venerdì 7 Marzo 2025
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UE, via libera a 450 milioni per alluvioni in Emilia-Romagna e Toscana

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L’Eurocamera ha approvato definitivamente la proposta della Commissione per l’erogazione del Fondo di solidarietà, destinato a fronteggiare le conseguenze delle alluvioni in Europa nella primavera 2023. Il pacchetto, approvato con 632 voti a favore e 7 contrari, prevede 1,28 miliardi di euro, di cui 446,6 milioni per l’Italia: 378,83 milioni per l’Emilia-Romagna e 67,81 milioni per la Toscana. Questi fondi copriranno i costi delle operazioni di emergenza e recupero, come la riparazione delle infrastrutture danneggiate, mentre il resto andrà a Slovenia, Austria, Grecia e Francia.

Nestlé, la multinazionale del cibo spazzatura fa educazione alimentare (anche in Italia)

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Il gruppo Nestlé Italia, insieme a Luiss Business School e Scs Consulting, ha presentato Il nido che condividiamo, il primo studio di impatto sociale che rileva l’apporto dell’azienda in sei macro-aree: benessere delle persone del Gruppo Nestlé in Italia e delle loro famiglie; supporto alle comunità locali; educazione alimentare; salute e benessere nutrizionale; sicurezza sul lavoro; donazioni e volontariato aziendale. Considerata la storia e la realtà produttiva della multinazionale svizzera, balzano immediatamente all'occhio le aree dedicate alla nutrizione e all'alimentazione. Bevande e ali...

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Molise, appello contro la presenza di Piantedosi in ateneo

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Cresce la protesta contro la presenza del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, all’Università del Molise, dopo che il politico è stato chiamato a inaugurare l’anno accademico. La cerimonia si terrà il 30 ottobre, ma contro l’invito del ministro è stato lanciato un appello dall’organizzazione Casa del popolo Campobasso, che ha già raccolto circa un centinaio di adesioni. Tra i firmatari, cittadini, studenti, docenti, e membri dell’amministrazione locale, tra cui l’assessore alla Cultura di Campobasso Adele Fraracci e figure della sinistra regionale.

In Brasile torna X: la Corte Suprema annulla la sospensione

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Dopo mesi di controversie tra la piattaforma X e le autorità giudiziarie brasiliane, la Corte Suprema ha annullato la sospensione del social network di Elon Musk, la quale aveva bloccato i servizi all’interno del Paese. Lo riportano le agenzie di stampa brasiliane e l’account ufficiale di X Global Government Affairs, che scrive: «X è orgoglioso di tornare in Brasile. Dare a decine di milioni di brasiliani l’accesso alla nostra indispensabile piattaforma è stato fondamentale durante l’intero processo». La decisione segue un parere favorevole presentato dalla Procura generale della Repubblica, la quale ha certificato l’avvenuto pagamento di tutte le multe – per un totale di 4,8 milioni di euro – inflitte al social negli ultimi mesi.

Deficit miliardario, carenza di infermieri, medici in fuga: la sanità pubblica al collasso

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Tra tempi di attesa infiniti e difficoltà di accesso alle strutture sanitarie, nel 2023, circa 4,5 milioni di italiani hanno dovuto rinunciare a visite mediche e cure specialistiche. Ad attestarlo è l’ultimo rapporto della Fondazione GIMBE, che rileva, inoltre, come il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) soffra un deficit di oltre 52 miliardi rispetto agli standard europei. Chi può permetterselo copre le spese di tasca propria, tanto che la spesa sanitaria privata risulta cresciuta del 10,3%. Tuttavia, le persone più vulnerabili, circa 2,5 milioni, hanno dovuto rinunciare alle cure per motivi economici. La situazione è particolarmente grave nel Sud Italia, dove solo Puglia e Basilicata rispettano i Livelli essenziali di assistenza (LEA). A complicare ulteriormente il quadro, tra mancate assunzioni e fughe dall’Italia, la grave carenza di personale sanitario: il SSN ha perso tra il 2019 e il 2022 oltre 11 mila medici e il numero degli infermieri, attualmente 6,5 per mille abitanti, resta drammaticamente basso.

