lunedì 25 Novembre 2024
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Regali da un finanziere indagato: sospeso il PM che accusava i NO TAV di terrorismo

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Il Consiglio Superiore della Magistratura ha sanzionato con un anno e sei mesi di sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, nonché con il trasferimento al Tribunale dell’Aquila, l’ex pubblico ministero di Torino Andrea Padalino, che attualmente ricopre il ruolo di giudice civile a Vercelli. La Sezione disciplinare del CSM lo ha infatti giudicato responsabile di aver usato «la qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti», avendo ricevuto regali (nello specifico un soggiorno in un hotel di lusso e due pasti per un migliaio di euro in un ristorante stellato) da Fabio Pettinicchio, ex finanziere allora sotto inchiesta a Novara per sfruttamento della prostituzione, e dal legale di quest’ultimo, Pier Franco Bertolino, nel frattempo è deceduto. È però caduta l’accusa originaria e più pesante: quella secondo cui il magistrato avrebbe accettato e ottenuto i regali nella consapevolezza che Pettinicchio fosse indagato. Padalino era noto per essere stato titolare di una serie di inchieste e processi contro i manifestanti No TAV, avendo sostenuto contro di loro l’accusa (poi caduta) di terrorismo.

Padalino aveva ottenuto un’assoluzione in via definitiva sul versante penale dalle accuse di corruzione in atti giudiziari e abuso d’ufficio in un’inchiesta, poi passata per competenza a Milano, in merito a presunti “favoritismi” nella Procura torinese. In tale cornice, il magistrato era stato assolto in primo grado nel gennaio 2022, con successiva conferma dell’assoluzione da parte della Corte d’Appello, che aveva dichiarato inammissibile il ricorso della Procura. Padalino è stato invece ritenuto «responsabile» di un incolpazione di tipo disciplinare – riqualificata con il verdetto del Consiglio Superiore della Magistratura – «fuori dell’esercizio delle funzioni» con «uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per sé o per altri». Per questo gli sono stati comminati 18 mesi di sospensione. Il CSM l’ha invece assolto dalla seconda contestazione disciplinare, ossia l’utilizzo in modo irregolare dell’auto di servizio. Se all’inizio era stata richiesta la rimozione dalla magistratura, in seguito alle repliche e alla lettura delle memorie difensive del pm, la procura generale della Corte di Cassazione aveva chiesto la riqualificazione dei fatti e la sospensione di due anni. La procura generale della Corte di Cassazione, nel corso delle repliche e alla luce delle memorie difensive del magistrato, aveva chiesto la riqualificazione dei fatti e la sospensione di due anni (in principio era stata avanzata la rimozione dalla magistratura). «Nonostante la richiesta di ridimensionamento della sanzione resta la gravità elevata dei fatti contestati», ha detto il sostituto procuratore generale Giuseppina Casella.

A Torino, il pm Padalino era stato protagonista del processo contro i quattro attivisti No Tav che, nel maggio 2013, avevano assalito il cantiere della Torino-Lione a Chiomonte. Accusandoli di “terrorismo”, Insieme al Pm Rinaudo, il magistrato aveva chiesto per loro 9 anni e mezzo di reclusione. In primo grado, gli imputati erano stati condannati a 3 anni e 6 mesi per danneggiamento, fabbricazione e trasporto di armi e resistenza a pubblico ufficiale, ma i giudici avevano fatto cadere l’accusa di terrorismo. La sentenza era stata confermata in secondo grado dalla Corte d’Assise di Appello. La Procura ha insistito nel sostenere questa accusa nei confronti degli attivisti anche davanti alla Cassazione, che ha però confermato l’assoluzione per il reato di terrorismo e la condanna a 3 anni e 6 mesi per gli altri reati contestati.

