NSO Group è una controversa azienda tecnologica israeliana divenuta foscamente celebre per il suo prodotto di punta, lo spyware Pegasus. Per evitare che un simile strumento cada nella mani sbagliate, il programma viene venduto esclusivamente ai Governi, tuttavia la NSO è finita perlopiù a siglare contratti con Paesi notoriamente autoritari, con il risultato che i principali bersagli dello spionaggio non siano tanto i pazzi bombaroli o i pedofili citati dalle propagande governative, ma i giornalisti e gli attivisti per i diritti umani. Nonostante la scrematura della clientela sia stata discutibile, il gruppo è stato adamantino nel non cedere il suo spyware al Governo Ucraino, il quale ne avrebbe fatto richiesta già a partire dal 2019.
Un simile rifiuto, suggerisce un’indagine coordinata del The Guardian e del The Washington Post, sarebbe giustificato da un intervento diretto dell’Amministrazione israeliana, la quale avrebbe fatto leva sul cosiddetto “golden power” per evitare che Kiev potesse mettere le mani sul potente mezzo. Indiscrezioni tratte dai dietro le quinte spiegano il perché di una tale posizione: concedere lo spyware all’Ucraina avrebbe potuto indispettire Mosca e creare increspature nei legami russo-israeliani.
Sebbene si possa evincere che Kiev volesse tenere traccia delle frange russofile dei suoi cittadini, non è stata fornita alcuna motivazione formale per l’interessamento della nazione al software Pegasus. Nessuna Amministrazione è d’altronde felice di rendere note le proprie pratiche di spionaggio, quindi le parti coinvolte rifiutano tutte di commentare i dettagli della faccenda, con il Vice-Primo Ministro ucraino Mykhailo Fedorov che si è limitato a lamentare l’ostracismo tecnologico imposto da Israele.
A suggerire che Israele voglia tenersi buono il Presidente Russo Vladimir Putin è anche un evento parallelo, ovvero il fatto che il Governo di Naftali Bennett sarebbe intervenuto per limitare in corsa il contratto siglato dall’NSO Group con l’Estonia, assicurandosi che le autorità locali non possano adoperare Pegasus contro la Russia. Il condizionale è ovviamente d’obbligo: Tallinn si è rifiutata di rispondere alle illazioni del report, mentre Israele e NSO Group si sono limitate a fornire comunicati stampa che non negano e non confermano gli elementi evidenziati nel documento. In generale, Stato e dirigenti d’azienda si limitano a bloccare le indagini giornalistiche con un muro di silenzio o appoggiandosi a non meglio specificate accuse di disinformazione.
Visti i solidi legami tra USA e Israele, lo slancio politico “filorusso” che sta muovendo le politiche di Bennett sembrerebbe illogico, tuttavia tali comportamenti potrebbero essere motivati da giustificazioni prettamente locali. Tra Hamas, Daesh e oppositori politici, Israele è molto attenta a mantenere attiva la sua branca antiterroristica, la quale condivide alcuni interessi con il Cremlino, almeno per quanto riguarda i soggetti legati alle guerre siriane. Ancor più, Israele starebbe cercando di imbonirsi Mosca anche per garantirsi un margine di vantaggio nel frenare la discussione che dovrebbe portare alla resurrezione dei patti per il nucleare con l’Iran, patti che Israele sarebbe ben felice di vedere saltare del tutto nell’ottica di trasformare Teheran in un nemico universale.
In seguito alla morte per mano della polizia di un uomo alla guida di un furgoncino rubato nella notte di sabato, violenti scontri sono scoppiati nelle periferie di Parigi. Ne dà notizia l’Ansa. Almeno 8 veicoli sono stati incendiati da un gruppo di persone, e altri 4 hanno preso fuoco per il propagarsi delle fiamme. Sono state innalzate barricate per le strade, mentre all’incirca 50 soggetti “muniti di spranghe” hanno preso il controllo di un bus della compagnia RATP e vi hanno dato fuoco. Al momento sono state fermate cinque persone.
È di 4400 morti all’anno circa la stima delle vittime di esposizione all’amianto nel nostro Paese nel periodo tra il 2010 e il 2016: è quanto rivelato da uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), i cui risultati sono stati esposti nell’ambito della celebrazione dei 30 anni dalla legge 257/92 sulla cessazione dell’uso dell’amianto. Ad oggi tuttavia, secondo quanto denunciato dall’Osservatorio Nazionale Amianto, gli interventi messi in campo in Italia non sono ancora sufficientemente incisivi per portare a una rapida e definitiva risoluzione del problema.
