La provincia siriana di Suwayda torna teatro di scontri. Secondo quanto riportano i media locali, i gruppi drusi avrebbero attaccato il personale delle forze di sicurezza interna siriane e bombardato alcuni centri. I combattimenti sono iniziati a Tal Hadid, dove, secondo quanto riporta l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, sarebbero stati uccisi tre membri del personale di sicurezza e un miliziano appartenente a fazioni locali. Altre dieci persone sarebbero rimaste ferite. Lo scorso mese, la stessa Suwayda è stata sede di violenti combattimenti tra le milizie druse e i gruppi beduini, terminati con l’istituzione di un cessate il fuoco e l’invio di personale di sicurezza da parte del governo centrale.
Migranti: oltre 60 morti al largo dello Yemen
Una barca che trasportava 157 persone migranti è affondata al largo delle coste dello Yemen, causando almeno 68 morti. Di preciso l’incidente è avvenuto al largo del distretto di Ahwar, nella provincia meridionale yemenita di Abyan, sul Mar Arabico, e la maggior parte delle vittime provenivano dall’Etiopia. Da quanto ha comunicato Abdusattor Esoev, responsabile per lo Yemen dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, all’emittente britannica BBC, 12 persone sono state tratte in salvo, e decine risultano ancora disperse. Dalle prime ricostruzioni pare che l’imbarcazione si sia capovolta.
Cile, incidente in miniera El Teniente: trovati quattro morti dopo terremoto
In seguito a un incidente causato da un forte terremoto di magnitudo 4,2 avvenuto giovedì scorso, sono stati ritrovati morti tre dei cinque lavoratori rimasti intrappolati nella miniera di rame El Teniente, della Codelco. Una vittima era già deceduta durante l’incidente, portando il bilancio totale a quattro morti. Le squadre di soccorso stanno cercando di liberare i passaggi crollati e hanno finora liberato 24 metri su un totale di 90 necessari. Codelco sta indagando per determinare se il crollo sia stato causato dall’attività mineraria o da movimenti tettonici naturali.
Gaza: secondo un rapporto UNICEF Israele ha già ucciso almeno 18.000 bambini
Da oltre ventidue mesi, i tremendi massacri nella Striscia di Gaza da parte dell’esercito israeliano hanno provocato la morte di oltre 18mila bambini palestinesi. Lo rende noto l’ultimo rapporto dell’UNICEF, che delinea un bilancio tragico. La strage è infatti quotidiana, con una media di 28 minori che perdono la vita ogni giorno: un numero equivalente a un’intera classe scolastica che, nell’arco di 24 ore, scompare nel nulla. Un bilancio che si aggrava non solo per i continui bombardamenti e dei raid dell’esercito israeliano, ma anche a causa del devastante effetto della carestia, delle malattie e della malnutrizione, che ormai da mesi hanno fatto piombare Gaza nell’inferno.
Ted Chaiban, vicedirettore generale dell’UNICEF, ha dichiarato di essere appena tornato da una missione in Israele, Gaza e Cisgiordania, dove ha potuto osservare direttamente le conseguenze della crisi umanitaria che sta segnando il popolo palestinese: «I segni della profonda sofferenza e della fame erano visibili sui volti delle famiglie e dei bambini che hanno perso i loro cari, sono affamati, spaventati e traumatizzati», ha affermato. La realtà sul campo, raccontata anche dal personale dell’UNICEF, è sconvolgente. Gaza sta vivendo una crisi senza precedenti, dove l’emergenza umanitaria è ormai all’ordine del giorno. Lo scoppio del conflitto, iniziato il 7 ottobre del 2023, ha spinto la Striscia di Gaza verso un baratro senza ritorno, con livelli di malnutrizione ormai incontrollabili. «Gaza rischia seriamente la carestia», ha ammonito Chaiban, sottolineando che oggi una persona su tre a Gaza passa giorni senza cibo. La malnutrizione acuta ha raggiunto il 16,5% nella città di Gaza, e oltre 320mila bambini sono a rischio di malnutrizione grave. Le immagini che Chaiban ha portato con sé parlano da sole: bambini malnutriti, ridotti a pelle e ossa, mentre le madri, ormai troppo affamate, non riescono nemmeno più a produrre latte materno.
