domenica 24 Novembre 2024
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La Francia revoca la cittadinanza all’attivista anticolonialista Kémi Séba

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Kémi Séba, attivista originario del Benin, non è più cittadino francese. La comunicazione è apparsa sul Journal Officiel de la République Française, la Gazzetta Ufficiale francese che riporta le informazioni più importanti dello Stato. Con decreto datato l’8 luglio scorso, il Consiglio di Stato ha infatti stabilito che Stellio Gilles Robert Capo Chichi (conosciuto come Kémi Séba) ha «perduto» la nazionalità francese, senza specificare ulteriori dettagli. In un post apparso sui social, Séba ha commentato ironicamente di essere così «finalmente libero da questo peso». «Ritirarmi la nazionalità perchè critico il vostro colonialismo è, care autorità francesi, un riconosimento (molto strategico) da parte vostra dell’efficacia del mio lavoro politico contro di voi, i detentori della Françafrique» ha commentato. Séba è infatti impegnato da anni a lottare contro il neocolonialismo francese in Africa e il franco CFA, una posizione che non ha certo contribuito a renderlo personaggio gradito a Parigi.

La decisione del governo francese risale all’inizio del 2024. Una volta divenuta di pubblico dominio, in tutta risposta, Séba aveva pubblicato sul social TikTok un video di una propria conferenza stampa nel corso della quale aveva dato fuoco al proprio passaporto francese. «l passaporto non è un osso che ci date o ci togliete a seconda di quanto siamo sottomessi a voi, come se i neri fossero cani. Io sono un nero libero» aveva dichiarato in quell’occasione. A seguito della definitiva revoca della cittadinanza, Séba ha commentato che «La decisione del Consiglio di Stato è molto tardiva, ma meglio tardi che mai», sottolineando come lui stesso, insieme al proprio avvocato, avesse già preparato una lettera per la rinuncia alla cittadinanza francese.

Nato nel 1981 a Strasburgo, Séba è figlio di immigrati dal Benin. La sua è una delle voci più note nell’ambito dell’attivismo panafricanista, movimento che mira a liberare l’Africa dal giogo coloniale e a promuovere un futuro di autodeterminazione per i suoi popoli. Le sue radici affondano già nella fine dell’Ottocento e a tra le sue fila si contano decine di pensatori e rivoluzionari, da Malcolm X a Nelson Mandela, Patrice Lumumba, Thomas Sankara e molti altri. Le idee di Kémi Séba sulla questione del razzismo e della condizione dei neri oggi lo hanno portato ad assumere posizioni alquanto controverse, come quelle nei confronti del Black Lives Matter, «un movimento creato dalle forze globaliste americane» (in quanto finanziato da Soros) e che «pone istanze che non hanno niente a che vedere con la sofferenza reale dei neri». Secondo Séba e i panafricanisti moderni, la battaglia per la decolonizzazione non va portata avanti in Occidente ma in Africa, per restituire un concetto di sovranità che sia direttamente collegato con la madre terra e non esposto a distanza. Recentemente, ha espresso pieno appoggio nei confronti della neonata Confederazione degli Stati del Sahel, la quale «rappresenta una speranza, una direzione e una linea radicale, volta alla decolonizzazione non negoziabile». Per gli stessi principi, Séba ha espresso piena solidarietà alla lotta della popolazione kanak in Nuova Caldeonia contro il colonialismo francese, oltre che a Paesi quali l’Iran, la Palestina, il Venezuela, ma anche la Russia, in lotta contro le oligarchie occidentali – statunitense, europea ed israeliana su tutte.