[di Stefano Baudino]

Autonomia, depositato il quesito per l’abrogazione

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Il fronte delle opposizioni rappresentato da esponenti di 34 diverse sigle tra partiti, sindacati, e associazioni, ha depositato in cassazione il quesito referendario per abrogare la legge sull’autonomia differenziata da poco entrata in vigore. Il quesito recita: “Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n.86, ‘Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione’?”, e prevede dunque che si voti “Sì” per esprimere la volontà di abrogare la legge e “No” per esprimere la volontà di non abrogarla. Ora, i promotori del referendum hanno tempo fino al 30 settembre per raggiungere le 500.000 firme necessarie a decretare la sua eventuale ammissibilità.

Le direzioni della storia

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«La nostra epoca sarà segnata dal ‘fenomeno rete’. Come ogni fenomeno morfologico profondo, a carattere universale, il fenomeno rete appartiene non soltanto alla scienza ma anche alla vita sociale. Ciascuno di noi si sposta in reti, infatti ogni rete corrisponde a un certo tipo di comunicazione, di frequentazione, di associazione simbolica». Così iniziava l’articolo Rete scritto da Pierre Rosenstiehl per l’Enciclopedia Einaudi (1980, vol. XI, p. 1027).

Se circa cinquant’anni fa avevamo la percezione, soprattutto grazie all’informatica, di un orizzonte totalmente nuovo che avrebbe esteso all’uso dell’ambiente naturale, alla formazione di prodotti, alla progettazione e al funzionamento delle macchine e delle relazioni umane,  il classico sistema delle reti elettriche, potenziandolo in maniera inimmaginabile, e nascondevamo provvisoriamente tutto questo sotto il nome ‘comunicazione’, ora ci siamo resi conto che le reti di trasporto delle merci, dei messaggi e delle persone non soltanto rispondono a quest’unico criterio ma hanno reso quasi impossibile pensare a qualcosa di semplicemente lineare, che sfugga alla logica dei grafi e degli algoritmi.

Consideriamo ad esempio un temporale alluvionale e certamente pensiamo che le cause non siano soltanto metereologiche, limitate al luogo in cui si è manifestato il fenomeno, dopo una serie di variazioni lungo un fronte, ma che tutto questo dipenda da qualcos’altro di più remoto, da una rete dunque di cause magari preordinate che hanno generato, chissà dove, il tutto. Questa non è null’altro che una esasperazione, quanto fondata è difficile dire, del fenomeno rete, cioè della interdipendenza tendenzialmente planetaria a cui ormai siamo abituati a pensare qualsiasi evento. 

A un altro estremo, poniamo nella indagine psicodinamica, si è porti a credere che la felicità dell’individuo non dipenda unicamente dalle sue condizioni oggettive, dalle sue scelte o dall’ambiente in cui si trova a vivere o che ne ha determinato crescita e istruzione, ma che esistano altre cause, una volta si sarebbe detto sociali, culturali ecc., che lo hanno condizionato e portato a essere quello che è. Non è determinismo ma rete, non ricerca delle cause ma posizionamento di qualsiasi realtà in un sistema di interdipendenze. Difficile uscirne. Difficile progettare o gestire alcunché se non lo pensiamo entro un reticolo di collegamenti, tant’è vero che qualsiasi scelta economica, tecnologica, personale è subordinata ai riflessi che produce, alle ramificazioni in cui è immersa; come ad esempio mostra il funzionamento dei legami virtuali e dell’afflusso di informazione nella rete dei dispositivi mobili di cui facciamo continuamento uso.

Nello  stesso volume dell’ Enciclopedia, Jurij M. Lotman, poco più in là, dichiarava che «come sempre nell’arte, la lotta è la forma della vita e una vittoria assoluta è la fine di una data cultura»(p. 1065, nell’articolo Retorica). Il che ci porta a pensare che l’inventiva artistica sia rimasta tra le ultime spiagge, apparentemente sottratta al controllo e al funzionamento dei sistemi. Certamente, aggiungerei,  la lettura di una poesia, nonostante tutto il reticolo di associazioni, parole e pensieri che mette in moto, è strutturalmente differente dalla lettura di una mappa stradale o geografica ricavata da Google. Genera passaggi di senso che non sono completamente prevedibili e orientabili, come d’altronde avviene in ogni manifestazione artistica.

