La multinazionale delle bibite RedBull ha sborsato nove milioni di euro per mettere le mani su 120.000 metri quadri di litorale nel golfo di Trieste. Il complesso è articolato in 60.000 metri quadri di proprietà privata e 65.000 in concessione, e comprende l’area di Marina Monfalcone (Gorizia) con 300 posti barca sino a 40 metri, un cantiere nautico, uno yacht club, la prestigiosa Scuola Vela Tito Nordio nonché caseggiati, giardini e spiagge. Il tutto è stato rilevato direttamente dal titolare della Redbull, il magnate austriaco Dietrich Mateschitz, e l’acquisto – secondo la stampa specializzata – sarebbe stato portato a termine tramite una holding cinese. Il progetto della multinazionale prevede di trasformare l’Isola dei Bagni a Marina Nova nel nuovo regno della vela e della nautica brandizzati Red Bull. Un’operazione che anticipa una dinamica che presto potrebbe diventare realtà sulle coste di tutta Italia.
Nel dicembre scorso la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora relativa al rinnovo automatico delle concessioni balneari, minacciando la procedura d’infrazione nel caso in cui il governo italiano non proceda ad applicare i dettami contenuti nella direttiva Bolkestein che prevede la liberalizzazione delle concessioni balneari. Si tratta di una direttiva destinata a provocare un terremoto nella geografia dei lidi italiani, obbligando di fatto a mettere a bando le concessioni balneari. La questione è spinosa: se da un lato è vero che le concessioni riscosse dallo Stato sono basse, con stabilimenti balneari del valore di milioni di euro che con i canoni attuali pagano pochi spicci di concessione, dall’altro sono evidenti le possibili conseguenze nefaste della riforma, in particolare quella che vedrebbe gli stabilimenti balneari gestiti da famiglie (che spesso hanno riversato i risparmi per rilevarli) finire nelle mani di grandi imprenditori, fondi finanziarie o multinazionali contro i quali i gestori attuali avrebbero ben poche possibilità di concorrere nelle gare di appalto.
L’Italia fino adesso è stata restia ad applicare la direttiva europea e, pur avendola ratificata nell’ormai lontano 2010, ha provveduto a rinviarne costantemente l’applicazione. L’ultima modifica di legge approvata durante il governo Conte I (la 145/2018) ha disposto l’estensione delle concessioni balneari fino al 31 dicembre 2033, giustificandola come un “periodo transitorio” necessario ad attuare una riforma organica del settore, che l’allora ministro del turismo Gian Marco Centinaio stava concordando con Bruxelles. Poi il primo governo Conte è caduto e i successivi esecutivi non hanno portato a termine il lavoro, di qui la decisione della Commissione europea di aprire una procedura di infrazione all’Italia. Il governo italiano ha risposto con una lettera nella quale rimarca di avere bisogno di più tempo, ma questo stringe: le voci di corridoio danno per imminente l’avvio ufficiale della procedura di infrazione e, lo scorso novembre, è arrivata inoltre la sentenza con la quale il Consiglio di Stato ha annullato la validità della proroga al 2033 e imposto le gare entro due anni. Nel frattempo, mentre il governo italiano cerca una via di uscita, la conquista delle coste italiane da parte delle multinazionali è già cominciata.
Mentre i fari sono puntati sull’elezione del nuovo capo dello Stato, continua la crisi occupazionale nel settore automotive. La Bosch annuncia 700 esuberi nello stabilimento di Bari nei prossimi cinque anni, su un totale di 1.700 persone. La Marelli, invece, rende noto il licenziamento entro giugno di 550 dipendenti su un totale in Italia di 7.700 occupati. Soprattutto gli addetti tra Bologna e Torino.
