mercoledì 19 Novembre 2025
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Bombe sui bambini o disinformazione? Cosa sappiamo di quanto successo a Mariupol

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Prima che essere un esempio di devastazione da guerra, il bombardamento dell’ospedale pediatrico di Mariupol è un caso esemplare di confusione mediatica. Dichiarazioni, articoli di giornale, narrazioni, si sono rapidamente rincorse e smentite, rendendo impossibile farsi un’idea chiara di cosa sia successo il 9 marzo scorso. E questo non solo perché, come era prevedibile, la versione russa e quella ucraina sulla situazione all’ospedale sono diverse. Ma anche perché, in alcuni casi, sono le fonti di una stessa parte a divergere.

In questa situazione torbida, testate giornalistiche italiane non hanno comunque mancato di sospendere la deontologia professionale. Scegliendo arbitrariamente di trasmettere una sola versione, quella Ucraina, e spesso elevandola senza motivo a fonte certa e verificata, abbandonando oltretutto l’uso del condizionale. Ma le informazioni giunte, sino ad ora, non sono sufficienti per giudicare i fatti di Mariupol, rendendo evidente come siano  necessarie verifiche e conferme.

La notizia del bombardamento dell’ospedale pediatrico è stata data in primis dal premier ucraino Zelensky. Le sue parole, accompagnate da un video, sono state: «persone, bambini sono sotto le macerie. È un’atrocità! Per quanto tempo ancora il mondo sarà un complice che ignora il terrore? No fly zone adesso!». Tuttavia, quasi nello stesso momento, Pavlo Kyrylenko, attuale governatore del Donetsk Oblast, dichiarava che nell’attacco erano rimaste ferite 17 persone, ma che a quanto si sapeva non era morto nessuno: né donne né bambini. 

Da parte russa, poco dopo, è arrivata una decisa smentita, carica di accuse di fake news. Dmitry Polyanskiy, primo deputato e rappresentante permanente presso le Nazioni Unite della Russia, ha polemizzato per il modo in cui mezzi d’informazione occidentali e le stesse UN hanno parlato dell’accaduto: «Ecco come nasce una fakenews. Abbiamo avvertito nella nostra dichiarazione del 7 marzo che questo ospedale è stato trasformato in un oggetto militare dai radicali. Molto inquietante che l’ONU diffonda queste informazioni senza verifica».

Il comunicato russo del 7 marzo effettivamente esiste. È stato infatti pubblicato due giorni prima del bombardamento sul sito ufficiale della Rappresentanza russa alle UN. Vi si legge che le Forze Armate ucraine avrebbero da un po’ di tempo occupato l’ospedale pediatrico di Mariupol, rendendolo un appostamento militare per il tiro: «I radicali ucraini mostrano il loro vero volto ogni giorno di più. La gente del posto riferisce che le forze armate ucraine hanno cacciato il personale dell’ospedale n. 1 della città di Mariupol e hanno allestito un sito di tiro all’interno della struttura. Inoltre, hanno completamente distrutto uno degli asili della città»

In rete è poi possibile leggere un articolo di lenta.ru, sito di informazione russo, che confermerebbe la versione del comunicato. Pubblicato l’8 marzo, riporta il racconto di un cittadino, Igor, secondo cui l’ospedale di Mariupol era già stato evacuato e occupato da forze militari non identificate. Ecco il paragrafo in questione tradotto in Italiano: 

Igor ha detto che gli ultimi giorni di febbraio persone in uniforme sono arrivate all’ospedale di maternità, dove lavora sua madre. Riferisce che non sa se fossero combattenti delle Forze Armate ucraine o del battaglione nazionalista “Azov” (bandito nella Federazione Russa ). I militari hanno distrutto tutte le serrature, disperso il personale dell’ospedale e posizionato punti di fuoco, per preparare, come hanno spiegato ai medici, la “fortezza di Mariupol” alla difesa. La reazione dei militari alle obiezioni è standard: colpi con il calcio dei fucili, sparando in aria”.

