sabato 19 Aprile 2025
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Dai bio-laboratori australiani sono scomparsi campioni di virus infettivi

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In Australia, il governo del Queensland ha ordinato un’indagine al Dipartimento della Salute dello Stato, in seguito alla scomparsa di campioni di virus infettivi dal Laboratorio statale di virologia, in quella che è stata definita «una grave violazione storica dei protocolli di biosicurezza». «Con una violazione così grave dei protocolli di biosicurezza e campioni di virus infettivi potenzialmente mancanti, il Dipartimento della Salute del Queensland deve indagare su cosa è successo e su come impedire che accada di nuovo», ha affermato il ministro della Salute del Queensland, Timothy Nicholls. Nello specifico, tra le fiale mancanti ci sono quelle contenenti i virus Hendra, Lyssavirus e Hantavirus, ma il personale del laboratorio non è stato in grado di dire se i campioni siano andati persi o siano stati distrutti. Le violazioni sono state scoperte nell’agosto del 2023. Tuttavia, le indagini sono state ordinate solo negli ultimi giorni con l’obiettivo di identificare le carenze nei processi di laboratorio e impedire che in futuro si verifichino altri incidenti.

Secondo Nicholls, l’opinione pubblica ha il diritto di essere informata su quanto accaduto, con la garanzia che la violazione non si ripeta: «L’indagine della Parte 9 garantirà che nulla sia stato trascurato nel rispondere a questo incidente ed esaminerà le attuali politiche e procedure in vigore oggi presso il laboratorio. Questa indagine prenderà in considerazione anche la conformità normativa e la condotta del personale», ha affermato. Da parte sua, il responsabile sanitario, dott. John Gerrard, ha rassicurato la popolazione dicendo che non vi sono prove di rischi per la comunità. Tuttavia, l’accaduto ha messo in allerta le autorità, mostrando la potenziale pericolosità dei bio-laboratori. Il comunicato del governo australiano specifica che il laboratorio in cui sono scomparsi i campioni fornisce “servizi diagnostici, di sorveglianza e di ricerca su virus e agenti patogeni trasmessi da zanzare e zecche di importanza medica”.

Secondo i Centers for Disease Control and Prevention, gli hantavirus possono infettare e causare gravi malattie nelle persone in tutto il mondo e si possono contrarre attraverso il contatto con roditori, causando due sindromi: la sindrome polmonare da hantavirus (HPS) e la febbre emorragica con sindrome renale (HFRS). Il Lyssavirus, invece, “è un genere della famiglia Rhabdoviridae, che comprende il virus della rabbia e altri virus correlati che infettano mammiferi e artropodi”. Infine, l’Hendra è un virus zoonotico (che si trasmette dagli animali all’uomo) riscontrato finora solo in Australia. Il direttore di intelligenza artificiale e scienze della vita presso la Northeastern University di Boston, Sam Scarpino, interpellato dal media statunitense Fox News, ha affermato che quanto accaduto in Australia rappresenta una «grave lacuna nella biosicurezza» e che «gli agenti patogeni segnalati come scomparsi sono tutti ad alto rischio e potrebbero rappresentare una minaccia per la popolazione», al contrario di quanto sostenuto dal responsabile sanitario australiano. Tuttavia, secondo il ricercatore di Boston, sebbene i tre patogeni possano avere tassi di mortalità molto elevati negli esseri umani, non si trasmettono facilmente da persona a persona e questo limita il rischio di epidemia. Secondo Scarpino, nonostante il basso rischio, «è importante capire dove sono finiti questi campioni, per confermare che non vi sia più il rischio di esposizione».

Quello australiano non è di certo il primo caso di “incidenti” avvenuti nei bio-laboratori: al contrario, episodi di questo tipo sono molto più diffusi di quello che si potrebbe pensare nei centri di ricerca di tutto il mondo e in particolare negli Stati Uniti. Come riferisce il quotidiano britannico Daily Mail, ogni anno in America si registra “un numero sorprendentemente alto di incidenti di fughe di laboratorio nei suoi migliori laboratori di virus”. Secondo i dati ufficiali, dal 2014 al 2022 “sono stati registrati negli Stati Uniti più di 600 rilasci di agenti patogeni “controllati“, che possono includere antrace, tubercolosi ed Ebola, equivalenti a 70-100 rilasci ogni anno”. In diversi casi, i virus sarebbero stati rilasciati dai laboratori, a causa di guasti alle apparecchiature o per pratiche scorrette, ad esempio per non avere indossato correttamente i dispositivi di sicurezza o per aver subito morsi o graffi da animali infetti. Il caso australiano e i diversi incidenti nei laboratori indicano l’alto rischio potenziale degli esperimenti biologici e della manipolazione di microrganismi, rievocando peraltro la questione del virus Sars-Cov2: se, da un lato, infatti, il sospetto che quest’ultimo sia stato un prodotto di laboratorio non ha mai trovate conferme definitive, dall’altro non è mai stato del tutto smentito.

