Ha avuto inizio poco fa il collegamento in diretta del presidente ucraino Zelensky con le Camere riunite a Montecitorio. Il presidente ha dichiarato che “la guerra è preparata da anni da una sola persona che ha lucrato col gas”, riferendosi a Putin, e che l’Ucraina rappresenta “il cancello per l’Europa”, alludendo ad ulteriori mire del presidente russo nel continente. Per tali ragioni “abbiamo bisogno di ulteriori sanzioni”, sostiene Zelensky, che ha anche richiamato la somiglianza della città di Mariupol con Genova per le dimensioni. Il presidente ha poi ringraziato l’Italia per aver accolto oltre 70 mila profughi ucraini. Assenti in sala i deputati di Alternativa e alcuni tra le file dei 5 Stelle e della Lega.
In Spagna la protesta degli autotrasportatori paralizza il settore del commercio
Entra oggi nel suo nono giorno la protesta degli autotrasportatori spagnoli che si è diffusa a macchia d’olio in tutta la Spagna paralizzando il settore alimentare e comportando perdite stimate intorno ai 600 milioni di euro. A partire da lunedì 14 marzo gli autotrasportatori hanno infatti cominciato a bloccare le strade in varie province spagnole, principalmente per protestare contro il caro prezzi del carburante, che ha subito un’impennata con lo scoppio della guerra in Ucraina. Nella giornata di ieri, lunedì 21 marzo, anche le associazioni che inizialmente avevano preso le distanze dalle proteste hanno lanciato un ultimatum al governo: o soddisferà le rivendicazioni dei trasportatori o prenderanno anche loro parte agli scioperi.
Da più di una settimana gli autotrasportatori spagnoli paralizzano alcune città e bloccano la distribuzione delle merci. Tra le proprie rivendicazioni, la principale riguarda la proibizione dell’appalto dei servizi di trasporto su strada con stime al di sotto dei costi operativi. In seguito all’aumento del costo del carburante, schizzato alle stelle in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, i trasportatori stanno infatti subendo ingenti perdite. Ciò a cui mirano è il raggiungimento un accordo come quello siglato dall’esecutivo francese, che prevede sussidi ai trasportatori per i prossimi 4 mesi nella misura di 15 centesimi al litro per ogni rifornimento. La misura, secondo quanto richiesto, dovrà avere carattere retroattivo e prevedere sanzioni per il mancato pagamento di queste settimane. Tra le altre misure richieste vi sono anche il divieto di carico e scarico da parte dei camionisti e 400 milioni di euro di aiuti pubblici da distribuirsi tra gli addetti ai lavori in misura differente a seconda della grandezza del mezzo, dai 300 euro ai conduttori di furgoncini ai 1300 euro per coloro alla guida di camion per il trasporto di carichi pesanti.
Inizialmente agli scioperi e ai picchetti aveva aderito solamente la Piattaforma spagnola per la difesa del settore del trasporto merci su strada, mentre le maggiori associazioni del settore, rappresentate dal Comitato Nazionale del Trasporto su Strada (CNTC), ne avevano preso le distanze. Questo perché dopo gli scioperi di Natale la CNTC aveva già negoziato alcune misure con il governo: tra queste, attive dal 17 marzo scorso, vi erano il divieto di carico e scarico da parte degli autisti e l’obbligo di aggiornare le tariffe del trasporto in base alle variazioni del prezzo del carburante. Tuttavia le compensazioni non tengono conto dell’ingente aumento dei prezzi dovuto allo scoppio della guerra tra Ucraina e Russia. Per tale motivo nella giornata di ieri CNTC ha voluto sollecitare azioni concrete da parte del governo lanciando un ultimatum: se gli aiuti diretti per far fronte all’aumento del costo del carburante non arriveranno entro breve anche gli associati di CNTC potranno aggiungersi alle proteste.
Per tale motivo, e in seguito all’infruttuoso incontro tenutosi la scorsa settimana con la ministra dei Trasporti, nella giornata di ieri lunedì 21 marzo le associazioni hanno incontrato la vicepresidente e ministro dell’Economia, Nadia Calviño, e la ministra delle Finanze, María Jesús Montero, per dare il via a una nuova sessione di negoziati. Il Governo si è impegnato a concedere 500 milioni di euro in aiuti diretti per l’acquisto di carburante a partire dal primo di aprile, dopo che la misura sarà resa concreta dal Consiglio dei Ministri del 29 marzo, ma senza applicare riduzioni di IVA. La proposta non ha soddisfatto tutti i gruppi del settore, che l’hanno ritenuta poco concreta, motivo per il quale gli scioperi proseguiranno e vi prenderanno parte anche alcuni gruppi afferenti al CNTC.
