A Roma è iniziata la Manifestazione nazionale per la vita, aperta da striscioni con scritto “Scegliamo la vita” portati da Simone Pillon e Massimo Gandolfini e da un gruppo di bambini con palloncini rosa e celeste. Il corteo, partito da piazza della Repubblica e diretto in via dei Fori imperiali, è animato da famiglie provenienti da tutta Italia e oltre cento associazioni. Secondo le forze dell’ordine sarebbero circa 3.000 i partecipanti. Il corteo ha ricevuto l’approvazione anche del Papa, che ha esortato ad «andare avanti con coraggio nonostante ogni avversità» in quanto «sulla vita umana non si fanno compromessi».
Il World Economic Forum ha pubblicato il proprio piano per la “transizione alimentare”
Il World Economic Forum (WEF) ha stilato una sorta di piano relativo alla cosiddetta “transizione alimentare” che prevede il rinnovamento e la reinvenzione dell’intero settore all’insegna della sostenibilità e della salute umana e ambientale. È quanto si legge in un articolo pubblicato sul sito del Forum di Davos intitolato “Renovation and reinvention are key to saving our food system. Here’s why” (Il rinnovamento e la reinvenzione sono fondamentali per salvare il nostro sistema alimentare. Ecco perché): la transizione alimentare viene equiparata a quella energetica per quanto riguarda la sua importanza e secondo gli autori dello studio richiede una «trasformazione globale». «La transizione alimentare mira a rimodellare il modo in cui la società produce, distribuisce, consuma e scarta il cibo […]. La portata del cambiamento è simile alla transizione energetica. Il riorientamento verso un’economia a basse emissioni di carbonio richiede interventi a ogni livello di strategia». Il piano si inserisce nel contesto più ampio relativo alla “crisi climatica” e ha come obiettivo quello di ridurre le emissioni di carbonio e trovare modelli di produzione e consumo meno impattanti e qualitativamente migliori per la salute umana, posto che l’attuale modello presenta diverse e gravi criticità. Tuttavia, il rischio è che quella che di fatto si può considerare l’associazione di categoria internazionale delle multinazionali colga l’occasione per creare nuove attività speculative – anche con il contributo di fondi pubblici – e per accentrare ulteriormente nelle mani di pochi grandi gruppi il controllo dell’alimentazione umana.
Il piano presentato nell’articolo del WEF prevede due fasi di cambiamento: il rinnovamento, che dovrebbe apportare miglioramenti lungo tutta la catena del valore alimentare, e la reinvenzione che punta, invece, a un cambiamento sistemico. Vale a dire al cambiamento della produzione alimentare, «in modo da alterare le strutture sottostanti all’interno della moderna industria alimentare». Nello specifico, la prima fase di questo piano, ossia il rinnovamento, prevede la riduzione degli ingredienti e dei componenti più dannosi del cibo, in particolare quello industriale, e il miglioramento del profilo nutrizionale dei prodotti: è possibile aggiungere, ad esempio, più fibre e micronutrienti, ma anche più probiotici. «Ad esempio, se una multinazionale alimentare aggiungesse cereali integrali alla sua linea principale di snack, potrebbe aumentare l’assunzione di fibre da parte degli americani del 5% entro il 2030», si legge.
La seconda fase, invece, la reinvenzione, «richiede una revisione radicale delle categorie di prodotti e delle tecnologie, reinventando il modo in cui il cibo viene prodotto, distribuito e consumato per enfatizzare la disponibilità, la nutrizione e la sostenibilità». Essa include l’introduzione di proteine alternative e un’alimentazione personalizzata. Le proteine alternative svolgerebbero «un ruolo importante nel ridurre l’impatto complessivo delle catene di approvvigionamento alimentare». Secondo gli autori dell’articolo, «i rapidi progressi nella ricerca e sviluppo a base vegetale, nonché nelle proteine vegetali o animali bioidentiche, nei grassi e negli oli prodotti attraverso la fermentazione di precisione e le biotecnologie coltivate da cellule, stanno aprendo spazi per la reinvenzione». Vengono citati anche esempi di multinazionali che stanno seguendo questo modello, tra cui Nestlé: la compagnia svizzera, infatti, ha sviluppato una polvere proteica – priva di sostanze animali – bioidentica alle proteine del siero di latte. Si tratta di soluzioni sviluppate in laboratorio che richiedono attrezzature e cospicui investimenti: il che significa che un tale modello alimentare sarà prerogativa dei grandi gruppi industriali e finanziari. Per quanto riguarda l’alimentazione personalizzata, quest’ultima verrebbe sviluppata attraverso l’intelligenza artificiale e l’analisi dei dati, creando diete uniche in base al corredo genetico. La reinvenzione poi prevede anche l’accorciamento della filiera alimentare, promuovendo la distribuzione diretta dal produttore al consumatore.
