martedì 18 Novembre 2025
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Tribunale di Pistoia: sentenza dà ragione al genitore che non vuole vaccinare il figlio

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“Il Tribunale non può ragionevolmente ritenere corrispondere al miglior
interesse, anche medico, del minore la somministrazione dei preparati vaccinali
attualmente in uso per la malattia da Sars-Cov-2”: è quanto si legge all’interno di un recente sentenza del Tribunale di Pistoia, con cui il giudice – la dottoressa Lucia Leoncini – ha respinto il ricorso di una madre che aveva chiesto all’ufficio giudiziario l’autorizzazione a sottoporre i 3 figli minori alla vaccinazione anti Covid contro la volontà dell’ex coniuge. Sostanzialmente il giudice ha dato ragione al padre, che si è opposto alla vaccinazione dei figli (di cui uno di età superiore a 12 anni e gli altri due di età inferiore ai 12 anni) ed ha riconosciuto che il rapporto rischi/benefici non fosse adeguato.

“Occorre prendere le mosse dai dati scientifici ed epidemiologici a disposizione”, ha innanzitutto scritto il giudice, sottolineando che i vaccini attualmente in uso in Italia, Pfizer e Moderna, sono univoci nell’indicare nel proprio foglio illustrativo pubblicato sul sito dell’Aifa la non raccomandazione “nei bambini di età inferiore a 12 anni”. Ciò già di per sé avrebbe costituito secondo il giudice un dato significativo sulla cui base rigettare il ricorso per quanto attiene ai due figli più piccoli, dato che di certo “l’autorità giudiziaria non può considerarsi ragionevolmente legittimata ad autorizzare l’utilizzo di un farmaco che l’autorità sanitaria a ciò preposta raccomanda di non utilizzare”. Tuttavia, considerata la loro età prossima al compimento degli anni 12 e avendo riguardo altresì alla domanda di autorizzazione afferente il figlio già ultradodicenne, il giudice ha preso in considerazione tutta una serie di dati ulteriori.

Sotto l’egida dell’art. 32 della Costituzione (riguardante la tutela della salute) invocato da entrambi i contendenti, il giudice ha fornito una completa valutazione rischi benefici della vaccinazione ai 3 figli. In primo luogo ha rilevato che il beneficio del vaccino (rappresentato dalla limitazione della possibilità di contrazione di malattia nella forma grave, ossia potenzialmente letale) nella fascia d’età considerata determini la possibile riduzione di eventi che, stando ai dati ufficiali, “si sono verificati di media in meno di due casi su 100.000 contagiati e in meno di 5 casi su 1.000.000 di bambini, per quanto attiene al decesso, e in poco più di un caso su 10.000 contagiati e in circa 3 casi su 100.000 bambini, per quanto attiene al ricovero in terapia intensiva”.

A fronte di tale protezione, però, occorre fare i conti non solo con il fatto che i vaccini “non valgono ad evitare il contagio” ma che, come precisato nel foglio illustrativo dei due vaccini, non sia nota la frequenza degli eventi avversi più gravi. “Per entrambi i vaccini, inoltre, è specificato che essi comportano un aumento del rischio di miocardite e pericardite”, ha aggiunto il giudice, sottolineando che “i vaccini attualmente in uso in Italia sono stati autorizzati sotto condizione da parte dall’autorità europea, poiché non risulta completata la necessaria IV fase di sperimentazione” e che ciò di per sé “dovrebbe indurre a particolare cautela specialmente ove si voglia somministrare il vaccino a soggetti che, per fascia di età, per un verso non presentano rischi di esposizione grave al virus” e “per altro verso sono ancora in fase evolutiva e di sviluppo e devono quindi essere destinatari di tutela rafforzata”. Di conseguenza, somministrare a tali soggetti vaccini la cui frequenza di effetti collaterali non solo a breve ma “soprattutto a medio-lungo termine” non risulta nota, per “fronteggiare rischi medici che possono ragionevolmente dirsi remoti”, non corrisponde a “una ragionevole applicazione del principio di prudenza”.

