sabato 23 Novembre 2024
Home Blog Pagina 164

Il Sud Italia continua a svuotarsi: perso mezzo milione di residenti in 10 anni

0

In dieci anni, tra il 2014 e il 2023, il Sud Italia ha perso circa 550 mila residenti nei confronti del Nord Italia. Nello specifico, si sono contati circa 1,15 milioni di spostamenti in uscita verso le Regioni del Centro-Nord e circa 600 mila sulla rotta inversa. Nel medesimo arco temporale si sono registrati anche 1,8 milioni di espatri e 515 mila rimpatri. Il Nord Italia rimane appetibile anche per i cittadini esteri, che sono aumentati del 5,2 per mille. A rivelare questi dati è un nuovo rapporto dell’Istat, che ha anche attestato come nel biennio 2022-23 siano state particolarmente significative le immigrazioni in Italia dei cittadini stranieri, in totale 697mila. Risulta in aumento il numero degli espatri (+10% rispetto al 2021), fermi comunque a 207mila unità nel medesimo periodo. Cresce, anche se in maniera più lieve, la mobilità interna, con una media annua circa 1,45 milioni di trasferimenti (+2,4%).

Il report dell’Istat ha evidenziato che, nel 2023, i trasferimenti di residenza tra Comuni hanno coinvolto un milione e 444mila cittadini, facendo segnare un leggero calo (-1,8%) rispetto al 2022, anno in cui se ne osservavano un milione e 471mila. Se è vero che quattro trasferimenti su cinque interessano cittadini italiani, si sottolinea che, in termini relativi, la propensione a spostarsi degli stranieri risulta superiore al doppio di quella dei cittadini italiani. Nel corso dell’ultimo decennio, il tasso medio di mobilità interna dei cittadini italiani è stato del 20,7 per mille, rispetto al 49,0 per mille degli stranieri. Uno dei dati più significativi del rapporto è quello che vede un trasferimento di residenza su tre dalle regioni del Mezzogiorno a quelle del centro-nord. Solo nel biennio 2022-23, si sono registrati in totale “253mila trasferimenti di residenza da un Comune meridionale verso uno centro-settentrionale” (la media annua ammonta a 127mila movimenti, segnando un +13,3% sul 2021), mentre i movimenti sulla traiettoria opposta sono stati 124mila. Nello specifico, in questa fase, “tre partenze dal Mezzogiorno su 10 si dirigono in Lombardia, la meta di destinazione preferita tra i residenti di molte regioni meridionali”. La regione da cui si parte si più verso il Centro-Nord è la Campania (28,8% delle cancellazioni dal Mezzogiorno), cui seguono Sicilia (24,1%) e Puglia (18%).

A esercitare maggiore attrazione continua a essere il Nord-Est della Penisola, con un tasso migratorio medio annuo per il periodo 2022-2023 pari al +2,4 per mille. All’interno di questo quadrante primeggia l’Emilia-Romagna, che vede un tasso migratorio interno netto del +3,6 per mille. Il Nord-Ovest fa segnare un tasso migratorio interno inferiore (+1,8 per mille), dove risulta determinante il ruolo giocato dalla Lombardia, che da sola vale il +2 per mille. Più basso, ma positivo, il tasso migratorio del Centro (+0,6 per mille), mentre riportano segno negativo i tassi migratori dell’area Sud e delle Isole (rispettivamente -3,5 e -2,7 per mille). Le performance più negative sono quelle di Basilicata (-5,7 per mille), Calabria (-5,3 per mille), Molise (-4,4 per mille) e Campania (-4 per mille). La provincia con il più alto tasso di migrazione interna è Pavia (5,1 per mille), seguita da Bologna (+4,4 per mille) e Ferrara (+4,3 per mille). Le province meno attrattive sono invece quelle di Caltanissetta (-7,1 per mille), Reggio di Calabria (-6,7 per mille) e Crotone (-6,3 per mille).

[di Stefano Baudino]

Israele: migliaia di persone in piazza, 12 arresti

0

Continuano le proteste contro il governo Netanyahu nelle maggiori città israeliane, dove decine di migliaia di persone si sono riunite – come ogni sabato – per chiedere il rientro degli ostaggi. Ieri in piazza sono scesi anche politici di opposizione, come il dimissionario Benny Gantz e il leader dell’opposizione Yair Lapid. A Tel Aviv, nello specifico, i contestatori hanno raggiunto l’ordine delle decine di migliaia e 12 di loro sarebbero stati arrestati, tra cui un fotografo del quotidiano israeliano Haaretz.

