La piattaforma social X, ex Twitter, starebbe violando le norme europee sui contenuti online permettendo a malintenzionati di «ingannare gli utenti» tramite l’acquisto delle spunte blu (i cosiddetti “account verificati), non rispettando la necessaria trasparenza in materia di pubblicità e non fornendo ai ricercatori indipendenti l’accesso ai suoi dati pubblici. Lo rivela direttamente l’Ue tramite un comunicato stampa pubblicato sul proprio sito e attraverso alcuni post pubblicati dal Vice-Presidente esecutivo della Commissione e dal commissario Thierry Breton. D’altra parte, Elon Musk ha risposto alla notizia con accuse tutt’altro che leggere: secondo l’imprenditore e amministratore delegato di X la Commissione avrebbe offerto alla piattaforma un «accordo segreto illegale» il quale, secondo quanto riportato da Musk, avrebbe evitato le multe al social network a patto di «censurare silenziosamente senza dirlo a nessuno».
Comunicati stampa, post sui social ribattuti tra le parti e violazioni che potrebbero potenzialmente riguardare anche altre piattaforme ma attenzione rivolta principalmente ad X: quello che sta accedendo ricorda come un dejà vu quanto accaduto ad ottobre, ovvero quando la Commissione ha indagato X sempre per possibili violazioni del DSA, la nuova legge europea che ha sollevato perplessità sulla censura anche dal Garante della privacy italiano. Questa volta, secondo il comunicato stampa appena pubblicato dalla Commissione, il social network violerebbe tale legge in quanto «progetta e gestisce la propria interfaccia per gli “account verificati” con il “marchio di controllo blu” in modo da non corrispondere alla prassi del settore e ingannare gli utenti». Poiché chiunque può abbonarsi per ottenere lo status di “verificato”, quindi, ciò «incide negativamente sulla capacità degli utenti di prendere decisioni libere e informate in merito all’autenticità degli account e ai contenuti con cui interagiscono». Inoltre, X non rispetterebbe la «necessaria trasparenza in materia di pubblicità», in quanto non fornirebbe un «archivio pubblicitario consultabile e affidabile, ma pone invece in essere caratteristiche di progettazione e barriere di accesso che rendono l’archivio inidoneo a fini di trasparenza nei confronti degli utenti». Infine, il social è accusato di non fornire ai ricercatori l’accesso ai suoi dati pubblici, vietandogli di accedervi e dissuadendoli «dallo svolgere i loro progetti di ricerca». Se tali accuse venissero confermate – ricorda la Commissione – potrebbero comportare sanzioni fino al 6% del fatturato mondiale totale annuo, oltre che a ordini che prevedano misure di adattamento della piattaforma.
L’indagine è stata annunciata anche dal commissario Thierry Breton, che in un post su X ha scritto: «Un tempo, la spunta blu indicava fonti di informazioni affidabili. Ora, con X, la nostra opinione preliminare è che ingannino gli utenti e violino il DSA. X ha ora diritto di difesa, ma se la nostra opinione verrà confermata, imporremo multe e richiederemo modifiche significative». D’altra parte, Musk ha risposto in maniera tutt’altro che leggera, chiedendo che se ne dibatta pubblicamente e poi accusando: «La Commissione Europea ha offerto ad X un accordo segreto illegale: se avessimo censurato silenziosamente il discorso senza dirlo a nessuno, non ci avrebbero multato. Le altre piattaforme hanno accettato quell’accordo. X no». A tali affermazioni a poi risposto Breton, scrivendo: «Non c’è mai stato — e non ci sarà mai — alcun “accordo segreto”. Con nessuno. La DSA fornisce a X (e a qualsiasi grande piattaforma) la possibilità di offrire impegni per risolvere un caso. Per essere più chiari: è *IL TUO* team che ha chiesto alla Commissione di spiegare il processo di risoluzione e di chiarire le nostre preoccupazioni. Lo abbiamo fatto in linea con le procedure normative stabilite. Sta a te decidere se offrire impegni o meno. È così che funzionano le procedure dello stato di diritto. Ci vediamo (in tribunale o meno)».
Il Digital Service Act è la nuova legge europea sui servizi digitali entrata in vigore nel novembre 2022. Interessa oltre 15 grandi corporation tra motori di ricerca e piattaforme identificate dalla Commissione come dominanti dello spazio online e prevede un livello di obblighi crescente e proporzionato al numero di utenti raggiunti. Tali piattaforme sono soggette a requisiti sulla valutazione indipendente e annuale dei rischi sistemici di disinformazione, contenuti ingannevoli, violazione dei diritti fondamentali dei cittadini e violenza di genere e minorile. Le violazioni del regolamento comportano multe fino al sei per cento del fatturato globale e sono sorvegliate dalle autorità nazionali (le piattaforme più piccole) e dalla Commissione Ue che ha potere esclusivo su quelle più grandi. Il regolamento, infatti, pone particolare attenzione al fenomeno della “disinformazione” restando però sul vago, ovvero non definendo nel dettaglio ciò che può essere considerato come tale.
[di Roberto Demaio]