domenica 13 Luglio 2025
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Repubblica Democratica del Congo, i ribelli avanzano: si teme l’allargamento del conflitto

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Dopo la presa di Goma, capitale della provincia orientale del Nord Kivu, ieri, domenica 16 febbraio, i ribelli congolesi sono entrati a Bukavu, seconda città della sponda est e capitale provinciale del Sud Kivu. Il governo congolese ha chiesto alle truppe del Ruanda, che sosterrebbero i ribelli, di ritirarsi dal territorio del Paese, mentre l’ONU ha lanciato un appello ai vari membri perché agiscano in supporto del Congo. A rendere ancora più instabile la situazione nella regione, ci sono gli attacchi delle Forze Alleate Democratiche (ADF), un movimento islamista affiliato allo Stato Islamico, contro cui ha deciso di muoversi Muhoozi Kainerugaba, capo dell’esercito ugandese e figlio del presidente. Dopo avere dato un ultimatum alle forze in gioco, Kainerugaba ha iniziato a marciare verso Bunia, capitale della regione congolese dell’Ituri, a nord della provincia del Nord Kivu, accusando il governo centrale di non stare proteggendo i cittadini dall’ADF. L’esercito ugandese sostiene quello congolese nella lotta contro i militanti islamisti dal 2021, tuttavia, secondo esperti delle Nazioni Unite, anch’esso fornirebbe supporto all’M23, per mettere le mani sulle tante risorse minerarie della regione.

L’avanzata dell’M23 verso Bukavu è iniziata poco dopo la caduta di Goma di fine gennaio. Gli scontri sono stati inaugurati venerdì 14 febbraio, quando i ribelli hanno annunciato di avere conquistato l’aeroporto della città. Nell’arco di una manciata di ore, le forze dell’M23, secondo il governo congolese sostenute direttamente dall’esercito ruandese, sono riuscite a penetrare nella città, e il giorno seguente sembra siano scoppiati i primi scontri nel centro di Bukavu. Lo stesso sabato 15 febbraio, un portavoce del Programma Alimentare Mondiale ha detto all’agenzia di stampa Reuters che il deposito cittadino dell’agenzia, che conteneva 6.800 tonnellate di cibo, era stato saccheggiato, aggiungendo che le attività del gruppo risultavano ormai sospese da settimane a causa del deterioramento della sicurezza. Parallelamente, nella città sono state svuotate le carceri, mentre l’esercito regolare ha tentato di salvare il salvabile, dando fuoco ai depositi di armi per evitare che i ribelli ne entrassero in possesso. Domenica 16 febbraio è arrivata conferma che i ribelli avevano conquistato la città. Il comandante dell’M23 Bernard Byamungu ha dichiarato a Reuters di avere preso il controllo di Bukavu a partire da circa mezzogiorno, pare, secondo le testimonianze, senza incontrare una reale resistenza. Poco dopo, è arrivata la conferma da parte del governatore della provincia del Sud Kivu, Jean-Jacques Purusi. Non è ancora chiaro se l’M23 ha intenzione di continuare la propria avanzata.

Ad aggravare la crisi davanti a quella che sembra una inarrestabile cavalcata dell’M23 è arrivato il capo dell’esercito ugandese, e secondo molti erede alla presidenza. Sabato 15 febbraio, Muhoozi Kainerugaba ha iniziato a marciare verso Bunia per liberare la città dalle forze islamiste che la attaccano, accusando il governo congolese di non stare difendendo adeguatamente la popolazione. A Bunia, denuncia Kainerugaba, le persone di etnia Bahima starebbero venendo uccise dai movimenti islamisti a causa delle inadempienze dell’esercito regolare, che non sarebbe riuscito a sfruttare la presenza ugandese sul territorio, impedendo il dispiegamento delle truppe alleate. L’Uganda sostiene infatti l’esercito congolese nel suo contrasto alle incursioni dell’ADF dal 2021, e a gennaio e febbraio ha mandato ulteriori forze di supporto. Lo stesso sabato, il generale ha condiviso un post che denunciava la scarsa capacità di gestire la crisi da parte dell’esercito congolese mostrando un video che ritraeva i morti che sarebbero stati causati le milizie islamiste della regione. Nello stesso post, l’autore scrive che «un totale di 21 tribù di Ituru hanno tenuto un incontro e hanno formato un’organizzazione politica per combattere per la propria sopravvivenza», aggiungendo che «sette delle loro milizie, completamente armate, hanno formato un alto comando congiunto per proteggere sé stessi e le loro famiglie». Pare che questa nuova forza abbia chiesto all’Uganda di rimanere fuori dalle questioni interne al Congo, ma il generale ha deciso di marciare comunque.

