domenica 7 Dicembre 2025
Home Blog Pagina 158

A Palermo importanti boss mafiosi sono tornati in libertà: l’antimafia in allerta

2

Numerosi mafiosi di spicco stanno tornando in libertà a Palermo. Si tratta di personaggi apicali nelle gerarchie di Cosa Nostra, i quali, dopo aver scontato le loro pene, possono reinsediarsi nelle loro aree di influenza: tra questi, ci sono Calogero Lo Piccolo e Giovanni Sirchia, cui furono messe le manette nell’ambito di un’indagine incentrata sulla ricostituzione della Commissione mafiosa – organo di vertice della consorteria – in seguito alla morte di Totò Riina. Ma sono presenti anche Rosario Lo Bue, ex capomafia di Corleone, e Patrizia Messina Denaro, sorella di Matteo, che ebbe un ruolo attivo nella super-latitanza del boss. Il tutto avviene dopo che, negli scorsi mesi, hanno ottenuto la libertà vigilata – senza passare dalla collaborazione con la giustizia – molti altri esponenti di Cosa Nostra, tra cui killer spietati e addirittura un boss stragista. E ora, nel capoluogo siciliano, la preoccupazione torna ai massimi livelli.

A fare ritorno a casa, come rivelato da Salvo Palazzolo sull’edizione palermitana di Repubblica, sarà Calogero Lo Piccolo, figlio del “barone” Salvatore, importante capomandamento di San Lorenzo. Calogero era stato arrestato nel 2019 nell’ambito dell’indagine “Cupola 2.0”, con l’accusa di aver preso le redini del mandamento e di essere stato attivo nella ricostituzione della Commissione di Cosa Nostra. Quest’ultima, negli anni precedenti, era infatti stata decimata dagli arresti ed era scevra di una vera leadership. Dopo la morte di Riina, deceduto in carcere nel novembre 2017, Lo Piccolo – più volte arrestato e appena uscito dal carcere per un’altra condanna – era stato promotore e partecipe del primo meeting per ristrutturare le alleanze interne all’associazione mafiosa e rendere più efficiente il coordinamento tra le famiglie, alcune delle quali sull’orlo di un conflitto. Un altro personaggio che ha finito di scontare la sua pena è Giovanni Sirchia. Anche lui fu arrestato nell’ambito della medesima inchiesta, con l’accusa di avere organizzato logisticamente la riunione in cui i boss sancirono la rifondazione della Cupola. In tale cornice, venne eletto il nuovo capo di Cosa Nostra, il gioielliere palermitano Settimo Mineo, arrestato insieme a decine di altri mafiosi.

In questa lista spicca la figura di Rosario Lo Bue, ex capomandamento di Corleone. Classe 1943, la sua carriera criminale si è sviluppata all’ombra di Totò Riina e Bernardo Provenzano, che si sarebbero poi succeduti alla guida di Cosa Nostra dopo la Seconda guerra di mafia. Il potere di Lo Bue si estendeva in particolare nei settori della compravendita di bestiame e della grande distribuzione, in cui beneficiava anche dei relativi contributi comunitari. Nel 2023, erano stati definitivamente confiscati alla famiglia Lo Bue rapporti bancari, abitazioni, terreni, polizze assicurative, complessi di beni aziendali e di un magazzino per un valore complessivo di oltre 3 milioni di euro. Eccellente è anche il nome di Anna Patrizia Messina Denaro, tornata a Castelvetrano – feudo di suo fratello Matteo e, prima ancora, del capomafia Francesco, suo padre – dopo aver passato in galera gli ultimi 12 anni della sua vita. La donna era stata arrestata nel 2013 e successivamente condannata per i reati di associazione mafiosa ed estorsione, avendo gestito in prima persona le comunicazioni del superlatitante. Quest’ultimo venne catturato il 16 gennaio del 2023, morendo poi di cancro in carcere otto mesi dopo. Si andava dai tradizionali “pizzini” alle chat sui social network, anche grazie all’utilizzo di account fake.

