martedì 16 Settembre 2025
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Il grande spettacolo dell’informazione mainstream

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I mezzi di comunicazione di massa, specie quelli tipici della mondializzazione e della globalizzazione, televisione e internet, hanno assunto un ruolo di potere in una società basata sulle immagini. Giovanni Sartori ha spiegato quale sia la profonda trasformazione che i mezzi di comunicazione visivi andavano apportando all’Uomo e alla società. L’Homo videns, cresciuto e formato dalla televisione, si limita a guardare e perde la capacità di astrazione tipica di una società basata sulla parola, come prima dell’avvento degli schermi. Anche la politica si adegua allo schermo e alla sua forma, cambiando la propria sostanza. Una società di massa basata sulle immagini non può che portare ad un vuoto, passivo ed eterno vedere, guardare, niente più. Secondo Sartori il risultato è la regressione cognitiva e antropologica dell’essere umano.

La società dello spettacolo

«Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione». Questa è la prima tesi del celebre libro La società dello spettacolo scritto nel 1967 dal filosofo francese Guy Debord. La critica del filosofo francese era rivolta alla moderna società industriale capitalista e ai suoi metodi di produzione ma non mancavano critiche ai modelli socialisti/comunisti, anzi. Il blocco Occidentale era definito da Debord come “spettacolare diffuso” mentre quello Orientale come “spettacolare concentrato” in virtù di ciò che egli definiva “divisione mondiale dei compiti spettacolari” della società umana moderna. Il dominio di tali società su regioni sottosviluppate del mondo non è avvenuto solamente grazie all’egemonia economica in capo a loro ma anche per mezzo delle proprie immagini, arrivate ben prima che potessero essere poste le basi materiali del dominio stesso; la superficie sociale di tali regioni era già stata invasa dallo spettacolare della società portatrice dello spettacolo: «Essa definisce il programma di una classe dirigente e presiede alla sua costituzione. Nello stesso modo in cui presenta gli pseudo-beni a cui aspirare, offre ai rivoluzionari locali i falsi modelli di rivoluzione. Lo spettacolo proprio del potere burocratico che controlla alcuni paesi industriali fa precisamente parte dello spettacolo totale [..] Se lo spettacolo, visto nelle sue diverse determinazioni locali, mostra indubbiamente delle specializzazioni totalitarie della parola e dell’amministrazione sociali, queste vanno poi a fondersi, al livello del funzionamento globale del sistema, in una divisione mondiale dei compiti spettacolari».

Infatti, secondo il filosofo, la divisione nei due blocchi ai tempi della guerra fredda celava un’unità: «lo spettacolo, come la società, è nello stesso tempo unito e diviso. Come questa, esso edifica la sua unità sulla lacerazione. Ma la contraddizione, quando emerge nello spettacolo, è a sua volta contraddetta per un rovesciamento completo del suo senso; di modo che la divisione mostrata è unitaria, mentre l’unità mostrata è divisa». Per tale motivo, nella rappresentazione della separazione la società moderna poneva le proprie basi su una solida base comune: «La lotta di poteri che si sono costituiti per la gestione dello stesso sistema socio-economico che si presenta come la contraddizione ufficiale, mentre appartiene di fatto all’unità reale; e ciò su scala mondiale come all’interno di ogni singola nazione». Per tale motivo, nel 1988, all’alba della dissoluzione dell’Unione Sovietica, nei Commentari alla società dello spettacolo, Debord spiega il superamento della vecchia “divisione mondiale dei compiti spettacolari” in favore di una loro fusione nella forma comune dello “spettacolare integrato” con cui il mondo viene unificato.

Atomizzare la società

Seguendo il ragionamento di Debord se ne deduce che la moderna società dello “spettacolare integrato”, che appare come unitaria, è una realtà lacerata e separata. Di fatti, nel corso degli ultimi trent’anni la società moderna è andata man mano atomizzando gli individui disfacendo i rapporti e i legami sociali tra i medesimi dimostrando quella divisione reale prodotta dallo spettacolo che mostra invece la propria unità. Così, lo spettacolo della moderna società “integrata” che mette in scena il “confortevole” e “pacifico” pensiero unico e unificato, sottende la spaccatura violenta del sociale.

