La Commissione Europea ha confermato i dazi sui veicoli elettrici cinesi che entreranno in vigore a partire da domani, venerdì 5 luglio. La misura è stata anticipata all’inizio di giugno e intende contrastare gli ingenti sussidi statali rivolti alle varie aziende della filiera automobilistica che verrebbero elargiti da Pechino. Nello specifico, le sovvenzioni statali cinesi permetterebbero alle stesse aziende automobilistiche di abbassare notevolmente i prezzi del prodotto finale, e configurerebbero come un caso concorrenza sleale. I dazi intendono in tal senso compensare il vantaggio concesso dai sussidi e sono calcolati in base alla societĂ madre, al fatturato annuo, e all’ammontare stimato delle sovvenzioni ricevute dall’azienda in questione.
L’Italia starebbe per acquistare carri armati dalla Germania per 20 miliardi di euro
Secondo quanto riportato dal quotidiano tedesco di economia Handelsblatt, che cita fonti interne alle aziende coinvolte, l’Italia sarebbe pronta a concludere un accordo per l’acquisto di 550 carri armati Panther e Lynx dall’azienda tedesca Rheinmetall, per un valore di 20 miliardi di euro. Se portato a termine, il contratto potrebbe rappresentare il più grande ordine di blindati della storia dell’impresa di armi. L’accordo, che vede coinvolta per la parte italiana l’azienda Leonardo, dovrebbe avere una durata di 15 anni. L’ordine effettuato alla Rheinmetall segue il fallimento delle trattative tra Leonardo e la holding tedesca della difesa KNDS per la costruzione di un nuovo carro armato per l’esercito italiano. Proprio a questo scopo, ieri Leonardo e Rheinmetall hanno annunciato un «accordo strategico» per lo «sviluppo della nuova generazione di sistemi di difesa terrestre», una joint venture paritetica il cui 60% delle attività sarà realizzato in Italia.
In una nota congiunta, Rheinmetall e Leonardo – societĂ pubblica italiana attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza – hanno spiegato che la finalitĂ dell’accordo è lo sviluppo industriale e la conseguente commercializzazione del nuovo Main Battle Tank (MBT) e della nuova piattaforma Lynx per il sistema di combattimento della fanteria corazzata (AICS), nella cornice dei programmi di sistemi di terra dell’Esercito Italiano. Il patto getta le basi per l’adozione da parte dell’Esercito Italiano del nuovo tank di Rheinmetall KF-51 Panther – al posto del Leopard 2A8, che era invece previsto nell’ambito di un precedente accordo di Leonardo con Krauss Maffei Wegman/KNDS Germania, recentemente affossato – e del veicolo corazzato da combattimento per la fanteria b, giĂ ordinato dall’Esercito Ungherese. Nel comunicato viene messo nero su bianco che «con il carro armato KF-51 Panther di nuova concezione e il nuovo veicolo da combattimento della fanteria KF-41 Lynx, Rheinmetall dispone della tecnologia di base adeguata su cui costruire entrambi i programmi». Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo, ha affermato che «la tecnologia e le sinergie industriali tra Leonardo e Rheinmetall rappresentano un’opportunitĂ unica per sviluppare Mbt e veicoli di fanteria all’avanguardia», parlando dell’accordo come di un «contributo fondamentale alla creazione di uno spazio di difesa europeo».
E proprio il partito che, ai tempi delle trattative per la formazione del governo Draghi, aveva contribuito a proiettare Cingolani sulla poltrona piĂą alta del Ministero della Transizione Ecologica ora vuole vederci chiaro. «Secondo la stampa tedesca, la Difesa ha chiuso un accordo da 20 miliardi con Rheinmetall per la fornitura di 550 carri armati: 200 carri pesanti Panther e 350 carri leggeri Lynx. Tra settembre 2022 e febbraio 2023 il Parlamento ha autorizzato, con il voto contrario del M5S, investimenti pluriennali per oltre 23 miliardi per la fornitura di 840 carri armati, 270 pesanti e 570 leggeri», hanno dichiarato i capigruppo del Movimento cinque stelle nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Marco Pellegrini e Bruno Marton. I parlamentari pentastellati hanno evidenziato che «il nuovo accordo, che sostituisce quello appena naufragato con il consorzio franco-tedesco Knds a causa del rifiuto di costruire i mezzi anche in Italia, se le cifre e le quantitĂ fossero confermate configurerebbe un sostanziale aumento del costo medio unitario dei mezzi, da 28 a 36 milioni di euro e una disponibilitĂ di nuovi mezzi per l’Esercito assai inferiore a quanto prospettato dalla Difesa al Parlamento». Per questo motivo, hanno invitato il ministro della Difesa a chiarire la situazione. «Riteniamo necessario che il ministro Crosetto informi il Parlamento sull’evoluzione di questo gigantesco e costosissimo programma di riarmo, che ci vede contrari e proprio per questo attenti al suo sviluppo», hanno concluso.