Il settimo rapporto GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale è stato presentato ieri, martedì 8 ottobre, presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica. Secondo Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione, «la grave crisi di sostenibilità del SSN» deriverebbe dal poderoso «definanziamento attuato negli ultimi 15 anni da tutti i Governi, che hanno sempre visto nella spesa sanitaria un costo da tagliare ripetutamente e non una priorità su cui investire in maniera costante». Questo processo, secondo Cartabellotta portato avanti per un tornaconto politico, ha portato a «un divario della spesa sanitaria pubblica pro capite di 889 euro rispetto alla media dei paesi OCSE membri dell’Unione Europea», pari a un deficit complessivo di quasi 52,4 miliardi di euro. Il Fabbisogno Sanitario Nazionale, nel frattempo, è aumentato complessivamente di 28,4 miliardi nel periodo 2010-2024, con una media di 2 miliardi per anno. L’aumento della spesa sanitaria totale (+4.286 milioni), invece, a fronte di una diminuzione della spesa pubblica (-73 milioni), è gravato esclusivamente sulle spalle delle famiglie, sotto forma di spesa diretta (+3.806 milioni) o tramite fondi sanitari e assicurazioni (+553 milioni). Come la spesa pubblica, è calata anche la spesa per i servizi per la prevenzione delle malattie (-1.933 milioni, per una percentuale del -18,6%).

A complicare la situazione arriva anche la drastica carenza di personale sanitario che ormai investe il SSN da anni. «Inizialmente dovuta al definanziamento del SSN e ad errori di programmazione», sostiene Cartabellotta, «oggi, dopo la pandemia, è aggravata da una crescente frustrazione e disaffezione per il SSN». Medici e infermieri italiani affrontano «turni massacranti, burnout, basse retribuzioni, prospettive di carriera limitate ed escalation dei casi di violenza», che insieme «stanno demolendo la motivazione e la passione dei professionisti, portando la situazione verso il punto del non ritorno». Malgrado il Paese disponga di 4,2 medici ogni 1.000 abitanti, un dato superiore alla media OCSE (3,7), non si può dire lo stesso degli infermieri (6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti in Italia contro 9,8 OCSE), e, più in generale, del rapporto infermieri/medici (1,5 a fronte di una media europea di 2,4). Diminuiscono, inoltre, i laureati in Scienze Infermieristiche, che lasciano l’Italia al terzultimo posto nella classifica dei Paesi OCSE.

Tra spese alte, mancanza di strutture e carenza di personale, aumenta anche il divario tra Nord e Sud. Secondo il rapporto, nel 2022 erano 13 le Regioni che rispettavano gli standard essenziali di cura; di esse «Puglia e Basilicata sono le uniche Regioni promosse al Sud, ma comunque in posizioni di coda». Aumentando il divario tra Nord e Sud, aumenta anche la mobilità sanitaria (ossia il numero di persone in cerca di cure che si affidano a ospedali diversi da quelli della propria Regione), e dunque anche la perdita per il sistema sanitario del Mezzogiorno: «in particolare», spiega il rapporto, nel decennio 2012-2021 le Regioni del Mezzogiorno hanno accumulato un saldo negativo pari a 10,96 miliardi».

La Fondazione GIMBE redige ogni anno un rapporto sul Sistema Sanitario Nazionale, e ogni anno la situazione appare in netto peggioramento, con gli italiani sempre più costretti a spendere di tasca propria per l’accesso alle cure. Contro un sistema sanitario alla deriva, si sono mossi i cittadini lombardi, che lo scorso giugno hanno depositato circa 90.000 sottoscrizioni alla petizione sulla salute in regione. L’iniziativa, lanciata il 1° marzo e conclusa il 10 giugno, ha promosso con successo la battaglia in favore di un Referendum per la Sanità Pubblica, concretizzatasi in 5 punti: miglioramento delle prenotazioni, snellimento delle liste di attesa attraverso interventi mirati, introduzione di medici a gettone, miglioramento dell’insieme dei servizi di cura e assistenza per le persone anziane, e diffusione e potenziamento dei servizi territoriali con maggiori risorse.