Le motivazioni sembrano convergere tutte su un punto: una transizione ecologica verso le auto elettriche che parrebbe troppo repentina e deleteria per la stabilità dei lavoratori. Il ministero dello Sviluppo Economico (Mise) afferma di conoscere la situazione e di tenerla in costante monitoraggio, ma dati gli ultimi risultati del dicastero guidato dal leghista Giorgetti i lavoratori non si sentiranno certo in una botte di ferro. Ad ogni modo si assicura che un tavolo verrà convocato a breve e vi si parlerà, com’è prevedibile che sia, di un tema che il Ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti aveva già sottolineato, ovvero la necessità che le esigenze ambientali e di sviluppo non confliggano così fortemente con quelle sociali e occupazionali.
Frattanto i sindacati annunciano battaglia, dichiarando che metteranno in campo tutte le iniziative necessarie e vogliono un tavolo generale sull’automotive al Mise. Uno dei settori messi più a dura prova dalle politiche del governo. Le organizzazioni vogliono mettersi a disposizione per assecondare la transizione, salvaguardando però tutti i diritti.
In questi anni la Bosch ha messo a punto quattro nuovi prodotti e appare pronta a compiere la riconversione. Il contraccolpo però andrebbe mitigato con politiche ad hoc di sostegno predisposte a livello di governo centrale e regionale. “L’Italia è la seconda manifattura d’Europa. La difficile prospettiva rappresentata da Bosch a Bari è conseguenza di questa veloce trasformazione del mercato e di politiche europee drastiche, che penalizzano l’Italia più di altri Paesi”, ha detto la Confindustria pugliese.
Insomma pare che l’auto elettrica corra troppo veloce rispetto a noi. Ma è anche vero che i problemi non possono essere imputati solamente alla volontà europea di correre nella sua direzione. Nel corso della pandemia il settore automobilistico è stato molto penalizzato, al di là dei processi che stavano avvenendo all’interno. Tutti ricordiamo i mesi di stop e cassa integrazione, ovviamente legati al fatto che con le restrizioni le esigenze di spostamento su motore erano divenute secondarie. C’è stato poi l’evidente problema dell’approvvigionamento di materie prime, con la carenza dei semiconduttori. Che ha rallentato parecchio diverse produzioni. E ora l’esplosione dei prezzi dell’energia. Ma anche senza voler contare la pandemia, le tensioni all’interno di alcuni siti produttivi non sono una novità, vista la classica altalena della domanda, sia interna che internazionale. Su tutti questi fattori si attende la risposta delle istituzioni. Ad ogni modo una realtà è evidente: se non verranno messi in campo investimenti e strumenti di protezione per i lavoratori occupati nelle aziende inquinanti la transizione ecologica finirà per essere soprattutto a svantaggio della classe operaia.
Anche la quinta votazione per il nuovo presidente della Repubblica italiana si conclude con una fumata nera. Non è riuscito il blitz con il quale il centro-destra ha cercato di fare eleggere ad erede di Matterella la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. 382 i voti ottenuti dalla candidata, ben lontani dal quorum necessario (505) ed anche ben al di sotto dei voti in teoria a disposizione del centro-destra stesso (stimati in circa 457) segno che, nel segreto dell’urna, non tutti i grandi elettori della coalizione hanno seguito le indicazioni dei propri leader di partito.
Una manifestante colpita alla testa da una manganellata - Foto di Valeria Casolaro per L'Indipendente
Torino – Nella mattinata di oggi 28 gennaio a Torino un corteo composto dai collettivi studenteschi di vari licei di Torino si è ritrovato in piazza Arbarello per protestare contro il modello di alternanza scuola-lavoro che ha causato la morte di Lorenzo Parelli, ragazzo di 18 anni ucciso da una trave di acciaio nello stabilimento Burimec di Lauzacco. Non appena il corteo ha cercato di spostarsi dalla piazza, tuttavia, le Forze dell’Ordine hanno iniziato a caricare i ragazzi (la maggior parte dei quali minorenni) picchiandoli con i manganelli e ferendone gravemente alcuni.