La portata di questa vicenda risulta amplificata se si pensa che, negli ultimi mesi, è stata concessa la semilibertà a mafiosi responsabili di efferati omicidi che non hanno mai aperto bocca davanti ai magistrati sui loro pesanti trascorsi criminali. Tra loro, gli spietati killer di mafia Raffaele Galatolo e Paolo Alfano, lo storico capomandamento Ignazio Pullarà e ad altri mafiosi di spicco come Franco Bonura, Gaetano Savoca e Tommaso Lo Presti, che hanno potuto fare ritorno a Palermo. Ma anche il boss stragista Giovanni Formoso, punito con l’ergastolo per aver caricato l’autobomba utilizzata nell’attentato di via Palestro a Milano, il 27 luglio 1993, che causò 5 morti. Anche lui ha ottenuto la semilibertà – è la prima volta per un boss mafioso condannato per strage e mai pentitosi –, ma, almeno per ora, con il divieto di tornare in Sicilia. Il tutto è avvenuto a causa di un approccio giurisprudenziale molto più permissivo rispetto al passato, segnato da dirimenti sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani e della Corte Costituzionale, che hanno reso non più assoluto il divieto di benefici penitenziari per la mancata collaborazione con la giustizia dei condannati.

Dentro l’accordo sui dazi: i punti della resa europea

4

Sotto il cielo plumbeo della Scozia sud-occidentale, tra le colline di Turnberry, è andato in scena l’atto finale di una trattativa che si è trascinata per mesi e che, sotto la patina della “cooperazione transatlantica”, cela uno dei più clamorosi rovesci geopolitici per l’Unione Europea degli ultimi anni. Mentre la Casa Bianca ha celebrato l’accordo sui dazi definendolo «storico» e «colossale», Ursula von der Leyen si è limitata a parlare di «un buon accordo» e di «trattative difficili» e il commissario UE per il Commercio, Maroš Šefčovič ha spiegato che si è evitata l’escalation e che, senza...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

Angola, proteste per l’aumento del carburante: 4 morti e 500 arresti

0

A Luanda, in Angola sono scoppiate violente proteste per un aumento del prezzo del carburante deciso dal governo, che hanno causato la morte di quattro persone e l’arresto di oltre 500 persone. Le proteste sono scoppiate ieri, e sono andate avanti anche nella giornata di oggi. Assieme alle manifestazioni dei cittadini, in cui sono stati registrati episodi di saccheggio, attacchi contro banche e veicoli privati, e scontri con la polizia, le associazioni minibus e taxi hanno lanciato uno sciopero che continuerà anche nella giornata di domani.

Il TAR della Campania boccia le zone rosse di Piantedosi

1

Con una sentenza emessa questa mattina, martedì 29 luglio, il TAR della Campania ha annullato l’ordinanza del prefetto di Napoli che prorogava il divieto di stazionamento nelle cosiddette “zone rosse” del capoluogo. La misura era stata introdotta dopo che, nel dicembre dello scorso anno, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi aveva inviato una direttiva ai prefetti italiani, al fine di spingerli ad adottare apposite ordinanze che individuassero le aree urbane nelle quali vietare la presenza di «soggetti pericolosi» o con precedenti penali. Secondo il governo, la misura avrebbe dovuto garantire la tutela della sicurezza urbana e degli spazi pubblici cittadini. Questa mattina, invece, come riferito dal Coordinamento No Zone Rosse Napoli in un comunicato stampa, «il TAR ha giudicato l’esercizio del potere prefettizio privo dei necessari presupposti, illegittimo e lesivo dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale». Secondo il Tribunale non sussiste, infatti, alcuna emergenza o motivazione «idonea a giustificare l’uso reiterato di poteri prefettizi straordinari».

Il ricorso era stato presentato lo scorso 6 giugno dalle associazioni che formano la rete – tra le quali figurano ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione), A Buon Diritto e Libridazioni, oltre a cittadini e residenti. Secondo i ricorrenti, il provvedimento rappresenta una grave violazione dei diritti del singolo cittadino, in quanto adotta «misure limitative sulla base di meri indizi o segnalazioni, senza la necessità di un accertamento giudiziario, configurando una presunzione di pericolosità giuridicamente inammissibile». Il team legale che ha presentato il ricorso ha festeggiato la sentenza definendola «una vittoria dello Stato di diritto», per mezzo della quale si sancisce che «il potere straordinario non può diventare regola ordinaria».

