sabato 23 Novembre 2024
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Latina, morto bracciante mutilato e abbandonato nei campi

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Non è sopravvissuto Satnam Singh, il bracciante di 31 anni di origini indiane gravemente mutilato dopo un incidente con un macchinario nell’azienda agricola dove lavorava, vicino a Latina. Secondo le ricostruzioni, invece di portarlo in ospedale, il datore di lavoro lo avrebbe lasciato davanti a casa insieme a una cassetta di legno contenente il braccio tranciato. L’uomo è ora indagato per omissione di soccorso e omicidio colposo.

In Brasile è stata svelata la più grande truffa dei crediti di carbonio

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In Brasile, la polizia ha lanciato una vasta operazione (denominata Operazione Greenwashing), la più grande di questo genere mai realizzata nel Paese, per smantellare «un’organizzazione criminale» che per oltre un decennio avrebbe venduto crediti di carbonio provenienti da aree invase illegalmente per un valore complessivo di 34 milioni di dollari (circa 180 milioni di reais). Le operazioni sono l’esito di un’inchiesta durata oltre un anno che mostra i legami tra i progetti REDD+ e una truffa per il riciclaggio di legname ottenuto illegalmente. Al centro delle indagini vi sono il progetto Fortaleza Ituxi, Unitor ed Evergreen, tutti afferenti al Gruppo Ituxi, uno dei più grandi progetti di crediti di carbonio dell’Amazzonia brasiliana. Il gruppo è presieduto da Ricardo Stoppe, le cui attività sospette erano già finite al centro di un’inchiesta giornalistica. I crediti venduti dal gruppo sono stati acquistati, oltre che da varie aziende brasiliane, anche da alcune internazionali quali Toshiba, Spotify e Boeing.

Stoppe possiede cinque progetti REDD+ nell’Amazzonia brasiliana, per un totale di 400 mila ettari di terreno – più di tre volte l’estensione della città di Roma. REDD+ è l’abbreviazione di Riduzione delle Emissioni da Deforestazione e Degrado forestale nei Paesi in via di sviluppo. L’idea alla base è che la “monetizzazione” di foreste minacciate attraverso l’emissione di crediti di carbonio contribuisca a scongiurare un ulteriore aumento della temperatura globale. A sua volta, la vendita di questi crediti dovrebbe generare un flusso di reddito da investire nuovamente nella conservazione delle foreste, che, secondo i sostenitori, è fondamentale per proteggere non solo il carbonio che la biomassa contiene, ma anche altri servizi ecosistemici, la biodiversità e le risorse vitali. Questi progetti rientrano nel più ampio contesto del mercato del carbonio, il sistema ideato per compensare le emissioni industriali attraverso lo scambio di quote di carbonio, i cosiddetti crediti. Per farla breve, chi emette più di quanto dovrebbe è costretto ad acquistare questi ultimi da aziende più virtuose, agricoltori o, per l’appunto, da progetti di mitigazione.

I tre progetti indagati dalla polizia si trovano nei comuni di Lábrea e Apuí, nel sud dello Stato di Amazonas. Queste aree, sostengono le autorità, non sarebbero state usate solo per produrre crediti di carbonio falsi, ma anche per emettere false documentazioni per riciclare il legname prelevato dalle aree deforestate illegalmente. Le irregolarità sono venute alla luce dopo un’esame del Center for Climate Crisis Analysis (CCCA), una organizzazione no profit con sede nei Paesi Bassi. A seguito di ulteriori indagini, la polizia brasiliana ha disposto cinque mandati di arresto preventivo (indirizzati anche a Stoppe e ai due figli) e 76 mandati di perquisizione e sequestro, oltre ad eseguire 108 misure cautelari (non detentive), 8 sospensioni da cariche pubbliche e varie altre misure, e il sequestro di 1,6 milioni di reais (circa 295 mila dollari). Dai primi risultati delle indagini è emerso che il quantitativo di legname sfruttato illegalmente ammonta a oltre un milione di metri cubi, per un danno ambientale di circa 606 milioni di reais (112 milioni di dollari). Il capo investigatore dell’operazione, Thiago Marrese, ha poi spiegato a Mongabay che i terreni dai quali veniva prelevato illegalmente il legname appartengono agli indigeni Kaxarari.