Contro G7: un attivista finisce in ospedale dopo l’intervento della polizia

2

Durante la seconda giornata del grande vertice dei leader occidentali, in Puglia, decine di attivisti del gruppo ambientalista Extinction Rebellion (XR) si sono mobilitati per riportare l’attenzione sulle tematiche ambientali mediante le loro tradizionali pratiche di resistenza passiva, decisamente mal gestite dalle forze dell’ordine: uno dei ragazzi, infatti, intento ad incatenarsi a uno dei tiranti della struttura in ingresso, è svenuto in seguito all’intervento di uno degli agenti che, per fermarlo, ha tirato da dietro la catena, “strangolandolo per diversi secondi“. Un comunicato stampa rilasciato dalla stessa organizzazione spiega che il ragazzo, portato via dall’ambulanza, ora sta bene. I fatti di ieri sono avvenuti a Bari, presso la sede dell’International Media Centre del G7, occupata dagli attivisti per rilanciare la loro battaglia davanti ai microfoni dei giornalisti di tutto il mondo. Intanto parallelamente si svolgeva una contro-conferenza sul tema a cui hanno partecipato diverse realtà associative, per proporre politiche alternative a quelle del G7. 

L’Indipendente ha sentito Davide, uno degli attivisti presenti, per chiedergli maggiori informazioni riguardo alla dinamica dello strangolamento. Davide ci ha spiegato che i fatti sono avvenuti attorno alle 21.30 di ieri, circa cinque ore dopo l’inizio del presidio. Da ormai qualche ora un ragazzo era salito su uno dei piloni dell’ingresso, per venire poi raggiunto da altri tre attivisti che si sono legati alla base del pilone. Sul posto erano presenti due camionette delle forze dell’ordine, con «circa una ventina» di agenti tra poliziotti e carabinieri, di cui «una decina» in tenuta antisommossa. La situazione attorno al tirante ci è stata descritta da Davide come «statica» e all’interno di una protesta pacifica. A un certo punto, circa mezz’ora dopo che gli altri tre ragazzi si sono legati al pilone, un altro attivista ha raggiunto il gruppo, e si è seduto a terra per chiudere meglio il cerchio che distanziava le forze dell’ordine dalla struttura, ha tirato fuori la catena e ha fatto per legarsi a un cavo collegato al pilone; di tutta risposta, uno degli agenti in tenuta antisommossa si è avvicinato e ha tirato la catena per impedire al ragazzo di legarsi, finendo per strangolarlo.

Passata una decina di minuti dall’evento, l’attivista non ha dato cenni di significativo miglioramento, e ha continuato a far fatica a respirare. Sul posto è dunque arrivata un’ambulanza che lo ha portato in pronto soccorso, rilasciandolo qualche ora dopo. Secondo Davide, l’azione repressiva di ieri sarebbe in linea con il contesto attuale, nel quale «ogni forma di dissenso è vista come estremista, contribuendo a formare una narrativa che alza la tensione nelle stesse forze dell’ordine»; a riprova di ciò, secondo l’attivista, ci sarebbe la situazione di assoluta calma che ha preceduto l’evento, che dimostrerebbe il gratuito uso delle pratiche repressive. I fatti di ieri sono avvenuti presso quello che XR descrive come il “centro conferenze dove si riunisce la stampa nazionale e internazionale per la copertura mediatica del G7“. La scelta della sede deriva dalla volontà di “portare l’attenzione sul ruolo fondamentale che i media di tutto il mondo hanno nel raccontare” ciò che si sta svolgendo in Puglia: il vertice di alcuni dei maggiori leader mondiali che, secondo gli attivisti, falliscono nell’affrontare (e nel narrare) gli effetti del cambiamento climatico. La scelta della Puglia, in tal senso, risulterebbe a tratti grottesca, visto che, come riporta il comunicato, “i leader mondiali si sono isolati , al centro di una zona rossa, militarizzata, che si estende per molti chilometri, inglobando tratti di litorale e paesi limitrofi“.