Lo spettacolo «è il cuore dell’irrealismo della società reale» e se «compreso nella sua totalità, è nello stesso tempo il risultato e il progetto del modo di produzione esistente». Che si tratti di informazione, propaganda, pubblicità o consumo di distrazioni, lo spettacolo «è l’affermazione onnipresente della scelta già fatta nella produzione, e il suo consumo conseguente. Forma e contenuto dello spettacolo sono entrambe l’identica giustificazione totale delle condizioni e dei fini del sistema esistente. Lo spettacolo è anche la presenza permanente di questa giustificazione, in quanto occupazione della parte principale del tempo vissuto al di fuori della produzione moderna». In sostanza, lo spettacolo è «una visione del mondo che si è oggettivata» poiché esso «non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini».

Informazione o intrattenimento?

Lo spettacolo è divenuto immanente nella società degli schermi e delle immagini e del continuo e incessante flusso di informazioni. La televisione ha acquisito la funzione di oggetto religioso che pronuncia, senza mai interrompersi, il verbo dello spettacolo; essa è sacerdotessa del modello economico-politico-sociale dominante ripetendone i mantra e contribuendo alla (ri)produzione della realtà stessa.

Lo spettacolo del sociale deve intrattenere quotidianamente e l’informazione diviene spettacolare, non solo per il suo modo enfatico di essere presentata bensì per l’assoggettamento alle regole della produzione irreale della realtà sociale. Così abbiamo i vari programmi tv che sono “format”, ovvero “idea base” o “formula”, con cui si stabilisce la struttura portante che può essere utilizzata altrove tale e quale oppure dopo opportuni adattamenti in base al contesto dello spettacolo locale. Ma ovunque il format sia portato, forma e contenuto coincidono con le necessità e i fini della società dominante.

Barbara D’Urso è una regola

In un’intervista del 2009 condotta da Vittorio Zincone, Barbara D’Urso – nota conduttrice televisiva Mediaset – ebbe a dire: «La miscela alto-basso non l’ho inventata io. E comunque sono molto attenta a tener distinti i momenti di approfondimento da quelli di cazzeggio». La conduttrice ha anche affermato: «Mi prendo in giro. Scherzo. Poi vengono anche momenti importanti, soprattutto la mattina, quando parlo dei problemi dei cittadini». La D’Urso ha proseguito dicendo: «Mi sto occupando parecchio di violenza sulle donne e di anoressia. Molte ragazze mi scrivono per ringraziarmi». Nella medesima intervista, Barbara D’Urso dice di essere stata radiata dall’Ordine dei giornalisti perché faceva “spot”. Quanti sono gli articoli della Costituzione italiana lo ignora come pure quali siano i confini dell’Iraq; d’altronde, spiegando il motivo del suo rifiuto ad una candidatura politica, nel 2004, con Forza Italia di Silvio Berlusconi, la conduttrice dice: «Io conduco, recito, canto». Eppure nelle trasmissioni della D’Urso, oltre che dei reality show e di “storie d’amore” di personaggi (pseudo)famosi, si parla di temi sociali importanti e di politica e, adesso, pure di virologia; il tutto secondo le regole dello spettacolo: stacchetti, intermezzi e qualsiasi altra tecnica utilizzata nella produzione dell’irreale col solo fine di intrattenere e concentrare il pubblico sulla costruzione costante e senza fine del modello sociale dominante. Ogni elemento della narrazione è pronto ad essere sconvolto poiché niente deve consolidarsi al fine di proseguire potenzialmente all’infinito la sceneggiatura che diviene insieme al reale: tutto scorre sul piano liscio del pensiero unico dominante senza che vi sia possibilità di fermare e approfondire il discorso, in un caleidoscopio di informazioni spettacolari che non spiegano niente ma che intrattengono e producono la realtà sociale. Con le reti sociali digitali, che moltiplicano la potenza dello spettacolo, giornalisti, opinionisti, influencer, accrescono il flusso continuo della produzione sociale tramite l’irreale spettacolare delle “storie” e dei “cinguetii” che, come la TV, altro non sono che la mediazione di un rapporto sociale tra individui nella società atomizzata moderna.

