Un cittadino ucraino sospettato di aver partecipato alle esplosioni del 2022 che hanno danneggiato i gasdotti Nord Stream è stato arrestato in Italia, nella provincia di Rimini, dai Carabinieri. L’uomo, identificato come Serhii K., è stato arrestato oggi su mandato di arresto europeo emesso dalla Procura federale tedesca. L’indagine ha rivelato che l’uomo e i suoi complici erano partiti da Rostock, in Germania, a bordo di uno yacht con documenti falsi. Le esplosioni, avvenute nel settembre 2022 e non seguite da rivendicazioni ufficiali, sono state considerate un atto di sabotaggio.
Nei fondali dell’Atlantico sono stati mappati 3000 fusti di scorie radioattive
La missione scientifica internazionale Noddsum, lanciata dal Centre National de la Recherche Scientifique, ha individuato e mappato oltre 3.000 fusti di scorie radioattive sui fondali dell’Atlantico nord-orientale. I rifiuti individuati sono parte di una discarica sottomarina composta da centinaia di migliaia di barili scaricati tra il 1946 e il 1993 da Paesi tra cui Italia, Francia e Regno Unito. I contenitori, sebbene spesso fortemente degradati, non hanno mostrato anomalie radioattive significative. Non esiste, tuttavia, tracciabilità sui materiali, ritenuti a bassa attività. La missione è durata un mese, durante il quale sono stati impiegati robot e campionamenti per studiare i siti e l’impatto sulla biodiversità; il CNRS prevede di lanciare una seconda missione per effettuare ulteriori rilevamenti sulle zone attorno ai barili.
La missione Noddsum, acronimo per Nuclear Ocean Dump Site Survey Monitoring (Monitoraggio del Sito di Scarico Nucleare Oceanico), è iniziata lo scorso 15 giugno e la prima spedizione si è conclusa l’11 luglio. Noddsum ha l’obiettivo di mappare e analizzare l’impatto sulle acque di parte dei 200.000 barili radioattivi scaricati da Italia, Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia e Svizzera nel Golfo di Buscaglia, che si estende dalla costa occidentale della Francia a quella settentrionale della Spagna. In totale, la missione ha localizzato con precisione quasi 3.350 fusti distribuiti su un’area di 163 chilometri quadrati, tra i 3.000 e i 5.000 metri di profondità, a 1.000 km a sud-ovest di Brest e 650 km a nord-ovest di La Coruña.
Secondo quanto spiega la squadra di ricerca, composta da 21 membri, le condizioni dei fusti rinvenuti variano notevolmente: alcuni sono stati trovati praticamente intatti, altri aperti, e altri ancora in avanzato stato di corrosione. La missione ha rilevato possibili perdite di materiale sconosciuto: non è infatti noto cosa i fusti contengano, poiché quando vennero scaricati non vi erano regole sulla tracciabilità; tuttavia, gli studiosi hanno spiegato che con ogni probabilità i barili dovrebbero contenere rifiuti a bassa intensità radioattiva, coperti da cemento o bitume. Nonostante le perdite, non sono state registrate attività radioattive anomale.
Dopo la spedizione, la missione è continuata – e sta continuando – anche in laboratorio: gli scienziati hanno infatti prelevato 300 campioni di sedimenti a circa 150 metri dai fusti, un totale di 5.000 litri d’acqua e 17 pesci che vivono nelle profondità marine. Pesci e materiale prelevati saranno sottoposti a misurazioni di laboratorio per valutarne l’eventuale contaminazione radioattiva. Nei prossimi due anni è prevista l’organizzazione di una seconda spedizione, per prelevare campioni di organismi marini e avvicinarsi ulteriormente ai barili.
La Nuova Zelanda raddoppia le spese militari e compra velivoli USA
Il governo neozelandese ha annunciato una spesa militare di 2,7 miliardi di dollari neozelandesi (1,3 miliardi di euro) per modernizzare le forze armate, inclusi l’acquisto di elicotteri dagli Stati Uniti. La decisione è motivata dall’aumento delle tensioni globali e dal deterioramento della sicurezza. Tradizionalmente, la Nuova Zelanda ha speso meno in difesa rispetto agli altri membri dei Five Eyes (Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada e Australia). L’acquisto di aerei ed elicotteri militari costituisce il primo annuncio di un piano governativo finalizzato a raddoppiare la spesa per la difesa dall’1 per cento al 2 per cento del Pil nel prossimo decennio.
