martedì 11 Novembre 2025
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Russia, Cremlino: fine operazioni militari se Kiev accetta richieste

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La Russia ha comunicato all’Ucraina che sarebbe pronta a fermare subito le operazioni militari nel caso in cui Kiev accettasse le richieste provenienti da Mosca: è ciò che avrebbe affermato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Reuters. In tal senso, avrebbe aggiunto Peskov, la Russia vorrebbe che l’Ucraina fermasse la sua attività militare, sancisse la neutralità all’interno della sua Costituzione e riconoscesse la Crimea come territorio russo nonché l’indipendenza delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk.

 

Vietato fare ragionamenti sull’Ucraina in Tv: il prof. Orsini finisce alla gogna

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Durante un dibattito a La7, il professore Alessandro Orsini ha fornito un’analisi sulle tensioni attualmente in atto fra Russia e Ucraina. «Possiamo uscire da questo inferno soltanto se riconosciamo i nostri errori» ha affermato il docente, riferendosi all’Unione europea. Dopo aver condannato l’invasione voluta da Putin e attribuitogli la paternità della responsabilità militare, Alessandro Orsini ha fatto poi un’affermazione che, in un contesto di informazione che tende al senso unico, ha fatto scalpore: «La responsabilità politica di questa tragedia è principalmente dell’Unione europea. In primo luogo, perché questa era la guerra più prevedibile del mondo».

L’analisi continua poi su un parallelismo con la crisi missilistica di Cuba, fino a delineare uno schema di comportamenti che «va avanti da centinaia di anni e che accomuna tutte le grandi potenze», quello delle cosiddette “linee rosse” da non valicare. Ed è qui che Orsini pone l’accento per una seconda critica all’Unione europea, colpevole di non aver saputo o potuto imporre alcuna linea rossa all’interno del sistema internazionale. L’ideale, secondo il professore della Luiss, sarebbe stato «rifiutare drasticamente qualunque politica capace di mettere in pericolo la vita degli europei», riferendosi dunque alla possibilità di un’apertura della NATO a est. La reazione in studio è immediata: Federico Fubini (vicedirettore del Corriere della Sera) accusa Orsini di aver detto cose non vere, consigliandogli di «studiare meglio la storia». Il problema è che è Fubini a dire cose che non sono veritiere, come il fatto che gli Usa non abbiano mai attaccato Cuba, dimenticando la baia dei Porci e i numerosi tentati colpi di stato.

Lo scalpore non si ferma lì e la stessa Luiss decide di prendere posizione contro il suo professore attraverso un comunicato, dove si legge che l’istituto “reputa fondamentale che, soprattutto chi ha responsabilità di centri di eccellenza come l’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale, debba attenersi scrupolosamente al rigore scientifico dei fatti e dell’evidenza storica”, cosa che ha fatto Orsini, condannando sì l’azione di Putin ma allo stesso tempo estendendo l’analisi al ruolo ricoperto dall’Unione europea, fino ad ora un vero e proprio taboo nella comunicazione mainstream. Questa condanna rientra nella serie di prese di posizione di diversi istituti avvenute nei giorni scorsi, a partire dalla Bicocca di Milano che ha deciso di cancellare, tornando poi sui propri passi, il corso patrocinato da Paolo Nori su Fëdor Michajlovič Dostoevskij, evidentemente considerato dall’università come destabilizzante, “a causa del momento di forte tensione attuale”.

Siamo di fronte a tanti piccoli tasselli che, congiungendosi, spingono a riflettere sulla qualità della libertà di espressione nel nostro Paese: non si tratta di condividere, o meno, il punto di vista di chi parla. Si tratta di garantire una certa tranquillità nell’espressione, libera da qualsiasi influenza o preoccupazione esterna, sacra in un Paese democratico. Senza che un esperto, o qualsiasi persona, debba temere ripercussioni sulla propria carriera lavorativa nel momento in cui avanza, supportando con ragionamento logico e dati, analisi diverse da quelle dominanti.

[Di Salvatore Toscano]

Covid: l’impatto trascurato delle restrizioni sulle persone con disabilità

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L’emergenza sanitaria degli ultimi due anni ha fatto affiorare innumerevoli problematiche in numerosi ambiti: tra queste, però, ve ne è una generalmente trascurata dal grosso dell’informazione mainstream, ovverosia l’impatto negativo che le restrizioni anti Covid hanno avuto sulle persone con disabilità. Infatti, come dimostrato da studi, indagini e testimonianze, le difficoltà legate a tale mondo si sono acuite in maniera importante nel biennio pandemico, che si è dimostrato essere altamente dannoso per la stabilità fisica e psicologica delle persone con disabilità.

