martedì 9 Dicembre 2025
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Leonardo festeggia la guerra in borsa: boom delle azioni e previsioni al rialzo

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Il 31 marzo scorso il Senato ha approvato il disegno di legge n. 2562 di conversione del decreto-legge 25 febbraio n. 14, recante “disposizioni urgenti sulla crisi in Ucraina”. Tra queste figura l’aumento delle spese militari fino al 2% del PIL. La misura ha generato tensione nella maggioranza e dubbi fra i cittadini, soddisfacendo invece le aziende italiane produttrici di armamenti, tra cui emerge il leader del settore, Leonardo, che attraverso le parole del suo amministratore delegato, Alessandro Profumo, ha dichiarato che «un potenziale aumento della spesa militare potrebbe portare nuovi rialzi alle stime di crescita rilasciate il mese scorso». D’altronde, dall’inizio della guerra in Ucraina l’azienda ha vissuto un rialzo in borsa di circa il 50%, passando da 6,4 euro per azione (23 febbraio) a 9,3 euro (4 aprile).

Evoluzione valore azioni Leonardo, grafico Reuters

Leonardo ha dichiarato a marzo che nel 2022 il suo flusso di cassa libero, un parametro volto a misurare la reale redditività di un’impresa, sarebbe più che raddoppiato rispetto al 2021 (passando da 209 a 500 milioni di euro), complice l’aumento delle spese militari annunciato da diversi Paesi in seguito all’invasione russa dell’Ucraina. «Stiamo confermando il nostro obiettivo di generare un flusso di cassa cumulativo di 3 miliardi di euro nel periodo 2021-2025, con un significativo passo avanti nel 2022», ha dichiarato Alessandro Profumo. D’altronde, la stessa Leonardo ha reso noto che “tutte le attività hanno recuperato i livelli pre-pandemia, esclusa la divisione Aerostructures, attualmente in fase di ristrutturazione”, il che comporta previsioni relative alle entrate pari a 15 miliardi di euro nel 2022, dopo aver chiuso l’anno precedente con 14,1 miliardi di euro di ricavi.

[Di Salvatore Toscano]

Italia, espulsi 30 diplomatici russi per ragioni di sicurezza nazionale

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Il ministro degli Esteri Luigi di Maio ha annunciato da Berlino, dove si trova in visita, che è stata disposta l’espulsione di 30 diplomatici russi dall’Italia. La misura, secondo quanto dichiarato da Di Maio, «si è resa necessaria per ragioni legate alla nostra sicurezza nazionale, nel contesto della situazione attuale di crisi conseguente all’ingiustificata aggressione all’Ucraina da parte della Federazione Russa». La misura è stata presa «in accordo con altri partner europei e atlantici»: annunci analoghi sono infatti stati rilasciati in queste ore anche dai governi di Germania e Francia.

Stefano Cucchi ha ottenuto giustizia: condannati in via definitiva i carabinieri

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A più di 12 anni di distanza dai fatti, il capitolo conclusivo della vicenda Cucchi è finalmente stato scritto. Alessio di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, i carabinieri che nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009 picchiarono selvaggiamente Stefano, causandogli così lesioni fatali, sono stati condannati in via definitiva a 12 anni di carcere con l’accusa di omicidio preterintenzionale. Per Roberto Mandolini e Francesco Tedesco, gli altri due carabinieri complici nella vicenda, è stato disposto un nuovo processo.

Sono trascorsi oltre 12 anni dalla notte del 15 ottobre 2009, quando a Roma Stefano Cucchi fu fermato con 21 grammi di hashish in tasca. Il 22 ottobre, appena una settimana dopo, Cucchi morirà in una stanza dell’ospedale Sandro Pertini, con il corpo martoriato da quello che in tutta evidenza è stato un violento pestaggio. Dopo anni di depistaggi e omertà, in quello che dopo 150 udienze e 15 gradi di giudizio si configura come un «processo al sistema», come dichiarato dall’avvocato Fabio Anselmo, si è giunti a un punto fermo. I carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele d’Alessandro, responsabili del violento pestaggio ai danni di Cucchi, sono stati condannati in via definitiva a 12 anni di carcere per il reato di omicidio preterintenzionale. Un anno in meno rispetto alla precedente sentenza della Corte d’Appello che li condannava a 13 anni. Rinviati a giudizio Roberto Mandolini, ex comandante della stazione Appia dove ebbero luogo le percosse, e Francesco Tedesco, il carabiniere che per primo ammise la realtà dei fatti. Giovedì 7 aprile si terrà invece l’udienza al termine della quale verrà emessa la sentenza per gli otto carabinieri accusati di depistaggio nelle indagini.

