domenica 24 Novembre 2024
Home Blog Pagina 137

Bruxelles ai ferri corti con Elon Musk, che denuncia: “Vogliono imporre la censura”

3

La piattaforma social X, ex Twitter, starebbe violando le norme europee sui contenuti online permettendo a malintenzionati di «ingannare gli utenti» tramite l’acquisto delle spunte blu (i cosiddetti “account verificati), non rispettando la necessaria trasparenza in materia di pubblicità e non fornendo ai ricercatori indipendenti l’accesso ai suoi dati pubblici. Lo rivela direttamente l’Ue tramite un comunicato stampa pubblicato sul proprio sito e attraverso alcuni post pubblicati dal Vice-Presidente esecutivo della Commissione e dal commissario Thierry Breton. D’altra parte, Elon Musk ha risposto alla notizia con accuse tutt’altro che leggere: secondo l’imprenditore e amministratore delegato di X la Commissione avrebbe offerto alla piattaforma un «accordo segreto illegale» il quale, secondo quanto riportato da Musk, avrebbe evitato le multe al social network a patto di «censurare silenziosamente senza dirlo a nessuno».

Comunicati stampa, post sui social ribattuti tra le parti e violazioni che potrebbero potenzialmente riguardare anche altre piattaforme ma attenzione rivolta principalmente ad X: quello che sta accedendo ricorda come un dejà vu quanto accaduto ad ottobre, ovvero quando la Commissione ha indagato X sempre per possibili violazioni del DSA, la nuova legge europea che ha sollevato perplessità sulla censura anche dal Garante della privacy italiano. Questa volta, secondo il comunicato stampa appena pubblicato dalla Commissione, il social network violerebbe tale legge in quanto «progetta e gestisce la propria interfaccia per gli “account verificati” con il “marchio di controllo blu” in modo da non corrispondere alla prassi del settore e ingannare gli utenti». Poiché chiunque può abbonarsi per ottenere lo status di “verificato”, quindi, ciò «incide negativamente sulla capacità degli utenti di prendere decisioni libere e informate in merito all’autenticità degli account e ai contenuti con cui interagiscono». Inoltre, X non rispetterebbe la «necessaria trasparenza in materia di pubblicità», in quanto non fornirebbe un «archivio pubblicitario consultabile e affidabile, ma pone invece in essere caratteristiche di progettazione e barriere di accesso che rendono l’archivio inidoneo a fini di trasparenza nei confronti degli utenti». Infine, il social è accusato di non fornire ai ricercatori l’accesso ai suoi dati pubblici, vietandogli di accedervi e dissuadendoli «dallo svolgere i loro progetti di ricerca». Se tali accuse venissero confermate – ricorda la Commissione – potrebbero comportare sanzioni fino al 6% del fatturato mondiale totale annuo, oltre che a ordini che prevedano misure di adattamento della piattaforma.

L’indagine è stata annunciata anche dal commissario Thierry Breton, che in un post su X ha scritto: «Un tempo, la spunta blu indicava fonti di informazioni affidabili. Ora, con X, la nostra opinione preliminare è che ingannino gli utenti e violino il DSA. X ha ora diritto di difesa, ma se la nostra opinione verrà confermata, imporremo multe e richiederemo modifiche significative». D’altra parte, Musk ha risposto in maniera tutt’altro che leggera, chiedendo che se ne dibatta pubblicamente e poi accusando: «La Commissione Europea ha offerto ad X un accordo segreto illegale: se avessimo censurato silenziosamente il discorso senza dirlo a nessuno, non ci avrebbero multato. Le altre piattaforme hanno accettato quell’accordo. X no». A tali affermazioni a poi risposto Breton, scrivendo: «Non c’è mai stato — e non ci sarà mai — alcun “accordo segreto”. Con nessuno. La DSA fornisce a X (e a qualsiasi grande piattaforma) la possibilità di offrire impegni per risolvere un caso. Per essere più chiari: è *IL TUO* team che ha chiesto alla Commissione di spiegare il processo di risoluzione e di chiarire le nostre preoccupazioni. Lo abbiamo fatto in linea con le procedure normative stabilite. Sta a te decidere se offrire impegni o meno. È così che funzionano le procedure dello stato di diritto. Ci vediamo (in tribunale o meno)».