La marcia di Kainerugaba ha alimentato le preoccupazioni che il conflitto tra le forze congolesi e i ribelli dell’M23 sostenuti dal Ruanda possa sfociare in una guerra regionale più ampia. Malgrado il supporto contro l’ADF, infatti, anche l’Uganda è ritenuto vicino all’M23, mentre lo stesso Kainerugaba non ha mai nascosto la propria vicinanza nei confronti del presidente ruandese Paul Kagame. Dopo tutto, l’area interessata, di preciso quella del Congo orientale, fa gola a diversi attori. Il Congo è infatti una terra ricca di risorse minerarie. Negli ultimi 30 anni l’est del Paese è stato teatro di continui scontri, sfollamenti di massa e uccisioni perpetrate dai più di 100 gruppi armati presenti nella regione. Ognuno di questi gruppi combatte per il controllo delle miniere e delle vie commerciali della regione, spesso al soldo di potenze straniere quali gli stessi Ruanda e Uganda, nascondendo i propri obbiettivi dietro divergenze etniche. In più di 30 anni si parla di quasi 5 milioni di morti, centinaia di migliaia di violenze contro le donne congolesi, milioni di sfollati e migliaia di persone che soffrono la fame.

[di Dario Lucisano]

Stati Uniti, decine di proteste in tutto il Paese contro le politiche di Trump e Musk

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In seguito al licenziamento di migliaia di dipendenti pubblici predisposto dal nuovo Dipartimento per l’efficienza governativa (DOGE), guidato dal miliardario Elon Musk e voluto da Trump, in alcune zone degli Stati Uniti si sono registrate proteste contro le politiche del fondatore di Tesla e del presidente della Casa Bianca. In particolare, centinaia di persone si sono radunate davanti alle concessionarie Tesla a New York, Kansas City e in tutta la California per protestare contro i tagli del DOGE. Gli organizzatori hanno riferito di almeno 37 dimostrazioni in uno sforzo coordinato attraverso gli hashtag social TeslaTakedown e TeslaTakover, con i manifestanti che hanno agitato cartelli con le scritte “Detronizzate Musk”, “Nessuno ha votato Elon Musk” e “Fermate il colpo di Stato”. In alcuni Stati democratici, inoltre, sono partite le rivendicazioni contro le politiche riguardanti i diritti all’aborto e delle persone transgender.

Attraverso il DOGE, istituito per ridurre la burocrazia statunitense, Musk ha finora licenziato più di 9.500 dipendenti federali che si occupavano di tutto, dalla gestione dei terreni federali all’assistenza dei veterani militari. I licenziamenti si aggiungono ai circa 75.000 lavoratori che hanno accettato una buonuscita offerta da Musk e Trump. Il presidente statunitense ha affermato che il governo federale è saturo e che troppi soldi vengono persi a causa di sprechi e frodi. Il governo ha circa 36 trilioni di dollari di debito e ha avuto un deficit di 1,8 trilioni di dollari l’anno scorso: c’è un accordo bipartisan sulla necessità di riforme. Tuttavia, l’ondata di licenziamenti ha causato proteste sia tra i dipendenti licenziati che tra i cittadini: molti lavoratori pubblici hanno affermato di sentirsi traditi dallo Stato che hanno servito per anni.