Nuove colonie e assalto a Gaza: Israele accelera la colonizzazione della Palestina
Con l’approvazione del piano di insediamento E1 per la colonizzazione della Cisgiordania, Israele getta la maschera e dichiara apertamente di volere «seppellire l’idea di uno Stato palestinese». Lo ha fatto davanti a tutti quegli Stati occidentali forti a parole ma deboli nei fatti, che si dicono pronti a riconoscere uno Stato di Palestina a settembre, quando, nella visione di Israele, della Palestina non rimarrà più niente. Il piano dello Stato ebraico non si presta più a fraintendimenti politici: appropriarsi di tutto il territorio della Palestina storica, dalla Cisgiordania fino alla Striscia di Gaza, dove il ministro della Difesa ha dato il via libera all’occupazione della capitale, che attende soltanto l’autorizzazione finale. Nel frattempo, le incursioni dell’esercito nella Striscia si fanno sempre più serrate e Netanyahu ha disposto di accorciare i tempi per la presa definitiva di Gaza.
L’approvazione del cosiddetto “piano di espansione E1” è arrivata ieri pomeriggio, e ha lo scopo dichiarato di impedire ogni possibilità di nascita dello Stato palestinese. Il piano è stato rilanciato lo scorso mese, nel mezzo di un silenzio stampa da parte dei media di tutto il mondo (ne abbiamo parlato in un articolo de L’Indipendente), e prevede la costruzione di quasi 3.500 unità abitative tra Gerusalemme Est e Maale Adumim che spaccherebbero in due la Cisgiordania. E1 risale agli anni ’90 ma, vista la sua portata, è stato fermato svariate volte a causa della pressione internazionale. L’area designata collegherebbe giuridicamente e urbanisticamente la parte orientale di Gerusalemme a Maale Adumim, isolando i quartieri palestinesi di Gerusalemme Est dalle aree della Cisgiordania non occupate, e separando di fatto Betlemme, la stessa Gerusalemme Est e Ramallah. A promuoverlo è stato il ministro di estrema destra Bezalel Smotrich.
Il via libera a E1 è arrivato in parallelo all’approvazione del piano di occupazione di Gaza City da parte del ministro della Difesa Israel Katz. Il piano, denominato “Carri di Gedeone B” per richiamare l’offensiva lanciata a maggio di quest’anno, dovrebbe prevedere lo sfollamento da Gaza City di circa un milione di palestinesi, che avrebbero tempo fino al 7 ottobre 2025 per spostarsi a sud dell’enclave. Per portare a termine le operazioni, il ministro della Difesa Israel Katz avrebbe richiamato 60 mila riservisti, che andrebbero ad aggiungersi alle decine di migliaia già mobilitate. Il portavoce dell’esercito Effie Defrin avrebbe dichiarato ai giornali che le operazioni di offensiva alla periferia di Gaza City sono già iniziate, e che nella notte Israele avrebbe già preso possesso di parte del territorio. Dopo il via libera di Katz, l’ufficio del primo ministro ha affermato che Netanyahu ha «disposto che i tempi per la presa del controllo delle ultime roccaforti terroristiche e la sconfitta di Hamas vengano accorciati».
Nel frattempo continua il genocidio a Gaza. Nella sola giornata di ieri Israele ha ucciso almeno 81 persone, di cui 30 in fila per gli aiuti. Dall’escalation del 7 ottobre, Israele ha distrutto, danneggiato o reso inutilizzabile il 92% delle case (l’ultimo aggiornamento è di questo mese, luglio 2025), l’83% delle terre coltivabili e il 71% delle serre (i dati più recenti sono di aprile 2025), il 91,8% delle scuole (dato aggiornato all’ 8 luglio 2025), l’89% delle strutture idriche (febbraio 2025) e, in generale, il 78% di tutte le strutture della Striscia (8 luglio 2025); la metà degli ospedali risulta funzionante (13 agosto 2025), e l’86,3% del territorio della Striscia è sotto ordine di evacuazione o interdetto ai civili. In totale, l’esercito israeliano ha inoltre ucciso direttamente almeno 62.122 persone, anche se il numero totale dei morti potrebbe superare le centinaia di migliaia, come sostenuto da un articolo della rivista scientifica The Lancet e da una lettera di medici volontari nella Striscia.
