martedì 9 Dicembre 2025
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Il TAR della Campania boccia le zone rosse di Piantedosi

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Con una sentenza emessa questa mattina, martedì 29 luglio, il TAR della Campania ha annullato l’ordinanza del prefetto di Napoli che prorogava il divieto di stazionamento nelle cosiddette “zone rosse” del capoluogo. La misura era stata introdotta dopo che, nel dicembre dello scorso anno, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi aveva inviato una direttiva ai prefetti italiani, al fine di spingerli ad adottare apposite ordinanze che individuassero le aree urbane nelle quali vietare la presenza di «soggetti pericolosi» o con precedenti penali. Secondo il governo, la misura avrebbe dovuto garantire la tutela della sicurezza urbana e degli spazi pubblici cittadini. Questa mattina, invece, come riferito dal Coordinamento No Zone Rosse Napoli in un comunicato stampa, «il TAR ha giudicato l’esercizio del potere prefettizio privo dei necessari presupposti, illegittimo e lesivo dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale». Secondo il Tribunale non sussiste, infatti, alcuna emergenza o motivazione «idonea a giustificare l’uso reiterato di poteri prefettizi straordinari».

Il ricorso era stato presentato lo scorso 6 giugno dalle associazioni che formano la rete – tra le quali figurano ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione), A Buon Diritto e Libridazioni, oltre a cittadini e residenti. Secondo i ricorrenti, il provvedimento rappresenta una grave violazione dei diritti del singolo cittadino, in quanto adotta «misure limitative sulla base di meri indizi o segnalazioni, senza la necessità di un accertamento giudiziario, configurando una presunzione di pericolosità giuridicamente inammissibile». Il team legale che ha presentato il ricorso ha festeggiato la sentenza definendola «una vittoria dello Stato di diritto», per mezzo della quale si sancisce che «il potere straordinario non può diventare regola ordinaria».

La direttiva di Piantedosi, che mirava a sfruttare tutte le possibilità del cosiddetto “DASPO urbano” introdotto dal dl 14/2017, è già stata implementata in molte delle principali città italiane, tra le quali Milano, Roma, Bologna e Firenze. L’obiettivo è quello di vietare, nei pressi delle stazioni o delle aree dove si concentra la movida, lo stazionamento di «soggetti pericolosi», ovvero con precedenti per reati penali contro il patrimonio o la persona, ma anche di persone condannate in via non definitiva nel corso dei cinque anni precedenti per reati analoghi. La norma è contenuta nello stesso decreto Sicurezza, approvato poche settimane fa dal governo. «Nessuna direttiva ministeriale può derogare, neanche di fatto, ai principi di uguaglianza, legalità, presunzione di innocenza e proporzionalità» scrivono le associazioni, che definiscono quella del TAR come «una sentenza che difende la democrazia».

Pechino, forti piogge causano almeno 30 morti

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Forti piogge a Pechino e nelle aree circostanti hanno causato almeno trenta morti. Lo riporta l’agenzia di stampa cinese Xinhua. Il maltempo, iniziato sabato, ha colpito soprattutto i distretti rurali e montuosi di Miyun e Yanquing, e la provincia di Hebei, causando frane e gravi danni alle infrastrutture. Più di 80mila persone sono state evacuate, mentre numerosi villaggi sono isolati. Le informazioni sono limitate, a causa delle restrizioni del governo cinese sulla diffusione di notizie riguardanti disastri naturali. Altri decessi sono stati segnalati nelle province di Shanxi e nella città di Jinan.

Meta mette al bando le pubblicità politiche nell’Unione Europea

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Meta ha manifestato apertamente il proprio dissenso verso la direzione normativa intrapresa dall’Unione Europea in merito alla regolamentazione dei servizi digitali. In pochi giorni, la Big Tech ha ripudiato il Codice di Condotta volontario sull’intelligenza artificiale e ha dichiarato che non intende adeguarsi alle nuove norme sulla trasparenza delle inserzioni pubblicitarie a contenuto politico. Dopo aver definito queste disposizioni “insostenibili”, l’azienda ha annunciato che, a partire dal 10 ottobre, non accetterà più annunci politici, elettorali o di carattere sociale nei confini dell’Unione Europea.