In una nota pubblicata a seguito dell’inchiesta giornalistica di Mongabay (e prima dell’inizio delle operazioni di polizia), il Gruppo Ituxi ha dichiarato che «I progetti Fortaleza Ituxi e Unitor hanno sempre dimostrato un forte impegno per la conservazione dell’ambiente, come dimostra la conservazione della copertura forestale nativa. È noto che le nostre aree di conservazione nella foresta amazzonica fungono da santuari di protezione in un contesto di crescente deforestazione illegale nel Paese», aggiungendo che «Il rapporto di Mongabay ci collega erroneamente anche al reato di riciclaggio di legname illegale attraverso i nostri piani di gestione forestale. Tentano di giustificare tali crimini utilizzando la tecnologia di analisi satellitare del Center for Climate Crime Analysis, che non ha la precisione necessaria per valutare le aree gestite».

Non è la prima volta che i progetti REDD+ vengono collegati al furto delle terre indigene: in Kenya, per esempio, i progetti di conservazione legati al mercato dei crediti di carbonio hanno portato allo sfratto illegittimo della popolazione indigena Ogiek, violando anche due storiche sentenze della Corte Africana finalizzate proprio a tutelare i diritti delle comunità indigene. Sempre in Kenya, questi progetti hanno messo a repentaglio la sopravvivenza delle comunità Samburu, Masai, Borana e Rendille. Di fatto, che il sistema dei crediti di carbonio presenti più di una criticità non è cosa nuova. In particolare, un gruppo internazionale di scienziati, che ha esaminato 26 siti in 3 Continenti nei quali sono stati realizzati i cosiddetti progetti di contrasto alla deforestazione REDD+, è emerso che il 94% dei crediti di carbonio derivati da questi progetti non rappresenterebbe una reale mitigazione delle emissioni climalteranti. Nel frattempo, però, le conseguenze sulle comunità locali sono alquanto reali.

[di Valeria Casolaro]

Pane di segale: più salutare di quello tradizionale?

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In Italia ci sono oltre 200 tipi di pane, tutti diversi per sapore e croccantezza, e spesso anche per proprietà nutrizionali. Conoscete già il pane di segale integrale? Proprio quello vero, nella sua versione integrale e senza aggiunta di farine raffinate? Al supermercato si trovano varie versioni di pane di segale e anche di pane alla segale e con segale, che è esattamente quello che potremo definire un “finto” pane di segale, in realtà molto più vicino come ingredienti e come proprietà nutrizionali al comune pane bianco. Qui potete vedere un esempio di finto pane di segale

Quello che però ha delle proprietà eccezionali e molto utili per la nostra salute è solo il pane integrale di segale, in particolar modo da agricoltura biologica. In questo articolo vediamo perchè il pane di segale è speciale per la nostra salute e come imparare a introdurlo (se non siete familiari con questo alimento) ed utilizzarlo nella vostra dieta. Per aiutarvi a familiarizzare con questo pane lascerò alla fine dell’articolo anche alcune ricette sia dolci che salate con le quali sarà possibile utilizzare questo prodotto.

Cosa ha di speciale il pane di segale?

La segale è un cereale di montagna che resiste più del frumento al clima freddo e alle altitudini elevate. Si consuma quasi esclusivamente sotto forma di pane ed è molto nutriente. Il pane di segale è detto anche “pane nero” per la sua colorazione particolarmente scura e ha un gusto leggermente acidulo e aromatico. Il pane di segale è un ottimo alimento, perché molto diverso dal pane fatto con la farina raffinata (farina 00 e farina 0) a cui siamo stati abituati da sempre. Questo pane ha proprietà nutrizionali molto positive:

  • è ricco di fibre innanzitutto (a seconda dei tipi che acquistate si hanno da 7 a 10 g di fibra per 100g, basti pensare che nel pane bianco si arriva al massimo a 2 g di fibra);
  • contiene tutte le sostanze antiossidanti del germe (come la vitamina E per esempio), che nel pane bianco raffinato non abbiamo più e nemmeno nel finto pane integrale che l’industria produce regolarmente, quello fatto con farina raffinata e crusca aggiunta.
  • ha meno carboidrati del pane bianco (35-38 grammi contro i 50-55 grammi del pane bianco)
  • è fatto solitamente con il lievito naturale anziché il lievito di birra o i lieviti chimici. Questo apporta numerosi benefici all’intestino e ne determina una migliore digeribilità. Non crea infiammazione anche con un utilizzo regolare e frequente, al contrario del pane bianco e del pane lievitato col lievito di birra.

