mercoledì 2 Aprile 2025
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Pfas, finalmente a processo i responsabili dell’inquinamento in Veneto

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Il giudice per le indagini preliminari di Vicenza, Roberto Venditti, ha deciso di rinviare a giudizio tutti i 15 imputati per l’inquinamento da Pfas causato in varie aree del Veneto dalla ormai fallita azienda Miteni di Trissino. Si tratta di dirigenti della ditta e delle società ad essa legate accusati a vario titolo di avvelenamento di acque, inquinamento ambientale, disastro innominato aggravato e bancarotta fraudolenta. Il processo, che si terrà presso la Corte d’Assise di Vicenza ed inizierà il primo luglio 2021 alle ore 9:30, coinvolgerà anche la Mitsubishi Corporation e la International Chemical Investors come responsabili civili: tali società si sono infatti succedute nel tempo alla proprietà dell’azienda.

Il processo, inoltre, rappresenta un primo successo per le associazioni ed i movimenti che da anni chiedevano giustizia per questo disastro ambientale. A tal proposito l’associazione Legambiente, che aveva denunciato pubblicamente l’inquinamento delle acque sin dal 2014, ha emesso un comunicato in cui si è detta soddisfatta per «questa prima grande vittoria, che darà il via a uno dei più grandi processi per reati ambientali del nostro Paese». Anche le Mamme no Pfas, uno storico gruppo composto da alcuni genitori del Veneto che da anni «lottano per avere acqua pulita», hanno accolto con entusiasmo la decisione del giudice. «Ora il processo può iniziare e noi continueremo a sostenere la procura», hanno affermato.

Lo scandalo legato all’azienda Miteni, la quale produceva intermedi contenenti Pfas principalmente per l’industria agrochimica e farmaceutica, è scoppiato nel 2013. In quell’anno, infatti, si è scoperto che in Veneto la falda acquifera dalla quale attingono gli acquedotti era stata inquinata dagli Pfas, composti chimici utilizzati in campo industriale per la loro capacità di rendere i prodotti impermeabili all’acqua. Lo scarico di queste sostanze è continuato per anni ed ha provocato un disastro ecologico con pochi precedenti a livello mondiale. Nello specifico, il danno coinvolge 30 comuni di tre province del Veneto (Padova, Verona e Vicenza) e le persone interessate all’acqua inquinata sono più di 300.000.

Inoltre, per ciò che concerne i danni per la salute, secondo un nuovo studio dell’Università di Padova gli Pfas potrebbero essere connessi anche all’insorgere di alcune malattie. I risultati dello studio sono stati illustrati in esclusiva al Quotidiano Sanità dal professore Carlo Foresta, coordinatore del team di ricerca, il quale ha spiegato che esso è stato effettuato in due fasi: la prima, condotta su persone decedute e residenti in quelle aree del Veneto, avrebbe provato l’esistenza di una correlazione tra l’esposizione a questi inquinanti e le loro concentrazioni nel cervello, mentre la seconda, condotta su cellule staminali nervose, avrebbe dimostrato che l’esposizione delle stesse agli Pfas favorirebbe «la possibilità di sviluppare patologie come l’autismo, Alzheimer e demenza o alterazioni comportamentali e dello sviluppo».

[di Raffaele De Luca]

Facebook, una mail divulgata per sbaglio svela le strategie sulle fughe di dati

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L’ultimo trend offertoci dalle Big Tech è quello del fatalismo digitale, ovvero quello di un abbandono totale e quasi dogmatico al fatto che i consumatori siano costretti a vedere annichiliti i propri diritti e la propria privacy. Il mantra in questione vuole infatti convincere l’opinione pubblica che non sia possibile in alcun modo assicurare agli utenti che i dati da loro forniti vengano effettivamente protetti, cosa che a sua volta dimostrerebbe l’innocenza” di quelle aziende che i dati se li lasciano sfuggire.

Non importa che la posizione possa essere vera – e non lo è -, importa che venga percepita come tale, che sovrascriva il senso comune fino a plasmare un miraggio che torni comodo alle ditte tech. Ovviamente il segreto di una simile strategia è che la manipolazione imposta debba assolutamente rimanere occulta, tuttavia alcuni carteggi interni a Facebook hanno rivelato la malizia che si cela dietro al social network.

L’8 di aprile l’azienda di Mark Zuckerberg ha infatti inoltrato ai suoi addetti alle pubbliche relazioni in Europa, Medio Oriente e Africa dei binari guida sul come stemperare gli scandali inerenti all’ultima fuga di dati, quella che ha visto 533 milioni di dati personali venduti sul dark web.