Secondo Meta, “la pubblicità politica online è una parte vitale della politica moderna”, e l’azienda sostiene di aver fatto molto più di quanto imposto dalla legge per garantire la trasparenza, evidenziando la presenza di strumenti di monitoraggio che sono stati introdotti a partire dal 2018. Una dichiarazione che si basa su di un vuoto normativo che l’Unione Europea ha colmato lo scorso aprile attraverso il regolamento sulla Trasparenza e targeting della pubblicità politica (TTPA), il quale diventerà pienamente operativo proprio il 10 ottobre. Il nuovo regolamento impone regole stringenti: ogni annuncio politico dovrà riportare informazioni chiare su chi ha finanziato la campagna, quanto è stato speso, a quale competizione elettorale si riferisce e quali tecniche di targeting sono state impiegate. Le aziende che non si conformano rischiano sanzioni fino al 6% del fatturato annuo.

Meta contesta la normativa, affermando che introdurrà incertezze e oneri eccessivi per gli inserzionisti europei. Difende i propri strumenti di trasparenza, evitando accuratamente di menzionare che tali soluzioni sono state introdotte in risposta allo scandalo Cambridge Analytica, il quale aveva rivelato come i dati di milioni di utenti fossero stati utilizzati a fini di profilazione politica e propaganda, con il coinvolgimento diretto di Facebook. Secondo le autorità statunitensi, l’azienda era a conoscenza dell'”utilizzo improprio dei dati” da ben prima che whistleblower e leak giornalistici denunciassero pubblicamente la situazione.

Nonostante la normativa europea possa talvolta risultare ambigua — per goffaggine o per compromesso politico volontario — il comportamento reiterato di Meta nel tempo suggerisce che la trasparenza e la sicurezza degli utenti non rientrino tra le sue priorità principali. Un’ex dipendente di Meta divenuta informatrice, Sarah Wynn-Williams, sostiene nel libro Careless People che l’azienda abbia sistematicamente ignorato per anni delle criticità note al fine di tutelare i propri interessi commerciali, nonché di aver manipolato gli algoritmi per favorire le strategie politiche e comunicative dei propri dirigenti. Una disattenzione e un opportunismo che si ritiene abbiano fomentato diverse crisi umanitarie

Più recentemente, la Commissione Europea ha avviato un’indagine ufficiale nei confronti di Meta per presunta violazione del Digital Services Act (DSA), in relazione all’inefficacia nella moderazione della disinformazione in vista delle elezioni dell’europarlamento tenutesi nel 2024. “Sospettiamo che la moderazione di Meta sia insufficiente, che manchi di trasparenza negli annunci pubblicitari e nelle procedure di moderazione dei contenuti”, aveva dichiarato nell’aprile 2024 Margrethe Vestager, la Commissaria europea per l’agenda digitale in carica fino allo scorso novembre.

Il caso Meta, tuttavia, non è isolato. Anche Google ha annunciato che sospenderà la pubblicazione di annunci politici in Europa per via della complessità delle nuove norme. Si apre così un nuovo capitolo nello scontro tra le Big Tech e le istituzioni europee: da un lato policy aziendali autoimposte, dall’altro leggi sovranazionali vincolanti. Sullo sfondo, l’ombra dell’Amministrazione Trump, alla quale alcune aziende guardano per ottenere protezione contro il crescente attivismo normativo dell’UE.