Tutte queste caratteristiche determinano una azione molto benefica sul microbiota intestinale e sulla nostra salute, in primis molto banalmente questo pane fa ingrassare molto meno del pane bianco comune. Numerosi studi scientifici infatti hanno dimostrato che il vero pane integrale come il pane di segale apporta benefici importanti sulla salute (per esempio è anti-stitichezza, abbassa i valori troppo elevati della glicemia, abbassa i valori troppo elevati di colesterolo ematico, ecc.).

A differenza del pane comune è granulato

Il pane di segale è fatto con granulato di segale, non semplice farina! Questo è un dettaglio molto importante, su cui vorrei farvi soffermare per un attimo. Avete mai visto una fetta di vero pane di segale? E’ compattata e si possono distinguere a occhio nudo i chicchi di segale spezzettati e uniti assieme. Non si tratta di una macinazione completa fino a farina. Più i chicchi vengono macinati, più fini diventano le particelle, e le particelle fini si digeriscono facilmente e con rapidità. Quando sono polverizzati così finemente a farina, i carboidrati dei cereali (vale per qualsiasi cereale) affluiscono nel sangue in un lampo. Questo vale anche per il pane integrale di frumento fatto con farina macinata fine. L’ideale dunque è il pane fatto con farina grossolana, in grani. La buccia intatta del chicco forma una barriera fisica benefica: avvolge i carboidrati (amido) facendo si che per i nostri enzimi digestivi no sia troppo facile raggiungere i carboidrati per scomporli nelle molecole singole, ossia nelle molecole di glucosio. Da questo punto di vista ricordate che il pane di segale (quello vero mostrato qui nella foto in basso) e il pane multicereali fatto con il granulato dei chicchi sono le versioni più sane e meno ingrassanti possibili di pane che avete oggi a disposizione in commercio. Anche i fiocchi di avena sono un prodotto che può vantare queste caratteristiche: sono non macinati, ma solo schiacciati, mantengono quindi tutta la parte fibrosa e sono meno ingrassanti dei comuni fiocchi di mais o cornflakes.

Acquistatelo sempre biologico

Il pane integrale di segale ormai si trova in quasi tutti i supermercati, sia biologico che da agricoltura convenzionale. È consigliabile consumare la versione Bio in quanto nelle coltivazioni biologiche non si usano i pesticidi e i pesticidi rimangono in gran parte annidati nelle parti esterne del chicco (crusca e fibre) e nel germe del chicco. Alcune marche lo producono completamente senza lievito, sebbene la quantità di lievito per produrre questi pani sia molto modesta, in generale, rispetto ai panini e al pane fatto con farina raffinata.

Alcune ricette e idee su come utilizzare il pane di segale

Per una colazione energetica

Spalma sulle fette del burro biologico e aggiungi il miele, oppure la composta di frutta biologica 100% frutta.

Per un gustoso antipasto
Distribuisci sulla fetta di pane della Crescenza Bio o del formaggio Emmenthaler svizzero, aggiungi le fette di salmone selvaggio affumicato e completa con un po’ di aneto fresco o di erba cipollina.

Per un nutriente spuntino
Puoi spalmare sulle fette un po’ di hummus di ceci, aggiungere un filo d’olio extravergine, un pizzico di paprika in polvere e completare con dei semi di girasole.

Per dare croccantezza a una zuppa
Taglia a cubetti il pane di segale, tostali in una padella con un filo di olio extravergine, oppure passali in forno. I crostini saranno il tocco di croccantezza perfetto per qualsiasi crema, vellutata o zuppa.

Per preparare una bruschetta

  • Bruschetta di pesce: salmone affumicato, fettine di fichi ben maturi ed erba cipollina. In alternativa potete usare i gamberetti o le code di gambero pulite e sbollentate per pochissimi minuti, da arricchire con un pizzico di paprika in polvere e, se lo desiderate, con un pesto leggero di zucchine, basilico e mandorle. Se invece siete dei puristi della bruschetta e non potete accettare l’assenza del pomodoro, fate saltare in padella una manciata di moscardini puliti e un cucchiaio di passata o dadini di pomodoro. Condite generosamente il pane con la salsa, i moscardini e qualche fogliolina di timo.
  • Per una bruschetta dai sapori del Sud provate invece a rosolare in padella un po’ di scarola spezzettata, capperi, olive nere e qualche acciuga, con una manciata di pinoli e di uvetta.
  • Bruschetta col Gazpacho: il Gazpacho è un tipico piatto spagnolo a base di verdure crude che frullate insieme al pane diventano una crema solitamente servita come antipasto, o accompagnata con crostini come zuppa. Il gazpacho prevede l’utilizzo di pomodori, cetrioli, cipolla, peperoni, e si differenzia dal salmorejo che è meno acquoso per via del fatto che è preparato solo con pomodori e aglio. Il gazpacho può essere aromatizzato con diverse erbette a scelta, e a seconda dei gusti può essere facilmente modificato, eliminando o aggiungendo qualche ingrediente. L’elemento che non può mancare è un buon olio d’oliva.