Il Digital Service Act è la nuova legge europea sui servizi digitali entrata in vigore nel novembre 2022. Interessa oltre 15 grandi corporation tra motori di ricerca e piattaforme identificate dalla Commissione come dominanti dello spazio online e prevede un livello di obblighi crescente e proporzionato al numero di utenti raggiunti. Tali piattaforme sono soggette a requisiti sulla valutazione indipendente e annuale dei rischi sistemici di disinformazione, contenuti ingannevoli, violazione dei diritti fondamentali dei cittadini e violenza di genere e minorile. Le violazioni del regolamento comportano multe fino al sei per cento del fatturato globale e sono sorvegliate dalle autorità nazionali (le piattaforme più piccole) e dalla Commissione Ue che ha potere esclusivo su quelle più grandi. Il regolamento, infatti, pone particolare attenzione al fenomeno della “disinformazione” restando però sul vago, ovvero non definendo nel dettaglio ciò che può essere considerato come tale.

[di Roberto Demaio]

Vacanze, Confcommercio: prevista una spesa media di 1.200 euro

0

Rispetto al 2023, quasi un terzo delle famiglie (31%) ha previsto un budget di spesa più elevato rispetto al 2023, mentre per il 18% sarà inferiore per l’aumento di spese da sostenere nei prossimi mesi. Lo rivela il focus sulle vacanze estive pubblicato dall’Osservatorio Turismo Confcommercio in collaborazione con Swg, il quale riporta che la spesa media prevista pro capite è pari a 1.190 euro, ovvero il 10% in più rispetto alla scorsa estate. Tra giugno e settembre, il 51% degli italiani farà vacanze brevi o lunghe, mentre il 16% resterà a casa. Tra i motivi della non-vacanza mancanza di disponibilità economica, necessità di risparmiare e necessità di accudire persone non autosufficienti.

Sabotiamo la guerra

3

«Si vis pacem, para bellum: se vuoi la pace prepara la guerra». Pensiero funesto, declinato in varie formule fin dall’antichità e sempre portatore di morte e  devastazione. In questi giorni il motto guerrafondaio torna a risuonare da tivù, radio, giornali, spiattellato col sorriso sulle labbra nei dibattiti da politici ed opinionisti, a condire ogni elogio della “democrazia”, ogni richiamo alla “difesa dei valori dell’Occidente”. Mandare armi all’Ucraina è diventato il mantra che, anche nel nostro Paese, giustifica i tagli alle spese sociali, il  saccheggio dei fondi destinati a sanità e scuola e, di contro, l’aumento vertiginoso delle spese militari. 

Mentre la povertà dilaga, le industrie belliche fanno affari d’oro, le lobby del tondino e del cemento sognano gli appalti miliardari della ricostruzione. Lo sdoganamento del fascismo produce i frutti velenosi della guerra tra poveri e della fede nell’ “uomo forte”, quello che potrà dare protezione contro il nemico. Sono lontani i tempi in cui in corteo si gridava all’unisono «Fuori la NATO dall’Italia, fuori l’Italia dalla NATO». Ora l’ombrello NATO è dipinto come la garanzia del diritto all’autodeterminazione dei popoli, alla sicurezza individuale e collettiva. La Russia, la Cina, l’India, il Sud del mondo, gli “stati-canaglia”: lì si annida il nemico contro cui «se vuoi la pace, devi preparare la guerra».

Intanto, nel colpevole silenzio (o complicità aperta) delle “democrazie” mondiali, in Palestina si continua a morire e allo stato sionista d’Israele viene lasciato campo libero per applicare la “soluzione finale” che risolverà definitivamente la “questione palestinese”. Mentre i grandi si preparano alla guerra, fra chi la guerra la paga, la gente comune, regnano straniamento, precarietà, problemi economici, incapacità di reagire collettivamente.

Prevale la rassegnazione, invece servirebbe ribellione. Il Titanic, su cui fervevano le danze mentre la nave s’inabissava, è diventato una barchetta senza bussola né remi, sperduta in mare, in balìa di minacciosi i venti di guerra. E a pagare la guerra che verrà, prima, durante e dopo, saranno sempre loro, la povera gente, siano essi tra i vinti o trai vincitori. La storia insegna, come dice Brecht in una delle sue poesie contro la guerra:

«La guerra che verrà 
non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre
Alla fine dell’ ultima
c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente ugualmente».

Ribelliamoci dunque. Sabotiamo la guerra.