Il governo australiano, seppure con un ritardo di più di un anno, ha dichiarato di voler far luce sulla questione, mentre cerca di minimizzare l’accaduto: secondo il responsabile sanitario Gerrard, infatti, sarebbe «molto probabile che i campioni siano stati distrutti tramite autoclavaggio, come da prassi di laboratorio, e non siano stati adeguatamente registrati». Dal canto suo, il ministro della Salute del Queensland ha riferito che «il Queensland Health ha adottato misure proattive da quando ha scoperto le violazioni, tra cui la riqualificazione del personale per garantire la continua conformità alle normative richieste e un controllo di tutti i permessi pertinenti per garantire la responsabilità e la corretta conservazione dei materiali».

[di Giorgia Audiello]

Bulgaria e Romania entrano in area Schengen

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A partire dal 1° gennaio 2025, Bulgaria e Romania entreranno ufficialmente nell’area Schengen. La conferma è arrivata oggi dal Consiglio Giustizia e Affari Interni dell’Unione Europea, che ha dato il via libera definitivo all’ingresso dei due Paesi nella zona di libera circolazione. Con questa decisione, verranno aboliti i controlli alle frontiere terrestri tra questi Paesi e gli altri Stati membri dell’area Schengen. I controlli aerei e marittimi erano già stati eliminati lo scorso marzo.

Liceo Made in Italy: dopo il clamoroso flop, il governo fa marcia indietro

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Dopo il rovinoso numero di iscrizioni al nuovo liceo del Made in Italy, il governo fa un passo indietro, presentando due emendamenti, già approvati in Commissione, che prevedono la cancellazione dell’obbligo di confluenza del Liceo Economico Sociale nel nuovo indirizzo. L’esame è stato approvato l’altro ieri e ora è passato all’Assemblea generale. Le modifiche, presentate da Lega e Fratelli d’Italia, eliminano dal testo della legge un passaggio che sanciva che «l’opzione economico-sociale presente nel liceo delle scienze umane confluisce negli indirizzi liceali del Made in Italy», obbligando di fatto gli istituti che accettavano di proporre l’inedito indirizzo a cancellare un numero di classi di indirizzo economico-sociale equivalente a quelle introdotte.

Gli emendamenti intervenuti sulle norme di avvio del liceo Made in Italy dell’art.8 del DL 160/2024 per l’attuazione del PNRR sono stati presentati in Commissione Istruzione della Camera dai deputati Carolina Varchi e Rossano Sasso, rispettivamente di FdI e della Lega. Le modifiche approvate, che ora aspettano di ricevere il semaforo verde dall’aula del Parlamento, sono frutto delle pressioni esercitate da scuole, docenti e organizzazioni sindacali, che aveva denunciato il rischio di compromettere un percorso consolidato e in crescita. Dal 2010, anno della sua istituzione, il LES è infatti arrivato a rappresentare il 4% delle iscrizioni complessive, superando in alcune aree del territorio anche il Liceo Classico. «Un intervento tardivo con cui il ministro Valditara cerca di rimediare ai propri errori», ha commentato la mossa della maggioranza la segretaria nazionale Flc Cgil, Gianna Fracassi, che ha bollato come «generico nelle finalità» il nuovo Liceo del Made In Italy, puntando il dito contro un piano che sembra avere il solo obiettivo «di plasmare i ragazzi sulla base delle esigenze del mercato del lavoro, senza che vi sia alcuna aspirazione formativa».