La direttiva di Piantedosi, che mirava a sfruttare tutte le possibilità del cosiddetto “DASPO urbano” introdotto dal dl 14/2017, è già stata implementata in molte delle principali città italiane, tra le quali Milano, Roma, Bologna e Firenze. L’obiettivo è quello di vietare, nei pressi delle stazioni o delle aree dove si concentra la movida, lo stazionamento di «soggetti pericolosi», ovvero con precedenti per reati penali contro il patrimonio o la persona, ma anche di persone condannate in via non definitiva nel corso dei cinque anni precedenti per reati analoghi. La norma è contenuta nello stesso decreto Sicurezza, approvato poche settimane fa dal governo. «Nessuna direttiva ministeriale può derogare, neanche di fatto, ai principi di uguaglianza, legalità, presunzione di innocenza e proporzionalità» scrivono le associazioni, che definiscono quella del TAR come «una sentenza che difende la democrazia».

Pechino, forti piogge causano almeno 30 morti

0

Forti piogge a Pechino e nelle aree circostanti hanno causato almeno trenta morti. Lo riporta l’agenzia di stampa cinese Xinhua. Il maltempo, iniziato sabato, ha colpito soprattutto i distretti rurali e montuosi di Miyun e Yanquing, e la provincia di Hebei, causando frane e gravi danni alle infrastrutture. Più di 80mila persone sono state evacuate, mentre numerosi villaggi sono isolati. Le informazioni sono limitate, a causa delle restrizioni del governo cinese sulla diffusione di notizie riguardanti disastri naturali. Altri decessi sono stati segnalati nelle province di Shanxi e nella città di Jinan.

Meta mette al bando le pubblicità politiche nell’Unione Europea

0

Meta ha manifestato apertamente il proprio dissenso verso la direzione normativa intrapresa dall’Unione Europea in merito alla regolamentazione dei servizi digitali. In pochi giorni, la Big Tech ha ripudiato il Codice di Condotta volontario sull’intelligenza artificiale e ha dichiarato che non intende adeguarsi alle nuove norme sulla trasparenza delle inserzioni pubblicitarie a contenuto politico. Dopo aver definito queste disposizioni “insostenibili”, l’azienda ha annunciato che, a partire dal 10 ottobre, non accetterà più annunci politici, elettorali o di carattere sociale nei confini dell’Unione Europea.

Secondo Meta, “la pubblicità politica online è una parte vitale della politica moderna”, e l’azienda sostiene di aver fatto molto più di quanto imposto dalla legge per garantire la trasparenza, evidenziando la presenza di strumenti di monitoraggio che sono stati introdotti a partire dal 2018. Una dichiarazione che si basa su di un vuoto normativo che l’Unione Europea ha colmato lo scorso aprile attraverso il regolamento sulla Trasparenza e targeting della pubblicità politica (TTPA), il quale diventerà pienamente operativo proprio il 10 ottobre. Il nuovo regolamento impone regole stringenti: ogni annuncio politico dovrà riportare informazioni chiare su chi ha finanziato la campagna, quanto è stato speso, a quale competizione elettorale si riferisce e quali tecniche di targeting sono state impiegate. Le aziende che non si conformano rischiano sanzioni fino al 6% del fatturato annuo.

Meta contesta la normativa, affermando che introdurrà incertezze e oneri eccessivi per gli inserzionisti europei. Difende i propri strumenti di trasparenza, evitando accuratamente di menzionare che tali soluzioni sono state introdotte in risposta allo scandalo Cambridge Analytica, il quale aveva rivelato come i dati di milioni di utenti fossero stati utilizzati a fini di profilazione politica e propaganda, con il coinvolgimento diretto di Facebook. Secondo le autorità statunitensi, l’azienda era a conoscenza dell'”utilizzo improprio dei dati” da ben prima che whistleblower e leak giornalistici denunciassero pubblicamente la situazione.