[di Gianpaolo Usai]

A Torino si è aperto il primo processo per ecoreati in Italia

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Martedì 18 giugno ha avuto luogo, a Torino, la prima udienza del cosiddetto “processo Smog”, il primo processo per ecoreati mai realizzato in Italia. Tra gli imputati vi sono gli ex sindaci del capoluogo piemontese Chiara Appendino e Piero Fassino, oltre all’ex presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino. Secondo le accuse, tra il 2015 e il 2019, questi non avrebbero messo in campo misure adeguate per garantire la tutela della qualità dell’aria della città di Torino, che risulta ad oggi essere tra i Comuni più a rischio per questo tipo di inquinamento. Per questo motivo, agli amministratori pubblici viene contestato il reato di inquinamento ambientale colposo. Secondo i consulenti della procura, le concentrazioni sopra i limiti di legge degli inquinanti registrati nell’area torinese avrebbero causato oltre mille morti premature e diversi ricoveri ospedalieri. Un secondo filone dell’inchiesta, riferito a un periodo successivo, vede tra gli indagati anche l’attuale presidente della Regione, Alberto Cirio.

Il processo ha preso il via dopo le indagini apertesi a seguito di un esposto presentato nel 2017 da Roberto Mezzalama, presidente del Comitato Torino Respira, ammesso come parte civile al processo (insieme a Greenpeace Italia, Giustizia Climatica Ora, ISDE-Associazione Italiana Medici per l’Ambiente e sette privati cittadini). «La cosa che mi ha sorpreso di più quando ho cominciato a cercare dati per l’esposto – ha dichiarato Mezzalama – è stata che sui siti del Comune e della Regione fossero pubblicate relazioni degli epidemiologi dell’ARPA che parlavano chiaramente di molte centinaia di morti a causa dello smog ogni anno. Quindi era evidente come gli amministratori fossero perfettamente a conoscenza della situazione, ma non stessero affatto prendendo le decisioni necessarie a risolvere il problema, anzi». L’iniziativa legale è stata possibile grazie all’introduzione, nel 2015, di nuove disposizioni legislative in materia di reati ambientali (legge n.68 del 2015), che ha introdotto, tra gli altri, il delitto di inquinamento ambientale (art. 452 bis c.p.).

Secondo quanto riferito da un recente report di Legambiente, ad oggi Torino risulta ancora essere una delle città più a rischio smog d’Italia. I livelli delle polveri sottili (PM10, PM2.5) e del biossido di azoto (NO2) risultano infatti qui essere «stabili ormai da diversi anni» e «distanti dai limiti normativi che verranno approvati a breve dall’Ue, previsti per il 2030 e soprattutto dai valori suggeriti dall’Organizzazione mondiale della sanità». La prossima udienza del processo, il primo di questo genere in Italia, è fissata per il prossimo 4 luglio.

[di Valeria Casolaro]

 

Centomila israeliani hanno protestato sotto casa di Netanyahu contro il governo

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Centomila persone si sono radunate sotto la casa del presidente israeliano Benjamin Netanyahu, a Gerusalemme, per protestare contro le politiche del governo. I manifestanti chiedono nuove elezioni, un cessate il fuoco e un accordo per il rilascio degli ostaggi. Dopo le dimissioni del generale Benny Gantz dal gabinetto di guerra e in seguito ad altri malumori che hanno contrapposto l’esercito al governo, diversi gruppi di protesta antigovernativi hanno annunciato l’intenzione di indire «una settimana di resistenza» con manifestazioni in tutto il Paese nei prossimi giorni. Lunedì sera, una folla di decine di migliaia di persone si è radunata davanti alla Knesset, il Parlamento dello Stato ebraico, programmando di marciare verso la casa del primo ministro israeliano, e si sono verificati scontri con la polizia, che è stata subito mobilitata in gran numero per disperdere le manifestazioni e impedire ai manifestanti di bloccare le strade principali. Tre persone sono state ferite e almeno otto sono state arrestate durante i disordini. A fronte di ciò, va tuttavia sottolineato come risulti del tutto assente dalle rivendicazioni una critica del massacro contro i civili a Gaza, che ad oggi ha causato oltre 37 mila morti.