58 ex ambasciatori UE scrivono a Bruxelles per chiedere di fermare Israele

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Cinquantotto ex ambasciatori dell’UE hanno inviato una lettera aperta ai vertici di Bruxelles per condannare l’operato di Israele in Palestina. Nello specifico, denunciano un «trasferimento forzato della popolazione, un grave crimine di guerra» e «passi calcolati verso una pulizia etnica». L’UE, accusano, ha mantenuto «silenzio e neutralità di fronte al genocidio». Chiedono lo stop immediato alle forniture militari, la sospensione degli accordi con Israele e il riconoscimento dello Stato di Palestina. Anche a seguito della lettera, la Commissione starebbe valutando la sospensione parziale dell’accesso di Israele ai fondi Horizon per la ricerca scientifica.

Cipro, un incendio devastante ha distrutto l’1% del territorio

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Nel sud di Cipro, a Limassol, è scoppiato un vastissimo incendio che ha bruciato l’1,3% del territorio. Le fiamme hanno distrutto diverse abitazioni a Souni e Omodos e causato lo sfollamento di migliaia di persone, trasferite in alloggi temporanei. A causa dei roghi si contano due morti, mentre le operazioni di soccorso continuano a pieno ritmo. Il Centro di Eccellenza Eratostene, centro di osservazione terrestre, ha rilasciato un comunicato stampa in cui dichiara che in data 23 luglio l’area colpita risultava pari a 120,7 chilometri quadrati. La stima si basa su dati satellitari ad alta risoluzione acquisiti il 26 luglio.

Secondo l’Agenzia Spaziale Europea, dell’area colpita, circa il 51% è costituito da praterie, il 31% da arbusteti, il 15,5% da aree boschive, mentre l’1,1% corrisponde ad aree residenziali. Il bilancio delle perdite non si limita alla natura: le infrastrutture hanno subito gravi danni, in particolare nel distretto di Limassol, dove le linee elettriche sono state devastate. L’Autorità per l’Elettricità di Cipro (EAC) ha messo in campo un’imponente operazione di ripristino, con 150 operatori che stanno lavorando senza sosta per riparare le reti elettriche danneggiate. «L’EAC ha intrapreso un enorme progetto per riparare i danni nelle aree colpite del distretto di Limassol», ha dichiarato la portavoce Christina Papadopoulou. Gli interventi sono già a buon punto: 240 tralicci e 10 trasformatori sono stati sostituiti, e nove chilometri di cavi aerei sono stati installati per ripristinare l’alimentazione elettrica. Tuttavia, la situazione rimane complessa, dal momento che le aree più danneggiate richiedono l’uso di escavatori speciali per aprire le strade e consentire il passaggio delle attrezzature.

Mentre il lavoro di recupero continua, le comunità locali sono impegnate in un’altra battaglia: quella della gestione dei beni di prima necessità. Centinaia di tonnellate di cibo, vestiario e materiali di soccorso sono stati raccolti in diversi centri, anche se la popolazione ha lamentato la mancanza di un coordinamento efficace da parte della Protezione civile. Nonostante la grande mobilitazione della comunità, la confusione regna ancora sovrana, con alcune zone che non sono riuscite a ricevere aiuti tempestivi. La mancanza di un piano ben strutturato ha portato a una situazione in cui le risorse sono abbondanti, ma mal distribuite, creando un ulteriore ostacolo per chi ha subito la perdita di case e beni. In un contesto caotico in cui abbondano le difficoltà, la solidarietà tra i ciprioti ha brillato nei giorni successivi alla tragedia. Gruppi di volontari, giovani e cittadini comuni si sono attivati per ripulire le strade e aiutare le comunità colpite.

Il governo cipriota ha annunciato misure concrete per sostenere le famiglie colpite. Secondo il presidente Christodoulides, è stato avviato un programma di assistenza economica, che prevede il pagamento di 10.000 euro alle famiglie la cui casa è stata completamente distrutta, con un incremento di 2.000 euro per ogni figlio a carico. Stando agli annunci, le famiglie le cui abitazioni sono state parzialmente danneggiate riceveranno 5.000 euro, con un ulteriore supporto per soddisfare le necessità quotidiane, inclusi vestiti e attrezzature. La distribuzione di questi fondi avverrà non appena il Consiglio dei Ministri approverà le misure proposte.

