lunedì 24 Novembre 2025
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Il Sinai tra guerra, affari e sfollamento di Gaza

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Il Sinai è una penisola desertica, la parte più orientale dell’Egitto, che ricade in Asia. Abitata da secoli da tribù beduine dedite al commercio lungo la via che dal Marocco attraversa il Nord Africa, si dirama verso il Medio Oriente a nord e la penisola arabica a sud. Per decenni è stata una regione d’interesse quasi esclusivamente per appassionati di storia, archeologia o per chi desiderava trascorrere le vacanze nei villaggi turistici di Sharm el Sheikh. Ma il Sinai, oltre ai suoi siti storici e turistici, ha un valore geopolitico cruciale per l’equilibrio dell’intero Medio Oriente. Confin...

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Riarmo: Macron annuncia 6,5 miliardi aggiuntivi in due anni

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Il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato un aumento di 6,5 miliardi nelle spese militari nei prossimi due anni. Parte di questi fondi, ha spiegato, intendono rafforzare il contributo del Paese all’Ucraina. Macron ha inoltre lanciato un appello per aumentare la collaborazione su scala europea. Da quanto riporta il presidente francese, con tale aumento, la Francia punterà a spendere 64 miliardi all’anno in spese militari entro il 2027. L’annuncio si colloca sulla scia delle discussioni sul tema del riarmo che da mesi interessano l’Unione Europea; recentemente la NATO ha approvato un aumento delle spese militari al 5% del PIL annuo entro il 2035.

La Commissione Europea lancia la nuova strategia per le emergenze sanitarie

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Con la consueta retorica tecnocratica del “prevenire è meglio che curare”, la Commissione Europea ha annunciato due nuove strategie nell’ambito dell’«Unione della preparazione», focalizzate sulla costituzione di scorte strategiche e sulle contromisure mediche per rafforzare la preparazione alle crisi e la sicurezza sanitaria, sulla base delle raccomandazioni della relazione Niinistö. Dietro il lessico rassicurante della governance e dell’efficienza operativa, della «resilienza», delle «strategie coordinate» e delle «iniziative solidali», si nasconde un impianto burocratico di gestione centralizzata che sembra voler cristallizzare lo stato d’eccezione come prassi ordinaria, normalizzando un paradigma securitario e bio-amministrativo che prescinde ormai da reali minacce, per perpetuare uno stato di mobilitazione permanente basato sulla teoria dello shock.

Nel dettaglio, la strategia di costituzione di scorte prevede la creazione di una rete europea per monitorare e gestire beni essenziali come cibo, acqua, medicinali, carburanti. Le azioni chiave mirano a «salvaguardare gli approvvigionamenti essenziali prima delle crisi» e si focalizzano sull’istituzione di una rete dell’UE, sul coordinamento degli stock con gli Stati membri, sul miglioramento dei trasporti e della logistica per una risposta rapida alle crisi, sull’ampliamento delle scorte a livello dell’UE con il sostegno di iniziative come rescEU, e sulla promozione di partenariati civili-militari, pubblico-privati e internazionali per massimizzare l’uso delle risorse in modo efficiente e puntuale.

In apparenza, nulla di strano: la logica dello stoccaggio può sembrare ragionevole, ma il problema è che la crisi viene evocata come giustificazione costante per concentrare potere, centralizzare le decisioni e marginalizzare le autonomie nazionali. L’intero impianto è volutamente opaco e si affida a partenariati non solo civili-militari, ma anche pubblico-privati che, come già visto nel caso dei vaccini Covid, servono a trasferire denaro pubblico nelle mani di colossi farmaceutici e infrastrutturali, legittimando profitti colossali sulla pelle dei contribuenti.

Con la seconda iniziativa, l’UE intende predisporre una serie di «contromisure mediche» – promuovere i vaccini antinfluenzali di prossima generazione, nuovi antibiotici per contrastare la resistenza antimicrobica, antivirali per le malattie trasmesse da vettori, dispositivi di protezione, rafforzare la cooperazione globale e la collaborazione intersettoriale, elaborare un elenco dell’UE di contromisure mediche prioritarie, migliorare l’accesso ai medicinali e la loro diffusione attraverso appalti congiunti.

La Commissione annuncia inoltre l’accelerazione del programma HERA Invest, il braccio biotecnologico dell’UE, e il rafforzamento della EU FAB, la “capacità calda” di produzione di vaccini pronta all’uso. In pratica, si istituzionalizza un complesso bio-industriale che alimenta se stesso, producendo soluzioni per problemi che contribuisce a creare o ad amplificare, per spaventare l’opinione pubblica e legittimare misure draconiane.