A peggiorare la situazione, oltre alla carestia, è la scarsità di acqua potabile. Le temperature giornaliere sfiorano i 40 gradi e l’acqua scarseggia, aumentando il rischio di epidemie in un contesto già estremamente fragile. L’UNICEF sta cercando di fornire almeno un minimo di aiuti, con 2,4 milioni di litri di acqua potabile distribuiti ogni giorno nella parte settentrionale della Striscia. Tuttavia, ciò rappresenta solo una piccola frazione di ciò che sarebbe necessario per garantire la sopravvivenza delle persone. Il Fondo delle Nazioni Unite ha dichiarato che solo il 30% delle esigenze sanitarie e nutrizionali sono state coperte dai finanziamenti ricevuti. «Le scelte che faremo ora determineranno la vita o la morte di decine di migliaia di bambini», ha dichiarato Chaiban, evidenziando che le misure di emergenza devono essere immediatamente potenziate per evitare un ulteriore esodo di sfollati e per contrastare la carestia e la malnutrizione dilagante.
Secondo fonti ufficiali, circa un terzo delle oltre 60mila vittime registrate a Gaza sono minori. Un’intera classe di bambini uccisi, ogni giorno per quasi due anni. «Alcuni sono stati uccisi nei loro letti. Altri mentre giocavano. Molti sono stati sepolti prima di imparare a camminare», scrive il Washington Post, che ha pubblicato una lista con i nomi di 18.500 bambini uccisi, uno per ogni ora di conflitto. Le identità di queste vittime sono raccolte attraverso registri ospedalieri e testimonianze dirette, ma la difficoltà di identificare i corpi, data la situazione di totale collasso del sistema sanitario di Gaza, rende ancora più agghiacciante questa contabilità.
Nel frattempo, nelle ultime ore i massacri non si sono fermati. Al-Jazeera scrive che almeno 22 persone sono state uccise dall’IDF, tra cui 16 mentre cercavano disperatamente aiuti. Nella sola giornata di ieri sono invece almeno 35 le persone uccise da Israele mentre erano in coda per ricevere aiuti umanitari. L’esercito israeliano, secondo quanto hanno riferito testimoni sul posto citati da Al-Jazeera, ha aperto il fuoco contro i civili in attesa. Uccisioni che portano a oltre cinquanta il numero di persone assassinate da Israele ieri lungo tutta la Striscia di Gaza. Si aggiungono quelle causate dalla carestia indotta dal blocco degli aiuti da parte del governo israeliano. In tutto, sono 175 i civili palestinesi uccisi dalla mancanza di cibo: 93 di questi sono bambini.
Ucraina, un parlamentare e diversi funzionari arrestati per corruzione
Diversi funzionari pubblici, tra cui il parlamentare Oleksii Kuznetsov, sono stati arrestati in Ucraina con l’accusa di corruzione. L’inchiesta riguarda il pagamento di tangenti legate all’assegnazione di appalti per droni e dispositivi militari. Gli arresti sono stati resi possibili grazie al lavoro dell’agenzia anticorruzione (Nabu) e della procura (Sapo). Questo accade dopo che la settimana precedente migliaia di ucraini avevano protestato contro una legge che riduceva l’autonomia di queste agenzie. Dopo le proteste, Zelensky ha fatto approvare dal parlamento una nuova legge che ne ha ripristinato l’autonomia
USA, aperta inchiesta su ex procuratore che indagò Trump
Le autorità federali hanno aperto un’inchiesta su Jack Smith, ex procuratore speciale che aveva indagato su Donald Trump prima delle elezioni presidenziali del 2024, incriminandolo per le carte classificate di Mar-a-Lago e per l’assalto al Capitol. L’Office of Special Counsel ha avviato un’indagine su Smith dopo che il senatore repubblicano Tom Cotton, alleato di Trump, ha accusato Smith di agire con intenti politici per danneggiare la campagna presidenziale di Trump del 2024. Smith è stato accusato di violare l’Hatch Act, che vieta attività politiche per alcuni funzionari pubblici.
