sabato 26 Aprile 2025
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Israele continua gli attacchi nel sud del Libano, nonostante il cessate il fuoco

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Nonostante Israele ed Hezbollah abbiano siglato un cessate il fuoco da meno di 48 ore, si segnalano numerosi attacchi delle forze armate israeliane (IDF) contro città libanesi situate nel sud del Paese. L’agenzia nazionale d’informazione libanese National News Agency (NNA) ha riferito che un carro armato israeliano ha sparato alcuni colpi di arma da fuoco nella periferia di Kfarshouba. Poco prima, due persone libanesi sono rimasti feriti da alcuni colpi di proiettile esplosi dall’IDF nella città di Markaba e un attacco è stato condotto con un carro armato nel villaggio di Wazzani. Tutte le località si trovano a breve distanza dalla Linea Blu, che segna il confine tra i due Paesi. Con un comunicato pubblicato su X pochi minuti fa, l’esercito israeliano ha dichiarato che vi sono state violazioni del cessate il fuoco (in vigore dalle 4 del mattino di ieri). «Nelle ultime ore è stato rilevato l’arrivo di sospetti, alcuni con veicoli, in diverse zone del sud del Libano, il che costituisce una violazione»: per tale motivo, «le forze dell’IDF hanno sparato contro di loro». Non sono al momento stati forniti ulteriori dettagli in merito alle supposte violazioni.

Alcuni attacchi contro i civili libanesi si erano verificati già nella giornata di ieri, 27 novembre, quando Israele aveva colpitio alcuni giornalisti che documentavano il rientro dei civili nelle loro abitazioni e il ritiro delle truppe israeliane a Khiyam. L’accordo siglato ieri tra Israele ed Hezbollah, della durata iniziale di 60 giorni e il cui testo non è ancora stato reso pubblico, mira a porre fine alla presenza armata del gruppo lungo il confine a sud del fiume Litani e al ritiro delle truppe israeliane dal sud del Libano entro 60 giorni. Tuttavia, come spiegato dal primo ministro israeliano Netanyahu durante un discorso ai media, la sua durata dipenderà dall’agire di Hezbollah. Qualunque iniziativa del gruppo interpretabile da Israele come una minaccia alla propria sicurezza potrà comportare una risposta armata da parte di Tel Aviv. «Hezbollah violerà l’accordo non solo se ci sparerà addosso», ha spiegato Netanyahu, ma anche «se si procurerà armi per sparare contro di noi in futuro». Nonostante l’esercito libanese e quello israeliano abbiano esortato i civili di non fare ancora ritorno alle proprie abitazioni, nel corso di un discorso televisivo citato da Al-Jazeera lo speaker del Parlamento libanese Nabih Berri, che ha fatto da mediatore per Hezbollah nei colloqui, ha invitato la popolazione a rientrare verso le proprie case.

[di Valeria Casolaro]

Vigevano, inchiesta della polizia: sindaco ai domiciliari

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Il sindaco di Vigevano, Andrea Ceffa, è stato posto ai domiciliari insieme ad altri quattro collaboratori con l’accusa di reati contro la pubblica amministrazione. In particolare, Ceffa è accusato di corruzione nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta “congiura di Sant’Andrea” del 2022, quando una parte dei consiglieri comunali rassegnò le dimissioni per rovesciare la giunta. Gli indagati avrebbero corrotto alcuni di essi per partecipare alle dimissioni di massa. Con il sindaco sono finiti ai domiciliari anche dirigenti di ASM Vigevano e Lomellina, gruppo di distribuzione di gas, e la consigliera comunale Roberta Giacometti.