A tal proposito, da uno studio pubblicato sulla rivista Rehabilitation Psychology è emerso che le persone con disabilità hanno sperimentato alti livelli di depressione ed ansia durante la pandemia. Nello specifico, tutto è partito dal fatto che gli studiosi hanno cercato di identificare quali condizioni costituissero un campanello d’allarme per lo sviluppo di tali disturbi tra “gli statunitensi adulti con disabilità durante la pandemia”: sono quindi state esaminate le risposte, raccolte tra ottobre e dicembre 2020, di 441 persone con disabilità ad un test autovalutativo sulla presenza di malattie come depressione ed ansia, e la conclusione cui gli studiosi sono arrivati è stata quella secondo cui il 61% dei partecipanti “soddisfacesse i criteri per un probabile disturbo depressivo maggiore” mentre il 50% per un probabile “disturbo d’ansia generalizzato” e che il principale campanello d’allarme fosse rappresentato dall’isolamento sociale. Si tratta , come sottolineato dalla coautrice Kathleen Bogart, di percentuali molto più alte di quelle riportate nel periodo pre-pandemico: per rendere l’idea, precedenti ricerche avevano rilevato che a circa il 22% delle persone con disabilità venisse diagnosticata la depressione nell’arco della loro vita.

Non si può non citare, poi, un altro studio – o meglio un’indagine scientifica – pubblicata sulla rivista Disability and Health Journal ed avente ad oggetto gli effetti negativi delle restrizioni non solo sulla salute mentale ma anche sull’attività fisica di bambini e giovani con disabilità fisiche e/o intellettive. Per permettere ai ricercatori di condurla, tra giugno e luglio 2020 i genitori/tutori dei soggetti con disabilità del Regno Unito hanno potuto compilare volontariamente un sondaggio per conto dei propri figli, rispondendo a domande sul modo in cui, tra l’altro, i loro livelli di attività fisica e la loro salute mentale fossero cambiati durante il lockdown rispetto al periodo pre-pandemico. “In generale gli intervistati hanno riportato gli effetti negativi delle restrizioni di blocco – si legge nell’indagine – con il 61% che ha segnalato una riduzione dei livelli di attività fisica ed oltre il 90% che ha riportato un impatto negativo sulla salute mentale”, tra cui un peggioramento comportamentale ed umorale nonché una “regressione sociale e nell’apprendimento”. Molti intervistati, inoltre, hanno “citato la mancanza di accesso a strutture specialistiche, terapie ed attrezzature come ragioni di ciò e hanno espresso preoccupazione per gli effetti a lungo termine di questa mancanza di accesso sulla salute mentale e fisica dei figli”.

Proprio a tal proposito, con l’obiettivo di capire in che misura tutto questo abbia interessato i territori italiani abbiamo intervistato la dottoressa Paola Landi – neurologa presso l’Azienda sanitaria locale (Asl) di Salerno, dove si occupa anche di riabilitazione, nonché consigliera comunale della propria cittadina – che ci ha fornito una testimonianza socio-sanitaria sulle problematiche verificatesi sul suo territorio. «Il lockdown ha generato difficoltà per le disabilità motorie e ancor più per quelle psichiche: riguardo le prime, infatti, si sono osservati dei temporanei peggioramenti dovuti al fatto che quasi tutti i trattamenti riabilitativi sono stati per un breve periodo sospesi, mentre per le seconde si sono visti peggioramenti in gran parte comportamentali legati non solo alla sospensione di durata maggiore dei trattamenti riabilitativi ma anche e soprattutto alla riduzione di contatti col mondo esterno ed alla conseguente perdita di abitudini quotidiane e di stimoli». «Appena è stato possibile i trattamenti riabilitativi individuali sono ripresi con le precauzioni necessarie, ma la sospensione delle attività di gruppo è durata più a lungo», ha precisato la dottoressa, sottolineando che per questo motivo «si è cercato di mantenere dei contatti online per evitare l’isolamento totale, ma nonostante ciò quando vi è stata la ripresa completa delle attività gli operatori hanno dovuto fare i conti con problemi psicologici acuiti».