«STRATEGIA SUL LUNGO PERIODO: Ammesso che l’attenzione della stampa continui a calare, non abbiamo intenzione di tornare a discutere dell’argomento. A più lungo termine, tuttavia, ci aspettiamo ulteriori incidenti di scraping e pensiamo sia importante inquadrare la cosa come un problema comune al settore, nonché normalizzare il concetto che queste attività capitino regolarmente», recitava il comunicato. «Speriamo che questo aiuti a normalizzare l’idea che questa attività sia incessante e a evitare che si venga criticati per non essere stati trasparenti su alcuni casi specifici».

Sfortunatamente per Facebook, una svista ha fatto sì che i server dell’azienda inoltrassero una copia della mail anche alla testata danese DataNews, la quale ha provveduto settimana scorsa a renderne pubblico il contenuto, svelando le vere priorità del social. Difendere i dati utente dalle fughe di dati non è certamente cosa facile, ma l’insidia principale consiste nel fatto che tanto più ci si cura della privacy, tanto più gli utenti devono sottostare a una miriade di piccoli rallentamenti che rendono più ostica la fagocitazione bulimica dei contenuti internettiani. In altre parole: se accedere a un qualsiasi portale web fosse complicato quanto loggarsi al proprio account bancario, quante persone andrebbero a vedersi clip di gatti?

Per le aziende tecnologiche, dunque, è più interessante preservare lo status quo e, piuttosto, massacrare la percezione dei fatti fino a quando il mondo intero non sarà convinto che l’unica opzione sia quella di patire il difetto. Si tratta di una strategia peraltro collaudatissima, basti pensare che all’inizio del Novecento fosse perfettamente normale camminare in mezzo alle strade e che sia stata l’industria dell’auto a creare l’idea che chiunque scenda dai marciapiedi sia uno scriteriato che mette a repentaglio la sicurezza di tutti.

Allora la normalità era stata riscritta per adattarsi agli interessi di chi voleva sostituire le autovetture alle carrozze, oggi rischia di essere manipolata per far felici coloro che hanno investito sul capitalismo della sorveglianza.

[di Walter Ferri]

Russia: espulsi sette diplomatici

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La Russia ha annunciato l’espulsione di tre diplomatici slovacchi, due lituani, un lettone e un estone, dichiarati “persona non grata”. La mossa di Mosca è arrivata in risposta all’espulsione di diplomatici russi da parte di questi paesi. I diplomatici hanno una settimana per lasciare la Russia.

Ciad, dove la Francia sostiene una transizione autoritaria per interesse

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Venerdì scorso, nella capitale del Ciad N’Djamena, si sono tenuti i funerali del presidente Idris Déby Itno, morto il 20 aprile in uno scontro con un gruppo di ribelli. A prendere il suo posto sarà il figlio Mahamat Idris Déby Itno. Al funerale ha partecipato anche il premier francese Emmanuel Macron: il Ciad è un’ex-colonia francese, parte della cosiddetta Françafrique, e il presidente Itno era un importante alleato della Fracia.

Il Ciad è un paese in subbuglio. Al nord si sta scatenando una rivolta armata e tutto il paese teme un’esasperazione della situazione, che porti a conflitti e violenza. La successione del figlio di Itno si inserisce scomodamente in questo contesto difficile. L’opposizione la dichiara un vero e proprio colpo di stato e difatti si tratta di una mossa inconstituzionale e nepotistica. Secondo la costituzione del Ciad, quando c’è un vuoto di potere a subentrare dovrebbe essere il presidente dell’assemblea nazionale. In questo caso invece, sta subentrando il capo della guardia presidenziale, nonché figlio dell’ex presidente, con alle spalle il consiglio militare. Itno stesso è consapevole dell’incostituzionalità della situazione attuale e ha dichiarato che prenderà il potere solo per 18 mesi, per garantire una transizione graduale. È lecito però dubitare delle sue parole.

Quali sono gli interessi dell Francia in tutto questo? Itno è sempre stato un alleato francese, soprattutto perché ha guidato l’esercito del Ciad nella lotta contro il jihadismo, nella regione del Sahel, proprio a fianco dell’esercito francese. Oltretutto, il Ciad è un paese molto legato alla Francia, e soprattutto dipendente da quest’ultima. Tra il 1900 e il 1940 è stato una colonia francese, ma si è sempre trovato in una condizione di sottosviluppo: i francesi lo usavano solo per la produzione di cotone e per la manodopera, impiegata in colonie più importanti. Gli investimenti nelle infrastrutture sono stati minimi e, per questo motivo, anche dopo la decolonizzazione, il Ciad ne è uscito come un paese fondamentalmente fragile. Spesso si è ritrovato a dipendere dall’ex potenza coloniale, sia da un punto di vista politico che militare che monetario (il Ciad usa il franco Cfa, come tutta la regione della Françafrique).

