giovedì 6 Novembre 2025
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Canada, Trudeau revoca lo stato di emergenza

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Il primo ministro canadese Justin Trudeau ha revocato nel pomeriggio di ieri, 23 febbraio, lo stato di emergenza invocato il 14 febbraio per porre fine alle proteste dei camionisti del Freedom Convoy che avevano paralizzato la città di Ottawa e il traffico commerciale con gli Stati Uniti per tre settimane. La presenza della polizia nella zona centrale della capitale canadese è ancora forte, sebbene le strade siano state in gran parte liberate dai manifestanti.

È cominciata la guerra tra Russia e Ucraina

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«Ho preso la decisione per un’operazione militare. La Russia non farà lo stesso errore due volte nel compiacere l’Occidente. Chiunque tenti di crearci ostacoli e interferire in Ucraina sappia che la Russia risponderà con delle conseguenze mai viste prima. Siamo preparati a tutto. […] Smilitizzeremo, libereremo ed elimineremo il nazismo in Ucraina con una operazione militare speciale». Con queste parole, in diretta televisiva, il presidente russo Valdimir Putin ha annunciato ai cittadini russi l’inzio della guerra in Ucraina, quando in Italia erano le 03:50 di questa mattina, 24 febbraio 2022. La parola guerra in verità non è mai stata pronunciata da Putin, che ha parlato di «operazione militare speciale». Ma la differenza è solo lessicale. Difficile reperire fonti verificate, ma è pressoché certo che le forze militari russe siano già entrate nel territorio ucraino da almeno tre direttrici diverse: dalla provincia del Donbass a est, dalla Bielorussia a nord e dalla Crimea a sud. Certo anche che missili e colpi di artiglieria abbiano colpito in tutto il Paese, compresa la capitale Kiev. Secondo l’agenzia di stampa russa Interfax la Russia sta usando “armi di alta precisione per distruggere infrastrutture militari ucraine in tutto il Paese”. Secondo quanto riportato dalla Reuters sarebbero almeno 7 i morti già verificati, ma il ministero dell’Interno ucraino parla di «centinaia di vittime».

La cronaca. È l’una di notte quando a Donetsk (città della regione filo-russa del Dombass, dichiarata indipendente dalla Russia appena due giorni fa) si registrano almeno 5 esplosioni. È il casus belli. Putin va in televisione (ma esperti ipotizzano che il messaggio con la dichiarazione di guerra sarebbe stato registrato lunedì) L’ONU riunisce d’emergenza il Consiglio di Sicurezza. Passa mezz’ora e da Mosca viene emessa una nota con la quale si comunica alle compagnie aeree la chiusura delle rotte di volo al confine con l’Ucraina nord-orientale. Pochi minuti dopo le 04:00, mentre Putin sta ancora parlando alla televisione russa, le agenzia di stampa battono la notizia di esplosioni in tutto il Paese. Le truppe entrano sul terreno seguendo un piano preciso che mira alle infrastrutture vitali. Al momento non è chiaro se l’aeroporto internazionale di Kiev sia sotto il controllo ucraino o russo, dopo che fonti dell’intelligence Usa hanno affermato che era in corso un attacco. Il governo ucraino dichiara la legge marziale e il coprifuoco, le stazioni della metropolitana sono aperte come rifugi antiaerei. Tra le 4 e le 5 della notte si ha notizia dell’ingresso delle truppe russe nel territorio dalle tre direttrici già specificate. Il resto della cronaca bellica è inverificabile, come le notizie propagandistiche che sempre accompagnano i conflitti: l’Ucraina annuncia di aver abbattuto un caccia russo, mentre Mosca attorno alle sette annuncia che le difese anti-aeree ucraine sono già state del tutto «soppresse» dall’attacco russo. Ore 08:02, l’agenzia Reuters riporta che fino ad ora si sarebbero registrati almeno 7 morti.

Le reazioni internazionali. Oltre ai prevedibili messaggi di condanna provenienti dalle cancellerie d’Occidente, Usa e Ue hanno già annunciato nuove sanzioni verso Mosca. Secondo quanto specificato: le sanzioni avranno nel mirino le banche e il debito russo, ma dovrebbero vietare anche le esportazioni in Russia di componenti tecnologici. La NATO si è riunita in emergenza e il segretario dell’alleanza militare occidentale ha parlato di una «gravissima minaccia alla sicurezza euro-atlantica». Molti media hanno però riportato l’informazione di come poche ore prima dell’inizio delle operazioni russe il presidente ucraino Zelensky avesse chiesto ufficialmente protezione alla NATO con uno scudo aereo. Protezione che l’allenza atlantica si sarebbe ben guardata dal fornire.