Leonardo ha fortemente beneficiato degli effetti dello scoppio dei conflitti in territorio russo-ucraino e sul versante Mediorientale. L’azienda ha infatti chiuso il 2023 con risultati record, registrando ordini sopra le previsioni a 17,9 miliardi di euro (+3,8%) e ricavi per un ammontare di 15,3 miliardi (+3,9% rispetto al 2022), evidenziando una crescita di tutte le divisioni. Che la guerra e la corsa agli armamenti abbiano gonfiato le vele agli affari di Leonardo è stato ben visibile fin dal 24 febbraio 2022, giorno dell’invasione russa in Ucraina, e dal 7 ottobre 2023, quando è scoppiato il conflitto Israele-Hamas. Se il 23 febbraio 2022 Leonardo valeva 6,4 euro, solo due giorni dopo il valore delle sue azioni è salito a 9 euro; il 6 ottobre 2023 era giĂ a 12,94 euro (il 102% in piĂą), mentre il 12 ottobre ha registrato un’impennata del 123,5 per cento, attestandosi a 14,31 euro. E che l’azienda puntasse le sue carte migliori sulla guerra lo raccontano i dati: se nel 2013 il fatturato militare era pari al 49,6%, solo dal 2017 al 2022 ha registrato un clamoroso boom, alzandosi dal 68% all’83%.
[di Stefano Baudino]
Gli USA daranno 176 milioni a Moderna per sviluppare il vaccino contro l’aviaria
Il governo degli Stati Uniti ha assegnato 176 milioni di dollari all’azienda farmaceutica Moderna affinchè questa possa continuare a sviluppare il vaccino contro l’influenza aviaria. Nel Paese stanno infatti aumentando le preoccupazioni del governo in merito al possibile diffondersi di una pandemia da virus H5N1, dopo che a marzo è stato segnalato un focolaio nei bovini da latte, che da allora ha infettato piĂą di 130 mandrie in 12 Stati e tre allevatori. I fondi, erogati dalla U.S. Biomedical Advanced Research and Development Authority (l’autoritĂ statunitense per la ricerca e lo sviluppo biomedico avanzati) serviranno a completare lo sviluppo e la sperimentazione in fase avanzata (la quale inizierĂ nel 2025) di un vaccino a base di mRNA. Sebbene la vaccinazione non sia al momento raccomandata a nessuno, all’interno delle agenzie governative si sta discutendo circa la necessitĂ di vaccinare i lavoratori agricoli.
Moderna sta giĂ lavorando ad un vaccino contro l’influenza aviaria, rimasto tuttavia fino ad ora in una fase anzora iniziale, che utilizza la medesima tecnologia mRNA impiegata per il rapido sviluppo e il lancio dei “vaccini” contro il Covid-19. I fondi, assegnati dal governo attraverso la Biomedical Advanced Research and Development Authority (BARDA, un programma che si concentra sui trattamenti medici per potenziali pandemie), serviranno per continuare rapidamente lo sviluppo del vaccino, compresa una sperimentazione in fase avanzata prevista per il prossimo anno, se i primi risultati dello studio saranno positivi. Lo United States Department of Health and Human Services (HHS) ha fatto sapere che il progetto può essere rapidamente reindirizzato verso un’altra forma di influenza, allorquando dovesse emergere una minaccia diversa dalla forma del virus H5N1. Il contratto include quindi, se necessario, opzioni per accelerare la tempistica di sviluppo in base al possibile aumento dei casi negli esseri umani, alla gravitĂ dei casi o alla trasmissione da uomo a uomo del virus o, addirittura, se dovesse emergere una nuova forma di virus.