Il processo globale che si manifesta nel nuovo orizzonte è il frutto di una particolare idea di progresso declinata esclusivamente sotto il profilo tecnologico, del tutto estranea dunque alla visione secondo la quale la storia è destinata a corsi e ricorsi, oppure ha un destino inevitabile di impoverimento rispetto a una remota  età dell’oro. L’idea originaria di progresso in quanto superamento di un passato storico ingiusto e negativo, l’affermazione di nuove verità non imposte, le scoperte, invenzioni e acquisizioni di conoscenze culturali e intellettuali atte a governare il mondo in base a una incessante evoluzione storica riportata alle cause reali effettive, avevano nei secoli passati perfino portato a credere che «la grande opera sarà compiuta dalla scienza, non dalla democrazia» (E. Renan., 1876). Dopo la seconda guerra mondiale, finalmente la grande novità, nella prospettiva del progresso, fu il risveglio del Terzo Mondo, sicché abbiamo ormai acquisito l’idea che non si dia sviluppo senza trasformazione di rapporti sociali: «poiché non v’è progresso che non sia anche morale, il compito principale che si presenta oggi… è la lotta per il progresso dei diritti dell’uomo» (scrive Jacques Le Goff nell’articolo Progresso/reazione, vol. XI, p. 226).

L’affermazione riecheggia quanto aveva affermato Norbert Wiener, il fondatore della cibernetica, nel 1950, in un suo intervento su Progresso ed entropia, (in Introduzione alla cibernetica, trad.it. Boringhieri 1966, pp.34-73), dove iniziò sostenendo che uno dei modi di valutazione dei mutamenti che avvengono nel mondo  ha carattere entropico, essendo connesso alla meccanica statistica per cui la tendenza del mondo «appare nell’insieme declinante… Nell’opinione dell’uomo della strada il periodo moderno è caratterizzato da ciò che egli considera come la prospera rapidità del progresso. Non sarebbe errato affermare che il periodo moderno è l’età dello sfruttamento conseguente e illimitato: dello sfruttamento delle risorse naturali, dello sfruttamento dei cosiddetti popoli primitivi assoggettati, e infine dello sfruttamento sistematico del cittadino». 

E più avanti: «Dobbiamo trovare un meccanismo grazie al quale un’invenzione di interesse pubblico possa essere effettivamente sfruttata nell’interesse pubblico… Se l’uomo deve continuare ad esistere, non deve più essere considerato meno importante degli affari». Con la stessa forza Wiener concluderà il suo libro sostenendo che chi addosserà il problema della propria responsabilità a una macchina costruita per indicare decisioni (sia che questa possa apprendere oppure no) affiderà la propria responsabilità al  vento per vedersela tornare indietro fra i turbini della tempesta (p. 228). La stessa idea di progresso rimane, in ultima analisi, contesa giustamente fra diritti e responsabilità.

[di Gian Paolo Caprettini]

Il “riformista” Masoud Pezeshkian sarà il nuovo presidente dell’Iran

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Con un inaspettato colpo di coda si è chiuso l’eccezionale tornata elettorale in Iran per decretare il nuovo Presidente del Paese: a trionfare è stato infatti il candidato riformista Masoud Pezeshkian con il 53,3% delle preferenze, che ha goduto così del supporto di circa 3 milioni di elettori in più rispetto al rivale ultraconservatore Saeed Jalili. La vittoria di Pezeshkian – unico riformista candidato sin dal primo turno – risulta a tratti inattesa, e si configura come un primo accenno di liberalizzazione della Repubblica Islamica; dal nuovo Presidente ci si aspetta infatti qualche rinnovamento nelle politiche interne e nella gestione dei rapporti esteri del Paese. È difficile, tuttavia, che il trionfo di Pezeshkian porti a cambi radicali su entrambi i fronti, essendo egli tenuto a mantenere la sua fedeltà assoluta nei riguardi di Ali Khamenei, la Guida Suprema del Paese.