Trump e Musk hanno chiuso quasi completamente alcune agenzie governative come l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale e il Consumer Financial Protection Bureau (CFPB). Quest’ultimo era uno dei pochi uffici rimasti dalla crisi del 2008 con lo scopo di aiutare finanziariamente i cittadini comuni, ma è accusato dai repubblicani di abuso di potere. In risposta alla chiusura di queste Agenzie, è nata una nuova rete di dipendenti federali organizzata per contrastare i tagli nel settore pubblico, chiamata Federal Unionists Network (FUN). Chris Dols, uno dei membri fondatori, ritiene che l’attacco al CFPB abbia chiarito qual è il vero obiettivo di Musk e Trump. «[Il CFPB] è la protezione dei consumatori contro le frodi», ha affermato, aggiungendo che «I truffatori se la sono presa con l’agenzia anti-truffa». In altre parole, secondo Dols, se Trump e Musk si preoccupassero davvero di ridurre gli sprechi e le frodi e di migliorare la vita dei lavoratori rafforzerebbero ed espanderebbero la portata del CFPB, anziché tagliarla.

Alcuni manifestanti, soprattutto nei Paesi di stampo più “progressista” come la California, hanno messo in dubbio la legittimità di Elon Musk, sostenendo che nessuno lo ha votato e radunandosi fuori dalle concessionarie Tesla per protesta. Più di una trentina di eventi contro l’oligarca sudafricano naturalizzato statunitense sono andati in scena in varie parti degli USA, come riportato sul sito Action Network, dove si invitano le persone che possiedono delle Tesla o azioni della società a disinvestire, vendere il proprio veicolo e unirsi alle proteste. Le dimostrazioni seguono le notizie di incendi dolosi e danneggiamenti dei saloni Tesla in Oregon e Colorado. Alcuni investitori temono che il sostegno di Musk a Trump possa influenzare le vendite e sottrarre tempo allo sviluppo del marchio automobilistico: a gennaio le azioni Tesla hanno intrapreso una rapida discesa e anche le vendite risultano in calo.

La Casa Bianca ha affermato che Musk opera come dipendente governativo speciale non retribuito. Tale qualifica è riservata ufficialmente a coloro che lavorano per il governo per 130 giorni o meno in un anno. Fino ad ora, il DOGE ha chiuso l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) e sta cercando di chiudere il Consumer Financial Protection Bureau (CFPB). Inoltre, come parte di una lotta alle politiche “woke“, Musk ha affermato che il suo team ha «risparmiato ai contribuenti oltre 1 miliardo di dollari in folli contratti DEI (diversità, equità e inclusione)».

[di Giorgia Audiello]

Toscana, il centrodestra cerca di bloccare la legge sul suicidio assistito

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Almeno per il momento, il centrodestra toscano ha bloccato la legge regionale sul suicidio medicalmente assistito approvata martedì scorso. I partiti di destra hanno infatti presentato ricorso al collegio di garanzia statuaria per la verifica di conformità della norma rispetto al dettato dello statuto della Regione. Il collegio di garanzia ha un mese di tempo per esprimersi. In questo lasso temporale la legge non potrà essere promulgata. La Toscana è stata in assoluto la prima regione italiana a legiferare sul fine vita, andando a colmare un grande vuoto legislativo.

Nuovi OGM: centinaia di organizzazioni chiedono all’UE di fermare la deregolamentazione

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Oltre 200 organizzazioni hanno espresso la loro totale opposizione a una proposta di deregolamentazione sui nuovi OGM avanzata in sede europea. I Paesi europei stanno discutendo una nuova proposta di legge di vasta portata sugli organismi geneticamente modificati (OGM) e le piante selvatiche prodotte con nuove tecniche di editing genetico (NGT), ovvero i così detti “nuovi OGM”. Così come i vecchi, i nuovi, gli NGT, saranno coperti da brevetti. Se la proposta dovesse essere attuata, la legge aumenterà il controllo di una manciata di aziende rispetto agli agricoltori, limitando e controllando la circolazione del materiale genetico per allevatori e vivaisti. Come denunciano le organizzazioni firmatarie della dichiarazione congiunta, la proposta di legge prevede anche la non tracciabilità nei prodotti alimentari. Nel documento è spiegato che una tale deregolamentazione dei “nuovi OGM” avrebbe notevoli impatti socioecologici.