Il progetto del Liceo del Made in Italy, promosso dai ministri Adolfo Urso e Giuseppe Valditara con il supporto della premier Giorgia Meloni, era stato sin da subito bersaglio di numerose critiche, culminate nel flop delle iscrizioni registrato nell’anno scolastico 2023/2024. L’indirizzo, inizialmente concepito come alternativa al LES, aveva attirato solo poco più di 400 studenti, ovvero lo 0,1% del totale degli iscritti alle scuole superiori. Solo a novembre è arrivato il regolamento con la definizione del quadro orario, che vede la riduzione delle ore di scienze umane e maggiore spazio nei primi due anni a diritto ed economia politica e nel triennio a scienze giuridiche per il Made in Italy e scienze economiche per il Made in Italy, nonché l’introduzione di storia dell’arte e del desing e il rafforzamento del PCTO (l’alternanza scuola-lavoro). Compaiono poi 180 ore all’anno dedicate a laboratori interdisciplinari su cultura, comunicazione e strategie per il Made in Italy. In tutto, i licei a indirizzo Made in Italy approvati sul territorio nazionale, come riportato sui portali ufficiali dell’esecutivo, sono poco più di un centinaio.

A voltare le spalle ai piani del governo sulle politiche scolastiche – come ampiamente dimostrato dall’ondata di proteste che si sono susseguite nell’ultimo anno – sono stati sia gli studenti sia gli stessi istituti, che non hanno voluto farsi coinvolgere in una sperimentazione fin dall’inizio lacunosa e poco chiara su materie, quadri orari e prospettive di studio o lavorative per gli alunni. La legge sul Made in Italy che, tra le altre cose, ha istituito il nuovo Liceo, ha stanziato 700 milioni per il 2023 e 300 per il 2024 nel settore, con la mission di investire nelle filiere dei settori strategici, introducendo anche la giornata nazionale del “Made in Italy”. Nonostante il palese fallimento del progetto del nuovo indirizzo scolastico, il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso lo scorso febbraio ha avuto il coraggio di parlare di «un buon inizio».

[di Stefano Baudino]

La battaglia dei maya in difesa del patrimonio naturale dello Yucatan

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In Messico l’organizzazione indigena Maya Kana’an Ts’onot (o Guardiani dei Cenotes) sta conducendo da tempo una lotta per proteggere una vasta area naturale ricca di acqua nella penisola dello Yucatan, messa in pericolo dalla crescente urbanizzazione e dalle industrie che vi si sono insediate. L’obiettivo della comunità Maya è far riconoscere i cenotes (dal termine Maya “dz’onot”, doline naturali colme di acqua dolce) come soggetti di diritto, proprio come avvenuto con il fiume Whanganui in Nuova Zelanda o il fiume Komi Memem nell’Amazzonia brasiliana. Le minacce ai cenotes si sono moltiplicate negli ultimi anni per via di fattori quali lo sviluppo urbano incontrollato, la costruzione del Treno Maya, la mancanza di drenaggio nelle città, l’aumento delle birrerie e dei massicci campi di soia e, soprattutto, le centinaia di allevamenti di maiali presenti nell’area adiacente, che sfruttano l’acqua e inquinano il territorio mettendo a rischio le stesse falde acquifere.

L’Anello dei Cenotes è un fragile ecosistema formato da circa 10.000 caverne sotterranee con fiumi e laghi che si snoda sotto la penisola meridionale dello Yucatan, in Messico. I cenotes forniscono un’importante fonte d’acqua per la comunità di Homun. Nella cultura Maya, i cenotes erano considerati portali verso il mondo sotterraneo, chiamato Xibalba, e rivestivano un’importanza vitale. Questi siti sono visti come luoghi sacri ove si svolgevano, e si svolgono tutt’ora, rituali e cerimonie. Da diversi anni i cenotes sono in pericolo, sotto la minaccia dell’espansionismo urbano e delle industrie, specie quella zootecnica. La costruzione del Treno Maya ha incastonato migliaia di pilastri d’acciaio in questo paradiso sotterraneo. Per circa 1.460 chilometri il treno ad alta velocità si snoderà intorno alla penisola meridionale dello Yucatan. Quando sarà completato collegherà hub turistici come Cancun e Playa del Carmen alla fitta giungla, alle comunità remote e ai siti archeologici, attirando turismo e denaro in aree rurali. Il treno, dal costo di oltre 30 miliardi di dollari, è tra i progetti chiave dell’ormai ex presidente López Obrador. Ma ciò che più preoccupa i Guardiani dei Cenotes sono gli allevamenti di maiali, che sono oltre 500 nelle sole vicinanze dell’Anello dei Cenotes. Questi allevamenti, oltre ad attingere in gran quantità alla falda acquifera per la produzione, riversano migliaia di litri d’acqua pieni di escrementi e urina di maiale nel territorio circostante.