Tra i bersagli? Le solite minacce: dai virus respiratori e da contatto a rischio pandemico, come il Covid-19, alle zoonosi come l’influenza aviaria, fino alle malattie emergenti e riemergenti come l’Ebola, arrivando alla famigerata “Malattia X”, un’entità fittizia creata dall’OMS, funzionale a giustificare una sorveglianza sanitaria continua e l’espansione illimitata del biopotere.

Siamo di fronte a un modello di governance che sfrutta il rischio ipotetico per modellare la realtà. Si crea il nemico invisibile – un virus ancora sconosciuto – per legittimare spese miliardarie, restrizioni dei diritti fondamentali e l’avanzata di un nuovo Leviatano tecno-sanitario, sempre più simile a un ibrido tra Big Pharma, NATO e OMS.

È impossibile leggere queste strategie senza richiamare alla mente il Trattato Pandemico globale dell’OMS, ancora in fase di finalizzazione. Entrambe le iniziative europee si inseriscono nel solco di quell’accordo, che prevede la creazione di un sistema integrato di biosorveglianza globale basato su intelligenza artificiale, test di massa e raccolta di dati biometrici. Anche in questo caso, non si parla mai apertamente di consenso democratico o di diritti dei cittadini, ma solo di «scalabilità», «efficienza» e «resilienza».

E proprio il termine “resilienza” è il leitmotiv abusato da Hadja Lahbib, Commissaria per la Parità e per la Preparazione e gestione delle crisi, che per commentare le nuove misure varate dall’UE ha spiegato che «rafforzando la nostra preparazione e resilienza», l’obiettivo è «affrontare le sfide future con fiducia». Lahbib divenne nota quando pubblicò un assurdo video dal titolo What’s in my bag? Survival edition, in cui mostrava gli oggetti da avere sempre con sé in caso di “crisi”, inclusi i vituperati contanti, per sopravvivere almeno 72 ore.

Bruxelles formalizza così il passaggio dall’eccezione alla regola: lo stato di crisi non è più un’eccezione, ma la nuova normalità, alimentata da paura, emergenze e terrorismo mediatico. Come ogni architettura autoritaria che si rispetti, anche questa si regge su un pilastro imprescindibile: la paura.

Si tratta dell’ennesima tappa in un processo più ampio: la costruzione di un’infrastruttura normativa, logistica e ideologica finalizzata a centralizzare il potere e a consolidare un controllo preventivo su popolazioni sempre più medicalizzate e sempre meno sovrane, nel quadro di un capitalismo emergenziale che monetizza la crisi e istituzionalizza la paura.

Il terrore sanitario è l’elemento fondante del nuovo ordine europeo: un’ansia diffusa e coltivata ad arte, utile per mantenere alto il livello di allerta e basso il livello del dibattito pubblico. Ogni emergenza è buona per giustificare nuove deroghe, nuove misure eccezionali, nuovi dispositivi di controllo.

Contro l’invasione di contenuti automatici, YouTube riforma le regole di monetizzazione

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YouTube ospita un numero crescente di video prodotti in maniera industriale, i quali vengono spesso realizzati con l’ausilio di strumenti di intelligenza artificiale. Alimentati dagli algoritmi di raccomandazione della piattaforma e supportati da una produzione automatizzata su larga scala, questi contenuti stanno progressivamente oscurando i creatori tradizionali, contribuendo a una progressiva svalutazione dell’intero ecosistema del social. Per contrastare il fenomeno, YouTube ha annunciato che, a partire dal 15 luglio 2025, introdurrà modifiche al proprio YouTube Partner Program (YPP) con l’intenzione di colpire sul piano economico i contenuti considerati “inautentici” o “ripetitivi” — una categoria che l’opinione pubblica ha ormai ribattezzato come “AI slop”.

L’aggiornamento delle policy è stato anticipato in una nota sull’Help Center della piattaforma, tuttavia i dettagli restano per ora estremamente limitati. Alphabet, società madre di YouTube, afferma che la nuova impostazione permetterà di individuare con maggiore efficacia i contenuti “prodotti in massa e ripetitivi”, escludendoli dalla monetizzazione in quanto non conformi ai requisiti di originalità e autenticità previsti dalla piattaforma. È tuttavia significativo che nel comunicato non venga mai menzionata esplicitamente l’intelligenza artificiale.