Sono trascorsi 30 anni dall’emanazione della legge n.257 del 27 marzo 1992, riguardante le Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto. Secondo i dati elaborati dall’ISS e presentati in occasione dell’eventoAmianto e Salute: priorità e prospettive nel trentennale del bando in Italia svoltosi presso il Ministero della Salute, nel periodo tra il 2010 e il 2016 sono 4400 circa le morti in Italia dovute all’esposizione ad amianto. Di queste la maggior parte è rappresentata da uomini, all’incirca 3850, contro i 550 casi di donne. La principale causa di mortalità è rappresentata dal tumore polmonare (2830 casi stimati), seguito da mesotelioma maligno (1515 casi), asbestosi (58 casi) e tumore ovarico (16 casi).
Con la legge del 1992 l’Italia è stata uno dei primi Paesi a vietare l’utilizzo dell’amianto, date le evidenze di effetti negativi sulla salute. Secondo quanto affermato dal ministro della Salute Speranza nel corso dell’incontro, nel mondo “il 75% dei Paesi è ancora privo di regole”. Le conseguenze, tuttavia, si protraggono ancora ad oggi a causa del diffuso uso di amianto nel secondo dopoguerra nel settore edilizio, nei cantieri e in vari ambiti manifatturieri.
Tra gli interventi messi in campo nel nostro Paese vi sono la mappatura e la bonifica dei siti contaminati, l’attivazione di un piano per la sorveglianza epidemiologica nazionale della mortalità per mesotelioma in 8000 comuni italiani e l’attivazione nel 2002 del ReNaM, il Registro Nazionale del Mesotelioma, al fine di censirne i casi sul territorio. Il Registro, attivo presso l’INAIL, opera attraverso i Centri Operativi Regionali e valuta l’incidenza della malattia, indagando anche l’esistenza di eventuali fonti di contaminazione ancora sconosciute.
Tuttavia, secondo quanto denunciato dall’Osservatorio Nazionale Amianto nell’occasione della Giornata mondiale per le vittime di amianto del 2021, in Italia gli interventi non sono effettuati in maniera sufficientemente incisiva. Nel solo 2020 si stima che, complice la pandemia da Covid-19, le vittime da esposizione all’amianto si aggirino intorno alle 7000. L’ONA prevede inoltre “il picco di mesoteliomi e di altre patologie asbesto correlate tra il 2025 e il 2030”. Il Piemonte, in particolare, si configura ancora come una delle regioni più colpite in Italia, con il 16% dei casi di mesotelioma dell’intera penisola italiana.
Nelle Filippine stanno per avere inizio 12 giorni di esercitazioni militari che vedranno coinvolti 9000 soldati filippini e americani. Si tratta della più grande esercitazione realizzata congiuntamente tra i due Paesi. Le esercitazioni riguarderanno la sicurezza marittima, le operazioni anfibie, l’addestramento al fuoco vivo, l’antiterrorismo, l’assistenza umanitaria e il soccorso in caso di disastri. Si tratta delle ultime esercitazioni sotto la presidenza di Duterte, il cui mandato scade a giugno di quest’anno, il quale in precedenza aveva minacciato di cancellarle mostrandosi più orientato a intrattenere rapporti con la Cina.
Milano si è svegliata sotto un cielo terso questa mattina, e negli squarci di strada illuminata dal sole tiepido si respira aria di primavera precoce. Piazza Ascoli è avvolta da un silenzio quasi surreale, fatta eccezione per il metallico sferragliare dei vecchi tram gialli che fanno su e giù per via Giovanni Pascoli. Sul lato sud della piazza si staglia imponente il liceo Virgilio, la cui austera solennità di edificio in stile fascista degli anni ’30 è mitigata dalla moltitudine di graffiti che ne ricoprono buona parte della facciata. Con i suoi 1800 studenti, divisi tra i vari indirizzi, il Virgilio è il liceo più grande di Milano. Non fosse per la presenza di due lunghi striscioni che recano la scritta “Virgilio occupato”, penzolanti dalle finestre del secondo piano, nulla all’apparenza suggerirebbe qualcosa di anomalo.