In moltissimi casi, l’acqua piena di sostanze inquinanti che gli allevamenti sversano nel territorio penetra nella falda acquifera. L’area è particolarmente vulnerabile perché il terreno è carsico, costituito da calcare molto sottile e poroso, ricco di condotti e cavità che permettono a tutto ciò che viene scaricato in superficie di filtrare nel sottosuolo. Dopo anni di cause contro gli allevamenti intensivi, nel 2023, i Guardiani dei Cenotes hanno deciso di intentarne una affinché quest’area acquisisca lo status di soggetto di diritto. Questo non solo proteggerebbe Homun, ma anche le altre 52 comunità situate all’interno dell’Anello dei Cenotes. L’ingiunzione depositata al tribunale federale mira a far riconoscere i corpi idrici noti come Riserva Geoidrologica dell’Anello dei Cenotes come soggetti di diritto e i membri della comunità maya come loro guardiani. Nel marzo 2023, il Quarto Tribunale Distrettuale del Quattordicesimo Circuito ha accolto il ricorso per la protezione e il 29 maggio 2023 un giudice federale ha stabilito che le autorità dello Yucatan hanno commesso omissioni e violato i diritti autorizzando la Dichiarazione di Impatto Ambientale per il mega allevamento di suini di Homún e ha annunciato una sospensione definitiva dei megaprogetti. Anche se questo non significa che la petizione legale sia stata vinta dai Guardiani dei Cenotes, impedisce la continuazione dell’attuazione del megaprogetto nel territorio Maya di Homun a causa dei rischi irreparabili che potrebbero rappresentare per l’ambiente e i diritti culturali.

Nel corso di quest’anno altre decisioni dei tribunali federali hanno dato ragione alle comunità maya rispetto alle autorizzazioni ai progetti di allevamenti intensivi. Queste comunità chiedono adesso non solo di essere ascoltate e di poter partecipare ai dibattiti riguardanti i progetti di sviluppo, ma anche di riottenere la propria sovranità politica locale. Nel corso del prossimo anno si attende un verdetto definitivo sulla designazione dell’Anello dei Cenotes come soggetto di diritto. Le comunità maya sono comunque determinate a continuare le proprie battaglie, in nome delle proprie tradizioni e della propria cultura e in difesa di un ecosistema complesso e fragile al contempo.

[di Michele Manfrin]

L’UE sanziona la “flotta fantasma” russa

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L’Unione Europea ha introdotto un nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia, questa volta prendendo di mira la cosiddetta “flotta fantasma” russa, la presunta squadra di navi che la Federazione utilizzerebbe per aggirare le sanzioni sul commercio di idrocarburi. I bersagli precisi dell’inedito pacchetto, il quindicesimo dall’inizio della guerra in Ucraina, risultano ancora ignoti, ma sembrerebbe che questa volta vengano introdotte sanzioni più modesto rispetto alle ultime. La “flotta fantasma” russa è da mesi al centro di discussioni e di sanzioni. Il Regno Unito è uno dei Paesi che più si è mosso per contrastare il commercio russo di idrocarburi e ha recentemente introdotto un altro pacchetto contro di essa.

L’Italia ha finalmente sbloccato il “reddito di libertà” per donne le vittime di violenza

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Violenza donne

Dopo un lungo periodo di attesa, il governo italiano ha approvato e messo a disposizione i fondi destinati al Reddito di Libertà, un contributo economico pensato per supportare le donne vittime di violenza. Questo aiuto, pari a 500 euro al mese per un massimo di 12 mesi, mira a fornire alle donne gli strumenti necessari per ricostruire la propria vita in modo indipendente e sicuro. Con un finanziamento complessivo di 30 milioni di euro per il triennio 2024-2026 la misura, che si inserisce in un più ampio progetto nazionale contro la violenza di genere, sta per essere pubblicata sulla Gazzetta ...

