Secondo l’ultimo comunicato dell’ISTAT, nel mese di febbraio 2022 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, al lordo dei tabacchi, ha registrato un aumento dello 0,9% rispetto al mese precedente e del 5,7% rispetto allo stesso periodo del 2021. Quindi, per l’ottavo mese consecutivo l’inflazione accelera, raggiungendo un livello (+5,7%) che non si registrava da novembre 1995. A spingere in alto la crescita sono i prezzi dei beni energetici non regolamentati.
Nigeria, esplode oleodotto Eni: è il secondo incidente in pochi giorni
Nel sud della Nigeria, un oleodotto gestito da Eni è esploso provocando una vasta fuoriuscita di greggio. L’incidente ha interessato il sito di Nembe della joint venture locale Nigerian Agip Oil Company. I pozzi collegati all’impianto sono stati immediatamente chiusi e sono stati messi in atto i sistemi di contenimento. Sull’esplosione non sono stati forniti ulteriori dettagli, ma certo è che si tratta del secondo incidente avvenuto nel giro di pochi giorni. Un episodio simile è stato infatti registrato il 28 febbraio presso l’impianto di Obama. È stato così necessario interrompere temporaneamente il flusso delle esportazioni: quelle giornaliere, complessivamente, sono state ridotte di 30 mila barili. E per giustificare il calo nell’export petrolifero dalla Nigeria, sia Eni che Shell hanno fatto ricorso alla clausola di “causa di forza maggiore”. Nel mentre, i pescatori residenti nei villaggi limitrofi lamentano le conseguenze negative delle frequenti fuoriuscite di greggio nella zona. «Ogni volta che ciò avviene – ha denunciato Noel Ikonikumo, presidente di un sindacato locale di pescatori – le nostre reti e gli altri attrezzi da pesca si impregnano di petrolio e non possiamo più usarli perché l’odore allontana i pesci. Abbiamo scritto alle compagnie interessate perché ci ascoltino e ci aiutino, ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta».
Quel che si sospetta – a detta del direttore della National Oil Spill Detection and Response Agency – è un atto di vandalismo. Sebbene forse, considerato il contesto, sia più idoneo chiamarlo atto di rivolta. Tra le multinazionali del petrolio e le comunità locali – in Nigeria così come in altri Paesi notoriamente sfruttati per fini estrattivi – non corre buon sangue. Un conflitto impari che va avanti ormai da oltre 80 anni dove a rimetterci sono l’ambiente e l’economia di sussistenza delle popolazioni in via di sviluppo. Ma è proprio facendo leva sulla promessa di portare ricchezza che i colossi fossili si sono insediati nel Continente africano ma, dopo quasi un secolo, quel che emerge è solo speculazione ed inquinamento. Tra tutte, l’area del Delta del Niger è quella più martoriata, da quando, nel 1956, vennero scoperti i primi giacimenti. In prima linea nello sfruttamento della zona, la Shell, che controlla circa la metà del sito, seguita da Total, Chevron ed Eni. Un territorio un tempo incontaminato, ora letteralmente colonizzato, sull’onda della corruzione, dai giganti petroliferi.
Le perdite di greggio, causate da centinaia di chilometri di tubature vecchie ed usurate, sono all’ordine del giorno. Ad oggi, sono oltre 36 mila i km² di aree naturali invasi dal petrolio. Così, secondo un rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, le popolazioni locali utilizzano quotidianamente acqua proveniente da pozzi contaminati dal benzene, i cui i livelli di tossicità sono 900 volte superiori alle soglie di sicurezza fissate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Discorso analogo per l’aria. Questa è contaminata dai gas, prodotti di scarto delle estrazioni petrolifere, che dal 1985 vengono bruciati a cielo aperto per rendere l’estrazione del petrolio molto più veloce ed economica. Negli ultimi anni, però, qualcosa sta cambiando. La Shell, ad esempio, è stata già condannata a risarcire le comunità devastate, mentre lo stesso governo nigeriano ha ritirato ad Eni una grossa licenza petrolifera per sospetta corruzione. Questo non porrà di certo fine ad ogni sfruttamento e non ripristinerà le terre distrutte, ma almeno si spera che le pressioni internazionali ed una maggiore attenzione per l’ambiente guidino un significativo cambio di rotta in Africa come altrove.
