Nella città di Shenzhen, in Cina, è stato nuovamente imposto il lockdown a causa dell’aumento esponenziale di casi di Covid. La città, che conta 17 milioni di abitanti, aveva messo in atto alcune restrizioni già la settimana scorsa, con la chiusura dei locali non essenziali e il divieto di consumazione nei ristoranti. A Shanghai il governo ha invece chiuso scuole, aziende e attività commerciali. I provvedimenti sono stati presi nonostante il picco sia costituito da casi per lo più asintomatici.
Iraq, missili balistici sulla capitale curda
Secondo quanto riportato da Reuters, l’Iran avrebbe lanciato una dozzina di missili balistici verso la città di Erbil, la capitale curda dell’Iraq. Sarebbero stati presi di mira il consolato statunitense e la vicina zona residenziale, ma non vi sarebbero vittime. Al momento non vi sono ulteriori dettagli o rivendicazioni. Un attacco di portata simile non si verificava dal 2020, ma l’Iraq e la Siria sono teatro di regolari violenze tra Stati Uniti e Iran.
I giganti della soia hanno cercato di contrastare il piano sulla deforestazione dell’Ue
Tre associazioni di categoria, rappresentanti di alcune delle più grandi aziende al mondo che si occupano del commercio di soia, “hanno fatto pressioni” sull’Unione europea per indebolire la sua politica sulla deforestazione pochi giorni dopo aver firmato nell’ambito della conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP26) un impegno pubblico atto proprio a porre fine alla deforestazione legata alle materie prime: è quanto denunciato da Unearthed, il braccio investigativo della Ong ambientalista Greenpeace, sulla base di alcuni documenti in suo possesso. In una lettera inviata al commissario europeo per il clima Frans Timmermans otto giorni dopo aver assunto tale impegno, infatti, tre importanti associazioni di categoria avrebbero avvertito che la proposta di legge sulla deforestazione dell’UE non avrebbe avuto l’impatto desiderato ed avrebbe causato gravi aumenti di prezzo nonché problemi di disponibilità per cereali e mangimi. Tra le multinazionali rappresentate dai gruppi firmatari vi sarebbero appunto tre delle quattro più importanti aziende esportatrici di soia dal Brasile verso l’UE, ovverosia Cargill, Bunge ed ADM.
Proprio queste ultime, come anticipato, durante la COP26 avevano rilasciato una dichiarazione di intenti con cui si impegnavano a fermare la perdita di foreste associata alla produzione e al commercio di materie prime agricole ed a fornire una tabella di marcia per dare vita ad una catena di approvvigionamento in grado di bloccare il riscaldamento globale a 1,5 gradi Celsius. Un modus operandi sorprendente dato che, come ricordato da Unearthed, Cargill sarebbe stata “più volte collegata alla deforestazione in Brasile” mentre Bunge sarebbe stata “collegata alla deforestazione nella loro catena di approvvigionamento”. Tuttavia quello che si pensava fosse stato un cambio di rotta inaspettato, si sarebbe sostanzialmente rivelato essere una semplice tecnica con cui schierarsi solo a parole a favore dell’ambiente. Come documentato da Unhearted tramite la lettera sopracitata, infatti, le medesime aziende si sarebbero schierate contro una legge – attualmente in fase di valutazione – che in tale ambito sarebbe la più drastica al mondo, richiedendo a diversi commercianti di dimostrare che il loro prodotto non sia stato generato su terreni deforestati prima che possa essere venduto sul mercato europeo. In pratica, prodotti come caffè, soia, carne bovina o cacao non potrebbero entrare nel mercato dell’Ue se ritenuti legati alla deforestazione.
Le aziende, dal canto loro, hanno ovviamente rigettato le accuse affermando che la lettera inviata al commissario Timmermans avesse lo scopo di offrire modi migliori per raggiungere l’obiettivo di porre fine alla deforestazione, che sarebbero intenzionate realmente ad eliminare. Eppure, i documenti di cui è venuto in possesso Unearthed mostrerebbero che le associazioni industriali dei commercianti di materie prime si sarebbero ripetutamente opposte alle misure dell’ambiziosa legge dell’UE sulla deforestazione: ciò sarebbe dimostrato non solo dalla lettera, ma anche dai briefing di un incontro di ottobre con il dipartimento del commercio della Commissione e dalla corrispondenza privata con il ministro dell’ambiente francese Barbara Pompili.