A chi credere dunque? Le informazioni al momento non permettono di pendere da nessuna delle due parti. Siamo nel classico campo della battaglia informativa che accompagna ogni guerra

Ieri mattina, inoltre, la BBC ha pubblicato un video dove Sergei Orlov, vice sindaco di Mariupol, dichiara che a causa del bombardamento ci sarebbero 17 persone ferite e 3 morti, fra cui un bambino. Le nuove dichiarazioni sono compatibili con quelle di ieri, fatte dal governatore Pavlo Kyrylenko, tuttavia non è chiaro se le persone decedute fossero all’interno dell’ospedale. 

Fra i quotidiani ucraini che hanno trattato l’aggiornamento, vi è ad esempio Lb.ua. che riporta, come fonte, dei nuovi dati sulle vittime il profilo telegram del Comune di Mariupol. Effettivamente vi si trova un post dove si parla di tre persone decedute. Però non si dice di un bambino fra queste, ma una bambina. E alcune testate, anche italiane, come l’Adn Kronos, hanno riportato che “il bambino” aveva 6 anni. Il sospetto, a questo punto, è che vi sia un errore e che si tratti non di una vittima del bombardamento ma della bambina di 6 anni morta per disidratazione

È in questo quadro ancora poco chiaro che testate come la Repubblica, hanno titolato “L’agonia di Mariupol: mamme e bambini colpiti in ospedale”. Oppure “strage di donne e bimbi”, come ha fatto il Giornale di Brescia. Ma il titolo più gridato è forse stato quello di La Stampa. Senza la minima prova infatti il quotidiano torinese titola “Orrore a Mariupol: i bambini nel mirino” dando a intendere al lettore non solo che vi siano certamente morti e feriti, ma addirittura che l’intenzione russa fosse proprio quella di colpire civili, in particolare i più piccoli. 

Quale fosse l’intenzione dei russi è ancora da verificare, così come è da verificare ogni lato di questa notizia. Abbiamo invece certezza su quella dei giornalisti italiani che se ne sono usciti con titoloni: sposare la narrazione comoda all’Occidente e ignorare tutto il resto. Evidentemente, quando si tratta di guerra in Ucraina, non interessa più come stiano davvero le cose. Non c’è bisogno di verificare, è vero, giusto, fondato, solo ciò che viene una delle due parti in causa. E, naturalmente, al pubblico italiano va riportato con qualche esagerazione o abbellimento emotivo: così si fanno pure tanti click. Ma questa non è deontologia giornalistica. 

[di Andrea Giustini]

Le forze della NATO si stanno addestrando in Piemonte

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È iniziata in Piemonte l’esercitazione Volpe bianca – CaSTA2022, che vedrà impegnate per due settimane forze della NATO sul territorio italiano della Via lattea. Si tratta di un appuntamento annuale, non legato dunque alle attuali circostanze geopolitiche, che ha come obiettivo la verifica del livello di addestramento in ambiente invernale delle truppe di montagna. L’esercitazione spazierà dal soccorso al movimento e combattimento in alta quota, definito in gergo NATO come Mountain Warfare.

Alla 72° edizione dell’addestramento, interrotto soltanto negli ultimi due anni causa pandemia, prenderanno parte le Brigate Julia e Taurinense e il Centro Addestramento Alpino, a cui si aggiungeranno la 27ª Brigata di Fanteria da Montagna francese e la 173ª Brigata Aviotrasportata dell’esercito statunitense. L’appuntamento di quest’anno, sviluppato all’interno di un perimetro di circa 60 km², verrà suddiviso in due fasi: nella prima è prevista una collaborazione con reparti specialistici dell’Esercito, intervento di elicotteri, velivoli senza pilota Raven e sistemi di comunicazione con copertura satellitare. Nella seconda fase, chiamata invece “ricognizione sul ghiaccio”, le forze NATO prenderanno parte alla tradizionale gara di pattuglia, confrontandosi su diverse attività, tra cui: topografia, tiro, trasporto di un ferito, superamento di un ostacolo naturale, navigazione tattica, collegamenti radio e realizzazione di un bivacco.