Una manifestante colpita alla testa da una manganellata – Foto di Valeria Casolaro per L’Indipendente
«È una cosa vergognosa: appena i ragazzi si sono avvicinati pacificamente alla polizia per chiedere di poter passare per le strade i poliziotti sono partiti con le cariche, picchiandoli con i manganelli»: è quanto afferma a L’Indipendente Pino Iaria, referente di Cobas, unico sindacato presente alla manifestazione tenutasi questa mattina a Torino, in piazza Arbarello. Numerosi studenti dei licei torinesi appartenenti a vari collettivi della realtà cittadina si sono infatti dati appuntamento questa mattina, per protestare contro il sistema del PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento) che portano i ragazzi a dover alternare scuola e lavoro. Un sistema che spesso si traduce nello sfruttamento della forza lavorativa giovane e a bassissimo costo a notevole vantaggio delle aziende e nell’ambito del quale ha trovato la morte Lorenzo Parelli, appena diciottenne.
Un altro manifestante ferito durante la manifestazione di Torino – foto di Valeria Casolaro per L’Indipendente
«Ci siamo trovati qui in piazza stamattina e avevamo intenzione di portare il corteo per le vie del centro, ma la polizia e i carabinieri ce lo hanno impedito. Anzi, quando ci siamo avvicinati al loro cordone hanno iniziato a caricare» ci racconta una giovane studentessa che si trovava sul posto al momento degli scontri. «Ma non è finita qui: una volta capito che non ci avrebbero fatti muovere abbiamo cercato di fare almeno il giro del perimetro della piazza, ma anche in quel caso appena ci siamo mossi la polizia è nuovamente partita con le cariche».
Mentre parliamo, i ragazzi colpiti durante le cariche si scambiano buste di ghiaccio: alcuni hanno i volti ancora coperti di sangue fresco. Sono diversi i giovani che hanno riportato gravi ferite per i colpi dei manganelli, mentre un paio di ragazzi sono stati portati in ospedale dall’ambulanza dopo aver accusato malori durante le cariche della polizia. «Una ragazza è stata portata via priva di sensi, ancora non abbiamo sue notizie» raccontano i ragazzi presenti alla scena. Il presidio è quindi proseguito nella forma di sit-in, mentre le forze dell’ordine sono rimaste a vigilare sino alla fine bloccando tutti gli ingressi della piazza.
Sono numerose le manifestazioni che si stanno svolgendo in tutta Italia contro il controverso sistema del PCTO, che secondo gli studenti porta alla non acquisizione di reali competenze e allo sfruttamento della loro forza lavorativa, senza adeguate garanzie di sicurezza né tantomeno paghe adeguate.
Una immagine della protesta prima delle cariche della polizia – foto di Valeria Casolaro per L’Indipendente
Gli studenti del collettivo hanno fatto sapere che le loro rivendicazioni non si fermeranno qui e che verranno messe in atto diverse iniziative nei prossimi giorni, per portare avanti le proprie rivendicazioni.
Il caffè è la bevanda mattutina preferita da milioni di persone nel mondo, ma in quanti si sono posti il problema se bere caffè sia salutare o meno?
Il caffè è stato oggetto di un lungo dibattito nella comunità scientifica. Nel 1991 il caffè fu inserito dall’OMS, nell’elenco di sostanze probabilmente cancerogene, anche se, nel 2016, venne rimosso dalla lista, poiché la ricerca medico-scientifica, non associò la bevanda ad un aumento del rischio di cancro; al contrario, rilevò una diminuzione del rischio di alcuni tumori nei fumatori che bevono caffè regolarmente. Ulteriori ricerche che si sono susseguite negli ultimi tempi inoltre, suggeriscono che, se consumato con moderazione, il caffè può essere considerato una bevanda salutare.