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Cosa succede in Libano: intervista all’ex ambasciatore britannico Craig Murray

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L’attuale situazione in Libano è più delicata che mai. Nonostante l’entrata in vigore del fragile cessate il fuoco tra Hezbollah e Israele, lo Stato ebraico continua a violare i termini dell’intesa, sostenendo di limitarsi a condurre operazioni difensive. Parallelamente, in Siria, il fronte di opposizione ad Assad ha conquistato Damasco, facendo cadere una dinastia durata oltre mezzo secolo senza che l’alleata Hezbollah potesse fare niente. In questo contesto di incertezza, Craig Murray è partito per Beirut, per riportare cosa succede direttamente dal posto. Craig Murray è un ex diplomatico britannico, scrittore e attivista per i diritti umani. Ha servito come ambasciatore del Regno Unito in Uzbekistan dal 2002 al 2004, denunciando le violazioni dei diritti umani nel Paese, e dedicato la propria carriera post-diplomatica a questioni di giustizia globale. In cima alla lista, la causa palestinese, per la quale nel clima repressivo del Regno Unito è stato fermato dalle forze dell’ordine, come successo ad altri giornalisti.

So che in questo momento è in Libano: dove si trova esattamente e qual è l’attuale situazione nel Paese?

In questo momento mi trovo nella capitale, a Beirut. La città è relativamente tranquilla, ma ci sono droni israeliani che sorvolano tutto il tempo. Da quando l’accordo è entrato in vigore non hanno bombardato Beirut, ma ci sono state numerose violazioni da parte di Israele nel sud del Paese. Dalla firma dell’accordo ci sono andato tre o quattro volte, e la situazione è ancora molto tesa. Qualche giorno fa, Israele ha ucciso circa 6 persone, tra cui un pastore, mentre altri pastori sono scomparsi. Così come continuano queste violazioni su piccola scala, continuano anche i bombardamenti. Il problema credo risieda nel fatto che l’accordo di cessate il fuoco è estremamente unilaterale. Il documento sancisce che tutti i gruppi libanesi devono interrompere tutte le operazioni contro Israele, mentre Israele deve cessare tutte le operazioni offensive contro il Libano: la qualifica di “operazione offensiva” si applica a una sola parte dell’accordo.

Nel sud del Libano l’esercito israeliano sta avanzando e conquistando più territori?

Sì. E, ancora, questo è un problema dell’accordo. Il cessate il fuoco stabilisce una zona demilitarizzata che si estende dal fiume Litani verso sud: entrambe le parti devono lasciare completamente l’area, ma durante il conflitto Israele non era riuscito a conquistare territori nella zona demilitarizzata. Sul fiume Litani è arrivato una sola volta, elitrasportandovi le truppe per scattare qualche foto e riportarle via. Insomma, Israele sta sfruttando l’accordo di cessate il fuoco per reclamare il diritto di operare fino al fiume Litani nonostante non ci sia mai arrivato durante i combattimenti. Ovviamente Israele sostiene che tutte le violazioni siano di natura difensiva, anche quando sparano ai pastori, e uccidono le persone ai funerali. Il fatto è che Hezbollah è designata da USA e Israele come un’organizzazione terroristica; gli attacchi quindi non contano come violazioni dell’accordo perché vengono considerati come operazioni anti-terrorismo.

A questo punto che ruolo giocano gli Stati Uniti in questo quadro?

Gli Stati Uniti sono a capo del “meccanismo” – come viene chiamato – di monitoraggio nel rispetto dell’accordo. Straordinariamente, il documento introduce una distinzione che non ho mai visto in nessun accordo: esso dice che le Nazioni Unite “ospiteranno” il comitato di monitoraggio, e che gli Stati Uniti lo “presiederanno”. Tuttavia “ospitare” non ha alcun significato in termini diplomatici o pratici. In un certo senso, tutto ciò che sembra significare è che alle Nazioni Unite sarà consentito di fornire tè e biscotti, mentre gli statunitensi gestiranno effettivamente la cosa, Quando in verità sono una delle parti nel conflitto, non un arbitro: le bombe che cadono in Libano sono fornite e pagate dagli Stati Uniti.

E per quanto riguarda il resto delle forze occidentali? Che interessi ci sono in gioco?

L’UNIFIL, che rappresenta l’unico contingente di forze occidentali, dovrebbe avere un ruolo nel monitorare l’accordo di cessate il fuoco. Anche la Francia, che è l’ex potenzia coloniale, affiancherà gli Stati Uniti nel meccanismo di monitoraggio. Parigi è molto ansiosa di mantenere il suo ruolo qui in Libano, e il suo status di ex potenza coloniale è molto importante per Macron. È per questo motivo che, in cambio dell’inclusione nel comitato, ha accettato di invertire la propria posizione sulla Corte Penale Internazionale e su Netanyahu, annunciando che il primo ministro israeliano avrebbe potuto visitare il Paese senza temere di venire consegnato alla CPI.

