Lunedì sera, a Bolzano, un uomo in evidente stato di agitazione ha chiamato il 112 per segnalare presenze fuori dalla sua stanza. I carabinieri e il personale sanitario, giunti sul posto, lo hanno trovato in stato confusionale, presumibilmente a causa di alcol e stupefacenti; al loro arrivo, l’uomo si è lanciato dalla finestra e ha tentato di aggredire i carabinieri, venendo quindi fermato e immobilizzato con il taser. Dopo la scossa elettrica, egli ha accusato un malore, ed è morto per arresto cardiocircolatorio. È questo uno dei recenti fatti di cronaca che sta più facendo discutere nelle ultime ore, senza che tuttavia venga posto l’accento sul punto focale della vicenda: un uomo è morto in seguito all’impiego da parte delle forze dell’ordine di un’arma che, teoricamente, dovrebbe essere “non letale”. E non si tratta certo del primo caso: sono oltre un migliaio (almeno) i decessi causati dall’utilizzo di queste armi, che Amnesty ha classificato come «strumenti di tortura» e che spesso si sono dimostrate inefficaci, quando non proprio controproducenti, rispetto agli scopi preposti.
La dinamica dei fatti di lunedì sera è ancora piuttosto confusa. Secondo le prime ricostruzioni, in seguito alla telefonata, carabinieri e personale sanitario si sarebbero recati sul luogo e avrebbero provato a entrare nell’appartamento. Tuttavia l’uomo, che viene descritto in stato particolarmente confusionario, avrebbe impedito loro l’accesso e si sarebbe agitato ancor di più. In preda al panico, egli si sarebbe così lanciato dalla finestra da un’altezza di circa due metri e mezzo, e, dopo essersi ripreso dalla caduta, avrebbe provato ad aggredire i carabineri. A quel punto gli agenti lo avrebbero immobilizzato con il taser, per permettere al personale sanitario di prestargli le dovute cure. Dopo tale manovra egli avrebbe avuto un arresto cardiaco, morendo circa un’ora dopo. Perquisendo la casa, sarebbero stati trovati alcol e droghe, che, secondo i carabinieri, giustificherebbero lo stato di confusione in cui si trovava la vittima. La Procura di Bolzano ha avviato un’indagine e disposto l’autopsia per accertare le cause del decesso, nell’ambito di un procedimento penale aperto a carico di ignoti.
Al di là del contesto del singolo evento, a fare discutere dovrebbe essere il fatto che un uomo sarebbe morto dopo l’uso di uno strumento in dotazione alle forze dell’ordine che viene descritto con l’ossimorica espressione “arma non letale”. Il taser è un’arma in organico alla polizia italiana dal 2022, dotata di due “dardi” collegati a fili conduttori che trasmettono una scarica di 63 microcoulomb di elettricità per 5 secondi – una quantità sufficiente per causare bruciature e danni cardiaci. Una volta sparato, i muscoli della persona colpita si paralizzano all’istante, e il corpo rimane di fatto immobile, anche se la mente resta lucida e in grado di ascoltare. In teoria, tale effetto dovrebbe svanire in poco tempo, permettendo al soggetto di recuperare una normale forma fisica; indipendentemente dalle condizioni della “vittima”, tuttavia, gli agenti sono obbligati a richiedere l’intervento del personale sanitario. Secondo vari studi la pistola elettrica sarebbe inefficace e controproducente. L’Università di Cambridge ritiene che in realtà il taser abbia aumentato (quasi raddoppiato) il rischio che la polizia usi la violenza e che gli agenti vengano aggrediti, mentre l’ONU lo ha addirittura definito uno strumento di tortura. Anche la sua pericolosità è data abbastanza per assodata: la stessa ditta produttrice riconosce un rischio di morte dello 0,25%; questo significa che in un caso su 400 la persona su cui viene utilizzata l’arma muore, media piuttosto alta per uno strumento “non letale” che viene utilizzato con una simile leggerezza. Un’inchiesta dell’agenzia di informazione Reuters ha ricostruito che negli Stati Uniti, dal 2000 fino al 2017, si sono registrati più di mille decessi a seguito della scossa ricevuta dalla pistola elettrica.
Senza scendere nei particolari dei fatti di Bolzano, la possibile morte di una persona per l’utilizzo di una “pistola non letale” non farebbe che confermare come questo genere di armi non siano altro che strumenti di repressione mascherati da una millantata necessità di sicurezza. A riprova di ciò arriverebbero anche i fatti di Vasto di febbraio 2023, quando la polizia aveva minacciato con il taser un commerciante disarmato e sua moglie. Si scrive “sicurezza”, si legge “intimidazione”: giusto l’altro ieri Amnesty International ha rilasciato un rapporto sullo stato del diritto di protesta in Europa, sempre meno tutelato e sempre più soggetto a forme di prevaricazione da parte delle forze dell’ordine. In linea con lo studio di Amnesty, parrebbe possibile sostenere che la repressione passi anche da queste pratiche che celano la propria impronta violenta dietro la maschera della deterrenza, portando a sempre più frequenti abusi della forza e strumentalizzando quello stesso concetto di sicurezza che con esse viene in verità a mancare.
[di Dario Lucisano]