Nonostante la normativa europea possa talvolta risultare ambigua — per goffaggine o per compromesso politico volontario — il comportamento reiterato di Meta nel tempo suggerisce che la trasparenza e la sicurezza degli utenti non rientrino tra le sue priorità principali. Un’ex dipendente di Meta divenuta informatrice, Sarah Wynn-Williams, sostiene nel libro Careless People che l’azienda abbia sistematicamente ignorato per anni delle criticità note al fine di tutelare i propri interessi commerciali, nonché di aver manipolato gli algoritmi per favorire le strategie politiche e comunicative dei propri dirigenti. Una disattenzione e un opportunismo che si ritiene abbiano fomentato diverse crisi umanitarie

Più recentemente, la Commissione Europea ha avviato un’indagine ufficiale nei confronti di Meta per presunta violazione del Digital Services Act (DSA), in relazione all’inefficacia nella moderazione della disinformazione in vista delle elezioni dell’europarlamento tenutesi nel 2024. “Sospettiamo che la moderazione di Meta sia insufficiente, che manchi di trasparenza negli annunci pubblicitari e nelle procedure di moderazione dei contenuti”, aveva dichiarato nell’aprile 2024 Margrethe Vestager, la Commissaria europea per l’agenda digitale in carica fino allo scorso novembre.

Il caso Meta, tuttavia, non è isolato. Anche Google ha annunciato che sospenderà la pubblicazione di annunci politici in Europa per via della complessità delle nuove norme. Si apre così un nuovo capitolo nello scontro tra le Big Tech e le istituzioni europee: da un lato policy aziendali autoimposte, dall’altro leggi sovranazionali vincolanti. Sullo sfondo, l’ombra dell’Amministrazione Trump, alla quale alcune aziende guardano per ottenere protezione contro il crescente attivismo normativo dell’UE.

58 ex ambasciatori UE scrivono a Bruxelles per chiedere di fermare Israele

0

Cinquantotto ex ambasciatori dell’UE hanno inviato una lettera aperta ai vertici di Bruxelles per condannare l’operato di Israele in Palestina. Nello specifico, denunciano un «trasferimento forzato della popolazione, un grave crimine di guerra» e «passi calcolati verso una pulizia etnica». L’UE, accusano, ha mantenuto «silenzio e neutralità di fronte al genocidio». Chiedono lo stop immediato alle forniture militari, la sospensione degli accordi con Israele e il riconoscimento dello Stato di Palestina. Anche a seguito della lettera, la Commissione starebbe valutando la sospensione parziale dell’accesso di Israele ai fondi Horizon per la ricerca scientifica.

Cipro, un incendio devastante ha distrutto l’1% del territorio

0

Nel sud di Cipro, a Limassol, è scoppiato un vastissimo incendio che ha bruciato l’1,3% del territorio. Le fiamme hanno distrutto diverse abitazioni a Souni e Omodos e causato lo sfollamento di migliaia di persone, trasferite in alloggi temporanei. A causa dei roghi si contano due morti, mentre le operazioni di soccorso continuano a pieno ritmo. Il Centro di Eccellenza Eratostene, centro di osservazione terrestre, ha rilasciato un comunicato stampa in cui dichiara che in data 23 luglio l’area colpita risultava pari a 120,7 chilometri quadrati. La stima si basa su dati satellitari ad alta risoluzione acquisiti il 26 luglio.

Secondo l’Agenzia Spaziale Europea, dell’area colpita, circa il 51% è costituito da praterie, il 31% da arbusteti, il 15,5% da aree boschive, mentre l’1,1% corrisponde ad aree residenziali. Il bilancio delle perdite non si limita alla natura: le infrastrutture hanno subito gravi danni, in particolare nel distretto di Limassol, dove le linee elettriche sono state devastate. L’Autorità per l’Elettricità di Cipro (EAC) ha messo in campo un’imponente operazione di ripristino, con 150 operatori che stanno lavorando senza sosta per riparare le reti elettriche danneggiate. «L’EAC ha intrapreso un enorme progetto per riparare i danni nelle aree colpite del distretto di Limassol», ha dichiarato la portavoce Christina Papadopoulou. Gli interventi sono già a buon punto: 240 tralicci e 10 trasformatori sono stati sostituiti, e nove chilometri di cavi aerei sono stati installati per ripristinare l’alimentazione elettrica. Tuttavia, la situazione rimane complessa, dal momento che le aree più danneggiate richiedono l’uso di escavatori speciali per aprire le strade e consentire il passaggio delle attrezzature.