2 Agosto strage di Stato: 45 anni dopo la sentenza parla chiaro, il governo no
«Bologna non dimentica». C’è scritto così, da tantissimi anni, sullo striscione che apre il corteo. Parte da Piazza Maggiore, attraversa il centro e arriva fino a Piazza Medaglie d’Oro, sotto un orologio rotto che da 45 anni segna sempre la stessa ora: le 10:25. A quell’ora, il 2 agosto 1980, nella sala d’aspetto della stazione, esplose una bomba che causò 85 morti e oltre 200 feriti. Vittime di ogni età, provenienza e ceto sociale, che si trovavano lì perché ci lavoravano, perché si erano fermate a bere un caffè al bar, a comprare un giornale in edicola oppure – come la maggior parte – perché stavano partendo per le vacanze. È la più grave strage mai avvenuta in Italia in tempo di pace.
Oggi, 45 anni dopo, quello striscione assume un significato ancora più forte. Poche settimane fa, infatti, si è finalmente giunti all’accertamento definitivo delle responsabilità, grazie alla sentenza della Cassazione sul processo a Paolo Bellini, che ha scritto una volta per tutte, nero su bianco, i nomi dei mandanti: il numero uno della P2, Licio Gelli; il capo dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale, Federico Umberto d’Amato; il senatore Mario Tedeschi; e il faccendiere Umberto Ortolani. Una strage concepita e finanziata dai vertici della loggia massonica più potente d’Italia, protetta dai servizi segreti ed eseguita da terroristi fascisti. Un legame tra poteri occulti e istituzioni che appare ancora oggi saldo e inconfessabile, se pensiamo che, fino a ieri, le inchieste sulla strage del 2 agosto erano state ostacolate in ogni modo.
«Quarantacinque anni di trame e depistaggi per nascondere la verità», ha dichiarato Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime, salito sul palco per il suo ultimo discorso prima di lasciare la carica dopo 29 anni. Il suo lavoro, quello di Torquato Secci prima di lui, e di tutti i volontari dell’associazione, è stato determinante nella ricerca della verità. Più volte, nel corso degli anni, si è tentato di archiviare le indagini. I familiari delle vittime si sono sempre opposti, rilanciando con nuovi impulsi, come con la digitalizzazione di tutti gli atti dei processi per strage: un passaggio chiave che ha permesso la riapertura del processo a Gilberto Cavallini, poi condannato all’ergastolo.
«Quest’anno sarà un discorso un po’ lungo», aveva annunciato Bolognesi prima di salire sul palco. E così è stato. Nel suo intervento ha ripercorso il lunghissimo cammino per giungere alla verità: dal primo processo del 1987 all’ultima sentenza della Cassazione, arrivata poco più di un mese fa. «Mancano però le responsabilità politiche», ha aggiunto Bolognesi, che non ha risparmiato critiche all’attuale governo, tracciando un vero e proprio filo nero che collega l’esecutivo con il terrorismo neofascista. Ha fatto nomi e cognomi: a cominciare da Mario Tedeschi, senatore del Movimento Sociale Italiano, condannato in via definitiva come mandante della strage; poi Paolo Bellini, infiltrato a suo dire in Avanguardia Nazionale per conto di Giorgio Almirante; e ancora Paolo Signorelli, condannato per associazione sovversiva e banda armata, il cui nipote – omonimo del nonno – è stato fino a poco tempo fa capo dell’ufficio stampa del ministro dell’Agricoltura Lollobrigida.
Dall’MSI provenivano figure chiave dello stragismo neofascista: Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia Nazionale; Franco Freda, responsabile della strage di Piazza Fontana e Nico Azzi, che il 7 aprile 1973 tentò di piazzare una bomba sul treno Torino-Genova-Roma e al cui funerale ha presenziato l’attuale presidente del Senato, Ignazio La Russa. «Sono queste le radici che non gelano, e con queste ci si deve fare i conti», ha detto Bolognesi, rivolgendosi direttamente alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni: «Condannare la strage di Bologna senza condannarne la matrice fascista è come condannare il frutto di una pianta velenosa continuando ad annaffiarne le radici». Bolognesi ha poi criticato il governo per la riforma della giustizia che separa le carriere dei magistrati – «proprio come era nel piano della P2» – e per il decreto sicurezza che, con l’articolo 31, stabilisce che nessun appartenente ai servizi segreti può essere inquisito per depistaggio: «Un tributo pagato a coloro che hanno cercato di abbattere la democrazia».
