domenica 23 Novembre 2025
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Russia, Navalnyj condannato per “frode su larga scala”

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Frode su larga scala e oltraggio alla corte: di questi due reati è stato riconosciuto colpevole Alexei Navalnyj, dissidente politico russo e principale oppositore del presidente Putin, condannato dalla Corte di Mosca a 9 anni di carcere. L’accusa di frode è riferita alla presunta appropriazione indebita dei fondi della Fondazione Anticorruzione fondata da lui stesso, accusa del tutto inconsistente secondo i suoi difensori. L’accusa aveva chiesto una pena di 13 anni di carcere.

Rai, i giornalisti contro l’azienda: basta alla censura delle notizie da Mosca

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Nei giorni scorsi i corrispondenti esteri della Rai hanno condannato fermamente la decisione della televisione di Stato di sospendere i collegamenti con i suoi inviati da Mosca, non informando così su ciò che accade dall’altra parte del conflitto e mettendo di fatto un bavaglio alla libera informazione. Lo si legge in una nota dell’UsigRai – il sindacato dei giornalisti di viale Mazzini – a firma di Daniele Macheda, Segretario UsigRai, e Rino Pellino, fiduciario Corrispondenti Esteri. Da più di tre settimane, infatti, la Rai – così come Mediaset e Ansa – ha sospeso tutti i servizi giornalistici dalla Federazione Russa: la motivazione addotta dai vertici dell’azienda è quella di tutelare i propri corrispondenti dalla legge recentemente approvata dalla Duma che prevede multe e pene detentive per i giornalisti che diffondono notizie false. Tuttavia, secondo i dipendenti Rai ormai non c’è più motivo di proseguire in questa direzione, in quanto tutti i principali network di comunicazione internazionali sono tornati ad operare regolarmente dalla capitale russa. Nell’incipit della nota si legge, infatti, che “Da quasi tre settimane la Rai non trasmette corrispondenze dalla Federazione Russa. Dopo che le principali televisioni europee hanno ripreso a trasmettere regolarmente da Mosca e anche i maggiori quotidiani italiani informano dalla capitale della Federazione Russa con i loro inviati sul posto, la Rai continua a non informare su cosa accade dall’altra parte del conflitto”.

Secondo i giornalisti si tratterebbe di un vero e proprio bavaglio per impedire che trapelino notizie non gradite all’establishment politico in merito agli eventi che riguardano il conflitto ucraino. La nota, infatti, prosegue asserendo che “Ormai lo stop ai servizi giornalistici dalla sede di Mosca più che di un provvedimento cautelare a tutela dei giornalisti del servizio pubblico, assume la forma di un bavaglio imposto dall’amministratore delegato Carlo Fuortes e dai vertici aziendali su improprie pressioni arrivate dai partiti a danno di uno storico e prestigioso presidio giornalistico della nostra azienda”. In altre parole, stando a quanto riportato nel comunicato, saremmo di fronte ad un atto di censura nei confronti di tutte quelle notizie che potrebbero mettere in discussione la narrazione dominante sul conflitto in corso in Ucraina, divulgata a reti unificate da tutti i media occidentali.

Le prime polemiche in tal senso hanno coinvolto in particolar modo il capo dell’Ufficio di corrispondenza Rai da Mosca, Marc Innaro, il più longevo corrispondente italiano dalla Federazione russa, con una profonda conoscenza del territorio e del contesto geopolitico. A seguito di alcune sue dichiarazioni non in linea con i resoconti sul conflitto in corso divulgati dai media mainstream, infatti, è stato accusato da alcuni esponenti di Pd e FI di essere “filorusso”, con il senatore di FI, Francesco Giro, che ha elogiato il direttore del TG2 Sangiuliano per averlo interrotto in diretta, “chiosando che quelle di Innaro erano cavolate”. Proprio dopo le accuse rivolte all’inviato sono stati sospesi tutti i collegamenti da Mosca e anche in questo caso, i corrispondenti esteri della Rai hanno manifestato in un comunicato piena solidarietà al collega, asserendo che contro Innaro “sono state mosse accuse pretestuose e infondate”.

