Dopo una rocambolesca seconda tornata elettorale dall’affluenza più alta del ventunesimo secolo, le elezioni legislative in Francia sono finalmente arrivate al termine. Il risultato finale risulta a tratti inaspettato: ha vinto la sinistra del Nuovo Fronte Popolare, guidata da La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon. Eppure, al di là delle sorprese, le vere domande sorgono guardando al futuro. Di fronte a una nuova Assemblea Nazionale divisa in tre blocchi, pare infatti particolarmente difficile capire a partire da dove si potrà formare un nuovo governo. La strategia di contenimento del lepeniano Rassemblement National attuata dal cosiddetto “fronte repubblicano” ha funzionato, e il ritiro dei candidati dai triangolari si è rivelato vincente, ma ha lasciato il Parlamento senza una autentica possibilità di formare una maggioranza: la sinistra è intenzionata a governare, ma pare per ora coesa nel rifiutare coalizioni di manica larga, mentre dall’altra parte il centro macroniano ne è uscito troppo ridimensionato per raggiungere una maggioranza. Davanti a questo scenario le opzioni sul tavolo delineano un futuro tanto inedito quanto incerto nella Quinta Repubblica francese, e non è chiaro chi a conti fatti siano i veri vincitori e chi i vinti.
Ieri, in occasione del secondo turno delle elezioni legislative, si è presentato alle urne circa il 66% degli aventi diritto, percentuale che, come quella del primo turno di domenica scorsa, risulta la più alta del nuovo millennio. Nonostante il podio delle coalizioni per numero di seggi sia ormai certo, la composizione precisa della nuova Assemblea Nazionale risulta ancora poco chiara: la sinistra del Nuovo Fronte popolare è prima con circa 182 parlamentari, il centro macroniano secondo con circa 150 e la destra di Le Pen terza con 143; seguono i repubblicani neogollisti con una quarantina di seggi. Di fronte a questa inedita divisione parlamentare è difficile tirare una linea e fare un bilancio di chi, posti in Parlamento esclusi, abbia davvero guadagnato cosa: Mélenchon ha certamente vinto, ma non sembra avere prospettive né di governo né politiche; nonostante la sinistra paia infatti ancora coesa, si deve vedere se reggerà il colpo e se qualche partito – primi fra tutti i socialisti – non cederà alla tentazione di separarsi dalla coalizione per governare con il centro di Macron. Lo stesso Macron ha perso ed è finito particolarmente ridimensionato, ma risulta molto meno sconfitto di quanto non lo dessero a inizio elezioni e dopo il primo turno. Nell’eventualità di un esecutivo centrista, inoltre, finirebbe per governare, forse addirittura con più seggi degli altri. Paradossalmente, pur senza la possibilità di governare, a risultare propagandisticamente vincitrice parrebbe la destra radicale, che ora si potrà fregiare di uno storico risultato, ottenuto in seguito a un epocale tutti contro uno, come dichiarato dallo stesso braccio destro di Le Pen e candidato premier Jordan Bardella.
Questa variegata nuova composizione parlamentare risulta senza precedenti nella storia della Quinta Repubblica francese e in tanti si stanno chiedendo come il Paese possa uscire dall’impasse politico che pare prospettarglisi davanti: indire nuove elezioni non è infatti una opzione, perché secondo la Costituzione, l’Assemblea si può sciogliere una sola volta all’anno e almeno un anno dopo l’ultimo scioglimento, che significa che salvo inaspettati stravolgimenti giudiziari la Francia è destinata a tenere questo Parlamento fino a luglio 2025. Gli scenari per formare un esecutivo, però, risultano pochi e di prospettiva ridotta. A ora le opzioni che sembrano essere sul tavolo parrebbero sostanzialmente tre: la prima è quella di formare un esecutivo di minoranza, che sarebbe con ogni probabilità a guida del Nuovo Fronte Popolare, essendo esso uscito vincitore a livello di seggi; la seconda, quella di istituire un governo tecnico privo di colori politici che traghetti il Paese fino a data da destinarsi, quando le forze saranno distribuite in maniera più netta per formare un esecutivo politico; la terza è quella di formare un governo di unità nazionale, nonostante la Francia sia priva di una figura che possa riunire la maggior parte delle forze e metterle d’accordo. Similmente a quest’ultima opzione c’è anche quella di riunire una grande forza di centro, che escluda da una parte l’estrema destra di Le Pen e dall’altra l’estrema sinistra di Mélenchon. A ora, stando alle dichiarazioni dei politici, pare impossibile capire quale delle tre opzioni sia la più praticabile: i macroniani sono solidi nel rimarcare che non vogliono avere nulla a che fare né con Le Pen né con Mélenchon, ma dall’altra parte lo steso Mélenchon si dice intenzionato a governare e sostiene che Macron debba «inchinarsi ai risultati»; anche il suo alleato socialista Olivier Faure, che tra gli esponenti di sinistra è sulla carta il più papabile alleato di Macron, sembra volere tenere la linea della coalizione per non «tradire il voto dei francesi».