Nel frattempo, proseguono le indagini in merito alle cause dell’incendio boschivo che ha devastato i villaggi di Limassol. Alla polizia sono state infatti inoltrate informazioni su presunti incendi dolosi. Ad ora non sarebbero stati effettuati arresti in relazione agli incendi, ma alcune persone sarebbero state fermata poiché sospettate di aver saccheggiato proprietà che erano state evacuate a causa dei roghi. Le forze dell’ordine hanno invitato gli abitanti a «farsi avanti» se in possesso di indicazioni su persone che tentano deliberatamente di appiccare incendi.

Gaza: durante la “pausa umanitaria” Israele ha già ucciso più di 150 palestinesi

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Nonostante l’annuncio di pause umanitarie giornaliere e l’istituzione di cosiddetti “corridoi umanitari”, Israele continua a prendere di mira la popolazione gazawi. Le presunte pause riguarderebbero tre aree della Striscia di Gaza e durerebbero 10 ore al giorno. Tuttavia, solo nella giornata di ieri, lunedì 28 luglio, le forze dello Stato ebraico hanno ucciso almeno 92 palestinesi; se aggiunti agli oltre 60 di domenica, giorno in cui è iniziata la pausa umanitaria, il numero delle persone uccise da Israele risulta superiore a 150. Nel frattempo, la popolazione della Striscia continua a morire di fame: secondo l’ultimo aggiornamento, sono 133 le persone morte di fame dal 7 ottobre 2023, di cui 88 bambini, con i casi di decessi per stenti che aumentano di giorno in giorno. Secondo l’ONU, un abitante di Gaza su tre non mangia da giorni, e quasi 500.000 persone soffrono di carestia.

L’iniziativa di instaurare una pausa umanitaria nella Striscia di Gaza è stata annunciata dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF) all’alba di domenica 27 maggio. Quello che le IDF definiscono «cessate il fuoco tattico locale» delle attività militari, a favore delle esigenze umanitarie, sarebbe in teoria attivo dalle 10:00 alle 20:00 di ogni giorno fino a data da destinarsi; esso riguarderebbe «le aree in cui le IDF non operano» (e in cui dunque, secondo la loro stessa versione, non dovrebbero condurre attacchi in ogni caso), individuate nel campo di Al Mawasi, a ovest di Khan Younis, a Deir al Balah e a Gaza City. Parallelamente, si legge nel comunicato delle IDF, «sono stati definiti percorsi sicuri permanenti, a partire dalle 6:00 alle 23:00, che consentiranno la circolazione in sicurezza dei convogli delle Nazioni Unite e delle organizzazioni umanitarie, per portare e distribuire cibo e medicine alla popolazione in tutta la Striscia di Gaza».

Dopo l’annuncio di domenica, le IDF hanno portato avanti le proprie azioni nella Striscia di Gaza. Lo stesso giorno dell’annuncio, Israele ha ucciso almeno 63 persone, attaccando, secondo quanto riportato dalla giornalista Hind Khoudary all’emittente qatariota Al Jazeera, anche quelle stesse aree in cui in teoria sarebbe dovuta essere attiva la pausa. Alle uccisioni di domenica, si aggiungono le 92 di ieri, che portano il totale delle persone uccise da Israele, malgrado l’annuncio delle tregue locali, a 155. Delle persone uccise lunedì, almeno 41 erano in cerca di aiuti umanitari. Dopo l’annuncio della creazione di corridoi, sono iniziate a circolare numerosi video e immagini di persone ammassate attorno ai camion di aiuti umanitari per procurarsi scorte di cibo; in totale, Israele ha fatto entrare 87 camion.