Le elezioni presidenziali in Iran sono state indette dopo la morte del Presidente Ebrahim Raisi, avvenuta lo scorso 19 maggio dopo un incidente in elicottero. Il ballottaggio si è tenuto ieri, venerdì 5 luglio, ed è seguito al primo turno di venerdì 28 giugno. Stando ai primi dati ufficiali, Pezeshkian avrebbe ottenuto 16.384.403 voti contro i 13.538.179 di Jalili. Al ballottaggio presidenziale avrebbero partecipato 30.530.157 (49,8%) dei 61.452.321 elettori aventi diritto, circa il 10% in più rispetto al primo turno. Molti cittadini iraniani, infatti, si sono presentati alle urne per non fare vincere il candidato conservatore, contribuendo alla vittoria di Pezeshkian. In tal senso il dato relativo all’affluenza e la stessa vittoria del candidato riformista risultano particolarmente restitutivi della impopolarità di cui gode il regime iraniano.

Durante la campagna elettorale, Pezeshkian, cardiochirurgo ex ministro della Sanità, ha mostrato posizioni più moderate rispetto a quelle degli altri candidati. Le politiche da lui proposte tendono a una molto parziale e graduale liberalizzazione del Paese, e vanno dalla volontà di riaprire i contatti con l’Occidente – e specialmente con gli Stati Uniti – per rilanciare l’economia, fino ad arrivare a una gestione meno conflittuale e violenta di questioni interne come quella dell’utilizzo del velo in pubblico, diventata centrale dopo la vicenda di Masha Amini. Nonostante ciò, egli non si allontana, né con ogni probabilità allontanerà, dalle più importanti politiche interne ed estere del Paese, quali la nuova gestione del nucleare o i legami con le milizie filo-iraniane site nel Medioriente. La sua stessa candidatura, dopo tutto, è stata concessa dalle autorità del regime, che quest’anno hanno bocciato 74 candidature, elemento che sottolinea ancor di più come sia molto difficile che la sua vittoria possa davvero rivoluzionare le politiche cruciali del Paese. Pezeshkian, comunque, giocherà un ruolo, seppure minore, nella decisione della prossima Guida Suprema. Quest’ultima risulta la massima carica religiosa e amministrativa prevista dalla Costituzione iraniana, e per tale motivo è la figura più di spicco della politica del Paese, e ne detta la sua reale linea.

[di Dario Lucisano]

Gaza, proseguono i raid israeliani nella notte: morti e feriti

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Almeno 13 persone sono rimaste uccise e diverse altre sono state ferite tra ieri sera e questa stanotte a causa di bombardamenti israeliani che hanno continuato a colpire la Striscia di Gaza. I luoghi colpiti sono, in particolare, Gaza City e i campi profughi di Maghazi e Nuseirat. Lo ha reso noto l’agenzia di stampa palestinese Wafa, che ha aggiunto che ieri un giovane è stato ucciso e altre due persone sono rimaste ferite in un’operazione dell’IDF a ovest di Ramallah, in Cisgiordania. Stamane, gli elicotteri israeliani hanno aperto il fuoco sulla parte orientale del campo profughi di Bureij, nella zona centrale della Striscia.