Nello specifico, gli attivisti di Extinction Rebellion contestano la mancanza di programmi per l’eliminazione – anche graduale – delle fonti fossili, ma anzi, la presenza di piani per incrementare la propria capacità produttiva, e portano a sostegno della loro tesi sull’urgenza delle tematiche ambientali i dati dati dell’Organizzazione Metereologica Mondiale  e del sistema Copernicus dell’Unione Europea. A portare avanti un contro-G7 sono anche realtà sindacali e campagne come quella di Sbilanciamoci!, autrice della annuale contro-finanziaria sulla legge di bilancio. Nello specifico, questi ultimi sottolineano (come fatto da XR) l’incoerenza nel portare avanti un vertice sugli equilibri del mondo parlando principalmente di guerra, e rilevano che basterebbe solo il 3% delle spese militari dei Paesi del G7 per sfamare il mondo intero, a riprova del forte impatto della guerra tanto sull’ambiente quanto sull’economia.

[di Dario Lucisano]

Progettazione eco-compatibile dei prodotti: l’UE prova a regolamentare il far west

0

L’eco-design non è cosa nuova. Se ne parlava già negli anni settanta, dove il ruolo del designer e della progettazione conteneva già al suo interno tutti i principi della sostenibilità ambientale e sociale. Scriveva così Victor Papanek nel suo Design for the Real World: «Il designer deve essere consapevole della sua responsabilità sociale e morale. Perché il design è lo strumento più potente che l’uomo abbia mai avuto con cui plasmare i suoi prodotti, i suoi ambienti e, per estensione, se stesso. Il designer deve analizzare il passato oltre che le conseguenze future prevedibili dei suoi atti». Negli anni questi sani insegnamenti sono stati opportunamente dimenticati, fagocitati da un sistema produttivo sempre più rapido, dominato da scarsa qualità e orientato alla quantità. Alle conseguenze future poi, non ci hanno pensato in molti. Ecco perché, per riportare tutti sulla retta via, è arrivato l’ennesimo regolamento (Ecodesign for Sustainable Product Regulation, ESPR) che sostituisce la direttiva 2009/125/CE sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti. Se la normativa prima era limitata ai prodotti connessi all’energia, adesso la portata si fa più ampia, con lo scopo di ottimizzare gli aspetti dedicati alla circolarità, prestazioni e sostenibilità ambientale di un’ampia gamma di prodotti.

Il regolamento stabilisce alcune norme per la progettazione eco-compatibile, andando a contrastare quelle pratiche di obsolescenza programmata, appositamente introdotte dalle aziende per consentire una rapida rotazione dei prodotti (che vengono progettati per durare poco ed essere sostituiti interamente, grazie anche alla scarsa reperibilità di pezzi di ricambio o al costo talmente alto che comprarli ex-novo risulta più conveniente che farli aggiustare). Durabilità, riparabilità, efficienza energetica e possibilità di riciclo. Questi i punti chiave, oltre a ribadire il discorso sul passaporto digitale come strumento di tracciabilità ed il divieto di distruggere le merci invendute. 

I prodotti devono essere così ri-pensati per durare a lungo, essere riutilizzabili, aggiornabili e riparabili, con possibilità di manutenzione e ristrutturazione; particolare attenzione anche al “come” vengono prodotti, privilegiando efficienza energetica, idrica e di tutte le risorse impiegate nei processi, oltre a monitorare le sostanze potenzialmente pericolose, limitandone l’uso. Il fine vita, con la possibilità di riciclo ed il recupero del materiale, sono altri aspetti toccati dal regolamento, compreso il calcolo dell’impatto ambientale, l’impronta di carbonio e la produzione (prevista) di rifiuti. Una visione a tutto tondo che idealmente si applica a tutti prodotti immessi sul mercato dell’Unione Europea, anche se sono stati realizzati all’estero. Le prime categorie merceologiche ad essere messe sotto torchio sono quelle di ferro e acciaio, alluminio, prodotti tessili (abbigliamento e calzature), mobili, pneumatici, detersivi, vernici, lubrificanti, prodotti chimici, prodotti connessi all’energia e prodotti delle tecnologie dell’informazione, della comunicazione e dispositivi elettronici.