Mentre il lavoro di recupero continua, le comunità locali sono impegnate in un’altra battaglia: quella della gestione dei beni di prima necessità. Centinaia di tonnellate di cibo, vestiario e materiali di soccorso sono stati raccolti in diversi centri, anche se la popolazione ha lamentato la mancanza di un coordinamento efficace da parte della Protezione civile. Nonostante la grande mobilitazione della comunità, la confusione regna ancora sovrana, con alcune zone che non sono riuscite a ricevere aiuti tempestivi. La mancanza di un piano ben strutturato ha portato a una situazione in cui le risorse sono abbondanti, ma mal distribuite, creando un ulteriore ostacolo per chi ha subito la perdita di case e beni. In un contesto caotico in cui abbondano le difficoltà, la solidarietà tra i ciprioti ha brillato nei giorni successivi alla tragedia. Gruppi di volontari, giovani e cittadini comuni si sono attivati per ripulire le strade e aiutare le comunità colpite.

Il governo cipriota ha annunciato misure concrete per sostenere le famiglie colpite. Secondo il presidente Christodoulides, è stato avviato un programma di assistenza economica, che prevede il pagamento di 10.000 euro alle famiglie la cui casa è stata completamente distrutta, con un incremento di 2.000 euro per ogni figlio a carico. Stando agli annunci, le famiglie le cui abitazioni sono state parzialmente danneggiate riceveranno 5.000 euro, con un ulteriore supporto per soddisfare le necessità quotidiane, inclusi vestiti e attrezzature. La distribuzione di questi fondi avverrà non appena il Consiglio dei Ministri approverà le misure proposte.

Nel frattempo, proseguono le indagini in merito alle cause dell’incendio boschivo che ha devastato i villaggi di Limassol. Alla polizia sono state infatti inoltrate informazioni su presunti incendi dolosi. Ad ora non sarebbero stati effettuati arresti in relazione agli incendi, ma alcune persone sarebbero state fermata poiché sospettate di aver saccheggiato proprietà che erano state evacuate a causa dei roghi. Le forze dell’ordine hanno invitato gli abitanti a «farsi avanti» se in possesso di indicazioni su persone che tentano deliberatamente di appiccare incendi.

Gaza: durante la “pausa umanitaria” Israele ha già ucciso più di 150 palestinesi

2

Nonostante l’annuncio di pause umanitarie giornaliere e l’istituzione di cosiddetti “corridoi umanitari”, Israele continua a prendere di mira la popolazione gazawi. Le presunte pause riguarderebbero tre aree della Striscia di Gaza e durerebbero 10 ore al giorno. Tuttavia, solo nella giornata di ieri, lunedì 28 luglio, le forze dello Stato ebraico hanno ucciso almeno 92 palestinesi; se aggiunti agli oltre 60 di domenica, giorno in cui è iniziata la pausa umanitaria, il numero delle persone uccise da Israele risulta superiore a 150. Nel frattempo, la popolazione della Striscia continua a morire di fame: secondo l’ultimo aggiornamento, sono 133 le persone morte di fame dal 7 ottobre 2023, di cui 88 bambini, con i casi di decessi per stenti che aumentano di giorno in giorno. Secondo l’ONU, un abitante di Gaza su tre non mangia da giorni, e quasi 500.000 persone soffrono di carestia.

L’iniziativa di instaurare una pausa umanitaria nella Striscia di Gaza è stata annunciata dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF) all’alba di domenica 27 maggio. Quello che le IDF definiscono «cessate il fuoco tattico locale» delle attività militari, a favore delle esigenze umanitarie, sarebbe in teoria attivo dalle 10:00 alle 20:00 di ogni giorno fino a data da destinarsi; esso riguarderebbe «le aree in cui le IDF non operano» (e in cui dunque, secondo la loro stessa versione, non dovrebbero condurre attacchi in ogni caso), individuate nel campo di Al Mawasi, a ovest di Khan Younis, a Deir al Balah e a Gaza City. Parallelamente, si legge nel comunicato delle IDF, «sono stati definiti percorsi sicuri permanenti, a partire dalle 6:00 alle 23:00, che consentiranno la circolazione in sicurezza dei convogli delle Nazioni Unite e delle organizzazioni umanitarie, per portare e distribuire cibo e medicine alla popolazione in tutta la Striscia di Gaza».

