Taiwan ha lanciato l’esercitazione militare annuale Han Kuang, per verificare come l’esercito possa decentralizzare il comando in caso di un attacco alle comunicazioni. L’esercitazione durerà 10 giorni e coinvolgerà circa 22.000 riservisti, il maggior numero di sempre. Nell’addestramento verranno impiegati per la prima volta i nuovi sistemi missilistici di artiglieria ad alta mobilità HIMARS, prodotti da Lockheed Martin, e verranno condotti attacchi simulati ai sistemi di combattimento e alle infrastrutture dell’isola.
Stellantis ha perso un terzo della produzione di auto in Italia in sei mesi
Nei primi sei mesi del 2025, Stellantis ha prodotto un totale di 123.905 vetture, pari al 33,6% in meno rispetto allo stesso periodo del 2024. Se si contano anche i furgoni usciti dal polo di Atessa, il calo della produzione risulta invece pari al 26,9%. A dare l’allarme è il sindacato Fim-Cisl, in una analisi in cui stima che entro fine anno l’azienda dovrebbe produrre circa 440.000 vetture; una cifra ben lontana dal record di due milioni segnato nel 1989, ma anche dalla capacità produttiva degli stabilimenti che sarebbero capaci di produrre circa 1,5 milioni di automobili l’anno. Il colosso delle automobili Stellantis è in crisi da tempo; l’anno scorso, l’azienda minacciava il licenziamento di centinaia di operatori, in un tentativo fatto saltare dalle lotte dei lavoratori. Quest’anno, invece, ha già annunciato un taglio di 610 lavoratori nello stabilimento di Mirafiori.
Secondo quando si legge nel rapporto Fim-Cisl, nel primo semestre del 2025, tutti gli stabilimenti Stellantis sono in negativo in termini di produzione. Il sindacato sostiene di non vedere nulla che suggerisca una ripresa entro fine anno, e che, «anzi, il calo dei volumi e l’uso degli ammortizzatori sociali potrebbero aumentare», finendo per coinvolgere circa la metà della forza lavoro del gruppo. Lo stabilimento che risulta più in crisi è quello di Modena, dove nel primo semestre del 2025 sono state prodotte «solo 45 unità, con una flessione del 71,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente». I giorni effettivi di produzione sono stati circa 11. Segue lo stabilimento di Melfi, che ha registrato un crollo produttivo del 59,4% con 19.070 unità prodotte. In calo anche lo stabilimento di Pomigliano, il più produttivo in assoluto e l’unico che l’anno scorso si era salvato dalla produttività negativa; in questi primi sei mesi di 2025, Pomigliano ha visto un calo del 24% nella produzione. L’auto maggiormente prodotta è la Fiat Panda, che da sola rappresenta il 54% della produzione di auto in Italia, ma, nel primo semestre del 2025, anch’essa ha subito una flessione, pari al 15%.
Davanti a questo scenario, l’azienda mantiene validi i propri obblighi presi in sede istituzionale, ma il sindacato riporta che «dovranno essere verificati puntualmente con i nuovi vertici»; gli impegni prevedrebbero 2 miliardi di investimenti negli stabilimenti italiani e 6 miliardi di acquisti da fornitori nazionali, per raggiungere la soglia di produzione di 1 milione di vetture entro il 2030. Dopo l’uscita di Taveres di fine 2024, l’azienda ha avanzato un nuovo piano di investimenti, che prevede la costruzione di nuove gamme di automobili e veicoli commerciali in diversi stabilimenti. Nonostante ciò, riporta il sindacato, «continuano a mancare ancora risposte importanti su Termoli dopo lo stop alla Gigafactory e sul rilancio di Maserati». In generale, Fim-Cisl sostiene che davanti alla crisi perpetua in cui versa il settore, aggravata dall’introduzione di dazi specifici da parte dell’amministrazione statunitense, il governo italiano e l’UE dovrebbero muoversi in suo aiuto elaborando piani appositi e istituendo fondi comuni.