[di Valeria Casolaro]

Niente smartphone a scuola: Valditara firma la circolare

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Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha reso noto di aver firmato una circolare con cui, a partire dal prossimo anno scolastico, sarà introdotto il divieto dell’utilizzo dei cellulari nelle scuole fino alle medie. La precedente circolare del 2022, che vietava l’utilizzo di telefonini e di altri dispositivi elettronici, faceva eccezione per i casi in cui esso fosse autorizzato dal docente, «in conformità con i regolamenti di istituto, per finalità didattiche, inclusive e formative». Dall’anno prossimo, invece, i telefoni saranno banditi in classe per qualsiasi scopo. La circolare ministeriale non estende tale divieto all’uso di tablet o computer, che – anche se solo sotto la guida del docente – potranno continuare a essere utilizzati tra le mura scolastiche. Nel testo della comunicazione si fa anche riferimento al ritorno al diario cartaceo per segnare i compiti a casa, «fermo restando – ha dichiarato Valditara – che i genitori continueranno a essere avvisati con il registro elettronico».

“A tutela del corretto sviluppo della persona e degli apprendimenti, si dispone il divieto di utilizzo in classe del telefono cellulare, anche a fini educativi e didattici, per gli alunni dalla scuola d’infanzia fino alla secondaria di primo grado, salvo nei casi in cui lo stesso sia previsto dal Piano educativo individualizzato o dal Piano didattico personalizzato, come supporto rispettivamente agli alunni con disabilità o con disturbi specifici di apprendimento ovvero per documentate e oggettive condizioni personali”, si legge all’interno della circolare di Valditara, in cui si aggiunge che “potranno, invece, essere utilizzati, per fini didattici, altri dispositivi digitali, quali pc e tablet, sotto la guida dei docenti”, restando fermi “il ricorso alla didattica digitale e la sua valorizzazione, cosi come l’impegno a rendere edotti gli studenti sul corretto ed equilibrato uso delle nuove tecnologie, dei telefoni cellulari e dei social e sui relativi rischi, come previsto anche dal DigComp 2.2″.

Un approccio analogico sarà promosso anche per quanto concerne le consegne a casa. Con la finalità di sviluppare la responsabilità e l’autonomia degli studenti nella gestione dei compiti, la circolare raccomanda infatti di “accompagnare la notazione sul registro elettronico delle attività da svolgere a casa con la notazione giornaliera su diari/agende personali”. Infatti, ha sottolineato il ministro, «negli ultimi anni si è diffusa la consuetudine, tra i docenti, di assegnare i compiti da svolgere a casa esclusivamente mediante notazione sul registro elettronico», modalità che «comporta, di fatto, che gli alunni consultino sistematicamente il registro elettronico attraverso dispositivi tecnologici, PC, smartphone e tablet, per verificare quali attività debbano essere svolte a casa e per quale giorno, spesso con la mediazione dei genitori, titolari delle password di accesso». La filosofia, insomma, è quella prediligere l’uso quotidiano di carta e penna rispetto all’abuso dei dispositivi elettronici, ma anche il prossimo anno verrà comunque dato un certo spazio alla tecnologia in ambito scolastico. In alcuni istituti, infatti, partirà una sperimentazione con “assistenti basati sull’intelligenza artificiale”, che, come dichiarato da Valditara, avrà l’obiettivo di «valutare se tali assistenti possano migliorare le performance degli studenti, individuare le migliori pratiche per integrare l’intelligenza artificiale nella didattica quotidiana, assicurare un uso etico e rispettoso della privacy degli studenti e dei docenti, e mantenere il docente al centro del processo educativo».

Alla base della decisione del ministro sul divieto dei cellulari nelle scuole ci sono i contenuti di una serie di studi internazionali, tra cui il Rapporto Unesco “Global education monitoring report, 2023: technology in education: a tool on whose terms?”, in cui è stato evidenziato il legame negativo tra l’uso eccessivo delle TIC e il rendimento degli alunni, nonché i risultati di una indagine svolta dalla VII commissione del Senato -, inerenti le conseguenze negative che l’utilizzo eccessivo degli strumenti digitali possono produrre sulla soglia di attenzione e sullo spirito critico dei ragazzi – frutto dell’audizione di neurologi, psicologi, pedagosti, grafologi ed esponenti delle forze dell’ordine. Nel documento si legge, infatti, che “l’uso di dispositivi digitali” e “la scrittura su tastiera elettronica invece della scrittura a mano” provoca la riduzione della “neuroplasticità”, ossia “lo sviluppo di aree cerebrali responsabili di singole funzioni”. Il medesimo effetto si registra nei bambini, di cui viene limitata la “fisicità”. Nell’indagine si scrive infatti che, nei primi anni di vita, “la conoscenza di sé e del mondo passa attraverso tutti e cinque i sensi: sollecitare prevalentemente la vista, sottoutilizzando gli altri quattro sensi, impedisce lo sviluppo armonico e completo della conoscenza. È quel che accade nei bambini che trascorrono troppo tempo davanti allo schermo di un iPad o simili”.

