sabato 19 Aprile 2025
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Attivisti per la Palestina costringono alla chiusura la sede scozzese di Leonardo Spa

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Si sono incatenati dentro le macchine e sopra i veicoli, parcheggiati davanti ai due ingressi: così cinque attivisti di Palestine Action hanno costretto ieri, 10 dicembre, la fabbrica con sede a Edimburgo di Leonardo a chiudere i battenti. Almeno per un giorno. «Mentre i governi britannico e scozzese continuano a sostenere l’industria bellica israeliana, Palestine Action si oppone a tale complicità. Chiudendo la Leonardo di Edimburgo, questi attivisti stanno impedendo la produzione di carneficine palestinesi», ha dichiarato una delle portavoce del gruppo. Gli attivisti sono stati arrestati e poi rilasciati questa mattina.

Leonardo, società pubblica italiana attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza, è uno dei maggiori produttori di armi al mondo, con ampi legami con lo Stato israeliano. Dal 2015, lo stabilimento di Edimburgo produce i sistemi di puntamento laser per i caccia F-35, il modello utilizzato da Israele per sganciare bombe da 2.000 libbre sulla popolazione palestinese di Gaza. Inoltre, Leonardo produce parti per gli elicotteri Apache di Israele e mantiene una profonda partnership con Elbit Systems, la più grande azienda israeliana di armi, per rifornire l’aeronautica militare israeliana.

A causa dei suoi profondi legami con l’esercito di Tel Aviv, il gigante italiano degli armamenti è diventato uno dei bersagli delle azioni di solidarietà dei gruppi pro-palestinesi, che, oltre a denunciare le connessioni e la responsabilità dell’azienda, cercano di rallentare la produzione dei suoi armamenti. È la seconda volta in un mese che Palestine Action prende di mira lo stabilimento di Edimburgo: la mattina del 15 novembre, un centinaio di persone aveva bloccato l’ingresso alla fabbrica, chiedendo all’azienda di rompere ogni legame con Israele.

Il 28 maggio invece attivisti di Palestine Action Scotland avevano colpito la stessa azienda in territorio scozzese sabotando i cavi internet dello stabilimento, spruzzando schiuma espandente all’interno della scatola di derivazione e scrivendo con lo spray “Stop Arming Israel”.

Palestine Action sottolinea anche la complicità del Regno Unito nel sostenere il massacro in corso e chiede al governo di Westminster di negare le licenze di esportazione di armi e attrezzature militari. Tra il 2016 e il 2020, infatti, Leonardo ha ricevuto sovvenzioni per 7 milioni di sterline dal governo scozzese guidato dall’SNP, e altre 786.125 sterline nel 2023 dalla sua agenzia Scottish Enterprise, rendendo il governo scozzese stesso complice dell’uccisione di massa dei palestinesi da parte di Israele.

Il colosso italiano ha chiuso il 2023 con risultati record, registrando ordini per 17,9 miliardi e ricavi di 15,3 miliardi, evidenziando una crescita di tutte le divisioni, anche grazie alla guerra in Ucraina e al genocidio in Palestina. Anche i cannoni da 76 mm, fabbricati in Italia dall’azienda OTO Melara (controllata da Leonardo S.p.A.) e venduti a Tel Aviv, vengono utilizzati per lanciare i missili che stanno devastando la Striscia di Gaza, come dichiarato dalla stessa Marina Militare israeliana. Le dichiarazioni del governo italiano, così come dell’azienda – il cui maggior azionista è il Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano – di aver interrotto la vendita di armi a Tel Aviv dopo il 7 ottobre sono state infatti ripetutamente smentite dai fatti.

Negli ultimi mesi sono stati diversi i siti di produzione dell’azienda a essere “sanzionati” dagli attivisti per la Palestina: oltre ai blocchi e ai sabotaggi di Edimburgo, il 2 novembre 2023 era stata occupata e colorata di rosso, a simboleggiare il sangue dei morti di Gaza, la sede di Londra. Il 15 novembre 2023, invece, era stata bloccata e danneggiata la sede di Southampton, con attivisti sul tetto che erano riusciti a compiere piccoli sabotaggi.

