domenica 24 Novembre 2024
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No Tav: lacrimogeni della polizia contro il campeggio degli attivisti

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In Val di Susa si è svolto nel fine settimana il “Campeggio di lotta” dei No TAV, che dal 2006 vede ritrovarsi per un weekend comitati, associazioni e singoli attivisti contrari alla realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità. Durante la tre giorni non sono mancate le azioni dirette contro il cantiere dell’Alta Velocità, con gli attivisti che – armati di ganci e funi – hanno staccato pezzi di filo spinato dalle barriere che proteggono i lavori del cantiere di San Didero e indirizzato fuochi pirotecnici oltre le recinzioni. Un’azione dimostrativa cui le forze dell’ordine hanno risposto con un lancio di lacrimogeni e getti di idrante.

Proprio il cantiere di San Didero è stato oggetto, intorno alla metà dello scorso maggio, di nuovi ampliamenti, arrivando a comprendere la striscia di terra tra l’autostra e il fiume Dora. Qui, una volta ultimati i lavori, dovrebbero sorgere le rampe di collegamento con la A32. A San Didero dovrebbe infatti vedere la luce il nuovo autoporto, opera collaterale della TAV. A Susa esiste già un autoporto ma, per lasciare spazio alla costruzione dell’imponente stazione internazionale dell’Alta Velocità, si è deciso di spostarlo, costruendone uno nuovo a San Didero. Ai costi dei lavori, che procedono estremamente a rilento, vanno aggiunti quelli della militarizzazione dell’area, presidiata da centinaia di agenti per impedire agli attivisti di avvicinarvisi. Il costo per la gestione di un tale apparato di controllo (analogamente per quanto riguarda il cantiere per il tunnel di base a Chiomonte) è di svariati milioni di euro all’anno, tutti pagati dalle tasche dei contribuenti.

L’ampliamento delle strutture collaterali (che, oltre all’aumento dei costi, comporta la cementificazione di aree sempre più ampie della valle e il consumo di risorse che sarebbero fondamentali per il territorio) procede tuttavia più rapidamente della realizzazione dell’opera principale. Del tunnel di base, infatti, dal lato italiano, non è ancora stato scavato un centimetro. A dispetto degli annunci fatti dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini, che lo scorso dicembre aveva proclamato l’inizio dei lavori, questi non sono mai cominciati, come confermano gli stessi membri della Commissione tecnica. Eppure, l’area del cantiere di Chiomonte è chiusa e militarizzata dal 2011, mentre sono trent’anni che di discute della realizzazione del collegamento, tra inchieste giudiziarie, ritardi nei lavori, rinvii e infiltrazioni mafiose. La criminalizzazione di chi si oppone a quella che ritiene essere niente di più che una speculazione messa in piedi a scapito di cittadini e ambiente procede invece senza sosta. Proprio la Lega, infatti, ha proposto un emendamento al ddl Sicurezza, in discussione al Parlamento, per alzare fino a 25 anni di carcere la pena per chi protesta in modo “minaccioso o violento” contro le grandi opere infrastrutturali.

[di Valeria Casolaro]

Sardegna: parte la raccolta firme per un referendum contro la speculazione energetica

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In Sardegna è ufficialmente partita la raccolta firme per fermare i progetti di parchi eolici e fotovoltaici nell’isola in assenza di un adeguato piano energetico regionale. A lanciarla è stato il “Comitato per il No”, che punta ad ottenere presto le 10mila firme necessarie per portare i cittadini a un referendum consultivo. Protagonisti dell’iniziativa sono, nello specifico, l’avvocato Michele Pala, promotore responsabile, e il medico di Arzachena Pietro Satta, referente per la Gallura. «Volete voi che il paesaggio sardo, terrestre e marino, sia modificato con l’installazione sul terreno e in mare di impianti industriali eolici e/o fotovoltaici per la produzione di energia elettrica?» si legge nel quesito al centro della raccolta firme, che il Comitato ha l’obiettivo di sottoporre al voto dei cittadini sardi.