Nel frattempo, un comunicato delle associazioni del settore dei consumi stima le perdite legate agli scioperi intorno ai 600 milioni di euro. Nei supermercati alcuni beni di prima necessità, come farina, olio e latte, iniziano a scarseggiare per l’effetto congiunto degli scioperi e della crisi ucraina. Paralizzata anche la distribuzione di automobili, mentre l’Associazione Nazionale delle Stazioni di servizio Automatiche (Aesae) ha fatto sapere che gli scioperi stanno causando la mancanza di carburante in alcune stazioni di rifornimento.
La reazione del governo spagnolo, il quale fatica a mantenere il controllo sulla situazione, è stata di criminalizzare coloro che hanno aderito alle proteste, etichettandoli come violenti dell’estrema destra sostenitori di Putin. Nei giorni scorsi sono stati mobilitati 24 mila membri delle forze dell’ordine per garantire il funzionamento dei trasporti, ma non si è dimostrata una misura sufficiente a porre rimedio alla mancanza di rifornimenti. I negoziati non hanno avuto per ora esito positivo e le proteste minacciano di assumere un carattere ancora più vasto: si vedrà nei prossimi giorni se e in che modo il governo riuscirà a gestire la crisi.
[di Valeria Casolaro]
Monthly report: Scuola e formazione, i progetti delle élite contro le lotte studentesce
Da mesi le mobilitazioni degli studenti in Italia si susseguono. Rigorosamente al riparo dalle strabiche agende dei principali media da ottobre a oggi sono state occupate centinaia di scuole, si sono moltiplicati i cortei di protesta, sono nati decine di collettivi. Una intera generazione spesso ingiustamente additata come impigrita dalla realtà virtuale e poco combattiva sta cercando di prendere in mano il proprio futuro dopo due anni in cui gli è stato ordinato di rimanere chiusa in casa allo scopo di proteggere i nonni. Mentre gli esami di maturità si avvicinano, in questo nuovo numero del monthly report abbiamo deciso di fare luce sul mondo della scuola e dell’università, per capire cosa contesta e cosa chiede quella che passerà alla storia come generazione Dad. Abbiamo incontrato i ragazzi e le ragazze in lotta entrando dentro una scuola occupata a Torino, dando voce a una generazione che come prima cosa – per quanto ingenuamente paradossale possa sembrare – occupando le scuole cerca di riappropriarsi della normalità dello stare insieme tra coetanei, riscoprendo quel mondo fatto di spazi e incontri reali che per troppo tempo gli è stato precluso.
Ma interpretare quanto accade nelle scuole come semplice reazione alla pandemia sarebbe una restrittiva banalizzazione. La generazione Dad è infatti anche la generazione dell’alternanza scuola-lavoro, della competizione insegnata come caposaldo sociale, dell’ideologia dell’efficienza che sta trasformando scuole e università da luogo di formazione di coscienze critiche a luogo di programmazione di forza lavoro formata in base alle esigenze dell’economia. Di neologismo in neologismo la generazione Dad è anche la generazione Ted, nel senso dei nuovi licei per la Transizione Ecologica e Digitale approvati nel silenzio del dibattito pubblico dal governo Draghi. I licei Ted sono i luoghi di formazione pensati al servizio della cosiddetta società 4.0, con tanto di programmi formativi scritti dal personale ministeriale in collaborazione con multinazionali e grandi aziende italiane ed estere. L’ideale approdo finale di 30 anni di riforme che hanno progressivamente posto la formazione al servizio dell’impresa con il beneplacito di tutti i governi, di destra, tecnici e di sinistra. Sono dinamiche che gli studenti hanno colto con molta più lucidità di quanto si potrebbe pensare, ponendole nel mirino delle proteste e chiedendo che la scuola torni ad essere luogo posto al servizio dell’interesse pubblico degli studenti e non di quello privato delle aziende.
Indice:
- Generazione DAD: cosa rimane dell’apprendimento se si sta soli?
