Il ministro degli Esteri russo, Sergej Viktorovič Lavrov, ha dichiarato che le autorità di Mosca stanno lavorando a «misure per limitare la concessione di visti per la Russia ai cittadini dei Paesi coinvolti in attività ostili», condotte in seguito all’invasione dell’Ucraina. Il decreto in lavorazione introdurrà dunque «una serie di restrizioni per l’entrata nel territorio russo». La decisione del Cremlino rientra nella serie di “contromisure” adottate in risposta alle sanzioni mosse nelle ultime settimane dai “Paesi ostili”, tra cui anche l’Italia.
Direttiva Bolkestein: il governo decide il futuro delle spiagge e dei porti italiani
In Italia l’applicazione della direttiva Bolkestein sta raggiungendo le battute finali. Domani 29 marzo la X commissione del Senato esaminerà gli oltre mille emendamenti presentati al disegno di legge sulla concorrenza, tra cui emerge la proposta per riassegnare le concessioni demaniali marittime avanzata dal Consiglio dei Ministri, in recepimento alla direttiva Bolkestein del 2006. Nonostante la ratifica avvenuta nel 2010, gli esecutivi italiani sono stati restii ad applicare la norma europea, così come dimostra l’estensione delle concessioni balneari fino al 31 dicembre 2033 disposta dal governo Conte I. Tra il 2020 e il 2021 si è registrato però un cambio di rotta, in termini di politica interna ed esterna. Nel dicembre del 2020 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora relativa al rinnovo automatico delle concessioni balneari, minacciando di ricorrere alla procedura d’infrazione nel caso di ulteriore disallineamento alla direttiva da parte delle istituzioni italiane. Circa un anno dopo il Consiglio di Stato, organo ausiliare del Governo, ha annullato la validità della proroga al 2033 e imposto le gare entro due anni.
La direttiva Bolkestein ruota intorno al tema della liberalizzazione delle concessioni balneari, obbligando dunque gli Stati a indire nuovi bandi pubblici per le loro assegnazioni. Se da un lato, l’applicazione della direttiva europea potrebbe portare a un allineamento tra canoni attuali riscossi dallo Stato e valori degli stabilimenti balneari, dall’altro si rischierebbe una massiccia privatizzazione a favore di grandi imprenditori, fondi finanziari o multinazionali contro i quali gli attuali gestori (circa 30.000), spesso famiglie che hanno investito i propri risparmi per avviare e condurre le attività, avrebbero ben poche possibilità di concorrere nelle gare di appalto. Un esempio di ciò che potrebbe rappresentare l’attuazione della direttiva europea è avvenuto lo scorso gennaio, quando la multinazionale RedBull ha rilevato circa 120.000 metri quadri di litorale nel golfo di Trieste in cambio di 9 milioni di euro, con l’obiettivo di trasformare l’Isola dei Bagni a Marina Nova nel nuovo regno della vela e della nautica brandizzati Red Bull. Tra le diverse proposte contenute nell’emendamento al ddl Concorrenza, avanzato dal Consiglio dei Ministri per allineare l’Italia all’Unione europea, figura la decisione di assegnare le concessioni tramite gare pubbliche a partire dal 2024, tenendo conto “degli imprenditori che nei cinque anni precedenti hanno utilizzato lo stabilimento come principale fonte di reddito” e cercando di equilibrare le aree demaniali in concessione e le aree libere o libere attrezzate, una condizione che, relativamente alle spiagge, non si verifica in diversi comuni italiani.