Milano: il governo risponde militarizzando Corvetto dopo le rivolte

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Dopo le proteste iniziate nel fine settimana a Milano, nel quartiere Corvetto, le istituzioni hanno deciso di adottare il pugno di ferro, militarizzando la zona. La questura di Milano ha infatti optato per l’invio di centinaia agenti nell’area con il compito di pattugliare le strade nelle ore notturne, mentre il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi si prepara a visitare Palazzo Marino. Le proteste sono scoppiate dopo la morte di un ragazzo di 19 anni, Ramy Elgaml, che ha avuto un incidente in scooter con un amico mentre veniva inseguito da una vettura dei carabinieri. Secondo le ricostruzioni, le forze dell’ordine stavano inseguendo i due ragazzi dopo che avevano superato un posto di blocco senza fermarsi, e lo scooter avrebbe avuto un incidente. Dopo la notizia, amici e conoscenti di Ramy sono scesi in strada, dando fuoco ai bidoni, appendendo striscioni e danneggiando autobus, chiedendo giustizia e verità per il ragazzo, accusando il carabiniere al volante di avere volontariamente speronato il motorino e causato l’incidente. Dopo l’apertura di indagini contro il carabiniere coinvolto e gli appelli della famiglia, le proteste si sono placate.

La decisione di militarizzare l’area di Corvetto è arrivata dalla procura di Milano, che ha annunciato l’invio di circa cinquecento agenti per pattugliare il quartiere durante le ore notturne. Ieri sono arrivati sul posto i primi trenta agenti, e non è chiaro quando e in che termini gli altri prenderanno servizio. Sembra invece definito il termine dell’operazione, che avverrà in concomitanza con la Prima della Scala, da dopo la seconda guerra mondiale fissata al 7 dicembre, giorno del patrono della città, Sant’Ambrogio. Parallelamente, il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha dichiarato di avere parlato con il prefetto, che gli ha comunicato che il ministro Piantedosi arriverà a Milano per affrontare l’emergenza Corvetto. Quest’ultimo annuncio è arrivato ieri, a margine dell’inaugurazione del Milano Welcome Center, il punto unico di accesso ai servizi per i migranti appena arrivati in città, e non è ancora chiaro quando Piantedosi arriverebbe nel capoluogo meneghino.

Le proteste a Corvetto sono scoppiate tra sabato 23 e domenica 24 novembre, dopo la morte di Ramy Elgaml, schiantatosi in scooter contro un muretto. Ramy si trovava a bordo del motorino sul sedile del passeggero, mentre il suo amico, un ragazzo di ventidue anni, è ancora ricoverato in ospedale, intubato in condizioni critiche. Le dinamiche dell’incidente sono ancora poco chiare: secondo una prima ricostruzione, i due ragazzi viaggiavano in motorino e non si erano fermati a un posto di blocco nella zona di via Farini (una strada della città nella zona a nord del centro), venendo inseguiti fino a via Ripamonti (una delle vie più lunghe di Milano, che inizia nell’area meridionale del centro arrivando fino alla periferia sud), dove è avvenuto l’incidente. Di preciso, lo scooter si è scontrato con un muretto nei pressi dell’incrocio con via Quaranta, alle porte del quartiere Vigentino. L’inseguimento sarebbe durato una ventina di minuti attraversando la città per circa otto chilometri.

Dopo la notizia dello schianto, amici e parenti di Ramy si sono riversati per le strade di Corvetto, un quartiere popolare situato a sud-est del centro, da dove il ragazzo proveniva. Le proteste sono durate per giorni, durante i quali i manifestanti hanno rivendicato su muri e striscioni “verità e giustizia per Ramy”, hanno bruciato cassonetti, danneggiato mezzi di linea, e lanciato petardi. «Facciamo casino perché non ci fanno vedere i video. L’hanno investito, l’hanno ammazzato», ha dichiarato uno dei manifestanti. Ci sarebbero infatti delle testimonianze che sosterrebbero che a provocare l’incidente siano stati i carabinieri, probabilmente speronando il motorino. Nel frattempo, è stata avviata una indagine sui due guidatori: il carabiniere e l’amico di Ramy. Nel pomeriggio di lunedì, tre camionette delle forze dell’ordine sono arrivate nel quartiere, gli autobus sono stati deviati, e nel corso della sera si sono registrati scontri diretti con la polizia, tra cariche, barricate, e lanci di lacrimogeni; una persona è stata arrestata. Da ieri, martedì 27 novembre, la situazione si è gradualmente placata.