L’indagine del Senato collega l’uso eccessivo dei dispositivi digitali alle problematiche più impattanti che stanno investendo le nuove generazioni, tra cui l’aumento di depressioni e suicidi, ma anche dei casi di autolesionismo, anoressia e bulimia, tutte “manifestazioni di disagio giovanile sempre esistite, ma che oggi si autoalimentano sui social e nelle chat”, in cui i minori si avventurano spesso “senza alcuna sorveglianza da parte dei genitori”. Asserendo che, dalle audizioni svolte e dalle documentazioni acquisite, non sono emerse “evidenze scientifiche sull’efficacia del digitale applicato all’insegnamento”, nel documento si stilano una serie di conclusioni, tra cui figura la sollecitazione a governo e Parlamento a “scoraggiare l’uso di smartphone e videogiochi per minori di quattordici anni” e “incoraggiare, nelle scuole, la lettura su carta, la scrittura a mano e l’esercizio della memoria”.

[di Stefano Baudino]

Con il calo delle proteste i grandi fondi finanziari stanno gettando la maschera “green”

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Negli Stati Uniti, per il secondo anno di fila, si è indebolita la pressione degli azionisti delle grandi multinazionali a favore di risoluzioni in difesa di ambiente e diritti sociali. In particolare, starebbe venendo meno il sostegno da parte dei grandi fondi finanziari ai cosiddetti criteri ESG di sostenibilità. A riportare questi dati, l’associazione di investimento responsabile ShareAction, la quale ha evidenziato che nel 2022 il supporto alla sostenibilità aziendale è stato in media di circa il 20%, ben al di sotto dei livelli del 2021. Nel 2024, solo due risoluzioni degli azionisti legate alle politiche ambientali hanno ricevuto il sostegno da parte dell’assemblea degli azionisti delle maggiori società statunitensi quotate in borsa. Entrambe le proposte hanno spinto le aziende a dare maggiori informazioni pubbliche sui loro sforzi per ridurre le emissioni di gas serra. In sostanza, salvo qualche caso sporadico, i grandi fondi finanziari sembra proprio che stiano gettando la loro maschera “green”, la stessa indossata quando le proteste ambientaliste di qualche anno fa tenevano viva l’attenzione mediatica e politica sulle tematiche ecologiche. Ora che i riflettori sono puntati perlopiù altrove, i big della finanza stanno invece tornando serenamente a sostenere i soliti settori di comodo, dimostrando come il presunto interesse delle élite finanziarie verso le conseguenze ambientali degli investimenti fosse di facciata.

Entrando nel dettaglio, nel 2022 i quattro maggiori gestori patrimoniali del mondo – Vanguard, Fidelity Investments, BlackRock e State Street Global Advisors – hanno ridotto il loro supporto per le proposte degli azionisti relative a questioni ambientali e sociali, sostenendo solo il 20% delle risoluzioni ESG, rispetto al 32% del 2021. Dall’analisi globale del voto di 68 dei maggiori gestori patrimoniali su 252 proposte degli azionisti focalizzate su sfide legate alle emissioni o sociali, è emerso un aumento complessivo del supporto a tali risoluzioni, dal 60% nel 2021 al 66% nel 2022. Tuttavia, c’è stata una chiara divisione regionale. In Europa, il supporto per le proposte ambientali e sociali è aumentato di 12 punti percentuali, mentre negli Stati Uniti e nel Regno Unito è rimasto quasi stabile con un incremento di un solo punto percentuale. Il calo di supporto da parte di Vanguard, Fidelity, BlackRock e State Street, tutte con sede negli Stati Uniti, è stato ad esempio influenzato dalle posizioni anti-ecologiche delle compagnie energetiche, le quali hanno ottenuto profitti record grazie alla guerra in Ucraina. BlackRock, ad esempio, ha sostenuto solo il 16% delle risoluzioni legate al clima nelle aziende energetiche nel 2022, un drastico calo rispetto al 72% del 2021.