La discussione riguardo il tema dei nuovi OGM è in stallo da svariati mesi. La proposta di escludere le colture create con Nuove Tecniche Genomiche dalla regolamentazione sugli OGM prevista nel 2001 risale al 2021; lo scorso anno, il Parlamento UE aveva adottato il suo mandato per i negoziati con gli Stati Membri – per il quale era stato decisivo il voto italiano -, passando così la palla ai singoli ministri dell’Agricoltura, i quali tuttavia non hanno una posizione comune in merito. Ora, dopo aver assunto la presidenza di turno del Consiglio UE il 1° gennaio di quest’anno, la Polonia ha avanzato una proposta che mira a semplificare le procedure, creando una categoria apposita per queste colture che le renda esenti dalla regolamentazione prevista per i “vecchi” OGM.

Le oltre duecento organizzazioni di vario genere, tra piccole e medie imprese del settore alimentare e organizzazioni della società civile, si dicono profondamente preoccupate per i tentativi di accelerare il raggiungimento di un accordo in sede di Consiglio e per i negoziati tra Consiglio e Parlamento europeo, alla luce dei potenziali rischi dei “nuovi OGM” per la salute umana oltre che per la natura delle numerose questioni irrisolte come brevetti, metodi di identificazione e rilevamento, prezzo delle sementi, diversità delle sementi, coesistenza, impatti socioeconomici negativi e aumento del controllo aziendale sulla filiera alimentare.

Le organizzazioni denunciano che una tale deregolamentazione causerà problemi agli agricoltori. Tra i problemi viene inclusa la biopirateria e la privatizzazione dei semi così come l’aumento del rischio di azioni legali contro gli agricoltori da parte dell’industria dei brevetti. Tale eventualità darà vita ad un settore in cui si opera nell’incertezza continua di rivendicazioni di violazione di brevetti, di oneri amministrativi dovuti all’incertezza legale (costante vigilanza legale), aumento dei costi di produzione, rischio di perdere la propria attività. La proposta è anche una minaccia per i diritti esistenti degli agricoltori di conservare, utilizzare, riutilizzare e scambiare i propri semi. Senza dimenticare che la riduzione della varietà di semi porta a problematiche di scarsa biodiversità.

Le organizzazioni chiedono ai Paesi europei di proteggere i piccoli coltivatori e le piccole aziende così come l’ecosistema in cui viviamo. «Tutti i nuovi OGM devono rimanere coperti da una valutazione dei rischi e dei metodi di monitoraggio, identificazione e rilevamento, e tracciabilità ed etichettatura lungo la catena alimentare».

[di Michele Manfrin]

In tutto il mondo sta scomparendo la diversità genetica di flora e fauna

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La diversità genetica di animali e piante è pesantemente diminuita a livello globale negli ultimi tre decenni. Lo ha reso noto un nuovo importante studio condotto su oltre 600 specie. La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature, ha riscontrato un declino in due terzi delle popolazioni oggetto di analisi, ma ha sottolineato che gli sforzi di conservazione, se attuati con urgenza, potrebbero ancora arrestare o addirittura invertire la perdita di diversità genetica. Gli scienziati hanno esaminato 882 studi che hanno misurato i cambiamenti della diversità genetica tra il 1985 e il 2019 in 628 specie di animali, piante, funghi e cromisti, dando vita a quella che hanno definito «l’indagine più completa» sui cambiamenti della diversità genetica all’interno delle specie fino ad oggi.

