sabato 26 Aprile 2025
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Ora Biden e Fauci ipotizzano che il Covid sia nato in laboratorio

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Dopo aver per lungo tempo sostenuto l’origine naturale del coronavirus gli Stati Uniti hanno fatto un’inversione repentina tornando fragorosamente a mettere in dubbio la versione ufficiale della diffusione del virus che ipotizza che sia passato da un animale – presumibilmente un pipistrello – all’uomo presso il mercato di Wuhan. Dapprima il virologo più famoso del mondo, Anthony Fauci, ha dichiarato: «Non sono convinto dell’origine naturale del Covid». A ruota il presidente Biden ha dichiarato di voler intensificare gli sforzi per investigare l’origine del Covid. Il sospetto, ora avanzato con forza dagli Usa dopo che per mesi ogni ipotesi di questo tipo era stata bollata di “complottismo”, è quello che il virus sia il prodotto di un incidente nel laboratorio di virologia di Wuhan, in Cina.

L’ipotesi era già stata al centro di una indagine dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), che aveva inviato una propria squadra a indagare sulle origini del virus in Cina lo scorso febbraio. L’Oms aveva definito «estremamente improbabile» la diffusione da laboratorio del coronavirus, ma i suoi inviati avevano denunciato come la Cina avesse vietato loro l’ingresso nel laboratorio di Wuhan ostacolandone le indagini.

Ora Joe Biden ha dato compito di indagare ai servizi di intelligence e ai laboratori nazionali USA. Inoltre è tornato a chiedere la partecipazione della Cina, lamentando allo stesso tempo la sua scarsa collaborazione e il fatto che, senza una sua apertura totale a queste indagini, i risultati non saranno mai definitivi.

Prima di passare alle possibili motivazioni americane è interessante notare come il mondo della comunicazione abbia reagito alla notizia. Se Anthony Fauci fino ad oggi si era guadagnato ripetutamente le ovazioni della stampa e della politica, con il presidente della Repubblica italiana che pochi giorni fa – per meriti invero difficili da comprendere – lo aveva insignito della più alta onorificenza della Repubblica, quella di cavaliere di Gran Croce. Oggi la stampa non relega che in pochi trafiletti la notizia. Di contro, lo stesso giorno della comunicazione, Facebook ha dimostrato una volta di più come dietro la sua battaglia contro le “fake news” ci sia molta più politica che amore per la verità, annunciando che i post che sostengono l’origine artificiale del coronavirus non saranno più oscurati.

Detto questo è interessante chiedersi: Perché gli Usa tornano ad accusare la Cina con tanto ritardo e perché proprio ora? Difficile non pensare a ragioni geopolitiche. Mentre Obama si era concentrato sulle questioni territoriali nel Mar Cinese Meridionale e Trump più sulla guerra commerciale, la nuova amministrazione Biden ha scelto infatti un’altra via di scontro con la Cina:una strategia più prettamente geopolitica. Nello Strategic Competition Act del 2021, documento esplicitamente elaborato in risposta alle “questioni riguardanti la Repubblica Popolare Cinese”, gli USA proclamano la Cina il loro principale competitor globale. Un pericolo per gli USA dal punto di vista sia politico che economico e ideologico.

Un ruolo di particolare rilevanza è attribuito, dagli Stati Uniti, ai mass media, per portare avanti la propaganda anti-cinese. Gli USA hanno infatti stanziato più di un miliardo di dollari per influenzare i media cinesi, finanziando quelli che propongono una narrativa di opposizione rispetto al governo centrale, nonché l’opinione pubblica all’interno degli Stati Uniti stessi. Alla luce di questi provvedimenti è lecito ipotizzare che gli Usa abbiano deciso di tornare sulla questione innanzitutto per ragioni geopolitiche, nell’obiettivo di screditare la Cina a livello internazionale.