Gli ESG – acronimo che sta Environmental, Social, and Governance – sono dei criteri utilizzati per valutare le pratiche aziendali e il loro impatto su tre aree principali: ambientale, sociale e di governance, per l’appunto. Questi criteri, in teoria, dovrebbero aiutare gli investitori a determinare la sostenibilità e l’etica di un’azienda. Tuttavia, pare proprio che stiano attraversando una crisi, come confermato da numerosi indicatori. A fine 2023, per la prima volta, i disinvestimenti dai fondi ispirati ai criteri di rispetto dell’ambiente e dei diritti sociali hanno registrato un deflusso netto di capitali. Un fenomeno confermato dal fatto che il numero di fondi rispettosi degli ESG chiusi ha già superato quello dei nuovi fondi creati. Un ruolo chiave in quello che non è azzardato definire un passo indietro, come anticipato, lo ha sicuramente rivestito la recente ripresa bellica, la quale ha portato ad un boom di investimenti in settori tradizionalmente agli antipodi degli ideali ESG, come quello dei combustibili fossili. Di fronte a questa rinnovata corsa alle armi e al petrolio, molti investitori hanno preferito non rischiare di perdere tali opportunità di profitto. Nel frattempo, mentre gli impegni climatici assunti a livello internazionale vengono sistematicamente disattesi, le emissioni di gas serra continuano a crescere, così come il consumo di petrolio e persino di carbone, il più inquinante e climalterante dei combustibili fossili. Giusto per citarne uno, un recente rapporto dell’Energy Institute ha rivelato che il consumo di petrolio ha superato per la prima volta i 100 milioni di barili al giorno, mentre nel 2023 le emissioni di CO2 sono aumentate ancora del 2,1%. Ma nulla potrà cambiare nei tempi richiesti dal contrasto alla crisi ecologica finché le grandi aziende impattanti continueranno a operare secondo logiche di massimizzazione dei profitti, e finché gli azionisti, gli unici con il potere di cambiare le politiche aziendali, faranno altrettanto.

[di Simone Valeri]

A Cagliari torna la protesta dei trattori

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Ieri, circa 1.500 agricoltori hanno marciato sui propri trattori per le vie di Cagliari. La manifestazione, annunciata da Coldiretti, mirava a chiedere la revisione di alcune normative che regolano il settore in Sardegna. «L’agricoltura è allo stremo, tra fauna selvatica e siccità» ha dichiarato il presidente di Coldiretti Sardegna, Battista Cualbu. A prendere parte al corteo vi erano anche alcuni dei sindaci dei Comuni più colpiti da siccità e disagi. Tra le necessità, anche quella di «procedure e bandi più snelli e semplici da comprendere» e di «mettere a disposizione delle campagne anche servizi digitali e tutto ciò che occorre per aiutare l’economia che ruota intorno all’agricoltura».