[di Moira Amargi]

Georgia, continuano le proteste filoeuropee

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Continuano per il dodicesimo giorno consecutivo le proteste filoeuropee in Georgia, dove i manifestanti si radunano per contestare la vittoria del partito filo-russo Sogno Georgiano. Le proteste si svolgono principalmente la sera nella capitale, Tbilisi, davanti alla sede del Parlamento, dove ogni giorno migliaia di persone si riuniscono per bloccare le strade. Le tensioni in Georgia sono esplose dopo che la presidente filo-occidentale, Salome Zourabichvili, ha accusato Sogno Georgiano di aver truccato le recenti elezioni con il sostegno della Russia. Le proteste hanno poi trovato un nuovo slancio in seguito alla decisione di Sogno Georgiano di sospendere i colloqui di adesione all’Unione Europea. Dall’inizio delle manifestazioni, sono state arrestate 300 persone.

Scoperta una tecnologia che potrebbe aiutare a identificare i tumori più aggressivi

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Si chiama SPRINTER, è capace di analizzare le singole cellule all’interno di un tumore per identificare quelle che crescono più rapidamente e promette di porre le basi per una futura rivoluzione alla lotta contro il cancro: è l’algoritmo creato da una squadra di ricercatori dell’UCL Cancer Insitute e del Francis Crick Institute, il quale è stato inserito in un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato recentemente sulla rivista scientifica Nature Genetics. Secondo gli scienziati il nuovo strumento potrebbe trasformare la diagnosi precoce e il monitoraggio delle cellule tumorali, aprendo la strada a terapie più mirate e personalizzate. «Ci ha aiutato a elaborare grandi quantità di dati complessi in modo rapido e accurato, scoprendo modelli nella crescita cellulare che sarebbero impossibili da individuare manualmente», ha commentato Simone Zaccaria, ricercatore dell’UCL e coautore del nuovo studio.

Nella lotta contro il cancro, la sfida deriva dalla natura complessa e diversificata dei tumori: all’interno dello stesso tumore convivono popolazioni cellulari con comportamenti e risposte differenti. Alcune cellule crescono lentamente, ma altre rapidamente, sviluppano resistenza ai trattamenti o si adattano in modi imprevisti, contribuendo alla progressione della malattia. Proprio per questo motivo, i ricercatori hanno ideato e realizzato SRINTER, in quanto distinguere queste cellule può risultare essenziale per migliorare la prognosi dei pazienti. «I progressi futuri nella ricerca sul cancro dipendono dall’uso di tecnologie all’avanguardia per aprire la strada a interventi più precisi e migliori risultati per i pazienti», ha dichiarato Zaccaria.

L’algoritmo è stato utilizzato per analizzare circa 15.000 cellule tumorali provenienti da un paziente con carcinoma polmonare non a piccole cellule, uno tra i più comuni tumori polmonari. Grazie a questa tecnologia, il team ha identificato le cellule in rapida crescita responsabili della diffusione del cancro in altre parti del corpo, ed è emerso che queste rilasciano nel sangue una maggiore quantità di DNA tumorale circolante (ctDNA), aprendo nuove opportunità per sviluppare esami del sangue minimamente invasivi capaci di identificare precocemente le cellule più aggressive. L’utilizzo di SPRINTER quindi, secondo i ricercatori, non solo consente di monitorare la progressione del cancro, ma offrirebbe anche la possibilità di personalizzare le terapie in base al comportamento specifico delle cellule tumorali. «Questa ricerca è un altro passo cruciale nei nostri sforzi per migliorare le prospettive per le persone colpite dal cancro ai polmoni, fornendo al contempo preziose informazioni sulla biologia fondamentale di tutti i tumori», ha concluso Iain Foulkes, direttore esecutivo di ricerca e innovazione del Cancer Research UK non coinvolto nello studio.

[di Roberto Demaio]

Gaza, almeno 13 palestinesi uccisi negli ultimi raid israeliani

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Sono almeno 13 i palestinesi uccisi nei raid effettuati in queste ore da Israele nel centro e nel sud di Gaza. L’IDF ha preso di mira un’abitazione nel centro della Striscia, causando la morte di 7 persone e il ferimento di altre decine. Nell’attacco, che ha danneggiato numerosi edifici circostanti, sarebbe stato ucciso anche Mohammed Khalifa, calciatore palestinese. Almeno altre 6 persone sono state uccise a Rafah, nel corso di attacchi con droni. Le ultime uccisioni si sommano alle decine che avvengono con ritmo quotidiano lungo tutta la Striscia, portando ad almeno 44.758 i morti accertati per mano di Israele e a quasi 106 mila i feriti.