Ma come funzionerà in concreto? Come in ogni regolamento europeo che si rispetti, l’immediatezza non è contemplata. Per entrare in vigore si dovranno aspettare i 20 giorni tecnici a seguito della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale europea, ma per essere attuato concretamente il cammino è ancora lungo. Si tratta di un regolamento “quadro”, che richiede ulteriori atti delegati per ciascun gruppo di prodotti e, una volta definiti i requisiti specifici per l’eco-progettazione, i Paesi avranno ancora un anno e mezzo per potersi conformare. In pratica ci sono ancora un paio di anni per allinearsi a norme non ancora ben definite. 

Il piano di lavoro, infatti, non è ancora attivo (ci sono nove mesi di tempo dalla pubblicazione dell’ESPR), ma prevede di procedere per passi successivi, andando a dare la priorità a quei gruppi di prodotti che, grazie all’eco-progettazione, permetteranno di raggiungere più rapidamente gli obiettivi UE su clima e ambiente. I requisiti saranno elaborati dal Forum sulla progettazione ecocompatibile, un consesso composto da esperti identificati dagli stati Membri, tra cui appartenenti all’industria, PMI, sindacati, commercianti, rivenditori e le organizzazioni ambientaliste e dei consumatori. Questo per capire se e come potranno essere applicate concretamente le regole degli atti delegati. Come spesso succede, la teoria c’è, ma la pratica risulta sempre più macchinosa e di difficile applicazione

[di Marina Savarese]

Si è concluso il vertice G7: ecco cosa è stato deciso

3

In seguito a una due giorni scandita da confronti, polemiche, gaffe e photo opportunities, il G7 di Borgo Egnazia è ufficialmente terminato. Nelle ultime ore, i leader delle sette grandi potenze hanno rilasciato la dichiarazione finale del summit. Tra i punti principali c’è ovviamente la politica estera, con i duri moniti verso la Russia e la Cina, l’appello per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e il “Piano Mattei” per l’Africa, ma anche l’affermazione dell’impegno collettivo contro la tratta di esseri umani e la richiesta di un “approccio inclusivo” in tema di intelligenza artificiale. Mentre i leader del G7 hanno trovato l’accordo su un nuovo pacchetto di aiuti militari destinati a Kiev per un valore di 50 miliardi di dollari, utilizzando come garanzia i proventi degli interessi dei beni congelati della Banca centrale russa, il dibattito mediatico sul vertice è stato monopolizzato dalla questione del diritto all’aborto, attraverso cui si è distolta l’attenzione da decisioni che infuocheranno ulteriormente un contesto geopolitico potenzialmente esplosivo.

Rispetto al conflitto russo-ucraino, la decisione più rappresentativa su cui i leader del G7 hanno trovato sin da subito convergenza è quella dell’invio di aiuti militari a Kiev per un valore di 50 miliardi di dollari derivanti dagli interessi dei beni russi congelati. I capi di Stato e di governo hanno messo nero su bianco la volontà di “sostenere la lotta dell’Ucraina per la libertà e la sua ricostruzione per tutto il tempo necessario”. Contestualmente, è stato esplicitamente richiesto a Mosca di “porre fine alla sua guerra illegale di aggressione e pagare per i danni che ha causato all’Ucraina”. Nelle stesse ore il presidente russo Vladimir Putin aveva formulato ai Paesi occidentali una serie di richieste per porre fine al conflitto, ovvero il ritiro completo delle forze ucraine dalle province di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson, il loro riconoscimento internazionale come parte della Russia, la fine delle sanzioni occidentali e la rinuncia all’ingresso nella NATO per l’Ucraina. La proposta è stata seccamente rispedita al mittente dal segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, e dal presidente ucraino Zelensky, presente a Borgo Egnazia per il summit. Ce n’è anche per la Cina: i leader del G7 esprimono “profonda preoccupazione per il sostegno della Repubblica Popolare Cinese alla Russia” – invitando Pechino a “fare pressione” su Mosca “affinché cessi l’aggressione militare e ritiri immediatamente, completamente e incondizionatamente le sue truppe dall’Ucraina” – annunciando che estenderanno la portata delle sanzioni per colpire le imprese e le banche, anche in Cina, che “facilitano l’acquisizione da parte della Russia di articoli per la sua base industriale di difesa”. Sulla guerra in Palestina, invece, nella dichiarazione viene chiesto il “cessate il fuoco immediato” a Gaza, il “rilascio di tutti gli ostaggi”, un “aumento significativo e duraturo dell’assistenza umanitaria” e l’apertura di un “percorso credibile verso la pace che porti a una soluzione a due Stati”.