La pandemia, “la guerra contro il virus”, è divenuta oggetto di consumo di massa, una merce, un feticcio, che i mass media hanno al contempo lanciato e cavalcato in una spasmodica ripetizione giornaliera di spettacoli macabri e horror con conta dei morti e sfilate di camion dell’esercito, thriller con caccia all’untore (prima il runner, poi quello con il cane, poi i giovani etc.) e poi tanta drammaticità in stile documentario pedagogico di stampo paternalista; ovviamente, per taluni, non è potuta mancare tanta pubblicità.

Infodemia

Con la “crisi pandemica” – crisi economica, democratica e sociale – lo spettacolo si è fatto totalizzante del sociale con i mass media che hanno generato e veicolato una cascata di informazioni cui il pubblico, l’opinione pubblica, è stato sottoposto costantemente. La parola infodemia è apparsa per la prima volta nel 2003 quando David Rothkopf pubblicò un controverso scritto, When the Buzz Bites Back, in cui spiegava che «è un fenomeno complesso causato dall’interazione di media mainstream, media specializzati e siti internet e media “informali”, vale a dire telefoni wireless, messaggi di testo, cercapersone, fax ed e-mail, che tutti assieme trasmettono una combinazione di fatti, voci, interpretazione e propaganda». Secondo l’autore la diffusione del virus SARS (SARS-Cov1) nel 2002 palesò in maniera chiara per la prima volta questo fenomeno che è «in grado di transitare istantaneamente tra continenti». Rothkopf spiega che l’infodemia è in grado di innescare il panico globale, scatenando comportamenti irrazionali e offuscando la capacità di vedere i problemi sottostanti: questo pone sotto costante pericolo le strutture sociali, politiche ed economiche. «La SARS è la storia non di un’epidemia ma di due, e la seconda epidemia, quella che è in gran parte sfuggita ai titoli dei giornali, ha implicazioni che sono molto più grandi della malattia stessa. Questo perché non è l’epidemia virale, ma piuttosto una “epidemia di informazione” che ha trasformato la SARS, o sindrome respiratoria acuta grave, da una pasticciata crisi sanitaria regionale cinese in una debacle economica e sociale globale», è quanto scriveva Rothkopf nel 2003. Egli paragonava l’infodemia ad un ronzio sempre presente nella società odierna, che varia nel tono e nell’intensità, il quale sarebbe di utilità se costantemente monitorato col fine di renderlo un “alert” su questioni sanitarie, sociali ed economiche. Otto anni più tardi ci siamo ritrovati nell’infodemia legata al SARS-Cov2 che ha totalizzato la produzione del sociale su scala mondiale con conseguenze di enorme portata a livello sociale, politico ed economico. Del resto, come non poteva essere così quando lo “spettacolare integrato” del mondo globalizzato ha deciso che fosse ora della guerra? Nel momento in cui, forse subito, si è veicolato il messaggio dell’entrata in guerra della società la questione si è fatta chiaramente politica squalificandone il senso sanitario. E proprio come in guerra, mezzi di comunicazione di massa e reti sociali sono stati utilizzati per identificare i nemici della società, quindi dello spettacolo stesso.

[di Michele Manfrin]

Hong Kong, elezioni: affluenza al 29% alla chiusura dei seggi

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E’ rimasta bassa l’affluenza alle urne per le (s)elezioni del Consiglio legislativo di Hong Kong, dove mezz’ora prima della chiusura dei seggi, aveva espresso il proprio parere solo il 29,3% degli aventi diritto. Le votazioni sono iniziate oggi e per la prima volta, l’ex colonia britannica ha votato in un modo diverso da quelli precedenti: soltanto i 153 candidati che hanno dato prova di essere dei “veri patrioti” si sono potuti presentare.