Il sito del movimento No Tav sarebbe stato censurato

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Il sito notav.info sarebbe stato oggetto di un tentativo di censura: a denunciarlo, infatti, sono stati proprio gli attivisti del movimento No Tav, che tramite un comunicato pubblicato nella giornata di ieri hanno fatto sapere che il motivo per cui il portale negli scorsi giorni sarebbe rimasto offline per alcune ore risiederebbe appunto in un “tentativo di censura a tutti gli effetti”. Il sito sarebbe stato provvisoriamente bloccato da parte del provider dei server per via di un articolo sugli “affari di Area spa”, impresa che – si legge nella nota – “ha investito nel fiorente mercato dei dispositivi per la sorveglianza di massa” ed “era la responsabile dell’installazione di una vasta rete di telecamere intorno al cantiere per spiare di nascosto i valsusini per conto delle forze dell’ordine”. A tal proposito, ricordano infatti i No Tav, “qualche dispettoso folletto aveva individuato i dispositivi e proceduto alla loro rimozione rilasciando anche un video in cui si vedono Digos e impiegati di Area all’opera durante l’installazione”.

È proprio per questo che gli attivisti avevano deciso successivamente di indagare su questa azienda, ed i frutti delle loro ricerche erano stati inseriti all’interno dell’articolo incriminato intitolato: “Dai contatti con Al Sisi alla sorveglianza per Assad, chi è Area spa, l’azienda che spia i notav”. L’articolo, che di certo non rappresentava un elogio agli affari della società, era però “corredato di fonti accreditate e verificate”, ma ciò non sarebbe bastato. Secondo i No Tav “probabilmente a qualcuno non andava giù che gli affari di Area con regimi totalitari per la repressione di attivisti politici e sociali venissero sbandierati ai quattro venti”, e potrebbe essere questo quindi il motivo per cui da alcuni mesi gli attivisti avrebbero iniziato a ricevere mail dal provider di notav.info, che avrebbe ripetutamente chiesto loro di cancellare o quantomeno deindicizzare l’articolo. “Noi abbiamo risposto cortesemente, ma in maniera ferma, che l’articolo non presentava alcuna falsità o diffamazione e che il nostro, per quanto fatto dal basso ed in maniera volontaria era un lavoro di informazione”, fanno sapere i No Tav.

Nel comunicato, poi, viene allegata quella che sarebbe stata la penultima richiesta del provider, secondo gli attivisti connotata da un “tono tragicomico”. Al suo interno infatti, si sarebbe fatto riferimento alla possibilità di deindicizzare il link dell’articolo, cosa che avrebbe permesso di evitare “semplicemente di risultare su Google”. “Questa è una notizia del 2020, sono passati più di 2 anni e si capisce che non è rilevante”, avrebbe comunicato il provider, che avrebbe altresì sottolineato che così facendo l’articolo sarebbe comunque rimasto nell’archivio del sito e non avrebbe influito negativamente sulla “reputazione del nostro cliente”.

Dato che però, come detto, gli attivisti non hanno accettato di fare quanto loro richiesto dal provider, a quest’ultimo sarebbe “successivamente arrivata una lettera degli avvocati” che avrebbe fatto riferimento ad una “fantasiosa diffamazione” all’interno dell’articolo. “A quel punto l’azienda che ospita i nostri server per cautelarsi blocca il nostro IP pubblico, sostanzialmente impedendo la visualizzazione del sito”, affermano i No Tav, che avrebbero per questo espresso il loro dissenso ed in seguito ricevuto una risposta atta a motivare la decisione. Tramite la stessa, sarebbe stato spiegato agli attivisti che nell’articolo ci sarebbero state “alcune affermazioni diffamatorie” potenzialmente lesive della reputazione dell’azienda. “Se non puoi provare queste affermazioni come vere (che dovrebbero essere provate tramite tribunale), devono essere rimosse, poiché la diffamazione è un reato”, avrebbe proseguito la risposta a loro inviata. A tutto questo poi si aggiunga che vi sarebbe anche stato un tentativo di usurpazione d’identità, con un  individuo che sotto falso nome avrebbe finto di essere il proprietario di notav.info, rivendicato il copyright del testo e richiesto a Google di de-indicizzare l’articolo.