La protesta costituisce solamente l’ultimo tassello di una lunga serie di iniziative contro il governo, che proseguono da prima dell’aggressione israeliana a Gaza di ottobre. Cresce, dunque, l’ostilità verso l’amministrazione ultraortodossa e nazionalista di Netanyahu, che, oltre a dover affrontare le critiche della popolazione civile, è attraversato anche da divisioni interne e da divergenze con l’apparato militare. Proprio per questo, Netanyahu si è trovato costretto a sciogliere il gabinetto di guerra, istituito a ottobre per coordinare la campagna militare nella Striscia, dopo che la scorsa settimana due dei principali membri, Gadi Eisenkot e Benny Gantz, appartenenti al partito di opposizione Unità Nazionale, hanno dato le dimissioni. I due erano, infatti, in disaccordo con la gestione della guerra e chiedevano al primo ministro un piano preciso per il dopoguerra. Ciò ha reso Netanyahu più dipendente dai suoi alleati ultranazionalisti, che si oppongono al cessate il fuoco, allontanando così ulteriormente lo spazio per un accordo con Hamas. Sulla scia di queste divisioni interne si collocano anche le proteste della popolazione, che da mesi sta protestando per il rilascio degli ostaggi, nella convinzione che il governo non stia facendo abbastanza per liberarli e per giungere ad un accordo per il cessate il fuoco, segno che molti israeliani non condividono la scelta di proseguire la guerra a oltranza.

Altre divisioni importanti riguardano la questione dell’arruolamento degli ultraortodossi, anch’essa oggetto di contestazione da parte della popolazione. È in corso di approvazione, infatti, un disegno di legge che permetterebbe di arruolare anche gli studenti religiosi e su cui il governo si è diviso: Gantz si è opposto alla misura che, secondo lui, è insufficiente per le esigenze dell’esercito, e insieme a lui ha espresso la sua contrarietà anche il ministro della Difesa Yoav Gallant, rompendo così l’unità del governo. Il tema ha scatenato la rabbia della popolazione, che si è dimostrata divisa sul tema. Alcuni attivisti, inoltre, hanno manifestato contro il disegno di legge presentato dall’Unione Nazionale degli Studenti Israeliani, che stabilisce che le istituzioni accademiche siano tenute a licenziare immediatamente e senza compenso i docenti che incitano contro Israele, sostengono il terrorismo o «parlano apertamente in modi percepiti come neganti l’esistenza di Israele come Stato ebraico e democratico».

Le proteste sono state subito cavalcate dall’opposizione: il presidente del partito laburista Yair Golan è intervenuto incoraggiando i manifestanti a non disperare per il fatto che l’attuale governo è ancora al potere. «Chi sono questi che stanno cercando di seminare disperazione e che è impossibile rovesciare? Ci riusciremo e non importa come rovesceremo questo governo, non dispereremo nemmeno per un momento, non ci arrenderemo mai», ha affermato. Un manifestante, invece, ha detto che «Il processo di guarigione per il paese di Israele inizia qui. Dopo la settimana scorsa, quando Benny Gantz ed Eisenkot hanno lasciato la coalizione, stiamo continuando questo processo e speriamo che questo governo si dimetta presto», ha detto riassumendo gli obiettivi della protesta.

Alla luce dell’ultima di una lunga serie di rimostranze che si susseguono ormai da mesi, il governo dello Stato ebraico sembrerebbe sempre più delegittimato e debole. Non sembra però – almeno per ora – voler andare incontro alle richieste dei cittadini per quanto riguarda un accordo sul cessate il fuoco, che permetterebbe con ogni probabilità anche la liberazione degli ostaggi. Elemento centrale che ha scatenato il malcontento nella popolazione israeliana – che tuttavia nulla ha avuto da dire contro lo sterminio di civili nella Striscia di Gaza.

[di Giorgia Audiello]

Ciad, esplosione vicino a un deposito militare; morti e feriti

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Martedì sera a N’Djamena, capitale del Ciad, c’è stata una fragorosa esplosione che ha coinvolto un deposito di armi ed equipaggiamento militari, e coperto il cielo di una folta coltre di fumo. La notizia è trapelata oggi stesso, quando testimoni e autorità locali hanno dichiarato che a causa dell’esplosione ci sarebbero anche stati morti e feriti. Risultano ancora particolarmente oscuri l’entità dei danni e il numero delle vittime, e resta ignota la causa dell’esplosione.