Vista la composizione del comitato di monitoraggio e le continue violazioni di cui abbiamo parlato in precedenza, secondo lei qual è l’obiettivo finale di Israele?

Non ho dubbi che l’obiettivo ultimo di Israele sia l’annessione del sud del Libano, che è parte del piano di espansione per la Grande Israele. Lo Stato ebraico ha una lunga storia di propagandisti sionisti che rivendicano il fiume Litani come confine settentrionale, il che significherebbe spostare di circa 25 miglia più a nord l’attuale confine del Paese. E ci sono sionisti che credono che dovrebbe spingersi ancora più a nord. Una vicenda interessante per capire meglio questo punto riguarda uno dei soldati israeliani uccisi durante l’invasione. Era un uomo che indossava l’uniforme militare completa e portava un’arma, ma che si è scoperto essere un archeologo di 72 anni: l’esercito israeliano porta con sé gli archeologi per cercare segni di antichi insediamenti ebraici e fornire una scusa per l’annessione. Tuttavia penso che questi obiettivi siano in coordinamento con le forze ribelli in Siria, sostenute da Israele e dagli Stati Uniti. Non è una coincidenza che l’attacco dei ribelli sia iniziato il giorno in cui è entrato in vigore il cessate il fuoco in Libano.

A proposito di Siria, come può cambiare e come sta cambiando il fronte in Libano ora che Damasco è caduta?

Ora Hezbollah è schiacciata nel mezzo. I ribelli siriani sono le stesse persone che militavano in Al-Qaeda e nell’ISIS, e l’ISIS in precedenza occupava le montagne sopra la valle della Beqaa. In passato sono stati sconfitti da Hezbollah, ma vogliono ancora prendersi la valle della Beqaa e il nord del Libano. Ciò che Hezbollah rischia di affrontare nell’imminente futuro è un attacco simultaneo da nord e da sud, dove invece attaccherebbe Israele. E non stiamo parlando di un’organizzazione enorme, non so se sarebbe in grado di affrontare una simile minaccia. Inoltre, non è affatto certo che l’esercito libanese combatterebbe i ribelli siriani se entrassero nella valle della Beqaa, perché anche gli americani sostengono i ribelli siriani, e gli statunitensi pagano circa il 50% dello stipendio di ogni soldato.

E per quanto riguarda la Palestina?

Ovviamente la situazione per i palestinesi è già disastrosa, ma quello che sta accadendo in Siria la aggrava ancora di più, perché rimuove il corridoio che collega l’Iran al Libano e a Hezbollah ed elimina la possibilità di aprire un fronte a nord contro Israele. Ora gli israeliani non dovranno più temere un attacco di Hezbollah quando decideranno di procedere allo sgombero etnico e all’annessione della Cisgiordania – perché ritengo che lo sgombero etnico e l’annessione di Gaza siano stati effettivamente già realizzati: hanno ancora un po’ di sterminio da fare, uccideranno molte più persone, ma i loro piani di annessione sono ormai abbastanza pubblici. La Cisgiordania, invece, è ancora sotto il controllo di un’autorità palestinese subordinata in tutte sue parti più rilevanti. Devono ancora completare il processo, perché la popolazione palestinese è ancora lì: sterminarli, fare una pulizia etnica, o espellerli. La situazione in Siria rimuove il timore di un fronte settentrionale mentre lo stanno facendo.

In un recente articolo ha sollevato la prospettiva di una soluzione finale in Medio Oriente, che consisterebbe nella creazione di due blocchi: il Grande Israele e, praticamente, un califfato sunnita. Questo non andrebbe contro ciò che è stata finora la politica degli Stati Uniti, ovvero quella di preservare il conflitto sunnita-sciita? Eliminando gli sciiti si eliminerebbe il conflitto, e non ci sarebbe più alcuna leva per contrastare un futuro governo ribelle sunnita in Siria o parte del Libano.