[di Simone Valeri]
Giappone: terremoto di magnitudo 7.3
Oggi mercoledì 16 marzo una forte scossa di terremoto di magnitudo 7.3 ha colpito il Giappone alle 23:36 locali (15:36 italiane). Le prime analisi hanno individuato l’epicentro in mare, davanti alla costa della prefettura di Fukushima, a una profondità di 60 km. Si tratta della stessa zona in cui un terremoto nel 2011 provocò un violento tsunami e il noto disastro nucleare. Attualmente non si hanno ancora notizie certe circa i danni della scossa. Nel frattempo, le autorità hanno diramato l’allerta tsunami.
In Corsica non si ferma la rivolta degli indipendentisti
In Corsica va avanti da ormai due settimane una violenta rivolta nei confronti delle istituzioni francesi, alimentata da un mai assopito spirito separatista all’interno della regione. Le proteste corse sono una conseguenza di quanto avvenuto il 2 marzo scorso all’interno della prigione di Arles, quando l’indipendentista Yvan Colonna sarebbe stato aggredito da un altro detenuto finendo, dopo otto minuti di strangolamento, in coma. Questa ricostruzione non ha però convinto la popolazione, che così è scesa in strada per manifestare il proprio dissenso, accusando Parigi di essere responsabile del tentativo di omicidio del simbolo del movimento indipendentista.
Les premiers incidents ont démarré devant la préfecture de Bastia. https://t.co/MvdtjwMC7z pic.twitter.com/n2Z3Imwnl0
— France 3 Corse (@FTViaStella) March 13, 2022
A Calvi, in centinaia si sono riuniti nei pressi della sottoprefettura, lanciando diverse molotov sull’istituto, mentre ad Ajaccio un gruppo di manifestanti ha cercato di entrare nel Palazzo di Giustizia, provocando un incendio al suo interno. Domenica 13 marzo la protesta a Bastia è sfociata in “guerriglia urbana”, con tanto di lancio di molotov verso la prefettura e un bilancio di 67 feriti, tra cui 44 agenti delle forze dell’ordine. Per cercare una soluzione agli scontri, il ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin, si è recato questa settimana in Corsica, con l’obiettivo di, si legge in una nota, “aprire un ciclo di discussioni con i rappresentanti e le forze vive dell’isola”, provando così a dare risposta alle “richieste dei rappresentanti corsi sul futuro istituzionale, economico, sociale o culturale” della regione, soprattutto “a quelle del presidente del Consiglio esecutivo, Gilles Simeoni”, un ex indipendentista eletto rappresentante dell’isola che chiede lo statuto speciale autonomo. Intanto, su Twitter il collettivo separatista Ghjuventù Libera ha sottolineato, in vista della manifestazione di Bastia, le rivendicazioni dei manifestanti: verità sul tentato assassinio di Colonna, il rilascio di tutti i prigionieri politici e l’avvio di un processo di riconoscimento del popolo corso, affermando che le proteste continueranno fino al loro ottenimento.
[Di Salvatore Toscano]
Italia: lo Stato Maggiore dell’Esercito ordina ai reparti lo stato di allerta
Una recente circolare dello Stato Maggiore dell’Esercito, diffusa dal partito Rifondazione Comunista ed avente ad oggetto le “evoluzioni sullo scacchiere internazionale”, mette di fatto le forze armate italiane in stato di allerta. Il documento, firmato dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Bruno Pisciotta e destinato a soli ambiti militari, riporta infatti la necessità di attuare con “effetto immediato” tutta una serie di azioni relative a 4 differenti settori: quello del personale, dell’addestramento, dell’impiego e dei sistemi d’arma.