[di Nicoletta Dosio – storica militante del Movimento No TAV, condannata ai domiciliari per aver partecipato a una manifestazione pacifica del Movimento, ma rifiutandosi di sottostarvi per protesta, Nicoletta è stata imputata di almeno 130 evasioni, che le sono valse la condanna a oltre un anno di carcere]

Nigeria, crolla edificio scolastico: “Almeno 22 morti”

0

Nello stato di Plateau, nella Nigeria centrale,  un edificio scolastico di due piani è crollato e ha trascinato sotto le macerie oltre 150 persone. A darne notizia è l’Agenzia nazionale nigeriana per la gestione delle emergenze (NEMA) e Sky News, che parla di 22 morti allo stato attuale. La NEMA ha aggiunto che oltre 40 studenti intrappolati sono stati salvati, mentre 30 sono ancora sotto cure in ospedale. L’edificio sarebbe crollato intorno alle ore 8:30 italiane.

Meloni dà via libera all’acquisto di 24 nuovi caccia bombardieri per 7 miliardi di euro

3

In virtù delle promesse fatte da Giorgia Meloni agli alleati della NATO sull’aumento delle spese militari, il governo italiano si appresta ad acquistare 24 nuovi caccia Eurofighter Typhoon per la cifra di 7 miliardi di euro. Con un decreto urgente sottoscritto dal ministro Guido Crosetto e arrivato in commissione Difesa a Montecitorio, l’esecutivo chiede infatti l’approvazione di un programma d’acquisto dei caccia dal consorzio europeo di cui Leonardo fa parte per una spesa di circa 700 milioni da qui al 2030, mentre il resto dei fondi sarà invece da recuperare nel bilancio statale fino al 2034. Il tutto avviene all’indomani del vertice NATO di Washington, dove la presidente del Consiglio ha confermato l’impegno del nostro Paese a raggiungere il 2% del Pil per le spese militari.

“Il mutato quadro geo-politico internazionale sta ponendo i Paesi dell’Alleanza Atlantica di fronte a scenari ben più complessi di quelli affrontati fino a questo momento – è stato scritto dal governo nel documento tecnico allegato al testo – la dimensione aerospaziale è ormai teatro di un’allarmante escalation di minacce, sia in termini quantitativi che qualitativi”. In questo scenario, scrive l’esecutivo, “l’Aeronautica Militare, attraverso un monitoraggio costante delle obsolescenze dei propri sistemi d’arma, ha individuato una vulnerabilità della capacità di Difesa Aerea nazionale e, dunque, NATO, nella forzata dismissione a partire dal 2028 dei velivoli Eurofighter a causa del prossimo raggiungimento della fine della loro vita utile”. A ciò si aggiunge “la dismissione dei velivoli Tornado che si completerà verosimilmente nel 2027, costringendo la linea Eurofighter ad assorbire gli ulteriori compiti a favore del Paese e dell’Alleanza”. Dunque, in virtù “dell’aumento dei fronti su cui insistono le minacce e degli straordinari sviluppi tecnologici che hanno reso tali minacce sempre più allarmanti, la NATO necessita di un crescente impegno da parte di tutti i Paesi per garantire la Difesa Aerea nelle proprie aree regionali di competenza”, esplicita il documento. I primi a reagire quando il testo è giunto in commissione Difesa sono stati i deputati del Movimento 5 Stelle. «Meloni promette alla Nato di aumentare la spesa militare italiana e in Parlamento arriva la richiesta di Crosetto di comprare 24 nuovi caccia Eurofighter Typhoon al costo esorbitante di 7 miliardi e mezzo. Parliamo di oltre 300 milioni a velivolo: una follia che fa impallidire perfino i costosissimi F-35», ha dichiarato il deputato pentastellato Arnaldo Lomuti, il quale ha evidenziato che, con questa nuova richiesta, «sale a 33 miliardi l’onere pluriennale dei programmi militari che Crosetto ha sottoposto al Parlamento da inizio legislatura, di cui quasi 22 miliardi si spesa in nuovi armamenti».

