Un centinaio di detenuti del carcere di Sollicciano (Firenze) ha presentato altrettanti ricorsi contro le condizioni di detenzione, ritenute degradanti e inumane (tra queste: spazi personali di appena 3mq infestati dalle cimici, mura ricoperte di muffa, caldo soffocante). I ricorsi sono sostenuti dall’associazione L’Altro Diritto, che da anni aiuta i detenuti di Sollicciano a denunciare le disumane condizioni di carcerazione. Nei giorni scorsi, il carcere era stato teatro di una violenta rivolta, scoppiata a seguito del suicidio di un detenuto di appena 20 anni. Nel 2024 sono già 50 i suicidi tra la popolazione carceraria, il dato più alto degli ultimi anni.
Sardegna, i comitati lanciano la “rivolta degli ulivi” contro la speculazione energetica
Piantare ulivi contro l’esproprio indiscriminato e coattivo delle terre. Restituire alla terra le piante estirpate dagli interessi delle aziende. Le radici come emblema della lotta. Questo il senso dietro la sollevazione popolare nata spontaneamente nel giro di poche ore nelle campagne di Selargius, in Sardegna, rinominata sin da subito “la rivolta degli ulivi”. Qui, sabato scorso, un cittadino è stato vittima di un esproprio coattivo. Si era rifiutato di vendere le proprie terre a Terna, l’azienda incaricata di effettuare i lavori per la messa in funzione del Tyrrhenian Link, il lungo cavo che collegherà la Sardegna alla penisola per trasportare l’energia elettrica prodotta dall’eolico sull’isola. In tutta risposta, l’azienda ha iniziato a estirpare gli ulivi piantati sui terreni in modo coatto. La reazione del territorio è stata immediata: un centinaio di persone si sono trovate sul posto, per impedire all’azienda di continuare. È nato così un presidio permanente, che intende resistere contro la «violenza inaudita» e la «prepotenza senza pari» di chi sta cercando di appropriarsi di queste terre.
Le ruspe di Terna hanno iniziato a sradicare gli ulivi nei terreni di Gianluca Melis lo scorso 6 luglio. Proprio nelle sue terre, di proprietà della sua famiglia da generazioni, dovrebbe infatti sorgere la parte finale del Tyrrhenian Link. Si tratta, come spiega il sito del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, di «un’opera strategica per il sistema elettrico italiano nell’ambito degli obiettivi di transizione energetici fissati dal Piano Nazionale». Tramite la realizzazione di due linee elettriche sottomarine, della lunghezza complessiva di 950 km, il Tyrrhenian Link collegherà Sicilia e Sardegna alla terraferma, per permettere il trasporto dell’energia prodotta dagli impianti eolici. Presente nel Piano di sviluppo della rete elettrica nazionale da Terna dal 2018, l’infrastruttura dovrebbe entrare pienamente in funzione nel 2028 – un primo tratto dovrebbe essere operativo già a partire dalla fine del 2025.
Tuttavia, come spesso accade, la realizzazione di grandi opere nel nome di una “superiore” esigenza nazionale si ripercuote pesantemente sui territori, dove i cittadini si trovano ad affrontare vere e proprie devastazioni ambientali. La popolazione sarda da tempo denuncia come tra le pieghe della transizione energetica si nasconda una speculazione che saccheggia un territorio già martoriato dalla presenza (anch’essa imposta) delle basi militari e dei poligoni di tiro. «La transizione energetica deve essere ecologica e giusta. Vogliamo dare il nostro contributo per la difesa del pianeta ma lo vogliamo fare in una posizione di parità, non ci sono cittadini e territori di categoria inferiore» hanno dichiarato i comitati nel corso di una delle innumerevoli manifestazioni di protesta svoltesi in questi mesi.
Così, quando è iniziato l’esproprio delle terre di Melis, i cittadini sono immediatamente accorsi per occupare i territori e fermare l’azione di Terna. Sin da subito si è cercato di proteggere quello che era rimasto delle radici delle piante di ulivo sradicate dalle ruspe e lasciate appositamente al sole, denunciano i cittadini, per causarne la morte definitiva. Nelle ore successive il movimento ha acquisito dimensioni sempre maggiori, con persone giunte da ogni parte dell’isola per portare il proprio contributo. Così è nata quella che è stata rinominata la “Rivolta degli Ulivi”. Grazie all’aiuto degli agronomi, sono state selezionate una serie di piante in grado di resistere alle alte temperature di questi giorni, da piantare di fronte alla stazione di Terna in modo da rendere il luogo «il simbolo della nostra resistenza sarda». «La nostra lotta è simboleggiata dalle radici», scrivono i cittadini, «quelle sarde che non si possono estirpare. Arrivano oggi altri rinforzi da ogni luogo. Arrivano da tutta la Sardegna con alberi e cisterne, con braccia e determinazione, con fierezza e gesto di fratellanza».