- Libertà è partecipazione e autogestione: reportage da un liceo occupato
- I miei 40 anni di insegnamento universitario, cercando di leggere i segni
- 30 anni di riforme hanno progressivamente posto la scuola italiana al servizio del mercato
- Nuovi Licei TED: l’Italia progetta la scuola di domani insieme alle multinazionali
- Cos’è realmente l’alternanza scuola-lavoro (e perché gli studenti vogliono abolirla)
- Scuola: l’educazione come processo di socializzazione
- Le scuole differenti: dall’istruzione parentale al metodo Montessori
- Baby gang: il “mondo di mezzo” dei ragazzini
- Le gang minorili come fenomeno sociale: intervista al sociologo Franco Prina
- Arte e moda: l’Italia non forma alle sue eccellenze
- Educazione civica: dove la scuola si tira indietro
- Fare come la Francia: Basterebbe poco per migliorare il diritto allo studio
- Essere e Avere, un film di Nicolas Philibert
Il mensile, in formato PDF, può essere scaricato dagli abbonati a questo link: lindipendente.online/monthly-report/
USA, divieto di viaggio per funzionari cinesi per “atti repressivi”
Il Dipartimento di Stato statunitense sta imponendo divieti di viaggio ad alcuni funzionari cinesi ritenuti responsabili di repressione nei confronti di minoranze etniche e religiose, giornalisti, difensori dei diritti umani ed esponenti della società civile. I nomi dei funzionari colpiti dal provvedimento non sono stati resi pubblici. La mossa si aggiunge alle restrizioni sui visti già volute da Trump con il pretesto della repressione dei musulmani uiguri da parte della Cina. Le sanzioni arrivano a pochi giorni di distanza dai colloqui tra Biden e Xi Jinping riguardanti la crisi ucraina e le difficili relazioni tra i due Paesi per quanto riguarda i rapporti con Taiwan.
Ucraina: Zelensky abolisce la libertà dei media e mette fuorilegge l’opposizione
Oltre che con le armi, il conflitto tra Ucraina e Russia continua a essere combattuto da ambo le parti a colpi di censura. Dopo la decisione dell’Unione europea di interrompere l’informazione fornita da RT e Sputnik, media accusati di fare propaganda per conto del Cremlino, e la nuova legge varata in Russia contro le fake news legate alla guerra, sembra sia arrivato anche il turno di Volodymir Zelensky. Ieri sera il presidente ucraino ha, infatti, firmato un nuovo decreto con cui ha accorpato tutti i canali tv ucraini per creare “un’unica piattaforma informativa” per “una comunicazione strategica”. Nella stessa misura è prevista la limitazione delle attività condotte da 11 partiti politici ucraini d’opposizione, alcuni dei quali accusati di avere legami diretti con Mosca. Il decreto avrà validità fino a quando resterà in vigore la legge marziale, rinnovata fino al 25 aprile.
Sulla prima disposizione è intervenuto Mykhailo Podolyak, consigliere di Zelensky, che a Bruxelles ha assicurato: «Le reti verranno unificate, ma non chiuse». Ciò non toglie che in Ucraina andrà in onda giorno e notte un contenuto singolo, che consisterà «principalmente in programmi informativi e analitici». Per quanto riguarda, invece, la seconda misura, il Consiglio nazionale della difesa si è appellato alla “tutela della sicurezza” del Paese e ha deciso così di sospendere l’attività di 11 partiti d’opposizione. Tra questi, emerge “Piattaforma d’opposizione – per la vita”, organizzazione partitica che occupa 44 seggi (su 450) alla Rada, il Parlamento ucraino. Silenziare parte dell’opposizione di Kiev è «un altro errore che dividerà il Paese», ha commentato Vyacheslav Volodin, presidente della Duma di Stato russa.
[di Salvatore Toscano]
Assad in visita agli Emirati Arabi Uniti, prima volta dal 2011
Bashir al-Assad, presidente della Siria, ha incontrato il 18 marzo il principe ereditario di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed al-Nahyan, e l’emiro di Dubai, Mohammed bin Rashid al-Maktoum, per la prima volta dallo scoppio del conflitto in Siria nel 2011. Assad e al-Maktoum avrebbero discusso di “questioni di interesse comune”, tra le quali l’integrità territoriale della Siria e il ritiro delle forze straniere dal Paese. Secondo al-Jazeera, citata da Sicurezza Internazionale, sarebbero numerosi i Paesi del mondo arabo che starebbero cercando di riallacciare i legami con Assad, insistendo perché gli USA allentino le sanzioni su Damasco.