[di Dario Lucisano]

Le sei zampe di ENI dentro il mondo della cultura italiana

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Crotone, Gela, Livorno, Pavia, Potenza, Ravenna, Taranto, Venezia. Quando si tratta del mondo della cultura italiana, il colosso energetico ENI ha le zampe un po’ ovunque. A rimarcarlo è un recente rapporto dell’Associazione A Sud redatto in collaborazione con il Centro di Documentazione dei Conflitti Ambientali. Il dossier approfondisce il legame tra ENI e cultura, osservando le iniziative di cui il gruppo si fa promotore, ed esplorando «le strategie di “cultural washing” attuate dall’azienda»; esso, insomma, intende svelare le modalità con cui ENI sfrutterebbe i propri progetti culturali (che vanno dalla sponsorizzazione della Serie A, a quella di feste locali o di ricorrenze simboliche come la Giornata Mondiale dei Bambini) per migliorare la propria immagine pubblica e distogliere l’attenzione dalle sue pratiche controverse ed eticamente discutibili nello sfruttamento di petrolio e gas. «L’operazione di ENI è una sofisticata forma di distrazione di massa», denuncia il rapporto: essa «mira a deviare l’attenzione dalle gravi responsabilità ambientali dell’azienda», e «tenta di costruire un’immagine di vicinanza alle comunità locali» attraverso la promozione di «narrazioni di sostenibilità e sostegno alla bellezza artistica» del Belpaese. Eppure, «questa visione nasconde un’eredità tossica lasciata in molti territori italiani».

Il rapporto di A Sud e CDCA è stato pubblicato venerdì 16 settembre e fa parte della campagna Osservatorio ENI e del programma Cultura Sostenibile della stessa A Sud. La «grandiosa opera di distrazione cognitiva» messa in piedi da ENI servirebbe ad «allontanare dal grande pubblico l’idea che l’azienda abbia ancora a che fare con il mondo petrolifero, avvicinare la sua immagine a un futuro sostenibile, rinnovabile, generosamente vicino alle comunità territoriali e promotore delle bellezze artistiche e paesaggistiche dell’Italia». Oltre che a ripulire la propria immagine, lo scopo ultimo delle iniziative di ENI sarebbe quello di convincere il grande pubblico «che un mondo green è possibile solo se lasciamo fare ai grandi player economici, gli stessi che ci hanno consegnato un futuro gravemente compromesso», e a distogliere l’attenzione dalle pratiche speculative e poco sostenibili dell’azienda. Un ruolo fondamentale in questa operazione sarebbe svolto dalla Fondazione Enrico Mattei. Essa si auto-definisce come un «centro di ricerca internazionale no profit, rivolto alla ricerca di alta qualità, innovativa, interdisciplinare e scientificamente rigorosa nell’ambito dello sviluppo sostenibile». Tra i suoi scopi vi sarebbe anche quello di «studiare problematiche di particolare interesse del Gruppo ENI», per orientare le politiche aziendali. Tuttavia, a detta del rapporto, sembrerebbe «che il suo ruolo sia quello di confermare le scelte del management, fornendo a esse un’aura di oggettività scientifica».

L’accusa lanciata da A Sud e CDCA, insomma, è che ENI sfrutti le ricerche della Fondazione Mattei, contornate da un alone di presunta scientificità, per orientare le persone a optare per soluzioni utili all’azienda. Per quanto il Direttore della Fondazione, Alessio Lanza, abbia apertamente sostenuto che «le ricerche del gruppo non vengono commissionate dall’ENI e l’ENI non chiede alla Fondazione specifiche ricerche», le ipotesi di A Sud e CDCA non sembrano avere difficoltà a trovare riscontro: è il caso della promozione di ricerche che finiscono per suggerire di puntare sui biocarburanti, «guarda caso uno degli ambiti su cui punta maggiormente ENI per la decarbonizzazione dei trasporti», o della conflittualità delle stesse parole di Lanza con quelle pronunciate da ENI, che aveva precedentemente comunicato ad A Sud e CDCA che l’azienda può chiedere alla Fondazione ricerche su temi specifici, contrariamente a quanto affermato dal Direttore. Un altro ambito del mondo della cultura e della ricerca su cui ENI investe particolarmente è quello universitario. Anche Greenpeace, in un rapporto del 2023, aveva parlato delle “sei zampe di ENI su scuole e università”. Lo stesso dossier di A Sud e CDCA rimarca come «nel 2023 ENI ha finanziato direttamente le università statali con un contributo di circa 10 milioni di euro», a cui si accompagna una presenza «molto più netta» attraverso i circa 150 progetti di scambio con gli atenei, tra corsi di laurea, e dottorati di ricerca. ENI ha inoltre attivi altri 23 progetti con CNR ed ENEA, i due maggiori enti pubblici per la ricerca.