Robert Johnson, direttore del programma di contromisure mediche presso l’HHS, ha detto che «è troppo presto per dire quante dosi Moderna sarĂ in grado di produrre». Gli scienziati temono che l’esposizione al virus nelle operazioni del settore del pollame e di quello lattiero-caseario possa aumentare il rischio che il virus muti e acquisisca la capacitĂ di diffondersi facilmente tra le persone, innescando una pandemia. Dawn O’Connell, assistente segretario per la preparazione e la risposta dell’HHS, ha detto che il rischio per il pubblico in generale rimane basso e che la vaccinazione non è attualmente raccomandata per nessun segmento della popolazione. Tuttavia, all’interno delle agenzie governative si sta discutendo dell’utilitĂ di vaccinare i lavoratori agricoli, ha affermato Nirav Shah, vicedirettore principale el Centers for Disease Control and Prevention (CDC).
O’Connell ha anche detto che l’HHS sta negoziando anche con Pfizer per un vaccino a mRNA contro l’H5N1 e che il governo si aspetta di avere altri annunci su prossimi vaccini contro il virus H5N1. Entrambi i vaccini Moderna e Pfizer utilizzano l’RNA messaggero, la tecnologia utilizzata nei prodotti inoculati per il COVID-19. Alla fine di maggio i funzionari statunitensi avevano l’acquisto del vaccino dal produttore CSL Seqirus, la quale potrebbe giĂ fornire 4,8 milioni di dosi. Alcune di queste dosi potrebbero essere disponibili giĂ questo mese, ha detto O’Connell, e potrebbero essere utilizzate per inoculare i lavoratori agricoli e altri soggetti a rischio di esposizione al virus.
Don Prater, direttore del Centro per la sicurezza alimentare e la nutrizione applicata della Food and Drug Administration (FDA), ha spiegato che gli esperimenti di laboratorio dell’agenzia negli Stati Uniti continuano a confermare che la pastorizzazione inattiva il virus dell’influenza aviaria nei prodotti lattiero-caseari. La FDA sta continuando a condurre test sui prodotti lattiero-caseari al dettaglio per tracce l’influenza aviaria e ha messo in guardia contro il consumo di latte crudo.
[di Michele Manfrin]
Camorra, Schiavone pentito “flop”: torna al 41-bis
La Procura di Napoli ha ufficialmente interrotto il processo di collaborazione con Francesco Schiavone, boss del clan dei Casalesi anche noto come “Sandokan”, in carcere dal 1998. Secondo i magistrati, coordinati dal Procuratore Nicola Gratteri, Schiavone non avrebbe infatti fornito dichiarazioni utili in occasione degli interrogatori. Il programma di protezione cui era stato sottoposto è stato dunque revocato e per il mafioso è stato disposto il rientro al 41-bis. Prima di “Sandokan”, avevano deciso di pentirsi il primogenito Nicola (nel 2018) e il secondo figlio Walter (nel 2021). Rimangono invece ancora in carcere gli altri figli Emanuele Libero e Carmine.
Inquinamento: le particelle ultrafini degli aerei sono un pericolo per 1,6 milioni di italiani
Sarebbero almeno 1,6 milioni i cittadini italiani esposti alle particelle ultrafini derivanti dall’aviazione (UFP). Stiamo parlando degli abitanti che vivono in un raggio di 20 km dai due aeroporti piĂą trafficati dello Stivale: Roma Fiumicino e Milano Malpensa. A renderlo noto è una ricerca realizzata dall’organizzazione Transport & Environment. L’analisi ha esaminato i due aeroporti italiani con i maggiori volumi di traffico e quantificato i cittadini coinvolti: 700.000 romani e oltre 900.000 milanesi. L’esposizione alle particelle ultrafini, la componente piĂą piccola del particolato, è collegata allo sviluppo di condizioni di salute gravi e a lungo termine, tra cui problemi respiratori, effetti cardiovascolari, cancro e complicazioni durante la gravidanza.