In merito all’annoso tema della lotta contro la tratta di esseri umani e l’immigrazione illegale, i leader hanno annunciato il lancio della “Coalizione G7 per prevenire e contrastare il traffico di migranti”, con l’obiettivo di concentrarsi “sulle cause profonde della migrazione irregolare, sugli sforzi per migliorare la gestione delle frontiere e arginare la criminalità organizzata transnazionale” e su “percorsi sicuri e regolari” per la migrazione. All’interno della dichiarazione si legge poi che i Paesi del G7 sono intenzionati a rafforzare “la cooperazione equa e reciprocamente vantaggiosa con i Paesi africani e le organizzazioni regionali”, sostenendo “una migliore mobilitazione e gestione delle risorse interne locali” e promuovendo “maggiori investimenti privati”, pur assicurando un “continuo sostegno finanziario”. Entra nel documento anche il “Piano Mattei” promosso dalla premier italiana Giorgia Meloni, accolto “con favore” anche dagli altri leader, i quali si dicono uniti nel promuovere una “visione di infrastrutture sostenibili, resilienti ed economicamente sostenibili in Africa, sostenute da una selezione trasparente di progetti, appalti, e finanza”. Spazio anche per l’intelligenza artificiale, tema su cui è intervenuto Papa Francesco (è la prima volta che un Pontefice partecipa al G7): i leader affermano di riconoscere “la necessità” di approcci “che favoriscano l’inclusione, per aiutarci a sfruttare il potenziale dell’IA in un modo che rifletta questi valori e ne promuova lo sviluppo, mitigando al contempo i rischi, anche per quanto riguarda i diritti umani ed evitando la frammentazione della governance”.

Nel corso del summit, i leader del G7 hanno cercato di deviare l’attenzione dei media e dei cittadini da uno scenario geopolitico potenzialmente catastrofico attraverso il dibattito sul diritto all’aborto, che ha tenuto banco sui principali organi di informazione. I vertici delle grandi potenze hanno dato l’impressione che questo tema, che è ovviamente appannaggio dei singoli Parlamenti nazionali e su cui il G7 non ha potere decisionale, sia stato subdolamente usato non solo come arma di distrazione politica, ma anche come “vetrina” elettorale per i leader che dovranno presto affrontare elezioni in patria, come il presidente francese Emmanuel Macron (reduce da una fragorosa débâcle alle Europee) e quello americano Joe Biden, entrambi in caduta libera nei sondaggi. A ogni modo, nella dichiarazione finale il termine “aborto” non compare in maniera esplicita, mentre si esprime una “forte preoccupazione per la riduzione dei diritti delle donne, delle ragazze e delle persone LGBTQIA+” nel mondo, con la ferma condanna di “tutte le violazioni e gli abusi dei loro diritti umani e delle libertà fondamentali”.

[di Stefano Baudino]

Sudafrica, storico accordo tra ANC e partito a maggioranza bianca

0

In Sudafrica, dopo le elezioni del 29 maggio che hanno visto l’African National Congress (il partito che fu di Mandela) ottenere per la prima volta meno del 50% dei seggi del Parlamento, lo stesso partito di maggioranza ha siglato il primo storico accordo governativo con Alleanza Democratica, il partito di rappresentanza dei bianchi. Dallo scioglimento dell’apartheid è la prima volta che AD – dalle posizioni europeiste – entra a far parte del Governo sudafricano, e potrebbero verificarsi cambi sul panorama internazionale. A essere eletto Presidente è l’uscente Cyril Ramaphosa, cui esecutivo godrà di oltre il 60% dell’appoggio da parte dei parlamentari.

”Dopo la fiera”, una poesia di Fernando Pessoa (1928)

1

Girovagano per strada,
cantando senza ragione
l’ultima speranza data
all’ultima illusione.
Non significano nulla,
sono mimi e buffoni.

Vanno insieme, diversi
Sotto una luna da vedere,
dove immergono sogni
che neanche sapranno raccontare
e cantano quei versi
che ricordano senza volere.

Paggi di un mito morto,
così lirici!, così soli!
Nella loro voce non c’è grido,
a mala pena hanno voce;
li ignora l’infinito
che ignora anche noi.