La morte di Ramy e le conseguenti rivolte di Corvetto hanno riaperto una questione dimenticata, ma ancora molto attuale per la città di Milano. Corvetto è un quartiere popolare di composizione multietnica, situato a non più di una ventina di minuti dal centro storico del Duomo. Qui, si riversa un gran numero di persone ai margini della società, in condizioni di povertà e degrado che aumentano la percezione di insicurezza nella zona. Come tante aree “periferiche” e popolari meneghine, Corvetto è stata lasciata a sé stessa: molti edifici necessitano di ristrutturazioni, l’illuminazione è spesso ridotta, le strade sono lasciate senza manutenzione, e in generale la vita del quartiere subisce le condizioni di impoverimento generale causate dalla gentrificazione. Questi quartieri, quando non sono al centro delle politiche definite “di ripristino” e “integrazione”, vengono abbandonati ai loro problemi; quando invece lo sono, vengono trasformati, impreziositi, senza che vengano parallelamente implementati adeguati programmi di reinserimento sociale, e finiscono al centro della macchina speculativa che fa aumentare i costi della vita a dismisura, cacciando di fatto gli abitanti. La politica, nel mentre, segue due vie principali: da una parte strumentalizza l’effetto “banlieue” (che prende il nome dagli omonimi sobborghi parigini), scaricando la responsabilità del degrado di una zona lasciata a sé stessa sulla presenza degli immigrati; dall’altro ignora il problema senza intervenire per riqualificare l’area, né per reinserire le persone ai margini sociali. In ogni caso, quello che avviene è la politicizzazione di una problematica sociale, che ignora la sua complessità, finendo per farla crescere su sé stessa e alimentarsi ogni giorno di più.

[di Dario Lucisano]

Ucraina: “Massiccio attacco russo alle strutture energetiche”

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La Russia ha effettuato oggi il suo secondo grande attacco alle infrastrutture energetiche ucraine questo mese: funzionari nazionali e locali hanno segnalato esplosioni e interruzioni di corrente di emergenza in tutto il Paese, che hanno colpito centinaia di migliaia di persone. «Le infrastrutture energetiche sono di nuovo nel mirino del massiccio attacco del nemico», ha dichiarato in una nota il ministro dell’Energia ucraino German Galushchenko, aggiungendo che il gestore della rete elettrica nazionale ha «urgentemente introdotto interruzioni di corrente di emergenza». I notiziari ucraini hanno riferito che si sono sentite esplosioni nelle città ucraine di Odesa, Kropyvnytskyi, Kharkiv, Rivne e Lutsk.

Il Belgio ha deciso di mettere al bando i delfinari

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Il Belgio si prepara a diventare uno Stato pioniere in Europa nella protezione dei delfini. Ben Weyts, il ministro per il benessere degli animali delle Fiandre, ha annunciato che la regione seguirà l'esempio di Bruxelles e Vallonia, chiudendo definitivamente tutti i delfinari. Con questa decisione, il Belgio diventerà il settimo paese al mondo e il quarto in Europa a compiere un importante passo verso la tutela animale. L'ultimo acquario per delfini, il Boudewijn Seapark di Bruges, situato nel nord-ovest del Belgio, ospita attualmente sette esemplari. Questi animali, noti per la loro intellige...