“Sono in corso in tutto il territorio dell’isola incontri di promozione del referendum e iniziative per la raccolta delle firme”, hanno scritto i promotori dell’iniziativa all’interno di un comunicato pubblicato l’ultimo giorno di giugno, spiegando che “è già presente negli uffici elettorali dei maggiori comuni sardi la modulistica per consentire ai cittadini di recarsi nel proprio comune ed apporre la propria firma sulla proposta referendaria”. Nella nota il Comitato scrive che è necessario che al popolo sardo “sia almeno consentito di esprimersi in maniera unitaria ed istituzionale sul futuro prossimo della loro terra con un referendum regionale consultivo”, aggiungendo che, per la buona riuscita del progetto, si prevede “l’organizzazione di incontri sul territorio e la costituzione di comitati locali, il coinvolgimento dei mass media e della carta stampata e ogni altra iniziativa per l’informazione e il doveroso coinvolgimento della popolazione”. E in effetti, nei principali centri dell’isola è in corso un’intensa campagna di raccolta firme mediante banchetti e una lunga serie di eventi funzionali a informare l’opinione pubblica sulla situazione dell’eolico in Sardegna e sul contenuto del quesito. Molti sono i sindaci che stanno concretamente sostenendo la raccolta firme, pubblicizzandola anche sui siti istituzionali. «Riteniamo irrinunciabile che i sardi tutti si esprimano in modo unitario, democratico e istituzionale con il referendum regionale consultivo – ha dichiarato Michele Pala – Considerato che il procedimento utilizzato dallo Stato per imporre alla Sardegna un tale peso ha scavalcato a piè pari le amministrazioni e le comunità locali».

La popolazione sarda lotta da anni per la tutela del patrimonio paesaggistico e naturale dell’isola contro l’“invasione” di pale eoliche e pannelli fotovoltaici. In Sardegna sono infatti state presentate 809 richieste di allaccio di impianti di produzione di energia rinnovabile alla rete elettrica nazionale che, in caso di semaforo verde, produrrebbero 57,67 Gigawatt di potenza. A fine aprile è emerso che la più grande fabbrica di pannelli fotovoltaici della Repubblica Popolare cinese, la Chint, si è accaparrata dall’azienda spagnola Enersid il più importante progetto solare mai concepito a livello europeo, allungando i suoi tentacoli su mille ettari di terreni nel nord della Sardegna. Pochi giorni dopo, Alessandra Todde – presidente della Regione Sardegna dalla tornata elettorale di marzo – ha approvato un disegno di legge che introduce il divieto di realizzare nuovi impianti di produzione e accumulo di energia elettrica da fonti rinnovabili che causano direttamente nuova occupazione di suolo per 18 mesi. La battaglia dei comitati è però proseguita: il 15 giugno migliaia di persone sono scese in piazza a Saccargia, in provincia di Sassari, per una grande mobilitazione contro l’assalto speculativo alle fonti rinnovabili. Il weekend successivo si sono infatti svolte nuove manifestazioni nel sud della Sardegna, in particolare nei pressi dei parchi eolici di Guspini, Sanluri e Quartu e a Oristano. In ultimo, a inizio luglio a Selargius (Cagliari) è nato un presidio permanente, denominato “la rivolta degli ulivi”, dopo che un cittadino è stato vittima di un esproprio coattivo. Quest’ultimo si era rifiutato di vendere le proprie terre a Terna, l’azienda incaricata di effettuare i lavori per la messa in funzione del Tyrrhenian Link, il lungo cavo che collegherà la Sardegna alla penisola per trasportare l’energia elettrica prodotta dall’eolico sull’isola.

[di Stefano Baudino]

Gaza, attacco a una scuola UNRWA: almeno 17 morti

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Nella giornata di ieri, l’esercito israeliano ha lanciato un attacco contro una scuola situata presso il campo profughi di Nuseirat, situato nel Governorato di Deir al Balah, al centro della Striscia di Gaza, uccidendo almeno 17 persone e ferendone almeno 80. A quanto comunica il quotidiano qatariota Al Jazeera, la scuola, affiliata all’UNRWA, faceva da rifugio agli sfollati, e dopo un primo attacco sarebbe stata sede di una seconda esplosione. Nel frattempo continuano gli attacchi a Gaza: la marina israeliana comunica di avere colpito “dozzine di bersagli” nel sud della Striscia, mentre l’esercito procede via terra con l’ausilio di carri armati.

Uno studio spiega come il ripristino delle foreste aiuta gli animali (e le persone)

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Terreni sterili con risaie abbandonate che vanno a fuoco ogni anno, degradati e privi di fauna selvatica possono essere completamente ripristinati e diventare un vero e proprio ecosistema per flora e fauna che aiuta le popolazioni locali: lo riporta un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista Tropical Natural History, il quale descrive l’impegno e i risultati ottenuti grazie ad un lavoro durato quasi 15 anni. È dal 2009 infatti che un gruppo ambientalista locale e le comunità vicine collaborano per ripristinare i terreni seminando piante autoctone, estirpando le...

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Giro d’Italia Women, trionfo italiano dopo 16 anni

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Il Giro d’Italia Women si è concluso con Elisa Longo Borghini al primo posto. La 32enne di Verbania ha riportato il trofeo in Italia dopo 16 anni, visto che l’ultimo successo risaliva al 2008 da parte di Fabiana Luperini. Nella tappa finale a L’Aquila l’azzurra doveva resistere difendendo il suo unico secondo di vantaggio sulla campionessa del mondo Lotte Kopecky, la quale è stata poi staccata di altri venti secondi.