Dopo la sospensione del precedente decreto da parte del TAR del Lazio, il governo torna a inserire i prodotti a base di cannabidiolo (CBD) nella lista delle sostanze medicinali contenenti stupefacenti: sabato 6 luglio è infatti stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto del Ministro della Salute di Aggiornamento delle tabelle contenenti l’indicazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope, con il quale le «composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo ottenuto da estratti di Cannabis» vengono inseriti nella Tabella B dei medicinali. Con tale mossa, il Governo cerca così nuovamente di impedire la libera vendita dei prodotti come olio e gocce di CBD, andando a intaccare il mercato della cosiddetta “cannabis light”, la cannabis senza alcun effetto psicoattivo. Il governo porta così l’Italia ad essere l’unico Paese europeo a mettere fuori legge un composto che non ha nessun effetto drogante ma anzi è conosciuto per le proprietà terapeutiche.
Il decreto, emanato il 27 giugno, è comparso in Gazzetta Ufficiale il 6 luglio ed entrerà in vigore il trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione. Se questo dovesse accadere, l’Italia diventerebbe il primo Paese almeno in Europa a considerare il CBD una sostanza stupefacente. Nei Paesi dove la cannabis è illegale, ad essere fuorilegge è infatti il suo elemento che provoca effetti psicotropi, il THC, mentre il CBD è un altro elemento presente che non ha alcun effetto. Nello specifico, il provvedimento revoca i decreti ministeriali 1 ottobre 2020, 28 ottobre 2020 e 7 agosto 2023, e finisce così per inserire i prodotti a uso orale a base di CBD nella sezione B della Tabella dei medicinali. In questo modo, l’acquisto tutti i prodotti a uso orale a base di cannabidiolo sarà possibile esclusivamente nei punti vendita autorizzati (ossia le farmacie), previa presentazione di una ricetta del medico, non ripetibile su ricettario personale (ricetta bianca). Questo genere di ricette hanno una validità di trenta giorni, escluso quello di emissione, e devono essere oggetto di determinati adempimenti da parte del farmacista, quali il controllo dell’assenza di iperdosaggio riferito alla singola dose.
Il cannabidiolo era già stato inserito tra i medicinali contenenti stupefacenti lo scorso agosto 2023 con una mossa analoga a quest’ultima, ma il decreto era stato bloccato dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, che aveva accolto un ricorso presentato dall’associazione Imprenditori Canapa Italia (Ici), disponendo la sospensione del decreto e rendendo nuovamente consentito il commercio dei prodotti. La sentenza definitiva del Tribunale è attesa per il prossimo 16 settembre. In generale, quella contro i prodotti a base CBD è una delle battaglie portate avanti con maggior forza dall’esecutivo Meloni, che giusto lo scorso maggio ha presentato un emendamento per vietare cannabis light. Secondo l’avvocato Bulleri, esperto del settore, si tratta di una «vicenda surreale, visto che c’era un giudizio del Tar in corso e il ministero avrebbe potuto portare le prove in suo possesso, per valutare nel contraddittorio se fossero evidenze scientifiche oppure no». «Questo nuovo decreto denota la volontà dell’Italia di volerlo inserire per forza tra i medicinali stupefacenti quando sappiamo che è stato chiarito dalla Corte di Giustizia europea che non lo è», dichiara l’avvocato, che aggiunge come «Rischiamo di andare in contrasto con il mercato comune, perché entro la fine del 2024 o l’inizio del 2025 l’EFSA dovrebbe autorizzare in Europa i cibi contenenti CBD, cosa che a questo punto avverrebbe in tutti i Paesi europei escluso il nostro, visto che noi lo considereremmo come un farmaco stupefacente».
