giovedì 4 Dicembre 2025
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La rivoluzione urbana di Barcellona per una mobilità sostenibile

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Il progetto di pianificazione urbana in atto nella città di Barcellona verrà ampliato a partire da giugno di quest’anno. Spostandosi da est a ovest si vogliono rimodellare 21 strade entro il 2030 così da rispettare il Piano di mobilità urbana 2024. L’intenzione è quella di rendere la città spagnola sempre più sostenibile e vivibile, favorendo la crescita degli spazi verdi e rendendo le strade meno trafficate. Basti pensare che nel caso venga attuata l’implementazione dei 503 superbcocchi di cui si parla in tutta Barcellona, l’aspettativa di vita aumenterebbe in media di circa 200 giorni, vista la diminuzione dei livelli di calore urbano, di inquinamento atmosferico e acustico. I cosiddetti superblocchi sono unità di 400 x 400 m, più grandi di un isolato ma meno estesi di un intero quartiere.

L’ultimo piano relativo all’ampliamento dei superblocks a Barcellona è stato inaugurato nel 2016 con le prime grandi isole pedonali. L’obiettivo fissato era quello di arrivare a 500 nuovi parchi e giardinetti entro una decina di anni e la strada intrapresa pare essere quella giusta. Per il momento infatti, sono stati completati sei superblocchi mentre rimangono in attesa di essere realizzati altri undici.Il piano urbanistico descritto fu pensato originariamente da Salvator Rueda a fine Ottocento ed è stato applicato per la prima volta a partire dal 1996. Il concetto di base è dividere lo spazio urbano in blocchi (superblokcs o superilles in catalano) che sarebbe anche un’ottima soluzione per tanti altri centri urbani. È quel che emerge da un nuovo studio pubblicato su nature.com, in cui si analizzano i risultati dei lavori urbanistici a Barcellona mentre viene dimostrato come più del 40% della rete stradale in diverse città sarebbe potenzialmente adatta a trasformazioni simili ai superblocchi tipici della città spagnola, i quali apporterebbero solo che benefici.

Ora si vuole fare un ulteriore vero e proprio passo avanti, per trasformare la città nella sua interezza e non più “solo” alcuni quartieri. L’esempio di aree come quella di Eixample ha quindi generato risposte talmente positive da spingere l’amministrazione a concentrarsi su altre parti della città, per arrivare a modificarne l’intero assetto. Anche perché Barcellona è una delle città più trafficate d’Europa ma anche assai popolosa, e l’esempio di uno sviluppo urbano in questi termini sta mostrando come tanto i cittadini quanto l’ambiente possano trarne benefici. L’organizzazione urbana attuale si compone di nove blocchi con strade interne in cui è stato applicato un limite di velocità di 10 o 20 km orari. I superblocchi hanno ridefinito la mobilità urbana spostando la ripartizione modale verso il trasporto pubblico, il ciclismo e favorendo i pedoni ma hanno anche l’intenzione di migliorare le infrastrutture verdi urbane e la biodiversità creando corridoi urbani che attraversino la città. Così l’obiettivo è ora quello di implementare continuamente i superbcocchi in tutto il territorio cittadino, trasformando ogni singolo quartiere.

FMI: Nord Africa e Medio Oriente i più colpiti dai disastri ambientali

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La frequenza e la gravità dei disastri legati al clima stanno aumentando più velocemente in Medio Oriente e in Africa settentrionale che in qualsiasi altra parte del mondo. A confermarlo è un nuovo studio del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Secondo i dati raccolti, negli ultimi decenni i disastri climatici nella regione hanno ferito e sfollato sette milioni di persone ogni anno, causando più di 2.600 morti e 2 miliardi di dollari di danni materiali. Inoltre, i dati relativi al secolo scorso mostrano come le temperature nella regione siano aumentate di 1,5 °C, il doppio della media globale.