È la prima consultazione dopo la nuova legge elettorale approvata da Pechino a marzo. Il Comitato elettorale, ampliato da 1200 a 1500 membri e sempre più fedele a Pechino, ha nominato 40 deputati. Altri 30 spettano a figure vicine al governo centrale cinese e soltanto 20 sono ad elezione diretta.

Nei giorni scorsi, la governatrice Carrie Lam aveva già messo le mani avanti: “Se pochi andranno alle urne sarà un segno che sono soddisfatti dello status quo”. Ora tuttavia, incitare a non andare a votare è illegale. 

Le Big Pharma non vogliono vaccinare i migranti per timore delle spese legali

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Le aziende farmaceutiche distributrici dei vaccini anti-Covid hanno espresso preoccupazione riguardo la distribuzione delle dosi a migranti provenienti da Paesi con i quali non vi siano accordi sugli indennizzi in caso di effetti collaterali. Tutti i Paesi con i quali le bigpharma hanno stipulato contratti per la fornitura di vaccini prevedono clausole che sollevano l’azienda produttrice da ogni causa legale da parte di vittime di eventuali eventi avversi, e le multinazionali temono che vaccinando persone che hanno la cittadinanza di stati con i quali non vi è un accordo legale, queste potrebbero avere ragioni legali a rivalersi verso le aziende stesse. Un rischio che Pfizer, Moderna, Johnson & Johnson e Astrazeneca non intendono correre in nessun modo, stando a quanto rivelato un’inchiesta pubblicata dall’agenzia Reuters, che ha analizzato i documenti interni di Gavi, ente di cooperazione mondiale che si occupa della distribuzione dei vaccini nei Paesi svantaggiati. Per questa ragione, milioni di profughi all’interno dei centri di accoglienza in tutto il mondo resterebbero esclusi dal programma vaccinale.

Che le aziende farmaceutiche tendessero a fare tutto il possibile per salvaguardarsi finanziariamente e legalmente era già stato reso evidente con la pubblicazione di alcuni dei contratti stipulati con i singoli Stati. In fondo la sanità per esse è innanzitutto un business e la prima regola è sempre la stessa che vale in ogni settore del capitalismo: minimizzare i rischi, massimizzare i profitti. Nemmeno il Covax, il programma internazionale che mira a garantire un equo diritto all’immunizzazione nei Paesi svantaggiati, è esente da tali misure.

Le grandi aziende farmaceutiche richiedono infatti il pagamento di un indennizzo da parte dei governi con i quali vengono stipulati i contratti per i vaccini, con il fine di poter disporre di una copertura finanziaria in caso di azioni legali per gli effetti avversi. Quando questo non sia possibile, come nel caso di Paesi con governi instabili – specifica l’inchiesta della Reuters – a meno che le ONG non siano disposte a pagare per intero le eventuali spese legali, i vaccini potrebbero non essere resi disponibili.

In questo modo, milioni di profughi stipati in strutture di accoglienza in tutto il mondo molto probabilmente non avranno accesso al vaccino. D’altro canto, proprio per questi timori legali, sono meno di due milioni le dosi di vaccino consegnate sino ad ora al programma Covax. Questo dovrebbe costituire una sorta di “cuscinetto umanitario” al quale, in caso le ONG non possano supportare le spese legali, si può attingere solo se i distributori di vaccini accettano le responsabilità legali. Stando ai documenti forniti da Gavi, le aziende che hanno deciso di sostenere tale rischio forniscono meno di un terzo della dose totale dei vaccini al programma. I due terzi provengono da Pfizer-BioNTech, Moderna e AstraZeneca, le quali hanno rifiutato di rilasciare commenti.