Lo studio di Transport & Environment è stato pubblicato martedì 25 giugno e rileva che “migliaia di casi di ipertensione, diabete e demenza in tutta Europa potrebbero essere collegati alle minuscole particelle emesse dagli aerei“. Secondo la ricerca dell’organizzazione ambientalista, l’oltre un milione e mezzo di italiani che vivono in prossimitĂ dei due grandi poli dello scalo aereo di Fiumicino e Malpensa farebbero parte dei circa 52 milioni di cittadini europei che vivono nei pressi dei 32 aeroporti piĂą trafficati del continente, esposti alle stesse emissioni. Come si legge nel comunicato stampa della stessa organizzazione, secondo l’inedita analisi, “l’esposizione alle particelle ultrafini potrebbe essere associata a circa 280.000 casi di ipertensione, 330.000 casi di diabete e 18.000 casi di demenza in Europa”. Solo in Italia si parla invece di “oltre 7.000 casi di ipertensione e altrettanti di diabete e piĂą di 200 casi di demenza”. Le persone piĂą a rischio, tra l’altro, sarebbero i piĂą poveri e vulnerabili, perchĂ©, sottolinea lo studio, “in molte cittĂ , esiste una correlazione tra chi vive vicino a un aeroporto (tipicamente zone periferiche o esterne al tessuto urbano della cittĂ ) e i redditi piĂą bassi”.
Uno dei problemi maggiori che viene sottolineato da Transport & Environment è la mancanza di leggi di contenimento delle emissioni di particelle ultrasottili, e dunque l’assenza delle dovute “regolamentazioni sulle soglie di concentrazione” nell’aria. Secondo l’associazione ambientalista, inoltre, ridurre le emissioni di UFP non è solo urgente, ma anche possibile, per esempio attraverso “l’utilizzo di carburanti di migliore qualitĂ ” che permetterebbero di “abbattere le emissioni di questo inquinante fino al 70%”; altra soluzione sarebbe il ricorso a tecnologie piĂą pulite e ad aerei a zero emissioni.
In generale, il problema dell’inquinamento atmosferico e della corruzione dell’aria risulta urgente in tutta la comunitĂ europea. Nello specifico, in Italia la situazione raggiunge uno stato di particolare gravitĂ nell’area della Pianura Padana, la cui aria risulta la piĂą irrespirabile d’Europa; secondo uno studio, inoltre, 58 provincie italiane avrebbero superato i livelli di inquinamento fissati dall’Organizzazione Mondiale della SanitĂ . A tal proposito, l’Unione Europea ha recentemente aperto una procedura d’infrazione contro Roma, rilevando come nel 2022 in Italia erano presenti “ventiquattro zone” che superavano i valori limite giornalieri di concentrazione dell’inquinamento, mentre una zona superava i limiti annuali.
[di Dario Lucisano]
Libano, ucciso un alto comandante di Hezbollah
Nella giornata di ieri le Forze di Difesa Israeliane hanno ucciso Mohammed Ni’ma Nasser, un importante comandante di Hezbollah, dal 2016 a capo della “unità Aziz”. Come descrive la stessa Hezbollah, Nasser è stato colpito da un bombardamento nell’area di Al-Housh, nel sud del Libano. La morte di Nasser arriva in un momento particolarmente teso tra Libano e Israele, a meno di un mese dalla morte di Taleb Sami Abdallah, in seguito alla quale l’organizzazione libanese ha risposto lanciando dozzine di razzi su Israele. I due vengono descritti dalle IDF come “tra i più significativi terroristi di Hezbollah nel Libano del sud”.