La diversità genetica, componente della biodiversità (che comprende anche diversità di specie e di ecosistemi) si riferisce alla varietà di geni all’interno di una popolazione o specie. È la base dell’adattabilità e della sopravvivenza degli organismi, perché consente alle popolazioni di rispondere a cambiamenti ambientali come malattie o ondate di calore, garantendo la sopravvivenza nel tempo. Tuttavia, il declino di questa variabilità è allarmante e spesso non legato a singoli eventi, ma a un deterioramento diffuso degli habitat. Le cause principali di questa crisi sono riconducibili all’attività umana: distruzione degli habitat, cambiamenti climatici, introduzione di specie invasive e nuove malattie. I ricercatori hanno rilevato che il 65% delle popolazioni analizzate ha subito disturbi ecologici, come raccolta e molestie umane o alterazioni nell’uso del suolo. Tuttavia, la perdita di diversità genetica si è verificata anche in popolazioni apparentemente non soggette a stress ambientali, suggerendo un declino di fondo ancora poco compreso.

Nonostante il quadro preoccupante, lo studio ha individuato casi di successo in cui la conservazione ha avuto effetti positivi. In Australia, un programma di reintroduzione del bandicoot dorato ha mantenuto la diversità genetica della specie monitorandone gli spostamenti e selezionando strategicamente gli individui da reintrodurre. Negli Stati Uniti, l’uso di insetticidi per prevenire la diffusione della peste tra i cani della prateria dalla coda nera ha favorito l’incrocio tra diverse popolazioni, aumentando la variabilità genetica. In Scandinavia, l’alimentazione supplementare delle volpi artiche e il controllo della competizione con le volpi rosse hanno contribuito a rafforzarne la diversità genetica.

La necessità di preservare la diversità genetica è stata riconosciuta anche in ambito politico, come dimostra l’inclusione di questo obiettivo nella Conferenza sulla biodiversità COP15 del 2022. Tuttavia, meno della metà delle popolazioni minacciate ha beneficiato di interventi di conservazione, segno che gli sforzi in questa direzione sono ancora insufficienti. L’analisi mette in luce l’urgenza di strategie di intervento mirate. Tra le più efficaci, l’introduzione di nuovi individui nelle popolazioni in declino si è rivelata una misura capace di arrestare o invertire la perdita di diversità genetica. Senza un’azione immediata, molte specie rischiano di perdere la loro capacità di adattamento, avvicinandosi pericolosamente all’estinzione.

[di Stefano Baudino]

Attacchi di hacker filorussi a siti italiani: “Reazione a parole di Mattarella”

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Diversi siti web italiani sono stati colpiti nelle ultime ore da attacchi Ddos (Distributed Denial of Service). A rivendicarli sono stati gli hacker filorussi NoName057(16), affermando che si tratta di una risposta alle parole del Presidente Mattarella, che in occasione di una conferenza a Marsiglia aveva paragonato negli scorsi giorni la Russia al Terzo Reich. Tra i portali colpiti figurano quelli di scali aeroportuali, banche e aziende di trasporto locale. A quanto si apprende, l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn) ha avvertito i soggetti interessati e le autorità, sviluppando azioni di mitigazione.

Milleproroghe, un emendamento punta a dotare di taser tutti i poliziotti

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Un altro passo avanti verso l’estensione dell’uso del taser da parte delle forze dell’ordine. Con un emendamento al decreto Milleproroghe, che ha ottenuto il semaforo verde al Senato e che ora dovrà ottenere l’ok di Montecitorio, la Lega ha ottenuto il via libera per dotare della pistola elettrica anche la Polizia Locale di tutti i Comuni italiani, senza più distinzioni legate al numero dei loro abitanti. Una misura che il Carroccio definisce «di buonsenso» per garantire maggiore sicurezza nelle città e nelle piccole realtà del Paese, sebbene sia l’ONU che Amnesty International abbiano classificato il taser come un vero e proprio “strumento di tortura”.