[di Anita Ishaq]

Roma: manifestazione dei lavoratori in Piazza Montecitorio

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A Roma, in Piazza Montecitorio, centinaia di lavoratori stanno manifestando per chiedere al Governo la proroga del blocco dei licenziamenti almeno fino al 31 ottobre nonché impegni precisi per ciò che concerne la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. «La fine del blocco dei licenziamenti potrebbe accrescere la rabbia sociale», affermano i manifestanti. La mobilitazione è stata organizzata dai sindacati Cgil, Cisl e Uil. Sono infatti presenti anche i tre segretari: Maurizio Landini, Pierpaolo Bombardieri e Luigi Sbarra.

La Nigeria ha ritirato ad Eni una mega licenza petrolifera

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Il governo nigeriano ha deciso di sospendere la licenza petrolifera OPL 245 in capo ad Eni e Shell. Questo a seguito del perdurare di processi penali in corso in Italia e in Nigeria avviati per stabilire se l’intera operazione sia stata macchiata da corruzione. La licenza vale 560 milioni di barili di petrolio e rappresenta uno dei giacimenti di oro nero più fruttuosi al mondo. I fatti, in particolare, risalgono a dieci anni fa quando, nel 2011, le due multinazionali acquistarono la licenza per 1,3 miliardi di dollari. Di questi, 1,1 miliardi furono trasferiti alla Malabu Oil & Gas, una società di proprietà dell’allora ministro nigeriano Dan Etete. Fedele al dittatore Sani Abacha, Etete sarebbe sempre stato il beneficiario occulto della Malabu.

Seguono così l’accusa di corruzione e le indagini. Per fare chiarezza sul controverso affare, i magistrati milanesi hanno ricostruito l’intera rete di trasferimenti del denaro. Inizialmente, questo è transitato per un conto londinese riconducibile al governo nigeriano, ma poco dopo si è disperso in più parti. «Si ipotizza – scriveva un anno fa ReCommon che ha ricostruito la vicenda – allo scopo di andare a ingrossare i conti correnti di politici nigeriani di alto livello, forse addirittura l’ex Presidente Goodluck Jonathan e intermediari e manager dello stesso Cane a Sei Zampe».

Con l’accusa di corruzione internazionale per l’acquisizione del blocco petrolifero offshore, verso la fine del 2017, Eni, Shell e 13 tra manager, politici e intermediari sono stati rinviati a giudizio. Nel settembre del 2018, dopo il rito abbreviato, gli intermediari Emeka Obi e Gianluca Di Nardo sono stati condannati entrambi a quattro anni di reclusione. In Italia, Eni e Shell e i loro manager sono stati recentemente assolti in primo grado dai giudici della VII sezione penale del Tribunale di Milano. A metà giugno si saprà se la procura avanzerà una richiesta d’appello. Ogni diritto delle multinazionali sulla mega concessione petrolifera è però svanito.  «È giuridicamente certo che la nostra azienda abbia maturato il diritto alla conversione della licenza». Ha sostenuto Eni che, nel mentre, ha presentato un reclamo al Centro Internazionale per la Risoluzione delle Controversie sugli Investimenti (ICSID) di Washington. Dalla Nigeria, pretende un risarcimento per la mancata conversione. «Con questa decisione – ha affermato invece Antonio Tricarico di ReCommon – la Nigeria ha dimostrato che la legge è uguale per tutti. Sarebbe stato sbagliato convertire la licenza con procedimenti ancora in corso a Milano e Abuja su un affare che rimane controverso. Eni e Shell devono prendere atto che la licenza è scaduta e che non possono più sfruttare il giacimento».

[di Simone Valeri]

Namibia: la Germania ammette genocidio

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La Germania ha riconosciuto di aver commesso, durante l’era coloniale, un genocidio contro le popolazioni Herero e Namas della Namibia, tra il 1904 e il 1908. Nell’arco di 30 anni, la  Germania donerà al Paese africano 1,1 miliardi di euro in aiuti allo sviluppo. Hage Geingob Alfredo Hengari, portavoce del governo della Namibia, ha dichiarato: «Il primo passo nella giusta direzione».

