martedì 21 Ottobre 2025
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Somalia, attentato contro delegati elezioni parlamentari: almeno 6 morti

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Un minibus all’interno del quale viaggiavano alcuni delegati delle elezioni parlamentari somale è stato fatto saltare in aria a Mogadiscio, nella mattinata di giovedì 10 febbraio, causando almeno 6 morti e una dozzina di feriti. La responsabilità dell’attacco è stata rivendicata dal gruppo al-Shabab, legato ad al-Qaeda, il quale starebbe cercando di rovesciare il governo centrale. Le elezioni parlamentari, dopo numerosi rinvii, avrebbero dovuto tenersi il 25 febbraio, ma ora rischiano di essere nuovamente rimandate. I combattenti di al-Shabab sono stati cacciati da Mogadiscio nel 2011, ma controllano ancora ampie zone rurali della Somalia, dalle quali lanciano attacchi contro la capitale e altre parti del Paese.

Nuova Zelanda: assediato il Parlamento, la polizia non riesce a sgomberare l’area

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Nella giornata di oggi a Wellington, in Nuova Zelanda, la polizia ha arrestato 122 persone che da tre giorni stavano occupando l’area del Parlamento per protestare contro le misure anti Covid messe in campo dal governo. Gli agenti infatti si sono recati nella zona antistante al Parlamento per cercare di sgomberare i manifestanti, che si sono rifiutati di lasciare l’area in questione nonostante essa sia stata ufficialmente chiusa questa mattina. Sono quindi scoppiati dei tafferugli, con gli agenti che hanno cercato di liberare con la forza la zona e con la folla che ha gridato «vergogna» ai poliziotti. Questi ultimi, come detto, hanno poi arrestato oltre 120 persone, che adesso rischiano di essere accusate di violazione di domicilio ed ostruzione.

La polizia, che ha altresì fatto sapere (tramite delle dichiarazioni del sovrintendente Corrie Parnell) di aver usato spray al peperoncino nei confronti di alcuni manifestanti che «hanno tentato di violare il cordone delle forze dell’ordine», non è però riuscita a far terminare del tutto la protesta dei cittadini. Certo, come comunicato dalla stessa polizia «il numero di manifestanti è diminuito in modo significativo», ma non tutti hanno abbandonato la zona, motivo per cui anche durante la notte la polizia «manterrà la propria presenza». Diverse strade intorno all’area infatti sono ancora bloccate, e per tale ragione le forze dell’ordine hanno esortato i pendolari di Wellington a «pianificare il loro viaggio di conseguenza». In tutto ciò la polizia ha altresì invitato i manifestanti a rimuovere immediatamente i veicoli, principalmente camion e camper, che bloccano le strade nei pressi del Parlamento.

A tal proposito, infatti, bisogna ricordare che la manifestazione in questione è nata proprio ispirandosi a quella dei camionisti canadesi, che da diversi giorni stanno protestando contro le restrizioni legate al Covid e che recentemente hanno ottenuto una prima vittoria. A Wellington la protesta è iniziata martedì, quando circa un migliaio di persone hanno occupato la zona attorno al Parlamento bloccando le strade con i loro veicoli. Successivamente, poi, alcune di esse hanno piantato delle tende e si sono accampate fuori dal palazzo del Parlamento, con la polizia che appunto oggi – al terzo giorno di protesta – è intervenuta nel tentativo di sgombrarle con la forza.

Da 3 giorni dunque i manifestanti stanno esprimendo con determinazione il proprio dissenso nei confronti delle restrizioni anti Covid ed in particolare dell’obbligo di vaccinazione per alcune categorie di lavoratori, come ad esempio insegnanti ed operatori sanitari. Le autorità però non sembrano al momento voler considerare la loro voce, dato che il primo ministro Jacinda Ardern ha detto di non avere intenzione di incontrare i manifestanti ed ha sottolineato che la maggioranza dei neozelandesi ha invece mostrato il proprio sostegno al programma di vaccinazione del governo.