Ripristino dei dazi e trattativa: l’UE a guida Orban cambia registro sull’Ucraina
L’inizio della presidenza di turno ungherese del Consiglio dell’UE sta già facendo registrare i primi cambi di passo nella gestione della questione ucraina, sia per quanto riguarda il conflitto in corso con la Russia, sia per la gestione europea dei rapporti con Kiev, specie per quanto attiene il settore delle importazioni agricole. Già la scorsa settimana, infatti, erano stati reintrodotti i dazi sull’avena ucraina e ora l’UE è pronta a reimporli da venerdì anche su zucchero e uova. Non stupisce che proprio ora che l’Ungheria di Orban ha assunto la presidenza di turno vengano ripristinati i dazi sulle merci di Kiev, considerato che i Paesi dell’est Europa, compresa Budapest, hanno sempre denunciato la concorrenza sleale di Kiev che invade i mercati europei con prodotti a basso costo, suscitando forte malcontento tra gli agricoltori dei Paesi confinanti. La decisione arriva pochi giorni dopo l’apertura dei colloqui di adesione dell’Ucraina all’Ue. Allo stesso tempo, dopo appena un giorno dall’inizio della presidenza del Consiglio Ue, il primo ministro magiaro è volato per la prima volta in Ucraina dall’inizio del conflitto con la Russia nel 2022, per «discutere di pace in Europa», come ha riferito su X il suo portavoce, Zoltán Kovács, esortando Kiev ad avviare negoziati con la Russia.
La visita di Orban a Kiev avviene nonostante la “vicinanza” di Budapest a Mosca e mentre il capo ungherese sta bloccando circa 6,5 miliardi di euro in aiuti militari all’Ucraina attraverso lo European Peace Facility, cosa che preoccupa non poco gli altri Stati europei che sostengono incondizionatamente Kiev e che ha portato il presidente ucraino Zelensky e Orban a scontrarsi più volte dopo l’inizio della guerra. Durante i colloqui, tuttavia, i due capi di Stato hanno «accettato di lasciarsi alle spalle le controversie del passato e di lavorare per migliorare le relazioni bilaterali, puntando a un accordo di cooperazione globale per l’Ucraina» ha riferito Kovács, il quale ha spiegato che i colloqui si sarebbero concentrati «sulle possibilità di raggiungere la pace e sulle questioni attuali delle relazioni bilaterali tra Ungheria e Ucraina». La soluzione proposta dal capo magiaro per raggiungere la pace, però, è molto diversa da quella degli altri Stati europei, per i quali la condizione necessaria è l’integrità territoriale dell’Ucraina. Orban, invece, ha dichiarato che «l’Ucraina dovrebbe proclamare il cessate il fuoco e avviare negoziati con la Russia», definendo l’impegno sull’Ucraina «la questione principale dei prossimi 6 mesi di presidenza ungherese dell’Ue».
Il “piano di pace” ungherese, tuttavia, non è disinteressato: l’incontro tra i due capi di Stato, infatti, è stato pianificato dopo il raggiungimento di un accordo di massima sui diritti della minoranza etnica ungherese che vive in Ucraina. Budapest, infatti, ha spesso accusato Kiev di limitare i diritti di circa 150.000 ungheresi che vivono nell’estremo ovest dell’Ucraina. La questione della minoranza ungherese, inoltre, è stata la principale motivazione con cui l’Ungheria ha giustificato la sua avversione all’inizio dei negoziati di adesione di Kiev all’UE. Non è un caso, dunque, che la nazione magiara abbia chiesto di riconoscere la regione ucraina della Transcarpazia come “tradizionalmente ungherese”, in cambio dell’accettazione di colloqui sull’adesione del Paese all’UE. Secondo alcuni osservatori, in caso di sconfitta ucraina, alcuni dei suoi territori di confine potrebbero essere annessi dalle nazioni limitrofe, tra cui Ungheria e Polonia, alimentando così il sogno nazionalista della “Grande Ungheria”.