In un post pubblicato su X, YouTube ha definito l’aggiornamento come un raffinamento delle regole esistenti, volto a chiarire con maggiore precisione quali tipologie di video siano ammissibili alla monetizzazione, salvaguardando nel contempo l’esperienza degli utenti e l’integrità del portale. A fare ulteriore chiarezza è intervenuto Rene Ritchie, responsabile Editoriale e dei Rapporti con i Creatori, che in un video pubblicato il 7 luglio ha specificato che i nuovi canoni non mirano a penalizzare formati legittimi, ma solo quei contenuti automatizzati che potrebbero essere considerati come “spam” e che non offrono alcun contributo umano significativo.

Nel mirino rientreranno dunque video caratterizzati da una struttura estremamente ripetitiva, quali compilations di diapositive, doppiaggi generati da AI senza intervento umano, o Shorts basati su template standardizzati privi di valore aggiunto. Tutti elementi che possono essere etichettati come “AI slop”, ovvero media perlopiù costruiti impiegando strumenti text-to-video, voci sintetiche e materiali di repertorio di dubbia provenienza, con il solo scopo di accumulare visualizzazioni e ricavi pubblicitari tramite pratiche di content farming.

Questo cinico giro di soldi fa sì che una parte significativa di questa produzione automatizzata provenga da aree a basso reddito quali Vietnam, Pakistan o Indonesia, zone in cui i compensi derivanti dalla monetizzazione delle inserzioni possono rappresentare un’entrata significativa e sostanziale. Si tratta di uno spaccato non dissimile da quello visto nel 2021 con il videogioco NFT Axie Infinity, il quale ha alimentato brevemente i sogni dei filippini promettendo guadagni assicurati,salvo poi rivelarsi un sistema economicamente insostenibile e propenso allo sfruttamento.

Resta ancora incerto come YouTube intenda arginare in modo strutturato il fenomeno. Non è chiaro, a esempio, se l’azienda punterà su un potenziamento della moderazione manuale, su un inasprimento dell’algoritmo di valutazione o su un tracciamento più trasparente dell’uso di AI nei contenuti pubblicati. La linea adottata da Alphabet sul tema appare ambivalente: da un lato, la piattaforma riconosce l’impatto negativo che questi contenuti hanno sulla qualità percepita del portale; dall’altro, continua a sviluppare modelli di generazione video — come Veo 3 — anche attingendo ai contenuti caricati dagli utenti, spesso senza consenso esplicito, per addestrare sistemi che alimenteranno a loro volta nuovi flussi di contenuti sintetici.

Il governo italiano continua a tacere sulla persecuzione contro Francesca Albanese

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Dopo l’annuncio delle sanzioni statunitensi contro la Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, il mondo ha reagito con una generale condanna alle misure degli Stati Uniti; eppure, di fonte al coro di voci che si sono schierate al fianco di Albanese, ce n’è una – la più importante – che non si è ancora fatta sentire: quella del governo del Paese della quale la relatrice ONU è cittadina, l’Italia. Quando la Corte Penale Internazionale rilasciò il mandato d’arresto contro Netanyahu, Salvini disse che il primo ministro israeliano sarebbe stato il «benvenuto in Italia», e Tajani rigettò l’ordine della Corte liquidando le richieste di esecuzione del mandato come «irrealizzabili». Oggi, tuttavia, quello stesso governo che sui concetti di patria e di orgoglio nazionale ha costruito la propria identità politica tace di fronte alla persecuzione di una propria illustre cittadina che, ricoprendo un importante incarico internazionale, si sta battendo per il rispetto dei diritti umani in Palestina. Davanti alle restrizioni ad Albanese imposte dagli USA sulla base di accuse pescate alla rinfusa dal bagaglio della retorica filo-israeliana, il governo del “prima gli italiani” non sembra avere nulla da ridire, e preferisce, anzi, non interferire con le politiche degli alleati statunitense e israeliano.