Ultimi, ma non meno importanti sono tutti i progetti di diretto “cultural washing” a stretto contatto col territorio che il cane a sei zampe promuoverebbe in Italia, i quali si intersecano con le iniziative nel mondo delle università e della ricerca. Il rapporto ne identifica otto, che toccano province e comuni dal nord al sud del Paese. Uno dei casi più paradigmatici è quello di Gela, dove ENI, all’indomani della chiusura della raffineria nel 2014, ha avviato un progetto di rilancio del territorio con «un approccio che ha poco del culturale e molto del turistico». Il tutto sarebbe promosso per nascondere quelle «ferite mai rimarginate» che lo sfruttamento dell’azienda avrebbe inferto al territorio, da «l’inquinamento di acqua terra e aria» a «l’impatto sulla salute». Come Gela, a Porto Marghera, Venezia, dove ENI partecipa al piano per «far diventare Venezia la capitale mondiale della sostenibilità» nascondendo l’intenzione di realizzare un inceneritore di fanghi di depurazione civile in prossimità del canale industriale Sud. Oltre a Gela e Venezia, anche Crotone, Livorno, Ravenna, Taranto, e i comuni di Viggiano e Sannazzaro sono sede di analoghi progetti. ENI, dopo tutto, non è nuova a piani di sfruttamento del territorio poco etici. È il caso, emerso recentemente, dello sfruttamento delle acque territoriali palestinesi, per cui il colosso dell’energia italiano ha ricevuto il permesso di esplorazione dallo stesso governo israeliano.

[di Dario Lucisano]

Sanzioni UE alla Russia, l’Ungheria pone di nuovo il veto

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L’Ungheria ha posto il veto all’estensione del congelamento degli asset russi da 6 a 36 mesi. La posizione ungherese potrebbe causare difficoltà alla Commissione von der Leyen 2, soprattutto perché il rinnovo meno frequente del blocco sugli asset è considerato cruciale per mantenere gli aiuti finanziari promessi all’Ucraina. Alcuni di questi derivano da un pacchetto di prestiti finanziato proprio dai beni russi congelati. Altri Stati membri sono contrari a spacchettare i provvedimenti, lasciando il nodo irrisolto fino al prossimo Consiglio Europeo. Il pacchetto sanzionatorio ha infatti bisogno dell’unanimità. Secondo quanto dichiarato dal ministro delle Finanze ungherese, Mihàly Varga, la questione sarà probabilmente rinviata a novembre.

Tiziano: pestato dalla polizia al corteo per Gaza, poi arrestato e messo ai domiciliari

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Tiziano Lovisolo, 24enne marchigiano, è finito agli arresti domiciliari dopo essere stato fermato durante la manifestazione pro Palestina a Roma dello scorso 5 ottobre. Accusato di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, il giovane è stato protagonista di uno scontro con la polizia. Secondo la versione degli agenti, Lovisolo avrebbe causato la frattura del bacino di un dirigente della Digos, eppure alcune testimonianze racconterebbero una storia diversa: come mostra chiaramente un video visionato da L’Indipendente, il ragazzo è stato buttato a terra nella calca, per poi venire colpito ripetutamente da un agente armato di manganello; questi è stato presto raggiunto da altri colleghi, che hanno circondato il ragazzo e si sono uniti al pestaggio. Secondo ulteriori testimonianze, Lovisolo sarebbe poi stato trascinato dietro il cordone di polizia con un manganello stretto alla gola.