Lo stesso capo-corrispondente da Mosca, interpellato telefonicamente dall’agenzia AdnKronos, si è espresso sulla decisione della Rai di non riprendere i collegamenti dalla capitale russa: «Io sono a Mosca – ha asserito – e constato che ci sono altre testate internazionali che hanno ricominciato ad operare già da tempo, e sono tantissime, dalla Bbc a France Press, Associated Press, Washington Post, giapponesi, indiani, arabi, cinesi. La Rai no. Per me questo stop è una lacuna grave, anche perché come presidi stabili di corrispondenza della stampa italiana a Mosca siamo rimasti solo in due, la Rai e l’Ansa». Proprio per questo, secondo alcune indiscrezioni, dopo le polemiche interne alla Rai suscitate dall’interruzione dei servizi da Mosca, l’azienda starebbe lavorando per riprendere i collegamenti: lo ha riferito il direttore di Rai Day Time, Antonio Di Bella, durante la trasmissione Mezz’ora in più di ieri domenica 20 marzo. Al momento si tratta comunque di mere ipotesi in quanto non vi è ancora alcuna certezza né comunicazione ufficiale al riguardo.

I giornalisti della Rai insistono, dunque, affinché la Tv pubblica riprenda ad informare, consentendo agli inviati di svolgere il proprio lavoro. Nella stessa nota si legge infatti che i corrispondenti esteri “auspicano che la Rai non ceda a pressioni improprie provenienti dall’esterno. Chiedono che i vertici aziendali tutelino il buon nome dei propri dipendenti e che al più presto la Rai riprenda a informare dalla Russia con i suoi corrispondenti della sede di Mosca – osservatorio strategico come non mai in questo momento storico – e con i suoi inviati sul campo”.

[di Giorgia Audiello]

Discorso di Zelensky a Montecitorio: “servono ulteriori sanzioni”

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Ha avuto inizio poco fa il collegamento in diretta del presidente ucraino Zelensky con le Camere riunite a Montecitorio. Il presidente ha dichiarato che “la guerra è preparata da anni da una sola persona che ha lucrato col gas”, riferendosi a Putin, e che l’Ucraina rappresenta “il cancello per l’Europa”, alludendo ad ulteriori mire del presidente russo nel continente. Per tali ragioni “abbiamo bisogno di ulteriori sanzioni”, sostiene Zelensky, che ha anche richiamato la somiglianza della città di Mariupol con Genova per le dimensioni. Il presidente ha poi ringraziato l’Italia per aver accolto oltre 70 mila profughi ucraini. Assenti in sala i deputati di Alternativa e alcuni tra le file dei 5 Stelle e della Lega.

In Spagna la protesta degli autotrasportatori paralizza il settore del commercio

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Entra oggi nel suo nono giorno la protesta degli autotrasportatori spagnoli che si è diffusa a macchia d’olio in tutta la Spagna paralizzando il settore alimentare e comportando perdite stimate intorno ai 600 milioni di euro. A partire da lunedì 14 marzo gli autotrasportatori hanno infatti cominciato a bloccare le strade in varie province spagnole, principalmente per protestare contro il caro prezzi del carburante, che ha subito un’impennata con lo scoppio della guerra in Ucraina. Nella giornata di ieri, lunedì 21 marzo, anche le associazioni che inizialmente avevano preso le distanze dalle proteste hanno lanciato un ultimatum al governo: o soddisferà le rivendicazioni dei trasportatori o prenderanno anche loro parte agli scioperi.

Da più di una settimana gli autotrasportatori spagnoli paralizzano alcune città e bloccano la distribuzione delle merci. Tra le proprie rivendicazioni, la principale riguarda la proibizione dell’appalto dei servizi di trasporto su strada con stime al di sotto dei costi operativi. In seguito all’aumento del costo del carburante, schizzato alle stelle in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, i trasportatori stanno infatti subendo ingenti perdite. Ciò a cui mirano è il raggiungimento un accordo come quello siglato dall’esecutivo francese, che prevede sussidi ai trasportatori per i prossimi 4 mesi nella misura di 15 centesimi al litro per ogni rifornimento. La misura, secondo quanto richiesto, dovrà avere carattere retroattivo e prevedere sanzioni per il mancato pagamento di queste settimane. Tra le altre misure richieste vi sono anche il divieto di carico e scarico da parte dei camionisti e 400 milioni di euro di aiuti pubblici da distribuirsi tra gli addetti ai lavori in misura differente a seconda della grandezza del mezzo, dai 300 euro ai conduttori di furgoncini ai 1300 euro per coloro alla guida di camion per il trasporto di carichi pesanti.