La riluttanza delle Big Pharma di assumersi i rischi legali costituisce un grosso ostacolo per l’approvvigionamento di dosi da parte di Covax e quindi un’equa distribuzione di vaccini nel mondo. La IFPMA, la Federazione internazionale dei produttori e delle associazioni farmaceutiche, ha cercato di aggirare la polemica affermando che nessuna azienda farmaceutica si è rifiutata di “prendere in considerazione il rischio legale”, ma che non fosse possibile farlo, nel caso dei vaccini assegnati a Covax, senza una previa conoscenza di come e dove i vaccini sarebbero stati usati. Operazione assai difficile da portare a termine se si parla della distribuzione di vaccini nei campi profughi. In una dichiarazione rilasciata a Reuters, l’IFPMA afferma che un aumento delle cause legali potrebbe condurre al rischio che “la sicurezza e l’efficacia del vaccino siano pubblicamente messe in discussione“. Una questione di soldi e di immagine quindi, prima che di contenimento dell’emergenza sanitaria.

[di Valeria Casolaro]

 

L’India ha testato un nuovo missile balistico nucleare

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L’India ha testato, sulla sua costa orientale, il missile nucleare di nuova generazione “Agni Prime”. Il missile è equipaggiato con una serie di nuove tecnologie, tra cui un sistema di propulsione avanzato, in grado di colpire obiettivi fino a 2mila chilometri di distanza. Per questo motivo sarà destinato a far pendere la bilancia del potere a favore dell’India nella regione dell’Indo-Pacifico, contesa con la Cina.

Il successo del test di sabato, è dovuto all’Organizzazione per la Ricerca e lo Sviluppo della Difesa (DRDO), il principale ente indiano di ricerca sulle armi. Si tratta del secondo test di volo di Agni Prime. Il primo fu condotto il 28 giugno e ci si aspetta che venga presto introdotto nelle forze strategiche dell’India.

Ogni mese la mafia si impossessa di almeno un Comune italiano

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“La mafia è stata sconfitta”, abbiamo sentito dire innumerevoli volte da esponenti politici di grande peso e da insigni opinionisti negli ultimi vent’anni. L’argomentazione più utilizzata per supportare tale tesi è che “la mafia non colpisce più le istituzioni”, dimostrandosi dunque molto meno pericolosa rispetto all’era delle stragi e degli omicidi eccellenti: un giudizio non soltanto parziale e superficiale, ma addirittura fuorviante.
Come la storia ha ampiamente dimostrato, infatti, le mafie attaccano frontalmente lo Stato solo in condizioni estreme, specie nel momento in cui, la loro stabi...

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Australia, schianto aereo: 4 morti, di cui 2 bambini

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Questa mattina, un piccolo aereo è precipitato al largo della costa del Queensland, in Australia. Quattro persone hanno perso la vita nell’incidente: due uomini e due bambini.

Sono iniziate le indagini per capire il motivo dello schianto del velivolo a quattro posti, avvenuto poco dopo il decollo dall’aeroporto di Redcliffe. I corpi sono stati recuperati dai sommozzatori, ma i passeggeri non sono ancora stati identificati.

Indonesia, una sentenza segna la vittoria degli indigeni contro l’olio di palma

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In Indonesia, nella provincia di Papua, una causa intentata da due compagnie di olio di palma, per ribaltare la decisione di un governo distrettuale, è stata respinta. Il tentativo delle aziende era quello di veder ripristinati alcuni loro permessi, tempo prima revocati dalle autorità locali per una serie di violazioni. Per le popolazioni indigene, il cui territorio rientrava nelle concessioni delle compagnie, la sentenza offre una rara possibilità di veder finalmente riconosciuti ufficialmente i loro diritti alla terra.

Il 27 aprile scorso, il governo locale di Sorong ha annullato i permessi di tre compagnie afferenti all’industria dell’olio di palma. La decisione è stata presa dopo anni di lotta delle comunità indigene della regione, le quali non hanno mai smesso di pretendere il loro diritto alla terra, nonché che i loro territori venissero difesi dagli interessi delle multinazionali. Il governo, in quella che si è da subito figurata come una posizione storica, ha dichiarato che le compagnie non hanno adempiuto ai loro obblighi come stabilito nei permessi originari. Ad esempio, non hanno riferito gli avanzamenti delle loro operazioni e nemmeno aggiornato i cambiamenti delle loro partecipazioni azionarie. Due delle tre aziende penalizzate hanno cercato di opporsi alla revoca ma il tribunale di Jayapura, almeno per ora, ha messo una pietra sulla questione. Le aziende, note con gli acronimi di PLA e SAS, potranno tuttavia ancora ricorrere in appello. Ma a sperare che la decisione venga definitivamente confermata, sono in tanti. I timori maggiori – espressi anche da Piter Ell, avvocato del governo del distretto di Sorong – sono infatti legati anche alla deforestazione. “Ci sono indicazioni – ha dichiarato a Mongabay – che molte aziende che richiedono licenze per la palma da olio lo fanno esclusivamente per abbattere gli alberi che rientrano nelle concessioni. Venderne il legno, difatti, rappresenta un guadagno veloce. Questo potrebbe spingere i giudici a verificare se nelle concessioni revocate c’è qualche attività di disboscamento in corso”.