Sono d’accordo. Nel divario tra sunniti e sciiti l’equilibrio finirebbe per pendere decisamente a favore dei sunniti, eliminando potenzialmente le minoranze sciite in Libano e in Siria. Ora credo che gli Stati Uniti stiano dando priorità all’eliminazione di quella minaccia per Israele, a scapito della politica di mantenimento delle divisioni e di una visione a lungo termine. Credo che questo sia un esempio del fatto che, quando si tratta di formulare una linea politica, gli USA si preoccupino più di Israele di quanto si preoccupino di loro stessi: quando eliminarono Saddam, probabilmente non si erano pienamente resi conto che la conseguenza sarebbe stata un regime a maggioranza sciita in Iraq, e dunque un Iraq vicino all’Iran. Credo che al momento pensino che l’equilibrio sia troppo a favore dell’Iran e della Russia e che, in una certa misura, vada bilanciato per aiutare gli israeliani. Tuttavia è una scelta terribilmente miope, e prevedo anche si tratti di un disastroso errore di calcolo: questi gruppi per il momento sono subordinati agli USA, ma, come è successo con Al-Qaeda, così come con i talebani, e con tutte queste organizzazioni che gli USA promuovono nel breve termine, ci sarà un effetto di ritorno. Tra non molto, una volta che avranno consolidato il loro potere, questi gruppi attaccheranno gli Stati Uniti.

Un’ultima domanda, forse la più banale e allo stesso tempo dovuta che si possa porre in questo contesto turbolento. Qual è il futuro del Medio Oriente? Ci potrà essere un futuro di pace per la regione?

In questo momento il futuro del Medio Oriente appare molto cupo. La Siria sembra che regredirà in uno Stato fallito, come successo con la Libia. Se i turchi dovessero aumentare la repressione dei curdi e privarli dei loro territori, gli USA e la stessa Turchia finiranno per crearci campi di sfruttamento petrolifero, esattamente come è andata in Iraq. Il resto della Siria vedrà un continuo tentativo da parte dei salafiti di imporre una legislazione molto severa, che aumenterà di intensità in questo Paese così culturalmente diversificato. Tutto ciò che vedo con la caduta della dittatura di Assad è la mancanza di un centro di controllo, che potrebbe sfociare in massacri e repressione. Per i palestinesi ovviamente la situazione al momento è altrettanto cupa, ma non penso che Israele possa sopravvivere a lungo. Credo che ormai Israele abbia dimostrato di essere essenzialmente un’entità fascista, suprematista razziale, e genocida. La popolazione mondiale sta maturando un’idea sempre più forte di Israele come quella di uno Stato paria, un’entità illegittima. Alla fine, per mezzo della forza morale, Israele scomparirà perché le persone non vorranno più avere nulla a che farci, e la maggior parte del mondo promuoverà un enorme blocco economico.

Quali sono le possibili ripercussioni nel mondo Occidentale?

I politici di alto livello nei Paesi occidentali, se non cambiano, hanno un destino simile, perché le popolazioni troveranno il modo di liberarsene. E come nota a margine: è interessante notare come la situazione in Medio Oriente abbia fatto realizzare alle popolazioni del mondo che i politici non fanno gli interessi del proprio popolo e che non rispondono ai loro bisogni. In un modo o nell’altro questo scenario contribuirà a innescare un cambiamento rivoluzionario in Occidente. Le conseguenze di ciò che è accaduto con questo genocidio saranno affascinanti per gli storici futuri e saranno visibili nei decenni a venire. Probabilmente risulteranno nell’abolizione di Israele e porteranno a un cambiamento politico radicale nei cosiddetti “sistemi democratici” dell’Occidente.

[di Dario Lucisano]

RD Congo, scontri tra comunità locali 40 morti

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Oggi, l’esercito della Repubblica Democratica del Congo ha reso noto che 40 persone sono state uccise in seguito a scontri esplosi tra due comunità rivali, i Teke e gli Yaka, nella parte occidentale del Paese. Le violenze hanno avuto luogo la settimana scorsa e costituiscono uno dei più significativi spargimenti di sangue tra i gruppi coinvolti dallo scorso aprile, quando era stato siglato un accordo per risolvere le controversie. Gli scontri sarebbero iniziati dopo che una milizia Yaka ha lanciato un’imboscata contro alcuni membri dell’esercito regolare. I combattimenti hanno innescato un’ondata di violenza comunitaria nell’area più ampia, che ha portato all’incendio di un villaggio.