In Italia, l’aumento della spesa militare del 2024 è trainato dal bilancio del Ministero della Difesa, che supera per la prima volta i 29 miliardi di euro, con una crescita di 1,4 miliardi (+5,1%) rispetto al 2023, annata che a sua volta aveva fatto registrare un aumento di circa 1,8 miliardi sul 2022. Solo la settimana scorsa, la stampa tedesca ha riportato la notizia secondo cui l’Italia sarebbe pronta a concludere un accordo per l’acquisto di 550 carri armati Panther e Lynx dall’azienda tedesca Rheinmetall, per un valore di 20 miliardi di euro. Si tratterebbe del più grande ordine di blindati della storia dell’impresa di armi. Sulla corsa al riarmo e, soprattutto, sulla situazione di tensione verso la Russia, nelle ultime settimane la Lega sta cercando di riposizionarsi, smarcandosi – almeno a parole – da FDI. Salvini ha infatti espresso perplessità e critiche sulla prospettiva sia dell’invio di truppe in Ucraina, come aveva ventilato il presidente francese Macron, sia di nuove armi a Kiev. Lo stesso generale Roberto Vannacci, appena eletto tra le file della Lega al Parlamento Europeo e divenuto vicepresidente del neonato gruppo dei “Patrioti”, ha apertamente lodato le recenti visite internazionali di Orban – che ha incontrato tra gli altri anche il presidente russo Putin e quello cinese Xi Jinping – che hanno a suo dire «dimostrato che l’Europa può ancora avere un ruolo attivo nella ricerca di questo negoziato di pace», ritenuto «sempre più necessario». A fare da contraltare è stato però il ministro degli Esteri e leader di Forza Italia Antonio Tajani, che ha rimarcato la stretta fedeltà italiana alla NATO e l’impegno del nostro Paese a «procedere verso l’obiettivo del 2 per cento».

[di Stefano Baudino]

Verona, 33 braccianti in schiavitù: maxi-sequestro a due caporali

0

La Guardia di finanza ha sequestrato beni da circa 475mila euro nei confronti di due cittadini indiani a Cologna Veneta (Verona), titolari di ditte nel settore agricolo, che sono indagati con l’accusa di aver ridotto in schiavitù 33 braccianti. I due avrebbero infatti sfruttato i propri connazionali facendoli lavorare senza paga anche per 12 ore al giorno. I due indagati avevano promesso a numerosi lavoratori indiani un futuro migliore in Italia, chiedendo a ognuno di loro 17 mila euro in cambio dell’ingresso nel territorio nazionale e di un permesso di lavoro stagionale.

 

 

“L’aurora boreale si trasforma in alba”, una poesia di Jón Kalman Stefánsson (2021)

3

Le tenebre hanno infilato
la città nel loro guanto
il sole sommerso nel silenzio rosso,
guardo fuori e sussurro, non
mi abbandonare, poi mi addormento
in mondi altri

Appena sveglio guardo fuori di nuovo
nella speranza di essere stato esaudito
ma la luce è talmente arcana che nessuno sa
cosa si leverà dal profondo,
se si leverà qualcosa, guardo
fuori e scorgo i monti sotto il cielo mattutino
quasi rosa oltre la baia del Faxaflói

Il Faxaflói che forse è ampio
quanto la vita
o quella che chiamiamo vita
senza riflettere a fondo sul
suo significato –
eppure spero che la vita sia
il legame che tiene insieme gli universi
il pulsante che fa scattare
il verde del semaforo pedonale
perché i tre bimbi attraversino la strada con i loro zaini
e il futuro

(© 2023, Iperborea S.r.l. Milano, trad. di Silvia Cosimini)

«Tutto può avvenire», notava August Strindberg presentando Il sogno, una sua opera teatrale (1901). È vero, anche la poesia come il dramma mescola esperienza e ricordo, cronaca e sogno,  in un delicato e imprevedibile, paradossale e incantato  dramma verbale, catturando una pittura di istanti che si fonde e si alterna con ragionamenti assoluti. Ma la poesia prima di tutto è sguardo, intercetta istanti che poi rielabora come se li dovesse raccontare ma senza una logica, confidando in uno speciale disordine che il lettore capirà. Non subito, ma alla fine capirà. La poesia infatti non dimostra nulla, rinvia a un prima e a un oltre che si alternano, a un qui davanti e a un chissà dove. 

Ha scritto un altro poeta islandese, Gyrdir Elíasson: «se si guarda fuori/ dalla finestra di cucina/ al terzo piano si vede la Skardsheidi striata/ di fiocchi di neve e oltre/ questa strada/ la vecchia nave che solca/ un prato che si fa verde». Nel realismo surreale il tempo per lui è come «un boomerang perduto» capace di tornare vincendo la lontananza.