«Non c’è nessun intento punitivo nei confronti della transizione ecologica che, ricordo, deve avvenire – ha spiegato la presidente della Regione Sardegna Alessandra Todde – La questione è che noi dobbiamo decidere del nostro territorio, dove fare gli impianti, dove dislocarli e come questi impianti devono essere utili rispetto al Piano energetico regionale». Todde ha poi proseguito: «Noi abbiamo un consumo di 1,5 gigawatt annui; il Tyrrhenian Link ne trasporta 3 e noi abbiamo richieste per più di 58 gigawatt, quindi il tema è veramente preoccupante. Si tratta di un’occupazione fuori misura. Quindi, noi vogliamo ovviamente rispettare le norme europee, vogliamo metterci nel contesto in cui questi impianti devono servire all’industria e ai cittadini». Proprio per questo motivo, la giunta regionale sarda ha approvato nelle scorse settimane un disegno di legge che introduce il divieto di realizzare nuovi impianti di produzione e accumulo di energia elettrica da fonti rinnovabili che causano direttamente nuova occupazione di suolo per 18 mesi.
[di Valeria Casolaro]
Texas, tempesta Beryl provoca 11 morti e devastazioni
La tempesta Beryl è arrivata in Texas, nel sud degli Stati Uniti, causando devastazioni su larga scala. Nello specifico, si contano al momento undici morti tra Texas e l’area dello Yucatan, nel vicino Messico. Vaste zone colpite dalla tempesta risultano sommerse e, nella regione di Houston, quasi tre milioni di persone sono al momento senza energia elettrica. Beryl si è abbattuto come uragano di categoria 1 verso le 4 del mattino di ieri vicino a Matagord, ma da allora è stato declassato a tempesta tropicale. Si prevede che Beryl porterà piogge e venti anche in altri stati nei prossimi giorni.
Nasce l’Alleanza del Sahel: Niger, Mali e Burkina Faso insieme contro il neocolonialismo
Niger, Mali e Burkina Faso hanno firmato un trattato con il quale hanno creato una confederazione tra i tre Paesi, sottolineando la loro determinazione a tracciare un percorso comune al di fuori della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS). Tra il 2020 e il 2023, i tre Paesi sono stati oggetto di colpi di Stato che hanno portato al potere le giunte militari, le quali hanno interrotto i legami militari e diplomatici con gli alleati nella regione e le potenze occidentali. Gli appelli dell’ECOWAS per un ritorno a un governo democratico sono rimasti inascoltati. La firma del trattato segna così un allineamento sempre più stretto tra i Paesi vicini del Sahel centrale. La presidenza di turno della neonata Confederazione degli Stati del Sahel è stata affidata per un anno al leader della giunta maliana, Assimi Goita. Il Burkina Faso è invece stato designato per ospitare la prima sessione parlamentare della Confederazione che si terrà nel prossimo futuro.
La Confederazione degli Stati del Sahel è ormai realtà, confermata dalla Dichiarazione di Niamey adottata sabato nella capitale del Niger, firmata dai capi di Stato dei membri fondatori, Abdourahamane Tiani del Niger, Assimi Goita Goita del Mali e Ibrahim Traoré del Burkina Faso, alla guida di quello che era finora nota come Alleanza degli Stati del Sahel (AES). La formalizzazione del trattato per la costituzione di una confederazione conferma il rifiuto da parte di Niger, Mali e Burkina Faso di continuare a far parte della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS). Questo è confermato anche dalla scelta simbolica del momento per l’apposizione delle firme dei tre Paesi, ovvero un giorno prima del vertice tenuto dall’ECOWAS, con cui i membri dell’organizzazione speravano di convincere i tre Paesi fuoriusciti a riconsiderare la loro decisione presa nel gennaio scorso. Il leader militare del Niger, il generale Abdourahamane Tiani, ha descritto il vertice dell’AES come «il culmine della nostra determinata volontà comune di rivendicare la nostra sovranità nazionale». Nel suo discorso, Tiani ha poi detto: «I nostri popoli hanno irrevocabilmente voltato le spalle all’ECOWAS. Spetta a noi oggi rendere la Confederazione AES un’alternativa a qualsiasi gruppo regionale artificiale costruendo una comunità libera dal controllo di potenze straniere». Il leader della giunta maliana, Assimi Goita, è stato designato ad assumere la presidenza di turno della neonata Confederazione degli Stati del Sahel per un mandato di un anno. La decisione è stata interpretata come un omaggio al Paese da cui è partita “la rivoluzione” degli Stati del Sahel. Il Burkina Faso è invece stato designato per ospitare la prima sessione parlamentare della confederazione che si terrà nel prossimo futuro.