È per tutti questi motivi dunque che – “salvo casi peculiari attinenti a specifiche condizioni del minore che rendano più elevato rispetto alla media generale il rischio di sviluppare una malattia grave dall’infezione da Covid-19”, eventualità che non riguardava il caso di specie – il tribunale non ha ritenuto corrispondente al miglior interesse del minore la sua sottoposizione al vaccino. Infine il giudice ha precisato che la valutazione, in casi analoghi a quello di specie, non si presta ad “essere modificata per bilanciamento con contrapposte esigenze di interesse pubblico” dato che “la duplice valenza del diritto alla salute nella prospettiva dell’art. 32 Cost., come diritto fondamentale e come interesse della collettività, non può comportare una sistematica prevalenza dell’ interesse pubblico sul diritto individuale”. In tal senso anche il bilanciamento con altri interessi, come lo sviluppo della vita sociale, non appaiono idonei a incidere direttamente sulla valutazione del rapporto benefici-rischi ed è per questo dunque che anche la volontà dei figli, che a quanto pare avrebbero voluto sottoporsi al vaccino così da riacquistare una normale vita sociale e sportiva, non ha fatto testo.

[di Raffaele De Luca]

Brasile, migliaia in piazza contro i progetti estrattivi nelle terre indigene

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Migliaia di manifestanti si sono riuniti nella capitale del Brasile per protestare contro cinque disegni di legge in fase di valutazione da parte del Congresso. Se approvate, le proposte darebbero il via libera all’estrazione mineraria nelle terre indigene e allenterebbero i regolamenti sull’uso dei pesticidi e sulla deforestazione. L’enorme manifestazione è stata chiamata Stand for the Earth ed è nata proprio in opposizione al pacchetto di norme che gli ambientalisti hanno definito una “combo della morte”.

Per gli oppositori, i disegni di legge voluti dall’amministrazione Bolsonaro porterebbero ad una vera e propria legalizzazione di diversi crimini ambientali. Verrebbero, difatti, concesse attività estrattive commerciali nelle terre indigene minacciando i già precari diritti alla terra di decine di migliaia di popoli. Verrebbero inoltre ammorbiditi i requisiti per ottenere varie licenze ambientali nonché i regolamenti sull’uso dei pesticidi. Secondo molti, le norme legittimerebbero gli accaparratori terrieri e i taglialegna illegali in Amazzonia, dove la deforestazione ha già raggiunto livelli record proprio sotto la guida del presidente di estrema destra. Il tutto poi sfruttando la guerra tra Russia e Ucraina come pretesto. «A causa del conflitto oggi corriamo il rischio di una mancanza di potassio o un aumento del suo prezzo – ha scritto Bolsonaro su Twitter – la nostra sicurezza alimentare e il comparto agroalimentare esigono dall’esecutivo e dal parlamento misure che ci permettano di non dipendere da una risorsa di cui disponiamo in abbondanza».

Il Senato dovrà esprimersi su tre di questi disegni di legge nelle prossime settimane, mentre gli altri due verranno votati dalla Camera bassa. Ma, nel dettaglio, cosa prevedono quindi queste controverse norme? Il primo disegno di legge istituirebbe il cosiddetto Marco Temporal, un vincolo legislativo secondo cui solo i popoli indigeni in grado di dimostrare che occupavano le loro terre prima della promulgazione della Costituzione Federale vi avrebbero diritto. Modificherebbe poi lo Statuto Indiano includendo “un contratto di cooperazione tra indiani e non indiani” affinché questi ultimi possano svolgere attività economiche nei terreni indigeni. Il secondo disegno in fase di valutazione consentirebbe, invece, lo sfruttamento delle terre ancestrali da parte di grandi progetti infrastrutturali e minerari, compresi quelli legati al petrolio e al gas naturale. Il terzo renderebbe più flessibile l’ottenimento di licenze ambientali per le nuove imprese ed opere prevedendo il rinnovo automatico di qualsiasi tipo di concessione ambientale. 14 settori produttivi, tra cui l’agricoltura estensiva e l’allevamento di bestiame, sarebbero esenti da vincoli e la costruzione di nuove opere potrebbe avvenire senza una valutazione del loro impatto né sulle sulle terre indigene né sulle Unità di Conservazione. Il quarto pacchetto normativo concederebbe l’amnistia per il reato di invasione di terre pubbliche per coloro che le hanno occupate tra la fine del 2011 e il 2014 permettendo la regolarizzazione di aree fino a 2.500 ettari senza che si passi per un’ispezione. Infine, il quinto ed ultimo disegno di legge permetterebbe la regolarizzazione delle occupazioni delle terre avvenute prima del 2008, quelle che dovrebbero essere destinate ai coloni della riforma agraria.