Concessioni balneari: la Corte UE dichiara legittimi gli espropri senza indennizzo

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La Corte di Giustizia europea ha stabilito ieri con una sentenza che, alla scadenza delle concessioni balneari, lo Stato italiano può acquisire le opere inamovibili costruite sugli arenili – come bar, piscine spogliatoi o altre strutture – senza dover indennizzare il concessionario uscente, secondo quanto previsto dall’articolo 49 del Codice della navigazione risalente al 1942. La Corte ha stabilito, infatti, che l’articolo non è in contrasto con il diritto europeo. Fino a quando è rimasto in vigore il procedimento delle proroghe automatiche delle concessioni, la norma in questione non aveva preoccupato i balneari, ma dal momento in cui – in seguito all’entrata in vigore della Direttiva Bolkestein – le spiagge verranno messe ai bandi di gara, i gestori dei lidi hanno iniziato a rivendicare l’illegittimità di tale norma pretendendo un risarcimento economico. Con il pronunciamento del tribunale di Lussemburgo salta anche il blocco parziale che sino ad ora aveva impedito i bandi di gara, causato dalla mancata chiarezza delle norme, tra cui la compatibilità del citato articolo 49 con il TFUE (Trattato di Funzionamento dell’Unione europea) e la possibilità di prevedere, nel bando di gara, un indennizzo a carico dell’eventuale concessionario entrante diverso da quello uscente. Secondo gli esperti del settore, «oggi i Comuni hanno gran parte delle coordinate che servirebbero per imbastire le procedure selettive». Tuttavia, ciò non significa che il governo non possa abrogare l’articolo 49 e disporre il diritto agli indennizzi economici ai concessionari uscenti: la sentenza della Corte UE, infatti, non lo vieta.

Il tribunale europeo si è recentemente espresso in materia perché interpellato dal Consiglio di Stato italiano, il quale si trovava a dover risolvere un contenzioso di lunga data tra il comune di Rosignano Marittimo, in Toscana, e lo stabilimento balneare Bagni Ausonia gestito in concessione dal 1928 dalla società SIIB (Società italiana imprese balneari). La società gestisce una serie di manufatti che si trovano sotto incameramento dal 1958. Nel 2007, il Comune di Rosignano aveva riqualificato alcune di queste opere sul demanio, ritenendole di difficile rimozione e reputandole acquisite ex lege, e nel 2008 aveva comunicato alla Siib l’avvio dell’iter per l’incameramento di altri manufatti non ancora acquisiti. Dopo una temporanea sospensione del procedimento, nel 2014 la società concessionaria aveva dichiarato al Comune di opporsi all’iniziativa sostenendo che le opere presenti nell’area erano da considerare di «facile rimozione», in quanto il loro sgombero era effettuabile in 90 giorni. La stessa si era quindi rivolta prima al Tar, che aveva respinto i ricorsi presentati, e poi al Consiglio di Stato, il quale, a sua volta, ha fatto appello alla Corte Ue, la cui pronuncia è arrivata ieri con importanti conseguenze sulle concessioni e i bandi di gara. Secondo i giudici della Corte Ue, l’articolo 49 del Codice della navigazione si applica «a tutti gli operatori esercenti attività nel territorio italiano» e per questo «non costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento». Inoltre, il tribunale di Lussemburgo ha stabilito che la norma in oggetto (l’articolo 49) «costituisce l’essenza stessa dell’inalienabilità del demanio pubblico».

Il pronunciamento della Corte Ue è strettamente collegato alla Direttiva Bolkestein riguardante la liberalizzazione dei servizi e delle concessioni demaniali in nome della concorrenza e del libero mercato, cardini dell’impostazione liberista propugnata dalle istituzioni comunitarie. Recepita da Roma nel 2010 mediante decreto legislativo, la direttiva è stata applicata per la prima volta relativamente alle concessioni degli arenili con la legge sulla Concorrenza del 2021 del governo Draghi, la quale imponeva di riassegnare le concessioni tramite bandi pubblici entro la fine del 2024. Tuttavia, il governo Meloni ha deciso di prorogare di un anno la scadenza, non varando quindi il decreto che avrebbe dovuto disciplinare i bandi di gara. Nonostante la decisione del governo, secondo quanto dichiarato da alcuni esponenti governativi, la magistratura avrebbe fatto pressione sui comuni per disapplicare la proroga e indire i bandi, con il risultato che – non essendoci una normativa che li disciplina a livello nazionale – i comuni avrebbero proceduto in ordine sparso, ossia adottando criteri arbitrari. In generale, la direttiva europea, in nome della concorrenza, tende a favorire le grandi società di capitali, stravolgendo il modello turistico balneare a dimensione familiare che da sempre caratterizza le coste italiane, rappresentandone peraltro il punto di forza e un elemento di unicità territoriale. Grazie alla disciplina europea, già alcuni tratti di litorale sono finiti nelle mani di grandi aziende o multinazionali: è il caso della vicenda di Jesolo, dove il proprietario di Geox ha vinto un lotto di tre concessioni e della multinazionale delle bibite RedBull che aveva sborsato nove milioni di euro per ottenere 120.000 metri quadri di litorale nel golfo di Trieste.