Ad ogni modo, i No Tav fanno sapere che nessuno avrebbe denunciato né loro né il provider, non essendovi gli “estremi per farlo”, bensì semplicemente il provider avrebbe “deciso di schierarsi a fianco di una grossa azienda piuttosto che tutelare un sito d’informazione indipendente” che avrebbe “agito in maniera completamente trasparente”. “Insomma, quello in cui siamo incorsi è un tentativo in piena regola di tapparci la bocca“, concludono gli attivisti, che affermano tuttavia di essere pronti a proseguire la loro lotta non essendo certo “le prepotenze di questo tipo a farci paura”.

[di Raffaele De Luca]

Governo, Draghi: no a proroga stato emergenza oltre 31 marzo

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«Voglio annunciare che è intenzione del Governo non prorogare lo stato d’emergenza oltre il 31 marzo»: sono queste le parole pronunciate dal premier Mario Draghi durante il suo intervento al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, ultima tappa della visita nel capoluogo toscano. «Metteremo gradualmente fine all’obbligo di utilizzo del certificato verde rafforzato, a partire dalle attività all’aperto, tra cui fiere, sport, feste e spettacoli» ha inoltre aggiunto il Presidente del Consiglio, il quale ha precisato che la situazione epidemiologica sia «in forte miglioramento grazie al successo della campagna vaccinale» e che essa offra «margini per rimuovere le restrizioni residue alla vita di cittadini e imprese».

L’enorme flusso di denaro con cui l’Occidente ha finanziato l’Ucraina

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Yavoriv, Ukraine - July 27, 2021. Ukrainian soldier near flags of Ukraine and US during the Three Swords 2021 multinational military exercise near Yavoriv in western Ukraine.

Quanto sta accadendo in Ucraina in questi giorni è di dominio pubblico, ma la lettura degli avvenimenti che hanno portato a questo punto è meno dibattuta. Dalla Casa Bianca e dalle cancellerie europee si propugna l'idea che ci si trovi difronte ad una aggressione russa motivata dalla volontà di sottomettere un'altra nazione. Quello che si omette attentamente  di sottolineare è come da Occidente in questi anni non si sia certo rimasti a guardare, ed anzi si è agito attivamente per tramutare l'Ucraina stessa in una spina nel fianco per Mosca. A dimostrazione di questo vi è ad esempio l'enorme fl...

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Ucraina: attacco informatico contro siti governativi

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Diversi siti web istituzionali ucraini, secondo quanto riportato dalla Bbc, sarebbero stati colpiti da un massiccio attacco informatico. Tra i portali colpiti vi sarebbero quelli del Parlamento, del Ministero degli Esteri e dei servizi di sicurezza, che al momento risulterebbero infatti irraggiungibili.

Il Parlamento italiano fa un altro regalo alle multinazionali del tabacco

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Il cosiddetto decreto legge Milleproroghe, dopo la fiducia accordata dalla Camera il 21 febbraio ed il voto finale del giorno seguente, dovrà ora essere approvato definitivamente dal Senato: al testo, però, sono state apportate alcune modifiche passate in sordina ma estremamente rilevanti, in quanto costituirebbero un vero e proprio regalo per le multinazionali del tabacco. Al suo interno, infatti, è stato inserito l’articolo 3-novies, che prevede il congelamento del previsto aumento del 5% delle accise sulle sigarette elettroniche nonché l’arrivo sul mercato di un nuovo prodotto: le “nicotine pouches”, ovvero bustine di nicotina da inserire tra il labbro superiore e la gengiva che permettono di assorbire la sostanza senza alcuna combustione. Non si tratta comunque della prima volta che in Italia ci si muove a favore delle aziende del tabacco: basterà ricordare l’emendamento alla finanziaria, presentato nel dicembre scorso da quattro parlamentari leghisti, atto ad eliminare l’incremento progressivo dell’incidenza fiscale per il 2022 e il 2023 applicata al tabacco riscaldato, un settore nel quale la Philip Morris International (PMI) gioca il ruolo di leader mondiale.

Per quanto riguarda il congelamento dell’aumento delle accise, nello specifico, quella per i prodotti succedanei dei prodotti da fumo viene prorogata “al 20 e al 15 per cento dal 1° gennaio 2022 al 31 marzo 2022”, mentre poi viene abbassata “al 15 e al 10 per cento dal 1°aprile 2022 fino al 31 dicembre 2022”. Tutto ciò si tradurrebbe dunque in introiti aggiuntivi per 7 milioni e 200 mila euro per le multinazionali del tabacco, essendo questa la cifra che viene indicata come “oneri derivanti dal comma 1”, ossia quello che ha introdotto le disposizioni sulle accise appena citate. Un importo a cui lo Stato italiano farà fronte tramite risorse che arrivano da fondi Mef (Ministero dell’economia e delle finanze) e, per circa 1 milione, dalle nuove imposte: le “nicotine pouches”, infatti, saranno soggette ad “imposta di consumo pari a 22 euro per chilogrammo”.