I manifestanti sperano quindi di convincere i legislatori a respingere o modificare i disegni di legge nonostante l’elevato sostegno che questi stanno ricevendo dalla lobby del business agroalimentare. «Nella loro forma attuale – ha dichiarato Marcio Astrini, direttore esecutivo dell’organizzazione ambientalista Climate Observatory – queste norme sono un disastro. Fanno male al paese, fanno male all’ambiente, fanno male alla nostra reputazione internazionale e mettono a rischio la sopravvivenza dell’Amazzonia allontanando, inoltre, il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Anche se cambiassimo presidente e la gestione del Brasile sui temi ecologici, queste regole renderebbero comunque molto difficile combattere i crimini ambientali».

[di Simone Valeri]

Geopolitica del petrolio: gli USA ora vogliono la pace con Venezuela e Iran

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Nei giorni scorsi una delegazione degli Stati Uniti è stata ricevuta dal Presidente del Venezuela, Nicolas Maduro. L’arcinemico socialista contro il quale non più tardi di due anni fa gli americani tentarono di forzare un cambio di governo, fomentando l’insediamento del golpista Juan Guidò. L’incontro tra le due delegazioni, il primo dopo molti anni, è stato definito dal presidente venezuelano rispettoso e diplomatico, mentre da Washington hanno specificato le questioni trattate, tra cui la sicurezza energetica e i casi di 9 cittadini statunitensi attualmente nelle carceri venezuelane. La verità, confermata da più fonti, è che gli Usa stanno cercando si accorciare le distanze col Venezuela e con l’Iran, per fare fronte alla crisi petrolifera.

In un momento “normale”, il tentativo di riavvicinamento con il Venezuela da parte degli Stati Uniti, sarebbe una sorpresa. Tuttavia, alla luce di quanto sta accadendo in Ucraina, altro non è che una mossa contro la Russia. Washington ha deciso di mettere al bando il petrolio russo, misura insostenibile nel medio periodo senza “rimettere in gioco” petrolio e gas naturale di altri Paesi. Non a caso, forse, ancora prima del precipitare degli eventi in Ucraina, gli Stati Uniti assieme a Francia, Germania e Gran Bretagna stavano appunto lavorando al ripristino dell’accordo sul nucleare con l’Iran. Accordo, che, come più’ volte ribadito da Teheran, potrà andare a buon fine solo con il ritiro delle sanzioni americane ed europee nei confronti della Nazione.

Paesi che solo fino a pochi mesi fa erano considerati dall’Occidente “stati canaglia” come potrebbero tornare adesso nella cerchia dei “buoni”? Il riavvicinamento verso il Venezuela appare ancora più in contrasto rispetto a quello con l’Iran, se consideriamo quella che è stata la politica estera di Washington negli ultimi anni. Con l’Iran infatti, ai tempi della presidenza di Obama, era stato siglato un accordo che limitava lo sviluppo del nucleare in cambio del ritiro delle sanzioni, con la speranza di poter iniziare ad avere relazioni diplomatiche e mettere da parte i contrasti storici. Tra Stati Uniti e Iran ci furono anche in passato esempi di collaborazione: in Afghanistan contro i Talebani e in Iraq nella lotta allo Stato Islamico. Gli Stati Uniti, inoltre, dal 2019 hanno fortemente sostenuto l’illegittimità della presidenza Maduro in Venezuela, seppur fosse stato eletto in elezioni giudicate regolari. La Casa Bianca e gran parte dei paesi Europei avevano infatti riconosciuto come legittimo presidente l’allora semi-sconosciuto membro dell’opposizione Juan Guaido. Durante la presidenza di Donald Trump la pressione verso il Venezuela aveva raggiunto livelli altissimi, dato che lo stesso presidente americano non aveva escluso l’opzione militare per rimuovere Maduro.

Negli ultimi anni le economie di Iran e Venezuela sono state soggette alla dura morsa delle sanzioni, i cui effetti sono ricaduti principalmente sui normali cittadini, piuttosto che sulle élite al potere. Sia Caracas che Teheran hanno buoni rapporti diplomatici con Mosca, e infatti entrambi si sono astenuti nel condannare l’invasione in Ucraina, puntando il dito, piuttosto, sull’operato della NATO, come principale causa della crisi in corso. Sarà comunque difficile per questi due paesi resistere alle avance degli Stati Uniti, dato che le loro economie sono incentrate in larga parte su petrolio e gas. Come invece verrà giustificato all’opinione pubblica questo riavvicinamento da parte dell’Occidente non è dato a sapere. Sia in Europa, che dall’altra parte dell’Atlantico, per anni si è parlato di Iran e Venezuela come orribili dittature, in cui non vi era alcun rispetto dei diritti umani, definendo i due Paesi rispettivamente “terrorista” e “comunista”. Un’ennesima dimostrazione di come, per gli Usa, i concetti di “democrazia” e “diritti umani” siano clave da usare arbitrariamente a seconda degli obiettivi geopolitici, come dimostrato dai buoni rapporti storici tra Usa e la ricchissima e spietata dittatura dell’Arabia Saudita.