Sta dunque alla finestra il poeta, una finestra romantica, se «tutto il giorno sono stata sola/ ho guardato la nebbia scendere/ rivestire di grigio le colline/ distendersi lungo la vallata» (così Emily Brönte, 1841); una finestra quasi cinematografica se invece l’occhio-camera del poeta trasforma il naturalismo in sogno, se dà una veste senza tempo al trascorrere dello sguardo,  trasfigurando la panoramica, parziale, in parole.

La finestra della cucina viene raffigurata nel romanzo-viaggio di Stefánsson, Grande come l’universo (2015):  lo spettacolo naturale della palla di fuoco che prende forma oltre i monti lontani (p. 9), «penetra dalla finestra della cucina dove Margrét sta guardando fuori mentre allatta Jakob al seno sinistro» (p. 374).

Le parole si formano nella naturalezza quotidiana, nel protagonismo di una natura che avvicenda luce e ombra, immensità e piccoli spazi privati rendendo ciascuno ospite di attimi, di scorci, di innesti metafisici nella continuità dei fatti di sempre.  Il nostro poeta delle piccole cose, Giovanni Pascoli, oltre un secolo fa cantava così il suo scorgere il mare lontano: «M’affaccio alla finestra, e vedo il mare:/ vanno le stelle, tremolano l’onde./ Vedo stelle passare, onde passare:/ un guizzo chiama, un palpito risponde». Lo sapeva però Fernando Pessoa che la finestra inganna, illude: «Non basta aprire la finestra/ per vedere la campagna e il fiume/…Bisogna anche non avere nessuna filosofia/ Con la filosofia non vi sono alberi: vi sono solo idee».

Ora, invece degli alberi ci sono bambini che attraversano la strada e il semaforo che diventa un’ idea: quella che gli universi immensi sono tenuti insieme da chissà che cosa ma intanto è importante, qui davanti, che il verde scatti e i tre piccoli continuino il loro futuro. Il poeta-regista ha appena detto “motore” e le figure, i suoni e le luci prendono forma, prendono vita, alleandosi alle parole di un copione che si sviluppa sotto un «cielo mattutino quasi rosa».

[di Gian Paolo Caprettini]

Gaza, 5 missili su Khan Younis: almeno 100 tra morti e feriti

0

Oggi l’esercito israeliano ha lanciato cinque missili sull’area di Khan Younis, nel sud della Striscia, colpendo il campo profughi di Al Mawasi e causando almeno 100 vittime tra morti e feriti. A comunicare la notizia è l’ufficio media governativo di Gaza, che specifica che i dati si riferiscono a un primo bilancio. Corrispondenti del quotidiano qatariota Al Jazeera confermano che decine di morti e feriti starebbero arrivando all’ospedale di Nasser, che starebbe facendo fatica a gestire il volume delle persone in entrata. Lo stesso ospedale parla di almeno 50 morti. Secondo Al Jazeera, la zona colpita era precedentemente stata stata designata come “zona sicura” dall’esercito israeliano.

Nel cono d’ombra della Cisgiordania l’occupazione israeliana avanza inesorabile

0

Il massacro di Gaza va avanti da 10 mesi, i civili ormai corrono da una parte all’altra seguendo gli avvisi dell’esercito israeliano, ma non basta per considerarsi salvi. Siamo arrivati a 38.000 morti, 87.000 feriti, praticamente tutte le infrastrutture mediche e non sono distrutte. Ma Gaza non è l’unico campo di battaglia. In Cisgiordania, 5.860 chilometri quadrati, l’occupazione illegale e violenta di Israele ha accelerato la sua avanzata. Con gli occhi giustamente puntati su ciò che accade nella Striscia, la Cisgiordania rimane nel cono d’ombra, quasi invisibile all’opinione pubblica internazionale. Se dal 1993, anno in cui venivano firmati i trattati di Oslo, gradualmente la Cisgiordania sarebbe dovuta diventare il futuro Stato palestinese, oggi queste terre vengono giornalmente, con violenze di tutti i generi, sequestrate a chi sarebbe dovuto esserne il cittadino di diritto. 

