Alti livelli di PFAS sono stati trovati nel sangue di tutti i 36 cittadini di Spinetta Marengo – Comune in provincia di Alessandria in cui sorge la Syensqo (ex Solvay), finita al centro di un processo per disastro ambientale – recentemente sottoposti a biomonitoriaggio. Nel 100% dei casi, infatti, risultano presenti concentrazioni superiori ai 2 nanogrammi per millilitro, soglia individuata come valore di riferimento dalla National Academies of Sciences e dal protocollo della Regione Piemonte, oltre la quale possono verificarsi effetti deleteri sulla salute umana. I 36 cittadini si sono sottoposti in maniera volontaria al test, promosso dalle associazioni Ànemo , Greenpeace Italia e Comitato Stop Solvay, nel mese di maggio. Le analisi, pagate di tasca propria dagli alessandrini, sono state effettuate da un laboratorio dell’Università tedesca di Aquisgrana. Un dato allarmante, dato che i PFAS sono sostanze altamente persistenti che possono causare molteplici problemi, anche molto gravi, alla salute.
La notizia è stata comunicata giovedì scorso, in occasione di una conferenza stampa tenuta nei pressi della prefettura cittadina dall’associazione Greenpeace, al cui fianco sedevano i rappresentanti dei comitati locali che, da anni, combattono affinché i PFAS siano messi al bando. Nello specifico, tra i PFAS rilevati, il composto risultato più presente è quello dei PFOA – classificati negli scorsi mesi come “cancerogeni certi” dagli scienziati dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) -, con concentrazioni comprese tra 0,84 e 22,76 nanogrammi per millilitro. Seguono i PFOS, classificati come “possibilmente” cancerogeni – rilevati in concentrazioni comprese tra 0,84 e 12,97 nanogrammi per millilitro. Contestualmente, sono state attestate anche alte concentrazioni di PFHxS, PFNA e PFDA. «Chiediamo accesso gratuito alle analisi, per tutti – ha detto Viola Cereda, del Comitato Stop Solvay, rivolgendosi alla nuova giunta regionale – e azioni concrete per risolvere il problema. È vero che non è colpa solo di questa industria, ma è chiaro a tutti che è ormai obsoleta e continuerà ad inquinare. Le istituzioni che cosa vogliono fare? Non si esprimono mai e ciò non è più tollerabile». «Abbiamo capito che quell’industria non può produrre senza sversare nell’ambiente sostanze tossiche – ha dichiarato Giuseppe Ungherese di Greenpeace – Le istituzioni devono far qualcosa per bloccare le produzioni nocive senza indugi. Gli interventi ‘spot’ non servono».
A inizio giugno, in seguito ai controlli eseguiti da Arpa Piemonte, che ha certificato il mancato rispetto dei limiti delle emissioni di PFAS nell’ambiente, la provincia di Alessandria ha mandato una doppia diffida all’ex Solvay, imponendo il fermo delle produzioni per 30 giorni. La prima si riferisce ai rilasci di schiume particolarmente gravi nel fiume Bormida nelle settimane precedenti, mentre la seconda riguarda i valori elevati registrati nei suoli interni al polo chimico. L’azienda non avrebbe rispettato l’autorizzazione integrata ambientale, la quale si basa su prescrizioni necessarie a non compromettere irrimediabilmente il territorio dove risiede la comunità limitrofa allo stabilimento. Nel frattempo, a fine maggio ha ufficialmente avuto inizio il processo davanti al GUP del Tribunale di Alessandria che vede Solvay alla sbarra per disastro ambientale colposo. Lo scorso 6 maggio, all’udienza preliminare, oltre 250 parti civili si sono costituite davanti al giudice, incluse associazioni ambientaliste e istituzioni. Si parla di un’inchiesta molto ampia, che ha colpito nello specifico due ex dirigenti Solvay, Stefano Bigini, dal 2008 e fino al dicembre 2018 direttore di stabilimento, e Andrea Diotto, dal 1° gennaio 2013 direttore dell’Unità di produzione fluidi e dal 1° settembre 2018 direttore di stabilimento.
I Pfas sono un gruppo che raccoglie oltre 10.000 molecole sintetiche non presenti in natura, utilizzate in vari processi industriali per la fabbricazione di prodotti come le padelle antiaderenti o qualche imballaggio alimentare. Essendo molecole fortemente stabili, esse non vengono degradate brevemente nell’ambiente e sono state definite “inquinanti eterni”. L’esposizione ai Pfas è stata associata a problemi alla tiroide, diabete, danni al fegato e al sistema immunitario, cancro al rene e ai testicoli e ad impatti negativi sulla fertilità. I Pfas sono già stati rilevati in Veneto – dove la questione è così seria che anche l’Alto Commissariato dell’Onu spedì anni fa una delegazione – e, come hanno dimostrato recenti ricerche, nelle acque di quasi tutte le regioni Italiane.
[di Stefano Baudino]