Il crollo della produzione italiana e l’assenza di un piano industriale in grado di rilanciarla pesano sulle spalle degli operai Stellantis, ma non su azionisti e dirigenti, che in tempo di crisi non rinunciano agli utili, sottraendoli ad esempio alla Ricerca e Sviluppo. A giugno, il gruppo ha infatti avviato una nuova procedura di licenziamento collettivo, con l’obiettivo di allontanare 610 operai tramite incentivo all’esodo; nel frattempo, a maggio, ha approvato la distribuzione dei dividendi fissandolo a 0,68 euro per azione ordinaria, corrispondente a un rendimento del 5%.
Libia orientale: Piantedosi espulso dal governo di Bengasi
Il ministro dell’Interno italiano, Matteo Piantedosi, è stato espulso dal governo della Libia orientale, parallelo a quello di Tripoli. A dare la notizia è l’agenzia di stampa AFP, che riporta che il ministro italiano era in visita nel Paese con una delegazione di diplomatici che comprendeva i suoi omologhi di Grecia e Malta, e il commissario europeo Brunner. La delegazione avrebbe dovuto incontrare il governo orientale del generale Haftar. Da quanto riportano ufficiali libici anonimi ad AFP, i quattro sarebbero stati espulsi al loro arrivo per «non avere osservato le procedure di ingresso e soggiorno dei diplomatici stranieri stabilite dal governo libico». Sono stati dichiarati personae non gratae.
La CPI ha emanato mandati d’arresto per due leader talebani
La Corte Penale Internazionale ha emesso mandati di arresto per due leader talebani in Afghanistan, accusandoli di crimini contro l’umanità . A essere oggetto dei mandati sono il leader spirituale Haibatullah Akhundzada e il presidente della Corte Suprema dei talebani, Abdul Hakim Haqqani. La Corte ha accusato i due leader di avere perseguito donne, ragazze e altre persone che non si allineano alla politica dei talebani in materia di genere.
Il rapporto ONU sulle torture in Ucraina di cui nessun media occidentale parla
In un rapporto recente, che i media occidentali hanno per lo più fatto finta di non vedere, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR) dettaglia i crimini contro la comunità commessi dalle parti coinvolte nel conflitto russo-ucraino. Smentendo la narrazione mainstream che impone l’esistenza di un “buono” e un “cattivo”, l’OHCHR specifica come tali violazioni siano state commesse da entrambe le parti. Sebbene si dilunghi molto su quanto imputato alla Russia, nella parte finale il documento riporta anche i crimini contro l’umanità che l’Ucraina commette contro i propri stessi cittadini.
Il rapporto spiega come il 95% delle vittime civili sia stato ucciso nei territori controllati dall’Ucraina a causa dell’utilizzo di armi esplosive ad ampio raggio in aree popolate. L’OHCHR ha documentato diversi attacchi che coinvolgono anche munizioni a grappolo, il cui uso in aree popolate è incompatibile con il diritto internazionale umanitario. Un esempio sarebbe l’attacco russo a Dobropillia, verificatosi il 7 marzo 2025, che ha ucciso 11 civili e ne ha feriti 48. Inoltre, l’aumento delle vittimi civili avuto in questo periodo sarebbe imputabile ad un utilizzo sempre più massiccio di droni a corto raggio, che hanno ucciso 207 civili e causato 1.365 feriti nel periodo di indagine.