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CPI, richiesto un mandato d’arresto per il capo della giunta della Birmania

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Il procuratore capo della Corte Penale Internazionale, Karim Khan, ha chiesto alla Corte di emanare un mandato d’arresto per il vertice della giunta militare della Birmania, il generale Min Aung Hlaing. Khan accusa il militare di aver commesso crimini contro l’umanità, perseguendo ed espellendo centinaia di migliaia di persone della minoranza musulmana dei Rohingya. Ora le prove presentate dal procuratore devono essere analizzate dai giudici della Corte. Min Aung Hlaing governa la Birmania dal 2021, anno in cui è salito al potere dopo un colpo di Stato, rovesciando il governo di Aung San Suu Kyi. Da allora il Paese è entrato in una guerra civile che si è intensificata sempre più.

In Italia migliaia di sindacalisti sono sotto indagine per le proteste nella logistica

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Negli ultimi dieci anni, almeno 4.000 sindacalisti e lavoratori del settore della logistica sono stati indagati o processati in Italia per azioni legate a scioperi e manifestazioni. Lo rivela uno studio dell’avvocato Eugenio Losco, specializzato in difesa sindacale, che dal 2016 ha registrato circa 3.000 casi solo in alcune aree del Nord, tra Milano, Piacenza e altre province. A livello nazionale il dato è ancora più alto, con 500 denunce solo in Emilia-Romagna e 200 casi nel distretto tessile tra Firenze, Prato e Pistoia dal 2018. Le denunce, significativamente aumentate con il decreto Salvini del 2018, spesso contestano reati come la violenza privata, nonostante i tribunali abbiano riconosciuto la maggior parte delle azioni come legittime e pacifiche. Nel frattempo, preoccupano le implicazioni del nuovo Ddl Sicurezza, che inasprisce gli strumenti repressivi contro i sindacati.

«Dal 2016 ad oggi, ho seguito circa 300 procedimenti che riguardano scioperi dove vi è stata, in media, almeno la presenza di 10 lavoratori», racconta a L’Indipendente l’avvocato Eugenio Losco. «Ancora oggi, per questioni relative all’attività dei sindacati di base, ne sono in corso decine e decine e, personalmente, sono impegnato in circa tre o quattro udienze alla settimana». Numeri che testimoniano uno scenario sempre più preoccupante. «Da quando seguo il sindacato di base, registro che ogniqualvolta viene effettuato sciopero, vi è la presenza davanti ai cancelli dell’azienda di un gran numero di agenti di polizia che controllano in maniera minuziosa quel che accade. Quasi sempre segue la contestazione di un reato: il più delle volte viene contestato ai partecipanti il fatto di non aver fornito alla questura il preavviso della manifestazione, dunque una violazione dell’art. 18 del T.U.L.P.S., e quasi sempre la violenza privata, art. 610 del codice penale, reato che tutela le persone di fronte a un impedimento da parte di altre persone che deve essere effettuato con violenza o minaccia», spiega l’avvocato. Il quale evidenzia come in realtà, ad eccezione di quanto accade nel settore dei servizi pubblici essenziali, «non è necessario un atto formale di proclamazione dello sciopero», che nella quasi totalità dei casi «viene svolto in forma pacifica, attraverso il blocco delle merci e un’attività di picchettaggio».

Il quadro legislativo rischia di irrigidirsi ulteriormente con il Ddl 1660, attualmente in discussione al Senato. Il disegno di legge prevede infatti pene più severe per il blocco stradale, trasformandolo da illecito amministrativo a reato penale, con sanzioni fino a due anni di carcere. Inoltre, il Ddl introduce l’uso ampliato di strumenti come i fogli di via e il Daspo urbano, che potrebbero essere utilizzati per allontanare i leader sindacali dalle aree di manifestazione. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha giustificato tali misure come necessarie per tutelare gli interessi delle imprese. Tuttavia, giuslavoristi e sindacati temono che queste disposizioni rappresentano un ulteriore ostacolo alla libertà di sciopero, soprattutto per i lavoratori migranti, già penalizzati da difficoltà burocratiche legate al rinnovo dei permessi di soggiorno in caso di denunce penali.