La decisione fa a pugni anche con quanto stabilito dall’Organizzazione mondiale della sanità, il cui Comitato di esperti sulla tossicodipendenza (ECDD), nel 2017, ha concluso che “allo stato puro, il cannabidiolo non sembra avere un potenziale di abuso o causare danni“, pertanto, “poiché il CBD non è attualmente una sostanza classificata di per sé (solo come componente di estratti di cannabis), le informazioni attuali non giustificano una modifica di questa posizione di classificazione e non giustificano la classificazione della sostanza”. Da anni, ormai, sono stati appurati gli effetti analgesici e antinfiammatori del cannabidolo, capace di ridurre la percezione del dolore. Il CBD, che detiene proprietà antiemetiche, anticonvulsionanti, agisce inoltre come ansiolitico e calmante, combattendo i sintomi connessi al disturbo post-traumatico da stress e al disturbo ossessivo compulsivo. Per di più, è in grado di favorire il ripristino del ciclo sonno-veglia.
Almeno 10 palestinesi sono stati uccisi stamane dopo che un raid aereo israeliano ha colpito una casa a Jabalia, nel nord di Gaza. Molte delle vittime sono donne e bambini. Lo riportano i media palestinesi, aggiungendo che i soccorsi sono impegnati nella ricerca di diverse persone disperse sotto le macerie. Decine di famiglie sono inoltre rimaste intrappolate nelle loro case dopo una raffica di violenti bombardamenti nei pressi di università e industrie a sud del quartiere di Tal al-Hawa, a Gaza City. Nel frattempo, nella cornice di incursioni effettuate in tutta la Cisgiordania occupata, le forze israeliane hanno arrestato 9 palestinesi, ha riferito Wafa.
Rispetto all'anno precedente, nel 2023 è complessivamente salito a quota 698 il numero dei Comuni virtuosi nella gestione dei rifiuti urbani, facendo segnare un +11%. Al contempo, è arrivato a 4.058.542 il numero di abitanti che hanno potuto beneficiare di un efficiente servizio di gestione dei rifiuti, quasi 540mila in più rispetto al 2022. è quanto ha registrato il nuovo report di Legambiente “Comuni Ricicloni 2024”, che ha confermato il Nord Italia alla guida della classifica dei Comuni più meritevoli, fotografando al contempo l'ottima “rincorsa” da parte del Sud della Penisola. Sono infatt...
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I militari cinesi sono arrivati in Bielorussia per condurre assieme agli omologhi europei un’esercitazione militare congiunta nell’ambito di un “addestramento antiterrorismo”. L’esercitazione inizierà domani, lunedì 8 luglio, e terminerà venerdì 19 luglio. L’addestramento congiunto arriva poco dopo l’entrata della Bielorussia nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (nota con la sigla SCO), organismo intergovernativo fondato da Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, e Tagikistan cui membri cooperano negli ambiti della sicurezza e dell’economia. Gli altri Paesi che fanno parte dell’SCO sono Uzbekistan, India, Pakistan e Iran.
Nella giornata di sabato, a Barcellona migliaia di persone si sono mobilitate per protestare contro la presenza del turismo di massa in città, chiedendo che venga promosso un nuovo modello che renda l’arrivo dei visitatori più sostenibile. A partecipare alla manifestazione sono state circa 150 firme tra associazioni e movimenti locali, le quali hanno riunito, secondo le autorità, almeno 3.000 persone. Quella di ieri non è la prima volta che a Barcellona si protesta contro il fenomeno del turismo di massa. Questo è in generale contestato in tutto il Paese e ha visto ingenti mobilitazioni – tra le altre – anche nelle Canarie, nelle Baleari e a Malaga.