In attesa della valutazione della X Commissione del Senato, il fronte contrario alla direttiva Bolkestein si allarga. Il presidente di Confindustria Nautica, Saverio Cecchi, ha spiegato che l’estensione delle regole a porti e approdi della nautica in materia di concessioni avverrebbe in contrasto con quanto previsto dal diritto europeo, dichiarando che: «La direttiva Bolkestein esclude espressamente l’applicazione ai porti e la Corte di Giustizia Ue ha anche sentenziato che questi ultimi vanno equiparati alla locazione di beni». Inoltre, domani 29 marzo, mentre la X Commissione del Senato sarà impegnata a verificare la validità degli emendamenti presentati al disegno di legge Concorrenza, gli imprenditori che si oppongono alle gare e alla riassegnazione delle spiagge italiane manifesteranno in Piazza della Repubblica a Roma.
[Di Salvatore Toscano]
Cosa contiene la “bussola strategica” per la difesa comune pubblicata dal Consiglio UE
“Stabilire nuovi modi e mezzi per migliorare la nostra capacità collettiva di difendere la sicurezza dei nostri cittadini”. Sono queste le parole contenute all’interno del documento, definito “Bussola Strategica”, con cui il Consiglio europeo ha annunciato il 21 marzo di voler ridisegnare il proprio asset militare. Come? Rafforzando entro il 2030 la politica di sicurezza e di difesa dell’UE e puntando su cooperazione e collaborazione tra i Paesi membri. La realtà è però meno ambiziosa della carta. Se i piani dovessero rimanere questi, la nuova collaborazione stabilita dall’UE nell’ambito della difesa militare porterà i primi risultati concreti non prima del 2025, quando cioè entrerà in funzione la Capacità Ue a schieramento rapido. Questa prevede che, nel caso di bisogno, venga messa a disposizione, grazie alla cooperazione degli stati membri, un battaglione composto da soli 5 mila soldati, da affiancare alla NATO. Insomma, quello che il Consiglio europeo aveva presentato come un grande stravolgimento delle dinamiche militari, altro non è che l’aggiunta di una piccola brigata di uomini armati.
Chi sono questi 5.000 militari? Fanno parte dell’European Union Rapid Deployment Capacity, provengono da diversi Paesi e dovrebbero attivarsi su decisione del Consiglio per intervenire in azioni di disarmo, missioni umanitarie, di assistenza militare, prevenzione dei conflitti, lotta al terrorismo e gestione delle crisi. Situazioni che negli anni si sono più volte ripetute, ma questi soldati, già presenti in realtà nella strategia UE a partire dal 2007 e divisi in gruppi da 1.500, non sono mai stati adoperati perché il loro intervento deve essere approvato da tutti gli Stati membri. Un passaggio che di certo fa a pugni con quella che dovrebbe essere la rapidità dell’intervento.
«Non vogliamo creare un esercito europeo», ha chiarito Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. «Ogni Stato manterrà il proprio esercito, ma dobbiamo lavorare insieme per coordinare meglio le nostre spese militari». Ed ecco il focus della questione. Nel 2020 i 27 Paesi UE hanno speso quasi 200 miliardi di euro in sistemi di difesa militare: una cifra che corrisponde circa alll’1,5% del Pil europeo. Per capirci meglio, si tratta di una somma di denaro quattro volte quella della Russia e maggiore di quella della Cina. Una spesa molto grossa per il continente, che però non porta di certo all’ottenimento degli stessi risultati delle altre nazioni sopra citate. L’obiettivo, ribadito da Borrell, è infatti quello di “spendere meglio” i fondi destinati alla difesa ed evitare “inutili duplicati” (come i 5.000 soldati pronti a combattere): al momento le prospettive future non sembrano orientarsi in questo senso.
Anche se la strategia dovrà essere ufficialmente validata dai leader nazionali nel prossimo Consiglio europeo, che l’Europa spendesse male i suoi fondi destinati alla difesa era già noto (ma se ne sta parlando soprattutto adesso). Facciamo un esempio.
Dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina le vendite degli aerei da caccia F35 è notevolmente aumentata. Il problema è che questi, prodotti dalla statunitense Lockheed Martin e assemblati in Italia tramite la società Leonardo, secondo molti esperti militari presentano numerose problematiche. L’elemento più importante è la mancanza di affidabilità. L’F35 ha bisogno di moltissima e frequente manutenzione, e per questo il più delle volte risulta inutilizzabile (perché di fatto non è fisicamente disponibile). Nel 2021, nello specifico, per più di un terzo del tempo i jet delle forze armate statunitensi sono rimasti a terra. I dettagli di questi problemi, tenuti nascosti a lungo dal Pentagono, sono trapelati a fatica attraverso il Project On Government Oversight, una Ong che opera da organo indipendente di controllo.
Nonostante questo, al momento non sembrano esserci intenzioni da parte dell’Ue di prestare più attenzione agli acquisti militari, sebbene, d’altra parte, continuino ad aumentare i fondi e la disponibilità di denaro pubblico destinati alla difesa dei Paesi membri.
[di Gloria Ferrari]
Ucraina: quasi 74.000 profughi arrivati finora in Italia
Sono finora quasi 74.000 – precisamente 73.898 – i profughi in fuga dal conflitto in Ucraina arrivati in Italia: a renderlo noto è il Viminale, il quale tramite una nota fa sapere che la maggioranza sia composta da donne (38.068) e da minori (28.871). “Rispetto a ieri, l’incremento è di 1.958 ingressi nel territorio nazionale”, comunica inoltre il Ministero dell’Interno, aggiungendo che le principali città di destinazione dichiarate al momento dell’arrivo in Italia “continuino ad essere Milano, Roma, Napoli e Bologna”.
Il software spia Pegasus al centro della partita diplomatica tra Ucraina, Russia e Israele
NSO Group è una controversa azienda tecnologica israeliana divenuta foscamente celebre per il suo prodotto di punta, lo spyware Pegasus. Per evitare che un simile strumento cada nella mani sbagliate, il programma viene venduto esclusivamente ai Governi, tuttavia la NSO è finita perlopiù a siglare contratti con Paesi notoriamente autoritari, con il risultato che i principali bersagli dello spionaggio non siano tanto i pazzi bombaroli o i pedofili citati dalle propagande governative, ma i giornalisti e gli attivisti per i diritti umani. Nonostante la scrematura della clientela sia stata discutibile, il gruppo è stato adamantino nel non cedere il suo spyware al Governo Ucraino, il quale ne avrebbe fatto richiesta già a partire dal 2019.
Un simile rifiuto, suggerisce un’indagine coordinata del The Guardian e del The Washington Post, sarebbe giustificato da un intervento diretto dell’Amministrazione israeliana, la quale avrebbe fatto leva sul cosiddetto “golden power” per evitare che Kiev potesse mettere le mani sul potente mezzo. Indiscrezioni tratte dai dietro le quinte spiegano il perché di una tale posizione: concedere lo spyware all’Ucraina avrebbe potuto indispettire Mosca e creare increspature nei legami russo-israeliani.
Sebbene si possa evincere che Kiev volesse tenere traccia delle frange russofile dei suoi cittadini, non è stata fornita alcuna motivazione formale per l’interessamento della nazione al software Pegasus. Nessuna Amministrazione è d’altronde felice di rendere note le proprie pratiche di spionaggio, quindi le parti coinvolte rifiutano tutte di commentare i dettagli della faccenda, con il Vice-Primo Ministro ucraino Mykhailo Fedorov che si è limitato a lamentare l’ostracismo tecnologico imposto da Israele.
A suggerire che Israele voglia tenersi buono il Presidente Russo Vladimir Putin è anche un evento parallelo, ovvero il fatto che il Governo di Naftali Bennett sarebbe intervenuto per limitare in corsa il contratto siglato dall’NSO Group con l’Estonia, assicurandosi che le autorità locali non possano adoperare Pegasus contro la Russia. Il condizionale è ovviamente d’obbligo: Tallinn si è rifiutata di rispondere alle illazioni del report, mentre Israele e NSO Group si sono limitate a fornire comunicati stampa che non negano e non confermano gli elementi evidenziati nel documento. In generale, Stato e dirigenti d’azienda si limitano a bloccare le indagini giornalistiche con un muro di silenzio o appoggiandosi a non meglio specificate accuse di disinformazione.