Isabella mi viene incontro dal bar all’angolo sfoggiando un sorriso luminoso: ha gli occhi cerchiati per le notti in bianco ed è quasi del tutto afona, ma fa del suo meglio per spiegarmi l’iniziativa degli studenti del Virgilio. «Ho urlato troppo i giorni scorsi, ma oggi va già meglio di ieri» mi dice ridendo, in un soffio di voce. Lei è una studentessa dell’ultimo anno e rappresentante del CAV, il Collettivo Autonomo Virgilio, che si è occupato di organizzare l’occupazione di tre giorni che oggi giungerà al termine. Per tutta la durata dell’occupazione, insieme ad un centinaio di altri studenti, ha dormito in un sacco a pelo all’interno della scuola. Non appena varcata la soglia dell’ingresso, un brusio di voci e di musica spezza il silenzio di poco prima. L’interno del liceo Virgilio brulica di vita: gruppi di studenti si affrettano su e giù per i corridoi, altri sono ancora chiusi all’interno delle aule dove si svolgono i laboratori. Un grosso tabellone, all’ingresso, mappa le attività che si sono tenute nel corso della giornata. «Stamattina si chiudono le ultime attività e i laboratori, poi dobbiamo pulire tutto ed essere fuori entro oggi pomeriggio» mi dice Isabella, spiegandomi le ragioni di quel gran fermento.
Studenti in cortile [foto di Valeria Casolaro per L’Indipendente]«È stata una bella esperienza, c’è stata moltissima partecipazione» mi racconta, mentre camminiamo per i corridoi. Ad attirare immediatamente la mia attenzione sono alcune barricate che gli studenti hanno eretto qua e là di fronte ad alcuni ingressi con banchi, sedie ed armadi. «Il primo giorno le abbiamo messe perché volevamo impedire l’accesso dei professori, poi sono state piazzate in certi punti precisi perché i ragazzini delle medie non potessero passare da questa parte» mi spiega Isabella, alludendo agli studenti della scuola media Giovanni Battista Tiepolo, adiacente al Virgilio. Sembra soddisfatta di come si sono svolti questi giorni di occupazione. «Il preside non ha voluto concederci più di tre giorni, ma ha capito le nostre esigenze e ciò che volevamo fare. Era completamente d’accordo con le nostre rivendicazioni, ma non con tutti i professori è stato così. Anzi, credo che molti non abbiano davvero capito cosa stavamo facendo». Nel complesso, l’iniziativa ha visto un’altissima partecipazione studentesca. «Il primo giorno saremo stati un migliaio di studenti, ma è stato il secondo quello che è andato meglio: i laboratori erano tutti strapieni». Nel corso di queste tre giornate i ragazzi sono riusciti ad organizzare un discreto numero di incontri: a tenere laboratori sono venuti rappresentanti di varie realtà tra le quali Fridays for future, Extintion rebellion e Non una di meno. Di quest’ultimo, svoltosi in palestra, riesco ad ascoltare qualche breve battuta, prima che si concluda: si parla di revenge porn e diffusione di immagini private online. «Una delle signore che tenevano l’incontro è una nostra professoressa» mi dice con un sorriso Isabella, «è una delle poche che credo ci abbia sostenuti veramente».
Le barriere costruite dagli studenti [foto di Valeria Casolaro per L’Indipendente]
Le rivendicazioni dei ragazzi
Le rivendicazioni che hanno spinto i giovani del Virgilio ad unirsi all’onda di contestazioni ed occupazioni svoltesi in tutta Italia sono in linea con le principali istanze di questa stagione di proteste studentesche: abolizione della seconda prova di maturità (reintrodotta a metà febbraio), cancellazione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro e un maggiore investimento nella qualità della scuola, in termini economici ma non solo. «A Milano vi sono livelli altissimi di speculazione edilizia, molte scuole sono in stato di abbandono: c’è bisogno di maggiori investimenti tanto nelle infrastrutture quanto nel benessere degli studenti in generale» afferma Isabella. In effetti il liceo Virgilio non rifulge certo per la modernità della sua struttura, nonostante il vicepreside tenga molto a precisarmi, più tardi, che non vi sono rischi di alcun tipo per la sicurezza di coloro che vi si trovano all’interno. «Avremmo bisogno di un certo numero di interventi di ammodernamento, quello sì, e speriamo che arrivino i fondi del Pnrr per poterli mettere in atto».