Il Vietnam pianterà un miliardo di alberi entro il 2025

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Il Vietnam ha annunciato che, entro il 2025, pianterà un miliardo di alberi a livello nazionale. Dopo una serie di tifoni, che tra ottobre e novembre dell’anno scorso hanno colpito il paese provocando 200 morti, il governo vuole correre ai ripari e fare qualcosa che possa ridurre il rischio di frane e inondazioni. Già in passato vennero lanciate delle iniziative per il rimboschimento, le quali inizialmente hanno contribuito ad aumentare le zone verdi nel paese. Tuttavia, gli alberi sono stati poi abbattuti per trarne carta o legno. Questa volta si tratta di un vero e proprio provvedimento ufficiale, il quale riporta una serie di obiettivi riguardanti l’ambiente, al fine di proteggere gli ecosistemi e contrastare il cambiamento climatico. Non sono però ancora stati specificati alcuni dettagli. Non si sa infatti né che specie verranno piantate, dove e da chi, né il costo che l’iniziativa richiederà e la fonte di finanziamento.

La sfida più grande di questo progetto consiste nel trovare spazio disponibile, ma non perché questo manchi. Difatti, circa un milione di ettari di terreno potrebbe ospitare i nuovi alberi, se non che questo, seppur di proprietà delle autorità locali, viene gestito concretamente dagli abitanti per le loro coltivazioni. Per questo motivo, come descritto nella direttiva, la piantumazione inizierà dalle aree urbane e industriali, le quali non godono di spazi verdi. Ad esempio, Ho Chi Minh City – la città più grande e popolosa del paese- ha solo 0,55 metri quadrati di parco pubblico per residente. Potrebbero quindi essere gli abitanti delle città – le quali registrano una crescita piuttosto rapida -, a beneficiare maggiormente di questa iniziativa in quanto, la presenza di alberi, aiuterebbe a combattere l’inquinamento e l’elevata temperatura, fattori tipici dei centri urbani.

 

[di Eugenia Greco]

 

Gli USA confermano l’uscita dal trattato Open Skies

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Gli Stati Uniti hanno comunicato alla Russia che non torneranno nel trattato Open Skies, confermando quanto precedentemente deciso. Firmato da oltre 30 Paesi quasi 30 anni fa, il trattato ha l’obiettivo di promuovere la trasparenza sulle attività militari condotte dai Paesi membri secondo il concetto dell’osservazione aerea reciproca. Adesso, anche la Russia pensa ad una uscita.

Il Governo Draghi sblocca i lavori del Tav

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Il governo di Mario Draghi ha deciso di sbloccare la realizzazione della tratta nazionale legata al Tav, in Valsusa. Infatti, l’Italia parteciperà al bando europeo che mette a disposizione risorse aggiuntive per le tratte di accesso dei singoli paesi a infrastrutture di collegamento infra-europeo. Nella riunione preparatoria della Conferenza intergovernativa (Cig), che si svolgerà il 14 giugno a Chambery, in Francia, verranno rese note le modalità del bando.

Alla Conferenza intergovernativa parteciperanno i rappresentanti di Italia, Francia e Unione Europea. La cifra che l’Italia potrebbe ottenere con il bando europeo potrebbe arrivare a 750 milioni di euro. Chissà cosa potrà mai uscire da tale riunione visto che solamente l’Italia sembra ancora così interessata alla realizzazione dell’opera con l’82% dei costi sostenuti. L’Europa regge il gioco ma senza stare ai patti inziali mentre la Francia i patti non li rispetta proprio e sembra sempre più indifferente alla Torino-Lione (o, almeno, al suo finanziamento).

Intanto, varie forze politiche invocano la nomina di un Commissario Straordinario per la Tav poiché da tre anni, dopo Paolo Foietta, il Governo nazionale non ne nomina uno.