Anche la decisione di reimporre i dazi sui prodotti alimentari ucraini arriva pochi giorni dopo l’inizio delle trattative di adesione alla comunità europea e sottolinea la complessità dei negoziati: l’Ucraina, infatti, è una potenza agricola in grado di produrre cibo a prezzi più bassi rispetto a quelli degli altri Stati UE e diventerebbe la principale beneficiaria dei sussidi agricoli dell’UE previsti dalla PAC (Politica agricola comune). Bruxelles aveva deciso di sospendere l’imposizione dei dazi sulle merci del Paese est europeo nel giugno del 2022 – quatto mesi dopo lo scoppio della guerra russo-ucraina – per sostenere la nazione in guerra contro Mosca. Tuttavia, l’iniziativa ha suscitato animate proteste soprattutto in Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia, in seguito alle quali, lo scorso marzo, l’Ue aveva dovuto reintrodurre temporaneamente alcune tariffe doganali limitando le importazioni senza imposte. Ora, con la guida semestrale ungherese del Consiglio UE, a partire da venerdì prossimo saranno rimessi i dazi su zucchero e uova, mentre le tariffe sull’avena erano già state reintrodotte la scorsa settimana, con una cifra di 89 euro a tonnellata e dureranno fino a giugno 2025. Si registra, dunque, un cambio di registro nell’atteggiamento europeo verso Kiev che include anche una maggiore pressione per l’avvio di negoziati con Mosca. Considerata però la divergenza con gli altri Stati membri su quest’ultimo punto, appare difficile che Orban possa riuscire a tradurre i suoi sforzi diplomatici in iniziative concrete.
[di Giorgia Audiello]
L’Indipendente è finanziato dai russi? La nuova figuraccia di Repubblica
Evidentemente non vedevano l’ora. Aspettavano solo il pretesto e lo hanno usato per attaccare L’Indipendente con un articolo basato sul nulla. Senza uno straccio di fonte, giornalisticamente inconsistente, deontologicamente imbarazzante. La penna sguainata dai capoccia della redazione di Repubblica è quella, in realtà non molto affilata, di Giuliano Foschini. Il Foschini rilancia il solito teorema secondo cui l’Italia sarebbe «uno dei target principali» di una «precisa campagna di disinformazione di Mosca per delegittimare i paesi europei» attraverso «finanziamenti specifici a siti e influencer». Una teoria sulla quale il martellamento mediatico è inversamente proporzionale alle prove inesistenti a supporto. Ad ogni modo, quello che interessa a Repubblica non è certo fornire accertamenti sul fatto, ma darlo come assodato per colpire L’Indipendente, colpevole, agli occhi dell’autore, di non avere pubblicità ma di esistere solo grazie ad «abbonamenti e anonimi donatori». Addirittura, scrive Foschini, L’Indipendente nelle ultime settimane ha lanciato una «robusta ed efficace campagna di marketing». Incredibile! Un giornale che nonostante non prenda un euro, e quindi non sia influenzabile, dai potentati economico-politici che condizionano il suo e molti altri giornali, riesce con il solo contributo dei lettori a esistere e a farsi anche pubblicità . Per di più in maniera «efficace», senza nemmeno mettere in promozione gli abbonamenti a un euro come fanno i suoi editori. Per Foschini l’arcano è presto svelato e suggerito in maniera per nulla velata tra le righe: gli «anonimi donatori» devono essere senza dubbio agenti del Cremlino. Tanto che «anche su questo la Polizia farà approfondimenti». Come direttore de L’Indipendente, mentre resto in trepidante attesa di ricevere notifica di indagini in merito, mi tocca cogliere l’occasione per spiegare ai lettori qualche cosa in merito a questa storia e, visto che ci siamo, sui temibilissimi «anonimi donatori» che ci foraggiano.
Prima di cominciare riavvolgiamo brevemente il nastro per coloro che si fossero persi l’antefatto. Il tutto ha inizio su una questione che interessa un post sui social personali di Matteo Gracis, che de L’Indipendente è cofondatore, senza ricoprire alcun ruolo in redazione. Come già spiegato in un comunicato, il nostro giornale nella vicenda non c’entra nulla e su Repubblica, come su altri quotidiani che hanno trattato la vicenda, è stato tirato in ballo per provare a colpire una realtà che, evidentemente, fanno finta ignorare ma conoscono bene.
In ogni caso, al buon Foschini, sarebbe bastato chiederci lumi con una mail e volentieri gli si sarebbe spiegato che, fortunatamente, in tre anni di duro lavoro – cercando di restituire alla professione giornalistica una deontologia e un’autonomia che molti giornali hanno perso tra le pieghe di bilanci in profondo rosso – attorno a L’Indipendente siamo riusciti a costruire una comunità di migliaia di abbonati che ci permettono di esistere, crescere e – addirittura – di fare campagne di marketing. E poi si, in effetti a L’Indipendente è possibile fare anche donazioni: uno strumento comune a molte altre testate grandi e piccole (compreso il The Guardian, uno dei più importanti quotidiani al mondo) pensato per chi vuole supportare il nostro giornalismo. Il peso delle donazioni rispetto al nostro bilancio è marginale, non arriva al 5%, e la grande maggioranza sono di pochi euro.