Nello specifico, per quanto riguarda il primo, si ordina innanzitutto di “porre particolare attenzione nel valutare le domande di congedo anticipato, in quanto in un momento caratterizzato dall’intensificarsi delle tensioni geopolitiche, deve essere effettuato ogni possibile sforzo affinché le capacità pregiate possano essere disponibili”. Inoltre, “il personale in ferma prefissata dovrà alimentare prioritariamente i reparti che esprimono unità in prontezza nei prossimi due anni” e “tutte le unità in prontezza devono essere alimentate al 100% con personale ready to move (ossia pronto a muoversi)” si legge nella circolare, nella quale si sottolinea che “tale linea d’azione rappresenti una priorità”.
Riguardo il secondo punto invece, ovverosia quello dell’addestramento, si comunica che tutte le attività addestrative dovranno essere orientate al “warfighting”, cioè a scenari di combattimento su campi di battaglia. A tal proposito, viene specificato che “ciascun reggimento di artiglieria deve essere addestrato ad operare sia nel ruolo di supporto diretto che in quello di supporto generale” e che ci sia bisogno altresì di valutare “la possibilità di affiliazione addestrativa/operativa dei battaglioni delle trasmissioni alle Grandi Unità”.
Per ciò che concerne il settore dell’impiego, poi, si legge innanzitutto che “occorre garantire maggiore omogeneità della forze che contribuiscono alla condotta di operazioni, evitando per quanto possibile il frazionamento delle unità”. Inoltre, si parla del fatto che “gli assetti sanitari costituiscano una capacità essenziale per l’operatività dei reparti” e che sia necessario “accelerare la disponibilità operativa del 52° Reggimento artiglieria terrestre Torino, dando priorità alle batterie semoventi”. Infine, in riferimento ai sistemi d’arma, si ordina di “provvedere affinché siano raggiunti e mantenuti i massimi livelli di efficienza di tutti i mezzi cingolati, gli elicotteri (con focus sulle piattaforme dotate di sistemi di autodifesa) e i sistemi d’arma dell’artiglieria”.
Detto ciò, la diffusione della circolare ha ovviamente generato apprensione nell’opinione pubblica, preoccupata per una possibile imminente entrata in guerra dell’Italia in relazione alla crisi Ucraina. Per questo, dall’Esercito si sono affrettati a comunicare che si tratta di un documento interno e di carattere routinario con cui il Vertice di Forza Armata adegua le “priorità delle unità dell’esercito”, al fine di “rispondere alle esigenze dettate dai mutamenti del contesto internazionale”. Allo stato attuale, dunque, non ci sono a quanto pare i presupposti per parlare di un ruolo attivo dell’Italia nel conflitto tra Russia ed Ucraina, tuttavia il contenuto di tale circolare non può che destare preoccupazione e, come sottolineato dal partito Rifondazione Comunista, c’è bisogno in tal senso di “fermare questa spirale di guerra”.
[di Raffaele De Luca]
Ministro russo Lavrov: possibile compromesso con Ucraina
Il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, avrebbe affermato che alcune parti relative ad un possibile accordo di compromesso con l’Ucraina starebbero per essere concordate: a riportarlo è l’agenzia di stampa Reuters, secondo cui Lavrov avrebbe dichiarato che Kiev avrebbe accettato di discutere seriamente di neutralità nonché delle garanzie di sicurezza. «Ora questa stessa cosa è in discussione nei negoziati», avrebbe infatti a tal proposito affermato Lavrov.