Per descrivere quello che sta succedendo da oltre tre decadi nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) non esiste termine migliore di geno-cost, parola inglese che unisce genocide e cost (prezzo), e che serve a descrivere un genocidio portato avanti per ragioni economiche, piuttosto che politiche o di natura etnico-religiosa. Utilizzando proprio questo termine da oltre dieci anni ogni due agosto, l’associazione Congolese Action Youth Platform (CAYP) promuove iniziative per dare ribalta a livello internazionale al genocidio che tutt’ora accade nella RDC. Un geno-cost che, nel pressoché silen...
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Dopo la recente aggiunta dei partiti spagnolo Vox e belga Vlaams Belang, il neonato gruppo parlamentare “Patrioti per l’Europa” lanciato dai leader di estrema destra ungherese, ceco e austriaco, ha raggiunto tutte le condizioni necessarie per iscriversi come gruppo parlamentare. A ora, contando, oltre alle precedenti, le adesioni di Danimarca, Olanda e Portogallo, l’eurogruppo conterebbe 42 parlamentari provenienti da 8 Paesi diversi, a fronte di un minimo di 23 membri di 7 distinti Stati membri; sono tuttavia ancora possibili ulteriori adesioni, come quella di Alternativa per la Germania (15 parlamentari), o del Partito Democratico Sloveno (4 parlamentari), così come quella dell’italiana Lega (8 parlamentari).
Milano è sulla bocca di tutti, è un dato di fatto. Le iniziative e gli eventi che caratterizzano la città trovano spazio in numerosi giornali, ed è quasi impossibile non imbattersi sui social media in video e contenuti che ne decantano le attività più disparate, i locali più cool o le feste più in voga. Sempre più gente sceglie Milano come meta turistica, riversandosi nei vari poli della città, riempiendo i sempre più numerosi dehorsdi bar, bistropub, boutique del gusto e chi più ne ha, più ne metta. Ma le persone più grandi, anagraficamente parlando, ricorderanno sicuramente un tempo, non così remoto, nel quale Milano non aveva questa patina, al contrario, era nota per la sua freddezza, per l’ossessione per il lavoro: la città grigia per eccellenza, anche negli scintillanti anni della Milano da bere. Ad un tratto tutto cambiò, ed è ingenuo pensare che questo drastico cambiamento possa essere stato casuale. Il piano per trasformare Milano in una città accattivante è stato studiato perfettamente e adesso non si torna più indietro.
Difatti, i venticinque anni di governo della città, che hanno visto differenti colori politici, la destra dei primi anni 2000 e la sinistra dagli anni ’10 ad oggi, a dir la verità non hanno dimostrato grossi cambiamenti, bensì una definita continuità politica, fondata sull’urbanistica e sul marketing. Un vero e proprio rebranding ha reso Milano, perlomeno sulla carta, la città europea per eccellenza. Questa continuità politica non dovrebbe però stranirci, non a caso durante il secondo mandato del governo di Letizia Moratti, dal 2009 al 2011 il ruolo di Direttore Generale del Comune di Milano era ricoperto da colui che sarebbe in seguito diventato Commissario Unico per Expo 2015 e attualmente sindaco della città: Beppe Sala.