 

Dopo 30 mesi di sanzioni, la Russia è entrata nella classifica dei Paesi ad alto reddito

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Nonostante 30 mesi di sanzioni occidentali abbiano cercato in tutti i modi di indebolire l’economia di Mosca, la Banca Mondiale ha recentemente inserito la Russia nei Paesi ad alto reddito. Nel 2023, infatti, l’economia del gigante eurasiatico è passata dalla categoria a reddito medio-alto a quella ad alto reddito, che si raggiunge quando il Reddito medio lordo (RML) pro-capite è pari o superiore a 13.485 dollari. Attualmente, il reddito nazionale lordo pro capite in Russia è di 14.250 dollari: lo scrive la Banca Mondiale nel documento intitolato “Classificazione dei Paesi della Banca Mondiale in base al livello di reddito per il 2024-2025”. Dopo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale di aprile, secondo cui la Russia crescerà più di tutte le economie avanzate nel mondo nel 2024, con una crescita del 3,2%, la Banca Mondiale conferma l’andamento positivo dell’economia di una delle nazioni più bersagliate dalle sanzioni del blocco euro-atlantico.

I pronostici dei “profeti” occidentali circa il crollo dell’economia russa, dunque, continuano a rivelarsi clamorosamente errati. Sarà per questo che i principali analisti e giornali finanziari occidentali hanno fondamentalmente ignorato la notizia sulla crescita della ricchezza pro-capite russa. Mosca, invece, ha commentato positivamente il dato, sottolineando il fallimento delle sanzioni: «Questo passo della Banca Mondiale rappresenta il riconoscimento del successo della politica economica delle autorità russe nell’ultimo decennio da parte di una rinomata istituzione globale, nonostante le restrizioni commerciali e finanziarie illegali introdotte nei nostri confronti», ha commentato il direttore esecutivo della banca russa Roman Marshavin.

«L’attività economica in Russia è stata influenzata da un forte aumento dell’attività militare nel 2023, mentre la crescita è stata anche stimolata da una ripresa del commercio (+6,8%), del settore finanziario (+8,7%) e delle costruzioni (+6,6%). Questi fattori hanno portato ad aumenti sia del PIL reale (3,6%) che nominale (10,9%) e l’Atlas GNI [Reddito Nazionale Lordo espresso in dollari statunitensi utilizzando fattori di conversione derivati ​​secondo il  metodo Atlas, N.d.R.] pro capite della Russia è cresciuto dell’11,2%», si legge nel documento della Banca Mondiale che precisa che, oltre alla Russia, quest’anno anche Bulgaria e Palau sono passate nella fascia ad alto reddito. Non solo l’economia di guerra ha contribuito al buon andamento dello sviluppo del colosso eurasiatico, ma anche i generosi contributi pubblici distribuiti dallo Stato a soldati e dipendenti, a conferma del fatto che un oculato intervento dello Stato nell’economia apporta risultati positivi, contrariamente al dogma imposto dal modello neoliberista.

Un grafico archiviato della Banca Mondiale mostra che da quando Vladimir Putin è salito al potere, il primo gennaio del 2000, fino al 2013, il Reddito Nazionale Lordo (RNL) pro-capite è salito da 1710 dollari a 15.160 dollari nel 2013, prima di scendere nuovamente nel 2014, a seguito delle sanzioni che l’amministrazione Obama aveva imposto a Mosca dopo l’annessione della Crimea, rientranti nel contesto più ampio del cambio di regime avvenuto a Kiev nel medesimo anno. Dopo una diminuzione del reddito tra il 2014 e il 2017, il RNL pro-capite è tornato a crescere fino al 2023 con un calo solo nel 2020 a causa della crisi innescata dal Covid. Nel 2023, il dato si attesta a 14.250 dollari: il che significa che non ha raggiunto il livello del 2013 pari a 15.160 dollari. Tuttavia, l’elemento importante da rilevare è che in termini di parità di potere d’acquisto (PPA), il dato sul RNL pro-capite del 2023 è andato ben oltre a quello del 2013: in termini reali, infatti, nel 2013 era pari a 36.631 dollari, mentre nel 2023 ha toccato i 39.221 dollari. In altre parole, i russi sono più ricchi ora di quanto lo fossero nel periodo precedente l’imposizione delle prime sanzioni da parte dell’amministrazione Obama.