Il caffè non è cancerogeno, ma c’è un problema
L’OMS lo scagiona nel 2016 dai sospetti dei decenni passati, ma solleva dubbi sulle bevande consumate a temperature molto elevate, che possono causare lesioni sui tessuti molli della bocca e di conseguenza tumori all’esofago. A rimuovere l’etichetta di bevanda “a rischio”, che aveva guadagnato negli anni ’90, è una nuova comunicazione ufficiale della IARC, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell’Organizzazione mondiale della Sanità. Gli esperti della IARC hanno condotto una revisione dettagliata di più di 500 studi sugli effetti del caffè sulla salute, concludendo che non ci sono evidenze scientifiche per considerarlo cancerogeno. Nel 1991, l’organizzazione aveva inserito l’espresso nel gruppo di sostanze 2B, quelle potenzialmente cancerogene, perché sospettato di un legame con il cancro alla vescica.
L’agenzia ha anche analizzato la documentazione relativa al mate, una bevanda a infusione consumata calda in Sud America, dove l’incidenza di tumori all’esofago e al cavo orale è più alta che nel resto del mondo. Neanche il mate è cancerogeno, ma sono le temperature a cui è servito che destano timori: la bevanda è consumata a più di 65°C, spesso con una cannuccia metallica che la introduce direttamente in gola. Questi infusi, dicono gli esperti, consumati a temperature così alte, possono causare piccole lesioni e infiammazioni al cavo orale e quindi essere collegate al rischio di tumori all’esofago. Per questo motivo sono state inserite nella categoria 2A, quella degli agenti “probabilmente cancerogeni” (come la carne rossa). Diversi studi hanno dimostrato che nei Paesi occidentali le bevande come tè, caffè e cioccolata, si consumano a temperature comprese tra i 70 e gli 85°C, che la temperatura preferita al palato per il caffè è di 60°C e che la temperatura ottimale per evitare ustioni è di 57 °C circa.
Un paio di tazzine al giorno sono alleate per la salute
Libero dai sospetti, il caffè può quindi essere giudicato un buon alleato della nostra salute, in persone sane che non soffrono di malattie o disturbi per i quali la caffeina potrebbe essere controindicata (come l’ipertensione) ed evitando gli eccessi (2-3 tazzine al giorno). Sono centinaia le sostanze presenti nella bevanda, che includono molti antiossidanti e composti chimici in grado di prevenire diverse malattie croniche, tra cui i tumori e le malattie cardiovascolari. La caffeina è ritenuta responsabile della diminuzione del senso di fatica, dell’aumento della vigilanza e dell’aumento della motilità intestinale (effetto digestivo). Altri componenti del caffè (tra cui i polifenoli) potrebbero avere effetti preventivi rispetto all’insorgenza di malattie cardiovascolari, della cirrosi epatica e di svariate forme di tumore. In sostanza, consumando un paio di tazzine al giorno, l’individuo sano può godere del piacere di bere un buon caffè senza temere per la propria salute. Non tutte le persone però sono uguali ed è fondamentale capire se si è particolarmente sensibili alla caffeina: l’organismo di alcune persone metabolizza ed elimina la caffeina più lentamente, per cui risente di più e più a lungo dei suoi effetti. E’ il caso di chi sostiene di non dormire bevendo il caffè dopo le 17 o di chi riporta altri effetti collaterali importanti e poco graditi come la tachicardia. È bene che chi non tollera la caffeina si astenga dal consumo di caffè oppure utilizzi il decaffeinato che ne contiene quantità trascurabili.