A questo punto, anche per mantenere fede agli impegni presi in campagna elettorale, il governo potrebbe cancellare la norma contenuta nel Codice della navigazione, dato che la sentenza della Corte Ue non lo impedisce, limitandosi solo a dichiarare che l’articolo 49 è compatibile con il diritto europeo. I deputati di Fratelli d’Italia, Riccardo Zucconi e Gianluca Caramanna, hanno già presentato un disegno di legge (Ddl) alla Camera che propone proprio l’abrogazione dell’articolo in questione. Mentre finora la discussione sulla proposta di legge era stata rimandata in attesa del verdetto della Corte, ora il provvedimento potrà essere portato in Aula. Si capirà, dunque, nelle prossime settimane come intende agire il governo e se difenderà le rivendicazioni dei balneari come i partiti di maggioranza hanno da sempre dichiarato.

[di Giorgia Audiello]

Collateral Murder: il video con cui WikiLeaks smascherò gli Stati Uniti in Iraq

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Il 12 luglio 2007, due elicotteri Apache dell’aviazione statunitense stanno pattugliando i cieli di Baghdad. I piloti avvistano un gruppo di uomini che, a loro dire, sono armati. «Bruciali tutti. Forza, spara!» ordina un militare statunitense. Il Pentagono sostiene che l'azione militare sia stata compiuta legalmente, rispettando le regole di ingaggio, ma le immagini, successivamente trapelate, mostrano un altro epilogo: 18 uomini vengono indiscriminatamente trucidati dall’esercito statunitense. 2 bambini sono gravemente feriti. Se oggi sappiamo la verità è grazie a un video, pubblicato a tre a...

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Ex Ilva, Commissione UE: ok a prestito ponte da 320 milioni

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La Commissione europea ha dato il via libera al prestito ponte da 320 milioni per l’ex Ilva. Il ministero delle Imprese e del Made in Italy ha ricevuto da Bruxelles la valutazione positiva sui termini del prestito, cin cui si prevede un tasso di interesse annuo dell’11,6%. Nel comunicato diramato dal Mimit si legge che tale conferma “attesta la validità del piano industriale elaborato dalla gestione commissariale e la capacità dell’azienda di restituire la somma in tempi congrui e senza configurarsi come aiuto di Stato”.

Per la prima volta migliaia di operai della Samsung sono entrati in sciopero

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In Corea del Sud, migliaia di lavoratori della Samsung hanno proclamato uno sciopero a tempo indeterminato per ottenere miglioramenti salariali in uno dei più grandi produttori di smartphone e chip AI del mondo. È la prima volta che gli operai di Samsung lanciano uno sciopero tanto lungo, e la seconda nella storia, dopo la mobilitazione di un giorno portata avanti lo scorso 29 maggio. Il sindacato, che rappresenta circa 30.000 dipendenti, ha comunicato che i suoi membri hanno deciso di estendere l’azione sindacale, che originariamente doveva durare solo tre giorni, dopo che la direzione non ha accettato di avere colloqui con i rappresentanti degli operai. I lavoratori chiedono un aumento del 3,5% dello stipendio base e un giorno di riposo aggiuntivo, e sono in lotta ormai da oltre sei mesi, nella prima grande mobilitazione della storia sudcoreana contro il colosso tecnologico.