Esiste un piano USA del 2019 per “sbilanciare” la Russia, leggerlo oggi spiega molto
Un documento prodotto dalla RAND Corporation nel 2019, Overextending and Unbalancing Russia, mostra chiaramente quale fosse il piano da attuare nei confronti della Russia. La RAND Corporation è il think thank statunitense che già collaborò con il governo di Washington durante la guerra fredda all’elaborazione di un piano strategico per portare al crollo dell’Unione Sovietica. Già tre anni fa, la più importante agenzia di consulenza geostrategica al mondo, la Rand Corporation, aveva redatto uno studio di valutazione qualitativa delle “opzioni che impongono costi” che potrebbero “sbilanciare e sovraccaricare” la Russia. Un team di esperti di RAND Corp. ha sviluppato opzioni economiche, geopolitiche, ideologiche, informative e militari e le ha valutate qualitativamente in base alla loro probabilità di successo nel portare la Russia a “sovraestendersi” e “sbilanciarsi”, per poi essere abbattuta. Le varie ipotesi di condotta sono analizzate secondo la probabilità di successo, i benefici ottenuti e i costi e i rischi da sostenere.
Sovraestendere e sbilanciare la Russia
Tra le misure economiche, con alti benefici e probabilità di successo, oltre che con costi e rischi bassi, troviamo l’espansione della produzione di energia statunitense. Quest’azione, vista positivamente anche per il fatto che non impone multilateralità e/o approvazione, servirebbe a far calare il costo globale dell’energia col fine di danneggiare l’economia Russa. Come seconda opzione troviamo le sanzioni commerciali e finanziarie: una strategia definita nel documento ad alto rischio e con elevati costi ma anche con alti benefici e alta probabilità di “sbilanciamento” russo. Quest’azione viene indicata molto efficacie se le sanzioni imposte da Washington ricevono sostegno globale e multilaterale. Smarcare l’Europa dall’energia russa è la terza ipotesi analizzata e viene ritenuta di alto benefico per gli Stati Uniti. Infatti, in tal caso, aumenterebbe l’esportazione di gas naturale liquefatto (GNL) statunitense verso il continente europeo. Costi e rischi, come anche la probabilità di successo, vengono in questo caso considerati moderati. Infine viene ipotizzato un incoraggiamento all’emigrazione dalla Russia di manodopera qualificata senza però avere riscontri positivi degni di rilevanza.
Nel documento della Rand Corp. troviamo anche le possibili azioni in campo geopolitico: fornire aiuti letali all’Ucraina; crescente sostegno ai ribelli siriani; promozione della liberalizzazione in Bielorussia; ridurre l’influenza russa in Asia centrale; capovolgere la Transnistria ed espellere le truppe russe dalla regione. I benefici maggiori risultano qui essere la fornitura di armi all’Ucraina.
Veniamo quindi alle azioni militari. Con il fine di aumentare l’ansia del nemico, si prevede un riposizionamento dei bombardieri a corto raggio che si muovano a ridosso della Russia; questa sarebbe un’opzione militare ritenuta soddisfacente rispetto ai costi e ai rischi, oltre che per la manovra si sbilanciamento nei confronti della Russia. Per quanto concerne le armi di distruzione di massa si legge: “Il dispiegamento di ulteriori armi nucleari tattiche in località europee e asiatiche potrebbe aumentare l’ansia della Russia al punto da aumentare significativamente gli investimenti nelle sue difese aeree. Insieme all’opzione del bombardiere, ha un’alta probabilità di successo, ma il dispiegamento di più tali armi potrebbe portare Mosca a reagire in modi contrari agli interessi degli Stati Uniti e degli alleati”. In altre parole, sarebbe un’opzione perfetta ma che comporterebbe dei grossi pericoli.
Per il dominio navale, l’opzione che riscontra maggior successo è la pressione nelle aree di influenza russa. “L’aumento della posizione e della presenza delle forze navali statunitensi e alleate nelle aree operative della Russia potrebbe costringere la Russia ad aumentare i suoi investimenti navali, distogliendo gli investimenti da aree potenzialmente più pericolose”, si legge nel documento.