[di Raffaele De Luca]

Corno d’Africa, Onu: 13 milioni di persone soffrono fame estrema

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«Il Corno d’Africa sta vivendo le condizioni più aride registrate dal 1981, con una grave siccità che ha lasciato circa 13 milioni di persone in Etiopia, Kenya e Somalia ad affrontare una grave fame nel primo trimestre di quest’anno»: è quanto comunicato dal Programma alimentare mondiale (Pam), l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza alimentare. Quest’ultima fa sapere che «tre stagioni delle piogge consecutive mancate hanno decimato i raccolti e causato morti di bestiame insolitamente elevati», costringendo le famiglie ad abbandonare le proprie abitazioni. Non solo, perché le previsioni di precipitazioni al di sotto della media per i prossimi mesi minacciano di aggravare tali condizioni, motivo per cui c’è bisogno di «un’azione umanitaria immediata», ha affermato il direttore regionale del Pam in Africa orientale, Michael Dunford.

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Rapporto ISS: giovani con dose booster ospedalizzati più dei coetanei che ne sono privi

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Nell’ultimo rapporto “Covid-19: Sorveglianza, impatto delle infezioni ed efficacia vaccinale”, basato sui dati relativi alla pandemia in Italia nelle ultime due settimane vi è un dato che dovrebbe far discutere: le persone di età compresa tra 19 e 39 anni che si sono sottoposte alla terza dose hanno un tasso di ospedalizzazione pari a 28 su 100.000 abitanti, mentre per i coetanei vaccinati con due dosi effettuate da meno di 120 giorni il tasso è di 23 su 100.000 persone. Numeri in entrambi casi molto bassi e sostanzialmente trascurabili (si va dal 0,023 al 0,028%), ma che non sembrano provare l’efficacia della terza dose quantomeno in questa fascia di età.

Se da un lato i dati dell’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità mostrerebbero una certa efficacia del vaccino nel ridurre la possibilità di contrarre il virus (1 su 7 per i non vaccinati, 1 su 16 per i vaccinati con almeno due dosi) e nell’evitare l’ospedalizzazione, dall’altro, mettono in luce un’incongruenza proprio su quest’ultimo aspetto. Le ospedalizzazioni nella popolazione che ha effettuato la dose booster fra i 12 e i 39 anni sono infatti maggiori rispetto alla stessa popolazione vaccinata con ciclo completo da meno di 120 giorni. Nel primo caso, il rapporto dell’ISS documenta 414 ricoveri su 1.463.143 vaccinati, quindi 28 ospedalizzazioni ogni 100.000 persone. Nel secondo, invece, si parla di 23 ospedalizzazioni ogni 100.000 abitanti, con 1.378 ricoveri su un totale di 5.996.404 vaccinati.

Una prima discussione sul tema è stata tenuta su La7, dove è intervenuto il virologo Francesco Broccolo, ammettendo che l’incongruenza emersa dall’ultimo rapporto dell’ISS non è una novità, ed anzi si era registrata anche nei due rapporti bisettimanali precedenti. Nel corso dell’intervento il ricercatore ha poi illustrato due possibili spiegazioni al fenomeno. La prima – che appare tutta da dimostrare – è relativa al comportamento dei vaccinati con dose booster, che abbasserebbero la guardia non prestando particolare attenzione alle raccomandazioni per evitare il contagio. La seconda spiegazione, di natura scientifica, fa appello al fenomeno Ade. In poche parole il potenziamento immunitario del vaccino attiverebbe, vista anche la differenza fra la variante Omicron e il virus nelle sue prime apparizioni (sulle cui caratteristiche è basato il vaccino), una quota di anticorpi non neutralizzanti «che anziché bloccare il virus lo traghetterebbero all’interno della cellula».