Lo sciopero a tempo indeterminato dei dipendenti della Samsung è iniziato mercoledì 10 luglio, e si configura come una estensione di uno sciopero già in atto cominciato nella giornata di lunedì 8 luglio, che doveva inizialmente durare tre giorni. Come spiega il vicepresidente del Sindacato Lee Hyun Kuk, la decisione di trasformare lo sciopero in un presidio a tempo indeterminato giungerebbe dopo la constatazione del “silenzio” della compagnia in merito alle richieste dei lavoratori, che al di là dello sciopero di lunedì si protrarrebbe ormai da mesi. Nello specifico, il sindacato chiede all’azienda un aumento salariale del 3,5%, un miglioramento delle politiche sui bonus e un giorno extra di vacanza pagata, oltre che il pagamento ordinario delle giornate di sciopero ai lavoratori che vi hanno aderito. Tali richieste arrivano in un momento particolarmente florido per l’azienda, che solo la scorsa settimana ha dichiarato che, nell’ultimo trimestre, avrebbe registrato un utile di 7,5 miliardi di dollari in più rispetto a quanto previsto. La richiesta di maggiori bonus, inoltre, viene in seguito a una serie di tagli proprio su premi e incentivi di produzione, cancellati per l’intero 2023. I rappresentanti della compagnia hanno detto che lo sciopero non avrebbe causato alcun rallentamento o danno alla produzione, ma l’unione sindacale è di un’altra opinione: a ora sembra che abbiano aderito circa 6.500 dipendenti più del 20% del totale rappresentato dal sindacato.

Lo sciopero di mercoledì non risulta certamente un fulmine a ciel sereno per la compagnia. I colloqui con il sindacato vanno infatti avanti almeno da questo gennaio, ma non hanno portato alcun risultato ai lavoratori. A fine maggio il sindacato ha indetto uno sciopero di un giorno, il primo nella storia della compagnia, e ha chiesto a tutti i propri iscritti di chiedere il proprio giorno di ferie retribuite il 7 giugno. Storicamente, la Samsung non è mai stata particolarmente aperta al dialogo con i propri dipendenti. L’azienda risulta essere la più estesa fonte di lavoro privato del Paese, ed è nota per la sua avversione nei confronti delle unioni organizzate dei lavoratori e della contrattazione collettiva. A tal proposito basterebbe pensare come l’azienda non avesse mai avuto un sindacato fino al 2019, quando un gruppo di dipendenti, approfittando di un’apertura politica e di uno scandalo legato al vicepresidente della compagnia, riuscì a fare breccia nell’azienda, organizzandosi per fondarne uno.

La Corea del Sud, invece, non è nuova a questo genere di maxi-mobilitazioni: da febbraio oltre 10.000 medici hanno lasciato il proprio posto di lavoro per protestare contro i piani del governo di aumentare il numero degli studenti di medicina, cambiando i criteri di ammissione; la primavera scorsa, invece, migliaia di lavoratori del settore edile si sono mobilitati per manifestare il proprio malcontento nei confronti delle politiche di lavoro del Paese.

[di Dario Lucisano]

Sostanze tossiche nei cosmetici, decine di nuovi sequestri: i marchi interessati

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Procedono i ritiri di prodotti cosmetici contenenti il Lilial, composto chimico aromatico il cui utilizzo è vietato dalla Commissione Europea da marzo 2022 in quanto classificato come tossico per la riproduzione. La sostanza è indicata in etichetta con la sigla BMHCA o con la scritta “Buthylfenil Methylpropional” e può danneggiare il sistema riproduttivo, provocare sensibilizzazione cutanea e nuocere alla salute del feto. Nonostante le segnalazioni e i sequestri si susseguano ormai da mesi, la Guardia di Finanza ha provveduto in questi giorni ad effettuare nuovi ritiri in tutto il Paese. Sono 15 questa volta i prodotti inseriti nella lista e ritirati dal mercato nel nostro Paese, i quali si aggiungono agli altri 156 ritirati dallo scorso febbraio ad oggi.