La dottoressa infine, in qualità di consigliera comunale, ha potuto anche testimoniare le «tante richieste di aiuto» inviate durante il primo lockdown al comune della propria cittadina dalle famiglie delle persone disabili, che hanno appunto dovuto gestire situazioni più complesse legate alla chiusura. «Il comune ha per tale ragione deciso in quel periodo di rilasciare permessi di uscita in determinate zone alle persone con disabilità accompagnate da un familiare nonché di favorire, con l’ausilio di professionisti del settore, attività on line di arte, danza e supporto psicologico di gruppo», ha concluso la dottoressa.

Ucraina: salgono a 1,7 milioni i profughi

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Salgono a 1,7 milioni le persone costrette a fuggire dall’Ucraina in seguito all’invasione russa iniziata il 24 febbraio scorso. Secondo l’Alto commissariato ONU per i rifugiati (UNHCR), l’Europa è di fronte alla “crisi di profughi più veloce dalla Seconda Guerra Mondiale”. Dei 1.708.436 di rifugiati provenienti dall’Ucraina, più della metà sono giunti in Polonia. Gli altri Paesi che hanno accolto un numero consistente di profughi sono l’Ungheria, la Slovacchia, la Romania e la Moldavia. Circa 200 mila persone in fuga dall’Ucraina sarebbero arrivate invece in Russia e nell’Unione europea.

Strage di Viareggio: l’ex ad di Trenitalia si salva con la prescrizione

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Oggi, 7 marzo, si è tenuta a Firenze la prima udienza del processo di appello-bis per “la strage di Viareggio”, l’incidente ferroviario che nel 2009 costò la vita a 32 persone, ferendone più di un centinaio. Tra gli imputati chiamati a rispondere dell’accaduto c’è in aula Mauro Moretti, ex amministratore delegato di Trenitalia, che in occasione del primo appello decise di rinunciare alla prescrizione e fu condannato a 7 anniLa Cassazione ha però annullato con rinvio la sentenza, stabilendo che Moretti dovesse chiarire in appello-bis l’intenzione di rinunciare o meno all’istituto giuridico, visto che la sua decisione arrivò prima che cadesse in prescrizione l’accusa di omicidio colposo plurimo, venuta meno per la caduta dell’aggravante della violazione di norme sulla sicurezza sul lavoro. Così oggi, di fronte alla corte di Firenze, l’ex ad di Trenitalia è ritornato sui propri passi, dichiarando di non voler rinunciare alla prescrizione.

L’udienza di questa mattina, la prima del processo di appello-bis, è stata presto interrotta per volere della prima camera di consiglio a causa di una mancata traduzione in tedesco, che è la lingua di alcuni imputati, della sentenza della Corte di Cassazione. Così è stato disposto un rinvio al 7 aprile, accogliendo l’istanza presentata proprio dai difensori degli imputati tedeschi. Al termine dell’udienza alcuni familiari delle vittime, arrivati in corteo al tribunale di Firenze, si sono avvicinati al banco di Moretti, urlandogli la propria rabbia e disapprovazione. L’ex ad di Trenitalia si è subito allontanato, facendo scattare un applauso polemico all’interno dell’aula.

[Di Salvatore Toscano]

Russia: governo stila lista Paesi ostili, c’è anche l’Italia

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Il governo russo, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Tass, avrebbe stilato una lista di Paesi ostili, che comprenderebbe tutti quegli Stati e territori stranieri che hanno applicato o che si sono uniti alle sanzioni contro Mosca e nella quale sarebbe presente anche l’Italia in quanto Paese europeo. Nell’elenco infatti vi sarebbero gli Stati dell’Ue nonché, tra gli altri, gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia, la Nuova Zelanda, la Svizzera, oltre che ovviamente la stessa Ucraina. Il governo russo avrebbe stabilito che lo Stato, le aziende ed i cittadini russi che hanno debiti contratti in valuta estera con creditori stranieri dei Paesi inseriti nella lista potranno saldarli in rubli: la misura, però, varrebbe solo per i pagamenti superiori ai 10 milioni di rubli al mese.