Per quanto riguarda i PCTO, i Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (anche detti percorsi di alternanza scuola-lavoro), Isabella stessa riconosce che ciò che viene proposto nel loro istituto è qualcosa di molto diverso rispetto al percorso degli studenti dei Centri di Formazione Professionale (CFP), i quali prevedono veri e propri iter formativi all’interno delle aziende. In quest’ultimo contesto hanno trovato la morte Lorenzo Parelli e Giuseppe Lenoci, rispettivamente di 18 e 16 anni. «Ciò che facciamo noi sono per lo più di percorsi online, per i quali dobbiamo stare per ore davanti al computer e fondamentalmente si impara poco o niente». Dichiarazioni molto simili a quelle che ho ascoltato nel corso dei cortei e delle proteste studentesche svoltesi a Torino in queste settimane.
Bacheca delle attività [foto di Valeria Casolaro per L’Indipendente]
Un irruente bisogno di socialità e libertà
Ma ad infiammare gli animi degli studenti di questo istituto in particolare vi è qualcosa d’altro, una necessità che va oltre le pure rivendicazioni di carattere politico. Ciò che si respira nei corridoi, nelle aule e negli angoli del cortile dove gruppetti di ragazzi giocano a pallavolo, a calcio o cantano seduti in terra intorno a una chitarra, è un irruente bisogno di socialità e libertà. Due anni di pandemia hanno profondamente segnato il benessere fisico e psicologico dei giovani: lo dimostrano decine di studi pubblicati in questi mesi, che mostrano l’impatto che pratiche alienanti quali la DAD e l’impossibilità di svolgere attività fisica o avere spazi di condivisione e socializzazione ha avuto sul benessere di bambini e adolescenti. E proprio sulla necessità di curare il benessere mentale degli studenti Isabella si concentra maggiormente. «Grazie ai laboratori svolti in questi giorni è venuto fuori un dato sconcertante: almeno un terzo delle persone nel nostro istituto soffre di disturbi dell’alimentazione». In un contesto del genere, la richiesta di ritorno alla normalità diviene un urlo assordante, come l’esigenza del ritorno a una scuola che non sia solo luogo di apprendimento di nozioni ma anche di sviluppo di relazioni sociali, di amicizie, di legami, di scambio. «Non ci conoscevamo per niente prima di quest’occupazione, ora invece abbiamo socializzato, ci siamo ripresi i nostri spazi» mi dice Ulisse, studente del quarto anno anch’egli rappresentante del CAV.
Quest’esigenza, in parte, sembra comprenderla anche il vicepreside dell’istituto, il quale come altri professori è rimasto all’interno del liceo durante l’occupazione, pur non interferendo con le attività degli studenti. «Capisco l’esplosione che c’è stata, il bisogno degli studenti di socialità soprattutto. Sono stati due anni difficili per noi come per loro, c’è stato bisogno di fare questa cosa da parte degli studenti soprattutto per rivivere la socialità che la pandemia ha sottratto. Io non condivido le modalità con le quali ciò è stato fatto, perché trovo che siano poco costruttive, ma comprendo». Tra i professori presenti, non tutti sembrano altrettanto comprensivi. Le parole di una docente, in particolare, mi colpiscono: si chiede, con sincera disperazione, se proprio questo fosse il momento di fare una cosa del genere. L’allusione è alla guerra in Ucraina. Gli occhi le si velano di lacrime, a suggellare l’onestà del suo sconcerto. Non posso non provare un certo sgomento di fronte a tali affermazioni, che con la vecchia cantilena del “c’è chi sta peggio” sembrano voler delegittimare per intero le richieste degli studenti e spogliarle di significato. Mi verrebbe poi da chiederle se questa preoccupazione abbia valore anche in riferimento ad altri contesti, considerato che le guerre nel mondo c’erano anche prima dello scoppio del conflitto ucraino, ma decido di lasciar perdere.