D’altro canto diversi studi ipotizzano che la stimolazione ripetuta del sistema immunitario possa portare a una sua compromissione. L’11 gennaio 2022 il capo della strategia vaccinale dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA), Marco Cavaleri, ha rilasciato una conferenza stampa nella quale ha espresso seri dubbi sulla somministrazione ripetuta delle dosi di richiamo, che potrebbero «sovraccaricare il sistema immunitario».

[di Salvatore Toscano]

Legge sul biologico, Camera taglia fuori la biodinamica

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In una votazione tenutasi alla Camera il 9 febbraio riguardante la Legge sul biologico sono stati approvati due emendamenti che eliminano l’equiparazione del metodo biologico a quello biodinamico, costringendo così il testo a tornare in Senato per una rilettura prima del via libera definitivo. La decisione è stata presa in seguito al parere di una parte del mondo scientifico che ritiene l’agricoltura biodinamica una pratica agricola priva di fondamenti scientifici. Gli imprenditori del settore hanno invece fortemente criticato le modifiche.

Con il PNRR l’Europa ci dona soldi? I 528 vincoli da rispettare di cui non si parla

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Quando parliamo di PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) – ovverosia del piano che dovrebbe “rilanciare” l’economia italiana nel contesto del programma Next Generation EU (NGEU) dell’Unione europea, il cosiddetto “Recovery Fund” –, è importante innanzitutto chiarire cosa non è. A differenza di come è stato presentato, il PNRR non è una misura così risolutiva dal punto di vista economico, e soprattutto ipotecherà per gli anni a venire le politiche dei Paesi europei, di fatto segnando un nuovo punto nel loro commissariamento da parte delle istituzioni europee. Nonostante la retorica martellante sul “fiume di soldi” in arrivo dall’Europa, infatti, la verità è che parliamo di cifre non decisive dal punto di vita macroeconomico: circa 200 miliardi spalmati nel corso di sei anni (in parte a debito e in parte “a fondo perduto”). Se a prima vista potrebbero sembrare tanti – e rispetto alle disponibilità economiche comuni lo sono senz’altro – è opportuno ricordare che la spesa pubblica italiana nel 2021 è arrivata quasi a 1.000 miliardi di euro. In altre parole, in un solo anno, l’Italia spende quasi cinque volte i fondi che il PNRR metterà a disposizione dell’Italia nel corso di sei anni. Non è un caso che l’editorialista del Financial Times, Wolfgang Münchau, abbia definito il programma NGEU «macroeconomicamente irrilevante»

Una misura macroeconomicamente irrilevante

D’altronde, è lo stesso Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) a certificare che l’impatto sulla crescita delle risorse del PNRR nel corso di quest’anno e di quello a venire sarà rispettivamente dello 0,4 e allo 0,8 per cento del PIL. Briciole o poco più: altro che rilancio dell’economia. Ciò non sorprende se teniamo conto del fatto che, nonostante il NGEU, gli investimenti pubblici in rapporto al PIL quest’anno si assesteranno comunque al di sotto del livello del 2009. E che i fondi “aggiuntivi” del PNRR in realtà dovranno essere “compensati da riduzioni di altre spese o aumenti delle entrate [al fine di] riequilibrare la finanza nel medio termine dopo la forte espansione del deficit”, come si legge nel PNNRE questo senza considerare che parliamo di soldi che, in un modo o nell’altro, andranno restituiti praticamente tutti (anche quelli “a fondo perduto”). 

Insomma, come palesano gli stessi dati del governo, il PNRR è uno strumento che per il rilancio dell’economia (e soprattutto dell’occupazione) si rivelerà tutt’altro che decisivo. Quello, infatti, richiederebbe cifre ben più rilevanti, nell’ordine di centinaia di miliardi all’anno. Ma se il PNRR non serve a rilanciare l’economia, allora a cosa serve? E perché da un anno a questa parte viene descritto da politici e giornalisti come lo strumento apotropaico da cui dipendono le sorti dell’Italia?