Ad ogni modo, le associazioni hanno poi rilasciato una posizione pubblica dettagliata sulla legge due settimane fa, sostenendo che le loro preoccupazioni avrebbero ad oggetto due componenti chiave della legge. La prima riguarderebbe la creazione di una “catena di approvvigionamento segregata” di prodotti privi di deforestazione per il mercato europeo, in quanto “tecnicamente ed efficacemente non fattibile su vasta scala di mercato”. In tal senso, le tre associazioni di categoria hanno chiesto un sistema di “bilancio di massa”, con cui i fornitori potrebbero acquistare solo parte dei loro prodotti da fonti sostenibili. La seconda riforma contestata dai gruppi sarebbe intesa a migliorare la tracciabilità, richiedendo ai commercianti di fornire una geolocalizzazione per la fattoria o la piantagione in cui è stata coltivata la merce e stabilendo così se provenga dalla deforestazione: secondo le associazioni, però, alcuni agricoltori potrebbero rifiutarsi di condividere questi dati con l’Ue. Eppure, anche tale punto appare controverso dato che, secondo quanto riportato da Unearthed, diversi gruppi di piccoli agricoltori riterrebbero che queste proposte andrebbero a loro vantaggio e che l’opposizione alla geolocalizzazione da parte delle associazioni avrebbe lo scopo di proteggere il potere dei principali commercianti di materie prime proprio a scapito dei piccoli agricoltori.
[di Raffaele De Luca]
Arabia Saudita, giustiziate 81 persone in sole 24 ore
L’agenzia di stampa Saudi Press Agency ha dichiarato che 81 pene di morte sono state eseguite nelle ultime 24 ore in Arabia Saudita, in quella che si configura come la più grande esecuzione di massa della storia moderna del Paese. I giustiziati sarebbero stati accusati di affiliazione a varie organizzazioni terroristiche (ISIS, Al Quaeda e Huthi) e di aver commesso crimini contro le istituzioni saudite. L’Arabia Saudita è finita spesso al centro delle critiche internazionali per la durezza delle sue leggi sulla libertà di espressione politica e religiosa e sull’applicazione della pena di morte anche nei confronti di minorenni, ma le ha sempre respinte affermando di agire nell’ottica della sicurezza nazionale.
Mediterraneo, hotspot di biodiversità e cambiamento climatico
Il Bacino del Mediterraneo non è solo una delle culle della civiltà. Qui, la storia dell’uomo si intreccia nel modo più intimo con le massime espressioni della natura. Una posizione geografica unica ed un’eterogeneità ambientale senza eguali, infatti, oltre ad aver favorito lo sviluppo della nostra cultura, hanno anche gettato le basi per l’evoluzione di una straordinaria biodiversità. Le ultime stime effettuate indicano, nel Mediterraneo, la presenza di circa 17.000 specie marine, le quali rappresentano dal 4 al 25% della diversità globale. Pur coprendo appena lo 0,82% della superficie terrestre, il Mediterraneo ospita circa il 7,5% delle specie mondiali. La ricchezza specifica, in rapporto all’area, è quindi circa 10 volte superiore alla media. Ancor più sorprendente se consideriamo che stiamo parlando in gran parte di endemismi, ovvero, specie che sono presenti solo nel nostro mare e sulle terre che lo circondano. Sono endemici il 44% dei pesci ed il 25% dei mammiferi, così come il 35% degli anfibi italiani e il 24% dei rettili iberici. Senza contare poi che l’ecoregione Mediterraneo ospita circa 25.000 specie vegetali, di cui più della metà esclusiva di quest’area.