Camminare è destino. La dimora delle parole è la scrittura. E il peregrinare è fonte di ricordi, coscienti o illusori non importa. Ma qui non seguiamo l’intellettuale che sogna, il grande poeta, come ad esempio Petrarca (siamo nel 1336), il quale salendo sul Mont Ventoux gettava sguardi interiori su se stesso alternando colpi d’occhio sul paesaggio, così da immergersi nel sublime . Qui, davanti a noi,  ci sono invece cantori di illusioni, mimi spaesati che hanno perduto il sentiero, che riempiono la strada, cioè la pagina, di voci senza senso. 

Saltimbanchi, re di stracci, gente del Novecento,  attori di quella modernità che ci fa girovagare, non inquieti e nemmeno precisamente perduti ma, come voleva Joyce, in fuga ma in una fuga senza capo né coda, cioè senza una particolare meta, dentro una lenta spirale che annebbia; restando pur attenti, avvertiva Primo Levi, che sotto i cenci dello straniero non si celi il profeta. 

Se nel Barocco il fine del poeta era la meraviglia, se nel Romanticismo protagonista era la malinconia, negli anni di Pessoa il poeta è come un pastore che “resta triste al tramonto”, che in realtà, mentre sorveglia il gregge davanti a sé, vede le proprie idee che prima prendono forma e poi prenderanno il volo. Ma la vita non è l’Arcadia dove ci si sente appagati, è insorto un nuovo mito, capovolto, paradossale. Ha avuto inizio l’epoca in cui non ci si capisce più, in cui è forse inutile essere capiti. Ma in cui è altrettanto tragico essere trascurati. E quindi ecco l’insistenza sull’ignoranza di cui siamo vittime e prigionieri.

In ogni caso il poeta intende svolgere una missione, come quei buffoni arlecchineschi, sgargianti di nulla che riempiono le strade di canti perduti, come quelle marionette che hanno in prestito ogni volta una voce differente. I versi reclamano fantasmi,  atti mancati, lapsus rivelatori. Il poeta continua, come ha scritto Emily Dickinson, ad essere «colui che distilla/ un senso sorprendente da ordinari/ significati, essenze così immense/ da specie familiari».

Tra i versi, tuttavia, continuano a circolare le immagini di sempre, prima fra tutte la luna, sorvegliante impietosa che vuole farsi notare. La “cara luna” di Leopardi, la luna che tramonta insieme alle Pleiadi in Saffo, la luna che questa volta ospita sogni che non si riescono a raccontare. Sempre «sul tardi corneggia la luna», cantava Montale nella sua Egloga. Rimane necessario perdersi tra gli ulivi insieme a lui, accettare che i pensieri, come le parole più giuste, rimangano “sconnessi” e i vagabondaggi rimangano “infruttuosi”, conservando tracce di illusioni perché illusorio è lo splendore della luna.

Il poeta diventa così uno psicanalista che vuole dare confidenza alle incertezze, sintassi al disordine delle tracce, sapendo che certe parole, come certi versi, vincono qualsiasi censura, superano le barriere dell’inconscio e reclamano una certa razionalità, quel “mettere ordine nella vita”, di cui parla in un’ altra poesia Fernando Pessoa. Un ordine di cui l’uomo e la donna del Novecento sentono un grande  bisogno ma che preferiscono cercare piuttosto che trovare . 

[di Gian Paolo Caprettini]

La multinazionale Intel, colpita dal boicottaggio, disinveste 15 miliardi da Israele

2

La multinazionale americana dell’elettronica Intel ha deciso di sospendere un mega progetto da 15 miliardi di dollari in Israele per la costruzione di un nuovo centro per la produzione di chip. Lo scorso dicembre, mentre il massacro israeliano su Gaza era già in corso, Intel aveva annunciato l’intenzione di ampliare i piani per un impianto di chip a Kiryat Gat, nel sud di Israele, attualmente in costruzione, aumentando l’investimento da 10 miliardi a 25 miliardi di dollari. Ma lunedì è arrivato improvviso l’annuncio della sospensione del progetto, senza nessuna motivazione ufficiale. L’azienda si è affrettata a specificare in un comunicato che «Israele continua ad essere uno dei nostri principali siti di produzione, ricerca e sviluppo a livello globale e rimaniamo pienamente impegnati nella regione». tuttavia va annotato come la decisione di sospendere l’investimento arrivi al culmine dell’azione di boicottaggio internazionale lanciato dal movimento BDS (Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni) proprio per sanzionare le aziende che supportano finanziariamente l’occupazione e i crimini israeliani in Palestina. Un boicottaggio che era stato lanciato ufficialmente anche contro la multinazionale dei microprocessori attraverso la campagna #BoycottIntel!.