«La montagna è quel caratteristico ambiente che impone una familiarizzazione e una preparazione fisica e mentale specifiche» ha spiegato il Comandante delle Truppe Alpine dell’Esercito, Generale di Corpo d’Armata Ignazio Gamba. «In 150 anni di vita del Corpo degli Alpini, noi soldati di montagna abbiamo affinato e fatto sempre più nostre le caratteristiche di articità e verticalità, che ormai fanno parte del nostro Dna: la capacità di vivere, muovere e combattere in climi rigidi e in ambienti dove lo sviluppo verticale del movimento tempra e garantisce la consapevolezza di saper operare in tutti gli ambienti non permissivi».

[Di Salvatore Toscano]

Ue: obiettivo indipendenza da gas russo

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«Nel breve termine abbiamo bisogno di affrontare il caro prezzi nell’energia e prepararci al prossimo inverno», ha detto Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, al vertice dei leader europei di Versailles. «Al di là della regolamentazione dei prezzi e agli aiuti di Stato, stiamo esaminando opzioni per limitare i prezzi dell’elettricità. Siamo troppo dipendenti dalla Russia in particolare sul gas. Dobbiamo diversificare. Proporremo lo stoccaggio del gas almeno al 90% entro il 1 ottobre di ogni anno». La decisione arriva qualche giorno dopo il discorso di Joe Biden e l’annuncio dello stop alle importazioni di gas russo negli Stati Uniti.

Produrre energia verde combattendo la siccità: la California punta sui canali solari

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In California sta per essere testata la solar-canal solution (soluzione del canale solare), studiata per salvare una delle risorse più in crisi nello Stato occidentale del Stati Uniti, l’acqua. Non solo, i prototipi in fase di sviluppo nella Central Valley della California mostrano quanto quella dei solar-canal possa essere una scusa salvifica per raggiungere gli obiettivi di energia rinnovabile, con un’importante convenienza anche dal punto di vista economico. Il primo prototipo di canale solare supportato dal Dipartimento statale delle risorse idriche, sarà costruito dal distretto di irrigazione di Turlock (TID), nella San Joaquin Valley in California, progetto che vede la collaborazione di Solar Aquagrid, svariati studiosi e ricercatori. L’ambizioso progetto Project Nexus avrà inizio quest’anno e dovrebbe essere completato entro il 2024.

Il problema della siccità negli Stati Uniti occidentali è spaventosamente crescente e allarmante. La California è uno dei territori che più risente di un fenomeno tanto  pericoloso: dal 2000 al 2021, c’è stato un periodo di siccità tanto grave e atipico come non accadeva dall’800. Una delle cause della crescente siccità è l’evaporazione dell’acqua dai canali della California,  che secondo quanto dimostrato potrebbe essere rallentata o addirittura fermata grazie ai pannelli solari. L’idea è quella di coprire tutta la lunghezza dei canali, quindi ombreggiare i corsi d’acqua e farlo con dei “canali solari”. Secondo le stime, in questo modo si potrebbero salvare fino a 65 miliardi di galloni d’acqua all’anno (circa 246 miliardi di litri). Riducendo l’evaporazione non solo si salverà della preziosa acqua ma si potrà generare una notevole quantità di energia pulita. Secondo le stime, si arriverebbe molto vicino al raggiungimento degli obiettivi ambientali californiani, perché i solar-canal potranno generare fino alla metà di energia da fonti rinnovabili che lo Stato dovrebbe aggiungere per un’elettricità carbon free entro il 2045.