Quattro opzioni sono invece previste nell’ambito del multidominio della NATO: aumento delle forze di terra USA e NATO in Europa; aumento delle esercitazioni NATO in Europa; ritiro dal trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio (con la possibilità di costruire e schierare missili nucleari in Europa); investire in nuove capacità per manipolare la percezione del rischio proveniente dalla Russia.
Sempre in campo militare, il documento si occupa di ricerca e sviluppo aereospaziale per cui si ipotizzano investimenti in velivoli invisibili ai radar, droni, aerei di attacco a lungo raggio, missili, mezzi per la guerra elettronica, armi spaziali, sviluppo aerei spaziali, satelliti.
Viene anche prevista una campagna mediatica che miri a minare l’immagine della Russia nel mondo e che dia impulso alla perdita di fiducia dei cittadini russi nei confronti del proprio governo, spiegando che Putin non fa gli interessi del proprio popolo, con l’intento di incoraggiare proteste interne e sollevazioni popolari. Inoltre, si fa riferimento al più ampio utilizzo del softpower per il boicottaggio della Russia nei consessi più disparati come, per esempio, il mondo dello sport
In conclusione, lo studio condotto dagli analisti di RAND Corporation, le migliori azioni che Washington può mettere in atto contro Mosca sono quelle che vanno ad impattare direttamente nell’economia russa, fortemente dipendente dall’esportazione di energia e materie prime.
2019-2022
A distanza di tre anni, possiamo vedere quante delle cose suggerite dallo studio del think tahnk statunitense si sono effettivamente realizzate. Lasciando perdere i vari investimenti in armamenti e tecnologie varie, che sempre vengono fatti, è interessante notare come alcune opzioni previste dagli analisti di RAND Corporation siano divenute oggi realtà.
Che gli Stati Uniti stessero cercando da tempo di bloccare o, quantomeno, tamponare i flussi di energia dalla Russia all’Europa non è certo una novità e la questione del North Stream 2 è centrale ed emblematica. Come non è un mistero che gli Stati Uniti intendessero convincere l’Europa ad importare maggiori quantità di energia dagli USA, in particolare il gas naturale liquefatto GNL. Vediamo poi come si è realizzata l’opzione delle sanzioni commerciali e finanziarie, strategia che, ricordiamo, viene definita ad alto rischio e con elevati costi ma anche con alti benefici e alta probabilità di “sbilanciamento” russo. Tale politica, attuata e spinta fino a rasentare l’embargo alla Russia, si è realizzata anche nella sua parte di multilateralità, con l’adesione fedele dei partner europei.
Per quanto concerne la fornitura di armi all’Ucraina, sebbene ve ne fossero già state inviate a seguito del colpo di Stato del 2014, negli ultimi anni, miliardi di dollari di armamenti sono stati forniti dagli USA all’Ucraina. Inutile dilungarsi sugli sviluppi attuali sul tema, viste le decisioni adottate dai paesi NATO, Italia compresa. Dobbiamo poi ricordare che quanto previsto dallo studio circa la “liberalizzazione della Bielorussia“, vi è stato effettivamente un tentativo di rovesciamento di quello che l’Occidente definisce un regime non democratico guidato da Aleksandr Lukašenko, con la così detta “rivoluzione delle ciabatte” del 2020-2021, risultata fallimentare.
Innegabile è anche l’avvenuto aumento delle attività militari della NATO in Europa, che nel corso degli anni ha messo in piedi grandi e numerose esercitazioni multidominio: terra, aria, mare e anche cibernetico. Le esercitazioni che hanno coinvolto l’Alleanza Atlantica sono state condotte in maniera maggiore nei paesi del Nord e dell’Est Europa, al ridosso dei confini russi, con regolari esercitazioni che si svolgono di anno in anno, tra cui ricordiamo Cold Response e Trident Juncture.