Le tre compagnie, nel complesso, disponevano di concessioni che coprivano oltre 90 mila ettari di terra. Terra a lungo rivendicata, almeno in parte, dalle popolazioni indigene. Battaglie simili sono aperte un po’ ovunque nel mondo, perché un po’ ovunque si fa fatica a conciliare l’espansione neoliberista con i diritti ancestrali di persone culturalmente tanto discostate dal modello capitalista. I soprusi a discapito di queste ultime sono all’ordine del giorno ma, ogni tanto, come in questo caso, le cose vanno nella direzione opposta.

[di Simone Valeri]

 

Londra, sindaco dichiara stato di emergenza per impennata contagi

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Il sindaco di Londra Sadiq Khan ha dichiarato lo stato di “major accident”, lo stato di emergenza, a causa della rapida diffusione della variante Omicron. Il sindaco spera in questo modo di aiutare gli ospedali a far fronte alla recente impennata di contagi, la più alta mai registrata con più di 65 mila casi solo nell’ultima settimana. Si stima che l’80% di questi sia attribuibile alla variante Omicron. Lo stato di emergenza permetterà un maggior coordinamento tra i servizi pubblici atti alla gestione dell’emergenza sanitaria. Khan aveva già dichiarato lo stato di emergenza a gennaio, per motivazioni analoghe.

No, l’Unione Europea non ha vietato i tatuaggi a colori

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Da ieri è circolata la notizia, ripresa da più media, di una prossima “fine” dei tatuaggi a colori. Si parlava dell’indignazione dei tattoo artist per la nuova scelta dell’Unione Europea, reputata assai restrittiva e ingiusta. Ciò che è inizialmente emerso, facendo il giro del web e dei quotidiani, è stato il completo addio al colore utilizzato per i tatuaggi, ufficialmente in vigore dal 4 gennaio 2022. Solo il bianco e il nero si sarebbero salvati, vista l’assenza in essi dell’isopropanolo, citavano quotidiani anche molto seguiti quali il Corriere, seguito da Fanpage ma anche dal sito di Sky Tg24. Si citava addirittura il punto 75, allegato 12, del regolamento ufficiale dell’Unione Europea che si occupa di proteggere e migliorare la salute (il cosiddetto REACH). Nemmeno ventiquattrore dopo, anche le testate che in primis hanno informato in maniera erronea i lettori, si sono affrettate per correggere i contenuti dei propri articoli, coscienti di avere dato una notizia errata e piena di fraintendimenti. Nessuna delle testate sopraelencate ha però provvisto a pubblicare una rettifica, come previsto dalla deontologia.

Cosa cambia, allora, dal 4 gennaio 2022? Ci saranno limitazioni nell’uso di oltre 4 000 sostanze chimiche pericolose negli inchiostri per tatuaggi e nel trucco permanente. Verranno dunque introdotti dei “Limiti massimi di concentrazione per singole sostanze o gruppi di sostanze chimiche” quali “Particolari sostanze coloranti azoiche, ammine aromatiche cancerogene, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), metalli e metanolo”. Se le nuove norme stabilite dalla Commissione europea e dagli Stati membri dell’UE entreranno in vigore nei paesi UE/SEE dalla data sopracitata, per il caso particolare dei Pigment Blue 15:3 e Pigment Green 7, è previsto un periodo di transizione di 24 mesi, a partire dal 4 gennaio 2023.