Ieri, invece, un gruppo di No Tav si è recato a Torino davanti alla sede della EP&S, l’azienda che ha in appalto la gestione della sicurezza e della protezione dei cantieri del TAV. Il costo dell’impianto di sicurezza del cantiere per la costruzione dell’autoporto di San Didero ammonta a 5 milioni di euro sui 50 milioni destinati all’intera costruzione dell’autoporto. Insomma, il 10% del costo totale dell’opera in questione è destinato alla sicurezza: telecamere, filo spinato, barriere, camionette etc.

Tra le altre cose, ricordiamo che la Corte d’Appello di Torino ha sentenziato circa atti illeciti, tramite utilizzo improprio della forza, commessi dalle forze dell’ordine nei confronti del movimento No Tav in Val di Susa, in merito ai fatti del 3 luglio 2011.

Nel duro scontro che va in scena da più di 20 anni tra le comunità locali e lo Stato, vogliamo anche ricordare tutte le fake-news dei media mainstream e la propaganda pro-Tav finanziata con soldi pubblici che in tutti questi anni hanno farcito la narrativa retorica attorno alla necessità dell’opera e che tutt’ora insiste. Intanto, il movimento No-Tav fa sapere di aver programmato una marcia di protesta che si terrà il 12 giugno, da Bussoleno a San Didero.

[di Michele Manfrin]

Siria: al-Asad eletto nuovamente Presidente

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Il Presidente siriano Bashar al-Asad è stato rieletto alla guida del Paese per altri sette anni, con il 95,1% dei voti.  I due candidati rivali, Abdallah Abdallah e Mahmud Marei, hanno ottenuto rispettivamente l’1,5% e il 3,3% dei consensi. Il Presidente del Parlamento Hammoud Sabbagha ha affermato che 14,2 milioni di cittadini siriani hanno votato, sui 18,1 milioni che ne avevano diritto, ovvero il 76,64%.

 

 

Nigeria: sale bilancio naufragio, 26 morti e 98 dispersi

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Sono 26 le persone che hanno perso la vita dopo che nella giornata di ieri un battello con 150 passeggeri a bordo si è capovolto nel fiume Niger, nel nord-ovest della Nigeria. Altri 26 di loro sono stati salvati ma, secondo quanto riferito dal commissario Adamu Usman, 98 persone sono attualmente disperse. Si teme dunque che il bilancio del naufragio possa essere di 124 morti.

La Shell sarà costretta ad abbattere le proprie emissioni

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La Royal Dutch Shell, compagnia petrolifera anglo-olandese, dovrà ridurre entro il 2030 le emissioni di gas serra del 45% rispetto ai livelli del 2019. È questo il verdetto emesso nella giornata di ieri da un tribunale de L’Aia, sede legale dell’azienda, con il quale è stata ritenuta poco «concreta» la politica sulla sostenibilità della Shell (che aveva stabilito una diminuzione del 20% entro il 2030) ed è stato imposto a quest’ultima di rispettare gli accordi sul clima di Parigi del 2015. La decisione è arrivata in seguito alla denuncia effettuata nel 2019 dall’associazione ambientalista “Milieudefensie”, facente parte della rete internazionale “Friends of the Earth”, e da 17.000 cittadini olandesi: la Shell era stata messa sotto accusa per i danni ambientali derivanti dall’attività di estrazione e lavorazione di fonti fossili, su cui l’azienda investe il 95% del proprio fatturato.

Si tratta di una sentenza storica poiché è la prima volta che una multinazionale viene costretta a rispettare gli accordi di Parigi, i quali prevedono di mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5°. Inoltre, essa rappresenta un precedente che fa tremare tutte le majors del petrolio in quanto riconosce formalmente la loro responsabilità nei confronti della crisi ambientale. A tal proposito Roger Cox, avvocato del gruppo Milieudefensie, ha invitato le organizzazioni di tutto il mondo ad intraprendere azioni legali per costringere le multinazionali ad affrontare l’emergenza climatica. In pratica, a tale verdetto potrebbero fare seguito molte altre sentenze che, al pari di questa, costringeranno le compagnie petrolifere a correre ai ripari.

[di Raffaele De Luca]