[di Enrico Phelipon]

Ungheria: Katalin Novak eletta presidente della Repubblica

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Nella giornata di oggi Kataline Novak, candidata del partito governativo Fidesz nonché fedelissima del Primo ministro Viktor Orbán, è stata eletta presidente della Repubblica dal Parlamento ungherese con 137 voti, battendo il candidato di opposizione Peter Rona che ne ha ottenuti 51. Si tratta di un voto storico dato che Novak, già ministra della Famiglia, è così divenuta la prima presidente donna del Paese: prenderà il posto di Janos Ader, anche lui del partito Fidesz, il cui mandato scadrà il 10 maggio.

Ue: galline e uova OGM possono essere commercializzate senza approvazione

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Alcune galline ed uova OGM potrebbero essere commercializzate nell’Unione europea senza nemmeno essere sottoposte al processo di approvazione e senza informazioni a riguardo in etichetta, è quanto sostengono l’Istituto per la valutazione d’impatto indipendente nelle biotecnologie (Testbiotech) e l’Unione tedesca dei contadini (Abl). Tale tesi si basa su una lettera, diffusa proprio da Abl, con cui negli scorsi mesi la Commissione europea ha fornito un parere all’Ufficio federale tedesco per la protezione dei consumatori e la sicurezza alimentare (Bvl), comunicando che una determinata modifica genetica non produrrebbe “OGM di cui all’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2001/18/CE” e che dunque le galline ovaiole sottoposte ad essa e le loro uova non necessiterebbero della autorizzazione ai sensi del regolamento europeo su alimenti e mangimi geneticamente modificati.

La modifica genetica in questione, secondo quanto comunicato da Testbiotech ed Abl, sarebbe stata messa a punto da alcuni ricercatori israeliani che si sarebbero rifatti al sistema CRISPR/Cas: quest’ultimo, tramite un gene mortale trasmesso solo alla prole maschile delle galline, permetterebbe ad esse di generare esclusivamente prole di sesso femminile, che si svilupperebbe poi normalmente e potrebbe essere a sua volta utilizzata per la produzione di uova. Ed è proprio perché il transgene verrebbe veicolato solo agli embrioni maschi che le galline ovaiole secondo la Commissione non rientrerebbero nella definizione di OGM fornita dalla direttiva sopracitata, la quale si riferisce all’organismo “il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale”.

Non sono però della stessa opinione Abl e Testbiotech che, preoccupate dall’eventualità che il parere possa essere interpretato come un via libera alla commercializzazione deregolamentata di tali galline ed uova OGM, hanno inviato una lettera congiunta alla Commissione Ue in cui precisano che la loro commercializzazione senza valutazione del rischio ed etichettatura rappresenterebbe una violazione delle normative Ue e genererebbe gravi conseguenze per i consumatori, i produttori di alimenti ed il commercio alimentare. “La legislazione dell’UE richiede che tutti gli organismi risultanti da processi di ingegneria genetica siano soggetti a un processo di autorizzazione tracciabile ed etichettato”, ricordano Abl e Testbiotech, precisando che “questi requisiti vadano applicati anche alla progenie di animali sottoposti a CRiSPR/Cas” in quanto i risultati della ricerca di base mostrerebbero che essa sarebbe “influenzata da cambiamenti non intenzionali che comportano rischi specifici”. Di conseguenza, “questa posizione discutibile emersa dalla lettera potrebbe essere basata su un semplice calcolo politico ed economico“.

A tutto ciò si aggiunga che “il processo e gli animali sono già stati brevettati” e “saranno commercializzati in collaborazione con un’azienda statunitense” – comunicano Abl e Testbiotech – sottolineando che i richiedenti il brevetto avrebbero affermato che la loro tecnologia non produrrebbe “geni estranei nel genoma delle galline ovaiole” e che proprio sulla base di tali dichiarazioni in realtà la Commissione Europea avrebbe fornito il parere sopracitato.