Questo è quel che emerge andando direttamente a verificare sul sito ufficiale dell’ECHA (European Chemical Agency) sotto la voce “Inchiostri per tatuaggi e trucchi permanenti“. Nella sezione “Cosa ha fatto l’UE per proteggere i propri cittadini?” viene specificato come le suddette nuove norme non prevedano alcun divieto nell’uso degli inchiostri colorati per i tatuaggi, ma stabiliscano l’entrata in vigore di regole e restrizioni nate dagli ultimi studi e verifiche. Ciò che viene dichiarato è che, vista e considerata la miscela di varie sostanze chimiche contenuta negli inchiostri per tatuaggi e nel trucco permanente, è necessario porre una maggiore attenzione. Tali sostanze infatti non si “fermano” alla cute ma possono entrare nell’organismo; se dunque sono presenti sostanze chimiche nocive, sia con il tatuaggio che con la rimozione dello stesso, esse possono diffondersi nell’organismo, causando potenziali danni alla salute, tanto nell’immediato quanto a lungo termine.

Ecco allora come dal 2015 abbiano preso il via indagini e ulteriori esami per delle sostanze chimiche potenzialmente pericolose ma utilizzate negli inchiostri per tatuaggi e nel trucco permanente. Uno studio approfondito specialmente per le “Sostanze chimiche cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione (CMR); sensibilizzanti, irritanti e corrosive per la pelle; corrosive per gli occhi o che provocano lesioni oculari; metalli e altre sostanze incluse nella risoluzione del Consiglio d’Europa sui requisiti e criteri per la sicurezza dei tatuaggi e del trucco permanente”. Nel 2017 è stata mossa la proposta di restrizione, poi sottoposta alla valutazione del comitato per la valutazione dei rischi (RAC) e del comitato per l’analisi socioeconomica (SEAC). Nel 2019, si è arrivati a un parere consolidato del SEAC, poi trasmesso alla Commissione europea. Il risultato degli svariati esami e delle consultazioni è che non possono esserci alternative più sicure e tecnicamente adeguate per due soli coloranti: il Pigment Blue 15:3 e il Pigment Green 7. Ecco spiegato il suggerimento del periodo di transizione di 12 mesi, cosicché possa esserci il tempo necessario per adeguarli.

Il processo burocratico di sostegno delle nuove restrizioni ha preso il via ufficiale nel 2020, quando queste hanno ottenuto il sostegno degli Stati membri dell’UE e sono poi state adottate dalla Commissione europea. Quella che entrerà ufficialmente in vigore dall’anno prossimo, è la prima vera legislazione specifica a livello europeo di questo tipo, nonostante ci fossero legislazioni similari negli Stati membri. L’obiettivo è quello di ridurre sensibilmente “Reazioni allergiche croniche e altre reazioni cutanee di tipo infiammatorio dovute a inchiostri per tatuaggi e trucco permanente”. Si prevede anche la diminuzione di conseguenze ben più gravi, “Tumori o danni al DNA o al sistema riproduttivo potenzialmente causati dalle sostanze chimiche usate negli inchiostri”.

[di Francesca Naima].

Etiopia, ONU istituirà commissione per indagare su atrocità Tigray

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Il Consiglio Onu dei diritti ha approvato, nel corso di una sessione speciale, una risoluzione per istituire una commissione indipendente che indaghi sulle atrocità commesse nel contesto del conflitto del Tigray, tutt’ora in corso. Si stima che 9 persone su 10 nella regione abbiano bisogno di assistenza umanitaria e 400 mila circa stiano vivendo la carestia, in un contesto dove l’escalation di violenze non si arresta. La commissione sarà incaricata di indagare le violazioni dei diritti umani e raccogliere le prove per individuare i responsabili. Il conflitto, scoppiato il 3 novembre 2020 e nel quale è comprovato l’uso sistematico di violenze come lo stupro di guerra, ha causato decine di migliaia di morti e sfollati tra la popolazione civile del Tigray.