L’ora migliore per bere il caffè
Nell’arco della giornata, qual è l’orario ideale per assumere caffeina? Dalle 9:30 alle 11:30 del mattino (per chi si sveglia verso le 6:30) ogni istante è quello giusto. Lo affermano le neuroscienze e la crono-farmacologia, un ramo della medicina che mette in relazione l’assunzione di farmaci o sostanze psicoattive con l’andamento del naturale orologio biologico. Il ritmo circadiano – il complesso orologio interno che mantiene l’organismo sincronizzato con i ritmi naturali del susseguirsi del giorno e della notte e delle stagioni – è regolato da gruppi di neuroni specializzati dell’ipotalamo. Queste cellule nervose controllano funzioni basilari come l’alternanza di sonno e veglia e il rilascio di cortisolo, un ormone noto anche come “ormone dello stress”, che attiva il sistema di allerta (in altre parole, ci tiene svegli e in una condizione di vigilanza). Questo meccanismo neuronale lavora in stretta comunicazione con le cellule fotosensibili della retina. Tra le 8:00 e le 9:00 del mattino, quando siamo investiti dalla prima luce del giorno (in estate anche prima), il livello di cortisolo nel sangue raggiunge un picco: è il momento in cui siamo naturalmente più svegli e assumere caffè a quell’ora rischia di non sortire alcun effetto benefico aggiuntivo. Meglio farlo nella fascia oraria tra le 9:30 e le 11:30 quando il livello di questo ormone cala fisiologicamente, per prepararsi al picco successivo (che avverrà tra le 12:00 e le 13:00). Il nostro organismo secerne cortisolo in base a un andamento giornaliero che prevede picchi massimi e picchi minimi: senza considerare particolari situazioni di stress oppure sessioni di intensa attività fisica (in cui se ne produce molto di più), nelle prime ore del mattino abbiamo la produzione massima, che si riduce dalle 9:30 alle 11:30, risale dalle 12:00 alle 13:00, e subisce un’altra riduzione dalle 13:30 alle 17:00. Un ultimo picco massimo si registra dalle 17:30 alle 19:30, infine il livello decresce nelle ore notturne per ricominciare il ciclo il mattino successivo.
Fonte: Enciclopedia Britannica, Andamento giornaliero dei picchi dell’ormone cortisolo
Definendo il cortisolo una sorta di “caffeina endogena”, appare chiaro che i momenti del giorno nei quali il nostro organismo potrebbe avvantaggiarsi maggiormente di una tazzina di caffè sono tra le 9:30 e le 11:30 e a metà pomeriggio. Detto ciò, nessuno potrà mai mettere in discussione il fatto che spesso si beva caffè solo per il piacere di farlo.
I sindacati dei camionisti dell’Ontario hanno annunciato un duro weekend di proteste contro l’obbligo vaccinale imposto per attraversare il confine tra Usa e Canada. Secondo quanto riportato dalla stampa canadese, convogli di camion hanno già bloccato alcune strade di confine e una lunga carovana di autotrasportatori è attesa nella capitale Ottawa, dove la polizia si sta preparando a gestire la protesta, che nelle intenzioni dei promotori bloccherà la capitale per tutto il fine settimana. I media specificano che ancora nemmeno le autorità sanno cosa aspettarsi, ma nelle ultime ore le adesioni da parte dei sindacati all’iniziativa di protesta stanno aumentando, cosa che potrebbe preannunciare un duro weekend di blocchi stradali.
Solitamente, quando le persone lasciano volontariamente il proprio lavoro in massa significa che l’economia è in fase positiva e stabile e che molti credono sia giusto cercare qualcosa di più gratificante e con compenso maggiore, decidendo di mettersi in gioco in un momento in cui le cose vanno generalmente bene. Il periodo pandemico ci consegna però una nuova tendenza: il lavoro viene lasciato in massa in un periodo economico affatto positivo e tutt’altro che stabile. Tale fenomeno è stato chiamato Great Resignation o, altrimenti, Big Quit.
Anthony Klotz, professore di management alla Mays Bu...
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Azioni di disobbedienza civile nonviolenta – tra cui soprattutto blocchi stradali ripetuti – che creino disturbo ed impediscano il normale scorrere della vita economica a Roma: è in questo che consiste la campagna“Ultima Generazione – Assemblee Cittadine Ora” nata all’interno del movimento Extinction Rebellion. Il suo scopo è quello di ottenere una risposta da parte del governo italiano, a cui viene appunto chiesto di istituire entro il 2022 una «Assemblea di Cittadini/e nazionale deliberativa sulla giustizia climatica ed ecologica» che permetterebbe alle persone comuni di «ottenere un cambiamento radicale».