Senza parlare del migliore rendimento dei pannelli solari quando posti sopra i canali, visto che l’acqua si riscalda più lentamente della terra quindi scorrendo essa sotto i pannelli, potrebbe raffreddarli aumentando di conseguenza la produzione di elettricità. Non si parla solo di risparmio idrico e generazione di energia rinnovabile, per quanto sia già rincuorante. Se i pannelli solari riuscissero a occupare lo spazio al di sopra dei corsi d’acqua, si risparmierebbero fino agli 80.000 acri di terreni agricoli o habitat naturali (Circa 33mila ettari) altrimenti necessariamente destinati alla costruzione di fattorie solari. Per quanto l’istallazione dei solar-canal sia più costosa rispetto alla classica costruzione a terra, i benefici sono numerosi, sia nel breve che nel lungo termine: dal risparmio idrico, a una maggiore efficienza fotovoltaica fino alla mitigazione delle erbe infestanti acquatiche e, ovviamente, un ensemble di benefici per la salute della Terra e umana, vista la riduzione delle emissioni di gas serra che porterebbe, quindi un’aria con qualità assai superiore. Infine, tra le cause delle catastrofi a cui ormai notoriamente la California è stata soggetta, c’è anche l’invecchiamento dell’infrastruttura energetica dello Stato. Ciò ha contribuito alla diffusione di incendi e importanti interruzioni di elettricità per più giorni. Degli insediamenti solari intelligenti sui canali potrebbero invece essere utili anche per evitare eventi tanto nefasti.

[di Francesca Naima]

Ucraina, Oim: più di 2,3 milioni di profughi

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Sono più di 2,3 milioni le persone che ad oggi, a causa della guerra in Ucraina, sono state costrette a fuggire dal Paese ed a recarsi nelle nazioni confinanti. A renderlo noto è stata l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) delle Nazioni Unite tramite un tweet, con il quale ha altresì precisato non solo che 112 mila profughi appartengano a Paesi terzi ma che essi abbiano “bisogno di supporto umanitario vitale e di protezione”.

Tribunale di Pistoia: sentenza dà ragione al genitore che non vuole vaccinare il figlio

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“Il Tribunale non può ragionevolmente ritenere corrispondere al miglior
interesse, anche medico, del minore la somministrazione dei preparati vaccinali
attualmente in uso per la malattia da Sars-Cov-2”: è quanto si legge all’interno di un recente sentenza del Tribunale di Pistoia, con cui il giudice – la dottoressa Lucia Leoncini – ha respinto il ricorso di una madre che aveva chiesto all’ufficio giudiziario l’autorizzazione a sottoporre i 3 figli minori alla vaccinazione anti Covid contro la volontà dell’ex coniuge. Sostanzialmente il giudice ha dato ragione al padre, che si è opposto alla vaccinazione dei figli (di cui uno di età superiore a 12 anni e gli altri due di età inferiore ai 12 anni) ed ha riconosciuto che il rapporto rischi/benefici non fosse adeguato.

“Occorre prendere le mosse dai dati scientifici ed epidemiologici a disposizione”, ha innanzitutto scritto il giudice, sottolineando che i vaccini attualmente in uso in Italia, Pfizer e Moderna, sono univoci nell’indicare nel proprio foglio illustrativo pubblicato sul sito dell’Aifa la non raccomandazione “nei bambini di età inferiore a 12 anni”. Ciò già di per sé avrebbe costituito secondo il giudice un dato significativo sulla cui base rigettare il ricorso per quanto attiene ai due figli più piccoli, dato che di certo “l’autorità giudiziaria non può considerarsi ragionevolmente legittimata ad autorizzare l’utilizzo di un farmaco che l’autorità sanitaria a ciò preposta raccomanda di non utilizzare”. Tuttavia, considerata la loro età prossima al compimento degli anni 12 e avendo riguardo altresì alla domanda di autorizzazione afferente il figlio già ultradodicenne, il giudice ha preso in considerazione tutta una serie di dati ulteriori.

Sotto l’egida dell’art. 32 della Costituzione (riguardante la tutela della salute) invocato da entrambi i contendenti, il giudice ha fornito una completa valutazione rischi benefici della vaccinazione ai 3 figli. In primo luogo ha rilevato che il beneficio del vaccino (rappresentato dalla limitazione della possibilità di contrazione di malattia nella forma grave, ossia potenzialmente letale) nella fascia d’età considerata determini la possibile riduzione di eventi che, stando ai dati ufficiali, “si sono verificati di media in meno di due casi su 100.000 contagiati e in meno di 5 casi su 1.000.000 di bambini, per quanto attiene al decesso, e in poco più di un caso su 10.000 contagiati e in circa 3 casi su 100.000 bambini, per quanto attiene al ricovero in terapia intensiva”.