Visti i solidi legami tra USA e Israele, lo slancio politico “filorusso” che sta muovendo le politiche di Bennett sembrerebbe illogico, tuttavia tali comportamenti potrebbero essere motivati da giustificazioni prettamente locali. Tra Hamas, Daesh e oppositori politici, Israele è molto attenta a mantenere attiva la sua branca antiterroristica, la quale condivide alcuni interessi con il Cremlino, almeno per quanto riguarda i soggetti legati alle guerre siriane. Ancor più, Israele starebbe cercando di imbonirsi Mosca anche per garantirsi un margine di vantaggio nel frenare la discussione che dovrebbe portare alla resurrezione dei patti per il nucleare con l’Iran, patti che Israele sarebbe ben felice di vedere saltare del tutto nell’ottica di trasformare Teheran in un nemico universale.
[di Walter Ferri]
Francia, notte di scontri nelle banlieue parigine
In seguito alla morte per mano della polizia di un uomo alla guida di un furgoncino rubato nella notte di sabato, violenti scontri sono scoppiati nelle periferie di Parigi. Ne dà notizia l’Ansa. Almeno 8 veicoli sono stati incendiati da un gruppo di persone, e altri 4 hanno preso fuoco per il propagarsi delle fiamme. Sono state innalzate barricate per le strade, mentre all’incirca 50 soggetti “muniti di spranghe” hanno preso il controllo di un bus della compagnia RATP e vi hanno dato fuoco. Al momento sono state fermate cinque persone.
Una strage silenziosa: l’amianto in Italia fa almeno 4.400 morti l’anno
È di 4400 morti all’anno circa la stima delle vittime di esposizione all’amianto nel nostro Paese nel periodo tra il 2010 e il 2016: è quanto rivelato da uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), i cui risultati sono stati esposti nell’ambito della celebrazione dei 30 anni dalla legge 257/92 sulla cessazione dell’uso dell’amianto. Ad oggi tuttavia, secondo quanto denunciato dall’Osservatorio Nazionale Amianto, gli interventi messi in campo in Italia non sono ancora sufficientemente incisivi per portare a una rapida e definitiva risoluzione del problema.
Sono trascorsi 30 anni dall’emanazione della legge n.257 del 27 marzo 1992, riguardante le Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto. Secondo i dati elaborati dall’ISS e presentati in occasione dell’evento Amianto e Salute: priorità e prospettive nel trentennale del bando in Italia svoltosi presso il Ministero della Salute, nel periodo tra il 2010 e il 2016 sono 4400 circa le morti in Italia dovute all’esposizione ad amianto. Di queste la maggior parte è rappresentata da uomini, all’incirca 3850, contro i 550 casi di donne. La principale causa di mortalità è rappresentata dal tumore polmonare (2830 casi stimati), seguito da mesotelioma maligno (1515 casi), asbestosi (58 casi) e tumore ovarico (16 casi).
Con la legge del 1992 l’Italia è stata uno dei primi Paesi a vietare l’utilizzo dell’amianto, date le evidenze di effetti negativi sulla salute. Secondo quanto affermato dal ministro della Salute Speranza nel corso dell’incontro, nel mondo “il 75% dei Paesi è ancora privo di regole”. Le conseguenze, tuttavia, si protraggono ancora ad oggi a causa del diffuso uso di amianto nel secondo dopoguerra nel settore edilizio, nei cantieri e in vari ambiti manifatturieri.