Non è un caso quindi che il Mediterraneo sia stato individuato come uno dei 25 hotspot di biodiversità a livello globale. Un approccio conservazionistico, questo, che porta due notizie, una buona ed una cattiva. Essere un hotspot, infatti, da un lato significa ospitare una biodiversità unica, dall’altro, riconoscere però che questa sia minacciata. Nei ‘punti caldi’ di biodiversità, si hanno quindi concentrazioni eccezionali di specie endemiche che stanno tuttavia subendo una perdita eccezionale di habitat. Perderle è un rischio che non possiamo correre: ben il 44% di tutte le specie di piante vascolari e il 35% di tutte le specie di quattro gruppi di vertebrati sono confinati negli hotspot globali che interessano solo l’1,4% della superficie terrestre. E proprio nel Mediterraneo, dove lo sfruttamento del territorio ha origini estremamente remote, che la frammentazione e scomparsa degli habitat avviene a ritmi allarmanti. Lo stretto legame con la società umana, si badi bene, non ha però solo accezioni negative, basti pensare all’elevatissima diversità biologica di interesse agricolo, alla base di una dieta riconosciuta come la più equilibrata e salutare a livello globale. Tuttavia, l’impatto antropico si fa sentire, ed ora come non mai esacerbato dalla pressione del riscaldamento globale, minaccia ogni specie mediterranea, quella umana compresa. Oltre alla perdita di habitat, a mettere a repentaglio la salute degli ecosistemi mediterranei, ci sono il bracconaggio, la pesca eccessiva ed illegale, l’inquinamento, l’invasione di specie aliene e l’acidificazione delle acque. L’anno appena trascorso, poi, si è confermato come quello in cui sono state registrate le più alte temperature oceaniche della storia. E il Mediterraneo è il bacino che si sta scaldando più in fretta. Il Mare Nostrum così, oltreché hotspot di biodiversità, è accertato anche come hotspot del cambiamento climatico. Cambiamento che – secondo gli scienziati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – è già in gran parte irreversibile. Anche riducessimo le emissioni di carbonio rispettando gli obiettivi prefissati, il Mediterraneo e la parte di Europa che vi si affaccia andrebbero comunque in contro ad un calo delle precipitazioni, specie invernali, del 20% rispetto ai livelli attuali.

Ma per quale motivo l’area mediterranea è così a rischio? Tra le ipotesi al vaglio – secondo uno studio del 2020 – c’è il persistere di un’alta pressione invernale anomala, la cui genesi è da attribuire alla combinazione di due fattori indipendenti tra loro: le variazioni nella circolazione generale, con effetti soprattutto ad occidente, e la diminuzione locale del contrasto termico tra mare e terra, rilevante più a oriente. La regione mediterranea, inoltre – sottolineano diversi esperti indipendenti nel First Mediterranean Assessment Report – è ora nel complesso più calda di 1,5°C rispetto all’era preindustriale. Con un tasso di +0,33°C ogni 10 anni, questa si sta riscaldando più intensamente e più velocemente del resto del globo. Un riscaldamento particolarmente amplificato nel settore orientale e nelle città. Ad Atene ed Istanbul, ad esempio, sono già state registrate anomalie impressionanti: +6.8°C e +5.9°C rispettivamente. Letali poi le conseguenze, in particolare, sulla fauna marina. In relazione all’aumento delle temperature si stimano, entro il 2050, una riduzione significativa degli stock ittici, ulteriori impatti sulle barriere coralline e l’estinzione del 40% delle specie endemiche di pesci.

Nel complesso, da quello urbano a quello marino, non c’è ecosistema mediterraneo che non risenta degli effetti del cambiamento climatico. Ogni anno, inoltre, gli eventi meteorologici estremi aumentano di intensità e frequenza. Eventi letteralmente imprevedibili, con impatti devastanti sull’agricoltura e la sicurezza umana. Riduzione delle precipitazioni da un lato ed aumento delle temperature dall’altro significano poi incremento della siccità e formazione di nuove terre aride. In questo senso, i Balcani, la Grecia, la Turchia, il Sud Italia (isole maggiori comprese) ed oltre due terzi della Penisola Iberica presentano le criticità maggiori. Il Mediterraneo, poi, come ogni altro mare, è destinato ad innalzarsi a causa dello scioglimento dei ghiacci. Anzi, ad un ritmo di 3,7 mm/l’anno, lo sta già facendo. Le inondazioni marine, così, si prevede saranno più frequenti delle attualmente dominanti esondazioni fluviali. Gli scenari attuali e futuri appaiono quindi catastrofici, il Mediterraneo avrà la capacità di adattarsi? La base di partenza è buona. La sua rinomata bellezza, infatti, ha una genesi legata all’eterogeneità ambientale, una caratteristica determinante resilienza e resistenza a qualsivoglia sistema ecologico. Ma da solo non può farcela. Gestire le attività ittiche in modo sostenibile, ridurre le fonti d’inquinamento, istituire nuove aree protette e aumentare il monitoraggio, sono solo alcune delle azioni che siamo chiamati ad intraprendere. Il Mediterraneo ha ancora tanto da offrire.
[di Simone Valeri]
Guerra Ucraina, allarme Cgia: Italia a rischio stagflazione
Il pericolo che la nostra economia stia scivolando verso la stagflazione – uno stato di stagnazione economica affiancato da una elevata inflazione che produce un aumento del tasso di disoccupazione – è molto elevato: a lanciare l’allarme è l’Ufficio studi della Cgia (Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre), il quale precisa che, seppur il rischio non sia immediato, tale quadro economico potrebbe facilmente verificarsi in Italia. “Il trend sembra essere segnato”, afferma infatti la Cgia, sottolineando che “gli effetti della guerra in Ucraina” nonchè “le difficoltà legate alla post-pandemia” rischiano “di spingere nel medio periodo l’economia verso una crescita pari a zero, con una inflazione che si avvierebbe a sfiorare le due cifre”: uno scenario che, conclude la Cgia, potrebbe “rendere pressoché inefficaci persino i 235 miliardi di euro di investimenti previsti nei prossimi anni dal PNRR”.