Assemblea plenaria di fine occupazione [foto di Valeria Casolaro per L’Indipendente]Durante l’assemblea plenaria, durante la quale viene fatto il punto della situazione, una studentessa interviene commentando «Sono contenta di come si è svolta quest’occupazione soprattutto perché abbiamo recuperato la socialità che col Covid era venuta a mancare. Abbiamo lanciato un messaggio: sappiamo autogestirci e sappiamo vivere bene la scuola». La maggior parte dei commenti sono sulla stessa linea. Dopo l’assemblea, i ragazzi ordinano alcune pizze da dividere dal bar di fronte alla scuola e organizzano le pulizie conclusive, mentre io mi avvio verso l’uscita. In un angolo di corridoio, vicino all’atrio, vi è appoggiato in terra un grande quadro, dipinto durante questi giorni di occupazione. Tra le pennellate astratte di colore si legge una scritta: “Libertà è partecipazione/occupazione”, con le due parole che si incastrano tra loro. Esco dall’ingresso principale con la sensazione che un pezzetto di normalità sia finalmente tornato al suo posto.
Un murales celebra l’occupazione, Lorenzo e Giuseppe sono i due giovani studenti morti quest’anno durante l’alternanza scuola-lavoro
FONTE: ESA & NASA/Solar Orbiter/EUI team; Data processing: E. Kraaikamp (ROB)
L’Agenzia Spaziale Europea ha pubblicato un’immagine del Sole mai vista prima. È stato il veicolo spaziale europeo Solar Orbiter a scattare i fotogrammi vicinissimi alla palla di fuoco, i quali sono stati ricomposti come in un mosaico, per ottenerne una singola molto dettagliata. Il tutto risale al 7 marzo scorso, quando la sonda spaziale si trovava esattamente a metà strada tra la Terra e il Sole, ad una distanza (da entrambi) di 75 milioni di chilometri.
Gli scatti, in tutto 25, hanno immortalato particolari interessanti riguardanti la corona (la parte più esterna dell’atmosfera solare), e sono stati realizzati grazie all’utilizzo di strumenti specifici – tra cui l’Extreme-Ultraviolet Imager – in modo da coprire tutto il disco solare. Ma ulteriori fotogrammi, qualitativamente migliori, stanno per arrivare. Difatti, dal 2020 – anno di lancio di Solar Orbiter, il quale sta eseguendo una serie di orbite solari eccentriche -, il team di esperti ha cercato di diminuire la traiettoria attorno alla nana gialla. Pertanto la distanza sarà sempre più ridotta (48,3 milioni di chilometri) e le immagini più ravvicinate: si stima che, in futuro, si arriverà a 42 milioni di chilometri di distanza (misura apparentemente enorme, ma non in astronomia), ottenendo così la prima visione delle regioni polari della stella.
Credit: ESA & NASA/Solar Orbiter/EUI team; Data processing: E. Kraaikamp (ROB)
Un particolare sorprendente è stato catturato dalla sonda spaziale grazie allo SPICE (Spectral Imaging of the Coronal Environment). Si tratta del gradiente di temperatura nell’atmosfera del Sole che, se in superficie raggiunge i 5mila gradi Celsius circa, salendo aumenta vertiginosamente, sfiorando in alcuni punti i 630mila. SPICE, infatti, grazie alla scansione delle diverse lunghezze d’onda della luce ultravioletta estrema, è in grado di scrutare più in profondità, in uno strato inferiore dell’atmosfera noto come cromosfera. Questo ha permesso agli scienziati di rilevare lo strano comportamento della temperatura dell’atmosfera solare che, se in superficie è di circa 5mila gradi Celsius, nella corona raggiunge 1 milione di gradi. Quindi, invece di diventare più fredda man mano che aumenta la distanza dal centro, la temperatura si alza e la parte esterna dell’atmosfera risulta più calda.È stata pubblicata una foto del sole con un livello di dettaglio senza precedenti
La guardia di finanza ha arrestato nella provincia di Reggio Calabria un latitante indagato per associazione a delinquere di stampo mafioso e reati finanziari. L’uomo era latitante da dicembre 2021, quando nell’ambito dell’operazione “Cavallo di Troia” le forze dell’ordine avevano individuato a Carmagnola (Torino) tre società al servizio della ‘ndrina Bonavoto ed eseguito misure cautelari nei confronti di 8 individui, oltre a sequestri per 2,5 milioni di euro. Il gruppo agiva depauperando le aziende delle risorse, comprese quelle volte al pagamento di stipendi e contributi dei dipendenti, e destinando parte dei profitti alla criminalità organizzata.