Inizialmente agli scioperi e ai picchetti aveva aderito solamente la Piattaforma spagnola per la difesa del settore del trasporto merci su strada, mentre le maggiori associazioni del settore, rappresentate dal Comitato Nazionale del Trasporto su Strada (CNTC), ne avevano preso le distanze. Questo perché dopo gli scioperi di Natale la CNTC aveva già negoziato alcune misure con il governo: tra queste, attive dal 17 marzo scorso, vi erano il divieto di carico e scarico da parte degli autisti e l’obbligo di aggiornare le tariffe del trasporto in base alle variazioni del prezzo del carburante. Tuttavia le compensazioni non tengono conto dell’ingente aumento dei prezzi dovuto allo scoppio della guerra tra Ucraina e Russia. Per tale motivo nella giornata di ieri CNTC ha voluto sollecitare azioni concrete da parte del governo lanciando un ultimatum: se gli aiuti diretti per far fronte all’aumento del costo del carburante non arriveranno entro breve anche gli associati di CNTC potranno aggiungersi alle proteste.

Per tale motivo, e in seguito all’infruttuoso incontro tenutosi la scorsa settimana con la ministra dei Trasporti, nella giornata di ieri lunedì 21 marzo le associazioni hanno incontrato la vicepresidente e ministro dell’Economia, Nadia Calviño, e la ministra delle Finanze, María Jesús Montero, per dare il via a una nuova sessione di negoziati. Il Governo si è impegnato a concedere 500 milioni di euro in aiuti diretti per l’acquisto di carburante a partire dal primo di aprile, dopo che la misura sarà resa concreta dal Consiglio dei Ministri del 29 marzo, ma senza applicare riduzioni di IVA. La proposta non ha soddisfatto tutti i gruppi del settore, che l’hanno ritenuta poco concreta, motivo per il quale gli scioperi proseguiranno e vi prenderanno parte anche alcuni gruppi afferenti al CNTC.

Nel frattempo, un comunicato delle associazioni del settore dei consumi stima le perdite legate agli scioperi intorno ai 600 milioni di euro. Nei supermercati alcuni beni di prima necessità, come farina, olio e latte, iniziano a scarseggiare per l’effetto congiunto degli scioperi e della crisi ucraina. Paralizzata anche la distribuzione di automobili, mentre l’Associazione Nazionale delle Stazioni di servizio Automatiche (Aesae) ha fatto sapere che gli scioperi stanno causando la mancanza di carburante in alcune stazioni di rifornimento.

La reazione del governo spagnolo, il quale fatica a mantenere il controllo sulla situazione, è stata di criminalizzare coloro che hanno aderito alle proteste, etichettandoli come violenti dell’estrema destra sostenitori di Putin. Nei giorni scorsi sono stati mobilitati 24 mila membri delle forze dell’ordine per garantire il funzionamento dei trasporti, ma non si è dimostrata una misura sufficiente a porre rimedio alla mancanza di rifornimenti. I negoziati non hanno avuto per ora esito positivo e le proteste minacciano di assumere un carattere ancora più vasto: si vedrà nei prossimi giorni se e in che modo il governo riuscirà a gestire la crisi.