La decisione di mettere Lovisolo agli arresti domiciliari arriva dal giudice per le indagini preliminari di Roma dopo due ore di camera di consiglio. In tale sede, la procuratrice aggiunta dell’antiterrorismo Lucia Lotti ha chiesto la custodia in carcere per lesioni gravi e resistenza a pubblico ufficiale, mentre la difesa, sostenuta dall’avvocata Caterina Calia, ha puntato alla scarcerazione del giovane. L’accusa individua in Lovisolo il responsabile dei danni da lesioni ricevuti da un funzionario delle forze dell’ordine che pare abbia ricevuto una prognosi di 45 giorni per la frattura del bacino, e gli imputa di avere sferrato calci e pugni indiscriminatamente contro la polizia. Secondo la difesa, sarebbe andato tutto diversamente: quando la situazione stava degenerando, il ragazzo avrebbe provato ad allontanarsi dagli scontri, ma non vi sarebbe riuscito a causa dei blocchi delle camionette delle forze dell’ordine, che avevano chiuso i varchi di accesso e uscita della piazza. Si sarebbe così trovato in mezzo alla ressa, e sarebbe stato dapprima malmenato e poi preso in custodia. Il video visionato da L’Indipendente dà più credito a questa seconda ricostruzione che alla prima, e ritrae il ragazzo inerme a terra, circondato da una schiera di agenti intenti a malmenarlo; dalle immagini, inoltre, non sembra vedersi alcun agente ferito nelle vicinanze. «È stato preso a caso», ha detto la ragazza di Lovisolo al Corriere, versione accreditata anche dai Giovani Palestinesi: «Condividiamo un appello dei compagni di Tiziano che è stato malmenato dalla polizia prima di essere portato in questura», hanno scritto in un comunicato; «Rimarrà trattenuto in stato di fermo fino a lunedì con accuse che siamo certi essere arbitrarie, pretestuose e infondate». In occasione della camera di consiglio, a Roma, si è tenuto un presidio davanti al tribunale, in supporto al ragazzo. Al termine della seduta, Tiziano è rientrato a casa, e ha ringraziato tutti i presenti per la solidarietà mostrata. L’udienza è stata aggiornata al 14 novembre.

La manifestazione di Roma del 5 ottobre era stata osteggiata dalla Questura e dal Ministero dell’Interno, ma, come promesso dagli organizzatori, si è tenuta comunque. Al presidio hanno partecipato circa 10.000 persone, mentre le forze dell’ordine si sono organizzate con oltre 1.500 agenti, posti di blocco agli ingressi della città e camionette armate di idranti. Gli scontri sono iniziati attorno alle 17:00: bottiglie, bombe carta e fumogeni lanciate dalla parte più calda del corteo; manganelli e massicci lanci di lacrimogeni alla rinfusa da parte degli agenti che, come al solito, hanno finito per intossicare centinaia di persone. Dopo qualche minuto di confronto all’altezza di via Ostiense le forze dell’ordine sono entrate nella piazza con pesanti cariche e getti di idranti, mettendo in fuga migliaia di persone.

[di Dario Lucisano]

Dall’inizio del massacro di Gaza gli USA hanno dato a Israele armi per 18 miliardi di dollari

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Secondo l’ultimo rapporto Costs of War della Brown University di Providence, nello Stato federato USA del Rhode Island, gli Stati Uniti d’America avrebbero fornito a Israele circa 18 miliardi di dollari in armi solo nell’ultimo anno. A questa cifra, inoltre, si aggiungono quasi 5 miliardi di dollari spesi dal governo statunitense per le proprie operazioni nella regione, che, sommati ai precedenti, arrivano a un totale di oltre 22 miliardi dollari. Si tratta di una «stima conservativa», afferma lo studio, che, sebbene consideri «i finanziamenti supplementari per le operazioni regionali e i costi aggiuntivi stimati delle operazioni», non include «gli altri costi economici» e le perdite, come per esempio quelle dovute ai rincari sul traffico marittimo sul Mar Rosso. Il rapporto analizza lo stretto legame che unisce USA e Israele, che hanno mantenuto relazioni commerciali per tutto l’ultimo anno. Il governo degli Stati Uniti ha frequentemente citato questi stessi legami commerciali come uno dei motivi per continuare a fornire armi ed equipaggiamenti alle forze armate israeliane, e in effetti non ha mai smentito questa sua posizione.

Il rapporto dell’Università di Rhode Island è stato pubblicato in occasione dell’anniversario del 7 ottobre ed è stato redatto con i dati aggiornati a lunedì 30 settembre. Dalle analisi, emerge come in un solo anno, gli Stati Uniti abbiano speso almeno 22,76 miliardi di dollari in aiuti militari a Israele, e nelle relative operazioni statunitensi nella regione. Di questi, 17,9 miliardi sono stati forniti direttamente allo Stato ebraico sotto forma di equipaggiamento militare, mentre 4,86 miliardi sono stati spesi nelle operazioni contro gli Houthi. La cifra stabilita non considera nessuna spesa diversa dalle spese di sicurezza approvate, i finanziamenti di assistenza dal 7 ottobre 2023, i finanziamenti aggiuntivi per operazioni regionali, e il costo aggiuntivo stimato delle operazioni. A venire esclusi dalla conta sono stati per esempio gli impegni assunti per le spese future, i recenti dispiegamenti di forze, ma anche le categorie di spesa collaterali quali la maggiore assistenza in materia di sicurezza da parte degli Stati Uniti all’Egitto all’Arabia Saudita o a qualsiasi altro Paese, e i costi per il settore delle compagnie aeree commerciali e per i consumatori statunitensi.