L’OHCHR denuncia anche almeno cinque occasioni in cui le forze russe hanno colpito strutture ospedaliere e condotto 115 attacchi alle infrastrutture energetiche, interrompendo così le forniture di gas alla popolazione civile. Inoltre, l’OHCHR ha registrato anche accuse sull’uso, da parte della Federazione Russa, di bambini ucraini al fine di condurre operazioni di sorveglianza, trasmettere informazioni militari o commettere atti di sabotaggio e incendio doloso. I bambini sarebbero stati contattati tramite social media e pagati per compiere tali atti. Inoltre, secondo le informazioni raccolte dall’OHCHR, almeno 35 soldati ucraini catturati sono stati giustiziati dalle forze russe. Interviste con prigionieri di guerra ucraini rilasciati hanno confermato l’uso diffuso e sistematico di torture e maltrattamenti. Infine, i tribunali russi hanno condannato almeno 125 prigionieri di guerra ucraini con accuse legate al terrorismo per atti che rientrano nelle legittime azioni di guerra.
Nella parte finale del rapporto dell’OHCHR vengono esposte anche le accuse rivolte verso le forze ucraine. Nel periodo di indagine, almeno un soldato russo prigioniero è stato giustiziato e diverse interviste hanno confermato l’utilizzo di tortura, violenza sessuali e finte esecuzioni durante la detenzione in Ucraina. Per quanto concerne i cittadini ucraini, l’OHCHR ha intervistato 56 individui detenuti dalle autorità ucraine con accuse di tradimento, “collaborazione” e altri crimini legati alla sicurezza nazionale. Alcuni di loro hanno descritto percosse e minacce durante l’arresto o l’interrogatorio. Molti sostengono di aver compiuto azioni considerate come tradimento e diserzione soltanto per salvarsi la vita.
Almeno 11 uomini delle comunità dei Testimoni di Geova e Battisti hanno invocato l’obiezione di coscienza, ma sono stati comunque accusati di evasione dal servizio militare o diserzione e poi picchiati. La Corte Suprema dell’Ucraina ha confermato la condanna a tre anni di prigione per un obiettore di coscienza. Sempre rimanendo in tema di religione, il rapporto analizza la repressione del culto applicata nei territori ucraini. La violenza viene perpetrata da gruppi “radicali” contro la Chiesa Ortodossa Ucraina, con la polizia che non interviene immediatamente e rimane a guardare per poi intervenire in un secondo momento. Irruzioni e passaggi all’interno delle chiese ortodosse sono frequenti e ben documentati.
Insomma, il rapporto espone come in guerra non ci siano buoni e cattivi ma solo vittime. Esporne il contenuto significa mettere in luce i crimini commessi nel teatro di guerra da entrambe le parti e non parteggiare ciecamente in nome di principi democratici e liberali, i quali ripropongono un doppio standard nella narrazione del conflitto e si infrangono sulla realtà dei fatti.
Le più diffuse app per cellulare che sono state realizzate da agenti israeliani
Dai giochi agli editor di foto, centinaia di app scaricate centinaia di milioni di volte sono il prodotto di una rete invisibile: quella di ex spie israeliane e membri dell’intelligence militare. Queste applicazioni costituiscono canali opachi che convogliano enormi entrate verso un’economia di occupazione, apartheid e genocidio, complici silenziose di un’ideologia e di una volontà di supremazia e annientamento. Un’inchiesta giornalistica ha infatti mostrato come individui con un passato nell’Unità 8200 dell’intelligence israeliana o nell’esercito riciclino le loro competenze in un’industria tech fiorente. Non si tratta propriamente di una novità: più di una volta abbiamo parlato dei profondi legami e rapporti tra le Big Tech e Israele, così come della porta girevole che mette in comunicazione le grandi aziende tecnologiche con gli apparati di sicurezza e le start-up israeliane, nel settore tecnologico come anche in altri settori ritenuti strategici. Vale la pena però conoscere sempre meglio tutti i fili e tutte le mani che si stringono attorno al popolo palestinese, così come su quelli che lo sostengono.
L’inchiesta riporta come Gal Avidor, fondatore e CEO di ZipoApps, colosso che acquisisce e monetizza app su larga scala, abbia ammesso che tutti i fondatori dell’azienda provengono dall’Unità 8200. App come Collage Maker Photo Editor e Instasquare Photo Editor, con centinaia di milioni di download, convogliano enormi quantità di dati e di profitti. Non a caso, gli utenti si lamentano da tempo delle aggressive politiche di privacy e data mining di ZipoApps: un’app come Simple Gallery è passata da gratuita e open source a un prodotto invasivo con tracker, solo una settimana dopo essere stata acquisita da Zipo.