[di Valeria Casolaro]

 

Monthly report: Scuola e formazione, i progetti delle élite contro le lotte studentesce

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Da mesi le mobilitazioni degli studenti in Italia si susseguono. Rigorosamente al riparo dalle strabiche agende dei principali media da ottobre a oggi sono state occupate centinaia di scuole, si sono moltiplicati i cortei di protesta, sono nati decine di collettivi. Una intera generazione spesso ingiustamente additata come impigrita dalla realtà virtuale e poco combattiva sta cercando di prendere in mano il proprio futuro dopo due anni in cui gli è stato ordinato di rimanere chiusa in casa allo scopo di proteggere i nonni. Mentre gli esami di maturità si avvicinano, in questo nuovo numero del monthly report abbiamo deciso di fare luce sul mondo della scuola e dell’università, per capire cosa contesta e cosa chiede quella che passerà alla storia come generazione Dad. Abbiamo incontrato i ragazzi e le ragazze in lotta entrando dentro una scuola occupata a Torino, dando voce a una generazione che come prima cosa – per quanto ingenuamente paradossale possa sembrare – occupando le scuole cerca di riappropriarsi della normalità dello stare insieme tra coetanei, riscoprendo quel mondo fatto di spazi e incontri reali che per troppo tempo gli è stato precluso.

Ma interpretare quanto accade nelle scuole come semplice reazione alla pandemia sarebbe una restrittiva banalizzazione. La generazione Dad è infatti anche la generazione dell’alternanza scuola-lavoro, della competizione insegnata come caposaldo sociale, dell’ideologia dell’efficienza che sta trasformando scuole e università da luogo di formazione di coscienze critiche a luogo di programmazione di forza lavoro formata in base alle esigenze dell’economia. Di neologismo in neologismo la generazione Dad è anche la generazione Ted, nel senso dei nuovi licei per la Transizione Ecologica e Digitale approvati nel silenzio del dibattito pubblico dal governo Draghi. I licei Ted sono i luoghi di formazione pensati al servizio della cosiddetta società 4.0, con tanto di programmi formativi scritti dal personale ministeriale in collaborazione con multinazionali e grandi aziende italiane ed estere. L’ideale approdo finale di 30 anni di riforme che hanno progressivamente posto la formazione al servizio dell’impresa con il beneplacito di tutti i governi, di destra, tecnici e di sinistra. Sono dinamiche che gli studenti hanno colto con molta più lucidità di quanto si potrebbe pensare, ponendole nel mirino delle proteste e chiedendo che la scuola torni ad essere luogo posto al servizio dell’interesse pubblico degli studenti e non di quello privato delle aziende.

Indice:

  • Generazione DAD: cosa rimane dell’apprendimento se si sta soli?
  • Libertà è partecipazione e autogestione: reportage da un liceo occupato
  • I miei 40 anni di insegnamento universitario, cercando di leggere i segni
  • 30 anni di riforme hanno progressivamente posto la scuola italiana al servizio del mercato
  • Nuovi Licei TED: l’Italia progetta la scuola di domani insieme alle multinazionali
  • Cos’è realmente l’alternanza scuola-lavoro (e perché gli studenti vogliono abolirla)
  • Scuola: l’educazione come processo di socializzazione
  • Le scuole differenti: dall’istruzione parentale al metodo Montessori
  • Baby gang: il “mondo di mezzo” dei ragazzini
  • Le gang minorili come fenomeno sociale: intervista al sociologo Franco Prina
  • Arte e moda: l’Italia non forma alle sue eccellenze
  • Educazione civica: dove la scuola si tira indietro
  • Fare come la Francia: Basterebbe poco per migliorare il diritto allo studio
  • Essere e Avere, un film di Nicolas Philibert

Il mensile, in formato PDF, può essere scaricato dagli abbonati a questo link: lindipendente.online/monthly-report/

USA, divieto di viaggio per funzionari cinesi per “atti repressivi”

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Il Dipartimento di Stato statunitense sta imponendo divieti di viaggio ad alcuni funzionari cinesi ritenuti responsabili di repressione nei confronti di minoranze etniche e religiose, giornalisti, difensori dei diritti umani ed esponenti della società civile. I nomi dei funzionari colpiti dal provvedimento non sono stati resi pubblici. La mossa si aggiunge alle restrizioni sui visti già volute da Trump con il pretesto della repressione dei musulmani uiguri da parte della Cina. Le sanzioni arrivano a pochi giorni di distanza dai colloqui tra Biden e Xi Jinping riguardanti la crisi ucraina e le difficili relazioni tra i due Paesi per quanto riguarda i rapporti con Taiwan.