Le oligarchie internazionali di Davos stanno, dunque, sfruttando il problema reale della disfunzione dell’attuale modello di produzione alimentare per attuare uno stravolgimento dell’alimentazione “tradizionale” all’insegna della sempre maggiore “tecnicizzazione” del cibo che favorisce le grandi imprese, concentrando nelle loro mani ricchezza e potere, nonché la facoltà di decidere sull’alimentazione umana. Solo i grandi gruppi multinazionali, infatti, possiedono le risorse necessarie per sviluppare determinati prodotti alimentari, spesso studiati in laboratorio. Per attuare quella che viene definita “transizione” non mancano poi i metodi propri del cosiddetto “capitalismo degli stakeholder” che prevede di coinvolgere tutti gli attori sociali per risolvere le “sfide globali”, compresi gli Stati e le imprese: i governi, quindi, sono chiamati ad investire nei nuovi progetti e nelle varie transizioni delle compagnie, ma la divisione degli utili rimane poi rigorosamente privata. Contemporaneamente, l’agricoltura e la produzione alimentare “tradizionale” versano in condizioni di difficoltà soprattutto per quanto concerne l’aspetto economico, come hanno dimostrato le recenti proteste degli agricoltori in Europa. Questa situazione potrebbe facilitare ulteriormente l’ascesa delle multinazionali del cibo e della nutrizione artificiale, elementi che risultano i veri nuclei della “transizione alimentare” proposta dal WEF.
[di Giorgia Audiello]
India, 54 morti dopo aver bevuto liquore contaminato
È salito a quota 54 il bilancio delle vittime correlate al consumo di liquore contaminato con metanolo nello stato meridionale del Tamil Nadu. Lo ha riferito un funzionario governativo, il quale ha spiegato che da mercoledì circa 200 persone sono state curate in seguito all’assunzione delle bevande e che oltre 100 persone si trovano ancora ricoverate in ospedale. Stando alle prime ricostruzioni, la contaminazione sarebbe avvenuta nel distretto di Kallakurichi, nel distretto di Viluppuram, anche se le forze dell’ordine stanno ancora indagando. Sono sette gli arresti scattati finora, secondo quanto aggiunto dal funzionario distrettuale.
Gaza, raid israeliani su campo profughi di Shati: almeno 24 morti
L’esercito israeliano ha preso di mira questa mattina un quartiere residenziale nel campo profughi di Shati, a ovest di Gaza City. Gli attacchi dell’IDF hanno provocato la parziale o totale distruzione di alcuni edifici, causando – come riporta Al Jazeera – l’uccisione di almeno 24 palestinesi. I soccorritori, con l’aiuto dei civili, stanno scavando tra le macerie per trovare i sopravvissuti, mentre aumentano di ora in ora i feriti che vengono trasportati all’ospedale di Al-Aqsa. Il luogo colpito è quello in cui ai palestinesi del nord (in particolare di Beit Lahiya e Jabalia) è stato detto di trovare rifugio alla luce degli attacchi su Jabalia.
Capri, emergenza idrica: bloccato l’arrivo dei turisti
Da stamattina fino a data da destinarsi solo chi ha la residenza sull’isola di Capri potrà entrare nell’isola. La decisione arriva dopo un guasto alla rete idrica che rifornisce l’isola, in seguito al quale risulta impossibile garantire i servizi essenziali ai turisti che ogni giorno raggiungono la città. Nello specifico, a stabilirlo è un’ordinanza urgente emanata dal sindaco Paolo Falco, che prevede comunque delle deroghe, come nel caso dei veicoli dedicati alla consegna delle merci, del personale sanitario, o delle forze dell’ordine.