La proposta di modifica al decreto era stata approvata la scorsa settimana in Commissione affari costituzionali a Palazzo Madama. E, se la Camera apporrà il suo timbro definitivo, tutti i Comuni – non solo i capoluoghi di provincia o quelli con più di 20mila abitanti – potranno dotare la Polizia Municipale di questo strumento. La misura sarà sperimentale fino alla fine dell’anno. Una modifica non scontata, considerando che l’emendamento era stato inizialmente dichiarato inammissibile prima di essere recuperato grazie a un ricorso. L’ampliamento dell’uso del taser ha seguito una traiettoria progressiva negli ultimi anni. Introdotto nel 2018 con i decreti Sicurezza dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, il dispositivo era inizialmente riservato alle sole Città metropolitane e ai Comuni con più di 100mila abitanti. Successivamente, con il decreto legge PA dello scorso anno, un emendamento sostenuto da Lega e Fratelli d’Italia aveva abbassato la soglia, consentendone l’utilizzo anche nei centri con oltre 20mila abitanti. Ora, grazie all’intervento nel Milleproroghe, la misura viene estesa a tutti i Comuni, eliminando di fatto ogni limitazione demografica.

Il taser è stato introdotto per la prima volta nel 2004 in Regno Unito (lo stesso anno venne adottato anche dalla polizia francese), affidato all’uso esclusivo degli agenti in Inghilterra e in Galles. Questi potevano usufruirne per un numero limitato di operazioni, e più in generale, solo in caso di estremo pericolo per la propria vita o per la sicurezza pubblica. Per la giurisdizione si tratta infatti di una vera e propria arma – seppur non letale -, che si aziona premendo il grilletto. Dal click si diramano dal corpo della pistola due “dardi” collegati a fili conduttori che trasmettono una scarica di 63 microcoulomb di elettricità per 5 secondi. I muscoli della persona colpita si paralizzano all’istante, anche se la mente rimane lucida e in grado di ascoltare. Ma il corpo è di fatto immobile. Tale effetto dovrebbe svanire in poco tempo, permettendo al soggetto di recuperare una normale forma fisica. Tuttavia, indipendentemente dalle condizioni della “vittima”, gli agenti sono obbligati a richiedere l’intervento del personale sanitario. Secondo vari studi, la pistola elettrica sarebbe inefficace e controproducente. L’Università di Cambridge ritiene che in realtà il taser abbia aumentato (quasi raddoppiato) il rischio che la polizia usi la violenza e che gli agenti vengano aggrediti. Anche la sua pericolosità è data sostanzialmente per assodata: la stessa ditta produttrice riconosce un rischio di morte dello 0,25%.

In tutto il mondo, la questione delle morti correlate all’uso del taser da parte delle forze dell’ordine è oggetto di dibattito e preoccupazione. È così anche in Italia, dove vari episodi hanno destato allarme. Nel novembre del 2022, a Selva Candida – in zona Boccea – un 43enne aveva perso il controllo e iniziato a danneggiare l’appartamento di un amico, che ha chiamato i carabinieri. All’arrivo dei militari l’uomo li aveva prima aggrediti e poi, dopo aver ricevuto un colpo di taser, aveva cercato di fuggire attraverso giardini comunicanti. Da lì a poco aveva perso i sensi ed era deceduto dopo essersi accasciato a terra. Poi, lo scorso luglio, a Bolzano, un uomo in stato di agitazione aveva chiamato il 112 per segnalare presenze fuori dalla sua stanza: all’arrivo di carabinieri e personale sanitario, la persona aveva tentato di aggredire i carabinieri, venendo fermato e immobilizzato con il taser. Dopo la scossa elettrica, aveva accusato un malore, per poi morire a causa di un arresto cardiocircolatorio. Pochi giorni fa, sulla base del risultato dell’autopsia, la Procura ha asserito che l’uomo sarebbe deceduto a causa della «assunzione di cocaina che ha comportato un evento cardiaco acuto di tipo aritmico o vasospastico», ritenendo «altamente improbabile un ruolo del taser nel decesso».