L’Ong israeliana anti coloniale Peace Now, in un report pubblicato mercoledì, ha dichiarato che «il 2024 segna il picco dell’estensione delle dichiarazioni di terreni statali» da parte del governo di Tel Aviv. Dall’inizio dell’anno il governo di Netanyahu, secondo quanto riportato da Peace now, avrebbe dichiarato 2.373 ettari di terre, sulla carta palestinesi, come terre statali israeliane. Ma se con lo scoppio del conflitto a Gaza la predazione di terre in West Bank si è accelerata, è vero anche che il programma di espansione delle colonie è un piano portato avanti dal governo ben prima del 7 ottobre. Il ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, da quando più di un anno fa ha acquisito la totale autorità sulla pianificazione degli insediamenti nella Cisgiordania occupata, ha velocizzato il riconoscimento delle colonie e incitato i coloni presenti in West Bank a prendere ancora più terre, anche grazie al massiccio rifornimento di armi, avvenuto dopo il 7 ottobre. Oggi in Cisgiordania vivono 700 mila coloni divisi in quasi 200 tra avamposti e colonie. Questi numeri però sono in drastico aumento. Infatti Smotrich a maggio ha avvisato i ministri del governo di prepararsi all’arrivo di ulteriori 500mila coloni tramite lo sviluppo di infrastrutture e servizi nelle colonie. Ed è proprio giovedì, dopo la pubblicazione del report di Peace Now, che il governo israeliano ha approvato 5.295 nuove unità abitative negli insediamenti illegali in Cisgiordania e ha riconosciuto tre nuovi avamposti come colonie. Il mese scorso durante una conferenza del suo partito Smotrich ha detto chiaramente che Israele sta portando avanti un piano per occupare l’intera Cisgiordania. Ma se le mire espansionistiche del ministro, anche lui cresciuto in una colonia, non sono un segreto, la posizione ufficiale del governo israeliano è che lo status della Cisgiordania rimane aperto ai negoziati tra i leader di Tel Aviv e quelli palestinesi. 

In foto: la vista da A-tuwani villaggio di Masafer Yatta

Come accordato a Oslo nel 1993, il territorio della West Bank sarebbe dovuto nel tempo diventare lo stato palestinese, e invece la superficie di territorio controllato da Israele è sempre più ampia. Ma la Corte Suprema israeliana ha stabilito che il controllo di Israele sul territorio equivale a un’occupazione militare temporanea supervisionata da generali dell’esercito, non a un’annessione civile permanente amministrata da funzionari israeliani. Una condizione che non sembra nemmeno lontanamente aderire alla realtà delle cose. Addirittura il piano del governo di Netanyahu prevede anche il cambio di composizione del potere nella zona B della Cisgiordania, quella che oggi è a controllo condiviso: militare israeliano, civile palestinese, rendendo anche questo quinto del territorio della West Bank sotto il completo controllo di Israele.

Come sostiene Ilan Pappè, storico israeliano e strenuo critico di Israele, la marcia che lo stato ebraico ha iniziato a compiere fin dal 1948, con il chiaro obbiettivo di eliminare l’intera popolazione “nativa”, come i poteri coloniali di un tempo avevano sempre fatto, è stata, fin dal principio, sostenuta dalla retorica della difesa: Israele fa quello che fa per difendersi dai nemici che tutti intorno vogliono la sua disfatta. Ma se questo ragionamento valeva per i palestinesi e il mondo arabo in generale sembrerebbe che oggi i nemici di Israele siano anche al di fuori del Medio Oriente e che anzi siano proprio in quel mondo occidentale che sempre ha sostenuto Tel Aviv. Quindi l’avanzamento rapido e violento dell’occupazione militare è stato più volte giustificato dall’esecutivo israeliano come una mossa contro quegli Stati occidentali o non che hanno deciso di riconoscere lo stato di Palestina e contro i comportamenti ritenuti offensivi dell’Autorità palestinese nei consessi internazionali. Poi l’attacco di Hamas del 7 ottobre ha dato la possibilità di giustificare come un atto di difesa, non solo il massacro di donne, anziani e bambini a Gaza, ma anche l’occupazione armata della Cisgiordania, infatti secondo Peace now nel 2023 sono stati 26 i nuovi insediamenti israeliani in West bank, ma più di 16 sono nati dopo il 7 ottobre. Ma per conquistare questi territori bisogna, come dice Pappé, eliminare i “nativi”, i palestinesi. 