È un silenzio assordante quello italiano sulla questione delle sanzioni a Francesca Albanese. La misura era stata annunciata lo scorso 9 luglio, e include diverse limitazioni, come il divieto di ingresso negli Stati Uniti, il congelamento dei beni e l’impossibilità di ricevere fondi e donazioni da aziende statunitensi. A favore di Albanese si sono sollevate voci provenienti da tutte le sfere della società: diversi relatori ONU hanno condannato le sanzioni definendole «pericolose e inaccettabili», e chiedendo che venissero revocate; a loro hanno fatto eco capi di uffici delle Nazioni Unite, come l’Alto Commissario per gli Affari Umanitari, Volker Türk; diverse ONG, come Amnesty e Human Rights Watch, hanno definito l’attacco ad Albanese «vergognoso» e chiesto agli Stati di prendere misure per respingere «vigorosamente» le sanzioni; la stessa società civile si è mobilitata, facendo fioccare petizioni sulla piattaforma change.org per chiedere al governo italiano di prendere posizione. Sul fronte politico, seppur timidamente, si è mossa persino l’UE, che per bocca del portavoce Anouar El Anouni ha «espresso rammarico» per la decisione di imporre sanzioni ad Albanese, e riaffermato il proprio sostegno al sistema ONU per i diritti umani.

Insomma, tra società civile, ONG, politica, istituzioni e uffici internazionali hanno parlato tutti. Manca solo il governo italiano. Quello stesso governo che, lo scorso novembre, giudicava la scelta di emettere mandati d’arresto contro Netanyahu e il suo ministro Gallant «sbagliata», e che addirittura per voce del ministro Salvini invitava un criminale di guerra nel Paese. Meloni, forte del suo ideale di “difesa dell’italianità”, si è sempre messa di punta davanti le accuse di razzismo contro i propri cittadini: era successo l’anno scorso, quando la Commissione Europea contro il Razzismo e l’Inclusione accusava le forze dell’ordine e la politica italiana di portare avanti pratiche di profilazione razziale: «Le nostre Forze dell’Ordine sono composte da uomini e donne che, ogni giorno, lavorano con dedizione e abnegazione per garantire la sicurezza di tutti i cittadini, senza distinzioni. Meritano rispetto, non simili ingiurie», diceva allora la premier.

Sulle accuse di antisemitismo che gli USA hanno ripetutamente lanciato contro Albanese, invece, il governo non ha mai speso una parola. Eppure queste non sono mai state corredate da rapporti, e, anzi, hanno sempre puntato il dito contro la mera attività della Relatrice italiana. Quando ne chiedevano l’estromissione dall’ONU, gli USA accusavano Albanese di un «virulento antisemitismo», sostenendo che esso emergesse dalle sue richieste di fare rispondere Israele delle proprie azioni in Palestina. Una definizione quanto meno curiosa del termine, visto che l’antisemitismo si identifica con l’odio razziale nei confronti degli ebrei, e non nelle critiche documentate a uno Stato che sta compiendo crimini contro l’umanità. Le sanzioni degli Stati Uniti ad Albanese, e come prima di esse le accuse e i tentativi di boicottarne il lavoro, si configurano come una vera e propria intimidazione, da parte di uno Stato i cui interessi vengono costantemente minati dalla attività della relatrice. È il caso del suo ultimo rapporto, in cui Albanese esplora «i meccanismi aziendali che sostengono il progetto coloniale israeliano», citando proprio decine di realtà statunitensi.

Violenze in Siria: 30 persone uccise

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Continuano le violenze settarie in Siria, dove negli ultimi giorni sono state uccise almeno 30 persone, e altre 100 sono rimaste ferite. La notizia è stata data nelle prime ore della mattina di oggi, lunedì 14 luglio, dal ministero degli Interni siriano, che ha parlato di scontri nella città siriana di Sweida, a maggioranza drusa. Secondo testimoni locali, gli scontri sarebbero scoppiati lo scorso venerdì a causa di una ondata di rapimenti, tra cui quello di un mercante druso. Gli scontri si sarebbero concentrati nel quartiere di Maqwas a est di Sweida, abitato da tribù beduine, che sarebbe stato circondato da gruppi armati drusi e successivamente conquistato.

Una nuova scoperta sul DNA potrebbe aprire nuove strade nelle malattie genetiche

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Un sistema ordinato, stabile e numerico nascosto in una delle parti più misteriose del nostro DNA, le quali potrebbero potenzialmente diventare la chiave per sviluppare nuovi strumenti fondamentali per lo studio delle malattie genetiche e del cancro: è quanto emerge da un nuovo studio condotto da ricercatori dell’Università Sapienza di Roma, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Science. Utilizzando tecnologie di sequenziamento di nuova generazione e alcuni particolari algoritmi computazionali, il team ha scoperto che ogni centromero – la porzione centrale dei...