Mali, scontri tra esercito e gruppi affiliati ad Al Qaeda: 21 morti
Nel Mali sono scoppiati scontri tra l’esercito regolare e Jama’at Nusrat al-Islam wal-Muslimin (JNIM), il principale gruppo islamista affiliato ad Al Qaeda presente sul territorio. JNIM ha dichiarato di avere portato avanti una operazione su larga scala, dopo la quale avrebbe preso il controllo di una caserma militare, catturato 2 soldati e sequestrato 15 veicoli militari e oltre 50 armi. Durante gli attacchi, riporta il SITE Intelligence Group, un’organizzazione non governativa con sede negli Stati Uniti che monitora le segnalazioni online dei militanti islamisti, i miliziani di JNIM avrebbero ucciso 21 soldati. L’esercito del Paese non ha fornito dettagli sul bilancio delle vittime, ma ha confermato gli attacchi.
Cambio ai vertici del WEF: il fondo BlackRock ne assumerà la direzione ad interim
Cambio di direzione ai vertici della più potente organizzazione internazionale che riunisce ogni anno il gotha della finanza, dell’industria e del mondo politico e accademico. Dopo gli scandali legati al fondatore e precedente presidente del World Economic Forum (WEF) – l’ingegnere ed economista tedesco Klaus Schwab – pochi giorni fa l’amministratore delegato di BlackRock, Larry Fink, e l’erede farmaceutico svizzero André Hoffmann hanno annunciato che assumeranno ad interim la guida dell’organizzazione con sede a Ginevra. «Siamo onorati di assumere questo ruolo di leadership ad interim in un momento cruciale per il World Economic Forum. […] Il mondo è più frammentato e complesso che mai, ma la necessità di una piattaforma che riunisca imprese, governi e società civile non è mai stata così forte», si legge nel comunicato stampa firmato dai due copresidenti.
Noto per le sue riunioni annuali a Davos, nelle Alpi svizzere, il WEF è spesso accusato dai critici di esercitare illegittime interferenze all’interno dei governi, plasmando una vera e propria agenda globale che prevede un nuovo paradigma di governo mondiale, indicato come “governance globale”, che si può sostanzialmente definire tecnocratico. Del resto, è stato proprio Klaus Schwab, insieme all’attuale re d’Inghilterra Carlo III, a formulare il piano e la necessità di un “Grande reset” all’insegna della tecnologia e della digitalizzazione della società, subito dopo la pandemia di COVID 19 per rispondere a quelle che vengono definite le “sfide globali”. Un piano da imporre agli Stati in modo non democratico che ha suscitato molte polemiche e che ha sottolineato il grande potere d’influenza della fondazione internazionale, considerata il braccio operativo della finanza globale.
Il WEF – che si autodefinisce un’«organizzazione internazionale per la cooperazione pubblico-privata» – è una realtà costituita da Big Tech (Microsoft, Google, Meta), Big Pharma (Pfizer, Moderna, Roche) e Élites finanziarie (BlackRock, Vanguard, UBS), tutte in grado di influenza ogni settore della vita pubblica, dalla salute all’istruzione ai media. La nomina a copresidente di André Hoffmann evidenzia bene anche il peso del settore farmaceutico nell’organizzazione: Hoffmann, infatti è l’attuale Vicepresidente del Consiglio di Amministrazione della casa farmaceutica Roche Holding.
Tale potere d’influenza della finanza internazionale è ora apertamente dichiarato con l’elezione a copresidente dell’amministratore delegato del fondo d’investimento più grande al mondo, Larry Fink. BlackRock, con un patrimonio gestito di 12.530 miliardi di dollari nel 2024, è da molti considerato come un “governo mondiale invisibile” per la sua capacità di influenzare le politiche internazionali grazie alle sue ingenti partecipazioni nelle più importanti istituzioni bancarie, assicurative, nei media e nelle principali corporation del mondo, oltre che per la sua capacità di comprare i titoli per il rifinanziamento del debito pubblico degli Stati. Agisce anche come consulente non ufficiale di governi e banche centrali. In Italia, la Roccia Nera gestisce circa cento miliardi di euro con partecipazioni in importanti banche e aziende, tra cui Intesa San Paolo, ENI, Mediaset, Unicredit, Finmeccanica e Atlantia (società che controlla Autostrade per l’Italia).
Dietro la maschera della filantropia e del bene comune e attraverso organizzazioni come il WEF, i capitali internazionali riescono, o quantomeno provano, a imporre la propria agenda, facendo leva sul loro potere economico. Il risultato è un accentramento e una verticalizzazione non solo della ricchezza, ma anche del potere decisionale, sottratto sempre più ai governi e ai parlamenti eletti, ormai subordinati al potere del denaro e al Moloch della finanza globale. Non a caso, già nel 2022, il WEF avvertiva che «sia le nostre istituzioni che i nostri leader non sono più adatti al loro scopo» e che i governi non possono più agire da soli, ma devono necessariamente tenere conto del settore privato, delle istituzioni sovranazionali e dello stesso WEF.