Di conseguenza, probabilmente con la motivazione di coprire le spese, è stato dato il via libera a questo nuovo prodotto, che però non solo a sua volta beneficerà delle accise più basse, ma sembrerebbe fare felici i colossi del tabacco. In particolare, potrebbe ritenersi soddisfatta la British American Tobacco (BAT), ovverosia la seconda più grande azienda mondiale produttrice di sigarette. Quest’ultima, infatti, starebbe pensando di avviare la produzione delle nicotine pouches nello stabilimento che aprirà a Trieste, per il quale saranno investiti fino a 500 milioni di euro nell’arco di 5 anni.

Detto ciò, merita menzione anche il modo in cui si è arrivati ad introdurre nel testo quanto detto finora. La modifica, infatti, è stata approvata a larga maggioranza: ad opporsi sono stati in pochissimi, tra cui il deputato di Alternativa ed ex membro del Movimento 5 Stelle Raffaele Trano che, tramite delle dichiarazioni rilasciate al giornale Tag43, ha denunciato non solo il fatto che «queste norme-riforma entrino con emendamenti notturni» ma altresì che siano appunto supportate da «partiti come il Movimento 5 stelle, che un tempo le denunciava mentre oggi nemmeno si astiene». Anche Forza Italia però ha votato contro, con il vicecapogruppo a Montecitorio Raffaele Nevi che ha affermato: «È impensabile inviare un emendamento così complesso, che regolamenta di fatto un intero settore, poco prima di metterlo in votazione e senza discuterne in maggioranza».

[di Raffaele De Luca]

Camorra: in Campania sequestrati beni per 30 milioni di euro

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Nella giornata di oggi, con un’operazione congiunta della Dia (Direzione investigativa antimafia), della Polizia di Stato di Caserta e del Comando provinciale della Guardia di Finanza della città partenopea è stata data esecuzione ad un decreto di sequestro beni per un valore di 30 milioni di euro nonché di sottoposizione all’amministrazione giudiziaria di aziende di due imprenditori ritenuti vicini al clan camorristico Belforte. Questi ultimi, operanti nei settori del cemento e della ristorazione del casertano, attraverso le loro aziende si sarebbero infatti occupati di raccogliere soldi da versare a titolo di estorsione al clan, ed avrebbero altresì organizzato incontri tra gli imprenditori estorti e gli appartenenti alla cosca.

Messico, gli indigeni sconfiggono una compagnia mineraria

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Ufficialmente cessate le licenze minerarie concesse all’azienda canadese Almaden Minerals Ltd nello Stato di Puebla, in Messico: è la decisione della SCJN (Suprema Corte de Justicia de la Nación), i cui ministri hanno votato all’unanimità appoggiando per la prima volta una comunità di nativi, nello specifico gli indigeni Nahua dei Tecoltemi ejido, nel comune di Ixtacamaxtitlán de Puebla. Questi avevano presentato per la prima volta ricorso nel 2015, dopo che sia nel 2003 che nel 2009 la Minera Gorrión, capitanata appunto da Almaden Minerals Ltd, aveva ottenuto le dovute licenze per le attività di esplorazioni su più di 14.000 ettari di territorio a Ixtacamaxtitlán. Grazie anche all’intervento dell’organizzazione Fundar e del Consejo Tiyat Tlali, gli autoctoni in Messico sono stati per la prima volta nel Paese, ascoltati. La Corte Suprema ha infatti riconosciuto la violazione del diritto al consenso da parte della comunità indigena, regolato dall’articolo 2 della Costituzione e dalla Convenzione 169 sui Popoli Indigeni e Tribali dell’International Labour Organization (ILO).

Da parte dei ministri della Primera Sala della SCNJ è partita la “condanna” nei confronti dello Stato messicano, il quale non ha rispettato l’obbligo di consultazione e non ha quindi ottenuto il consenso da parte delle popolazioni che vivono nel territorio. Con il riconoscimento della mancata consultazione preventiva i ministri hanno ordinato l’annullamento delle concessioni, anche se è stata da loro respinta un’altra importante richiesta dei ricorrenti: dichiarare incostituzionali alcuni articoli della legge mineraria. Nonostante la vittoria ottenuta, le organizzazioni che rappresentano le comunità interessate hanno fatto sapere che tale sentenza è solo un primo step verso una società più giusta per tutti e che non smetteranno di combattere.