Nel caos siriano, le milizie controllate dai turchi avanzano nel Rojava

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Approfittando del caos esploso con la rivolta che ha portato alla caduta del regime di Bashar al-Assad in Siria, la Turchia ha lanciato una pesante offensiva contro l’Amministrazione Autonoma del Nord Est della Siria (DAANES, ovvero il Rojava). Le milizie dell’Esercito Nazionale Siriano (SNA), appoggiate dalla Turchia, hanno assaltato la città di Manbij, situata a nord-est di Aleppo, e tutt’ora sono in corso pesanti scontri tra queste e il Consiglio Militare della città. Bombardamenti del SNA, insieme ad attacchi di droni turchi, sono in corso anche sulle città di Kobane, Tel Tamir e Ayn Issa e hanno causato fino ad ora l’uccisione di 15 persone, tra le quali 6 bambini.

Venerdì 6 dicembre Mazloum Abdi, capo delle Forze Siriane Democratiche (SDF, le quali controllano la città di Manbij), ha dichiarato nel corso di una conferenza stampa di essere pronto a «intavolare un dialogo con tutte le parti» per definire il futuro della Siria alla luce della ribellione che di lì a un paio di giorni ha causato la caduta del regime di Assad. Per Abdi, la caduta di Assad rappresenta infatti «un’opportunità per costruire una nuova Siria basata sulla democrazia e sulla giustizia che garantisca i diritti di tutti i siriani». Sebbene l’avanzata di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) avesse suscitato non poca preoccupazione nella popolazione, nei giorni precedenti alla caduta di Damasco vi erano stati grandi festeggiamenti in piazza, con la distruzione delle statue raffiguranti Assad. Proprio nel mezzo di queste manifestazioni ha preso il via l’offensiva del SNA, spalleggiata dalla Turchia.

Elham Amad, Copresidente del Dipartimento delle Relazioni Estere di DAANES, ha scritto su X che «Mentre cresceva la speranza tra i siriani per una soluzione politica, la Turchia l’ha interrotta con un pesante attacco di droni, supportato dalle sue milizie, mirato a occupare Manbij. Ha causato vittime civili e danni alle infrastrutture». Secondo quanto riferito da Abdi, inoltre, il SNA ha anche interrotto i corridoi umanitari che il SDF stava cercando di creare tra le regioni orientali, Aleppo e la regione di Tal Rifaat per proteggere la popolazione dai massacri. «Le nostre forze hanno difeso valorosamente il nostro popolo ad Aleppo, Tal Rifaat e Al-Shahba» ha riferito Abdi. Dopo la presa di Aleppo, il SNA ha infatti iniziato un’offensiva che ha portato all’occupazione di Tal Rifaat e Shebah, costringendo 200 mila civili ad abbandonare le proprie case. Il co-presidente del Cantone di Afrin-Shehba, Mohammed Sheikho, ha riferito ai media curdi che nel nord est della Siria «gli sfollati sono in una condizione di caos: è una regione nuova per loro, non sanno dove andare. Ora ci sono gravi minacce per Manbij e la gente è terrorizzata dagli attacchi aerei. Non sanno cosa succederà dopo».

Erdogan ha commentato le operazioni militari lungo il confine dichiarando che queste hanno lo scopo di «proteggere la nostra patria e i nostri cittadini dagli attacchi terroristici», in particolare del PKK. Gli attacchi rappresentano di fatto solamente l’ultimo tentativo, in ordine cronologico, da parte della Turchia di prendere il controllo delle regioni del nord est della Siria che si trovano lungo il confine turco, come sempre schermati dietro la pretesa di una «lotta al terrorismo».

[di Valeria Casolaro]

Caso Ramy Elgaml: altri due carabinieri indagati per depistaggio delle indagini

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L’inchiesta relativa al caso di Ramy Elgaml, il ragazzo morto in motorino durante un inseguimento da parte dei carabinieri, ha registrato nuovi sviluppi, con l’aggiunta di altri due agenti dell’arma alle indagini, accusati di falso in atto pubblico e depistaggio. La Procura di Milano, in particolare, sta indagando sui carabinieri per aver omesso dal verbale d’arresto l’impatto tra la gazzella e il motorino, e per aver fatto cancellare un video a un testimone. Risultano inoltre ancora indagati per omicidio stradale sia il vice brigadiere al volante dell’automobile che il ragazzo alla guida dello scooter. Ora dovrebbero essere condotte delle analisi sul cellulare del testimone per certificare l’esistenza del video dei fatti del 24 novembre.