Recentemente, Larry Fink è approdato anche in Italia per un incontro di alto livello con il Primo ministro italiano Giorgia Meloni: secondo quanto dichiarato nella nota rilasciata dalla presidenza del Consiglio, al centro del colloquio c’era «un approfondito scambio di vedute su possibili investimenti del fondo USA in Italia». In altre parole, Black Rock potrebbe acquisire quote di alcuni asset strategici di proprietà dello Stato che il governo ha deciso di privatizzare e/o comprare alcuni titoli di Stato.
Il WEF è ora gestito, dunque, direttamente dal cuore della finanza internazionale che continuerà a dettare l’agenda della governance globale, potendo contare su un’articolata rete di capitali e aziende internazionali. Un potere a cui difficilmente i governi, soprattutto occidentali, riescono a sottrarsi, considerato che dipendono completamente dai mercati finanziari e dal culto ideologico del libero mercato. Lo stesso culto che ha permesso l’affermazione senza limiti di giganti come BlackRock. «Non vediamo l’ora di contribuire a plasmare un futuro più resiliente e prospero e di reinventare e rafforzare il Forum come istituzione indispensabile per la cooperazione pubblico-privato», hanno dichiarato nel comunicato ufficiale i due nuovi copresidenti.
Tax Receipt: così l’Australia spiega al contribuente come spende le sue tasse
Molti contribuenti in Italia esprimono il proprio malcontento per la mancanza di trasparenza su come vengano spesi i soldi delle tasse. Un’obiezione fondata, soprattutto considerando la direttiva europea 2011/85, che obbliga i Paesi membri a redigere bilanci chiari e accessibili, fornendo tutte le informazioni necessarie per analizzare la politica fiscale. Tuttavia, non tutti i Paesi adottano questo approccio. Un lettore australiano ci ha infatti inviato un documento pervenutogli dal governo, chiamato Tax Receipt, all’interno del quale, oltre a indicare l’importo totale delle tasse che ha versato, si illustra con precisione come vengono distribuite tali risorse tra i vari settori pubblici.
In particolare, se esaminiamo il caso specifico del nostro lettore Thomas Favaro, constatiamo che il governo australiano gli ha fatto sapere che la spesa più significativa della quota attinta dalle sue tasse è destinata a vari programmi di welfare (3.400 dollari australiani, AUD), con voci specifiche come anziani (1.318 AUD), disabilità (1.101 AUD), famiglie (629 AUD) e disoccupati (212 AUD). 1.507 AUD sono invece destinati ai servizi sanitari, 817 AUD all’educazione, 773 AUD alla difesa nazionale, 312 AUD ai servizi pubblici generali e 308 AUD agli interessi sul debito pubblico. Tra gli altri settori indicati nel documento, associati a cifre minori, sono presenti anche housing e comunità, carburante e energia, trasporti e comunicazioni, assistenza all’industria, ordine pubblico e sicurezza, affari esteri e aiuti economici, ricreazione e cultura e immigrazione.

Si tratta non solo di un documento informativo, ma anche un elemento educativo che promuove la partecipazione civica. In un’epoca in cui la fiducia nelle istituzioni pubbliche è spesso bassa, questa iniziativa ha lo scopo di aumentare la trasparenza e migliorare la responsabilità del governo nei confronti dei cittadini. Uno dei principali vantaggi del Tax Receipt è che aiuta a combattere l’opacità che spesso circonda l’amministrazione pubblica: in molti Paesi, infatti, i cittadini non sono sempre consapevoli di come vengano gestiti i loro soldi, e questo può portare a un distacco dalle politiche fiscali e dalla politica in generale. In Australia, invece, i contribuenti sono invitati a “osservare” direttamente come vengono utilizzati i loro soldi, il che può condurre a una maggiore fiducia nel sistema fiscale e un aumento del sostegno a politiche che sono chiaramente spiegate e giustificate.
Giappone: incendio su una nave della marina statunitense
È scoppiato un incendio sulla nave della Marina statunitense New Orleans. La nave si trova al largo della prefettura di Okinawa, nel Giappone meridionale, ed è in grado di trasportare oltre 1.150 persone tra soldati e personale. Per ora, non sono stati segnalati civili; ignote le cause dell’incendio. La Guardia Costiera giapponese ha affermato di avere mandato una delle sue navi in soccorso per domare l’incendio, aggiungendo che non erano state osservate perdite di petrolio nelle acque vicine. La New Orleans è una nave anfibia capace di trasportare truppe, elicotteri, e mezzi da sbarco; fa parte della settima flotta della Marina statunitense, con sede a Yokosuka, in Giappone.