Infatti, sebbene il risultato sia estremamente importante, solo uno dei cinque ministri della Primera Sala ha riconosciuto quanto alcuni articoli costituzionali (nello specifico 6, 15 e 19 sezioni IV, V, VI E XII) violino già a priori il diritto alla terra e al territorio delle popolazioni indigene. In parole povere, i Ministros hanno dato ragione ai ricorrenti per quanto riguarda le concessioni avvenute senza consultazione, ma continuano a sostenere che la legge mineraria abbia il solo obiettivo principale di regolamentare l’attività in sé e non altri aspetti della vita sociale ed economica. Motivo per cui, dalla SCNJ giustificano la loro scelta precisando come la legge in questione non sia direttamente correlata agli interessi e ai diritti dei nativi. Viene da sé quanto strida tale giustificazione, visto che è riconosciuto e provato quanto qualsiasi attività mineraria o titolo di concessione abbia ovvie conseguenze, dirette e immediate, sulle popolazioni del territorio interessato.

[di Francesca Naima]

L’Europa all’attacco dell’Italia sul MES: “Dovete ratificarlo”

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Sul finire del 2020, il dibattito sul Meccanismo europeo di stabilità (MES) infiammò le istituzioni nazionali ed europee, arrivando a una riforma sottoscritta il 30 novembre dai rappresentanti degli Stati membri. Ad oggi le modifiche sono state ratificate da tutti i Paesi dell’Eurogruppo, fatta eccezione per l’Italia e la Germania, con motivazioni assai diverse. Se a Berlino, infatti, si attende il pronunciamento da parte della Corte costituzionale su un ricorso presentato da alcuni parlamentari, in Italia l’iter è bloccato da una spaccatura, l’ennesima, all’interno della maggioranza. Non trattandosi, dunque, di uno stallo procedurale Bruxelles ha iniziato a mostrare i primi segni di irritazione, inviando diversi messaggi diretti a Roma: “Ci aspettiamo che l’Italia proceda con la ratifica del Mes il prima possibile“.

Venerdì 25 febbraio il Ministro dell’economia, Daniele Franco, si recherà all’Eurogruppo di Parigi, con l’obiettivo di spiegare la situazione italiana e rassicurare Bruxelles. Nel frattempo in Italia il dibattito va avanti, con partiti schierati a favore della riforma, come il Pd e Forza Italia, e altri orientati verso il suo rigetto. Storicamente, questo ruolo è stato ricoperto sin dalle prime discussioni dalla Lega e dal M5S che registrarono una prima vittoria nell’estate del 2020 quando, per contrastare la crisi economica dovuta alla pandemia, al MES fu preferito il Recovery Fund e all’Italia vennero destinati più di 200 miliardi di euro, fra sussidi e prestiti. Proprio la sconfitta registrata dallo strumento entrato in vigore nel 2012, in seguito a delle modifiche apportate al Trattato di Lisbona, ha fatto correre ai ripari i suoi sostenitori all’interno dell’Eurogruppo, arrivando alla sua riforma nel novembre del 2020. L’obiettivo era rendere meno stringenti le condizioni che metterebbero a rischio la sovranità monetaria e finanziaria degli Stati in difficoltà nel rientro dei prestiti erogati dal fondo, costringendoli a riforme di austerity per far quadrare i conti. Il funzionamento del Meccanismo europeo di stabilità si basa infatti su un rapporto fatto sì di concessioni ma anche di obblighi: il fondo, finanziato dai singoli Stati membri in proporzione alla loro forza economica, emette ai Paesi in difficoltà economica dei prestiti a fronte di un programma di riforme concordato, puntando alla loro ripresa in ambito finanziario e sacrificando, se necessario, lo stato sociale.

Infatti, nonostante le modifiche apportate, i Paesi che ricorreranno al MES dovranno comunque fornire delle garanzie vincolanti su riforme e tagli per ripagare il fondo nel caso in cui si trovassero in una situazione di non rispetto dell’accordo. Fra i nuovi punti presenti nella riforma va segnalata invece l’introduzione del cosiddetto backstop, ovvero la possibilità che una quota del MES faccia da “paracadute” nell’eventualità in cui il Fondo di risoluzione unico per il salvataggio delle banche, costituito dalle risorse degli stessi istituti bancari, non sia sufficiente. In poche parole, se una banca rischia il fallimento e le risorse private del settore non riescono a eliminare il rischio, interverrà il backstop del fondo per frenare sul nascere le conseguenze economiche.

[Salvatore Toscano]