Due anni di restrizioni hanno aumentato i problemi di alcol tra i ragazzi
Negli scorsi giorni, durante la conferenza stampa sul decreto Riaperture tenuta dal Presidente del Consiglio Mario Draghi e dal Ministro della Salute Roberto Speranza, le politiche anti Covid italiane sono state ampiamente elogiate, con il green pass che, ad esempio, è stato definito «un grande successo». C’è però un altro lato della medaglia su cui non è stata posta l’attenzione durante l’incontro con i giornalisti, ovverosia quello degli importanti problemi di alcol tra i più giovani con ogni probabilità connessi alla situazione emergenziale: come ammesso dallo stesso Speranza alla Conferenza nazionale alcol 2022, infatti, «c’è un consumo significativo tra i giovani ed un aumento del consumo fuori dai pasti», il che potrebbe essere stato determinato dagli «ultimi due anni che abbiamo vissuto». Dichiarazioni che certamente non sono frutto del caso, emergendo essi dalla relazione al Parlamento sugli interventi realizzati nel 2021 in materia di alcol e problemi correlati, recentemente trasmessa dal Ministro della Salute alle Camere.
Dall’analisi, che illustra il quadro epidemiologico sul fenomeno alcol nel nostro Paese aggiornato al 2020, si evince infatti non soltanto che nell’anno della pandemia in Italia sono stati 8,6 milioni i consumatori di alcol a rischio – in aumento rispetto al 2019 sia per quanto riguarda gli uomini (+6,6%) che le donne (+5,3%) – ma che per quasi 800mila di essi si sia trattato di minori. “Il consumo di bevande alcoliche tra i giovani permane una criticità”, si legge nel report, nel quale si sottolinea altresì che “i comportamenti a rischio sul consumo di alcol nella popolazione giovanile sono particolarmente diffusi nella fascia di età compresa tra i 18 e i 24 anni. Nel 2019 il consumo abituale eccedentario nella classe di età 18-24 anni era l’1,7%”, mentre “nel 2020 il consumo abituale eccedentario nella stessa classe di età è stato il 2,5%”, viene specificato in tal senso nella relazione. Tra i comportamenti a rischio, inoltre, c’è il “binge drinking” (o assunzione di numerose bevande alcoliche al di fuori dei pasti e in un breve arco di tempo), che rappresenta l’abitudine più diffusa e consolidata. Nel 2019, il fenomeno “riguardava il 16% dei giovani tra i 18 ed i 24 anni di età” mentre “nel 2020 il fenomeno ha riguardato il 18,4% dei giovani tra i 18 ed i 24 anni di età”.
Si tratta dunque di una tendenza in crescita, che non fa che aggiungersi a tutta una serie di altri problemi connessi alle restrizioni pandemiche. Quanto emerso dalla relazione, infatti, costituisce l’ennesima prova del fatto che due anni di misure anti Covid abbiano generato diverse difficoltà soprattutto nei giovani. Basterà ricordare che, come confermato da diversi studi scientifici, due anni di lockdown e restrizioni hanno portato un grande numero di bambini e ragazzi ad avere problemi seri a livello psicologico, inclusi disturbi da stress post-traumatico, ansia, depressione e tentativi di suicidio. Una pandemia nella pandemia alla quale non si presta la necessaria attenzione e su cui, evidentemente, dovrebbe basarsi almeno in parte anche la valutazione degli effetti delle restrizioni anti Covid.
[di Raffaele De Luca]
Ucraina-Russia: colloqui finiti, spazio ai gruppi di lavoro
Le delegazioni di Ucraina e Russia hanno appena concluso un colloquio durato circa un’ora e mezza, nato con l’obiettivo di risolvere la crisi in corso. La discussione proseguirà sotto forma di gruppi di lavoro nel corso della giornata odierna. Secondo fonti turche, un accordo sarebbe vicino, ma il portavoce del Cremlino frena su quest’ipotesi e spiega che non ci sono ancora le condizioni per un incontro Putin-Zelensky. Anche dalla sponda ucraina si avverte un certo pessimismo, con il consigliere del presidente, Alexander Rodnyansky, che ha affermato: «I russi hanno usato questi colloqui come un modo per distrarre l’attenzione da ciò che sta accadendo sul campo di battaglia. Non si cerca la pace e allo stesso tempo si bombardano città su larga scala».