Tutto ebbe inizio con la «riqualificazione» della zona che si estende tra le stazioni di Milano Centrale e Milano Garibaldi, attraverso il Progetto Porta Nuova curato da Hines e da Hines Italia, all’epoca di Manfredi Catella, attuale dirigente di COIMA, e per un 18% dall’imprenditore pluripregiudicato Salvatore Ligresti. Dal 2004, anno di approvazione del progetto al 2015, anno di Expo Milano, la zona si è vista completamente riformata, grazie all’edificazione dei grattacieli che oggi compongono lo skyline milanese. Torre Unicredit, Torre Solaria, Torre Diamante e il Bosco Verticale sono solo alcuni dei progetti che hanno cambiato la conformazione del territorio. Questo è l’esempio migliore per descrivere il processo che sta modificando quotidianamente non solo la città di Milano, ma ormai un numero sempre maggiore di città in tutto il mondo. Non è nuovo ai più probabilmente il termine «turistificazione», che indica tutti quei processi che portano all’incremento del turismo all’interno delle città e che di conseguenza cambia l’assetto delle stesse, portando alla proliferazione di attività dedite a questo business. Alberghi, ostelli, hotel di lusso, appartamenti turistici, esplosi negli ultimi anni grazie a piattaforme on-line come AirBnb occupano in realtà solo una piccola parte della trasformazione cittadina, il turismo di massa nel tempo porta al graduale svuotamento delle attività indirizzate alla cittadinanza; tutti i servizi dedicati a chi vive, come mercati, parruccherie, biblioteche, calzolerie, cartolerie si vedono costrette a chiudere per lasciare il posto a locali dediti spesso alla ristorazione e a boutique di lusso. Questo processo però, spesso si unisce ad un altro fenomeno sempre più diffuso e in sordina rispetto al primo: la gentrificazione. Il quartiere adiacente al centro direzionale di Milano, Isola, è stato il primo a trasformarsi drasticamente e quello che è accaduto rientra perfettamente nei canoni della gentrificazione. Con la scusa di una presunta riqualificazione urbana, l’unica qualità che chi risiede nel quartiere vive è quella di vedere schizzare i prezzi degli immobili, che di conseguenza alzano vertiginosamente i prezzi degli affitti e dei servizi presenti sul territorio.
«Almeno il valore della mia casa è aumentato» ho sentito dire spesso in città. Ed è vero, ma il beneficio proveniente dall’incremento del valore è relativo per numerose ragioni. In primis, chi vive in una zona gentrificata sta già facendo i conti con lo spopolamento del tessuto sociale che lo circonda, chi non può permettersi un affitto, che sale anno dopo anno, è costretto a lasciare il quartiere, portandosi spesso con sé il contributo che apportava alla sua comunità. E le case, ormai vuote, vengono affittate a prezzi accessibili solo a chi possiede un potere d’acquisto adeguato alla nuova richiesta. La nuova città diventa quindi ad esclusivo appannaggio di alcune categorie, tra le quali possiamo osservare i cittadini «short-term», migranti di nuova generazione, che per eredità classista preferiamo definire «expat», che sopraggiungono in città grazie alla propria condizione di nomadi digitali e lavoratori da remoto, spesso impiegati in aziende multinazionali, con salari molto più alti rispetto a quelli del tessuto sociale originario. Per soddisfare i bisogni della nuova cittadinanza è necessario ricreare servizi riconoscibili in tutto il mondo: brunch dei quali si può godere anche a Manhattan; coworking spaziosi in loft post-industriali modellati su quelli che si possono incontrare nel quartiere di Gràcia a Barcellona o Shinjuku a Tokyo e supermercati Carrefour Express, aperti sette giorni su sette, che ho avuto la possibilità di frequentare sia in un piccolo paese della costa taiwanese, che in ogni angolo del quartiere dei Navigli.
L’altra illusione che consola chi vede crescere il valore del proprio immobile è indubbiamente il fatto che chi vive in una casa di proprietà, non godrà mai di alcun introito a meno che non decida di venderla. «La valorizzazione del metro quadro non è una fonte di ricchezza per i proprietari. La rendita rende solo ai multiproprietari» mi spiega Lucia Tozzi, studiosa di politiche urbane, giornalista e autrice del testo «L’invenzione di Milano», edito da Cronopio; «questo passaggio spesso sfugge anche agli attivisti, ed è fondamentale». Difatti, chi possiede solo la casa in cui vive, per poter usufruire del valore economico del proprio immobile è costretto a vendere e ad andarsene, ma se il processo coinvolge l’intera città, la possibilità di accedere a case più spaziose al prezzo equivalente al proprio immobile, può avvenire solo spostandosi in piena periferia, rinunciando così, oltre che alla propria comunità, a tutti i servizi che la città offre. I quartieri si svuotano, cambiano aspetto e la nuova cittadinanza non ha interesse di manifestare un impegno profondo verso il tessuto sociale nel quale si è trasferito, in quanto, molto probabilmente, dopo poco tempo se ne andrà, preferendo centri urbani più alla moda, che hanno iniziato da meno tempo il loro processo di gentrificazione.