Soprattutto in questo momento, in cui il paese è instabile e vessato da lotte intestine, il sostegno della Francia è quasi una necessità. Sicuramente la lotta contro il jihadismo è importante a livello internazionale e per proteggere la zona, seppure il coinvolgimento francese nella guerra al terrorismo si sia spesso tradotto nell’attacco a ribelli che volevano prendere il potere. Sorge spontanea la domanda: alla Francia interessa la democrazia in Ciad?

[di Anita Ishaq]

Assolto, finisce l’odissea di Walter: processato perché coltivava cannabis per curarsi

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Walter De Benedetto è stato assolto dal tribunale di Arezzo perché “il fatto non sussiste”. Il giudice ha accolto la richiesta del pm Laura Taddei che aveva chiesto l’assoluzione. «È la soluzione auspicata perché da tempo avevamo chiesto l’archiviazione», ha detto dopo la sentenza uno degli avvocati difensori, Lorenzo Simonetti.

De Benedetto, 48 anni, malato di artrite reumatoide, era a processo perché in casa coltivava cannabis che lui ha sempre sostenuto di usare a scopo terapeutico, visto che le quantità fornite dalla Asl non erano sufficienti per la sua cura . «Mi sento molto sollevato dalla decisione del tribunale», ha detto De Benedetto, il quale ha aggiunto: «Sono soddisfatto, non solo per me ma anche per tutti coloro che vivono nelle mie stesse difficoltà. Da questa sentenza possiamo partire per portare avanti la nostra lotta».

Nel processo per coltivazione di sostanze stupefacenti, De Benedetto rischiava una condanna fino a 6 anni di carcere. Nel frattempo, però, la campagna di Meglio legale ha prodotto una mobilitazione di massa caratterizzata anche da disobbedienza civile, sollevando il dibattito in merito alla questione.

D’altronde, persino l’ONU ha recentemente riconosciuto il valore medico della cannabis depennandola dalla Tabella IV della Convenzione Unica sugli stupefacenti del 1961. In Parlamento è invece ferma la proposta di legge presentata in maniera trasversale da PD, Italia Viva, M5S, Più Europa/Radicali e Facciamo Eco che permetterebbe la legalizzazione dell’autoproduzione di cannabis per i pazienti, ma anche per i consumatori più in generale, facendo si che lo Stato possa regolamentare, controllare e certificare, togliendo così, inoltre, una bella fetta di mercato alle mafie.

[di Michele Manfrin]

Ex brigatisti italiani arrestati in Francia

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Sette italiani arrestati in Francia, tre sono in fuga. Esito parziale dell’operazione “Ombre rosse” portata avanti da una squadra interforze francesi e italiane. I sette catturati sono tutti stati condannati in Italia in contumacia: quattro di loro devono scontare una pena di ergastolo. I dieci italiani sono accusati di atti di terrorismo risalenti agli anni ’70 e ’80.

Arizona: vietati aborti per anomalie genetiche

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Il governatore dell’Arizona, Doug Ducey, ha firmato il provvedimento che vieta le interruzioni di gravidanza sulla base di anomalie genetiche, come ad esempio la sindrome Down. La nuova norma prevede il carcere per chi effettua gli aborti. «C’è valore in ogni vita, a prescindere dalla genetica», ha affermato Ducey.

Cannabis medica: assolto Walter De Benedetto

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Il tribunale di Arezzo ha assolto Walter De Benedetto, l’uomo di 58 anni malato di artrite reumatoide imputato in un processo poiché coltivava cannabis nel giardino della propria abitazione. Egli aveva sempre sostenuto di utilizzare la pianta a scopo terapeutico in quanto, come dichiarato anche dal suo legale, «le dosi fornitegli dall’Asl non bastavano alla sua cura». «Sono soddisfatto, non solo per me ma anche per tutti coloro che hanno le mie stesse difficoltà, perché è stato affermato il principio del diritto di cura con la cannabis», ha affermato De Benedetto.

Mauro Morandi abbandona la sua casa: dal 1989 era l’unico abitante di un’isoletta sarda

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Mauro Morandi, l’uomo che dal 1989 vive da solo nell’isola di Budelli (appartenente all’arcipelago di La Maddalena, a nord della Sardegna), ha annunciato che la lascerà nei prossimi giorni e si trasferirà in un piccolo appartamento nel vicino comune di La Maddalena. La vicenda ha catturato l’attenzione anche del The Guardian, che ha dedicato un articolo alla fine inaspettata della storia di quello che viene definito «il Robinson Crusoe italiano». La decisione, però, non è stata presa volontariamente da Mauro: egli si è semplicemente arreso dopo aver subito diverse minacce di sfratto da parte delle autorità del Parco Nazionale di La Maddalena, che gestiscono l’isola di Budelli dal 2016 e vogliono trasformarla in un «centro per l’educazione ambientale». «Dopo 32 anni passati qui, sono molto triste per il fatto che me ne debba andare. Mi hanno detto che devono fare dei lavori a casa mia e questa volta sembra che sia vero. Spero che qualcuno possa proteggere l’isola come ho fatto io», ha affermato l’eremita, che infatti oltre ad essere l’unico abitante del luogo ne è anche il custode.