«Il diritto allo sciopero è espressamente previsto dalla Costituzione, dunque non si comprende perché le autorità procedano in questo modo ogni volta che si verifica uno sciopero nel settore della logistica», dice Losco. «È evidente che l’attività di picchettaggio dia fastidio e che lo sciopero crei un disagio alla produzione nelle ore in cui i lavoratori si fermano; è vero che la Carta garantisce il diritto all’attività imprenditoriale, ma questo, come ci spiegano molte sentenze, viene leso solo quando lo sciopero crea un danno strutturale e permanente all’attività dell’azienda, non quando esso è circoscritto a un breve lasso temporale – afferma il legale -. Ergo, il diritto di sciopero non lo intacca, così come, se non è esercitata violenza o minaccia durante l’azione, non lede nemmeno l’integrità fisica. Nonostante questo, si procede in maniera sistematica contro queste persone». Per quanto concerne queste ipotesi di reato, conclude Losco, «nel 90% dei casi abbiamo avuto procedimenti assolutori», aggiungendo che «è proprio grazie alla lotta dei sindacati di base che questi lavoratori hanno riconosciuto negli ultimi anni diritti importantissimi e il loro salario è aumentato: stiamo parlando di persone che 10-15 anni fa vivevano quasi in una forma di schiavismo. Una situazione che ora, quasi ovunque, è fortunatamente cambiata».

[di Stefano Baudino]

Cresce la povertà sanitaria, oltre 400mila chiedono aiuto

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Nel 2024, oltre 463.000 italiani hanno riscontrato difficoltà nell’acquisto dei medicinali e hanno dovuto chiedere aiuto a diverse realtà assistenziali. Sono i dati presentati dall’Organizzazione non profit Banco Farmaceutico alla Camera dei Deputati, i quali delineano un aumento dell’8% rispetto all’anno precedente. Secondo il rapporto mostrato, il peso della spesa per i farmaci sostenuta dalle famiglie italiane è sempre più alta: in 7 anni (2017-2023), la spesa farmaceutica a carico delle famiglie è cresciuta di 2,576 miliardi di euro (+31,9%). Inoltre, in aggiunta alla difficoltà nell’acquisto dei medicinali, è stato riscontrato un numero crescente di famiglie che rinuncia a cure o visite mediche per contenere i costi sanitari.

Secondo uno studio anche le scimmie possiedono un certo grado di cultura cumulativa

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Scavare un buco nel terreno con un bastone robusto, afferrare un lungo gambo, farlo scorrere tra i denti e creare un’estremità simile ad una spazzola che aiuta a pescare il prossimo spuntino: tutte tecniche tutt’altro che banali che gli scimpanzé potrebbero attuare grazie alla collaborazione e alla condivisione delle informazioni acquisite dagli antenati, proprio come avviene negli esseri umani. È quanto suggerisce il lavoro di ricercatori dell’Università della California, i quali hanno dettagliato i risultati delle loro analisi in un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Science. Secondo gli scienziati, gli scimpanzé hanno un “piccolo grado di cultura cumulativa” nel tempo, e ciò sarebbe provato dal fatto che le popolazioni più pratiche e più propense all’utilizzo di utensili sono correlati geneticamente. «È difficile pensare che tali tecniche possano essere apparse all’improvviso», ha commentato Andrew Whiten, esperto di evoluzione culturale dell’Università di St. Andrews in Scozia non coinvolto nello studio.

La cultura cumulativa è considerata una caratteristica distintiva dell’essere umano: consiste nella capacità di accumulare conoscenze, innovazioni e pratiche nel tempo, costruendo su quanto appreso dalle generazioni precedenti. Questo fenomeno permette di sviluppare tecnologie, arti, linguaggi e sistemi sociali sempre più complessi. Si ritiene unica dell’uomo poiché richiede un livello avanzato di apprendimento sociale e cooperazione, dove gli individui non si limitano a imitare ma migliorano attivamente quanto appreso. Fino a oggi, si pensava che altre specie, pur mostrando tracce di cultura, come l’uso di strumenti, non avessero la capacità di accumulare e trasmettere innovazioni nel tempo in modo così sofisticato. Gli scimpanzé dettagliati nel nuovo studio però, con i loro comportamenti complessi, sfidano questa visione, suggerendo che forme primitive di cultura cumulativa potrebbero esistere anche al di fuori della nostra specie.

