Sale la tensione tra Russia e Stati Uniti, dopo l’attacco ucraino condotto con missili statunitensi di tipo ATACM, che ha colpito le spiagge di Sebastopoli, in Crimea, uccidendo 5 persone, tra cui due bambini, e ferendone oltre 150. In seguito agli attacchi, il Ministero della Difesa russo ha rilasciato un breve comunicato in cui sostiene che “gli specialisti statunitensi hanno impostato le coordinate di volo” dei missili ATACM “sulla base dei dati del sistema di ricognizione satellitare statunitense”. Per tale motivo Washington è ritenuta “in gran parte responsabile” dello stesso attacco. Le accuse che il Ministro della Difesa ha lanciato contro gli USA arrivano due settimane dopo le dichiarazioni del capo del comitato per la difesa della Camera Bassa del Parlamento russo Andrei Kartapolov, che ha suggerito la possibilità – in caso di eccessive minacce contro il Paese – di ridurre il tempo decisionale previsto per l’utilizzo di una serie di misure di emergenza, tra cui quello delle armi nucleari.
L’offensiva ucraina in Crimea ha colpito Sebastopoli nella giornata di ieri, domenica 23 giugno. Stando a quanto riporta l’agenzia di stampa russa TASS, l’attacco, definito “terroristico”, sarebbe stato lanciato contro le infrastrutture civili di Sebastopoli mediante l’uso di missili tattici ATACM dotati di munizioni a grappolo. Quattro di questi missili sarebbero stati abbattuti dai sistemi di difesa aerea russi, mentre un quinto sarebbe esploso sulla città, causando almeno cinque vittime e 150 feriti; due bambini si troverebbero ora in condizioni critiche. In seguito all’attacco è stata proclamata una giornata di lutto in tutta la Crimea. Il bombardamento di ieri è stato fonte di forti sdegno e denunce da parte di tutta la Federazione russa. Nello specifico, a essere ritenuti responsabili sono proprio gli Stati Uniti, perché hanno fornito i missili all’Ucraina, ma Washington non ha ancora fornito una reale risposta all’accusa. Tra le aule del Parlamento statunitense, tuttavia, ha iniziato ad alzarsi qualche voce fuori dal coro: la deputata repubblicana Taylor Greene si è infatti espressa contraria a mandare a Kiev armi da utilizzare su suolo russo, chiedendosi cosa sarebbe successo se una analoga situazione si fosse verificata negli Stati Uniti.
Il monito lanciato da Greene rientra all’interno di un accesissimo dibattito riguardante il limite da imporre a Kiev sull’impiego delle armi che le vengono inviate, e che coinvolge tutti gli alleati dell’Ucraina. Il tema è discusso da tempo, ma è finito al centro dei riflettori dopo le recenti dichiarazioni del Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg, il quale in una intervista ha dichiarato senza mezzi termini che secondo lui i Paesi membri dell’alleanza transatlantica avrebbero dovuto iniziare a rivalutare la posizione con la quale negano a Kiev la possibilità di utilizzare armi inviate «contro bersagli militari legittimi su suolo russo». In seguito a tali dichiarazioni, qualche Paese, come Germania e Francia, ha già dato il via libera all’Ucraina per utilizzare le proprie armi sul territorio russo, mentre negli USA si sta ancora parlando del tema; secondo indiscrezioni mediatiche non realmente verificabili, gli Stati Uniti starebbero considerando di virare verso una via di mezzo, che consisterebbe nel permettere a Kiev di usare le proprie armi direttamente contro la Russia, ma solo entro un raggio limite di 100 chilometri.
Se nelle ultime settimane la questione dell’impiego delle armi alleate su suolo russo sta venendo particolarmente stressata è perché la stessa Russia sta penetrando con forza all’interno del territorio ucraino. L’avanzata di Mosca sembra infatti procedere a passo sostenuto tanto nella regione di Kharkiv quanto in quella di Zaporizhzhia, mentre nel frattempo la parallela via diplomatica pare a dir poco statica. Recentemente, Putin ha inviato a Kiev una proposta di pace dalle dure condizioni, prontamente rifiutata da Zelensky; poco dopo in Svizzera si è tenuto un tavolo di pace con i delegati di 100 Paesi e organizzazioni, in cui tuttavia la Russia risultava assente. Una reale soluzione di pace, insomma, sembra ancora piuttosto lontana. In tal senso il continuo fare riferimento a una possibile escalation da parte dei leader occidentali – primo fra tutti Macron – e l’altrettanto insistente tema delle armi non fanno che aumentare il rischio di allargamento del conflitto, fomentato anche dalle dichiarazioni e dalle accuse che sono seguite agli attacchi di ieri.
[di Dario Lucisano]