A fronte di tale protezione, però, occorre fare i conti non solo con il fatto che i vaccini “non valgono ad evitare il contagio” ma che, come precisato nel foglio illustrativo dei due vaccini, non sia nota la frequenza degli eventi avversi più gravi. “Per entrambi i vaccini, inoltre, è specificato che essi comportano un aumento del rischio di miocardite e pericardite”, ha aggiunto il giudice, sottolineando che “i vaccini attualmente in uso in Italia sono stati autorizzati sotto condizione da parte dall’autorità europea, poiché non risulta completata la necessaria IV fase di sperimentazione” e che ciò di per sé “dovrebbe indurre a particolare cautela specialmente ove si voglia somministrare il vaccino a soggetti che, per fascia di età, per un verso non presentano rischi di esposizione grave al virus” e “per altro verso sono ancora in fase evolutiva e di sviluppo e devono quindi essere destinatari di tutela rafforzata”. Di conseguenza, somministrare a tali soggetti vaccini la cui frequenza di effetti collaterali non solo a breve ma “soprattutto a medio-lungo termine” non risulta nota, per “fronteggiare rischi medici che possono ragionevolmente dirsi remoti”, non corrisponde a “una ragionevole applicazione del principio di prudenza”.

È per tutti questi motivi dunque che – “salvo casi peculiari attinenti a specifiche condizioni del minore che rendano più elevato rispetto alla media generale il rischio di sviluppare una malattia grave dall’infezione da Covid-19”, eventualità che non riguardava il caso di specie – il tribunale non ha ritenuto corrispondente al miglior interesse del minore la sua sottoposizione al vaccino. Infine il giudice ha precisato che la valutazione, in casi analoghi a quello di specie, non si presta ad “essere modificata per bilanciamento con contrapposte esigenze di interesse pubblico” dato che “la duplice valenza del diritto alla salute nella prospettiva dell’art. 32 Cost., come diritto fondamentale e come interesse della collettività, non può comportare una sistematica prevalenza dell’ interesse pubblico sul diritto individuale”. In tal senso anche il bilanciamento con altri interessi, come lo sviluppo della vita sociale, non appaiono idonei a incidere direttamente sulla valutazione del rapporto benefici-rischi ed è per questo dunque che anche la volontà dei figli, che a quanto pare avrebbero voluto sottoporsi al vaccino così da riacquistare una normale vita sociale e sportiva, non ha fatto testo.

[di Raffaele De Luca]

Brasile, migliaia in piazza contro i progetti estrattivi nelle terre indigene

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Migliaia di manifestanti si sono riuniti nella capitale del Brasile per protestare contro cinque disegni di legge in fase di valutazione da parte del Congresso. Se approvate, le proposte darebbero il via libera all’estrazione mineraria nelle terre indigene e allenterebbero i regolamenti sull’uso dei pesticidi e sulla deforestazione. L’enorme manifestazione è stata chiamata Stand for the Earth ed è nata proprio in opposizione al pacchetto di norme che gli ambientalisti hanno definito una “combo della morte”.

Per gli oppositori, i disegni di legge voluti dall’amministrazione Bolsonaro porterebbero ad una vera e propria legalizzazione di diversi crimini ambientali. Verrebbero, difatti, concesse attività estrattive commerciali nelle terre indigene minacciando i già precari diritti alla terra di decine di migliaia di popoli. Verrebbero inoltre ammorbiditi i requisiti per ottenere varie licenze ambientali nonché i regolamenti sull’uso dei pesticidi. Secondo molti, le norme legittimerebbero gli accaparratori terrieri e i taglialegna illegali in Amazzonia, dove la deforestazione ha già raggiunto livelli record proprio sotto la guida del presidente di estrema destra. Il tutto poi sfruttando la guerra tra Russia e Ucraina come pretesto. «A causa del conflitto oggi corriamo il rischio di una mancanza di potassio o un aumento del suo prezzo – ha scritto Bolsonaro su Twitter – la nostra sicurezza alimentare e il comparto agroalimentare esigono dall’esecutivo e dal parlamento misure che ci permettano di non dipendere da una risorsa di cui disponiamo in abbondanza».

