto scritto il giudice, sottolineando che i vaccini attualmente in uso in Italia, Pfizer e Moderna, sono univoci nell’indicare nel proprio foglio illustrativo pubblicato sul sito dell’Aifa la non raccomandazione “nei bambini di età inferiore a 12 anni”. Ciò già di per sé avrebbe costituito secondo il giudice un dato significativo sulla cui base rigettare il ricorso per quanto attiene ai due figli più piccoli, dato che di certo “l’autorità giudiziaria non può considerarsi ragionevolmente legittimata ad autorizzare l’utilizzo di un farmaco che l’autorità sanitaria a ciò preposta raccomanda di non utilizzare”. Tuttavia, considerata la loro età prossima al compimento degli anni 12 e avendo riguardo altresì alla domanda di autorizzazione afferente il figlio già ultradodicenne, il giudice ha preso in considerazione tutta una serie di dati ulteriori.
Sotto l’egida dell’art. 32 della Costituzione (riguardante la tutela della salute) invocato da entrambi i contendenti, il giudice ha fornito una completa valutazione rischi benefici della vaccinazione ai 3 figli. In primo luogo ha rilevato che il beneficio del vaccino (rappresentato dalla limitazione della possibilità di contrazione di malattia nella forma grave, ossia potenzialmente letale) nella fascia d’età considerata determini la possibile riduzione di eventi che, stando ai dati ufficiali, “si sono verificati di media in meno di due casi su 100.000 contagiati e in meno di 5 casi su 1.000.000 di bambini, per quanto attiene al decesso, e in poco più di un caso su 10.000 contagiati e in circa 3 casi su 100.000 bambini, per quanto attiene al ricovero in terapia intensiva”.
A fronte di tale protezione, però, occorre fare i conti non solo con il fatto che i vaccini “non valgono ad evitare il contagio” ma che, come precisato nel foglio illustrativo dei due vaccini, non sia nota la frequenza degli eventi avversi più gravi. “Per entrambi i vaccini, inoltre, è specificato che essi comportano un aumento del rischio di miocardite e pericardite”, ha aggiunto il giudice, sottolineando che “i vaccini attualmente in uso in Italia sono stati autorizzati sotto condizione da parte dall’autorità europea, poiché non risulta completata la necessaria IV fase di sperimentazione” e che ciò di per sé “dovrebbe indurre a particolare cautela specialmente ove si voglia somministrare il vaccino a soggetti che, per fascia di età, per un verso non presentano rischi di esposizione grave al virus” e “per altro verso sono ancora in fase evolutiva e di sviluppo e devono quindi essere destinatari di tutela rafforzata”. Di conseguenza, somministrare a tali soggetti vaccini la cui frequenza di effetti collaterali non solo a breve ma “soprattutto a medio-lungo termine” non risulta nota, per “fronteggiare rischi medici che possono ragionevolmente dirsi remoti”, non corrisponde a “una ragionevole applicazione del principio di prudenza”.
È per tutti questi motivi dunque che – “salvo casi peculiari attinenti a specifiche condizioni del minore che rendano più elevato rispetto alla media generale il rischio di sviluppare una malattia grave dall’infezione da Covid-19”, eventualità che non riguardava il caso di specie – il tribunale non ha ritenuto corrispondente al miglior interesse del minore la sua sottoposizione al vaccino. Infine il giudice ha precisato che la valutazione, in casi analoghi a quello di specie, non si presta ad “essere modificata per bilanciamento con contrapposte esigenze di interesse pubblico” dato che “la duplice valenza del diritto alla salute nella prospettiva dell’art. 32 Cost., come diritto fondamentale e come interesse della collettività, non può comportare una sistematica prevalenza dell’ interesse pubblico sul diritto individuale”. In tal senso anche il bilanciamento con altri interessi, come lo sviluppo della vita sociale, non appaiono idonei a incidere direttamente sulla valutazione del rapporto benefici-rischi ed è per questo dunque che anche la volontà dei figli, che a quanto pare avrebbero voluto sottoporsi al vaccino così da riacquistare una normale vita sociale e sportiva, non ha fatto testo.