L’Armenia ha riconosciuto lo Stato di Palestina
Venerdì 21 giugno il Ministero degli Esteri dell’Armenia ha rilasciato una dichiarazione in cui annuncia il riconoscimento dello Stato di Palestina. Nella nota ministeriale, si legge che il riconoscimento intende riaffermare “l’impegno [dell’Armenia] nei confronti del diritto internazionale e dei principi di uguaglianza, sovranità e coesistenza pacifica dei popoli”, e che il Paese appoggia la soluzione dei due Stati, che viene descritta come “l’unico modo per assicurare che sia i palestinesi che gli israeliani possano realizzare le proprie legittime aspirazioni”. Con l’annuncio di ieri Erevan si aggiunge così alla lista Paesi che già riconoscono la Palestina, che da dopo l’escalation del 7 ottobre sta sempre più allungandosi.
La dichiarazione dell’Armenia apre con una descrizione della “catastrofica situazione umanitaria a Gaza“, descrivendo il conflitto militare in corso in questo momento in Palestina come una delle “principali questioni dell’agenda politica internazionale che richiedono una soluzione”. Nella prima parte del comunicato, il Ministero degli Esteri di Erevan condanna le azioni di violenza sulla popolazione e gli attacchi mirati sulle infrastrutture civili, e chiede inoltre un “rilascio incondizionato” degli ostaggi. La nota passa poi a spiegare la posizione dell’Armenia rispetto al quadro internazionale, ripercorrendo i passi compiuti dal Paese negli ultimi mesi, a partire dalla ratifica della risoluzione ONU per un cessate il fuoco a Gaza, per arrivare fino a una esposizione delle proprie idee riguardo alla soluzione dei due Stati. Alla luce di tutte queste considerazioni, la nota chiude annunciando che “la Repubblica dell’Armenia riconosce lo Stato di Palestina”.
Con il comunicato di ieri, Erevan si aggiunge alle più recenti ratifiche di riconoscimento rilasciate dai Paesi europei di Spagna, Irlanda e Norvegia, e risponde positivamente alla risoluzione approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU che raccomanda al Consiglio di Sicurezza e agli altri Stati membri delle Nazioni Unite di “riconsiderare favorevolmente” la piena adesione della Palestina all’organo internazionale. A oggi circa i tre quarti degli Stati membri dell’ONU riconosce la Palestina, principalmente Paesi siti in America Latina, Africa, Asia, ed Europa orientale. Pochi sono invece gli Stati dell’UE a riconoscere formalmente la Palestina. Per quanto riguarda l’Unione Europea, a oggi, senza contare le più recenti aggiunte, sono otto gli Stati comunitari a farlo, mentre Malta le riconosce il diritto ad avere uno Stato senza attribuirle una entità territoriale specifica, nonostante si sia mossa per farlo. L’Italia, invece, non riconosce la Palestina, e si limita ad avere un ufficio consolare a Gerusalemme.
[di Dario Lucisano]
Ucraina, attacchi danneggiano infrastrutture energetiche
Nella notte tra venerdì e sabato, l’esercito russo avrebbe portato avanti una serie di attacchi nelle regioni ucraine di Leopoli e Zaporizhzhia, prendendo di mira infrastrutture energetiche, e ferendo qualche operatore nel settore dell’energia. Nello specifico, nella regione di Zaporizhzhia, due lavoratori sarebbero rimasti feriti e portati in ospedale, mentre in quella di Leopoli un missile russo avrebbe provocato un grosso incendio in una infrastruttura energetica. Parallelamente, il Ministro dell’Energia ucraino ha dichiarato che in un’altra non meglio specificata regione orientale, una linea di trasmissione di energia sarebbe stata interrotta.