Nel mondo, solo nel 2023, si sono spesi 91 miliardi di dollari per le armi nucleari

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Cina, Corea del Nord, Francia, India, Israele, Pakistan, Regno Unito, Russia, e naturalmente Stati Uniti: questa la lista delle nove potenze nucleari del mondo, che solo nel 2023 hanno speso oltre 91 miliardi di dollari proprio negli investimenti sull’armamento atomico. I dati sono forniti dall’annuale rapporto dell’International Campaing to Abolish Nuclear Weapons, solitamente abbreviato come ICAN, organizzazione premio Nobel per la pace 2017 che si spende per promuovere l’adesione e l’implementazione del Trattato per la proibizione delle armi nucleari. Nel rapporto si legge che ogni singolo Paese ha aumentato le spese militari sul proprio arsenale atomico, e che, prese tutte insieme, rispetto al 2022, le 9 potenze militari hanno incrementato gli investimenti riguardanti l’armamento nucleare di 10,8 miliardi di dollari, equivalenti a un innalzamento percentile pari a 13,4 punti. Questo quadro di incremento negli investimenti sulle armi di distruzione di massa è restitutivo del generale clima di tensione che da mesi investe tutto il globo, e va di pari passo con un analogo aumento delle spese nel più generale ambito bellico-militare.

Secondo il rapporto dell’ICAN, nel 2023 sono stati spesi in totale 91.393.404.739 di dollari in investimenti bellico-nucleari, l’equivalente di 2.898 dollari al secondo. Le spese sono cresciute in tutti e 9 i Paesi nucleari, e in particolar modo negli Stati Uniti, che hanno visto un incremento nelle spese pari al 18%, e che da soli hanno investito 51,5 miliardi di dollari, più di tutti gli altri 8 Paesi presi insieme. Al secondo posto per la spesa si trova la Cina con 11,9 miliardi, che ha sorpassato la Russia, ora in terza posizione con 8,3 miliardi. Sul fronte dei privati, il rapporto ICAN rileva invece che 20 compagnie che lavorano nello sviluppo e nel mantenimento degli arsenali nucleari hanno guadagnato 31 miliardi di dollari, 7,9 dei quali generati da nuovi contratti. Questi rientrano in un più generale e ampio quadro di spesa talvolta dalla prospettiva decennale, che preso nella sua totalità vale almeno 335 miliardi di dollari. Le compagnie investite nell’ambito della tecnologia bellico-nucleare, inoltre, “esercitano influenza sui governi, think thank, e istituti finanziari”, tanto che molti dei vecchi e attuali dipendenti di queste stesse compagnie, siedono in diversi tavoli di lavoro, tra “think thank, quadri direttivi, e consigli di amministrazione”. Secondo l’ICAN, queste grandi imprese hanno speso 118 milioni di dollari per finanziare la “lobby” del nucleare dell’asse USA-Francia (11 milioni in più rispetto al 2022), e la maggior parte di esse ha intrattenuto rapporti diretti con rappresentanti del Regno Unito, arrivando a incontrarsi addirittura con il Primo Ministro Rishi Sunak. Per quanto concerne i privati risulta infine importante anche il lato dell’investimento “teorico”, a cui le compagnie hanno riservato 6 milioni di dollari.

Sebbene non si tratti di una potenza nucleare, anche l’Italia è riuscita a ritagliarsi il proprio spazio nel rapporto ICAN. A ottenere il posto d’onore è la azienda a partecipazione maggioritaria statale Leonardo, che secondo il documento avrebbe guadagnato in totale 281 milioni di dollari. 2 i think thank finanziati, 13 gli incontri con rappresentanti del Regno Unito, 317 i lobbisti assunti, per un totale di investimenti pari a poco meno di 1,4 milioni sull’asse USA-Francia. Proprio quest’ultimo Paese risulta quello con cui Leonardo intesse le sue più proficue relazioni, anche in quanto parte del colosso europeo MBDA, principale consorzio continentale nella costruzione di missili e tecnologie per la difesa di cui la stessa Leonardo è una delle tre aziende proprietarie.