Le Commissioni del Senato approvano l’aumento delle spese militari senza nemmeno votare

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Gli ordini del giorno (O.d.G.) relativi al decreto Ucraina continuano a destabilizzare la tenuta della maggioranza. Ieri 29 marzo è stato presentato alle Commissioni Esteri e Difesa del Senato l’O.d.G. speculare al documento approvato dalla Camera dei Deputati lo scorso 16 marzo. Ad avanzare il provvedimento è stato Fratelli d’Italia, con prima firmataria la senatrice Isabella Rauti. L’obiettivo è impegnare il governo a dare seguito alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio Mario Draghi circa la «necessità di aumentare le spese per la Difesa, puntando al raggiungimento dell’obiettivo del 2% del PIL». L’ordine del giorno è stato approvato dalle Commissioni del Senato, riunite in seduta congiunta, senza ricorrere al voto dell’Aula, come invece richiesto dal Movimento 5 Stelle e Liberi e Uguali, contrari all’aumento delle spese militari. Tuttavia, il regolamento del Senato disciplina tale circostanza, affermando che soltanto il proponente, in questo caso FdI, può chiedere di porre in votazione l’ordine del giorno. Ciò non è avvenuto e pertanto Roberta Pinetti, Presidente della Commissione Difesa, non ha potuto accogliere la richiesta avanzata da M5S e LeU.

«Siccome per Fratelli d’Italia l’obiettivo politico era stato raggiunto, a conferma del fatto che non era un dispettuccio per mettere in crisi la maggioranza ma la riaffermazione di un principio, abbiamo ritenuto di non chiedere la messa ai voti, richiesta che paradossalmente invece è venuta da alcuni esponenti della maggioranza» ha dichiarato Isabella Rauti al termine della seduta delle due Commissioni. Nelle stesse ore è arrivata la risposta del M5S: “È inaccettabile che il Governo abbia deciso di accogliere l’ordine del giorno di FdI sull’aumento delle spese militari al 2% del Pil entro il 2024 malgrado la forte contrarietà della principale forza di maggioranza“. A dichiararlo in una nota sono stati la vicepresidente del M5S Paola Taverna e i senatori Vito Crimi, Gianluca Ferrara, Ettore Licheri, Andrea Cioffi e Gianluca Castaldi, mentre era in corso l’incontro sul tema tra Giuseppe Conte e Mario Draghi, conclusosi con un nulla di fatto che ha evidenziato come le attuali rotte di M5S e Palazzo Chigi siano in collisione. La linea attuale del Governo è chiara: senza il rispetto dell’impegno con la NATO sugli investimenti militari viene meno il patto di maggioranza. Allo stesso tempo, il partito fondato da Grillo continua a ribadire che l’accordo con l’Alleanza non va messo in discussione (anche perché non rinnegato da Conte nelle sue esperienze da premier) ma deve tener conto delle sopravvenienze avvenute, in riferimento ai due anni di pandemia, al caro energia e alla recessione, di fronte alle quali «non si capisce per quale motivo le priorità debbano essere le spese militari».

Al termine dell’incontro con Giuseppe Conte, Mario Draghi si è poi recato al Quirinale per aggiornare il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella circa gli sviluppi della questione, a dimostrazione di come l’aumento delle spese militari rappresenti un tema cruciale per la tenuta del Governo. Nel frattempo, il Senato sarà chiamato nella giornata di domani a votare sulla conversione in legge del decreto n.14 del 25 febbraio 2022, comunemente denominato decreto Ucraina, integrato con l’ordine del giorno avanzato da Fratelli d’Italia. Sulla conversione, il governo sta valutando di porre l’ennesima questione di fiducia, così come anticipato da Luca Ciriani, esponente di FdI, che nelle scorse ore ha affermato: «Chi voleva il voto dell’O.d.G., adesso si deve chiedere se voterà il decreto o meno in Aula». Dato lo spettro di una spaccatura in maggioranza, «è inevitabile che il governo ponga la questione di fiducia», ha aggiunto poi Ciriani, accennando a una «bella baraonda avvenuta durante i lavori delle due Commissioni».

[Di Salvatore Toscano]

Polonia verso l’indipendenza da gas e petrolio russi

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Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha annunciato che il Paese adotterà diverse misure per diventare indipendente da petrolio e gas russi entro la fine del 2022, in risposta all’invasione ucraina del Cremlino. Nonostante la Polonia sia uno degli Stati dell’Unione europea più indipendenti dalla produzione russa, Morawiecki è intenzionato a presentare il “piano più radicale” all’interno dell’Organizzazione sovranazionale. «Grazie alle fonti energetiche rinnovabili ci renderemo indipendenti non solo dal petrolio e dal gas russo, ma anche da altri Paesi che non rappresentano una minaccia per noi», ha detto il premier polacco.