Rafforzare i vincoli europei

La verità è che il PNRR è uno strumento prettamente politico che serve a rafforzare ulteriormente il vincolo esterno europeo (sia a livello concreto che psicologico) e la subordinazione dell’Italia ai centri di comando dell’Unione europea e agli Stati ivi dominanti. I soldi, insomma, si rivelano principalmente un’esca. Per capire perché, dobbiamo guardare alle centinaia di clausole che vanno rispettate per ottenere quelle risorse. Le risorse del PNRR, infatti, arriveranno all’Italia sotto forma di rate semestrali, l’erogazione delle quali è subordinata, da un lato, alla solita disciplina di bilancio (tagli alla spesa pubblica e/o aumenti di tasse) e più in generale a “una sana governance economica”, come già detto, e dall’altro a un dettagliatissimo piano di riforme – illustrate nel PNRR – che convergono sull’obiettivo di abbattere gli ultimi residui di Stato sociale e completare la neoliberalizzazione dell’economia italiana iniziata trent’anni or sono con la firma del Trattato di Maastricht

528 condizioni da rispettare

Per la precisione, parliamo di ben 528 (cinquecentoventotto!) condizioni, illustrate nell’Allegato riveduto della Decisione di esecuzione del Consiglio relativa all’approvazione della valutazione del piano per la ripresa e la resilienza dell’Italia. Queste si suddividono in 214 traguardi da raggiungere e 314 obiettivi quantitativi da conseguire per il tramite di 63 riforme e 151 investimenti. Le misure riguardano quattro ambiti principali – la riforma della pubblica amministrazione (PA), la riforma della giustizia, la semplificazione legislativa e la promozione della concorrenza – e sono tutte ispirate al dogma neoliberale della “eliminazione dei vincoli burocratici” (leggi: controlli pubblici e democratici) che impediscono di “liberalizzare” l’economia, come si legge nel PNRR.

Rientra in tale ambito, per esempio, il decreto-legge 77/2021, che deregolamenta pesantemente le procedure di appalto, derogando ad una serie di prescrizioni poste a tutela dell’ambiente e della legalità delle procedure (accertamenti relativi alla compatibilità ambientale, verifiche antimafia ecc.), con il probabile risultato di facilitare le speculazioni edilizie. Questo obiettivo sarà ulteriormente favorito dalla carenza ormai strutturale di organico all’interno delle pubbliche amministrazioni e degli enti controllori, che il PNRR non fa nulla per risolvere, anzi: posto il divieto di impiegare le risorse del PNRR per finanziare assunzioni a tempo indeterminato, con la conseguenza che i lavoratori impiegati nel contesto del PNRR saranno assunti a tempo determinato, il Piano non farà che acuire la precarizzazione del settore pubblico. 

Rendere più facili sfratti e pignoramenti

Un’altra condizione richiesta dal PNRR, sempre in nome della “semplificazione”, è l’accelerazione delle procedure per l’esecuzione immobiliare, che consentirà alle banche e ai palazzinari di realizzare molto più rapidamente i pignoramenti delle case dei debitori. In tema di giustizia, poi, le istituzioni europee hanno preteso una riforma lampo del processo civile e del processo penale: per accelerare i tempi della giustizia, oggettivamente troppo dilatati, si è però scelta ancora una volta la via della mera semplificazione delle procedure, con il risultato di favorire chi ha le risorse necessarie per tirare i processi per le lunghe, a scapito dei comuni cittadini. 