L’aumento negli investimenti sulle armi nucleari si colloca in un più generale contesto di incremento delle spese militari globali. Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (SIPRI), nel 2023 le spese militari globali hanno raggiunto il record di 2.443 miliardi in un anno, con un aumento del 6,8% in termini reali rispetto al 2022. Dalle spese previste per il 2023 a quelle per il 2024, la stessa Italia ha aumentato le proprie spese per il settore della difesa di oltre il 5%, arrivando a un record annuale pari a oltre 29 miliardi di euro. Secondo l’ultimo rapporto del SIPRI sull’export delle armi, inoltre, negli ultimi cinque anni l’Italia avrebbe aumentato il proprio volume di esportazione di materiali bellici dell’86%, superando il Regno Unito.

[di Dario Lucisano]

Autonomia Differenziata, via libera dalla Camera: è legge

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L’autonomia differenziata è legge. Dopo una lunga seduta parlamentare durata tutta la notte, anche la Camera dei Deputati ha approvato la riforma, già passata in seconda lettura al Senato. In sede di votazione 172 sì, 99 no e un astenuto: hanno insomma votato contro in blocco le opposizioni, che si sono scagliate contro le modalità di svolgimento della seduta – richiesta dalla maggioranza – per il mancato via libera dei capigruppo. La Segretaria del PD Elly Schlein ha definito la maratona parlamentare di questa notte come il «secondo atto di un vergognoso scambio sulla pelle delle italiane e degli italiani», mentre il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha qualificato la “seduta fiume” notturna come «uno sfregio alle istituzioni» che si è «consumato col favore delle tenebre». Entusiasta invece il Ministro per gli Affari Regionali Roberto Calderoli, firmatario della proposta. La legge sull’autonomia differenziata  introduce maggiori concessioni di autonomia alle Regioni a statuto ordinario che ne fanno richiesta, e con il cosiddetto “ddl premierato” è una delle due più importanti riforme promosse dall’esecutivo Meloni.

Nel corso della seduta di questa notte sono stati approvati i vari articoli della legge sull’autonomia differenziata. Nello specifico, i deputati hanno votato e approvato gli articoli 2 (sull’intesa Stato-Regioni, 170 favorevoli, 105 contrari), 3 (sui livelli essenziali delle prestazioni, 166-115), 4 (sul trasferimento delle funzioni, 166-114), 5 (sulle risorse finanziarie, 170-105), 6 (sulle funzioni amministrative locali, 173-109), 7 (sulla successione di leggi, 170-112), 8 (sul monitoraggio, 174-113), 9, 10, e 11 (le rituali clausole finanziarie, misure di promozione, e disposizioni finali). Respinti invece gli emendamenti avanzati dall’opposizione.

La riforma sull’autonomia introduce un più alto grado di concessioni di gestione e amministrazione a tutte le Regioni che ne fanno richiesta. Nello specifico, a essere oggetto di maggiore amministrazione sono una ventina di materie, tra cui il commercio con l’estero, la tutela e la sicurezza del lavoro, l’istruzione, la ricerca scientifica e tecnologica, la tutela della salute, l’alimentazione, la comunicazione, l’energia, la cultura, e l’ambiente. Ogni materia per cui viene richiesto un più ampio margine di manovra dovrà vedere assicurati quelli che vengono definiti LEP, (livelli essenziali di prestazione), garantiti su scala nazionale.

La legge sull’autonomia è uno dei cavalli di battaglia del Governo Meloni, e assieme al ddl premierato, proprio ieri passato in prima lettura al Senato, risulta il più importante obiettivo di riforma posto dall’esecutivo nel corso di questa legislatura. Contro di essa, tuttavia, sono sollevatesi parecchie critiche, tanto che dal basso sono state raccolte oltre 100.000 firme contro di essa. I punti che le vengono criticati sono molti, e vanno sia da questioni di natura formale relative allo stesso funzionamento del meccanismo che da tematiche più contenutistiche, come la gestione dei LEP, per arrivare a includere anche temi sostanziali e più generali quali il potenziale aumento del divario tra nord e sud.

[di Dario Lucisano]

Maturità, al via oggi gli esami in tutta Italia

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Oltre mezzo milione di studenti italiani sarà impegnato a partire da oggi con gli esami di maturità, le cui prove scritte si svolgeranno il 19 e il 20 giugno. La prima prova, il tema di italiano, ha preso il via alle 8.30 in tutti gli istituti e durerà fino a un massimo di sei ore. Gli studenti potranno scegliere una tra le sette tracce messe a disposizione dal ministero, che afferiscono a sette diversi ambiti. Domani si svolgerà invece la seconda prova, che varierà a seconda degli istituti, dal tema di greco al liceo classico alle prove specifiche di indirizzo per gli Istituti Tecnici e Professionali.