Ho chiesto alla nostra segretaria di controllare: donazioni in rubli nessuna. Non me ne capacito. Eppure ci abbiamo provato in tutti i modi, pubblicando anche articoli con titoli come “La repressione del movimento contro la guerra in Russia”, dove spiegavamo ai nostri lettori che in Russia c’è una sistematica oppressione dei pacifisti, che certamente al Cremlino avranno gradito oltremodo.
In veritĂ , la cosa che nelle redazioni della stampa mainstream probabilmente non sopportano è che il giornalismo non lo facciamo a senso unico pro-Nato come sono costretti a fare loro. E se raccontiamo al lettore della repressione in Russia, non omettiamo di riportargli come anche Zelensky abbia fatto carta straccia delle libertĂ civili in Ucraina, accorpando i media sotto il controllo di un ente governativo e chiudendo i partiti di opposizione. Ed evidentemente, l’altra nostra colpa è anche quella di non dare spazio a clamorose bufale sempre e solo a senso unico – sull’Ucraina e non solo – che lette a mesi di distanza fanno ridere per non piangere: “Mancano munizioni, russi all’assalto del nemico con le pale” (ops, proprio La Repubblica, 6 marzo 2023) o “PerchĂ© le sanzioni contro la Russia stanno funzionando” (ops, sempre La Repubblica, 12 settembre 2022), o quando sono arrivati al punto in cui, per giustificare il genocidio israeliano su Gaza, hanno pubblicato come nuova un’analisi fatta da un autore che era morto da due anni: è successo davvero e, non ci crederete, ancora su Repubblica (il 3 giugno scorso, e anche se poi hanno modificato l’occhiello scrivendo che lo scritto risaliva al 2011, il web non perdona e la versione originale dove si fa credere che si tratti di un contenuto inedito esiste ancora).
Senza abusare della pazienza di chi legge, che di cose nel mondo ne accadono di più importanti e su quelle si dovrebbe concentrare il giornalismo, un’ultima cosa: mentre da Repubblica preannunciano indagini su fondi e interessi occulti de L’Indipendente, noi sui loro non abbiamo bisogno di fare altrettanto, perché è tutto pubblico. L’editore di Repubblica è sotto inchiesta per truffa ai danni dello Stato per aver taroccato carte e conti, al fine di ottenere illecitamente fondi per cassa integrazione e prepensionamenti. Lo stesso editore, John Elkann, esercita una censura talmente pervasiva da aver costretto la Repubblica a mandare al macero centomila copie dell’inserto “Affari e Finanza” perché in prima pagina c’era un articolo che parlava dei legami economici sbilanciati tra Italia e Francia, evidentemente sgradito visto che l’azienda della famiglia Elkann-Agnelli, Stellantis, è direttamente partecipata dallo Stato francese. Una censura contro la quale protestarono gli stessi giornalisti di Repubblica, sfiduciando il direttore Maurizio Molinari, che però rimane al suo posto imponendo una linea editoriale talmente propagandistica da censurare interviste, come quella al cantante Ghali, ritenuto troppo filo-palestinese, e da spingere chi non è d’accordo ad andarsene, come recentemente fatto dal giornalista e collaboratore di lungo corso Raffaele Oriani, che ha denunciato come il massacro israeliano su Gaza sia in corso anche grazie «all’incredibile reticenza di gran parte della stampa europea, compresa Repubblica».
Ad ogni modo il problema non è tanto La Repubblica (che nei suoi vizi è in “buona” compagnia), nĂ© tantomeno il redattore Giuliano Foschini. Il problema, purtroppo, riguarda il complesso dell’informazione mainstream. Un mondo al quale, prima di tornare al nostro lavoro (il giornalismo) proponiamo una piccola scommessa: noi non abbiamo problemi a dimostrare di non aver mai preso un rublo russo, voi potreste fare lo stesso parlando di dollari americani e shekel israeliani?