Il rischio idrogeologico minaccia quasi tutti i comuni italiani
L’Italia è uno dei Paesi più vulnerabili al rischio idrogeologico, con quasi il 95% dei suoi comuni esposti a frane, alluvioni, erosione costiera o valanghe. Lo ha ufficialmente reso noto il Rapporto Ispra 2025, che ha attestato come le superfici esposte a frane siano aumentate del 15% in tre anni, raggiungendo il 23% del territorio nazionale. A rischio oltre 5,7 milioni di persone, di cui oltre un milione di residenti in aree a pericolosità elevata. In forte crescita i fenomeni franosi in Alto Adige, Toscana, Sardegna e Sicilia. Nel 2024 sono state in particolare censite 636mila frane. I cambiamenti climatici aggravano il quadro, con eventi estremi sempre più frequenti e imprevedibili. Sul fronte costiero si registra invece un lieve miglioramento, con le spiagge in avanzamento che superano quelle in erosione di 30 km.
Il report spiega che la superficie del territorio a rischio frane del nostro Paese aumentata del 15% rispetto al 2021, arrivando a coprire 69.500 km², pari al 23% del totale. Tra le aree più colpite ci sono quella di Bolzano, che ha visto un incremento del 61,2%, e le regioni Toscana (+52,8%), Sardegna (+29,4%) e Sicilia (+20,2%). L’incremento, puntualizza comunque Ispra, “è legato a un miglioramento del quadro conoscitivo” realizzato “dalle Autorità di Bacino Distrettuali e dalle Province autonome con studi di maggior dettaglio e mappatura di nuovi fenomeni franosi”. Nel frattempo, si constata che il rischio di frane più pericolose (P3 e P4) riguarda circa 1,28 milioni di persone. “Oltre 582.000 famiglie, 742.000 edifici, quasi 75.000 unità locali di impresa e 14.000 beni culturali sono esposti a rischio nelle aree a maggiore pericolosità da frana”, si legge nel rapporto.
Ispra ricorda come le alluvioni abbiano colpito duramente diverse regioni negli ultimi anni, come quelle in Emilia-Romagna nel 2023, con danni stimati in 8,6 miliardi di euro, e le inondazioni nelle Marche nel 2022. Le frequenti piogge intense e concentrate, a causa dei cambiamenti climatici, non fanno che amplificare la portata di tali fenomeni. Le flash flood – piene rapide – sono sempre più comuni e mettono a repentaglio anche zone un tempo considerate meno esposte. Questo aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi meteo, come sottolineato da Ispra, ha un impatto diretto su vite umane, edifici, aziende e beni culturali. Anche le zone montane non sono esenti da rischi idrogeologici: il 13,8% del territorio montano posto a quota maggiore di 800 m s.l.m., ovvero 9.283 km², è infatti soggetto a fenomeni valanghivi.
Se il pericolo legato a frane e alluvioni non fa che crescere, la situazione delle spiagge italiane fa intravedere segnali di speranza. Nonostante il rapporto evidenzi come l’erosione costiera continui a rappresentare “una minaccia concreta per numerosi tratti di litorale, con evidenti fenomeni regressivi documentati dai dati cartografici” (oltre 1.890 km di spiagge hanno subito alterazioni significative), si mette nero su bianco che la lunghezza dei tratti costieri in avanzamento ha visto un aumento di 30 km rispetto al passato. Questo dato positivo è da attribuire agli sforzi compiuti negli anni per contrastare l’erosione, come interventi di ripascimento e opere di protezione. Ciononostante, la gestione delle spiagge resta una sfida assai complessa: le aree naturali non trattate perdono porzioni di territorio molto più grandi rispetto a quelle sottoposte a interventi, che riescono a contenere l’erosione solo per alcune decine di metri.
A supporto della gestione del rischio idrogeologico, ISPRA ha creato strumenti come la piattaforma IdroGEO, che offre dati aggiornati sulla pericolosità del suolo, e il Repertorio nazionale degli interventi (ReNDiS), che traccia gli interventi di difesa del suolo. Dal 1999 ad oggi, sono stati finanziati circa 26mila interventi per un valore di oltre 19 miliardi di euro. Il 2024 ha segnato l’inizio di un nuovo ciclo di aggiornamenti per le mappe di pericolosità alluvionale, che saranno pronte nel 2026.