Basandosi su questa politica, il Comune di Milano ha dato vita a numerose iniziative finalizzate allo sfruttamento di quartieri abbandonati a loro stessi, grazie alla negligenza dello stesso governo comunale. Ma tutto ciò non avviene per caso, anzi. Con il tempo numerose strutture comunali pubbliche, con la scusa della mancanza di capitale adibito alla manutenzione, sono state svendute ad enti immobiliari privati, che hanno messo in marcia la solita riqualificazione, trasformando così un luogo aperto a tutti ad un contesto accessibile a pochi, spingendo sul modello che Milano domina alla perfezione: la comunicazione. «Uno dei più grandi progetti di riqualificazione urbana in Europa» recita il sito di BAM – Biblioteca degli Alberi di Milano, un parco inaugurato nel 2018, incastonato sotto la piazza Gae Aulenti, con il fine di essere il nuovo «polmone» della città meneghina. Questo progetto racchiude alla perfezione le peculiarità della relazione pubblico-privato della città; curato ancora una volta da Manfredi Catella e dall’azienda di cui è socio fondatore, COIMA, il parco sorto su uno spazio pubblico, viene curato nei minimi dettagli per essere l’eccellenza verde di Milano, ospitando infinite specie arboree e spazi dediti allo sport, allo svago e alla musica. L’unica caratteristica che differenzierebbe questo parco dai vari parchi pubblici della città è la sua struttura, progettata da Petra Blaisse, che manifesta tutto il suo splendore se vista dall’alto, dagli attici del Bosco Verticale. Accessibile a tutti, godibile a pochi. Inoltre, il parco, che presenta una fitta rete di eventi, spesso sponsorizzati da brand e multinazionali, è perennemente pattugliato dalle Forze dell’Ordine e da custodi, pronti ad intervenire in caso di situazioni a loro giudizio «sgradevoli».
Sulla stampa generalista il progetto è stato ampiamente elogiato, come d’altronde ogni iniziativa del genere. Difatti, è praticamente impossibile trovare opinioni contrastanti, perché, come al solito, l’occhio dei media preferisce scorgere l’opulenza che la città manifesta, invece che porsi dilemmi etici sulla questione. Spesso, voci critiche riguardo la gestione amministrativa del Comune, possono portare a querele, come nel caso del giornalista del Fatto Quotidiano, Gianni Barbacetto, querelato attraverso una delibera della giunta comunale della città, per diffamazione in seguito ad alcuni post pubblicati dal giornalista inerenti all’inchiesta giudiziaria per abuso edilizio nella città.
Porta Nuova è stato l’apripista dei vari progetti che hanno così trasformato intere aree della città; come per il quartiere Isola, la zona dello scalo di Porta Romana dove sorge Fondazione Prada ha iniziato ad essere stravolto, lasciando spazio a edifici per studenti, poli del terzo settore e, attualmente, è pronto ad ampliarsi coinvolgendo le zone circostanti, nel complesso che verrà adibito alle Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina 2026, dove sorgerà il temporaneo villaggio olimpico, ma che, terminato l’evento, sarà pronto per essere utilizzato per progetti di housing sociale e, ancora una volta, avrà tutte le carte in regola per riqualificare un’altra, «degradata», zona periferica.