«Stefano non è caduto dalle scale: questo è ciò per cui ci siamo battuti. Io credo nella giustizia e voglio avere fiducia che anche per tutti gli altri reati venga fatta giustizia» dichiara la sorella Ilaria dopo la sentenza, in quello che si configura come uno dei capitoli conclusivi di una battaglia personale durata troppo a lungo. «Dedichiamo questa sentenza definitiva ai vari Tonelli, Salvini e a tutti gli altri iper garantisti che per un decennio hanno sostenuto che Stefano Cucchi era morto di suo, era morto per colpa propria, era morto a causa anche dell’abbandono da parte dei genitori» aggiunge l’avvocato Anselmo.

[di Valeria Casolaro]

Studio: con il Mose rischiano di scomparire le isolette della laguna di Venezia

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Il Mose, ovverosia l’enorme sistema di dighe mobili a scomparsa ideato per difendere la città di Venezia e la sua laguna dal fenomeno dell’acqua alta, potrebbe far sparire le “barene”, isolette che rimangono vive proprio grazie alle alte maree che ciclicamente le ricoprono. È quanto si evince da uno studio condotto da un team di ricercatori dell’Università di Padova, di Ca’ Foscari e della Calabria pubblicato sulla rivista scientifica Science Advances, dal quale emerge che se da un lato il Mose serve a proteggere Venezia dall’acqua alta dall’altro potrebbe mettere a rischio queste piccole isole, composte da terra ed acqua salmastra, che ospitano insetti, uccelli e molluschi.

“La riduzione artificiale dei livelli dell’acqua incrementa la risospensione dei sedimenti indotti dalle onde, favorendo la deposizione nel canale a scapito dell’accrescimento verticale delle paludi salmastre”, si legge nello studio, tramite il quale i ricercatori hanno analizzato gli effetti delle prime chiusure del Mose sull’evoluzione morfologica della Laguna. In tal senso, questi ultimi hanno stimato che “a Venezia le prime 15 chiusure delle paratoie mobili di recente installazione, effettuate tra il mese di ottobre 2020 e quello di gennaio 2021, abbiano contribuito ad una riduzione del 12% della deposizione palustre” (ovvero dell’apporto di sedimento sulle barene), favorendo contestualmente un “infilling” (letteralmente un “riempimento”) del canale. Ciò, dunque, indica che la scomparsa delle barene sia possibile, dato che è il ciclo della sedimentazione a farle innalzare sopra il livello del mare permettendo loro di sopravvivere: quando l’acqua si ritira dopo aver in un primo momento ricoperto le barene, infatti, rilascia materiali che sedimentandosi determinano la loro crescita.

Quindi, si legge nello studio, è “necessario adottare contromisure adeguate per compensare questi processi e prevenire perdite significative di diversità geomorfica dovute alle ripetute chiusure di paratoie, la cui frequenza aumenterà con l’ulteriore innalzamento del livello del mare”. Se non si interviene dunque la morfologia della Laguna potrebbe cambiare, motivo per cui non è di certo un caso il fatto che i ricercatori parlino della necessità di trovare un “compromesso tra le esigenze di salvaguardia delle aree urbane dalle inondazioni e di conservazione dell’ecosistema marino”. In tal senso, concludono gli autori dello studio, soluzioni complementari al Mose – come ad esempio “l’innalzamento artificiale dei marciapiedi nei grandi insediamenti urbani della laguna” – potrebbero essere adottate così da “mitigare gli effetti morfodinamici dannosi legati alle ripetute chiusure”.

[di Raffaele De Luca]

Germania espelle 40 diplomatici russi

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Il governo tedesco ha deciso di espellere 40 diplomatici russi, dichiarandoli “persone non grate”. Lo ha annunciato nelle scorse ore Annalena Baerbock, ministra degli Esteri del Paese, che ha poi dichiarato: «Si tratta di persone che hanno lavorato qui in Germania ogni giorno contro la nostra libertà e contro la coesione della nostra società. Non possiamo più tollerare questa situazione». La decisione è stata poi comunicata all’ambasciatore russo Sergei Nethayev nella serata di lunedì.

Lunedì 4 aprile

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8.00 – Le elezioni in Ungheria e Serbia vedono il trionfo dei candidati sovranisti e neutrali verso il conflitto ucraino: confermati i premier Orban e Vucic.