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La Francia riconoscerà la Nuova Caledonia

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In una svolta definita «storica», il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato che riconoscerà la Nuova Caledonia come Stato autonomo, ma che il territorio rimarrà possedimento francese. L’accordo prevede la creazione di uno Stato di Caledonia che potrà essere riconosciuto dagli altri Paesi, ma che non avrà un posto nelle Nazioni Unite. Il documento riconosce la nascita di una nazionalità caledoniana accanto a quella francese. Esso deve essere ancora approvato dalla stessa Nuova Caledonia, che potrebbe farlo votare ai propri cittadini il prossimo anno. L’accordo segue le violente proteste del 2024, scoppiate contro delle riforme elettorali proposte dalla Francia e presto allargatesi alla questione dell’indipendenza del territorio.

Siria, accordo da 800 milioni con DP World

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L’Autorità generale siriana per i porti terrestri e marittimi ha firmato un accordo da 800 milioni di dollari con DP World, multinazionale della logistica con sede negli Emirati Arabi Uniti. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa statale siriana SANA, l’accordo è teso a rafforzare le infrastrutture portuali e i servizi logistici siriani; esso fa seguito a un memorandum d’intesa firmato tra le due parti a maggio. Con tale accordo la Siria vuole sviluppare un terminal multifunzionale nella città costiera di Tartus, e instaurare zone industriali e di libero scambio.

La Freedom Flotilla sta ripartendo dall’Italia per rompere l’assedio israeliano su Gaza

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Una nave della Freedom Flotilla, la coalizione di attivisti che opera per rompere l’assedio israeliano su Gaza, partirà da Siracusa per consegnare aiuti umanitari alla popolazione civile della Striscia. Una prima parte della missione inizierà oggi, domenica 13 luglio, a bordo della nave Handala, che aveva già tentato di partire lo scorso anno. Handala prenderà la rotta verso Gallipoli, da dove, dopo una breve tappa, salperà verso Gaza, carica di cibo, medicine e aiuti per la popolazione palestinese. La missione di Handala arriva a poco più di un mese di distanza dall’ultima spedizione del gruppo, che si era scontrata con la prevedibile resistenza israeliana: dopo varie intimidazioni, la nave era stata fermata in acque internazionali, e gli attivisti erano stati arrestati e rimpatriati.

Il primo viaggio di Handala verso Gallipoli dovrebbe iniziare fra qualche ora; oggi alle 10:30, gli attivisti della Freedom Flotilla hanno tenuto una conferenza stampa presso il Foro Vittorio Emanuele II di Siracusa. A bordo della nave sono presenti 18 persone, tra cui alcuni dei partecipanti all’ultima missione con la nave Madleen. A bordo ci saranno volontari, medici, avvocati, attivisti e giornalisti. Non è noto se, dopo la partenza da Gallipoli, la nave intenda spezzare il viaggio facendo brevi soste in altri porti; ciò che è certo è che la meta finale sarà Gaza, per rompere l’assedio illegale israeliano: «La nave porterà aiuti umanitari salvavita e un messaggio di solidarietà da parte di persone di tutto il mondo che si rifiutano di stare in silenzio mentre Gaza viene affamata, bombardata e sepolta sotto le macerie».

Handala è la terza nave della coalizione Freedom Flotilla a prendere il largo da inizio anno. La prima era stata Conscience, attaccata in piena notte con droni al largo delle coste di Malta. In seguito all’attacco, le voci di condanna da parte della comunità internazionale sono state particolarmente timide, e il Parlamento europeo ha rifiutato di discutere dell’accaduto, malgrado le richieste di alcuni deputati. Dopo Conscience, era stata la volta di Madleen, a bordo della quale era salpata anche la nota attivista per l’ambiente Greta Thunberg. Madleen era partita da Catania, carica di cibo e aiuti umanitari. Nel corso del viaggio, la nave era stata sorvegliata più di una volta da droni; la notte tra l’8 e il 9 giugno, è stata fermata dall’esercito israeliano nonostante si trovasse in acque internazionali, dove Israele non ha giurisdizione. La nave è stata sequestrata e dirottata verso le coste israeliane, e gli attivisti sono stati arrestati. Alcuni di essi hanno firmato delle carte per essere rimpatriati, mentre altri sono rimasti in Israele in attesa di processo e sono stati detenuti in carcere. Il 16 giugno, tutti gli attivisti presenti sull’imbarcazione sono stati rimpatriati.