Il Senato dovrà esprimersi su tre di questi disegni di legge nelle prossime settimane, mentre gli altri due verranno votati dalla Camera bassa. Ma, nel dettaglio, cosa prevedono quindi queste controverse norme? Il primo disegno di legge istituirebbe il cosiddetto Marco Temporal, un vincolo legislativo secondo cui solo i popoli indigeni in grado di dimostrare che occupavano le loro terre prima della promulgazione della Costituzione Federale vi avrebbero diritto. Modificherebbe poi lo Statuto Indiano includendo “un contratto di cooperazione tra indiani e non indiani” affinché questi ultimi possano svolgere attività economiche nei terreni indigeni. Il secondo disegno in fase di valutazione consentirebbe, invece, lo sfruttamento delle terre ancestrali da parte di grandi progetti infrastrutturali e minerari, compresi quelli legati al petrolio e al gas naturale. Il terzo renderebbe più flessibile l’ottenimento di licenze ambientali per le nuove imprese ed opere prevedendo il rinnovo automatico di qualsiasi tipo di concessione ambientale. 14 settori produttivi, tra cui l’agricoltura estensiva e l’allevamento di bestiame, sarebbero esenti da vincoli e la costruzione di nuove opere potrebbe avvenire senza una valutazione del loro impatto né sulle sulle terre indigene né sulle Unità di Conservazione. Il quarto pacchetto normativo concederebbe l’amnistia per il reato di invasione di terre pubbliche per coloro che le hanno occupate tra la fine del 2011 e il 2014 permettendo la regolarizzazione di aree fino a 2.500 ettari senza che si passi per un’ispezione. Infine, il quinto ed ultimo disegno di legge permetterebbe la regolarizzazione delle occupazioni delle terre avvenute prima del 2008, quelle che dovrebbero essere destinate ai coloni della riforma agraria.

I manifestanti sperano quindi di convincere i legislatori a respingere o modificare i disegni di legge nonostante l’elevato sostegno che questi stanno ricevendo dalla lobby del business agroalimentare. «Nella loro forma attuale – ha dichiarato Marcio Astrini, direttore esecutivo dell’organizzazione ambientalista Climate Observatory – queste norme sono un disastro. Fanno male al paese, fanno male all’ambiente, fanno male alla nostra reputazione internazionale e mettono a rischio la sopravvivenza dell’Amazzonia allontanando, inoltre, il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Anche se cambiassimo presidente e la gestione del Brasile sui temi ecologici, queste regole renderebbero comunque molto difficile combattere i crimini ambientali».

[di Simone Valeri]

Geopolitica del petrolio: gli USA ora vogliono la pace con Venezuela e Iran

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Nei giorni scorsi una delegazione degli Stati Uniti è stata ricevuta dal Presidente del Venezuela, Nicolas Maduro. L’arcinemico socialista contro il quale non più tardi di due anni fa gli americani tentarono di forzare un cambio di governo, fomentando l’insediamento del golpista Juan Guidò. L’incontro tra le due delegazioni, il primo dopo molti anni, è stato definito dal presidente venezuelano rispettoso e diplomatico, mentre da Washington hanno specificato le questioni trattate, tra cui la sicurezza energetica e i casi di 9 cittadini statunitensi attualmente nelle carceri venezuelane. La verità, confermata da più fonti, è che gli Usa stanno cercando si accorciare le distanze col Venezuela e con l’Iran, per fare fronte alla crisi petrolifera.