Per un giudizio completo sulla questione occorre altresì considerare che – secondo i suoi difensori – l’attuazione di questa modifica genetica tutelerebbe i pulcini maschi dati alla luce dalle galline ovaiole che, considerati inutili dalla filiera industriale, appena nati vengono uccisi negli allevamenti spesso in maniera estremamente crudele. I pulcini, infatti, generalmente poche ore dopo la loro nascita vengono triturati vivi o soffocati: una crudeltà che potrebbe essere evitata proprio tramite il sistema “CRISPR/Cas”, in quanto il gene mortale trasmesso alla prole maschile permetterebbe di uccidere gli embrioni nell’uovo prima che si schiudano, evitando così di condannare i pulcini ad una morte atroce.

[di Raffaele De Luca]

Ucraina, terminato incontro Kuleba-Lavrov: nulla di fatto

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È durato circa un’ora e mezza l’incontro fra il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, e il suo omologo russo, Sergej Viktorovič Lavrov, concludendosi con un nulla di fatto, soprattutto riguardo la cessazione del fuoco. «I negoziati principali restano in Bielorussia», ha detto Lavrov, aggiungendo: «Non abbiamo attaccato l’Ucraina, si è creata una situazione di minaccia a Mosca. Abbiamo fatto appelli, ma nessuno ci ha ascoltato». Il ministro degli Esteri russo ha poi aperto alla possibilità di un incontro, che «andrebbe prima preparato», fra Putin e Zelensky. 

 

La Corsica è in rivolta dopo il ferimento di un indipendentista in carcere

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Da una settimana la Corsica è in rivolta per quanto accaduto nella prigione di Arles mercoledì 2 marzo, quando l’indipendentista Yvan Colonna, in carcere in seguito all’omicidio del prefetto Claude Érignac avvenuto ad Ajaccio nel 1998, è stato aggredito, finendo in coma. Secondo le prime ricostruzioni, ad aver tentato l’omicidio sarebbe stato un altro detenuto, Franck Elong Abé, apparentemente per motivi religiosi. Quest’ultimo avrebbe riferito infatti alla polizia di aver ricevuto delle offese da Colonna circa la propria fede islamica: da qui la reazione e lo strangolamento, per otto minuti, nella palestra dell’istituto. Ma la ricostruzione dell’accaduto non ha convinto i corsi, che dunque sono scesi in strada per protestare, anche sulla spinta dei partiti nazionalisti.

D’altronde la questione indipendentista rappresenta in Corsica uno dei temi politici più caldi, vista la volontà di una buona parte dei cittadini di ottenere una certa autonomia nei confronti del governo centrale francese, se non il totale distaccamento, così come dimostra l’exploit del partito nazionalista Pe’ a Corsica che durante le elezioni del 2015 raggiunse il 35% dei consensi. La volontà dell’indipendenza risale già al XVIII secolo, quando i corsi si ribellarono al dominio genovese, per poi acuirsi a partire dagli anni ’60 del secolo scorso con numerosi attacchi e proteste sia sull’isola sia sul continente. Il 5 maggio del 1976 venne fondato il Fronte Nazionale Corso, un movimento particolarmente attivo che già nella notte della sua creazione disseminò più di venti bombe fra Nizza, Marsiglia e Costa Azzurra. Per vent’anni le rivendicazioni indipendentiste hanno seguito questa strada, fino ad arrivare alla decisione di fermare la lotta armata il 19 dicembre 2014, con l’obiettivo di istituzionalizzare lo scontro prendendo parte alle imminenti elezioni. Prima di questa decisione, però, nel 1998 avvenne l’episodio che ci riporta alla cronaca odierna: l’uccisione del prefetto Claude Érignac per mano di Yvan Colonna, condannato definitivamente nel 2007 all’ergastolo da scontare ad Arles.

Dall’aggressione nei suoi confronti, avvenuta la settimana scorsa, si sono susseguiti diversi scontri e proteste: a Calvi centinaia di manifestanti si sono riuniti nei pressi della sottoprefettura, lanciando diverse molotov sull’istituto, mentre i lavoratori del Sindicatu Travagliadori Corsi marinari hanno impedito l’attracco a un traghetto francese proveniente da Tolone con a bordo, sembrerebbe, diversi agenti anti-sommossa inviati dalla Direzione centrale della Compagnies Républicaines de Sécurité (CRS). Ad Ajaccio, nella notte, un gruppo di manifestanti ha cercato invece di entrare nel Palazzo di Giustizia, provocando un incendio al suo interno.