Il Pentagono si prepara a introdurre le macchine nella catena di comando militare

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Gli esseri umani sono passionali, sono portati all’errore e rischiano sempre di farsi prendere dal panico nei momenti meno opportuni, dunque la Difesa statunitense sta valutando di sostituire parzialmente la catena di comando militare a stelle e strisce con intelligenze artificiali prive di quella scomoda empatia che causa profondo disagio alle strategie belliche. Per far sì che il “sogno” si avveri, il Pentagono ha schierato in campo la Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), la quale ha dato il via al programma In the Moment (ITM) attraverso cui selezionare delle proposte papabili che possano essere sviluppate nei prossimi tre o quattro anni.

«Le decisioni difficili sono quelle su cui le entità con potere decisionali faticano a trovare punti d’accordo, non esiste una soluzione definitivamente giusta e l’incertezza, le pressioni temporali e i conflitti valoriali impongono delle sfide significative», ha sottolineato il program manager di ITM Matt Turek nello spiegare quali siano gli ostacoli che la macchina dovrà superare. In pratica, si prevede che l’IA sia in grado di sviluppare una priorità di intervento ispirata al triage ospedaliero, così da stabilire ove e come sia più opportuno concentrare gli sforzi militari. I documenti ufficiali raccontano di «deleghe» decisionali, quindi si prevede di concedere al cervello digitale un certo livello di potere esecutivo, anche se l’entità di tale potere è ancora oggi da definire.

Le ricerche su In the Moment dovranno concentrarsi in ogni caso sul raffinare una struttura che possa gestire due frangenti diversi: uno andrà a determinare le dinamiche decisioni riguardanti le piccole unità speciali schiacciate dalla minaccia avversaria, l’altro le dinamiche reattive a eventi disastrosi e di portata massiva. Sebbene la Difesa si sia ben vista da citare apertamente l’episodio, quest’ultima categoria fa tornare alla mente la disastrosa fuga dall’Afghanistan e il controverso bombardamento del 29 agosto 2021 che ha colpito degli innocenti che cercavano disperatamente di fare scorte nel bel mezzo di una Kabul preda dell’avvento dei talebani.

Allora morirono dieci civili – sette dei quali bambini -, tuttavia nessuno dei militari coinvolti nel misfatto è stato considerato responsabile dell’errore e men che meno è stato punito per il sangue innocente che è stato versato, questo perché ufficialmente la Difesa USA disconosce si sia verificato alcun errore, stabilendo anzi che, tenendo conto del contesto, la catena di comando abbia agito al meglio delle proprie possibilità. Il senso è che fosse più tollerabile il massacro di una decina di normali cittadini che il rischio di trovarsi al centro di un attacco dinamitardo perpetrato per mano di Daesh, il quale avrebbe potuto virtualmente causare ancora più danni.

La creatura partorita da ITM potrebbe dunque presto compiere questo genere di decisioni eticamente strazianti, cosa che andrebbe peraltro a imporre un ulteriore margine di ambiguità nel decifrare le responsabilità di un eventuale incidente bellico. Qualora una IA decidesse di lanciare colpi di mortaio su di una scuola, chi si farebbe carico della mattanza? I programmatori che hanno curato il machine learning, i militari che ne hanno supervisionato l’uso o magari il Governo stesso? 

Per ora non esiste una posizione ufficiale che vada a chiarire questo importante dubbio e una simile mancanza va ad acuire le preoccupazioni di una fetta considerevole di analisti tech, i quali sono ben consapevoli che le cosiddette intelligenze artificiali siano ancora oggi inaffidabili, rese vulnerabili da errori d’addestramento che generano terribili distorsioni dei processi analitici.

[di Walter Ferri]

Ucraina, Onu: sale a 4 milioni numero rifugiati

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È salito a 4 milioni il numero delle persone che sono fuggite dall’Ucraina da quando è iniziata l’invasione russa: a renderlo noto è stata l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) tramite un tweet pubblicato nella giornata di oggi. “Sono 6,5 milioni gli individui sfollati all’interno del Paese”, ha inoltre fatto sapere l’agenzia, la quale stima altresì che “13 milioni di persone siano bloccate nelle aree colpite o comunque siano impossibilitate a partire”. “Siamo di fronte ad una massiccia crisi umanitaria che sta crescendo di secondo in secondo”, ha concluso l’Unhcr.