Titanic, al via nuova missione di fotografia del relitto

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Un team di scienziati, storici ed esperti di imaging è salpato verso il Titanic con lo scopo di raccogliere il resoconto fotografico più dettagliato mai realizzato. Lo riporta la BBC, che riferisce di aver avuto accesso esclusivo non solo alle fasi di progettazione e iniziali della missione, ma anche della nave logistica Dino Chouest al momento della partenza dal porto di Providence. La missione impiegherà due veicoli robotici, i quali si immergeranno spostandosi lungo una sezione di fondale di 1,3 per 0,7 chilometri per catturare milioni di fotografie ad alta risoluzione che permetteranno di realizzare un modello 3D di tutti i detriti.

L’ultima strage israeliana: almeno 90 civili ammazzati per stanare (forse) un capo di Hamas

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Esplosioni e crateri di diversi metri, almeno 90 civili uccisi e circa 300 feriti, squadre mediche e di soccorso al collasso e parti di cadaveri ovunque. È quanto successo al campo di al-Mawasi, situato nel sud di Gaza: un’area che le stesse autorità israeliane avevano definito “sicura” e indicato come destinazione ai palestinesi sfollati da altre zone sotto attacco. Il fine ufficiale usato dal governo israeliano per giustificare la carneficina è stato quello di colpire Mohammad Deif, capo militare di Hamas e presunto ideatore degli attacchi del 7 ottobre, che si sarebbe trovato nella zona bombardata. Tuttavia, Hamas smentisce che il leader palestinese sia stato effettivamente colpito e anche l’esercito israeliano non lo conferma. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha commentato l’attacco affermando che «non è assolutamente certo» di aver colpito con successo i funzionari cercati, ma che «in ogni caso» Tel Aviv «raggiungerà l’intera leadership di Hamas» e che l’attacco «trasmette un messaggio al mondo». Mentre il bilancio dei morti e dei feriti è in continuo aggiornamento, la relatrice speciale delle Nazioni Unite Francesca Albanese ha dichiarato che potrebbe essere avvenuta una violazione del diritto internazionale in quanto per legge l’azione «dovrebbe essere proporzionale al vantaggio ottenuto» e uccidere oltre 70 civili per una persona «non è proporzionale».

L’attacco è avvenuto in una zona che, secondo quanto riportato dai testimoni, era stata designata da Israele come «sicura», situata ad ovest di Khan Younis, nel sud della Striscia. Il bombardamento ha coinvolto aerei da combattimento e droni che, secondo un ex addetto dell’esercito statunitense per la CNN, avrebbero usato anche una Joint Direct Attack Munition (JDAM), un kit GPS usato per indirizzare le bombe verso un bersaglio specifico. Bersaglio che, secondo quanto rivelato finora, sembrerebbe essere stato Mohammed Deif: classe 1965, prima braccio destro del capo militare Yahya Ayyah, poi comandante delle Brigate Ezzedin al Qassam e presunto ideatore dell’attacco realizzato lo scorso 7 ottobre. I servizi segreti israeliani avrebbero ricevuto per la prima volta nei giorni scorsi informazioni sensibili riguardanti una potenziale opportunità di colpirlo, ma la finestra per un possibile attacco si sarebbe aperta solo nelle ultime 24 ore. Secondo un funzionario israeliano alla CNN Tel Aviv avrebbe saputo con anticipo che non c’erano ostaggi nella zona, mentre d’altra parte avrebbe saputo con anticipo della presenza dei civili, visto che un funzionario citato da Al Jazeera ha riferito che Israele avrebbe agito sulla base di «informazioni precise» per colpire un’area in cui «due terroristi di alto rango di Hamas» si nascondevano tra i civili.

Alcuni uomini trasportano una vittima degli attacchi israeliani ad al-Mawasi, Credit: Hatem Khaled/Reuters

Tuttavia, ad ora tali “informazioni precise” hanno causato la morte di decine di civili – tra cui donne e bambini – e non avrebbero provocato alcun danno al bersaglio dell’operazione. Il il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che nonostante non sia certo che i funzionari di Hamas siano stati uccisi, «Il solo tentativo di assassinare i comandanti di Hamas trasmette un messaggio al mondo, un messaggio che i giorni di Hamas sono contati. E questo è ciò che farò la prossima settimana al Congresso degli Stati Uniti. Trasmetterò il messaggio di Israele agli Stati Uniti e al mondo intero». D’altra parte, reporter sul campo hanno denunciato che le direttive di Netanyahu sono state ripetutamente utilizzate come giustificazione per colpire i civili in aree densamente popolate e Khalil al-Hayya, vice capo di Hamas a Gaza, ha commentato l’operazione israeliana chiamandola «falsa vittoria» e aggiungendo: «Mohammad Deif ora vi ascolta e prende in giro le vostre false e vuote dichiarazioni».