In foto: entrata al villaggio palestinese di Um-fagarah

Dal 7 ottobre sono state arrestate più di 9.000 persone in West Bank, sono morti più di 560 tra minori, donne e uomini e sono state ferite più di 5.000 persone. L’avanzata dei coloni è incessante ed estremamente violenta. Negli ultimi 10 giorni nel sud della Cisgiordania, nella zona conosciuta come Masafer Yatta, dove la resistenza palestinese è da sempre non violenta, gli attacchi dei coloni si sono moltiplicati in numero e aggravati in termini di violenza. Sono stati dati alle fiamme interi campi coltivati intorno ai piccoli villaggi palestinesi, gang di giovani coloni armati di mitra e mazze hanno più volte assaltato pastori, donne e bambini, sono state tagliate le linee idriche dei villaggi. Addirittura la scorsa settimana un attivista e fotografo italiano, sul campo con Mediterranea insieme all’organizzazione pacifista Operazione Colomba, è stato picchiato a sangue. La presenza di operatori internazionali in questi luoghi è, fino ad oggi, il più importante e forse unico deterrente contro gli attacchi selvaggi dei coloni contro i palestinesi. Sabato nel villaggio di Al-Tuwani  sono stati arrestati 4 palestinesi di cui un bambino di 14 anni e 3 attivisti, solo perché hanno denunciato la presenza di coloni sulle loro terre. L’esercito di occupazione e la polizia israeliana, chiamata dai palestinesi, ha preso per vere solo le accuse mosse dai coloni e dopo una giornata di fermo e interrogatori gli arrestati sono stati rilasciati con l’obbligo di dimora. Ma tutto questo non succede solo dal 7 ottobre.

Sono 78 anni che la popolazione palestinese è perseguitata, uccisa, arrestata con la sola colpa di voler vivere nella propria casa. Poi a fianco dei coloni i militari e la polizia non fanno nulla per impedire che le violenze e i soprusi avvengano, anzi coprono e aiutano i giovani israeliani insediati in Cisgiordania a perpetuare queste azioni. A Masafer Yatta, che si torva nella zona C della West Bank e quindi sotto il completo controllo, militare e civile israeliano, l’amministrazione civile decide se e cosa si può costruire e cosa si deve abbattere. Due settimane fa nel villaggio di Umm al-Kheir sono state distrutte 10 abitazioni lasciando senza casa più di 30 persone di cui la metà bambini. Dal 7 ottobre a seguito delle demolizioni sono state cacciate più di 18 comunità palestinesi, quasi 300 persone. 

In foto: vista da Um-fagarah con la colonia di Ma’On circondata dagli alberi di sfondo

Nonostante l’occupazione di questo territorio vada contro gli accordi di Oslo e contro il diritto internazionale, Israele continua e rafforza la sua espansione tramite la «pulizia etnica» del popolo palestinese, come ha dichiarto a Aljazeera Ayed Abu Eqtaish, attivista palestinese per i diritti umani. «Nessun colono risponde davanti alla giustizia dei propri crimini contro i palestinesi, anzi il governo israeliano li aiuta a compierli» ha continuato Eqtaish, che ha anche aggiunto che le sanzioni che alcuni paesi occidentali hanno applicato conto i coloni, «non bastano». Le ripetute condanne e intimazioni al governo di Tel Aviv da parte di molti paesi, come Norvegia, Spagna, Stati uniti e dalle  Nazioni unite, di smettere l’avanzata e l’occupazione della Cisgiordania, negando ogni reale possibilità alla nascita di uno Stato palestinese, non bastano a evitare la catastrofe, una seconda Nakba. 

[di Fiippo Zingone]

Tribunale del lavoro: Rai condannata per comportamenti antisindacali

0

Ieri il Tribunale di Roma ha riconosciuto che “sono stati messi in atto comportamenti antisindacali” da parte della Rai. La notizia arriva da Usigrai, il principale sindacato dei giornalisti della rete pubblica italiana, e si riferisce allo sciopero del passato 6 maggio, a cui aveva partecipato circa il 75% dei giornalisti. Di preciso, la Rai è accusata di avere boicottato lo sciopero, e ora dovrà pubblicare la sentenza per due giorni consecutivi sulla Stampa, La Repubblica e il Corriere della Sera (cartacei e online), e sui siti Rai.it e Rainews.it. L’azienda dovrà inoltre pubblicare il comunicato sindacale del 6 maggio nei TG in cui non era stato mandato in onda.