Recensioni indipendenti: I Am the Revolution (documentario)

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Un documentario del 2018 di 53 minuti (visibile sulla piattaforma streaming di RaiPlay). Diretto dalla giornalista e regista Benedetta Argentieri e presentato in anteprima al DOC NYC, il più grande festival di documentari negli Stati Uniti. “I Am The Revolution” girato con una troupe tutta al femminile, segue sul campo tre donne che in ambiti e luoghi diversi lottano per una rivoluzione femminista in Afghanistan, Iraq e Siria.

Selay Ghaffar figlia di un combattente per la libertà morto sul campo è la portavoce di “Hambastagi” il partito della Solidarietà dell’Afghanistan, emarginato e perseguitato dal governo afgano, fondato nel 2004, unico partito laico e progressista del Paese e l’unico ad avere un leader donna. Dalle manifestazioni nelle città ai più sperduti paesini delle montagne, svolge la sua attività in prima linea a rischio della vita e sempre sotto scorta armata, per educare le donne a lottare per la loro indipendenza, focalizzando la sua attività sulla scolarizzazione, diritti delle donne, lotta al fondamentalismo, democrazia e opposizione alla presenza di USA e NATO in Afghanistan.

Yanar Mohammed ex architetto diventata attivista, co-fondatrice e presidente dell’OWFI (Organizzazione per la Liberazione delle Donne in Iraq) riconosciuta dall’ONU, ma non autorizzata legalmente dal governo iracheno, ha creato dieci rifugi segreti (fra questi un LGBTQ primo nel paese) per donne in fuga dalla tratta, da violenze familiari e dalla prostituzione. Dal 2003 al 2017 sono state salvate più di 500 donne e, cosa importantissima, sono state aiutate a riprendere in mano la propria vita scoprendo di dover tutelare la propria dignità nella piena consapevolezza che quanto avevano subito era profondamente ingiusto e inumano.

Rojda Felat in Siria ha combattuto nel conflitto in Rojava dall’inizio del 2012, diventando in pochi anni comandante in capo delle Forze Siriane Democratiche che hanno preso il controllo di una buona parte della regione settentrionale della Siria a maggioranza curda e hanno sconfitto l’ISIS nel Nord, riconquistando Raqqa. Del contingente al suo comando, formato da 60mila soldati fra uomini e donne, schierato con la coalizione politica curda YPG (Unità di Protezione Popolare) e YPJ (Unità di Protezione delle Donne), Rojda Felat dice di essere certa che tutti i suoi soldati, ma soprattutto gli uomini, preferiscono essere comandati da una donna. Soldati che muoiono in battaglia e che, senza alcuna discriminazione di genere, vengono onorati come eroi della liberazione accompagnati dal cantilenante peana delle madri e dall’ululato celebrativo dello zaghroutah.

Questo documentario per certi aspetti “rivoluzionario” come lo sono le donne che hanno il coraggio di opporsi ad una atavica sottomissione, ci fa capire, con la chiarezza di una attenta analisi, quanta forza e determinazione ci voglia per liberarsi da ignoranza e arretratezza. Quanto sia “rivoluzionario” partecipare a manifestazioni di piazza sempre a rischio di dure repressioni e come sia difficile spezzare quelle catene che le hanno costrette con la violenza a sentirsi non vittime, ma addirittura colpevoli tanto da meritare tutto ciò che viene loro imposto. Hijab e burqa nascondono, rendono anonime e invisibili queste donne che comunque sentono un forte desiderio di riscatto e mostrano inequivocabili segnali di una trasformazione, quella da vittime a persone consapevoli. Tre donne illuminate, femministe convinte, le aiutano e le guidano verso un difficile traguardo, quello di un più equo rapporto con gli uomini la cui violenza non è altro che paura e inadeguatezza come la regista fa capire nelle prime sequenze del film mostrandoci quanto, durante un dibattito politico in televisione, la portavoce di “Hambastagi” Selay Ghaffar viene insistentemente zittita con frasi assolutamente prive di contenuto, sessiste, addirittura minacciose. Dice bene l’attivista Yanar Mohammed: «Quale rivoluzione è più difficile della rivoluzione delle donne?».