I droni sono sempre più protagonisti della guerra in Ucraina
In Ucraina, i blindati, i carri armati e le truppe di terra si stanno manifestando con una presenza che è palpabile e scenografica, tuttavia si stanno muovendo anche altri mezzi bellici, mezzi che forse sono meno evidenti, ma che rappresentano una parte integrante dei campi di battaglia odierni: gli Unmanned Aerial Vehicle (UAV), colloquialmente noti come droni.
Topiche sono ormai le immagini aeree diffuse dal Governo di Kiev in cui i carri nemici vengono fatti detonare con bombardamenti mirati. Tenendo conto della scarsa frequenza dei fotogrammi dei video in questione, è facile intuire che le clip siano state registrate dai droni stessi, più nello specifico da quei Bayraktar TB2 di fabbricazione turca che figurano nell’arsenale ucraino. I droni turchi prodotti dalla Baykar Technologies non sono particolarmente sofisticati, ma sono efficienti e relativamente economici, inoltre, prima dell’invasione, l’Ucraina si stava preparando ad avviarne la costruzione in loco predisponendo stabilimenti che, non a caso, pare siano stati tra i primi bersagli colpiti dal Cremlino. A latere, l’Amministrazione ucraina sta inoltre cercando di intensificare la capillarità della propria Intelligence chiedendo a tutti i civili esperti di droni hobbistici di partecipare alla sorveglianza del nemico con gli apparecchi che hanno a disposizione.
Sull’altro fronte, la Russia ha schierato con una certa titubanza gli Orion prodotti dal Kronstadt Group, mastodonti dall’apertura alare di sedici metri, potenti strumenti di sorveglianza e guerra che, nonostante abbiano preso parte attiva all’attacco, vengono più che altro adoperati per identificare il posizionamento degli obiettivi, una reticenza che è giustificata dal loro essere facile bersaglio della contraerea. Per compensare questa vulnerabilità, Mosca starebbe dunque confidando sull’agilità dei droni da ricognizione Orlan-10 e sugli UAV kamikaze ZALA KYB, velivoli che si scaraventano sul bersaglio e, al momento della detonazione, eiettano con forza un’ampia rosa di sfere d’acciaio, generando danni ingenti.
#Ukraine: The first proof of loitering munitions combat use by the Russian army. ZALA KYB "kamikaze" UAV fell down in #Kyiv today.
The drone didn't explode, however it is unknown if it malfunctioned or it was downed using Ukrainian electronic warfare systems. pic.twitter.com/Ju38t0Qhrp
— 🇺🇦 Ukraine Weapons Tracker (@UAWeapons) March 12, 2022
Droni kamikaze sono in procinto di unirsi anche ai ranghi ucraini per “bontà” della Casa Bianca. Gli USA hanno infatti annunciato aiuti militari da 800 milioni nei quali figurano dei Switchblade della AeroVironment, armi che, più che droni, potrebbero essere considerate vere e proprie bombe a ricerca. Sparato da un mortaio, lo Switchblade è in grado di essere manovrato in remoto e di coprire distanze che raggiungono gli 80 chilometri. Nello specifico, il senatore repubblicano Mike McCaul ha annunciato che sta «lavorando con gli alleati» per inviare a Kiev una maggiore quantità di Switchblade 300, modelli che sono relativamente inefficienti contro i mezzi blindati, ma letali contro gli esseri umani.
Nel frattempo, l’Italia è divenuta invece crocevia di velivoli di ricognizione. La Naval Air Station statunitense ospitata a Sigonella sta facendo decollare senza sosta dei Northrop Grumman RQ-4B, UAV meglio noti come Global Hawk, in direzione Ucraina, Polonia, Bielorussia e Mar Nero. Bisogna sottolineare che i velivoli in questione siano, per quanto ci è dato sapere, strumenti di pura sorveglianza, ovvero che non siano caratterizzati da un carico missilistico. Allo stesso tempo è anche importante ricordare che la posizione dell’Italia nei confronti dei droni bombardieri sta rapidamente cambiando: appena pochi mesi fa, un documento della Difesa aveva infatti sibillinamente lasciato a intendere che i droni nostrani stiano venendo armati, dettaglio di cui abbiamo chiesto conferma alle autorità, senza però ricevere alcuna risposta.
[di Walter Ferri]