Ecco l’elenco dei nuovi ritiri:

  • Cesare Paciotti Body oil (lotto: 3910216 codice a barre: 800935091052);
  • Dove bagnoschiuma di bellezza Talco (lotti: 1193ABX 15:38 A, 8194ABX 00:27 codici a barre: 8712561899284, 8720181047107);
  • Dove Deodorante go fresh profumo di pera e aloe vera (lotto: 72444CYB 17:15 codice a barre: 87291797);
  • Dove Extra fresh deodorante (lotto: 73171LW 21:39 codice a barre: 50210466);
  • Dove Go fresh deodorante (lotto: 81074CYA 12:26 codice a barre: 50099641 );
  • Dove Go fresh Profumo di tè verde e cetriolo bagnodoccia idratante (lotto: 8197RBX 03:29 codice a barre: 8712561611145);
  • Dove Talco deodorante (lottI: 73114CYB 20:45, 80254CYB 19:41 codici a barre: 50099627, 50099634);
  • First American Brands, inc New York Bubble Bath Tweety & Sylvester Bath foam (lotto: 20120514 codice a barre: 827669022934);
  • Flor de Mayo Candy Blue Perfume (lotto: nd codice a barre: 8428390046460);
  • Fragancias Mais Woman HG de naturmais Eau de toilette (lotto: PM180127 codice a barre: 8435160605963);
  • Garnier Fructis Capelli lunghi balsamo (lotto: 2GK 901 codice a barre: 3600541204133);
  • Garnier Fructis Oil repair 3 balsamo (lotto: 26R102 codice a barre: 3600541254343);
  • Suarez Parfums & Cosmetics Sweet Care deoparfum no gas Deodorante (lotto: nd codice a barre: 8034055533239);
  • Tesori d’Oriente Royal Oud dello Yemen Bath cream (lotto: 21043100309 codice a barre: 8008970037813);
  • Vidal Premium extra idratante doccia crema (lotto: 50370 codice a barre: 8008970008356).

Il Lilial era già stato inserito in un elenco di 26 sostanze allergizzanti potenzialmente cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione con il regolamento 2021/1902. Nonostante il tempo concesso alle aziende per eliminare dai magazzini gli articoli che lo contengono, molti sono ancora in commercio. Cosmetica Italia, l’associazione di categoria di Confindustria che rappresenta i produttori di settore, ha riferito che “i produttori non sono responsabili né obbligati a ritirare dal commercio i prodotti immessi prima che scattasse il divieto” e che “sono quindi i distributori che devono preoccuparsi di togliere dal commercio e stoccare in un deposito ad hoc i prodotti contenenti la sostanza tossica per avviarli poi alla distruzione”. La sensazione, quindi, è che il continuo allungarsi della lista di prodotti tossici ritirati sia frutto di uno scarico di responsabilità tra produttori e distributori in cui a rimetterci sono i consumatori.

[di Dario Lucisano]

Elezioni USA, si allarga il fronte democratico che chiede lo stop a Biden

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Continua ad aumentare il fronte dei deputati democratici che chiedono a Joe Biden un passo indietro nella corsa alla Casa Bianca. Sebbene nella conferenza stampa finale del vertice Nato a Washington di ieri si sia mostrato più reattivo rispetto al disastroso dibattito contro Trump, il presidente USA è incappato in clamorose gaffe, introducendo Zelensky chiamandolo «Putin» e riferendosi alla sua vice Kamala Harris chiamandola «Donald Trump». Al coro pro-dimissioni di Biden si sono uniti nelle ultime ore Hillary Scholten, deputata dem del Michigan, e Jim Himes, principale democratico del comitato per l’intelligence della Camera. «Resto candidato, voglio finire il mio lavoro», ha però dichiarato Biden.