Tra gli interventi messi in campo nel nostro Paese vi sono la mappatura e la bonifica dei siti contaminati, l’attivazione di un piano per la sorveglianza epidemiologica nazionale della mortalità per mesotelioma in 8000 comuni italiani e l’attivazione nel 2002 del ReNaM, il Registro Nazionale del Mesotelioma, al fine di censirne i casi sul territorio. Il Registro, attivo presso l’INAIL, opera attraverso i Centri Operativi Regionali e valuta l’incidenza della malattia, indagando anche l’esistenza di eventuali fonti di contaminazione ancora sconosciute.
Tuttavia, secondo quanto denunciato dall’Osservatorio Nazionale Amianto nell’occasione della Giornata mondiale per le vittime di amianto del 2021, in Italia gli interventi non sono effettuati in maniera sufficientemente incisiva. Nel solo 2020 si stima che, complice la pandemia da Covid-19, le vittime da esposizione all’amianto si aggirino intorno alle 7000. L’ONA prevede inoltre “il picco di mesoteliomi e di altre patologie asbesto correlate tra il 2025 e il 2030”. Il Piemonte, in particolare, si configura ancora come una delle regioni più colpite in Italia, con il 16% dei casi di mesotelioma dell’intera penisola italiana.
[di Valeria Casolaro]
Filippine, al via con gli USA le più grandi esercitazioni militari di sempre
Nelle Filippine stanno per avere inizio 12 giorni di esercitazioni militari che vedranno coinvolti 9000 soldati filippini e americani. Si tratta della più grande esercitazione realizzata congiuntamente tra i due Paesi. Le esercitazioni riguarderanno la sicurezza marittima, le operazioni anfibie, l’addestramento al fuoco vivo, l’antiterrorismo, l’assistenza umanitaria e il soccorso in caso di disastri. Si tratta delle ultime esercitazioni sotto la presidenza di Duterte, il cui mandato scade a giugno di quest’anno, il quale in precedenza aveva minacciato di cancellarle mostrandosi più orientato a intrattenere rapporti con la Cina.
Libertà è partecipazione e autogestione: reportage da un liceo occupato
Milano si è svegliata sotto un cielo terso questa mattina, e negli squarci di strada illuminata dal sole tiepido si respira aria di primavera precoce. Piazza Ascoli è avvolta da un silenzio quasi surreale, fatta eccezione per il metallico sferragliare dei vecchi tram gialli che fanno su e giù per via Giovanni Pascoli. Sul lato sud della piazza si staglia imponente il liceo Virgilio, la cui austera solennità di edificio in stile fascista degli anni ’30 è mitigata dalla moltitudine di graffiti che ne ricoprono buona parte della facciata. Con i suoi 1800 studenti, divisi tra i vari indirizzi, il Virgilio è il liceo più grande di Milano. Non fosse per la presenza di due lunghi striscioni che recano la scritta “Virgilio occupato”, penzolanti dalle finestre del secondo piano, nulla all’apparenza suggerirebbe qualcosa di anomalo.

Isabella mi viene incontro dal bar all’angolo sfoggiando un sorriso luminoso: ha gli occhi cerchiati per le notti in bianco ed è quasi del tutto afona, ma fa del suo meglio per spiegarmi l’iniziativa degli studenti del Virgilio. «Ho urlato troppo i giorni scorsi, ma oggi va già meglio di ieri» mi dice ridendo, in un soffio di voce. Lei è una studentessa dell’ultimo anno e rappresentante del CAV, il Collettivo Autonomo Virgilio, che si è occupato di organizzare l’occupazione di tre giorni che oggi giungerà al termine. Per tutta la durata dell’occupazione, insieme ad un centinaio di altri studenti, ha dormito in un sacco a pelo all’interno della scuola. Non appena varcata la soglia dell’ingresso, un brusio di voci e di musica spezza il silenzio di poco prima. L’interno del liceo Virgilio brulica di vita: gruppi di studenti si affrettano su e giù per i corridoi, altri sono ancora chiusi all’interno delle aule dove si svolgono i laboratori. Un grosso tabellone, all’ingresso, mappa le attività che si sono tenute nel corso della giornata. «Stamattina si chiudono le ultime attività e i laboratori, poi dobbiamo pulire tutto ed essere fuori entro oggi pomeriggio» mi dice Isabella, spiegandomi le ragioni di quel gran fermento.