9.00 – Dopo giorni di incessanti proteste il governo dello Sri Lanka si è dimesso.

9.30 – La città cinese di Shanghai per far fronte ai contagi Covid ha deciso di separare i bambini positivi dai genitori, chiudendoli in luoghi di quarantena.

12.00 – Il Regno Unito sperimenterà la settimana lavorativa di 4 giorni al 100% di stipendio. Per i fautori della misura la produttività rimarrà uguale.

13.00 – Afghanistan: i talebani mettono al bando la coltivazione di cocaina.

14.10 – Rapporto Allied Market Research: il mercato globale di missili e testate nucleari crescera del 73%.

16.00 – Gli Usa chiedono ufficialmente all’ONU di sospendere la Russia dal Consiglio per i diritti umani.

16.40 – Rivolta carceraria in Ecuador: l’esercito uccide venti detenuti.

17.00 – Biden afferma che Putin deve essere processato e che continuerà la fornitura di armi all’Ucraina.

17.55 – Elon Musk acquista il 9,2% di Twitter diventandone principale azionista, boom del titolo in borsa.

 

 

Le elezioni in Serbia e Ungheria premiano i partiti sovranisti e neutrali

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Domenica 3 aprile sia in Serbia che in Ungheria si sono svolte le elezioni parlamentari: si tratta delle prime elezioni in Europa dall’inizio del conflitto in Ucraina che hanno visto vincitori i leader dei cosiddetti partiti “sovranisti”. Sono stati riconfermati, infatti, con maggioranza schiacciante, Victor Orban in Ungheria – al suo quarto mandato – e il presidente uscente Aleksander Vucic in Serbia, che domina la politica del Paese dal 2012. Ciò che contraddistingue i due Paesi è l’indipendenza sul piano politico e geopolitico dalle posizioni istituzionali assunte da Bruxelles. Proprio tale indipendenza ha permesso ai due stati di distinguersi dall’atteggiamento che i Paesi UE hanno assunto nei confronti della Russia, assumendo una posizione neutrale e continuando a mantenere normali rapporti commerciali e diplomatici col Cremlino.

Si tratta degli unici due Stati europei, infatti, che non hanno imposto sanzioni a Mosca e che hanno rifiutato di inviare armi a Kiev, schierandosi per una risoluzione pacifica e diplomatica del conflitto. Proprio per questo, sono spesso designati come Paesi “sovranisti”, termine che ha assunto un connotato spregiativo all’interno del contesto euro-atlantico, finendo per indicare qualunque governo che si discosti dalle decisioni UE e Nato, contrassegnandolo automaticamente come illiberale e autoritario.

La vittoria di Orban in Ungheria

I risultati delle elezioni ungheresi vedono Orban vincitore con il 53% dei voti: la sua coalizione, composta dal partito di governo Fidesz e dai cristiano-democratici di Kdnp ha ottenuto 134 seggi su un totale di 199, superando tutti e sei i partiti di opposizione – unificati in una lista dall’ultracattolico europeista Peter Marki-Zay – che si sono attestati al 35% delle preferenze. Grande l’esultanza del leader ungherese che, a scrutini conclusi, ha affermato: «è una vittoria così grande che si vede dalla Luna e di certo si vede anche da Bruxelles». Da sempre, il leader ungherese è contrario alle politiche “globaliste” e sovranazionali dell’Unione Europea e la vittoria elettorale gli ha fornito l’occasione per ribadire la sua contrarietà al sistema decisionale comunitario che spesso scavalca la volontà dei parlamenti nazionali.

Ma a far prevalere Orban nella competizione elettorale non sono stati solo i “tradizionali” temi che vedono l’Ungheria contrapposta alla UE, quali la questione dei migranti, ma anche la questione ucraina. I sondaggi pre-elettorali avevano infatto confermato come la maggior parte degli ungheresi approvi la posizione di neutralità assunta dal Presidente che gli ha comportato, peraltro, forti critiche dallo stesso leader ucraino Zelensky che si era rivolto a Orban come «unico in Europa a sostenere apertamente Putin». Tuttavia, gli ungheresi vedono nella guerra una minaccia all’economia e alla stabilità della nazione e ritengono che la soluzione non consista nell’invio di armi o nell’imposizione di sanzioni. Tutto ciò ha permesso al presidente ungherese di affermare a elezioni concluse: «abbiamo vinto anche a livello internazionale contro il globalismo. Contro Soros. Contro i media mainstream europei. E anche contro il presidente ucraino». La vittoria del partito conservatore ungherese ha senza dubbio irritato Bruxelles e gli ambienti “filoeuropeisti”, dai quali sono arrivate accuse di presunti brogli elettorali e di forte influenza della propaganda attuata dal governo. Tuttavia, al momento l’opposizione non ha chiesto di aprire indagini sulla correttezza del procedimento elettorale e non ha potuto far altro, dunque, che ammettere la sconfitta.