A rispondere, preventivamente, alle critiche ci aveva pensato la ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, che si era dissociata dal discorso di Bolognesi ancora prima di ascoltarlo: «Non sono d’accordo, né a titolo personale né come rappresentante del governo con qualunque riferimento fatto dal presidente Bolognesi all’attualità o all’attuale governo», ha dichiarato appena arrivata, parlando di una «strage oscena, che i magistrati hanno definito di eversione neofascista». Un giro di parole accolto da qualche fischio da parte della platea, radunatasi sotto il palazzo comunale prima di partire in corteo.
Come sempre, a marciare erano migliaia di persone – bolognesi e non – familiari delle vittime e semplici cittadini, che dopo 45 anni chiedono ancora verità e giustizia, non solo per Bologna ma per tutte le stragi rimaste impunite in Italia. Ogni passo del corteo è un atto di memoria attiva, ogni voce un richiamo alla verità, ogni striscione una barriera contro il tentativo di riscrivere o insabbiare la storia. «Sono sicuro che i mandanti e gli esecutori non si sarebbero mai immaginati che noi, dopo tutti questi anni, saremmo stati ancora qui – ha detto il presidente della regione Michele de Pascale – Questa è la forza della democrazia, questa è la forza della libertà».
Siria, raid delle forze curde nei pressi di Manbij: 7 feriti
Le Forze democratiche siriane (SDF) guidate dai curdi hanno lanciato attacchi con razzi e artiglieria nel nord della Siria, ferendo almeno sette persone, tra cui quattro soldati siriani e tre civili. Lo riportano i media statali, citando il Ministero della Difesa siriano. I raid avrebbero preso di mira un villaggio vicino a Manbij, nella provincia settentrionale di Aleppo. Secondo quanto riferito, una raffica di razzi e proiettili di artiglieria ha danneggiato le abitazioni dei civili. In risposta, le forze siriane hanno lanciato «attacchi precisi» contro le postazioni di artiglieria delle SDF, tra cui un lanciarazzi e un cannone da campo individuati nella parte orientale di Aleppo.
La Cina compra MediaWorld e Unieuro: test del golden power per il governo Meloni
Silenziosamente, ma con precisione chirurgica, la Cina ha messo un piede nel cuore della distribuzione elettronica europea. Il colosso cinese dell’e-commerce JD.com ha annunciato l’acquisizione del gruppo tedesco Ceconomy, la holding tedesca che controlla MediaMarkt e Saturn. L’operazione regala al dragone rosso l’accesso a due marchi simbolo del retail tecnologico tedesco e italiano: MediaWorld e Unieuro. Con il controllo di Ceconomy, JD.com ottiene, infatti, un accesso indiretto anche a Unieuro, in quanto, la holding tedesca detiene il 23,4 % della francese Fnac Darty, che nel 2024 ha acquistato la catena italiana.
Si tratta di un affare da 2,2 miliardi di euro, con un’offerta pubblica d’acquisto al prezzo di 4,60 euro per azione. Una mossa studiata nei minimi dettagli: JD.com acquisisce così una rete distributiva imponente con 48.000 dipendenti, oltre 22 miliardi di euro di fatturato (dati 2023/2024) e una presenza in 11 Paesi. In Italia, dove MediaWorld è il secondo mercato per volumi dopo la Germania, la rete conta 144 negozi e 5.000 lavoratori. Il completamento dell’operazione è previsto per la prima metà del 2026, dopo il monitoraggio e il via libera delle autorità antitrust europee. La mossa non è solo economica, ma geopolitica e in Italia dovrebbe accendere più di un campanello d’allarme.