Ucraina: Zelensky abolisce la libertà dei media e mette fuorilegge l’opposizione

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Oltre che con le armi, il conflitto tra Ucraina e Russia continua a essere combattuto da ambo le parti a colpi di censura. Dopo la decisione dell’Unione europea di interrompere l’informazione fornita da RT e Sputnik, media accusati di fare propaganda per conto del Cremlino, e la nuova legge varata in Russia contro le fake news legate alla guerra, sembra sia arrivato anche il turno di Volodymir Zelensky. Ieri sera il presidente ucraino ha, infatti, firmato un nuovo decreto con cui ha accorpato tutti i canali tv ucraini per creare “un’unica piattaforma informativa” per “una comunicazione strategica”. Nella stessa misura è prevista la limitazione delle attività condotte da 11 partiti politici ucraini d’opposizione, alcuni dei quali accusati di avere legami diretti con Mosca. Il decreto avrà validità fino a quando resterà in vigore la legge marziale, rinnovata fino al 25 aprile.

Sulla prima disposizione è intervenuto Mykhailo Podolyak, consigliere di Zelensky, che a Bruxelles ha assicurato: «Le reti verranno unificate, ma non chiuse». Ciò non toglie che in Ucraina andrà in onda giorno e notte un contenuto singolo, che consisterà «principalmente in programmi informativi e analitici». Per quanto riguarda, invece, la seconda misura, il Consiglio nazionale della difesa si è appellato alla “tutela della sicurezza” del Paese e ha deciso così di sospendere l’attività di 11 partiti d’opposizione. Tra questi, emerge “Piattaforma d’opposizione – per la vita”, organizzazione partitica che occupa 44 seggi (su 450) alla Rada, il Parlamento ucraino. Silenziare parte dell’opposizione di Kiev è «un altro errore che dividerà il Paese», ha commentato Vyacheslav Volodin, presidente della Duma di Stato russa.

[di Salvatore Toscano]

Assad in visita agli Emirati Arabi Uniti, prima volta dal 2011

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Bashir al-Assad, presidente della Siria, ha incontrato il 18 marzo il principe ereditario di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed al-Nahyan, e l’emiro di Dubai, Mohammed bin Rashid al-Maktoum, per la prima volta dallo scoppio del conflitto in Siria nel 2011. Assad e al-Maktoum avrebbero discusso di “questioni di interesse comune”, tra le quali l’integrità territoriale della Siria e il ritiro delle forze straniere dal Paese. Secondo al-Jazeera, citata da Sicurezza Internazionale, sarebbero numerosi i Paesi del mondo arabo che starebbero cercando di riallacciare i legami con Assad, insistendo perché gli USA allentino le sanzioni su Damasco.

In migliaia scendono fra le strade di Napoli per dire no alle mafie

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Oggi 21 marzo si è tenuta a Napoli la 27^ Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, riconosciuta ufficialmente dallo Stato italiano attraverso la legge n. 20 dell’8 marzo 2017. Dopo il raccoglimento accanto ai familiari delle vittime e la veglia interreligiosa di preghiera avvenuta ieri, decine di migliaia di persone hanno dato vita al corteo promosso da Libera e Avviso pubblico, a cui si sono aggiunti diversi enti e associazioni nazionali, tra cui CGIL e UIL. Oltre trecento sono stati i pullman giunti da tutto il Paese nel capoluogo partenopeo, piazza principale della manifestazione che si è svolta in contemporanea in diverse città italiane, da nord a sud.

Il corteo ha attraversato il centro della città, dirigendosi verso Piazza del Plebiscito. All’altezza di piazza Municipio, sede del Comune di Napoli, si sono uniti il sindaco Gaetano Manfredi, il presidente della Camera Roberto Fico e il leader del M5S Giuseppe Conte. Quando il corteo è giunto a destinazione sono stati letti i nomi di tutte le 1055 vittime innocenti di mafia: molti di questi sono stati impressi su dei cartelloni e tenuti alti durante la manifestazione, chiusa dall’intervento del presidente di Libera, don Luigi Ciotti.