Ma la lista è lunga. Playtika, quotata al NASDAQ con oltre 2,5 miliardi di dollari di ricavi, è un produttore di app di gioco d’azzardo saldamente invischiato nella macchina da guerra. Fondata da Uri Shahak, figlio dell’ex capo dell’IDF Amnon Lipkin-Shahak, l’azienda ha ammesso che il 14% del suo personale è stato richiamato come riservista per andare a Gaza. Bazaart, un’app di fotoritocco basata sull’IA, è stata fondata da ex ufficiali dell’intelligence dell’IDF, Dror Yaffe e Stas Goferman. Stessa cosa per Facetune di Lightricks, co-fondata da Yaron Inger, veterano dell’Unità 8200. Supersonic di Unity, uno dei maggiori editori di giochi mobile al mondo, che tra i suoi titoli ha un gioco chiamato Conquer Countries, è stata fondata da Nadav Ashkenazy, con un passato nell’IDF.
Crazy Labs, con un valore stimato di circa 1 miliardo di dollari, è un altro produttore di app fondato da membri dell’intelligence e dell’esercito. I suoi titoli più venduti sono Phone Case DIY, Miraculous Ladybug & Cat Noir e Sculpt People. Nir Erez, proveniente dal Mamram, il centro informatico specializzato dell’IDF che forma “guerrieri informatici” e gestisce l’intranet militare per l’attuazione del genocidio, è tra i fondatori di Moovit, l’app di trasporto urbano con quasi un miliardo di utenti. Call App, l’app che scherma le chiamate per lo spam, è un altro prodotto dell’economia militare israeliana, il cui CEO, Amit On, ha passato tre anni nell’Unità 8200. Anche le famose app di navigazione e ride-hailing come Gett e la popolarissima Waze, acquisita da Google per 1,3 miliardi di dollari, sono state fondate da persone formate e provenienti dagli stessi ambienti dell’intelligence israeliana.
L’infiltrazione di queste app nelle nostre vite digitali è profonda e insidiosa. Non solo contribuiscono a finanziare un regime di occupazione e violenza, ma sollevano anche serie questioni sulla privacy. Lo Stato di Israele si serve infatti enormemente della tecnologia, tra intelligenza artificiale, dati biometrici, big data e altro, per attuare i suoi scopi di dominio. Secondo l’autore dell’inchiesta, questa dovrebbe costituire una nuova e cruciale frontiera per il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), al fine di negare supporto a un’economia che dipende dalla militarizzazione e dall’applicazione tecnologica alla sofferenza palestinese.
Al momento, infatti, le app tradizionalmente utilizzate per comprendere quali prodotti ed aziende evitare per non sostenere Israele e il genocidio palestinese vengono scaricate da Google e ricevono finanziamenti attraverso le pubblicità sulla stessa piattaforma – nonostante Google sia tra le aziende da boicottare proprio per il suo sostegno a Israele. Una morsa di non facile soluzione, insomma, ma che non dovrebbe precludere all’azione.
È uscito il numero di luglio del mensile de L’Indipendente
A luglio L’Indipendente torna con il sesto numero del mensile, una rivista rilegata da conservare con all’interno 80 pagine di contenuti esclusivi – tra inchieste, reportage, guide per un consumo critico e consapevole e molto altro. La copertina di questo mese riguarda le attività di una delle più grandi aziende energetiche italiane, ENEL, che si arricchisce enormemente in Paesi del sud globale come il Cile alle spese delle popolazioni locali e della loro volontà. In un contesto nel quale le multinazionali agiscono indisturbate grazie anche alla connivenza e alla complicità dei governi, tuttavia, cittadini e gruppi nativi non sono spettatori passivi, ma mettono in atto pratiche di resistenza e di lotta per la tutela dei propri diritti.