Stati Uniti, Regno Unito e Canada hanno imposto nuove sanzioni alla Birmania, con l’obiettivo di colpire alcuni alti funzionari militari tra i quali il capo dell’aviazione militare e alcuni soggetti legati al traffico di armi. La decisione arriva in risposta alla brutale repressione messa in atto dal governo militare contro gli oppositori. All’inizio di marzo le Nazioni Unite hanno accusato l’esercito di commettere crimini di guerra, mentre un recente rapporto di Fortify Rights ha dichiarato che almeno 61 ufficiali sono perseguibili per crimini contro l’umanità. I militari governano la Birmania dal 1° febbraio 2021, quando con un colpo di Stato hanno rovesciato il governo di Aung San Suu Kyi.
Una sentenza del Tribunale di Busto Arsizio si è pronunciata a favore di due lavoratori i quali, in quanto non vaccinati, sono stati sottoposti a trattamento discriminatorio e vessatorio da parte dell’azienda. I due erano infatti costretti all’isolamento dai colleghi vaccinati nonostante in possesso del regolare Green Pass da tampone e nonostante all’epoca dei fatti non fosse ancora stato disposto l’obbligo di esibizione di certificazione sanitaria per accedere al luogo di lavoro. La sentenza delinea così un nuovo orientamento giuridico a favore dei lavoratori che abbiano subito vessazioni sul luogo di lavoro nel contesto della pandemia da Covid-19.
I fatti denunciati risalgono a settembre 2021, molto prima dell’introduzione dell’obbligo di Green Pass vaccinale sul luogo di lavoro. Due dipendenti di un’azienda della provincia di Milano hanno denunciato il comportamento vessatorio e discriminatorio dei datori di lavoro, che riservavano un trattamento differente a coloro che fossero in possesso o meno della certificazione vaccinale. L’azienda aveva infatti affisso nella bacheca della propria sede principale un avviso che autorizzava l’accesso ai soli dipendenti vaccinati, mentre gli altri avrebbero dovuto recarsi in una sede differente, “sporca, non riscaldata e non idonea allo svolgimento dell’attività lavorativa”, come si legge nella sentenza. “Si rammenta inoltre che non dovranno esserci contatti tra i dipendenti” delle due sedi, recitava inoltre l’avviso.
I lavoratori venivano anche sottoposti a continui atteggiamenti vessatori, tra i quali l’attribuzione di mansioni non idonee al proprio inquadramento, l’imposizione di ferie non richieste né concordate con il solo fine di tenerli lontani dalla sede lavorativa, videosorveglianza al di fuori della normativa e acquisizione di dati sensibili senza previo consenso. Il nome dell’azienda è stato bianchettato in tutto il documento, ma dalle iniziali (RC s.r.l.) con le quali vi si fa riferimento e da un indirizzo lasciato in chiaro (via IV Novembre 165) è piuttosto semplice risalire alla Rodolfo Comerio s.r.l., azienda del settore metalmeccanico.
Secondo quanto dichiarato dal Tribunale, “le misure adottate dall’azienda all’interno dei luoghi di lavoro sono eccessive e lesive della libertà di autodeterminazione dei dipendenti”, in quanto all’epoca dei fatti non era ancora entrato in vigore l’obbligo di esibire il Green Pass, di base o rafforzato, per accedere al luogo di lavoro. La misura è stata infatti resa effettiva per decreto legge solamente a partire dal 15 ottobre successivo. La decisione di isolare i colleghi vaccinati da quelli non vaccinati risulta “illogica ed eccessiva” e dal momento che i lavoratori erano in possesso del regolare Green pass di base, anche “illegittima e ritorsiva”.
La sentenza definisce un ruolo percorso giuridico a tutela dei dipendenti oggetto di vessazioni o trattamenti iniqui da parte di datori di lavoro che abbiano istituito di propria iniziativa misure discriminatorie nell’ambito dell’emergenza per la pandemia da Covid-19.
Lo Stato di El Salvador ha dichiarato lo stato di emergenza a causa dell’escalation di violenza tra gang. Il Parlamento ha approvato la misura presentata nella giornata di ieri dal presidente Nayib Bukele dopo che sono stati registrati 62 omicidi in appena 24 ore. Lo riporta l’Ansa, che spiega come nelle ultime ore la polizia abbia arrestato diversi leader della banda di Mara Salvatrucha (MS-13). Lo stato di emergenza limita gli assembramenti e permette alle forze dell’ordine di eseguire arresti senza mandato.
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