Nuova Caledonia: la Francia prova a fermare le proteste arrestandone i leader
In Nuova Caledonia, territorio d’oltremare francese, una delle ultime colonie europee esistenti, la situazione resta incandescente. Il territorio d’Oceania è infatti ancora attraversato da forti tensioni dopo i violenti scontri di quest’ultimo mese, dovuti al progetto di riforma costituzionale sulla modifica dell’elettorato per le elezioni del Congresso e delle assemblee provinciali. La polizia ha represso violentemente le manifestazioni, durante le quali diverse persone sono rimaste uccise e decine ferite. I danni sono stimati in un miliardo di euro. Il timore della Francia di aver perso il controllo sulla propria colonia ha anche spinto Macron in persona a volare a Noumea, capoluogo amministrativo dell’arcipelago. Mercoledì, la polizia della Nuova Caledonia ha effettuato 11 arresti tra coloro che sono ritenuti coinvolti nella protesta: tra questi vi è anche Christian Tein, capo della Cellula di coordinamento per le azioni sul campo (CCAT).
Il leader indipendentista Tein e altre 10 persone sono state arrestate per il loro presunto ruolo nelle proteste mortali che hanno travolto l’arcipelago nell’ultimo mese, secondo quanto riferito dai pubblici ministeri. Tein, capo del CCAT, l’organizzazione che ha organizzato barricate di protesta in tutta la capitale Nouméa, è stato l’unico arrestato nominato dal procuratore capo Yves Dupas. Secondo quanto riferito, gli arresti sono dovuti a reati di “criminalità organizzata”, che permettono il trattenimento dei sospettati fino a 96 ore. Il procuratore ha detto che le detenzioni fanno parte di un’indagine della polizia su una vasta gamma di sospetti crimini, tra cui complicità in omicidio e tentato omicidio, rapina a mano armata, incendio doloso e appartenenza a un gruppo creato per preparare atti violenti. Tein è stato arrestato nella sede del più grande partito politico indipendentista, l’Unione Caledoniana, emanazione del CCAT, mentre si preparava a tenere una conferenza stampa, come comunicato dal partito stesso. L’edificio è stato circondato dalla polizia e successivamente perquisito. In una dichiarazione, il presidente dell’Unione Caledoniana, Daniel Goa, ha esortato alla calma tra i manifestanti del CCAT e ha detto ai giovani di non rispondere a quella che ha definito una “provocazione”. I media locali hanno riferito che l’operazione di polizia ha causato la chiusura di molte attività commerciali, negozi e del municipio di Nouméa, per timore di ulteriori disordini.
Tein è stato tra le figure politiche pro-indipendenza che hanno incontrato il presidente francese Emmanuel Macron durante la sua visita lampo in Nuova Caledonia il mese scorso, un tentativo di sedare la rivolta effettuato dopo l’invio, da parte della Francia, di contingenti di gendarmi e forze speciali. Gli indigeni Kanak temono che la riforma costituzionale sulla modifica dell’elettorato per le elezioni del Congresso e delle assemblee provinciali della Nuova Caledonia diluirà ulteriormente il loro voto e renderà più difficile l’approvazione di qualsiasi futuro referendum sull’indipendenza, mentre Parigi afferma che la misura sia necessaria per migliorare la democrazia. Macron ha dichiarato, la scorsa settimana, di aver sospeso la riforma costituzionale proprio quando ha deciso di sciogliere l’Assemblea Nazionale per indire nuove elezioni dopo la brutta prestazione del suo partito nelle elezioni europee. Tuttavia, i gruppi pro-indipendenza vogliono che la riforma venga completamente ritirata prima che il dialogo sul futuro politico del territorio d’oltremare francese possa ricominciare, affermando che altrimenti non sarà possibile convincere i giovani manifestanti a lasciare le barricate.
Insomma, con la sospensione della riforma e le nuove elezioni alle porte, la situazione nel territorio d’oltremare francese non accenna a calmarsi e, anzi, è forse destinata a nuovi picchi di scontro e di rivolta, specie nell’ipotesi in cui salga al governo della Repubblica francese la destra di Marine Le Pen. Gli indigeni e gli indipendentisti non accetteranno che i loro desideri di costituire una società propria siano soffocati ancora una volta.
[di Michele Manfrin]