Grazie all’aiuto di Cassandra Gunasekaram, dottoranda in biologia evolutiva presso l’Università di Zurigo, è stato individuato uno schema utilizzando un database genetico di 35 popolazioni di scimpanzé dell’Africa orientale e centrale scoprendo che, nonostante la maggior parte di esse non utilizzi strumenti complessi per estrarre il cibo, alcune lo fanno regolarmente e presentano una correlazione genetica. Per esempio, gruppi in cui vengono utilizzate solo componenti preliminari di sequenze di strategie sofisticate – come per esempio quelli che fanno solamente il buco nel terreno col bastone ma non sono arrivati al punto di usare esche – sono risultati positivamente correlati, suggerendo che le popolazioni che si comportano in modo simile sono imparentate geneticamente. Ciò, secondo gli scienziati, significherebbe che tali tecniche «potrebbero aver bisogno di una sorta di trasmissione sociale e di apprendimento sociale, uno scambio di idee tra luoghi diversi» e di miglioramenti ed innovazioni nel tempo. Il tutto potrebbe essere facilitato anche dalle femmine che, una volta raggiunta la maturità sessuale, potrebbero migrare verso altri gruppi per riprodursi e diventare “portatrici di cultura”. In tutti i casi, spiegano gli autori, la ricerca suggerisce che anche gli scimpanzé hanno una cultura cumulativa, sebbene in quantità minore rispetto agli umani, ma ciò potrebbe aiutare a spiegare come mai la nostra specie sia arrivata a svilupparne una più complessa.

Tuttavia, le evidenze presentate non hanno convinto completamente scienziati come Claudio Tennie, esperto di cultura delle scimmie dell’Università di Tubinga in Germania che ha criticato la solidità dei risultati riscontrati. Secondo Tennie non è ancora certo se le tecniche usate dagli scimpanzé siano così sofisticate da non poter essere stati inventati indipendentemente da individui di gruppi diversi, e inoltre altri esperimenti potrebbero suggerire che alcune strategie potrebbero essere “escogitate” senza essere imparate da altri. Attribuire sempre abilità complesse alla cultura sociale «presuppone in un certo senso che le scimmie non siano intelligenti di per sé», ha aggiunto Tennie, che ha concluso: «Quello che ho detto per tutti questi anni è che stai sottovalutando l’intelligenza delle scimmie!». D’altra parte, Whiten ribatte che i suoi esperimenti, come quello in cui ha dato agli scimpanzé delle cannucce particolari per bere il succo, offrirebbero «prove indiziarie» che questi comportamenti «vengono realmente raggiunti» e diffusi solo attraverso la trasmissione culturale.

[di Roberto Demaio]

Streaming illegale, smantellato sistema da 22 milioni di utenti

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Interi palinsesti in diretta e on demand captati e rivenduti in tutto il mondo, per un giro d’affari di 250 milioni di euro mensili: è l’oggetto dell’operazione “Taken Down”, coordinata dalla Procura di Catania, che ha portato all’arresto di 11 persone e allo smantellamento di quella che è stata definita “la più grande rete di streaming illegale a livello internazionale”. Il sistema, con circa 22 milioni di utenti, gestiva oltre 2.500 canali e server illegali, e proponeva contenuti illegali rubati da piattaforme come Sky, Netflix e Amazon Prime. Sono stati inoltre sequestrati criptovalute per 1,65 milioni e oltre 40.000 euro in contante.