Come anticipato, la notizia ha trovato scarso risalto sui media occidentali, i quali quando non accusano i dati positivi sull’economia russa di essere il frutto della propaganda del Cremlino, li ignorano direttamente, come accaduto in buona parte in questo caso. Ammettere la crescita dell’economia e del reddito pro-capite russo, infatti, significa ammettere il fallimento delle sanzioni che analisti, politici e media occidentali hanno acclamato all’unanimità come l’arma più efficace per sconfiggere Putin e la sua «guerra di aggressione» all’Ucraina. Ora che i fatti hanno apertamente sconfessato le previsioni degli analisti “filo-atlantici”, ogni notizia che sottolinea come l’economia russa stia registrando risultati migliori di quelli di molti Stati europei, nonostante le sanzioni, viene non di rado bollata come il prodotto della «disinformazione russa».

[di Giorgia Audiello]

Inl, maxi-ispezione: irregolare il 66% delle aziende agricole

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L’Ispettorato nazionale del lavoro (Inl), insieme al comando dei carabinieri per la tutela del lavoro, ha svolto una maxi-ispezione che ha coinvolto il settore agricolo italiano, denunciando 171 persone. Si è scoperto che 210 (il 66,45%) tra le aziende controllate sono risultate irregolari, mentre i lavoratori controllati sono stati 2.051, rispetto ai quali 616 sono risultati irregolari (30,03%) e, in particolare, di questi ultimi, 216 sono risultati completamente in nero (10,53%). Sono stati adottati 128 provvedimenti di sospensione dell’attività per un importo di 250 mila euro e sono state deferite 10 persone per il reato di caporalato. Lo riporta direttamente l’Ispettorato nazionale del lavoro, il quale spiega che nell’operazione sono stati impiegati complessivamente 550 ispettori e 356 carabinieri.

La causa ecologista nelle università che puzzano sempre più di petrolio

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In fatto di lotte studentesche non si possono non menzionare le battaglie universitarie finalizzate a porre fine alla controversa collaborazione tra atenei e multinazionali del comparto fossile. Un legame spesso sottovalutato ma ben radicato che, specie negli ultimi anni, non è passato inosservato a tutti quei movimenti studenteschi che si battono per una maggiore trasparenza ed eticità delle università cui afferiscono. Da un lato, gli atenei spesso sostengono l’industria petrolifera con finanziamenti diretti o instaurano con quest’ultima rapporti di varia natura facilmente inquadrabili in un ...

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Regno Unito: le elezioni riportano i laburisti al potere dopo 14 anni

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I laburisti hanno trionfato alle elezioni che si sono tenute ieri in Gran Bretagna, facendo man bassa di voti e schiacciando gli avversari del partito conservatore. Guidati da Keir Starmer, che ha ricevuto oggi da Re Carlo III il mandato per formare un nuovo governo, i laburisti hanno conquistato ben 412 seggi in Parlamento su 650 – per avere la maggioranza ne bastano 326 –, raddoppiando la loro rappresentanza a Westminster. I conservatori del premier Sunak, che ha formalizzato le sue dimissioni questa mattina, si sono invece fermati a 121 seggi, registrando la peggiore sconfitta della loro storia politica. Erano ininterrottamente al potere da 14 anni. Queste elezioni, contrassegnate comunque da una scarsa affluenza (che non arriva al 60%) segnano un importante cambio di passo: dopo la stagione “radicale” a guida Corbyn e un riassestamento su posizioni molto più moderate e liberali, i laburisti hanno infatti ottenuto una vittoria condita dal plauso dell’establishment europeo.