[Di Salvatore Toscano]

Ucraina, Eni sospende acquisto di prodotti petroliferi russi

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Un portavoce del gruppo petrolifero Eni ha riferito che «Eni ha sospeso la stipula di nuovi contratti relativi all’approvvigionamento di greggio o prodotti petroliferi dalla Russia», specificando che «In ogni caso opererà nel pieno rispetto di quanto stabilito dalle istituzioni europee e nazionali». Per il momento la decisione riguarda, come specificato, solo l’acquisto di petrolio e non i contratti a lungo termine con Gazprom per l’acquisto di gas. La settimana scorsa Eni aveva già annunciato di voler vendere la propria quota partecipazione al gasdotto Blue Stream (che collega la Russia alla Turchia), congiunta e paritaria con Gazprom.

Blitz all’alba: la polizia irrompe nelle case di 13 No Tav

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La polizia di Torino ha effettuato nelle primissime ore di questa mattina 13 misure cautelari nei confronti di alcuni militanti del centro sociale Askatasuna e del movimento No Tav. È finito agli arresti Giorgio Rossetto, volto storico del movimento contro l’Alta Velocità. Perquisiti gli spazi del centro sociale Askatasuna e dello spazio Neruda, oltre ai presidi No Tav dei Mulini e di San Didero in Val di Susa. L’operazione è collegata agli attacchi ai cantieri avvenuti negli scorsi mesi.

Sono due le persone arrestate nell’ambito dell’operazione della Digos portata a termine questa mattina a Torino, nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Procura. Una di queste è Giorgio Rossetto, volto storico del movimento No Tav. Due persone si troverebbero agli arresti domiciliari e per altre nove sarebbe scattato l’obbligo di firma due volte al giorno, secondo quanto comunicato dallo stesso centro sociale Askatasuna tramite le proprie pagine social. Per tutti vi è il divieto di dimora nei comuni della Valle di Susa. Le accuse, a vario titolo, riguarderebbero reati di resistenza aggravata a pubblico ufficiale e violenza privata aggravata commessi sia a Torino che in Valle, nell’ambito delle mobilitazioni contro l’Alta Velocità.

La polizia avrebbe dimostrato, tramite materiale video-fotografico e sequestri avvenuti sul luogo, l’uso di materiali artigianali (mezzi pirotecnici, pietre e simili) per portare a termine gli attacchi ai cantieri di Chiomonte e San Didero avvenuti quest’inverno. Al momento non si hanno ulteriori informazioni riguardo i presunti atti incriminati.

AGGIORNAMENTO, ore 15:30 del 10 marzo: in un comunicato diffuso dalla rete No Tav viene specificato che le operazioni di stamattina riguarderebbero “una serie di iniziative e manifestazioni che hanno avuto luogo dall’estate del 2020 in Val Clarea, a San Didero mescolate in un unico calderone con fatti avvenuti a Torino”. Non è chiaro quale fosse l’oggetto delle ricerche dei poliziotti durante le perquisizioni dei presidi e delle case degli attivisti, ma per il Movimento si tratta di un ulteriore tentativo di “costruire il clima per tentare di silenziare le resistenze dei Mulini e di San Didero che in questi anni hanno rappresentato, nonostante le difficoltà della pandemia, due esperienze importanti di lotta popolare e opposizione al business della grande opera inutile”.

“Il nostro è un movimento con decenni di storia alle spalle, abbiamo visto passare governi, questori e prefetti. Abbiamo sempre deciso collettivamente come portare avanti la nostra resistenza, come affrontare la violenza istituzionale che nonostante la contrarietà popolare all’opera ha militarizzato senza remore un’intera valle. Non ci faremo certo intimorire da questa operazione, consapevoli che in questi tempi di guerra, crisi climatica e sociale la nostra lotta, nel nostro piccolo, è uno spiraglio per costruire una speranza per il futuro” scrive il Movimento sulla propria pagina.

[di Valeria Casolaro]

Ucraina-Russia: ministri degli Esteri in Turchia per incontro

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I ministri degli Esteri di Ucraina e Russia, Dmytro Kuleba e Sergej Viktorovič Lavrov, sono appena arrivati in Turchia, ad Antalya, per il primo incontro “ad alto livello” fra i due Paesi dall’inizio del conflitto. «Spero che l’incontro di oggi apra la strada a un cessate il fuoco permanente» ha detto il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. A mediare fra le parti sarà il ministro degli Esteri della Turchia, Mevlüt Cavusoglu.