Energia: i servizi segreti italiani smentiscono il Governo

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Nessun allarme per l’approvvigionamento di gas all’indomani dell’esplosione del conflitto russo-ucraino: è quanto affermato in un report annuale stilato dai servizi segreti e inviato al Parlamento. La pluralità delle fonti di approvvigionamento infatti, secondo quanto previsto dal Regolamento europeo 2017/1938, permette “un’ampia e diversificata capacità di importazione” che consente di sopperire alle mancanze derivanti dalla chiusura del canale russo. Nonostante ciò, il decreto legge sulla crisi in Ucraina stilato dal Governo prevede un aumento dello sfruttamento dei combustibili fossili per l’approvvigionamento elettrico. Misure che, alla luce di quanto emerso, risultano ingiustificabili e sanciscono definitivamente la scarsa volontà dell’Italia di muoversi nella direzione della transizione ecologica, che oggi più che mai si configura come passaggio fondamentale verso l’indipendenza energetica.

L’approvvigionamento di gas in Italia è garantito “da un’ampia e diversificata capacità di importazione e da una dotazione di infrastrutture di stoccaggio in grado di compensare la stagionalità della domanda, nonché eventuali problemi di funzionamento di un gasdotto”. È quanto rivelato dalla Relazione annuale sulla politica dell’informazione per la sicurezza del 2021, stilata dai servizi segreti italiani e messa a disposizione del Parlamento. All’interno viene specificato come “Il sistema infrastrutturale italiano rispetta la cd. formula N-1, ossia la capacità di soddisfare, grazie alla ridondanza, livelli di domanda molto elevati anche in caso di interruzione della principale infrastruttura di importazione, ossia del gasdotto che trasporta i flussi in arrivo dalla Russia fino al punto di ingresso di Tarvisio e che, nel 2021, ha veicolato il 38% del fabbisogno nazionale”.

Dal “Rapporto annuale sulla politica dell’informazione per la sicurezza”

Nessun allarme, quindi, in caso di chiusura dei rubinetti da parte della Russia. Come fa notare il deputato di Alternativa Giovanni Vianello, inoltre, i gasdotti esistenti sono stati notevolmente sotto-utilizzati nel 2021: Transmed, il gasdotto che permette l’importazione di gas dall’Algeria, ha una capacità di 30,2 miliardi di metri cubi, ma ne sarebbero stati importati solo 21 miliardi. Stessa cosa per il libico Greenstream, che ha una capacità massima di 11 miliardi di metri cubi, ma sarebbero stati solo 3 miliardi quelli importati nel 2021. Inoltre nel 2021 l’Italia “ha esportato 1,5 miliardi di metri cubi all’estero” ricorda Vianello.

Nonostante ciò il Governo ha previsto, all’interno del decreto legge in merito alla crisi Ucraina, un’aumento della produzione di energia elettrica da fonti quali carbone e olio combustibile. Ciò avviene evidentemente indipendentemente dall’entità dell’emergenza futura la quale, a quanto risulta, sembra essere di portata nettamente inferiore a quella che lo stesso Governo vorrebbe far credere, “scollegando quindi l’emergenza energetica alla discrezionalità di utilizzare le fonti fossili e inquinanti”. Nel contesto attuale, i limiti di un sistema basato sull’interdipendenza energetica e sulle fonti fossili sono venuti alla luce più che mai. Accelerare il processo di transizione energetica verso fonti sostenibili si mostra un passaggio fondamentale per raggiungere un maggior livello di indipendenza e, di conseguenza, evitare una crisi di approvvigionamento. Questo discorso vale in particolar modo per l’Italia, che importa gas dalla Russia in misura maggiore rispetto a qualunque altro Paese europeo. Resta evidente che alle necessità oggettive dovrebbe corrispondere una precisa volontà politica, al momento del tutto assente.

[di Valeria Casolaro]

 

 

Bitcoin: cosa ne determina il prezzo e cosa è possibile aspettarsi

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Bitcoin (BTC) è un tema tanto affascinante quanto controverso. Pochissime persone al mondo lo comprendono completamente, in quanto la sua genesi è da ricercare nell’incrocio di cinque macroaree di studio quali: crittografia, sistemi distribuiti, teoria dei giochi, computer science e politiche economico-monetarie. Per quanto concerne la determinazione del prezzo di bitcoin, tra le materie più importanti sopra citate ci sono sicuramente: computer science e le politiche economico-monetarie utilizzate da Satoshi Nakamoto (anonimo inventore della rete Btc) per dare vita alla sua creatura. La sfera ...