JD.com – terzo player cinese dell’e-commerce dopo Alibaba e Pinduoduo – non è nuovo ai colpi di scena. Già attivo in Francia, Regno Unito e Paesi Bassi con la sua piattaforma Ochama, ora entra dalla porta principale nel Vecchio Continente con l’acquisizione di Ceconomy. Fondata nel 1998 da Richard Liu con il nome 360Buy, JD.com è diventata negli anni una delle realtà più avanzate dell’e-commerce globale, distinguendosi per una strategia radicalmente diversa dai competitor cinesi come Alibaba e Temu. Mentre questi ultimi si affidano a modelli marketplace aperti a venditori terzi, JD.com controlla direttamente l’intera filiera, dalla logistica alla consegna, fino alla piattaforma tecnologica. In Cina può contare su oltre 820 magazzini, più di 37.600 veicoli per le consegne e una forza lavoro logistica di oltre 323 mila persone.
Questa integrazione verticale consente al gruppo non solo di ottimizzare i tempi di consegna e ridurre i costi, ma anche di accumulare enormi quantità di dati sugli utenti. La piattaforma JD Pay, le soluzioni cloud e i sistemi di intelligenza artificiale sviluppati internamente permettono di tracciare, analizzare e prevedere i comportamenti dei consumatori con una precisione inquietante. Solo nel primo trimestre del 2024, l’app di JD.com ha raggiunto 569,3 milioni di utenti attivi mensili, responsabili del 78,5% delle transazioni mobili. Negli ultimi anni, la multinazionale ha accelerato la sua espansione internazionale per contrastare la crisi interna dell’economia cinese. In Olanda ha lanciato i negozi ibridi Ochama, in cui si ordina online e si ritira in store automatizzati, mentre nel Regno Unito ha testato il marketplace Joybuy. Nel 2024 ha persino valutato l’acquisto di Currys, storica catena britannica di elettronica, prima di puntare sulla più strategica Ceconomy: un colpo solo per conquistare mezza Europa.
Non è la prima volta che un colosso cinese entra in punta di piedi nel mercato europeo: TikTok, Huawei, CATL, Nio, ecc. Pechino punta su penetrazione graduale e controllo infrastrutturale, bypassando guerre commerciali e aggirando vincoli apparentemente rigidi. JD.com è l’ennesimo tassello di una strategia più ampia: non si limita a vendere, ma costruisce reti.
Nel tentativo di rassicurare autorità e opinione pubblica, il colosso cinese ha promesso che Ceconomy manterrà “indipendenza operativa”. Nessun cambiamento di contratto per i dipendenti, nessuna fusione dei sistemi IT, nessun trasferimento di dati sensibili. Promesse: in assenza di vincoli giuridicamente cogenti, qualsiasi “autonomia” è temporanea.
A questo punto entra in gioco Palazzo Chigi. Il governo Meloni è ora chiamato a valutare se attivare il cosiddetto golden power, lo strumento previsto dalla legge italiana per bloccare – o vincolare – acquisizioni straniere in settori strategici per la sicurezza nazionale. È lo stesso meccanismo già ipotizzato nel caso UniCredit, ed è contemplato anche per operazioni che, pur avvenendo all’estero, possono avere ricadute dirette sull’economia italiana. Se l’anno scorso per l’entrata dei francesi di Fnac in Unieuro il golden power non si era attivato, in questo caso il governo dovrebbe muoversi in modo diverso. Il vero nodo della questione è che JD.com è cinese, non europea. Il dilemma è se frenare o meno l’avanzata di Pechino per non indispettire la Casa Bianca.
Inoltre, JD.com non è soltanto un marketplace. È una macchina da guerra logistica che integra magazzini, veicoli per le consegne e intelligenza artificiale applicata al comportamento dei consumatori. Con l’accesso a migliaia di transazioni quotidiane nei negozi italiani, il gruppo cinese potrebbe potenzialmente profilare milioni di utenti, tracciando abitudini, preferenze, consumi. Si tratta, quindi, di controllo tecnologico, logistica, supply chain e – soprattutto – dati.
In gioco non c’è solo il commercio, ma un avamposto strategico nel cuore d’Europa. L’operazione è un tassello di una strategia geopolitica mirata al controllo delle reti logistiche e digitali europee. L’Italia è sul tracciato e rischia di diventare il punto debole dell’intera architettura del Vecchio Continente.