È quanto sostengono gli aderenti al progetto, chiedendo «un’assemblea di Cittadini/e selezionati/e» che prevedrebbe «l’estrazione casuale per formare un campione statistico davvero rappresentativo di tutta la popolazione». In tal senso, l’obiettivo sarebbe quello di «creare una comunità su piccola scala che possa lavorare in modo costruttivo per almeno sei mesi con l’ausilio di esperti e scienziati per elaborare soluzioni concrete alle crisi climatica ed ecologica» per poi elaborare proposte che dovrebbero «essere considerate vincolanti per il governo».
Non solo, perché gli attivisti chiedono inoltre subito un incontro pubblico con alcuni rappresentati del governo, il cui tema sarebbe riassunto nella seguente domanda: «Siamo l’ultima generazione di cittadini e cittadine italiani?». Lo scopo è quello di dibattere apertamente sul futuro dell’Italia e sulla necessità della partecipazione diretta della cittadinanza per fermare l’ecocidio in corso. Punto di partenza che il movimento chiede è che i rappresentanti del governo riconoscano pubblicamente il «fallimento dell’esecutivo e del Parlamento nell’affrontare la situazione climatica ed ecologica drammatica in cui ci troviamo e l’intenzione di accogliere le Assemblee di Cittadini e Cittadine come strumento di partecipazione democratica per deliberare i cambiamenti necessari a livello sistemico».
Il 2021 è stato un anno nero per l’Italia, con oltre 1500 eventi climatici estremi che hanno causato il calo nella produzione del 27% della frutta, del 90% del miele e dell’80% dell’olio. «Già oggi siamo dipendenti dalle catene globali del cibo», affermano gli aderenti al progetto, aggiungendo che «presto non sapremo cosa mangiare».È per sensibilizzare a partire da questo tema che gli attivisti hanno scelto la strada delle azioni di disturbo e dei blocchi stradali. Modalità giocoforza invisa a una parte di cittadini, che presa dalla fretta della quotidianità e dallo stress che già colpisce gli automobilisti bloccati nel traffico spesso non prende bene il fatto di trovarsi il tragitto bloccato da attivisti che protestano per l’ambiente. Con punte di tensione che superano talvolta il livello di guardia, come quando il 17 dicembre gli attivisti hanno bloccato il viadotto della Maglianella e alcuni manifestanti – secondo quanto riportato da Extinction Rebellion – hanno subito spintoni, calci e schiaffi da parte di alcuni automobilisti.
«Non sono le uniche azioni utili che si possano fare e di certo provocano fastidio in alcuni automobilisti» – afferma Michele, attivista di Extinction Rebellion e Ultima Generazione che ha illustrato a L’Indipendente la propria opinione a riguardo – «ma si tratta dell’unico modo di sensibilizzare e far muovere le persone nel breve tempo». Il fine infatti «non è disturbare la cittadinanza bensì creare essenzialmente un nuovo spazio all’interno del movimento». L’idea è quella che la marcia di protesta convenzionale non basti e che occorra «fare qualcosa in più creando conflittualità sociale non violenta» con lo scopo di dimostrare in maniera pratica, mettendo a rischio la propria stessa incolumità nonché rischiando l’arresto, che «se c’è qualcuno disposto a subire violenza senza rispondere significa che il problema denunciato è serio».
Negli Stati Uniti un giudice federale ha annullato la vendita dei contratti di locazione di 37,4 milioni di ettari nel Golfo del Messico, resi disponibili dall’amministrazione Biden per l’estrazione di petrolio e gas. I contratti, che non avevano ancora il permesso di entrare in vigore, sono stati venduti nel novembre scorso, nella più grande vendita di contratti off-shore per l’estrazione di combustibili fossili nella storia degli USA. Nella sentenza il giudice ha criticato l’amministrazione statunitense per i gravi errori commessi nel determinare l’impatto ambientale delle estrazioni e per non considerare nella propria analisi di emissioni di gas serra anche il consumo estero.