[di Andrea Legni – direttore de L’Indipendente]
Speculazione energetica: la Sardegna approva una moratoria sui nuovi progetti
La Regione Sardegna ha approvato una moratoria di 18 mesi che blocca ogni nuovo progetto di energia rinnovabile, eolico e fotovoltaico, al fine di fermare quello che è stato definito “assalto delle multinazionali” al suolo sardo. Una norma definita «transitoria e di emergenza» al fine di consentire di pianificare il futuro energetico della regione e la mappa delle aree idonee. Il Grig (Gruppo di intervento giuridico), associazione che si batte contro gli abusi dell’eolico in Sardegna, ha calcolato che a settembre 2023 risultavano ben 711 istanze di concessione a nuovi impianti. Un assalto che negli ultimi mesi ha provocato la nascita di un ampio movimento di cittadini che chiede lo stop alla speculazione e la tutela del paesaggio. A favore della norma ha votato la maggioranza di centro-sinistra, mentre le opposizioni si sono astenute giudicando la legge «timida e insufficiente, finalizzata esclusivamente a calmare gli animi di cittadini e movimenti», come dichiarato dal capogruppo di FdI in Consiglio Regionale, Paolo Truzzu.
La sospensiva per eolico e fotovoltaico è stata approvata con 32 voti a favore, uno contrario e 21 astenuti. Nello specifico, la legge sancisce il divieto di realizzare nuovi impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili non ancora concessi o autorizzati. Rimangono invece esclusi “gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili finalizzati all’autoconsumo”, e “quelli ricompresi nelle comunitĂ energetiche”. In sede di votazione sono stati bocciati alcuni degli emendamenti della minoranza di destra, tra cui, spiega Paolo Truzzu, «quello che, sfruttando la competenza primaria della nostra Regione in materia urbanistica, puntava a rinforzare la legge con l’introduzione di un parere obbligatorio e vincolante della Regione per tutti i procedimenti di competenza nazionale».
Davanti a una maggioranza regionale che descrive la sospensiva come una iniziativa salvifica, e a una minoranza che la considera uno spauracchio per acquietare le proteste, è difficile trovare qualcuno che analizzi la nuova legge assumendo una postura critica che ne rilevi punti di forza e punti di debolezza. Ci ha provato lo stesso Grig, che ha sollevato le varie criticitĂ della sospensiva, spiegando perchĂ© la proposta della Regione non basti per salvaguardare la Sardegna. Nello specifico, il Grig rileva la scarsa forza giuridica di cui è provvista la legge: secondo il gruppo, “una norma regionale che preveda la moratoria delle procedure ovvero la sospensione delle autorizzazioni delle centrali eoliche e fotovoltaiche sul proprio territorio regionale verrebbe con altissima probabilitĂ impugnata per conflitto di attribuzioni (art. 127 Cost.) dallo Stato davanti alla Corte costituzionale con esiti abbastanza prevedibili”. Inoltre, il fermo avanzato dalla legge riguarderebbe non tanto le concessioni, quanto la realizzazione delle opere, il che “significa che un progetto potrebbe esser autorizzato, ma non potrebbe esser concretamente realizzato”. Per superare le criticitĂ , il Grig propone piuttosto di redigere una moratoria nazionale, che si tradurrebbe in “una sospensione di qualsiasi procedura e autorizzazione per nuovi impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili”.
Le critiche e le voci di dissenso rivolte al disegno di legge “Misure urgenti per la salvaguardia del paesaggio, dei beni paesaggistici e ambientali” sono sorte sin dalla sua approvazione. In generale i cittadini sardi protestano da mesi contro la speculazione che regge il sistema di concessione di impianti eolici nell’isola. Tra le proteste piĂą recenti, quella di lunedì 24 giugno, sotto il motto “la transizione energetica deve servire, non asservire“. Gli attivisti, in particolare non intendono impedire il passaggio all’eolico e alle fonti di energia rinnovabile, ma lottare contro la speculazione selvaggia, per un processo di transizione che avvenga con la collaborazione dei cittadini e nel rispetto di un territorio il cui patrimonio naturale è sempre piĂą martoriato dall’attivitĂ umana.
[di Dario Lucisano]