Sicurezza, sviluppo, coesione sociale, sono i tre pilastri su cui si intende svilupparsi la nuova confederazione tra i tre Stati che avevano già, nel marzo scorso, deciso di istituire la Forza Unificata degli Stati del Sahel, col fine di mettere in comune le risorse nella lotta al terrorismo nella regione. In un comunicato emesso dopo il vertice, i Paesi hanno affermato di aver concordato di coordinare le azioni diplomatiche, di creare una banca d’investimento AES e un fondo di stabilizzazione, nonché di mettere in comune le loro risorse per avviare progetti in settori strategici tra cui l’estrazione mineraria, l’energia e l’agricoltura, ma anche nella lavorazione commerciale e industriale, nelle infrastrutture e nei trasporti, nelle telecomunicazioni, nella libera circolazione delle persone e delle merci, così come nell’economia digitale. Con la dichiarazione viene specificata anche la volontà di una stretta collaborazione per quanto concerne l’istruzione e la formazione professionale, lo sport, la cultura e la sanità. I capi di Stato dei tre Paesi hanno comunicato di aver incaricato i ministeri di riferimento per avviare l’istituzione di protocolli e progetti che vadano nella direzione annunciata.
Dal canto suo l’ECOWAS, durante la propria riunione condotta in Nigeria, ha condannato la nascita della nuova confederazione dicendo che questa porterà maggiore instabilità nella regione e l’isolamento politico dei tre Paesi, oltre all’interruzione di cospicui flussi economico-commerciali che faranno perdere circa 150 miliardi di dollari annui. Nel frattempo, prosegue il deflusso di personale militare, tecnico e diplomatico dai tre Paesi che si sono riuniti nella nuova organizzazione. Domenica è stata la volta del ritiro dei militari statunitensi dalla base aerea 101 del Niger, nei pressi dell’aeroporto della capitale Niamey, in vista dell’uscita, prevista nelle prossime settimane, da un’altra importante base situata nei pressi della città di Agadez, focalizzata invece sul pilotaggio e la gestione dei droni. Questo perché nell’aprile scorso, la giunta al potere in Niger ha ordinato agli Stati Uniti di ritirare i suoi quasi 1.000 militari presenti nel Paese. Infatti, i tre Paesi dell’AES stanno portando avanti un progetto di decolonizzazione e di riaffermazione della propria sovranità rispetto alle influenze dei Paesi occidentali, Francia e Stati Uniti su tutti, così come da quelle organizzazioni regionali africane ritenute una emanazione di tali influenze, come appunto l’ECOWAS.
[di Michele Manfrin]
Olio di semi venduto come extra-vergine: 37mila litri sequestrati a Cerignola
La Guardia di Finanza della Compagnia di Cerignola (Foggia) ha sequestrato oltre 37mila litri di olio extravergine di oliva contraffatto e adulterato in tre laboratori clandestini siti in aree diverse dell’agro cerignolano. Secondo quanto appurato dagli investigatori, l’olio sarebbe stato commercializzato come extravergine di oliva, ma in realtà – come documentato dalle analisi di Arpa Puglia – proveniva da una miscelazione di olio di semi di girasole ad alto contenuto di acido linoleico, con aggiunta di sostanze coloranti. Tre persone sono state segnalate alla Procura di Foggia e sono stati sequestrati tutti gli strumenti e le attrezzature utilizzate per il confezionamento, l’imbottigliamento e la miscelazione dell’olio.