[di Federico Mels Colloredo]

Guerra in Ucraina: il punto sulla situazione militare e le prospettive di tregua

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Le delegazioni russa e ucraina hanno svolto un nuovo round di colloqui di pace a Istanbul, in seguito al quale Mosca ha assicurato che «ridurrà sostanzialmente» le operazioni offensive a Kiev e Chernihiv per aumentare la «fiducia» tra le parti in vista di ulteriori discussioni volte a trovare un intesa per il cessate il fuoco. Secondo quanto riportato dalle fonti diplomatiche, Kiev avrebbe offerto la propria neutralità militare in cambio di garanzie di sicurezza, mantenendo come punto fermo la possibilità di adesione all'Unione Europea. Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha tut...

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Vaccini anti-Covid: gli Usa approvano la quarta dose, l’Europa a ruota

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Nel pomeriggio di ieri, 29 marzo, la FDA (Agenzia del farmaco statunitense) ha approvato la quarta dose vaccinale per tutti i cittadini americani maggiori di 50 anni. La Fda ha stabilito che la “seconda dose di richiamo” dovrà essere somministrata almeno 4 mesi dopo aver ricevuto il primo booster. I richiami verranno effettuati con i vaccini a mRna. La quarta dose è stata approvata anche per i maggiori di anni 12 che “abbiano subito un trapianto di organi solidi, o che convivono con condizioni che sono considerate avere un livello equivalente di immunocompromissione”. Tra i 12 e i 18 anni si utilizzeranno solo i vaccini Pfizer. Per quanto riguarda l’efficacia e la sicurezza della quarta dose il comunicato della FDA si limita a poche righe piuttosto avare di dettagli: “Le prove emergenti suggeriscono che una seconda dose di richiamo di un vaccino Covid-19 mRNA migliora la protezione contro forme gravi di Covid-19 e non è associata a nuovi problemi di sicurezza”.

Il documento della FDA riporta che l’efficacia del secondo booster è stata verificata in uno studio clinico ancora in corso e non randomizzato condotto in Israele, al quale hanno preso parte 274 individui in tutto: 154 sottoposti a Pfizer e 120 a Moderna. All’FDA tanto è bastato per certificare che “tra questi individui, sono stati riportati aumenti dei livelli di anticorpi neutralizzanti contro il virus SARS-CoV-2, comprese le varianti delta e omicron”. Per quanto concerne la sicurezza, il documento specifica che dati forniti dal Ministero della Salute di Israele, basati sulla somministrazione di circa 700.000 quarte dosi del vaccino Pfizer-BioNTech a maggiori di 18 anni “non hanno rivelato nuovi problemi di sicurezza”. Per quanto riguarda Moderna, invece, si specifica che la sicurezza è stata verificata tramite uno studio indipendente su appena 120 persone, sempre maggiori di 18 anni. Il documento della FDA non fornisce richiami o link agli studi citati, rendendone di fatto impossibile la verifica. Interessante notare come tutti gli studi siano stati condotti su maggiori di 18 anni, ma l’autorizzazione della FDA riguardi i maggiori di anni 12.

L’approvazione del secondo booster negli USA è stata notificata attorno alle 15 ora italiana. Nemmeno un’ora dopo la commissaria Ue alla Salute, Stella Kyriakides, ha dichiarato che anche in Europa «vaccinazioni e richiami devono continuare», mentre Il Consiglio Ue ha chiesto alla Commissione europea un parere, al più tardi per la prossima settimana, su una posizione coordinata su una apertura ad una quarta dose di vaccino covid ai più fragili. È quindi piuttosto probabile che a breve la quarta dose sarà approvata anche per i cittadini europei.

Attentato in Israele: cinque uccisi a Tel Aviv

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Ieri sera un uomo in motocicletta ha esploso colpi di arma da fuoco contro i passanti a Brei Brak, città ortodossa vicino a Tel Aviv. L’uomo è riuscito ad uccidere quattro persone e ferire gravemente un’agente prima di essere ucciso a sua volta dalla polizia. Secondo le autorità israeliane l’attentatore era un palestinese di 27 anni, in passato già detenuto per terrorismo. Messaggi di rivendicazione sono stati diffusi dai movimenti palestinesi Hamas e Jihad islamica. È il terzo attacco in Israele nell’arco di una settimana.