Stesso discorso si può applicare per la zona Nord-Est e per le vie che partono da Piazzale Loreto, Viale Monza e Via Padova. Entrambe sono state storicamente un luogo d’arrivo per numerose comunità che durante gli anni hanno trovato casa e che, ovviamente, hanno sofferto la ghettizzazione e la critica da parte della stampa razzista del paese. Durante gli ultimi anni del 2010, però, l’area si è vivacizzata all’altezza di Piazzale Morbegno, divenendo così la capostipite insieme al quartiere di Porta Venezia della diversità queer, etnica e culturale e l’onda «alternativa» è stata tale che il quartiere degradato, è diventato cool, tanto da cambiare nome: NoLo, North of Loreto (a ricordare il più noto SoHo, South of Houston Street, a Manhattan). Anche in questo caso, i prezzi delle case hanno iniziato a lievitare, colpendo tutte quelle persone a basso reddito, che anagraficamente rientrerebbero nella «diversità», ma risultando, evidentemente, troppo diverse per partecipare alla vita rinnovata del quartiere. In questo gioco, Via Padova è inizialmente riuscita a difendersi dalle grinfie della speculazione abitativa, fino a ricevere nel 2022 la stangata da parte del Comune di Milano, attraverso LOC – Loreto Open Community un progetto di riqualificazione e ristrutturazione di Piazzale Loreto, a cura di Ceetrus Nhood, ente facente capo a Gérard Mulliez, fondatore di Auchan e i marchi di fast fashion Kiabi e Pimkie, e promosso dal comune e il network internazionale C40 Cities. Attraverso questo bando la piazza diventerà sostenibile (nella stessa maniera in cui lo sono probabilmente Kiabi e Pimkie), ospitando nuovamente parchi, percorsi ciclabili con rispettivi servizi di bici a noleggio e uno spazio attraversabile di 9000 metri quadrati. Il progetto è attualmente fermo, in attesa dello svolgimento delle indagini da parte della procura di Milano e, soprattutto, in attesa del decreto del Governo indirizzato ai condoni urbanistici, fortemente voluto dal Ministro delle infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini.
Le ragioni dietro la proliferazione di progetti del genere, finalizzati alla privatizzazione e alla trasformazione della città si fondano su più cause strettamente connesse. In primo luogo, dal 2005 al 2023, gli oneri di urbanizzazione richiesti dal Comune di Milano agli enti immobiliari privati non hanno superato il 3%, differentemente da molte altre città europee dove i suddetti oneri superano anche il 30%. Chiaramente questo ha permesso di dare vita ad una situazione nella quale costruire conveniva (e continua a farlo), levando al Comune la spesa della manutenzione dello spazio pubblico. Tutto ciò, se coperto da una patina di forte rebranding, non solo diventa giusto nella vitalità cittadina, ma viene venduto come una vera e propria necessità per la popolazione. Quest’ultima, infatti, anche nelle sue frange più rumorose, viene tenuta non solo silenziata, ma resa illusoriamente partecipe di questo progetto, del quale, in fondo, ne è esclusa. Milano ha così organizzato una fitta rete di bandi a finanziamento attraverso i quali mettere in gioco le poche entità contrarie a questo progetto, convincendole che partecipando alla costruzione della nuova città, avrebbero potuto farsi sentire, facendole finire però nel meccanismo ben oleato della gentrificazione.
Resta così la resistenza di una rete di sindacati per l’abitare, collettivi politici e persone impegnate nella divulgazione di questa tematica, che si sta espandendo a macchia d’olio. «Il primo focus da tenere d’occhio sono sicuramente gli scali, non solo lo Scalo di Porta Romana, ma in tutte quelle zone, come lo scalo Greco, dove i valori immobiliari stanno già crescendo, anche se il completamento dell’opera magari avverrà tra dieci anni.» mi spiega Luca Trada, attivista del collettivo politico Off Topic Milano, una realtà situata nel quartiere Isola, che si occupa di lotta e divulgazione, che ha da poco pubblicato un pieghevole sul processo di gentrificazione del quartiere Corvetto. «Ci sono un sacco di aree dove prima o poi scatterà l’effetto domino, come Città Studi, non appena avverrà il trasferimento di facoltà in area MIND (ex Expo)». A questi si aggiungono le caserme, il nuovo stadio di San Siro, Santa Giulia, Porta Vittoria, l’area degli ex Mercati Generali, Dergano, il Giambellino, gli impianti ippici, le piste d’allenamento, la Piazza d’Armi e molte altre ancora.