Gli scimpanzé (Pan troglody) causano da tempo seri problemi nei villaggi nello Stato dell’Africa orientale, l’Uganda. Questi mammiferi tanto simili agli uomini stanno letteralmente terrorizzando le popolazioni, con una violenza sempre maggiore. Molti abitanti dei villaggi come quello di Kyamajaka, hanno infatti dovuto abbandonare le proprie abitazioni per scongiurare gli attacchi degli scimpanzé selvatici, intensificatosi nel corso degli anni come conseguenza fatale del massiccio intervento umano nel loro habitat naturale.Uno degli episodi più allarmanti e violenti è avvenuto nel 2014, quando un bambino di due anni è stato rapito da uno scimpanzé gigante sotto gli occhi della madre, mentre lavorava in giardino, con i figli vicino. Dopo un’affannosa corsa da parte degli abitanti del villaggio, il corpo del piccolo è stato trovato abbandonato sotto un cespuglio, completamente sviscerato. Un episodio tanto triste e violento nasce purtroppo da un’azione incontrollata da parte dell’uomo e mai davvero modificata, nonostante se ne riconosca da tempo la gravità.
Come riportato in un recente report del National Geographic, con l’esaurimento della terra e delle foreste e l’invivibile carenza di cibo, i primati appartenenti alla famiglia degli ominidi sono stati costretti a procacciarsi cibo altrove. E quell’altrove, è appunto rappresentato dai villaggi dell’Uganda. Alcune abitazioni sono ora vuote e “occupate” dagli scimpanzé, prima abituati a vivere nelle foreste umide dell’Uganda. La famiglia della vittima di due anni ha definitivamente lasciato la propria casa nel 2017, finendo in un luogo ben meno accogliente ma almeno senza i rischi sempre maggiori dettati dall’imponente presenza degli scimpanzé. Sono state la guerra e l’incontrollata deforestazione a distruggere gran parte dell’habitat naturale di questi mammiferi sorprendentemente vicini agli uomini, senza parlare del fatto che la popolazione di scimpanzé è stata decimata. Ecco come la possibile “convivenza” tra uomini e scimpanzé si è trasformata in un vero e proprio conflitto, che lascia vittime da entrambe le parti. Esistono casi in cui questi animali vedono gli esseri umani in maniera disinteressata, perché non percepiscono l’uomo come un nemico o un potenziale rischio. Ma è ormai noto come il comportamento degli scimpanzé cambi a seconda delle circostanze in cui sono immersi. Se la specie umana reca o ha recato danni agli scimpanzé, essi modificano il loro comportamento perché conoscono e percepiscono il concetto di aggressività.
Come gli esseri umani, gli scimpanzé sono onnivori e si adattano per sfruttare nuove fonti di cibo se quelle esistenti scompaiono. Quando sotto minaccia, questi animali difendono il loro territorio contro ogni potenziale rischio, attaccando anche, se necessario, altri gruppi della loro stessa specie. Gli scimpanzé rispondono quindi agli attacchi subiti e lo fanno senza sconti. Come riporta il già citato report del National Geographic, se viene lanciato un sasso a uno scimpanzé, questo risponde a sua volta scagliandone uno. Gli scimpanzé che sono stati attaccati attaccano poi a turno e se diventa necessario, vanno a caccia di carne. Lo studio intitolato Kibale Chimpanzee Project, in cui si analizza il comportamento, l’ecologia e la fisiologia degli scimpanzé selvatici fin dal 1987, è un’ulteriore dimostrazione del peggioramento del comportamento degli scimpanzé nei confronti degli uomini. Non per un istinto naturalmente anti-umano, ma come reazione alle scelte prese dalla “più avanzata” specie umana. E gli scimpanzé rispondono procacciandosi il cibo di cui sono stati privati, organizzando vere e proprie spedizioni, specialmente di sera, verso le abitazioni dei villaggi per poi tornarsene nel loro rifugio nella foresta, sempre più tristemente privo di alberi.
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