Mentre il bilancio delle vittime e dei feriti e lo stato di salute degli obiettivi dell’attacco è in costante aggiornamento, ciò che è certo per ora è che sono sorti diversi dubbi riguardanti ciò che, di fatto, potrebbe potenzialmente essere una violazione del diritto internazionale. Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite, ha dichiarato: «Le persone in un’area sicura sono protette dal diritto internazionale. Se c’è un obiettivo militare all’interno di una zona sicura, l’azione deve essere proporzionale al vantaggio militare che verrà ottenuto. Uccidere 70 persone per una non è proporzionale. Sono disgustata dalla tolleranza dell’impunità di Israele, che sta rendendo possibile la guerra genocida».

Infatti, secondo il diritto internazionale umanitario e le leggi che regolano i conflitti armati, la protezione dei civili è una priorità assoluta. Secondo l’articolo 27 della Convenzione di Ginevra «Le persone protette hanno diritto, in ogni circostanza, al rispetto della loro persona, del loro onore, dei loro diritti familiari, delle loro convinzioni e pratiche religiose, delle loro consuetudini e dei loro costumi» e devono essere «trattate sempre con umanità e protette». Secondo l’articolo 48 del Protocollo aggiuntivo I inoltre, le Parti in conflitto devono fare «in ogni momento, distinzione fra la popolazione civile e i combattenti, nonché fra i beni di carattere civile e gli obiettivi militari, e, di conseguenza, dirigere le operazioni soltanto contro obiettivi militari» e secondo l’articolo 51 «sia la popolazione civile che le persone civili non dovranno essere oggetto di attacchi». Si tratterebbe di violazioni che seguirebbero la scia di quelle già denunciate dall’ufficio dell’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani – che ha parlato di «rapido deterioramento» dei diritti umani nella Cisgiordania occupata e di «uccisioni illegali» – da un rapporto delle Nazioni Unite che ha definito «illegale l’occupazione israeliana dei territori palestinesi» e da Ong come Human Rights Watch che scrive di restrizioni che durano da almeno 25 anni.

[di Roberto Demaio]

Polizia: in calo omicidi, anche di donne

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Tra il 1° gennaio ed il 7 luglio 2024 sono stati registrati 149 omicidi, con 53 vittime donne, di cui 47 uccise in ambito familiare e di cui 27 che hanno trovato morte per mano del partner/ex partner. Si tratta di una diminuzione del 17% rispetto al periodo dell’anno precedente sia in totale sia per il numero di vittime femmine, che da 64 scendono a 53. Lo rivela il report della Polizia Criminale pubblicato sul sito del Ministero dell’Interno. In calo anche i delitti commessi in ambito familiare/affettivo – che passano da 83 a 72 – e gli omicidi commessi esclusivamente dal partner o ex partner, che da 37 diventano 32 diminuendo di 14 punti percentuali.

I piani dell’Italia per lanciarsi nel devastante business delle estrazioni minerarie marine

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Il 20 giugno scorso il governo italiano ha approvato un decreto che dà via libera ai progetti di ricerca di "materie prime critiche" - ossia minerali necessari all'industria elettrica - nelle acque territoriali. Si tratta della mossa con la quale l'Italia vuole entrare nel settore del "deep sea mining", cioè la ricerca di minerali nei fondali marini più profondi. Una pratica sotto accusa a livello internazionale e controversa anche a livello europeo, con Paesi come la Francia che ne chiedono il divieto a causa delle possibili e sconosciute conseguenza sugli ecosistemi marini. Il governo italia...

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Spari contro Trump, ucciso presunto attentatore

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Spari contro Trump ad un comizio in Pennsylvania: l’ex presidente è rimasto ferito ad un orecchio, è stato portato in ospedale e, secondo quanto riferito dal suo staff, sarebbe in condizioni stabili. Il presunto attentatore ha sparato una decina di colpi da un tetto, presumibilmente con un AR-15 ritrovato poi dalle forze dell’ordine. Il bilancio dell’attentato  è di almeno due morti (presunto attentatore compreso) e due feriti, di cui uno attualmente in gravi condizioni. Le indagini dureranno settimane, forse mesi secondo l’FBI. Un testimone oculare ha riferito alla BBC che avrebbe avvistato un uomo salire sul tetto pochi minuti prima dell’attentato e di aver informato la polizia invano.