Nel gioco della gentrificazione non c’è spazio per chi non ha la possibilità economica di rimanere e questa denigrazione colpisce tutti, in particolar modo chi ha un tetto sopra la testa grazie alle soluzioni pubbliche come le case popolari. Il caos mediatico scaturito dalle dichiarazioni di Ilaria Salis sulla sua militanza nei movimenti di difesa alla casa e sulle accuse di occupazioni e le multe a lei destinate dall’ente ALER, dimostra come la stampa generalista sia totalmente disinteressata al problema reale e che adesso, attraverso la figura di Salis, ha trovato il modo di disinnescare, se non affossare. Le case popolari, emblema dell’impegno pubblico proposto dai comuni, nel momento in cui vengono abbandonate a se stesse, magari con la giustificazione dell’assenza di soldi (chiara conseguenza dell’applicazione di oneri d’urbanizzazione insignificanti), diventano il primo bersaglio della privatizzazione. Luoghi simbolo del «degrado» cittadino, dei quali attualmente più di 15.000 tenuti vuoti secondo le stime dei bilanci ALER, se acquistati e gestiti da enti di housing sociale diverranno la soluzione abitativa per la nuova cittadinanza giovane e smart, fortemente attesa da Sala e che rimangono in linea con il racconto della città che da vent’anni si è pedissequamente obbligati a ripetere.
La città allora si svuota da ogni servizio destinato alla cittadinanza reale, spariscono elementi urbanistici poco «sostenibili», come le discariche, attualmente relegate ai confini della periferia, come nel caso della ricicleria di Piazzale delle Milizie dismessa per lasciare spazio al progetto Bosconavigli, un enorme complesso abitativo costituito da più di 10.000 metri quadrati di spazi verdi, 3.550 dei quali ad uso privativo. Inutile dire che il prezzo al metro quadro di questi appartamenti si aggira intorno agli 8.000 euro.
Il problema evidentemente non riguarda solo Milano, che punta ad imporsi come faro per le altre città in Italia. Questo processo si sta gradualmente espandendo ovunque, si può osservare a Napoli, a Bologna, per non parlare di tutte quelle città nel mondo che già stanno facendo i conti con le conseguenze nefaste di questo processo. La gentrificazione, attraverso la speculazione classista dei grandi gruppi immobiliari e della politica, snatura le peculiarità sociali dei centri urbani, mettendo in evidenza l’emblema culturale della globalizzazione.
«Perché venire a Trude? mi chiedevo. E già volevo ripartire. – Puoi riprendere il volo quando vuoi, – mi dissero, – ma arriverai a un’altra Trude, uguale punto per punto, il mondo è ricoperto da un’unica Trude che non comincia e non finisce, cambia solo il nome dell’aereoporto».
Con queste parole Marco Polo raccontava a Kublai Khan la città di Trude, nel libro Le città invisibili di Italo Calvino. Anche nella nostra realtà, tutte queste città fregiatesi a baluardo della diversità e della sostenibilità, vendute attraverso i video verticali dei social network e con altisonanti articoli dei media affiliati a gruppi immobiliari saranno ineluttabilmente sempre più simili, fino a diventare indistinguibili, giungendo al giorno in cui anche la resistenza della cittadinanza verrà annientata, per far posto agli avari interessi di pochi. Sempre più imponente sulle cartine geografiche, anche Milano ha tutte le carte in regola per diventare presto una città vuota.
Nella giornata di ieri, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno lanciato un attacco sulla scuola di Al-Jaouni, gestita dall’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso dei profughi palestinesi (UNRWA), uccidendo 16 persone e ferendone circa 75. La scuola era sita nel campo profughi di Nuseirat, presso il governorato di Deir al Balah, nel centro della Striscia, e ospitava migliaia di sfollati. Le IDF hanno dichiarato di avere attaccato l’edificio dopo avere riscontrato attività da parte di militanti del braccio armato di Hamas, affermazione smentita dallo stesso gruppo palestinese. Dal 7 ottobre a oggi, i morti nella Striscia risultano 38.098 e i feriti 87.705.
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