In un momento “normale”, il tentativo di riavvicinamento con il Venezuela da parte degli Stati Uniti, sarebbe una sorpresa. Tuttavia, alla luce di quanto sta accadendo in Ucraina, altro non è che una mossa contro la Russia. Washington ha deciso di mettere al bando il petrolio russo, misura insostenibile nel medio periodo senza “rimettere in gioco” petrolio e gas naturale di altri Paesi. Non a caso, forse, ancora prima del precipitare degli eventi in Ucraina, gli Stati Uniti assieme a Francia, Germania e Gran Bretagna stavano appunto lavorando al ripristino dell’accordo sul nucleare con l’Iran. Accordo, che, come più’ volte ribadito da Teheran, potrà andare a buon fine solo con il ritiro delle sanzioni americane ed europee nei confronti della Nazione.

Paesi che solo fino a pochi mesi fa erano considerati dall’Occidente “stati canaglia” come potrebbero tornare adesso nella cerchia dei “buoni”? Il riavvicinamento verso il Venezuela appare ancora più in contrasto rispetto a quello con l’Iran, se consideriamo quella che è stata la politica estera di Washington negli ultimi anni. Con l’Iran infatti, ai tempi della presidenza di Obama, era stato siglato un accordo che limitava lo sviluppo del nucleare in cambio del ritiro delle sanzioni, con la speranza di poter iniziare ad avere relazioni diplomatiche e mettere da parte i contrasti storici. Tra Stati Uniti e Iran ci furono anche in passato esempi di collaborazione: in Afghanistan contro i Talebani e in Iraq nella lotta allo Stato Islamico. Gli Stati Uniti, inoltre, dal 2019 hanno fortemente sostenuto l’illegittimità della presidenza Maduro in Venezuela, seppur fosse stato eletto in elezioni giudicate regolari. La Casa Bianca e gran parte dei paesi Europei avevano infatti riconosciuto come legittimo presidente l’allora semi-sconosciuto membro dell’opposizione Juan Guaido. Durante la presidenza di Donald Trump la pressione verso il Venezuela aveva raggiunto livelli altissimi, dato che lo stesso presidente americano non aveva escluso l’opzione militare per rimuovere Maduro.

Negli ultimi anni le economie di Iran e Venezuela sono state soggette alla dura morsa delle sanzioni, i cui effetti sono ricaduti principalmente sui normali cittadini, piuttosto che sulle élite al potere. Sia Caracas che Teheran hanno buoni rapporti diplomatici con Mosca, e infatti entrambi si sono astenuti nel condannare l’invasione in Ucraina, puntando il dito, piuttosto, sull’operato della NATO, come principale causa della crisi in corso. Sarà comunque difficile per questi due paesi resistere alle avance degli Stati Uniti, dato che le loro economie sono incentrate in larga parte su petrolio e gas. Come invece verrà giustificato all’opinione pubblica questo riavvicinamento da parte dell’Occidente non è dato a sapere. Sia in Europa, che dall’altra parte dell’Atlantico, per anni si è parlato di Iran e Venezuela come orribili dittature, in cui non vi era alcun rispetto dei diritti umani, definendo i due Paesi rispettivamente “terrorista” e “comunista”. Un’ennesima dimostrazione di come, per gli Usa, i concetti di “democrazia” e “diritti umani” siano clave da usare arbitrariamente a seconda degli obiettivi geopolitici, come dimostrato dai buoni rapporti storici tra Usa e la ricchissima e spietata dittatura dell’Arabia Saudita.

[di Enrico Phelipon]

Ungheria: Katalin Novak eletta presidente della Repubblica

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Nella giornata di oggi Kataline Novak, candidata del partito governativo Fidesz nonché fedelissima del Primo ministro Viktor Orbán, è stata eletta presidente della Repubblica dal Parlamento ungherese con 137 voti, battendo il candidato di opposizione Peter Rona che ne ha ottenuti 51. Si tratta di un voto storico dato che Novak, già ministra della Famiglia, è così divenuta la prima presidente donna del Paese: prenderà il posto di Janos Ader, anche lui del partito Fidesz, il cui mandato scadrà il 10 maggio.