Dei 17,9 miliardi di dollari in armi, 3,8 vengono dall’annuale contributo militare fornito dagli Stati Uniti a Israele, che fa parte di un piano di aiuti decennale dal valore di 38 miliardi, che scadrà nel 2026; i restanti 14,1 miliardi rientrano nell’ambito dei vari pacchetti di aiuti emergenziali, e costituiscono dunque una voce di spesa straordinaria. Di questi ultimi: 4 miliardi di dollari sono serviti a ricostituire i sistemi di difesa missilistica Iron Dome e David’s Sling; 1,2 miliardi di dollari sono stati inviati a sostegno del sistema di difesa Iron Beam, sviluppato per contrastare razzi a corto raggio e colpi di mortaio; 3,5 miliardi di dollari sono stati destinati all’acquisto di armamenti avanzati e articoli per la difesa; 1 miliardo di dollari è stato diretto a potenziare la produzione e lo sviluppo di artiglieria e munizioni; gli ultimi 4,4 miliardi di dollari sono stati rivolti alla fornitura di ulteriori sistemi di difesa. Tutto questo denaro è stato fornito da piattaforme apposite, azioni statunitensi e ulteriori programmi. In totale, dal 7 ottobre, l’amministrazione Biden ha siglato oltre 100 accordi commerciali, che hanno portato alle basi israeliane: oltre 4 milioni di chilogrammi di carburante per aerei; 57.000 proiettili di artiglieria; 36.000 colpi di munizioni per cannoni; circa 14.000 missili anticarro, e 3.000 missili Hellfire a guida laser; circa 30.000 bombe di tipo diverso; un totale di più di 3.000 droni diversi; tutto ciò senza contare armi, veicoli corazzati ed equipaggiamento. Il rapporto sottolinea come mai prima di quest’anno gli Stati Uniti avevano fornito così tanti aiuti a Israele.

Lo studio della Brown University non fa che confermare il coinvolgimento degli Stati Uniti d’America nel massacro di civili in corso a Gaza, spesso denunciato dai vari movimenti di resistenza palestinesi. A riprova dell’inamovibile sostegno di Washington verso Israele arriva il diretto coinvolgimento militare nella guerra contro gli Houthi, sul Mar Rosso, per cui gli USA hanno speso parte di quei 22,76 miliardi di dollari dell’ultimo anno. A esso si è recentemente aggiunta la decisione da parte dell’amministrazione Biden di schierare ulteriori truppe, navi, e armi nella regione mediorientale. Essa sembrerebbe suggerire, lungi da quanto continua a dichiarare Biden, la volontà di lasciare che Israele continui indisturbato a bombardare i territori vicini all’Iran, scongiurando altre reazioni da parte di Teheran. Più che «prevenire l’allargamento del conflitto», insomma, sembrerebbe che gli Stati Uniti siano intenzionati a lasciare che il conflitto venga allargato a tutti i nemici mediorientali, e che Israele continui senza disturbi la propria operazione di pulizia etnica.

[di Dario Lucisano]

India, elezioni in Kashmir: vince la coalizione di opposizione

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La coalizione dei partiti di opposizione al Presidente indiano Narendra Modi ha vinto le elezioni nello Stato del Kashmir, formalmente Jammu e Kashmir, unica regione indiana settentrionale a maggioranza musulmana. Le votazioni si sono svolte in tre turni dal 18 settembre all’1 ottobre, e hanno visto il Bharatiya Janata Party, il partito di stampo nazionalista indiano di Modi, ottenere 29 dei 90 seggi; 42 seggi al partito della Conferenza Nazionale e 6 all’alleato Congresso, principale partito di opposizione nazionale. Quelle di quest’anno sono le prime elezioni dalla revoca dello statuto speciale voluta da Modi nel 2019 e confermata dalla Corte Suprema lo scorso dicembre, che ha portato a un gran numero di proteste.