Trivelle più facili, anche vicino alle coste: il “decreto ambiente” del governo Meloni

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Con 141 voti favorevoli e 81 contrari, la Camera ha votato la fiducia al decreto Ambiente 2024, convertendolo così definitivamente in legge nella serata di ieri, martedì 10 dicembre. Il provvedimento, che introduce alcune modifiche al Testo Unico sull’Ambiente del 2006, prevede, tra le varie novità, la controversa riduzione delle distanze di protezione dalle coste per le trivellazioni marine, da 12 a 9 miglia. Sbloccata, inoltre, la corsia preferenziale per le valutazioni ambientali relative a progetti di «preminente interesse strategico nazionale», tra i quali rientrano anche gli impianti di stoccaggio, cattura e trasporto di anidride carbonica. Il dl affronta anche il tema delle rinnovabili, dell’economia circolare e del dissesto idrogeologico, ma, a detta delle opposizioni, nel complesso si tratta di «un’occasione mancata».

Quello di rilanciare le trivellazioni è un tema molto caro al governo Meloni, per il quale questo costituirebbe una possibilità di aumentare l’autonomia energetica del Paese. Eppure, solamente la scorsa settimana il TAR del Lazio ha accolto il ricorso presentato dalle associazioni ambientaliste contro il progetto di trivellazione Teodorico, che prevedeva lo sfruttamento di un giacimento al largo del Delta del Po. Tra le varie criticità, i giudici hanno rilevato in particolare numerose carenze nelle Valutazioni di Impatto Ambientale (VIA) – proprio quelle che il decreto legge appena approvato punta a velocizzare e semplificare – e il danno ambientale che sarebbe conseguito in caso di via libera alle trivelle. E proprio in ragione della protezione degli ecosistemi marini e costieri è stato introdotto il limite di distanza minima di 12 miglia nautiche delle trivelle dalla costa, in particolare per arginare le conseguenze di alcuni rischi delle attività estrattive, come lo sversamento in mare di petrolio. Vi è inoltre un certo rischio di subsidenza, come sottolineato anche nel caso della sentenza del TAR relativa al progetto Teodorico.

Sono numerose le novità controverse introdotte dalla legge appena approvata. Oltre alla citata semplificazione delle procedure di VIA, viene data la priorità alla realizzazione di alcune tipologie di progetti, tra i quali quelli di stoccaggio, cattura e trasporto della CO2. Il primo progetto di questo tipo in Italia ha visto la luce a Ravenna e prevede di captare almeno il 90% della CO2 prodotta dall’impianto – stimata in circa 25.000 tonnellate l’anno – e trasportarla fino alla piattaforma offshore Porto Corsini Mare Ovest, per poi depositarla in un giacimento di gas esaurito a 3.000 metri di profondità. Tuttavia, a fronte del costo incredibilmente elevato, l’effettivo impatto di tale strategia risulta ancora in discussione, oltre a non esservi certezze sulla sicurezza e la sostenibilità a lungo termine di tale strategia.

Secondo il ministro per l’Ambiente, Pichetto-Fratin, l’approvazione del decreto costituisce un «risultato importante per il Paese, nella direzione di semplificare e razionalizzare settori decisivi per la nostra economia». Per il ministro, «La corsia veloce per i progetti strategici sulle rinnovabili, ma anche gli interventi puntuali per l’operatività nel campo delle bonifiche, della risorsa idrica e dell’economia circolare, possono contribuire a nuove condizioni ambientali ed energetiche, in linea con i nostri obiettivi europei». Tuttavia, sono numerose le critiche giunte dalle opposizioni: la vicepresidente della Commissione Ambiente, Patty L’Abate (M5S), ha sottolineato come il provvedimento sia una «esaltazione dei combustibili fossili, con più margine per le ricerche, prospezioni, coltivazioni di idrocarburi nelle zone di mare», mentre Luana Zanella (Europa Verde) sostiene che in questo modo il governo «ostacola la diffusione di fonti energetiche rinnovabili» ed «esalta quelle fossili dando il via libera alle trivellazione delle coste entro addirittura le nove miglia».

[di Valeria Casolaro]

Siria, AFP: “Bruciata la tomba di Hafez al-Assad”

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I “ribelli siriani” avrebbero profanato e incendiato la tomba dell’ex presidente siriano Hafez al-Assad, padre dell’ex presidente deposto Bashar al-Assad. Lo rivelano immagini pubblicate dall’agenzia Agence France-Presse (AFP) e video che stanno facendo il giro del mondo nelle ultime ore. Dagli scatti si intravede una parte della tomba data alle fiamme e una bara che sembra essere stata trascinata fuori da “combattenti dell’opposizione” in mimetica.