Ue: galline e uova OGM possono essere commercializzate senza approvazione

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Alcune galline ed uova OGM potrebbero essere commercializzate nell’Unione europea senza nemmeno essere sottoposte al processo di approvazione e senza informazioni a riguardo in etichetta, è quanto sostengono l’Istituto per la valutazione d’impatto indipendente nelle biotecnologie (Testbiotech) e l’Unione tedesca dei contadini (Abl). Tale tesi si basa su una lettera, diffusa proprio da Abl, con cui negli scorsi mesi la Commissione europea ha fornito un parere all’Ufficio federale tedesco per la protezione dei consumatori e la sicurezza alimentare (Bvl), comunicando che una determinata modifica genetica non produrrebbe “OGM di cui all’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2001/18/CE” e che dunque le galline ovaiole sottoposte ad essa e le loro uova non necessiterebbero della autorizzazione ai sensi del regolamento europeo su alimenti e mangimi geneticamente modificati.

La modifica genetica in questione, secondo quanto comunicato da Testbiotech ed Abl, sarebbe stata messa a punto da alcuni ricercatori israeliani che si sarebbero rifatti al sistema CRISPR/Cas: quest’ultimo, tramite un gene mortale trasmesso solo alla prole maschile delle galline, permetterebbe ad esse di generare esclusivamente prole di sesso femminile, che si svilupperebbe poi normalmente e potrebbe essere a sua volta utilizzata per la produzione di uova. Ed è proprio perché il transgene verrebbe veicolato solo agli embrioni maschi che le galline ovaiole secondo la Commissione non rientrerebbero nella definizione di OGM fornita dalla direttiva sopracitata, la quale si riferisce all’organismo “il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale”.

Non sono però della stessa opinione Abl e Testbiotech che, preoccupate dall’eventualità che il parere possa essere interpretato come un via libera alla commercializzazione deregolamentata di tali galline ed uova OGM, hanno inviato una lettera congiunta alla Commissione Ue in cui precisano che la loro commercializzazione senza valutazione del rischio ed etichettatura rappresenterebbe una violazione delle normative Ue e genererebbe gravi conseguenze per i consumatori, i produttori di alimenti ed il commercio alimentare. “La legislazione dell’UE richiede che tutti gli organismi risultanti da processi di ingegneria genetica siano soggetti a un processo di autorizzazione tracciabile ed etichettato”, ricordano Abl e Testbiotech, precisando che “questi requisiti vadano applicati anche alla progenie di animali sottoposti a CRiSPR/Cas” in quanto i risultati della ricerca di base mostrerebbero che essa sarebbe “influenzata da cambiamenti non intenzionali che comportano rischi specifici”. Di conseguenza, “questa posizione discutibile emersa dalla lettera potrebbe essere basata su un semplice calcolo politico ed economico“.

A tutto ciò si aggiunga che “il processo e gli animali sono già stati brevettati” e “saranno commercializzati in collaborazione con un’azienda statunitense” – comunicano Abl e Testbiotech – sottolineando che i richiedenti il brevetto avrebbero affermato che la loro tecnologia non produrrebbe “geni estranei nel genoma delle galline ovaiole” e che proprio sulla base di tali dichiarazioni in realtà la Commissione Europea avrebbe fornito il parere sopracitato.

Per un giudizio completo sulla questione occorre altresì considerare che – secondo i suoi difensori – l’attuazione di questa modifica genetica tutelerebbe i pulcini maschi dati alla luce dalle galline ovaiole che, considerati inutili dalla filiera industriale, appena nati vengono uccisi negli allevamenti spesso in maniera estremamente crudele. I pulcini, infatti, generalmente poche ore dopo la loro nascita vengono triturati vivi o soffocati: una crudeltà che potrebbe essere evitata proprio tramite il sistema “CRISPR/Cas”, in quanto il gene mortale trasmesso alla prole maschile permetterebbe di uccidere gli embrioni nell’uovo prima che si schiudano, evitando così di condannare i pulcini ad una morte atroce.

[di Raffaele De Luca]