Evidente è stato anche il tentativo di fomentare proteste interne, come dimostrato dal “caso” Navalny, costruito mediaticamente come unico e vero oppositore di Putin ma che in realtà non ha avuto, e tutt’ora non ha, alcuna consistenza politica nel paese, la cui opposizione è certamente più rappresentata da altri personaggi e partiti.
Come nota conclusiva riguardo al nostro Paese, va denunciata la censura che stiamo vivendo in Italia la quale ha colpito anche Manlio Dinucci, firma storica de Il Manifesto, analista geopolitico e geografo e ricercatore associato del Centro di Ricerca sulla Globalizzazione (CRG), il quale si è visto cancellare la propria rubrica,“L’Arte della Guerra”, dal “quotidiano comunista”. Il motivo? Non volersi piegare alla narrazione ufficiale a senso unico. Altra nota, fu lo stesso Dinucci a riportare nel 2019, proprio su Il Manifesto, l’esistenza del documento elaborato dalla RAND Corporation come possibile strategia bellica statunitense nei confronti della Russia.
[di Michele Manfrin]
Covid: Cassazione annulla sequestro della Torteria di Chivasso
La conferma del sequestro preventivo, da parte del tribunale del riesame di Torino, della Torteria di Chivasso che durante l’emergenza Covid non aveva abbassato le serrande, è stata annullata senza rinvio da una sentenza della Cassazione. La titolare della Torteria non ha infatti commesso il reato di “inosservanza dei provvedimenti dell’autorità” previsto dall’articolo 650 del Codice Penale secondo la Suprema Corte, la quale ha precisato che la condotta contestata a quest’ultima rientrasse nelle violazioni alle misure di contenimento del Covid che con il decreto legge del 25 marzo 2020 erano state depenalizzate, prevedendo esso solo una sanzione amministrativa.
Batteri al posto dei fertilizzanti per ridurre l’inquinamento
Una ricerca scientifica dimostra come alcuni batteri possano diventare una valida alternativa ecologica ai fertilizzanti chimici utilizzati nell’agricoltura, la cui maggior parte viene prodotta tramite l’utilizzo di combustibili fossili. Questa scoperta, quindi, potrebbe mitigare una delle principali fonti d’inquinamento ambientale.
Il batterio in questione è l’Azotobacter vinelandii, microrganismo presente nella porzione di suolo che circonda le radici di alcune colture (rizosfera). Questo, grazie a un processo di editing genetico, può essere usato per trasferire l’azoto nelle piante in base alle esigenze, ovvero a quanto ciascuna coltura necessita e riesce ad assorbire, senza eccessi. I ricercatori hanno testato il procedimento scientifico su alcune piante di riso, facendo in modo che l’Azotobacter producesse azoto costantemente, indipendentemente dalle condizioni ambientali, in quantità sufficienti a fertilizzare le coltivazioni.
L’obiettivo della ricerca consiste nel trovare una soluzione alla produzione eccessiva di fertilizzante azotato. Difatti, quando gli agricoltori impiegano i fertilizzanti chimici a base di azoto nei campi, ne usano in quantità superiori rispetto a quella assorbita effettivamente dalle colture. Il resto si riversa in fiumi, laghi e oceani con conseguenze devastanti, come la fioritura algale, ovvero la nascita di piante microscopiche che causano la riduzione di ossigeno e luce, e ospitano i cianobatteri, portatori di tossine mortali per gli ecosistemi acquatici.
Una corretta adozione dei biofertilizzanti derivati dall’Azotobacter vinelandii quindi, ridurrebbe l’inquinamento, i costi di produzione, e migliorerebbe la produzione alimentare. Pertanto, il prossimo step degli scienziati sarà la creazione di gruppi batterici differenti, al fine di produrre azoto a velocità diverse, soddisfacendo così le differenti esigenze delle colture.
[di Eugenia Greco]