Insistere con le privatizzazioni forzate

Ma è nell’ambito della “promozione della concorrenza”, delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni che rientrano molte delle condizioni previste dal PNRR, finalità per la quale si preannuncia una capillare e “sistematica opera di abrogazione e modifica di norme anticoncorrenziali”, comprendente “la rimozione di molte barriere all’entrata dei mercati» e la modifica «in senso pro-concorrenziale” dei “regimi concessori” in praticamente tutti i settori: servizi pubblici locali, energia, trasporti, rifiuti, concessioni stradali. Un primo, importante passo in questa direzione è stato compiuto con il DDL “Concorrenza” approvato a fine 2021 dal governo Draghi, che per la prima volta, in ossequio alle richieste dell’Europa e al progetto che Draghi persegue fin dagli anni Novanta, apre alla privatizzazione di tutti i servizi pubblici locali, nessuno escluso.

Aumentare l’intervento privato nella sanità

Senza alcun senso del ridicolo si dice che il provvedimento ha lo scopo di “promuovere lo sviluppo della concorrenza e di rimuovere gli ostacoli all’apertura dei mercati […] per rafforzare la giustizia sociale, la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici, la tutela dell’ambiente e il diritto alla salute dei cittadini”. Peccato lo stesso DDL ribadisca la volontà di continuare a foraggiare le strutture sanitarie private, che ogni anno ricevono dallo Stato oltre 40 miliardi di euro, con un peso del privato che negli anni è andato vieppiù crescendo rispetto al pubblico. D’altronde l’attuale presidente dell’Authority sulla concorrenza lo aveva detto chiaramente: «Alla sanità serve più privato». E così sarà. Con buona pace della salute dei cittadini e della retorica nauseabonda degli ultimi due anni. 

Insomma, quale sia la direzione in cui vanno le condizionalità del PNRR è fin troppo evidente. Ma c’è un altro punto da tenere a mente, ovverosia che nuove riforme possono aggiungersi in qualunque momento. I paesi beneficiari delle risorse UE, infatti, dovranno rispettare le raccomandazioni specifiche per paese (country-specific recommendations) redatte ogni anno dalla Commissione, che abbracciano praticamente ogni aspetto della politica economica dei paesi membri – politica fiscale, mercato del lavoro, welfare, pensioni ecc. –, oltre ai nuovi obiettivi (“Green Deal” e digitalizzazione), in linea con la sorveglianza rafforzata dei bilanci nazionali prevista dal Semestre europeo. Per avere un’idea del tipo di “raccomandazioni”, si consiglia la lettura di un recente rapporto commissionato dall’europarlamentare della Linke Martin Schirdewan, che si è preso la briga di studiarsi tutte le raccomandazioni formulate dalla Commissione europea nell’ambito del Patto di stabilità e crescita e della Procedura per gli squilibri macroeconomici tra il 2011 e il 2018. 

Smantellare le tutele sul lavoro

I risultati sono da far accapponare la pelle. Lo studio mostra come, oltre ad insistere ossessivamente sulla riduzione della spesa pubblica, la Commissione si sia concentrata in particolare sulla riduzione della spesa relativa alle pensioni, alle prestazioni sanitarie e all’indennità di disoccupazione, oltre a chiedere il contenimento della crescita salariale e la riduzione delle misure di garanzia della sicurezza sul lavoro. In particolare, dall’introduzione del semestre europeo nel 2011 fino al 2018, la Commissione ha formulato ben 105 raccomandazioni distinte nei confronti degli Stati membri affinché aumentassero l’età pensionabile e/o riducessero la spesa pubblica relativa alle pensioni e all’assistenza per gli anziani. Inoltre, ha anche formulato 63 raccomandazioni ai governi affinché riducessero la spesa per l’assistenza sanitaria e/o esternalizzassero o privatizzassero i servizi sanitari

Infine, la Commissione ha formulato 50 raccomandazioni volte a reprimere la crescita dei salari e 38 raccomandazioni volte a ridurre la sicurezza sul lavoro, le tutele occupazionali contro il licenziamento e i diritti di contrattazione collettiva di lavoratori e sindacati. Storicamente, però, alla Commissione sono sempre mancati strumenti idonei per obbligare gli Stati al rispetto delle proprie disposizioni. Un “difetto” a cui Bruxelles ha oggi trovato il modo di supplire proprio con il programma NGEU, che per la prima volta offre alla Commissione un dispositivo efficacissimo per imporre le proprie raccomandazioni anche ai governi più recalcitranti, riassumibile nel concetto “niente riforme, niente soldi”