Le rivendicazioni dei ragazzi
Le rivendicazioni che hanno spinto i giovani del Virgilio ad unirsi all’onda di contestazioni ed occupazioni svoltesi in tutta Italia sono in linea con le principali istanze di questa stagione di proteste studentesche: abolizione della seconda prova di maturità (reintrodotta a metà febbraio), cancellazione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro e un maggiore investimento nella qualità della scuola, in termini economici ma non solo. «A Milano vi sono livelli altissimi di speculazione edilizia, molte scuole sono in stato di abbandono: c’è bisogno di maggiori investimenti tanto nelle infrastrutture quanto nel benessere degli studenti in generale» afferma Isabella. In effetti il liceo Virgilio non rifulge certo per la modernità della sua struttura, nonostante il vicepreside tenga molto a precisarmi, più tardi, che non vi sono rischi di alcun tipo per la sicurezza di coloro che vi si trovano all’interno. «Avremmo bisogno di un certo numero di interventi di ammodernamento, quello sì, e speriamo che arrivino i fondi del Pnrr per poterli mettere in atto».
Per quanto riguarda i PCTO, i Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (anche detti percorsi di alternanza scuola-lavoro), Isabella stessa riconosce che ciò che viene proposto nel loro istituto è qualcosa di molto diverso rispetto al percorso degli studenti dei Centri di Formazione Professionale (CFP), i quali prevedono veri e propri iter formativi all’interno delle aziende. In quest’ultimo contesto hanno trovato la morte Lorenzo Parelli e Giuseppe Lenoci, rispettivamente di 18 e 16 anni. «Ciò che facciamo noi sono per lo più di percorsi online, per i quali dobbiamo stare per ore davanti al computer e fondamentalmente si impara poco o niente». Dichiarazioni molto simili a quelle che ho ascoltato nel corso dei cortei e delle proteste studentesche svoltesi a Torino in queste settimane.

Un irruente bisogno di socialità e libertà
Ma ad infiammare gli animi degli studenti di questo istituto in particolare vi è qualcosa d’altro, una necessità che va oltre le pure rivendicazioni di carattere politico. Ciò che si respira nei corridoi, nelle aule e negli angoli del cortile dove gruppetti di ragazzi giocano a pallavolo, a calcio o cantano seduti in terra intorno a una chitarra, è un irruente bisogno di socialità e libertà. Due anni di pandemia hanno profondamente segnato il benessere fisico e psicologico dei giovani: lo dimostrano decine di studi pubblicati in questi mesi, che mostrano l’impatto che pratiche alienanti quali la DAD e l’impossibilità di svolgere attività fisica o avere spazi di condivisione e socializzazione ha avuto sul benessere di bambini e adolescenti. E proprio sulla necessità di curare il benessere mentale degli studenti Isabella si concentra maggiormente. «Grazie ai laboratori svolti in questi giorni è venuto fuori un dato sconcertante: almeno un terzo delle persone nel nostro istituto soffre di disturbi dell’alimentazione». In un contesto del genere, la richiesta di ritorno alla normalità diviene un urlo assordante, come l’esigenza del ritorno a una scuola che non sia solo luogo di apprendimento di nozioni ma anche di sviluppo di relazioni sociali, di amicizie, di legami, di scambio. «Non ci conoscevamo per niente prima di quest’occupazione, ora invece abbiamo socializzato, ci siamo ripresi i nostri spazi» mi dice Ulisse, studente del quarto anno anch’egli rappresentante del CAV.