Oltre cento cittadini hanno portato in tribunale il Ponte sullo Stretto di Messina

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Le proteste contro il Ponte sullo Stretto procedono, e si estendono al campo legale. Giovedì 13 giugno, un gruppo di 104 persone tra attivisti, abitanti, e «amanti dello Stretto», ha presentato un ricorso presso il Tribunale di Roma contro la Società Stretto di Messina SPA. La class action, si legge in un comunicato stampa del gruppo, intende muoversi contro il cosiddetto “decreto ponte”, che viene giudicato dagli avvocati «costituzionalmente illegittimo e contrario alla normativa europea». Intenzione dei ricorrenti è quella di portare avanti interessi «collettivi all’ambiente, alla salute e allo sviluppo sostenibile nell’area dello stretto di Messina». Nello specifico, spiega la nota stampa, il ricorso punta a «ottenere la cessazione immediata da parte della società Stretto di Messina, di ogni atto o comportamento pregiudizievole dei diritti e degli interessi collettivi», nonché a «ordinare la cessazione immediata di ogni attività negoziale, della stipula di atti aggiuntivi, unilaterali e contrattuali, onerosi e non» legati in qualsiasi modo alla costruzione dell’opera.

Il ricorso contro la Società Stretto di Messina, nonostante depositato lo scorso giovedì, è stato reso noto solo ieri. I ricorrenti – la cui lista di nomi è disponibile nelle prime pagine del documento – sono persone provenienti da diverse realtà e parte di essi è stata soggetto di espropri da parte delle autorità. Come ci ha spiegato brevemente l’avvocata Aurora Notarianni, una dei quattro legali che rappresentano i ricorrenti, l’azione vuole essere solo «inibitoria», e non intende richiedere pagamento di danni o rimborsi. Nello specifico, il documento, lungo 42 pagine, rileva le criticità del decreto ponte nei riguardi della legge comunitaria «sia in materia di concorrenza, che di tutela dell’ambiente». In aggiunta a ciò, gli avvocati portano avanti anche questioni di legittimità costituzionale, tanto che, ci comunica la stessa avvocata, se il ricorso non dovesse venire accettato, l’intenzione è quella di portarlo davanti alla stessa Corte Costituzionale.

Nello specifico, il ricorso contesta la Legge n. 197/2022 (che sarebbe la legge di bilancio per il 2023), e il Decreto Legge n. 35/2023 convertito con modificazioni nella Legge 58/2023, ossia quello che regolamenta “Disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria”. Secondo gli avvocati, il cosiddetto decreto ponte violerebbe gli articoli 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, i due pilastri legali che costituiscono quella che viene gergalmente definita “costituzione dell’Unione Europea”. I due articoli interessati riguardano la sostenibilità ambientale, e verrebbero violati dal decreto ponte poiché esso minerebbe i principi di salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente. I legali reputano inoltre che “Il decreto legge n. 35/2023 agli artt.1, 2, 3 e 4 contrasta con i principi di leale concorrenza nel mercato, considerato nella totalità della sua dimensione a livello europeo” così come con il TFUE (artt. da 101 a 109). Precisamente, a costituire violazione delle leggi sulla concorrenza sarebbero l’articolo 1 “sull’assetto societario e la governance della società Stretto di Messina”, l’articolo 2 “sulla concessione affidata che riacquista efficacia”, l’articolo 3 “sul riavvio delle attività di programmazione e progettazione dell’opera” e l’articolo 4 sul medesimo riavvio “degli atti aggiuntivi”. Tanto parallelamente quanto conseguentemente alle violazioni delle carte fondamentali europee, vi sarebbero inoltre analoghe violazioni di articoli della Costituzione italiana, e nello specifico degli articoli 2, 3, 9, 11, 32, 41, 42, 77, 81, 97 101, 104, 117, 118 e 120.

La costruzione del Ponte sullo Stretto è stata contestata sin dal suo concepimento. A febbraio è stato approvato il progetto definitivo, mentre ad aprile è iniziato l’iter di esproprio. Già a maggio, tuttavia, il piano di aprire i cantieri nel 2024 è naufragato, elemento che secondo molti confermerebbe le critiche avanzate dai contestatori, prima tra tutte quella che lo descrive come una sostanziale mossa propagandistica e di scarsa utilità per i territori interessati.

[di Dario Lucisano]