L’inchiesta sulla morte di Ramy è affidata ai pm Giancarla Serafini, Marco Cirigliano e al procuratore capo Marcello Viola. La Procura ha inoltre conferito l’incarico per una consulenza cinematica e dinamica per ricostruire le cause e le eventuali responsabilità dell’incidente: è infatti ancora in corso di verifica la dinamica degli eventi. Secondo un testimone oculare, dopo la caduta il ragazzo sarebbe finito sotto l’auto, vicino al palo di un semaforo. I due carabinieri aggiunti nella lista degli indagati sono accusati di falso, frode processuale e depistaggio. Da quanto si apprende, infatti, dal verbale dei carabinieri non emergerebbe alcuna traccia dell’impatto avvenuto tra l’auto e il mezzo a due ruote, come invece comprovato dal testimone. Lo stesso testimone, inoltre, sarebbe stato costretto a cancellare un video dell’incidente, in cui si paleserebbe la dinamica da lui descritta.

Ramy Elgaml è morto la notte tra sabato 23 e domenica 24 novembre. Il ragazzo si trovava a bordo di un motorino, sul sedile del passeggero, guidato da un amico, un ragazzo di ventidue anni. Le dinamiche dell’incidente sono ancora poco chiare: secondo una prima ricostruzione, i due ragazzi non si erano fermati a un posto di blocco nella zona di via Farini (una strada della città, a nord del centro), venendo inseguiti fino a via Ripamonti (una delle vie più lunghe di Milano, che inizia nell’area meridionale del centro e arriva fino alla periferia sud), dove è avvenuto l’incidente. Di preciso, lo scooter si è scontrato con un murettonei pressi dell’incrocio con via Quaranta, alle porte del quartiere Vigentino. L’inseguimento sarebbe durato circa una ventina di minuti, attraversando la città per circa otto chilometri. Dopo la notizia dello schianto, amici e parenti di Ramy si sono riversati per le strade di Corvetto, un quartiere popolare situato a sud-est del centro, da dove il ragazzo proveniva. Le proteste sono durate per giorni, durante i quali i manifestanti hanno rivendicato su muri e striscioni “verità e giustizia per Ramy”, bruciato cassonetti, danneggiato mezzi di linea e lanciato petardi. In risposta, la Questura ha deciso di inviare 500 agenti per pattugliare la zona.

[di Dario Lucisano]

L’esercito francese inizia a ritirarsi dal Ciad

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L’esercito francese ha annunciato di aver iniziato il ritiro delle truppe dal Ciad, facendo decollare i primi due aerei da guerra dalla capitale N’Djamena. La notizia arriva due settimane dopo che il Ciad aveva annunciato la fine del patto di cooperazione in materia di difesa con Parigi. I termini e le condizioni del ritiro devono ancora essere concordati, ma intanto i primi aerei da guerra sono tornati alla loro base nella Francia orientale. Il Ciad non è il primo Paese africano da cui la Francia ritira le truppe: Parigi ha già richiamato i suoi soldati dal Mali, dal Burkina Faso e dal Niger sulla scia di un crescente sentimento anti-francese.

Covid, il governo annulla le multe ai lavoratori non vaccinati

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Dopo quasi due anni dall’introduzione delle sanzioni, il Consiglio dei ministri ha annullato ieri 9 dicembre le multe da 100 euro comminate alle persone non vaccinate contro il coronavirus per le quali era previsto l’obbligo. Tra queste rientravano le persone con più di 50 anni di età, il personale sanitario, le forze dell’ordine e il personale scolastico. La norma è stata approvata nel cosiddetto decreto Milleproroghe, che si emana di consueto ogni fine anno per spostare i termini di norme e versamenti. Negli ultimi due anni, il governo aveva solo sospeso le multe annualmente, mentre ora le ha cancellate in via definitiva, ma solo per chi non le aveva ancora pagate. Per coloro, invece, che hanno già versato l’importo non è previsto il risarcimento.