Paolo Castaldi, vittima innocente di mafia a Pianura (Napoli)

Anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha inviato un messaggio ai manifestanti: «Memoria è impegno. Onorare chi ha pagato con la vita il diritto alla dignità di essere uomini, opponendosi alla disumanità delle mafie, alla violenza, alla sopraffazione contro la propria famiglia, contro la comunità in cui si vive. Memoria è richiamo contro l’indifferenza, per segnalare che la paura si sconfigge con la affermazione della legalità. Perché combattere le mafie significa adempiere alla promessa di libertà su cui si fonda la vita della Repubblica».

[Di Salvatore Toscano]

Due anni di restrizioni hanno aumentato i problemi di alcol tra i ragazzi

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Negli scorsi giorni, durante la conferenza stampa sul decreto Riaperture tenuta dal Presidente del Consiglio Mario Draghi e dal Ministro della Salute Roberto Speranza, le politiche anti Covid italiane sono state ampiamente elogiate, con il green pass che, ad esempio, è stato definito «un grande successo». C’è però un altro lato della medaglia su cui non è stata posta l’attenzione durante l’incontro con i giornalisti, ovverosia quello degli importanti problemi di alcol tra i più giovani con ogni probabilità connessi alla situazione emergenziale: come ammesso dallo stesso Speranza alla Conferenza nazionale alcol 2022, infatti, «c’è un consumo significativo tra i giovani ed un aumento del consumo fuori dai pasti», il che potrebbe essere stato determinato dagli «ultimi due anni che abbiamo vissuto». Dichiarazioni che certamente non sono frutto del caso, emergendo essi dalla relazione al Parlamento sugli interventi realizzati nel 2021 in materia di alcol e problemi correlati, recentemente trasmessa dal Ministro della Salute alle Camere.

Dall’analisi, che illustra il quadro epidemiologico sul fenomeno alcol nel nostro Paese aggiornato al 2020, si evince infatti non soltanto che nell’anno della pandemia in Italia sono stati 8,6 milioni i consumatori di alcol a rischio – in aumento rispetto al 2019 sia per quanto riguarda gli uomini (+6,6%) che le donne (+5,3%) – ma che per quasi 800mila di essi si sia trattato di minori. “Il consumo di bevande alcoliche tra i giovani permane una criticità”, si legge nel report, nel quale si sottolinea altresì che “i comportamenti a rischio sul consumo di alcol nella popolazione giovanile sono particolarmente diffusi nella fascia di età compresa tra i 18 e i 24 anni. Nel 2019 il consumo abituale eccedentario nella classe di età 18-24 anni era l’1,7%”, mentre “nel 2020 il consumo abituale eccedentario nella stessa classe di età è stato il 2,5%”, viene specificato in tal senso nella relazione. Tra i comportamenti a rischio, inoltre, c’è il “binge drinking” (o assunzione di numerose bevande alcoliche al di fuori dei pasti e in un breve arco di tempo), che rappresenta l’abitudine più diffusa e consolidata. Nel 2019, il fenomeno “riguardava il 16% dei giovani tra i 18 ed i 24 anni di età” mentre “nel 2020 il fenomeno ha riguardato il 18,4% dei giovani tra i 18 ed i 24 anni di età”.

Si tratta dunque di una tendenza in crescita, che non fa che aggiungersi a tutta una serie di altri problemi connessi alle restrizioni pandemiche. Quanto emerso dalla relazione, infatti, costituisce l’ennesima prova del fatto che due anni di misure anti Covid abbiano generato diverse difficoltà soprattutto nei giovani. Basterà ricordare che, come confermato da diversi studi scientifici, due anni di lockdown e restrizioni hanno portato un grande numero di bambini e ragazzi ad avere problemi seri a livello psicologico, inclusi disturbi da stress post-traumatico, ansia, depressione e tentativi di suicidio. Una pandemia nella pandemia alla quale non si presta la necessaria attenzione e su cui, evidentemente, dovrebbe basarsi almeno in parte anche la valutazione degli effetti delle restrizioni anti Covid.

[di Raffaele De Luca]