“No buy year”: l’opposizione alla moda usa e getta prova a diventare di tendenza
L’espressione «must have» è un forma linguistica importata dal mondo anglosassone che letteralmente indica «cose che devi avere». Un modo di dire e di scrivere che da anni viene utilizzato da riviste di moda (e non solo) per creare continuamente oggetti del desiderio e spingere all’acquisto. Una leva psicologica che esiste da tempo, ma che continua a far presa. Nel famigerato mondo della moda esistono must have stagionali, ovvero quegli oggetti che, tra le novità proposte ogni sei mesi, sono decretati come i pezzi forti e che, proprio per come vengono spinti ed impacchettati a regola d’arte, finiamo per vederli addosso a tutti. Esistono poi dei must have intramontabili, quei capisaldi del guardaroba che, a dar retta ai guru dello stile, stanno bene con tutto, non passano mai di moda e sono chic in ogni occasione. Capi-cuscinetto, quelli sui quali si va sempre sul sicuro e con i quali ci si può sentire a proprio agio. Dunque, com’è possibile che siano gli stessi per tutte e tutti? Il dubbio è lecito, la risposta spontanea: non esistono must have oggettivi. Esistono capi che hanno fatto la storia del costume, ma che non necessariamente devono trovare posto nell’armadio di chiunque.
Nonostante si sprechino i discorsi sulla necessità di avere un approccio più consapevole ai consumi, questa forma linguistica continua a persistere e incalzare, anche quando si parla di prodotti sostenibili. Purtroppo, anche la comunicazione della moda sostenibile non riesce a fare a meno di segnalare must have e «cose che devi avere», alimentando lo stesso circolo vizioso fatto, comunque, di acquisti. I tempi cambiano, le tecnologie evolvono, si aggiungono aggettivi verdi alle frasi, ma le leve che si vanno a toccare sono sempre le stesse. Dal «dover essere fighi e alla moda per forza», fino al senso di inadeguatezza delle persone, passando per una finta omologazione per risvegliare un senso di appartenenza apparente fino al «possedere per essere». La comunicazione, purtroppo, non è cambiata, anzi: è diventata sempre più martellante, costante, con un linguaggio subdolo al quale siamo talmente assuefatti da non rendercene più nemmeno conto. A colpi di must have, siano di lusso, fast o slow fashion, si continua a comprare.
No buy year, un anno senza acquisti
In contro-tendenza con chi spinge comunque a comprare, da anni ormai ci sono in rete sfide ricorrenti che invitano a disintossicarsi dai consumi superflui per periodi variabili dai 30 ai 90 giorni. Ultimamente la sfida in questione ha preso una deriva decisamente più ampia: 365 giorni senza acquisti. Attualmente, il consumo umano supera la capacità di rigenerazione dell’ecosistema terrestre del 74% ogni anno, pari alla domanda di 1,75 pianeti. Lo stile di vita consumistico è ancora venduto come un segno di benessere e qualcosa a cui aspirare (più possiedi, più sei una persona di successo), nonostante ci siano prove evidenti di come questo modello sia stato, in realtà, un fallimento totale.
Parlare di decrescita sembra una nota stonata nella sinfonia dilagante del «di più», eppure per non trascinare l’umanità in una catastrofe ambientale e sociale, sarebbe un modello da testare seriamente. E c’è chi, grazie a questa iniziativa di limitare gli acquisti di beni non essenziali per un anno intero, lo sta già facendo, nel proprio piccolo e nella propria quotidianità, apportando minimi cambiamenti che non sono altro che una lenta decrescita messa in pratica (azioni che possono funzionare da esempio). Il no buy year significa impegnarsi in un cambiamento di mentalità e in un ripristino generale del modo in cui pensiamo al consumo e allo shopping. Ma anche ad imparare a come gestire meglio le proprie finanze, il proprio tempo e ritrovare la felicità in cose che molto spesso non sono cose. E che, soprattutto, non dovrebbero essere cose che portano distruzione e rovina al mondo circostante.
[di Marina Savarese]
Francia, Macron respinge le dimissioni del premier Attal
Emmanuel Macron ha rifiutato le dimissioni del primo ministro Gabriel Attal, chiedendogli di non lasciare il suo incarico al fine di «garantire la stabilità del Paese». Subito dopo l’uscita delle prime proiezioni dei risultati elettorali che hanno sancito la vittoria del nuovo Fronte Popolare per la Sinistra, il premier Attal aveva annunciato l’intenzione di dimettersi, assicurando che sarebbe rimasto in carica per gli affari correnti. In seguito alla tornata elettorale, l’Assemblea nazionale si presenta spaccata in tre blocchi, senza alcuna maggioranza assoluta. «Il presidente ha il dovere di chiamare il Nuovo fronte popolare a governare», ha ribadito Jean-Luc Mélenchon, vincitore delle elezioni.