Un dispositivo che trasuda ideologia neoliberale

In pratica, con il PNRR, non solo si conferma la funzione principale dell’Unione europea nella sua essenza di dispositivo neoliberale, ma assesta l’ultimo colpo, sostanzialmente mortale, alla sovranità democratica italiana, anche da un punto di vista meramente formale. Con il PNRR, infatti, l’Italia si è impegnata a realizzare una serie di riforme su un arco temporale che supera abbondantemente l’orizzonte politico del governo in carica. 

Come scrive il collettivo di economisti Coniare Rivolta: «Non importa quali siano i prossimi governi, cosa votino i cittadini, quali maggioranze parlamentari possano affermarsi: fino a che l’Italia resta nel campo della compatibilità con la cornice istituzionale dell’Unione europea, il paese ha già tracciato davanti a sé un programma politico che, passando per le tappe forzate scandite dal PNRR, eroderà i residui diritti sociali e imporrà, in misura ancora più pervasiva, l’interesse privato di pochi sul benessere collettivo della popolazione. Il principio che si afferma con il PNRR è chiaro: la politica economica del nostro paese viene esplicitamente determinata all’infuori del processo democratico. Non più solamente per quanto riguarda i livelli di spesa pubblica, limitati entro i vincoli di bilancio imposti da Maastricht in poi, ma anche il suo contenuto e tutte le riforme che fanno da contorno al processo di deregolamentazione dei mercati in favore dei profitti privati». 

D’altronde, l’ha detto chiaramente lo stesso Draghi quando, mentre cercava di convincere i partiti ad eleggerlo al soglio quirinalizio, aveva ammonito sul fatto che il solco della politica economica per i prossimi anni era ormai tracciato: «Il governo ha creato le condizioni perché il PNRR continui indipendentemente da chi ci sarà [alla guida del governo]», sostanzialmente confermando che al giorno d’oggi le elezioni non contano quasi più nulla, dal momento che le decisioni determinanti vengono prese altrove, ovvero negli apparati tecnocratici dello Stato incaricati di attuare i diktat dell’UE – dettati che oggi, grazie al PNRR, sono più forti che mai.

[di Thomas Fazi]

Recensioni indipendenti: “Dove bisogna stare” (documentario)

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«In Italia oltre 10.000 migranti in fuga da guerre, persecuzioni, catastrofi naturali e miseria, vivono senza un tetto sulla testa e con gravi difficoltà di accesso al cibo, all’acqua e alle cure mediche essenziali. Queste persone sono escluse dai programmi di assistenza finanziati dallo Stato». Esistenze sospese a seguito dei tagli effettuati con l’applicazione del Decreto Sicurezza ancor più inasprito dal 113/2018 che abolisce di fatto la protezione umanitaria e stabilisce che, chi risulta ancora in Italia con questo titolo ottenuto in precedenza non ha più diritto all’accoglienza. Una situazione alla quale non si riesce a dare una adeguata soluzione in un paese incapace di governare il fenomeno se non con la perenne e deleteria logica dell’emergenza.