[di Stefano Baudino]

L’UE esclusa dai negoziati per la pace in Ucraina: Macron convoca riunione d’emergenza

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Sullo sfondo di una frattura con gli USA che inizia a consumarsi, l’immagine che emerge dalla conferenza di Monaco sulla sicurezza, conclusasi ieri, domenica 16 febbraio, è quella di un’Europa che, dopo tre anni di guerra, scalpita per avere voce in capitolo e dimostrare di contare ancora qualcosa. Nei tre giorni di vertice si è discusso di svariati temi, ma al centro dei dibattiti sono stati la questione ucraina e il collaterale ruolo europeo nei possibili negoziati. L’UE ha continuato a rimarcare la sua intransigente volontà di partecipare alle trattative, ma la sua richiesta è stata ignorata dagli alleati transatlantici. Alla ricerca di un modo per ritagliarsi un posto nel mondo, tra i politici comunitari sembra affiorare timidamente l’idea di tornare a guardare verso la Cina, mentre Zelensky ha invocato la creazione di un esercito continentale e ha sospeso, di contro, l’accordo sulle terre rare con gli USA. Di fronte a degli USA che apparirebbero sempre più distanti, Macron è invece corso ai ripari, lanciando una riunione di emergenza tra i leader che si terrà oggi stesso.

Sono stati giorni di pura confusione quelli della conferenza di Monaco, tenutasi dal 14 al 16 febbraio. Gli incontri hanno trattato di svariati temi, dalla sicurezza alla difesa, dalle nuove adesioni all’UE all’ambiente, all’energia, alla tecnologia, fino alla geopolitica. Secondo quanto riportato nel programma, la prima giornata era dedicata a un «focus sulle sfide alla sicurezza globale, tra cui la governance globale, la resilienza democratica e la sicurezza climatica». Proprio in occasione di essa, von der Leyen ha rilanciato l’obiettivo di aumentare le spese nel settore della difesa, annunciando deroghe al Patto di Stabilità per permettere maggiori investimenti in ambito bellico. La seconda e la terza giornata, invece, erano dedicate alla situazione geopolitica, ai conflitti e alle crisi regionali, al ruolo dell’Europa nel mondo e al «partenariato transatlantico».

I primi momenti di quelli che molti ritengono una preannunciata frattura tra USA e UE sono emersi sin dalla prima giornata. A dare inizio alle danze è stato il vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance con un intervento dal tono particolarmente critico, che non è affatto piaciuto agli uditori: gli Stati Uniti sono «preoccupati», ha detto il vicecapo di Stato USA, precisamente per il clima di «censura» nei confronti della destra che i Paesi comunitari, tra cui la stessa Germania, porterebbero sistematicamente avanti. Questa censura, ha continuato Vance, starebbe compromettendo il valore della «libertà di espressione» condiviso da Washington e Bruxelles, che costituisce l’ago della bussola dei finanziamenti e degli aiuti statunitensi. L’Europa sembra aver capito la minaccia contro cui si scontra, ma forse dovrebbe chiedersi perché lo fa, ha detto — parafrasato — il vicepresidente. Nella sostanza, Vance ha accusato i Paesi dell’UE di aver perso i propri valori e di stare diventando anti-democratici, prospettando un futuro di collaborazione incerto. Le parole di Vance hanno scatenato l’ira dei presenti e, in prima istanza, del padrone di casa Olaf Scholz, che si è scagliato contro gli Stati Uniti accusandoli non troppo velatamente di interferire con le proprie elezioni.