Mali, Francia continuerà a fornire supporto aereo all’esercito
La Francia continuerà ad affiancare militarmente il Mali con mezzi aerei per contrastare l’insurrezione islamista nel Sahel. La decisione arriva nonostante l’ex potenza coloniale avesse annunciato all’incirca un mese fa il ritiro dal territorio, dopo l’inasprirsi dei rapporti con il governo del Mali. Le truppe francesi, 2400 in tutto, si trovavano in Mali da un decennio. Parigi ha comunicato che la sua presenza si limiterà tuttavia alle zone libere da “mercenari russi”, il cui numero sul territorio è incerto ma è stimato tra le 400 e le 800 unità.
Il doppio cervello: qualità e quantità
Gli studiosi di comportamento animale potrebbero dire che l’intelligenza, oltre che capacità di adattamento, è imprevedibilità: più un animale è intelligente, meno prevedibilmente si comporta. David Ritchie, quarant’anni fa, in Il doppio cervello (Edizioni di Comunità) spiegava così perché l’uomo, a cui mancano zanne poderose, armi naturali come le spine del riccio, che emana odori così forti che qualsiasi carnivoro saprebbe rintracciarlo in un attimo, l’uomo che è un corridore modestissimo rispetto al ghepardo, l’uomo, che ha un udito scarso rispetto a molti altri animali, è riuscito egualmente a sopravvivere. Se lo ha fatto, è grazie al potere della mente.
Ma l’intelligenza dell’uomo ha portato al paradosso per cui egli ha costruito macchine che non soltanto gli risparmiano i compiti più faticosi o banali, oppure potenziano la sua intelligenza, ma la sostituiscono, per cui sarebbe lecito pensare che la stessa intelligenza umana possa portare o alla propria distruzione o a un nuovo passo evolutivo: “per la prima volta nella storia della vita”, osserva Ritchie, “una specie sta compiendo coscientemente e deliberatamente il passo successivo della propria evoluzione“.
E questo passo comporterebbe, ad esempio, che si sia delegato a sistemi esperti il quadro delle nostre motivazioni ad agire e delle nostre intenzionalità, sapendo essi determinare ciò che spinge le persone ad agire come agiscono.
Fu von Neumann a spiegare come e perché il flusso d’informazioni stia sorpassando la nostra capacità di tenergli dietro. Perché la nostra intelligenza possa continuare a funzionare, dico io, occorrono sistemi di rallentamento.
Ritchie, nel 1982, vedeva invece con favore i biochips, interfacce che possano modulare le informazioni che ci sommergono, quando invece, ovviamente, semplicemente le controllerebbero, rendendoci definitivamente eterodiretti, determinati da centri remoti e occulti di potere.
“Le possibilità che si prospettano sono mirabili. Si potrebbe infilare la spina nella memoria del computer con la stessa facilità con cui ci s’infila le scarpe. Di colpo, la nostra mente si riempirebbe… potremmo diventare tutto d’un tratto degli esperti di qualsiasi materia…”.
Ecco la distopia al lavoro, quella che ti fa immaginare di imparare l’inglese dormendo invece che viaggiando, che ti fa illudere e quindi deludere, invece che convincere, quella che alimenta il sogno di una potenza senza limiti dovuta alla convinzione che la quantità di informazione sia di per sé un bene.
A mio parere è più fruttuoso puntare sul rallentamento, sulla “mente tartaruga”, piuttosto che sul “cervello lepre”. Alla guerra sostituire la mediazione, all’impulso la meditazione, senza ovviamente rendere l’istinto e l’intuito schiavi della ragione.
Tornare dunque a fiutare, a leggere il cielo, a cogliere sensazioni non tangibili, a far lavorare l’anima, affiancare la filosofia alla matematica, sapere usare utensili manuali, cucinare i pensieri senza farli bruciare, bere con attenzione al gusto, senza bersi qualsiasi cosa. Il doppio cervello, insomma, quello però che continua a tenere distinta, come il grande Aristotele, la qualità dalla quantità.
[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]