Questo film documentario di 97 minuti, presentato fuori concorso in TFF Doc al Torino Film Festival, e diretto da Daniele Gaglianone e Stefano Collizzolli prodotto da ZaLab in collaborazione con Medici Senza Frontiere, racconta, a differenza di altri documentari sul tema delle migrazioni, l’iter dei rifugiati che intendono usare il nostro paese come punto di passaggio verso altre destinazioni e dà una possibile risposta ad un problema che quella gente, spogliata da qualsiasi diritto, talvolta, perseguitata e ferita dall’ulteriore deprimente esperienza fatta in Italia si trova ad affrontare. Dove Bisogna Stare è un documentari che ci induce alla riflessione: quale responsabilità abbiamo sul nostro destino e quello di altri esseri umani? Come dovremmo confrontarci con quello che sta succedendo nel mondo e quanta partecipazione ci sentiamo di dare a ciò che ci è più vicino? Una risposta può essere l’impegno di grande umanità preso da quattro donne italiane, di età diverse e in luoghi diversi, che hanno deciso di impegnarsi, spontaneamente e gratuitamente, nella cura e nell’accoglienza di migranti e rifugiati. Elena in un paese di frontiera della Val Di Susa, aiuta molti migranti che rimangono bloccati e non riescono a passare il confine blindato e rischiano di morire di freddo cercando di attraversare le montagne per arrivare in Francia. Jessica ventunenne gestisce l’organizzazione di accoglienza in una grossa complesso abitativo occupato, al centro sociale Rialzo di Cosenza. Giorgia ventiseienne ex segretaria di una azienda di Como, è impegnata a combattere quotidianamente con la guardia di frontiera da quando la Svizzera ha cambiato politica e sono entrate in vigore nuove e più severe leggi sull’accoglienza. Lorena una psicoterapeuta in pensione, a Pordenone si occupa dei rifugiati in una vecchia e fatiscente struttura in disuso da anni nella zona industriale dove trovano riparo Pakistani, Afghani e Bengalesi  non riescono ad entrare nei percorsi di accoglienza istituzionali. Donne diverse e lontane geograficamente che si sono trovate davanti alla stessa scelta e vedendo la realtà con i propri occhi, hanno deciso di muoversi, agire attivamente e non voltarsi dall’altra parte mostrandoci quattro ritratti ma come fossero un unica oggettività.

Le seguiamo nelle quotidiane lotte per mettere al centro di tutto la vita e la dignità con umanità e giustizia per tutti quelli che ne hanno bisogno, mostrando che anche nel piccolo qualcosa si può realizzare facendolo sembrare una cosa normale anche se per questo atteggiamento si rischia l’incomprensione, talvolta il dileggio, si perdono amicizie e si viene giudicati o strumentalizzati. Una storia tutta al femminile dove queste quattro donne ci danno una grande lezione di vita mostrando di aver ben compreso “dove bisogna stare”. Loro fanno parte dell’Italia che agisce e così, come sarebbe dovere di ogni essere umano fare, in contrapposizione al fenomeno che emerge con forza dalle contraddizioni e dalle ingiustizie della nostra società, con una grande semplicità hanno un comportamento così spontaneo e familiare verso i rifugiati, da creare una confidenza e un’armonia talvolta commoventi.

«Il mondo dovrebbe essere così: chi ha bisogno, va aiutato»                                               Gino Strada

[di Federico Mels Colloredo]

Svizzera, 13 febbraio referendum per abolire test su animali

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Domenica 13 febbraio la Svizzera voterà per decidere se diventare il primo Paese a vietare completamente i test medici sugli animali. Il referendum è stato reso possibile grazie all’iniziativa di un gruppo di animalisti che ha ricevuto sostegno in tutto il Paese. Il risultato della votazione sarà vincolante. La possibilità di una eventuale abolizione della sperimentazione sugli animali ha sollevato forti critiche da parte del settore farmaceutico, che ha sottolineato come in questo modo sarebbe preclusa la possibilità di sviluppare nuovi farmaci. Alcuni medici sostengono tuttavia che vi siano alternative meno crudeli, come l’utilizzo di biochip, le simulazioni al computer e il microdosaggio sugli esseri umani.