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La Russia prepara l’uscita dall’internet globale?

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La pagina twitter di @LatestAnonPress, profilo legato ai noti “hacktivisti” di Anonymous, preannuncia un’evenienza che, qualora si concretizzasse, potrebbe stravolgere non poco il mondo informatizzato per come lo conosciamo oggi. Secondo il gruppo, il Cremlino si starebbe preparando ad abbandonare il world wide web, ovvero si starebbe attrezzando per imporre un’infrastruttura che potrà in qualsiasi momento essere separata da quella dei Paesi terzi, un’infrastruttura che molti hanno battezzato sardonicamente “Inter-nyet”. 

Il fatto che Mosca stia valutando la disconnessione dall’internet globale è cosa nota: il Presidente Vladimir Putin ha sviluppato attriti con le Big Tech, colpevoli di non sottostare alle sue ambizioni di censura, e guarda da tempo con interesse al concetto del “The Great Firewall” imbastito con successo dall’alleato cinese. A differenza di Beijing, Mosca non ha però vissuto la Rete approcciandosi sin da subito a questa direzione “separatista”, quindi al Governo non resta che recuperare il tempo perduto muovendosi a ritroso.

Ha censurato i contenuti a lui scomodi, multato i leader statunitensi del settore, iniziato a demolire software e servizi che garantiscono anonimato o che danno l’accesso al cosiddetto deep web e, più recentemente, ha provveduto a statalizzare il social media VK facendolo finire nelle mani di due sussidiarie di Gazprom, azienda energetica statale divenuta nota ai più per colpa dei dissapori legati al Nord Stream 2. 

La Russia è probabilmente lontana dal raggiungere la sovranità digitale, miraggio aureo condiviso da tutte le Amministrazioni nazionaliste, tuttavia è facile credere che Putin stia facendo di tutto pur di velocizzare il processo di localizzazione del web, soprattutto in questo periodo belligerante. Mentre i mezzi blindati tagliano le strade ucraine, la Rete è infatti sconvolta da piccole schermaglie che mirano a diffondere potenti azioni contro-narrative. I cybercriminali hanno perlopiù colpito le pagine internettiane delle agenzie governative, ma la loro influenza ha oramai raggiunto anche i servizi di streaming, i quali sono stati adoperati per imporre ai civili le immagini della guerra.

Per anni, aziende e Governi hanno plasmato internet offrendo priorità alla remunerativa velocità di consumo, piuttosto che sulla sicurezza e alla solidità dell’infrastruttura stessa, e il Cremlino è ben consapevole che in assenza di interventi radicali sia impossibile difendere le infinite vulnerabilità della Rete. Questi interventi radicali, sostengono i documenti trapelati, sarebbero in corso d’opera ed entro l’11 di marzo tutti i server e tutti i domini operanti in Russia dovranno necessariamente essere trasferiti entro i confini di Mosca.

D’altronde, questo potrebbe essere il periodo migliore per Putin per procedere con una simile manovra: per scrupolo morale o per pressione politica, le aziende digitali estere si approcciano all’invasione dell’Ucraina sospendendo i propri servizi agli utenti russi, annullando di fatto il proprio potere lobbistico e finanziario nei confronti della stesura delle leggi. Qualora la situazione si normalizzasse, le Big Tech potrebbero trovarsi in futuro a tornare in una Russia che è a loro normativamente ostile, che predilige le “super-app” capaci di sopperire a più servizi minimizzando gli sforzi di controllo della censura e che punta a promuovere un isolamento stagno dal processo di globalizzazione 4.0.

[di Walter Ferri]

In Italia il 94% dei comuni è a rischio dissesto idrogeologico

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In Italia sono 7423 i centri a rischio dissesto idrogeologico, ovvero frane, alluvioni ed erosione: è quanto rivela un rapporto dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), citato da La Stampa. Le cause sono per lo più il cambiamento climatico e il consumo di suolo, dovuto all’ampliamento indiscriminato delle aree urbane e all’abbandono dei centri montani, con il conseguente venir meno degli interventi di manutenzione. Sono 8 milioni i cittadini a risiedere in aree ad alta pericolosità. Unico dato positivo emerso dal rapporto: i litorali italiani in avanzamento superano quelli in erosione.