Intanto, la crisi alimentare a Gaza si aggrava ogni giorno di più, e ormai la fame uccide quanto le bombe israeliane. Secondo l’ultimo bollettino dell’ONU, l’intera popolazione di Gaza è entrata almeno nel terzo stadio (su 5) della scala IPC (Classificazione Integrata delle Fasi di Sicurezza Alimentare), che misura la gravità delle crisi alimentari. Questo significa che l’intera popolazione palestinese di Gaza presenta significativi deficit nei consumi alimentari, con livelli di malnutrizione acuta superiori alla norma; il tasso di mortalità per stenti è compreso tra lo 0,5% e l’1%. Circa la metà della popolazione è invece entrata nel quarto livello della scala IPC, che presenta un tasso di mortalità maggiore dell’1% e inferiore al 2%. Un quarto dei palestinesi ha già raggiunto il quinto livello della scala IPC, quello riservato alle “catastrofi umanitarie”, in cui il tasso di mortalità è superiore al 2%.

Dall’escalation del 7 ottobre, Israele ha distrutto, danneggiato o reso inutilizzabile il 92% delle case (l’ultimo aggiornamento è di questo mese, luglio 2025), l’83% delle terre coltivabili e il 71% delle serre (i dati più recenti sono di aprile 2025), l’88,8% delle scuole (dato aggiornato al 4 aprile 2025), l’89% delle strutture idriche (febbraio 2025) e, in generale, il 70% di tutte le strutture della Striscia (4 aprile 2025); meno della metà degli ospedali risultano funzionanti (20 luglio 2025), e l’87,8% del territorio della Striscia è sotto ordine di evacuazione o interdetto ai civili. In totale, l’esercito israeliano ha inoltre ucciso direttamente almeno 59.921 persone, anche se il numero totale dei morti potrebbe superare le centinaia di migliaia, come sostenuto da un articolo della rivista scientifica The Lancet e da una lettera di medici volontari nella Striscia.

Colombia, condannato l’ex presidente Uribe

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Un tribunale colombiano ha condannato l’ex presidente Álvaro Uribe per avere spinto delle persone a testimoniare il falso, rendendolo il primo ex presidente del Paese ad essere dichiarato colpevole in un processo. La sentenza, contro la quale Uribe presenterà ricorso, riguarda un caso del 2012, e arriva 7 anni dopo l’apertura delle indagini. Secondo l’accusa, Uribe avrebbe spinto alcuni membri appartenenti a gruppi paramilitari a testimoniare contro il senatore dell’opposizione Iván Cepeda, e di essere coinvolto in attività illecite con questi stessi gruppi. Ogni accusa prevede una pena detentiva compresa tra i sei e i dodici anni; il tribunale dovrebbe esprimersi sulla sua libertà il prossimo venerdì.

Sparatoria in un grattacielo a Manhattan: 5 morti

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Ieri un uomo armato di fucile d’assalto è entrato all’interno del grattacielo 345 di Park Avenue, Manhattan, New York, e ha ucciso quattro persone per poi spararsi al petto.  L’aggressione è avvenuta attorno alle 18:30 locali (le 00:30 italiane), presso l’edificio sede della lega di football americano e di importanti uffici finanziari. Secondo le prime ricostruzioni, l’uomo avrebbe iniziato a sparare nell’atrio dell’edificio, uccidendo un poliziotto; si sarebbe poi spostato negli uffici al piano superiore continuando a sparare e uccidendo tre uomini e una donna; avrebbe infine preso l’ascensore per il 33° piano, dove è stato trovato morto. L’uomo è stato identificato come Shane Tamura, 27enne residente a Las Vegas. Ignoto il movente dell’attacco.

L’Università di Pisa blocca i rapporti con due atenei israeliani

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L'Università di Pisa congelerà i rapporti con due atenei israeliani, la Reichman University e la Hebrew University. La decisione è stata ratificata dal Consiglio d'Amministrazione dell'Università, che ha deciso di seguire le raccomandazioni rilasciate dal Senato accademico lo scorso 11 luglio. Essa segue l'adozione del nuovo statuto dell'Ateneo, con cui l'Università si impegna a non collaborare nello sviluppo di armi. «Un risultato importante per il movimento», hanno commentato gli studenti pisani, frutto dei numerosi scioperi e delle manifestazioni portate avanti negli ultimi mesi. Il congela...