Mauro arrivò sull’isola nel 1989 a bordo di un catamarano comprato insieme ad alcuni amici con l’obiettivo di andare in Polinesia, nel Pacifico meridionale. Una volta passato per l’arcipelago della Maddalena, però, decise di fermarsi nell’isola di Budelli per lavorare lì e mettere dei soldi da parte, dato l’elevato numero di turisti. Successivamente scoprì che il custode di Budelli stesse per andare in pensione, così abbandonò l’idea del viaggio in Polinesia e decise di diventare il nuovo guardiano. Da allora, l’eremita non ha più lasciato l’isola e, oltre a prendersene cura, col passare del tempo ha potuto conoscere ogni roccia, albero e specie animale lì presente.

[di Raffaele De Luca]

“Il più grande fiasco della storia medica”: professori di Harvard e Stanford contro il lockdown

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Due autorevoli epidemiologi hanno recentemente redatto un articolo per il quotidiano britannico The Telegraph in cui viene denunciata la strategia del lockdown, che secondo questi ultimi avrebbe causato il «più grande fiasco della salute pubblica della storia».

Si tratta di Martin Kulldorff, professore di medicina all’Università di Harvard, biostatistico ed epidemiologo e di Jay Bhattacharya, professore alla Stanford University Medical School nonché medico, epidemiologo, economista sanitario ed esperto di politica sanitaria pubblica. I professori hanno affermato che il lockdown non solo sia stato inutile per contenere l’epidemia, ma che abbia provocato anche gravissimi danni per tutta la società. «Un anno fa non c’erano prove che i blocchi avrebbero protetto le persone anziane ad alto rischio. Ora le prove ci sono. Non l’hanno fatto. Con così tante morti per Covid-19, è ovvio che le strategie di blocco non siano riuscite a proteggere gli anziani». Inoltre, gli epidemiologi ritengono che la quarantena abbia causato danni di vario tipo nei confronti di persone di ogni età. La didattica a distanza, ad esempio, avrebbe danneggiato «non solo l’istruzione dei bambini ma anche la loro salute fisica e mentale», mentre la salute pubblica sarebbe peggiorata a causa dei «mancati screening e trattamenti per il cancro e del peggioramento degli esiti delle malattie cardiovascolari». Ma, secondo gli epidemiologi, molti di questi danni si svilupperanno nel tempo e «dovremo conviverci – e dovremo morire a causa loro – per molti anni a venire».

Dopodiché, i professori hanno sottolineato che alcuni scienziati, politici e giornalisti abbiano giustificato il fatto che tali misure non abbiano funzionato affermando che le persone non abbiano rispettato sufficientemente le regole, ma «incolpare il pubblico è sbagliato», in quanto «mai nella storia dell’umanità la popolazione si è sacrificata così tanto per ottemperare ai mandati di sanità pubblica». Inoltre hanno aggiunto che, come dimostrato dai fatti, il ragionamento secondo il quale «più restrizioni portino automaticamente a meno morti», sostenuto dai «pro-lockdown», mostri «un’incredibile ignoranza dell’epidemiologia di base delle malattie infettive».

Dunque, per tutti questi motivi, già ad inizio ottobre gli epidemiologi scrissero la Dichiarazione di Great Barrington, un documento nel quale venne descritto un modo di operare differente per contenere la pandemia così da «evitare il ripetersi del disastro primaverile». Il metodo indicato fu chiamato «Protezione Focalizzata» e si basò sul fatto che l’incidenza della mortalità da COVID-19 fosse «più di mille volte superiore negli anziani e nei malati rispetto ai giovani» e che con l’aumento dell’immunità nella popolazione, il rischio di infezione per tutti, compresi i più vulnerabili, sarebbe poi diminuito. In tal senso, gli scienziati ritennero che «l’approccio più umano, in grado di bilanciare i rischi e i benefici nel raggiungimento dell’immunità di gregge», fosse quello di permettere alle persone meno vulnerabili di «vivere normalmente la loro vita per costruire l’immunità al virus attraverso l’infezione naturale», così da proteggere in maniera migliore i soggetti più a rischio. Tali indicazioni, però, non furono prese in considerazione e dopo qualche settimana fu reimposto il lockdown e ciò produsse un «raddoppiamento dei precedenti fallimenti ed una mancata protezione degli anziani».

[di Raffaele De Luca]