Alle dure parole di Vance si sono aggiunte le dichiarazioni dell’inviato speciale della Casa Bianca per il conflitto russo-ucraino, Keith Kellogg, che ha dichiarato senza mezzi termini che l’Unione Europea non si siederà al tavolo delle trattative con Putin, anche se le sue istanze verranno portate avanti dagli alleati. Dalle ultime notizie date dai media statunitensi, sembra che i colloqui inizieranno domani e che Kellogg abbia già avvisato le controparti. Zelensky, dal canto suo, ha smentito questa affermazione, sostenendo di non aver ricevuto alcun invito da parte del presidente Trump. Lo stesso Zelensky, sul palco di Monaco, ha detto che l’aiuto degli Stati Uniti, per quanto centrale, non può ormai essere dato per scontato, lanciando l’iniziativa di creare un esercito europeo per tracciare definitivamente «i confini tra la pace e la guerra». Nel corso del suo intervento, Zelensky ha ribadito che, dalla sua prospettiva, l’entrata di Kiev nella NATO e nell’UE non è negoziabile, rispondendo indirettamente al segretario generale dell’Alleanza Mark Rutte, che aveva ritrattato la sua consolidata posizione per cui l’entrata dell’Ucraina nella NATO fosse ormai «irreversibile». Alle parole di Zelensky hanno fatto eco quelle delle autorità finlandesi, che hanno appoggiato il presidente ucraino, prendendo le distanze dal Segretario dell’Alleanza Atlantica. Ieri è poi arrivata la notizia di una sospensione delle trattative per concedere l’uso delle terre rare ucraine agli USA, perché sarebbero venute a mancare le garanzie necessarie a Kiev.

La reazione dell’UE è stata una corsa ai ripari, mentre intanto sembra che alcuni stiano iniziando a riconsiderare i propri rapporti con la Cina. Dopo l’annuncio di Kellogg, infatti, il ministero degli Esteri cinese ha pubblicato diverse dichiarazioni congiunte con uffici omologhi, tra cui quelli di Austria, Germania, Francia e della stessa UE, in cui annuncia di essere pronto a dare un nuovo slancio ai dialoghi multilaterali. Il ministro degli Esteri cinese ha inoltre condiviso una nota in cui, «notando che il conflitto si sta svolgendo su suolo europeo», definisce «imperativo» il suo coinvolgimento nelle trattative, senza tuttavia specificarne le modalità. A chiudere queste rocambolesche giornate è infine arrivato Macron, che ha lanciato un incontro informale tra i principali leader europei per parlare di Ucraina, che si svolgerà oggi a Parigi. A partecipare, i capi di governo di Germania, Regno Unito, Italia, Polonia, Spagna, Paesi Bassi e Danimarca. Presenti anche Ursula von der Leyen e il segretario generale NATO, Mark Rutte. In attesa del vertice, stanno iniziando a uscire le prime dichiarazioni: il primo ministro britannico Keir Starmer ha scritto sul Daily Telegraph che il Regno Unito sarebbe pronto a inviare le proprie truppe in Ucraina, se necessario.

[di Dario Lucisano]

Il TAR annulla il concorso PNRR per i docenti

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Il TAR di Ancona ha annullato la selezione per insegnanti di laboratorio nelle scuole secondarie di Abruzzo, Emilia-Romagna, Marche, Puglia e Umbria, avvenuta nell’ambito del concorso PNRR per docenti. La decisione, presa a seguito di un ricorso presentato da un gruppo di candidati, è motivata dalla violazione dell’anonimato durante la prova pratica. Il concorso PNRR, bandito a livello nazionale per l’assunzione di circa 20.000 docenti, si era svolto a maggio. Con l’annullamento della prova pratica, l’intero esame dovrà essere ripetuto.

In Egitto è ricomparsa la iena maculata, a millenni di distanza dall’ultima volta

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Era a centinaia di chilometri da quello che si credeva il suo limite territoriale, ha cacciato due capre tenute al pascolo nell'area protetta dell'Elba e, soprattutto, ha stabilito un nuovo primato, visto che secondo la ricerca scientifica la sua specie non visitava tale area da circa 5.000 anni: è la iena maculata avvistata in Egitto e catturata al confine con il Sudan, la quale ha attirato l’attenzione di quattro ricercatori che l’hanno studiata e descritta in un nuovo articolo sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista Mammalia. Nonostante l’individuo sia stato intenzionalm...

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