«Mi dispiace e mi prendo tutta la responsabilità della sconfitta – ha detto il politico conservatore Rishi Sunak nel suo ultimo discorso da premier al Paese dopo la débâcle -. Mi dimetterò dalla carica di leader conservatore, ma non immediatamente». Il suo posto al n.10 di Downing Street sarà preso da Keir Starmer, leader del partito laburista dal 2020, quando subentrò a Jeremy Corbyn. Quest’ultimo aveva spinto la forza politica verso posizioni più smaccatamente socialiste, per poi essere sospeso proprio da Starmer con l’infamante accusa di “antisemitismo”. Con Starmer si profila un ritorno alla stagione del “blairismo” in campo economico e un allineamento alle posizioni del potere europeo rispetto alle grandi sfide che l’occidente si trova a fronteggiare. I laburisti, infatti, si sono impegnati a mantenere il sostegno della Gran Bretagna all’Ucraina e ad aumentare la spesa militare, in linea con quanto richiesto dalla NATO. Sulla questione Brexit, pur avendo promesso in campagna elettorale di mantenere il Regno Unito fuori dal mercato unico europeo, Starmer si è dichiarato favorevole a un riavvicinamento con Bruxelles. A livello interno, i principali obiettivi programmatici nel nuovo primo ministro britannico sono la stabilità economica e la riduzione delle liste d’attesa per l’assistenza sanitaria. Starmer ha inoltre dichiarato di voler abbandonare sin da subito il piano il piano di Rishi Sunak sulla deportazione dei migranti in Ruanda, creando però una nuova forza di sicurezza alle frontiere per la gestione dell’immigrazione clandestina.

C’è comunque da registrare l’ottenimento di un’importante rivincita da parte di Jeremy Corbyn, che è stato eletto da indipendente al Parlamento di Wesminster, battendo il candidato laburista nel seggio londinese di Islington North. Per la prima volta dopo 7 tentativi falliti ha conquistato un seggio alla Camera dei Comuni anche Nigel Farage, leader della destra populista di Reform UK e volto simbolico della Brexit. In generale, il risultato dei Conservatori è stato fallimentare anche perché a perdere il seggio sono stati diversi importanti leader del partito o ministri uscenti, come l’ex premier Liz Truss, il segretario alla Difesa uscente Grant Shapps e la presidente della Camera Penny Mordaunt. In ultimo, nella schiera di sconfitti figura sicuramente anche il Partito Nazionale Scozzese, l’SNP, che nel 2014 aveva promosso un referendum (poi fallito) sull’indipendenza della Scozia.

«Congratulazioni Keir Starmer per la tua vittoria elettorale – ha scritto su X la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen -. Sono ansiosa di lavorare con voi in un partenariato costruttivo per affrontare le sfide comuni e rafforzare la sicurezza europea». Ha espresso parole di apprezzamento anche il vicepremier e ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani: «Noi vogliamo continuare a lavorare bene con la Gran Bretagna, è un nostro interlocutore, è un paese che ha ottime relazioni con gli Stati Uniti e credo che il vincitore di queste elezioni sia una sorta di Tony Blair degli anni 2024/25: vince un moderato, perché quando c’era Corbyn che era l’ala estrema sinistra dei laburisti, i laburisti sono stati travolti dai conservatori».

[di Stefano Baudino]

Viktor Orbán incontra Vladimir Putin in Russia

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Dopo aver incontrato il leader ucraino Volodymyr Zelensky nei giorni scorsi, il premier ungherese è atterrato a Mosca per incontrare Vladimir Putin, il quale – secondo quanto riportato dai media – si è detto disponibile a discutere i «dettagli» delle sue proposte per la pace in Ucraina. Immediate le critiche dall’Unione europea contro la presidenza di turno: «La pacificazione non fermerà Putin», ha scritto su X Ursula von der Leyen, mentre l’Alto rappresentante per gli affari esteri Josep Borrell ha dichiarato che «il Primo Ministro Orbán non ha ricevuto alcun mandato dal Consiglio dell’Ue per visitare Mosca».