Quest’esigenza, in parte, sembra comprenderla anche il vicepreside dell’istituto, il quale come altri professori è rimasto all’interno del liceo durante l’occupazione, pur non interferendo con le attività degli studenti. «Capisco l’esplosione che c’è stata, il bisogno degli studenti di socialità soprattutto. Sono stati due anni difficili per noi come per loro, c’è stato bisogno di fare questa cosa da parte degli studenti soprattutto per rivivere la socialità che la pandemia ha sottratto. Io non condivido le modalità con le quali ciò è stato fatto, perché trovo che siano poco costruttive, ma comprendo». Tra i professori presenti, non tutti sembrano altrettanto comprensivi. Le parole di una docente, in particolare, mi colpiscono: si chiede, con sincera disperazione, se proprio questo fosse il momento di fare una cosa del genere. L’allusione è alla guerra in Ucraina. Gli occhi le si velano di lacrime, a suggellare l’onestà del suo sconcerto. Non posso non provare un certo sgomento di fronte a tali affermazioni, che con la vecchia cantilena del “c’è chi sta peggio” sembrano voler delegittimare per intero le richieste degli studenti e spogliarle di significato. Mi verrebbe poi da chiederle se questa preoccupazione abbia valore anche in riferimento ad altri contesti, considerato che le guerre nel mondo c’erano anche prima dello scoppio del conflitto ucraino, ma decido di lasciar perdere.


[di Valeria Casolaro]
È stata pubblicata una foto del sole con un livello di dettagli senza precedenti
L’Agenzia Spaziale Europea ha pubblicato un’immagine del Sole mai vista prima. È stato il veicolo spaziale europeo Solar Orbiter a scattare i fotogrammi vicinissimi alla palla di fuoco, i quali sono stati ricomposti come in un mosaico, per ottenerne una singola molto dettagliata. Il tutto risale al 7 marzo scorso, quando la sonda spaziale si trovava esattamente a metà strada tra la Terra e il Sole, ad una distanza (da entrambi) di 75 milioni di chilometri.
Gli scatti, in tutto 25, hanno immortalato particolari interessanti riguardanti la corona (la parte più esterna dell’atmosfera solare), e sono stati realizzati grazie all’utilizzo di strumenti specifici – tra cui l’Extreme-Ultraviolet Imager – in modo da coprire tutto il disco solare. Ma ulteriori fotogrammi, qualitativamente migliori, stanno per arrivare. Difatti, dal 2020 – anno di lancio di Solar Orbiter, il quale sta eseguendo una serie di orbite solari eccentriche -, il team di esperti ha cercato di diminuire la traiettoria attorno alla nana gialla. Pertanto la distanza sarà sempre più ridotta (48,3 milioni di chilometri) e le immagini più ravvicinate: si stima che, in futuro, si arriverà a 42 milioni di chilometri di distanza (misura apparentemente enorme, ma non in astronomia), ottenendo così la prima visione delle regioni polari della stella.

Un particolare sorprendente è stato catturato dalla sonda spaziale grazie allo SPICE (Spectral Imaging of the Coronal Environment). Si tratta del gradiente di temperatura nell’atmosfera del Sole che, se in superficie raggiunge i 5mila gradi Celsius circa, salendo aumenta vertiginosamente, sfiorando in alcuni punti i 630mila. SPICE, infatti, grazie alla scansione delle diverse lunghezze d’onda della luce ultravioletta estrema, è in grado di scrutare più in profondità, in uno strato inferiore dell’atmosfera noto come cromosfera. Questo ha permesso agli scienziati di rilevare lo strano comportamento della temperatura dell’atmosfera solare che, se in superficie è di circa 5mila gradi Celsius, nella corona raggiunge 1 milione di gradi. Quindi, invece di diventare più fredda man mano che aumenta la distanza dal centro, la temperatura si alza e la parte esterna dell’atmosfera risulta più calda.È stata pubblicata una foto del sole con un livello di dettaglio senza precedenti
[di Eugenia Greco]