Dopo l’annuncio di domenica, le IDF hanno portato avanti le proprie azioni nella Striscia di Gaza. Lo stesso giorno dell’annuncio, Israele ha ucciso almeno 63 persone, attaccando, secondo quanto riportato dalla giornalista Hind Khoudary all’emittente qatariota Al Jazeera, anche quelle stesse aree in cui in teoria sarebbe dovuta essere attiva la pausa. Alle uccisioni di domenica, si aggiungono le 92 di ieri, che portano il totale delle persone uccise da Israele, malgrado l’annuncio delle tregue locali, a 155. Delle persone uccise lunedì, almeno 41 erano in cerca di aiuti umanitari. Dopo l’annuncio della creazione di corridoi, sono iniziate a circolare numerosi video e immagini di persone ammassate attorno ai camion di aiuti umanitari per procurarsi scorte di cibo; in totale, Israele ha fatto entrare 87 camion.

Intanto, la crisi alimentare a Gaza si aggrava ogni giorno di più, e ormai la fame uccide quanto le bombe israeliane. Secondo l’ultimo bollettino dell’ONU, l’intera popolazione di Gaza è entrata almeno nel terzo stadio (su 5) della scala IPC (Classificazione Integrata delle Fasi di Sicurezza Alimentare), che misura la gravità delle crisi alimentari. Questo significa che l’intera popolazione palestinese di Gaza presenta significativi deficit nei consumi alimentari, con livelli di malnutrizione acuta superiori alla norma; il tasso di mortalità per stenti è compreso tra lo 0,5% e l’1%. Circa la metà della popolazione è invece entrata nel quarto livello della scala IPC, che presenta un tasso di mortalità maggiore dell’1% e inferiore al 2%. Un quarto dei palestinesi ha già raggiunto il quinto livello della scala IPC, quello riservato alle “catastrofi umanitarie”, in cui il tasso di mortalità è superiore al 2%.

Dall’escalation del 7 ottobre, Israele ha distrutto, danneggiato o reso inutilizzabile il 92% delle case (l’ultimo aggiornamento è di questo mese, luglio 2025), l’83% delle terre coltivabili e il 71% delle serre (i dati più recenti sono di aprile 2025), l’88,8% delle scuole (dato aggiornato al 4 aprile 2025), l’89% delle strutture idriche (febbraio 2025) e, in generale, il 70% di tutte le strutture della Striscia (4 aprile 2025); meno della metà degli ospedali risultano funzionanti (20 luglio 2025), e l’87,8% del territorio della Striscia è sotto ordine di evacuazione o interdetto ai civili. In totale, l’esercito israeliano ha inoltre ucciso direttamente almeno 59.921 persone, anche se il numero totale dei morti potrebbe superare le centinaia di migliaia, come sostenuto da un articolo della rivista scientifica The Lancet e da una lettera di medici volontari nella Striscia.

Colombia, condannato l’ex presidente Uribe

0

Un tribunale colombiano ha condannato l’ex presidente Álvaro Uribe per avere spinto delle persone a testimoniare il falso, rendendolo il primo ex presidente del Paese ad essere dichiarato colpevole in un processo. La sentenza, contro la quale Uribe presenterà ricorso, riguarda un caso del 2012, e arriva 7 anni dopo l’apertura delle indagini. Secondo l’accusa, Uribe avrebbe spinto alcuni membri appartenenti a gruppi paramilitari a testimoniare contro il senatore dell’opposizione Iván Cepeda, e di essere coinvolto in attività illecite con questi stessi gruppi. Ogni accusa prevede una pena detentiva compresa tra i sei e i dodici anni; il tribunale dovrebbe esprimersi sulla sua libertà il prossimo venerdì.