[di Raffaele De Luca]
Brasile, migliaia in piazza contro i progetti estrattivi nelle terre indigene
Migliaia di manifestanti si sono riuniti nella capitale del Brasile per protestare contro cinque disegni di legge in fase di valutazione da parte del Congresso. Se approvate, le proposte darebbero il via libera all’estrazione mineraria nelle terre indigene e allenterebbero i regolamenti sull’uso dei pesticidi e sulla deforestazione. L’enorme manifestazione è stata chiamata Stand for the Earth ed è nata proprio in opposizione al pacchetto di norme che gli ambientalisti hanno definito una “combo della morte”.
Per gli oppositori, i disegni di legge voluti dall’amministrazione Bolsonaro porterebbero ad una vera e propria legalizzazione di diversi crimini ambientali. Verrebbero, difatti, concesse attività estrattive commerciali nelle terre indigene minacciando i già precari diritti alla terra di decine di migliaia di popoli. Verrebbero inoltre ammorbiditi i requisiti per ottenere varie licenze ambientali nonché i regolamenti sull’uso dei pesticidi. Secondo molti, le norme legittimerebbero gli accaparratori terrieri e i taglialegna illegali in Amazzonia, dove la deforestazione ha già raggiunto livelli record proprio sotto la guida del presidente di estrema destra. Il tutto poi sfruttando la guerra tra Russia e Ucraina come pretesto. «A causa del conflitto oggi corriamo il rischio di una mancanza di potassio o un aumento del suo prezzo – ha scritto Bolsonaro su Twitter – la nostra sicurezza alimentare e il comparto agroalimentare esigono dall’esecutivo e dal parlamento misure che ci permettano di non dipendere da una risorsa di cui disponiamo in abbondanza».
Il Senato dovrà esprimersi su tre di questi disegni di legge nelle prossime settimane, mentre gli altri due verranno votati dalla Camera bassa. Ma, nel dettaglio, cosa prevedono quindi queste controverse norme? Il primo disegno di legge istituirebbe il cosiddetto Marco Temporal, un vincolo legislativo secondo cui solo i popoli indigeni in grado di dimostrare che occupavano le loro terre prima della promulgazione della Costituzione Federale vi avrebbero diritto. Modificherebbe poi lo Statuto Indiano includendo “un contratto di cooperazione tra indiani e non indiani” affinché questi ultimi possano svolgere attività economiche nei terreni indigeni. Il secondo disegno in fase di valutazione consentirebbe, invece, lo sfruttamento delle terre ancestrali da parte di grandi progetti infrastrutturali e minerari, compresi quelli legati al petrolio e al gas naturale. Il terzo renderebbe più flessibile l’ottenimento di licenze ambientali per le nuove imprese ed opere prevedendo il rinnovo automatico di qualsiasi tipo di concessione ambientale. 14 settori produttivi, tra cui l’agricoltura estensiva e l’allevamento di bestiame, sarebbero esenti da vincoli e la costruzione di nuove opere potrebbe avvenire senza una valutazione del loro impatto né sulle sulle terre indigene né sulle Unità di Conservazione. Il quarto pacchetto normativo concederebbe l’amnistia per il reato di invasione di terre pubbliche per coloro che le hanno occupate tra la fine del 2011 e il 2014 permettendo la regolarizzazione di aree fino a 2.500 ettari senza che si passi per un’ispezione. Infine, il quinto ed ultimo disegno di legge permetterebbe la regolarizzazione delle occupazioni delle terre avvenute prima del 2008, quelle che dovrebbero essere destinate ai coloni della riforma agraria.
I manifestanti sperano quindi di convincere i legislatori a respingere o modificare i disegni di legge nonostante l’elevato sostegno che questi stanno ricevendo dalla lobby del business agroalimentare. «Nella loro forma attuale – ha dichiarato Marcio Astrini, direttore esecutivo dell’organizzazione ambientalista Climate Observatory – queste norme sono un disastro. Fanno male al paese, fanno male all’ambiente, fanno male alla nostra reputazione internazionale e mettono a rischio la sopravvivenza dell’Amazzonia allontanando, inoltre, il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Anche se cambiassimo presidente e la gestione del Brasile sui temi ecologici, queste regole renderebbero comunque molto difficile combattere i crimini ambientali».
[di Simone Valeri]