L’obbligo di vaccinazione e la relativa sanzione in caso di violazione dello stesso erano stati introdotti l’8 gennaio 2022 dal governo Draghi e prevedeva il sanzionamento non solo per coloro che non avevano aderito alla campagna vaccinale, ma anche per chi non aveva completato il ciclo di vaccinazioni secondo le scadenze: quindi anche per chi non aveva ricevuto la dose di richiamo (in genere la terza) entro il 15 giugno 2022. Da sempre dichiaratosi scettico nei confronti della gestione pandemica e dell’obbligo di vaccinazione, il partito di Giorgia Meloni già nel suo programma elettorale dedicato alla sanità prevedeva l’abbandono di qualsiasi ipotesi di nuove limitazione delle libertà personali e la difesa della libertà di scelta rispetto alle vaccinazioni. Il partito della premier, Fratelli d’Italia, sosteneva esplicitamente che non ci dovesse più essere alcun “obbligo di vaccinazione contro il Covid-19”, sostituendolo con “informazione, promozione e raccomandazione alla vaccinazione”, in particolare per “fasce d’età a rischio e situazioni di fragilità”. Riteneva anche necessario garantire “piena libertà di scelta tra i vaccini autorizzati dall’Ema e dall’Aifa e richiami”. Inoltre, prometteva “nessuna reintroduzione del green pass” prevedendo, invece, la “possibilità di screening negli ambienti a rischio, a tutela dei soggetti fragili”.

Negli ultimi due anni diverse sentenze hanno dichiarato illegittimo e lesivo l’obbligo vaccinale introdotto dal governo Draghi, mentre il Tribunale del lavoro dell’Aquila ha dichiarato illegittima la sospensione dei lavoratori non vaccinati. Nello specifico, il giudice monocratico, Giulio Cruciani, ha motivato la sentenza spiegando che le caratteristiche stesse dei vaccini anti-Covid disponibili non rispettano “il fondamento per imporre l’obbligo vaccinale”, in quanto non conferiscono “la garanzia della prevenzione dall’infezione”. Similmente, il Tribunale di Firenze nel 2022 aveva sospeso il provvedimento dell’ordine degli Psicologi della Toscana che vietava a una dottoressa di esercitare la professione di psicologa fino alla sua sottoposizione al trattamento sanitario contro il SARS-CoV-2. Tra le altre motivazioni, si sottolineava il possibile contrasto con la Costituzione, in quanto “l’art. 32 Cost e coerentemente le varie convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia vietano l’imposizione di trattamenti sanitari senza il consenso dell’interessato perché ne verrebbe lesa la sua dignità”. Inoltre, secondo la sentenza, “l’obbligo vaccinale imposto per poter lavorare viola ictu oculi” – ossia a colpo d’occhio – “gli artt. 4, 32 e 36 Cost”. Si tratta solo di un paio delle diverse sentenze che negli ultimi anni hanno affermato l’illegittimità dell’obbligo di vaccinazione e della sospensione dal lavoro per quanti non si fossero sottoposti all’inoculazione.

Alla luce di ciò, la decisione del governo di cancellare le multe ai non vaccinati, seppure tardiva, risulta conforme ai provvedimenti disposti da molte sentenze che – di fatto – hanno dichiarato illegittimi i presupposti su cui si era basata la politica per imporre la vaccinazione alla popolazione, confermando come le istituzioni abbiano violato la Costituzione e i diritti dei cittadini, imponendo di fatto farmaci ancora in fase di sperimentazione e autorizzati in via provvisoria.

[di Giorgia Audiello]

Brasile, il presidente Lula viene operato per un emorragia intracranica

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Ieri sera, il presidente brasiliano, Luiz Inácio Lula da Silva, si è recato all’ospedale Sírio-Libanês, filiale di Brasilia, per sottoporsi a un esame diagnostico dopo aver avvertito un mal di testa. La risonanza magnetica ha mostrato un’emorragia intracranica, derivante da un incidente domestico avvenuto lo scorso 19 ottobre. È stato trasferito all’ospedale Sírio-Libanês, filiale di San Paolo, dove questa mattina è stato sottoposto a craniotomia per drenare l’ematoma. Secondo quanto comunica l’ufficio stampa del presidente, l’intervento si è svolto senza incidenti. L’infortunio ha costretto Lula a cancellare un viaggio in Russia per un vertice del gruppo BRICS.