La vittoria di Vucic in Serbia

Contemporaneamente a quelle ungheresi, anche in Serbia si sono svolte le elezioni per eleggere il nuovo presidente della Repubblica e per rinnovare la camera unica del Parlamento: il Presidente uscente Alexander Vucic è stato riconfermato con più del 60% delle preferenze, mentre il suo partito – il Partito Progressista Serbo – ha ottenuto il 43,45% dei voti, conquistando 122 seggi in Parlamento su un totale di 250. Vucic – che ha ottenuto il secondo mandato presidenziale – si è auto-rappresentato come unico leader in grado di garantire stabilità e pace non solo alla Serbia, ma all’intera regione e ha puntato molto sui risultati economici raggiunti dalla sua amministrazione. Esattamente come Orban, non si è allineato alle sanzioni contro la Russia decise dall’Unione europea, sebbene abbia condannato l’invasione dell’Ucraina: ciò ha sicuramente infastidito Bruxelles che si aspettava un allineamento da parte di tutti quei paesi candidati ufficialmente a entrare nella UE come la Serbia. Tuttavia, il passato recente del Paese ha spinto Belgrado ad assumere un atteggiamento neutrale quando non simpatizzante nei confronti di Mosca: i bombardamenti della NATO avvenuti nel 1999 e decisi da Washington senza alcuna autorizzazione delle Nazioni Unite – quindi al di fuori del diritto internazionale – hanno provocato migliaia di morti e vittime civili in Serbia. Da qui il risentimento verso gli Stati Uniti che ha rinsaldato il tradizionale legame culturale tra Serbie e Russia, accumunate dal credo religioso cristinano ortodosso. Non a caso, la Serbia è stato l’unico Paese europeo in cui si sono svolte manifestazioni a favore della Russia, dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina.Il governo di Vucic è stato attento a mantenere una posizione equidistante sia dal Cremlino che dall’Unione europea, cercando innanzitutto di non ledere gli interessi nazionali. E proprio in questa direzione è da leggere la decisione dell’amministrazione serba di non interrompere le relazioni col Cremlino. Decisione che, anche in questo caso, ha contribuito alla vittoria dell’uscente presidente serbo, già ministro durante il governo di Slobodan Milosevic.

[di Giorgia Audiello]

Ecuador, rivolta in carcere provoca 20 morti

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Domenica 3 aprile si è verificata in Ecuador una rivolta all’interno del carcere di Turi, nella provincia di Cuenca. Oggi il ministro dell’Interno del Paese, Patricio Carrillo, ha reso noto durante una conferenza stampa che il bilancio provvisorio è di venti morti e dieci feriti, con le forze di sicurezza che non hanno ancora ripreso del tutto il controllo della prigione. Carrillo ha poi negato che gli incidenti siano stati provocati dal sovraffollamento dell’istituto, avanzando invece l’ipotesi dell’esistenza di «un gruppo dedito al narcotraffico, identificato come Los Lobos, che sta cercando di assumere il controllo di tutto il centro di reclusione a scapito di gruppi più piccoli».

Italia, un Ddl vuole inserire l’educazione finanziaria a scuola affidandola alle banche

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Da diversi anni si dibatte sull’idea di introdurre in Italia l’educazione economica e finanziaria nelle scuole, a partire dal primo ciclo d’istruzione. Attualmente, sono in discussione presso la 7° Commissione del Senato (Istruzione e beni culturali) tre disegni di legge legati al tema. Il primo, presentato nel 2018, prevede un programma formativo rivolto sia alle scuole di ogni ordine e grado sia a diverse fasce adulte: donne, giovani in cerca di prima occupazione e anziani. Il secondo ddl presenta un profilo simile, mentre il terzo, il più rilevante, è stato avanzato il 30 giugno 2019 e conta su una disposizione sintetica, che se da un lato si avvale dei dati forniti dalla Banca d’Italia, dall’altro lascia alcuni interrogativi aperti sulla questione.