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Carrefour, al centro del boicottaggio per la Palestina, abbandona l’Italia

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Carrefour cede la sua rete italiana di 1.188 punti vendita a NewPrinces Group, in un’operazione da un miliardo di euro. La transazione, che vedrà la rete tornare al marchio storico GS entro tre anni, segna una nuova fase per l’azienda italiana, che diventa il secondo attore del settore food nel Paese. La decisione arriva dopo anni di vendite in calo per il gruppo francese in Italia e dopo che esso è diventato un obiettivo di boicottaggio per il suo presunto sostegno a Israele nel conflitto israelo-palestinese. Carrefour è infatti stato definito senza mezzi termini dalla campagna BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni) come un «facilitatore del genocidio» in atto a Gaza e oggetto di numerose operazioni di boicottaggio, che hanno avuto un impatto sui suoi conti in numerosi Paesi.

NewPrinces Group, azienda italiana fondata da Angelo Mastrolia, ha acquisito la rete Carrefour Italia, composta da 642 punti vendita diretti e 385 in franchising. L’operazione comprende l’intero perimetro di Carrefour Italia, incluse le sussidiarie Carrefour Property, GS Spa e Carrefour Finance. Il gruppo, che precedentemente operava nel settore alimentare, prevede un forte aumento di fatturato, passando da 750 milioni a 6,9 miliardi entro fine anno. Tuttavia, l’acquisizione è accompagnata da preoccupazioni sindacali per l’occupazione, con 18mila dipendenti coinvolti. Nonostante il calo dei ricavi e dell’utile operativo di Carrefour in Italia, NewPrinces punta a integrare la propria piattaforma logistica e ad espandere i canali di vendita online e nel settore horeca. Il governo italiano ha accolto positivamente l’operazione, considerando un rafforzamento del made in Italy, e ha programmato incontri con le parti coinvolte per monitorare l’impatto industriale e occupazionale. Carrefour ha deciso di uscire dal mercato italiano a causa delle perdite accumulate negli ultimi anni, con l’ultimo esercizio in rosso per 150 milioni di euro.

Quel che è certo è che, a livello mondiale, nell’ultimo periodo Carrefour ha patito conseguenze economiche sfavorevoli anche e soprattutto in seguito alla campagna scatenata contro il marchio dal movimento BDS, che ha conseguito successi significativi. Infatti, tali boicottaggi hanno fatto registrare all’azienda un calo del 47% nei profitti nei primi sei mesi del 2024 e sono sfociati nella chiusura di punti vendita in Oman e in Giordania. Al colosso francese della grande distribuzione è stato imputato di sostenere l’occupazione israeliana, in particolare per la sua partnership con Electra Consumer Products, un’impresa israeliana che gestisce anche filiali in colonie illegali in Cisgiordania. Nel 2022, Carrefour ha aperto punti vendita in Israele, con filiali che includono colonie come Ariel e Ma’ale Adumim. Questi insediamenti sono al centro di un sistema di apartheid e repressione che impedisce la continuità territoriale dei palestinesi, sottraendo loro risorse naturali e contribuendo alla segregazione. La critica si è intensificata dopo che Carrefour ha anche lanciato una partnership con startup israeliane, attive nei settori della sicurezza informatica e dell’intelligenza artificiale, i cui sistemi sono stati utilizzati anche nei massacri di Gaza. L’azienda ha fornito razioni alimentari gratuite ai soldati delle Forze di difesa israeliane impegnati a mettere a ferro e fuoco la Striscia, aumentando ulteriormente il suo coinvolgimento nel conflitto. Questo ha scatenato manifestazioni contro Carrefour in numerose città del mondo, tra cui Milano, Nairobi e Lione, con atti di boicottaggio come il danneggiamento di vetrine e la distribuzione di volantini informativi.