Raid, arresti e uccisioni: la nostra corrispondente racconta l’assedio israeliano a Tubas

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Tublas, Palestina – Altre due persone sono state uccise ieri da un missile sganciato da un drone a Tubas, nel nord della Cisgiordania. Sale così a 810 il numero dei palestinesi uccisi dai militari israeliani in Cisgiordania dal 7 di ottobre scorso, inclusi 169 bambini, con oltre 6.450 feriti. Forse, il numero più alto da sempre. L’incursione è iniziata con personale delle Forze Speciali israeliane infiltrato in città dalla mattina; poco dopo, almeno 6 veicoli militari hanno bloccato la strada principale di Tubas, occupandola per circa 3 ore e mezza e impedendo il passaggio di persone e mezzi. I militari si sono posizionati con i mitra puntati verso case, negozi e mirando chiunque si provava ad avvicinare, sparando proiettili e bombe stordenti.

Quattro persone sono state arrestate, bendate e tenute con le mani legate dietro la schiena prima di essere portate via. Una persona è stata rilasciata. Nel mentre, due droni sorvolavano il cielo sopra di noi a bassa quota, per sorvegliare i movimenti della popolazione. Forse proprio uno di questi ha ucciso Khalil Magdi Al-Masri e Udi Radwan Daraghma, di 26 e 32 anni, nella zona di Al-Safah, al nord della città. Sembra che la bomba li abbia uccisi sul colpo. L’esercito ne ha anche sequestrato i corpi, impedendo alle famiglie di piangere i loro cari. La Palestine Red Crescent Society denuncia che i loro operatori sono stati bloccati dai militari, prevenendoli dall’accedere al sito dell’attacco e dal soccorrere eventuali feriti. Nel mentre, vari giovani della città, pietre alla mano, avevano posizionato barricate fatte di copertoni e cassonetti sulle vie laterali, nel tentativo di limitare il movimento dei militari alla strada bloccata dagli stessi mezzi israeliani.

Gli arrestati costretti con benda sugli occhi [foto de L’Indipendente]
É finito così uno degli ormai quotidiani attacchi che l’esercito israeliano effettua in molte città e villaggi della Cisgiordania. Di giorno come di notte, le IDF irrompono nelle case dei palestinesi per effettuare arresti e perquisizioni, o semplicemente per rompere la tranquillità e ricordare ai palestinesi che si trovano in un territorio sotto occupazione armata. La guerra a bassa intensità che Israele sta effettuando in Cisgiordania miete vittime quotidianamente: solo nella piccola cittadina di Tubas sono ormai 66 le persone uccise dai jesh, i militari israeliani, dal 7 di ottobre. Svariate decine gli arresti.

Pochi giorni fa, la cittadina di Tubas era stata oggetto di un altro violento raid israeliano: martedì 3 dicembre i militari di Tel Aviv hanno effettuato un’irruzione nell’ospedale turco di Tubas, arrestando numerosi dottori tra cui il direttore della struttura. L’attacco delle IDF è avvenuto dopo che un drone israeliano aveva colpito una macchina uccidendo due giovani palestinesi e ferendone un terzo nella cittadina di Aqaba, nel nord della città. L’ambulanza aveva portato il ferito e i deceduti all’ospedale turco. Nel tentativo di prendere i corpi dei giovani martiri e di arrestare il ferito, i militari israeliani hanno tenuto sotto scacco l’intero ospedale e le strade circostanti per ore, spaccando varie vetrate all’interno dello stabile, minacciando il personale e scatenando il panico. Numerose volte è stato aperto il fuoco dentro all’ospedale, arrivando a ferire uno dei civili radunato nel cortile della struttura. I dottori sono stati arrestati e poi rilasciati; intervistati da Middle East Eye, hanno denunciato insulti, botte e minacce di morte se non gli avessero consegnato i corpi.

Dopo che i militari hanno lasciato la struttura, sono stati effettuati i funerali dei due giovani uccisi per impedire un nuovo tentativo di furto dei corpi. La situazione in Cisgiordania si fa sempre più tesa. Ai continui attacchi, ai morti e agli arresti, si aggiunge la paura per il futuro. E le ultime dichiarazioni del governo israeliano e del ministro delle Finanze Smotrich, che parla apertamente di un piano di annessione della Cisgriordania a Israele per il 2025 – inziando con il smantellamento dell’amministrazione civile durante la presidenza di Donald Trump, passo chiave per l’annessione – non lasciano intravedere alcuna speranza di fine del conflitto. Anzi.

[di Moira Amargi, corrispondente dalla Palestina]