Il mensile de L’Indipendente ha come sottotitolo i tre pilastri che ne definiscono la cifra giornalistica: inchieste, consumo critico, beni comuni. Ogni parola è stata scelta con cura, racchiudendo ciò che vogliamo fare e che, a differenza di altri media, possiamo fare, perché non abbiamo padroni, padrini o sponsor da compiacere.
Questi tre punti cardinali rappresentano il nostro impegno per il giornalismo che crediamo necessario: inchieste (per svelare i lati nascosti della politica e dell’economia), consumo critico (per vivere meglio, certo, ma anche per promuovere scelte consapevoli capaci di colpire gli interessi privilegiati) e beni comuni (perché la nostra missione è quella di leggere la realtà nell’interesse dei cittadini e non delle élite oligarchiche che controllano i media dominanti). Al suo interno ci saranno poi, naturalmente, approfondimenti sull’attualità e sui temi che caratterizzano da sempre la nostra agenda: esteri, geopolitica, ambiente, diritti sociali.
Questi sono solamente alcuni degli altri argomenti che potrete ritrovare nel nuovo numero:
- Gli affari di ENEL in Cile e la resistenza del popolo mapuche: in Sudamerica, una delle più grandi aziende italiane si arricchisce enormemente sulla pelle della popolazione locale, mentre questa cerca di resistere allo sfruttamento e alla devastazione del proprio territorio
- Il Sinai tra guerre, affari e sfollamento di Gaza: come il governo egiziano fa il lavoro sporco per conto di Israele, gestendo lo sfollamento da Gaza e reprimendo chiunque manifesti il proprio dissenso
- Ibrahim Traoré, l’uomo che sta facendo sognare l’Africa: il presidente del Burkina Faso sta sfidando l’ordine globale, alimentando i sogni di riscatto di milioni di africani
- La rinascita della DC in Sicilia: la nuova Democrazia Cristiana di Totò Cuffaro (su cui pesa una condanna per favoreggiamento mafioso) sta facendo incetta di voti e poltrone sull’isola, tra cambi di casacca e politici dal curriculum controverso
- Il business delle università telematiche: inchiesta su come questi enti stanno trasformando il mondo accademico, grazie a un sistema fatto di relazioni politiche, corsi di bassa qualità e titoli facili
- L’imbroglio del gelato artigianale: disinformazione e mancanza di una normativa precisa fanno sì che i consumatori siano indotti a credere che questo alimento contenga soltanto ingredienti genuini e “naturali”, quando in realtà spesso è prodotto con preparati industriali ricchi di additivi e aromi
La nuova rivista de L’Indipendente è acquistabile (in formato cartaceo o digitale) sul nostro shop online, ed è disponibile anche tramite il nuovo abbonamento esclusivo alla rivista, con il quale potreste ricevere la versione cartacea a casa ogni mese per un anno al prezzo di 90 euro, spese di spedizione incluse. Per riceverlo basta consultare la pagina: lindipendente.online/abbonamenti.
Trump rinvia l’entrata in vigore dei dazi
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato una estensione della data di inizio dei cosiddetti dazi reciproci, fissandola al 1° agosto. I dazi sarebbero dovuti entrare in vigore il 9 luglio. Rispondendo a una domanda su eventuali ulteriori rinvii, Trump ha affermato di avere preso una decisione ferma, ma non al 100%. Trump ha inoltre affermato che gli Stati Uniti avrebbero imposto tariffe del 25% sui prodotti provenienti da Giappone, Corea del Sud, Tunisia, Malesia e Kazakistan, con imposte del 30% su Sudafrica e Bosnia-Erzegovina, che sarebbero salite al 32% sull’Indonesia, al 35% su Serbia e Bangladesh, al 36% su Cambogia e Thailandia e al 40% su Laos e Birmania.