Il fine, quindi l’insegnamento dell’educazione finanziaria a milioni di studenti, è nobile, soprattutto se si considera che spesso il percorso scolastico si concluda senza trasmettere alcuna, anche minima, conoscenza del settore. Secondo i dati riportati all’interno di una ricerca pubblicata dalla Banca d’Italia nel 2018, solo il 30% dei soggetti in Italia è dotato di un’alfabetizzazione finanziaria, con enormi disparità di genere, ruolo professionale e distribuzione territoriale, contro la media degli altri Paesi dell’OCSE che è del 62%. Tuttavia, al fine vanno affiancati i mezzi e quindi bisogna tener conto delle modalità e del contenuto di quest’educazione, non tralasciando l’attenzione nei confronti di chi erogherà il servizio. A chiarire il primo punto è lo stesso testo del disegno di legge presentato nell’estate del 2019, da cui emerge l’intenzione di introdurre l’educazione finanziaria nell’ambito dell’insegnamento delle 33 ore annue dell’educazione civica, previste dalla legge 20 agosto 2019, n. 92. Sulla compatibilità fra le due discipline si è espressa la Banca d’Italia, attraverso le parole di Magda Bianco, capo del Dipartimento Tutela della clientela ed educazione finanziaria dell’istituto: “L’educazione civica è un insegnamento di carattere trasversale attualmente obbligatorio e ciò renderebbe la proposta realizzabile in tempi rapidi. Del resto le finalità ultime dell’educazione finanziaria sono in linea con quelle della legge istitutiva dell’educazione civica: sviluppare una cittadinanza attiva“.

Per quanto riguarda, invece, il contenuto dell’insegnamento, il disegno di legge resta vago, lasciando ampia discrezionalità agli interpreti e mancando, di fatto, ogni riferimento all’educazione critica alla finanza e qualsiasi approccio alla finanza etica, una disciplina che va oltre i concetti di rendimento e profitto, concentrandosi piuttosto sulla trasparenza, su una maggiore cooperazione e sulla responsabilità etica e ambientale degli attori economici. La stessa sorte incerta è riservata a chi si occuperà di formare gli insegnanti e i giovani. Tuttavia, tra i soggetti più attivi a riguardo è già possibile registrare la presenza della Fondazione per l’educazione finanziaria e al risparmio (FEDUF), costituita su iniziativa dell’Associazione bancaria italiana (ABI). D’altronde, da diversi anni l’istituto presieduto da Stefano Lucchini (Intesa Sanpaolo) è in stretta collaborazione con il ministero dell’Istruzione e gli uffici scolastici sul territorio. A inizio 2022 la Fondazione ha deciso di affiancare al proprio Consiglio d’amministrazione (Cda) un advisory board, una sorta di comitato consultivo e di supporto al reparto manageriale, al cui interno è entrato a far parte Ryan O’Keeffe, consigliere delegato di BlackRock, la più grande società d’investimento al mondo che negli anni si è legata ad attività incentrate sulla deforestazione, legate alle violazioni dei diritti umani o basate sui combustibili fossili.

Mentre i disegni di legge sull’introduzione dell’educazione economica e finanziaria a scuola sono in esame in commissione, le banche hanno mosso i primi passi verso questa direzione. A marzo, infatti, è iniziato in Campania il percorso “Che impresa ragazzi!”, un progetto di otto appuntamenti promosso dalla Banca di credito popolare (BCP) con l’obiettivo di accrescere la capacità di gestione del denaro di 1.800 studenti delle scuole superiori. Ad affiancare la BCP nel progetto sarà la Fondazione per l’educazione finanziaria e al risparmio (FEDUF).

[Di Salvatore Toscano]

Oms: il 99% della popolazione mondiale respira aria inquinata

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“Quasi l’intera popolazione mondiale (99%) respira aria che supera i limiti di qualità raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e che mette in pericolo la salute delle persone”: è quanto ha fatto sapere la stessa Oms tramite un comunicato con cui ha diffuso i nuovi dati a sua disposizione. “Le persone che vivono nei paesi a reddito medio e basso sono soggette alle esposizioni più elevate”, ha inoltre aggiunto l’Oms, precisando che in base ai numeri in suo possesso ha deciso di “sottolineare l’importanza di limitare l’uso dei combustibili fossili e di adottare altre misure concrete per ridurre i livelli di inquinamento atmosferico”.