Le periferie d’Italia come il sud del mondo: arrivano le ONG per aiutare i poveri

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Nelle periferie di Milano ha preso il via il 7 febbraio la campagna della ONG Azione contro la fame: grazie alle donazioni telefoniche della popolazione verranno raccolti i fondi per aiutare 50 famiglie vulnerabili, soprattutto nuclei con minori, donne incinte e coppie con lavori instabili. La campagna di donazioni terminerà il 13 febbraio. L’intervento segna l’avviarsi di un modello d’azione inedito per l’Italia, dal momento che le iniziative delle Organizzazioni Non Governative vengono abitualmente attivate nei Paesi svantaggiati del Sud del mondo o in grave crisi economica e sociale. Provvedimenti di questo tipo richiamano quindi l’attenzione sulla progressiva svalutazione del welfare in Italia, che comporta la mancanza di politiche adatte al sostegno della popolazione.

Dove il welfare viene drasticamente a mancare, bisogna porre delle toppe. Le misure sussidiarie introdotte dallo Stato per ovviare alla mancanza di benessere sociale si moltiplicano con il galoppare del neoliberismo: dal reddito di cittadinanza all’assegno sociale, gli aiuti somministrati in maniera occasionale sono volti a rattoppare qua e là il disagio sociale. Così lo Stato pone rimedio a problemi quali la disoccupazione, l’inadeguatezza dei contratti di lavoro e l’incongruità dei salari (ricordiamo che l’Italia è uno dei pochi Paesi europei a non avere ancora introdotto alcuna regolamentazione sul salario minimo e dove, in aggiunta, gli stipendi sono in discesa dal 2009).

Tuttavia, che fosse necessario l’intervento di un’organizzazione umanitaria, quindi privata, è una novità se si pensa che l’intervento è mirato alle periferie di una delle città più sviluppate di un Paese del  cosiddetto “Primo mondo”. L’intervengo della campagna Azione contro la fame, denominato Mai più fame: dall’emergenza all’autonomia, mira ad aiutare inizialmente 50 famiglie povere della periferia di Milano.

Azione contro la fame è un’organizzazione umanitaria nata in Francia nel 1979, il cui scopo è combattere la fame nel mondo. Ha sede in 48 Paesi e diversi progetti attivi in Palestina, Georgia e alcuni Paesi dell’America Latina. La rete dei suoi partner comprende importanti realtà quali la Fondazione Cariplo, il Politecnico di Milano, la Croce Rossa Italiana, Terres des Hommes Italia e molte altre.

Per le famiglie della periferia di Milano, la ONG prevede un intervento che combina il sostegno alimentare immediato e la costruzione dell’autonomia alimentare a lungo termine. In pratica alle famiglie verrà concesso un sussidio di 100 euro al mese per 4 mesi e materiale informativo e sessioni di nutrizione per una corretta “educazione alimentare”. Emerge qui con forza il secondo fattore problematico della questione, ovvero l’approccio paternalistico al problema della povertà: le famiglie svantaggiate vanno educate sui temi della corretta alimentazione per sé e i propri figli, dando per scontato che non siano capaci di compiere scelte adeguate in autonomia.

Una misura di tal genere, peraltro disponibile per un periodo di tempo assai breve, non risolverà certo le cause alla base dell’impoverimento della popolazione. Secondo quanto rilevato dall’ISTAT nel 2020 erano 2 milioni le famiglie in condizioni di povertà assoluta, per un totale di circa 5,6 milioni di individui (il 9,4% della popolazione), segnando un aumento significativo rispetto al 2019. Dato inatteso è che il 47% di queste famiglie vivono nel Nord Italia (167 mila nuclei in più rispetto al Mezzogiorno). La pandemia ha certamente avuto un profondo impatto nel determinare queste condizioni, esacerbando le fratture nella società. In questo contesto il Governo attuale spinge sempre di più verso la privatizzazione dei servizi e i tagli alle spese pubbliche, misure che impattano direttamente sul welfare (basti pensare al caos che hanno creato, in tempo di pandemia, i continui tagli alla sanità). Perseguire in politiche di questo tipo non può portare che al lento soffocamento di chi non ha i mezzi per rialzarsi.

[di Valeria Casolaro]