Il gigante tecnologico statunitense Intel ha bloccato l’espansione di un importante progetto di fabbrica in Israele, a Kiryat Gat, noto come “Fab 28”, per il quale avrebbe investito altri 15 miliardi di dollari, in aggiunta ai 10 miliardi di dollari annunciati già nel dicembre scorso. Intel ha spiegato che «la gestione di progetti su larga scala, soprattutto nel nostro settore, spesso comporta l’adattamento a tempistiche mutevoli». La società statunitense ha poi precisato: «Le decisioni si basano sulle condizioni aziendali, sulle dinamiche di mercato e sulla gestione responsabile del capitale». Secondo il rapporto annuale di Intel, Israele è il terzo paese operativo di per dimensione delle attività, dopo Stati Uniti e l’Irlanda. Il colosso dei semiconduttori è presente in Israele da cinquant’anni e dal 2010 Intel è diventata il principale datore di lavoro nel settore tecnologico israeliano.

Il movimento BDS aveva lanciato la campagna #BoycottIntel! nel marzo scorso, invitando i sostenitori a boicottare il gigante tecnologico per i suoi piani di investimento in Israele, in quanto ritenuto complice del genocidio a in corso a Gaza. La campagna ha anche cercato di fare pressione azionarie su Intel e sulle principali istituzioni per indurle a escludere Intel dalle loro gare d’appalto. «Intel ha aiutato e favorito l’apartheid di Israele per decenni, e ora sta alimentando direttamente il suo forziere di guerra mentre continua il suo indicibile genocidio contro 2,3 milioni di palestinesi nella Striscia di Gaza occupata e assediata. Intel è complice del genocidio di Israele e del suo sistema di apartheid. Il moto di Intel sembra essere: Make Apartheid Great Again!», ha detto un portavoce del BDS al momento del lancio della campagna di pressione sull’azienda statunitense.

L’ultima mossa di Intel segue quella del gigante tecnologico Samsung Next, ramo dell’innovazione della società coreana Samsung, che ad aprile ha annunciato di aver chiuso le sue operazioni in Israele e di aver spostato le sue attività all’estero. «A parte la responsabilità etica e il diritto internazionale, insistendo nell’investire decine di miliardi di dollari in Israele, una zona di guerra, a pochi chilometri di distanza da Gaza occupata. Intel sta mettendo l’impegno ideologico fanatico dei suoi leader nei confronti di Israele rispetto alla responsabilità finanziaria e fiduciaria. Perché altrimenti Intel dovrebbe congelare i piani per espandere la sua produzione di chip in Ohio mentre getta quei miliardi in Israele, uno Stato che sta commettendo un genocidio?», ha detto il portavoce di BDS.

Sebbene non vi possano essere certezze, non avendo l’azienda comunicato alcunché, se non appunto che intende interrompere la costruzione del nuovo impianto, le tempistiche della decisione presa da Intel, sulla scia di altre defezioni proprio nel settore tecnologico, come quella di Samsung, permettono quindi di ipotizzare che la campagna di boicottaggio internazionale stia producendo risultati, costringendo diverse multinazionali a mettere in discussione l’opportunità di generare profitti sul sangue del popolo palestinese. Un movimento dal basso che nelle scorse settimane ha colpito pesantemente anche la corporation degli hamburgers McDonald’s, che proprio a causa del boicottaggio in supporto alla Palestina ha subito perdite in borsa per sette miliardi di dollari.

[di Michele Manfrin]

Gaza, Israele impedisce all’UNICEF la consegna di aiuti nella Striscia

0

Ieri, il portavoce dell’UNICEF James Elder ha comunicato ai microfoni della BBC che le Forze di Difesa Israeliane avrebbero negato a un convoglio di aiuti umanitari l’accesso nel nord della Striscia di Gaza, nonostante la presentazione di documentazione in regola. Elder stesso sarebbe stato presente durante i fatti, e sarebbe anche stato testimone dell’uccisione di due pescatori palestinesi proprio al confine. Secondo quanto riporta la stessa BBC, Israele avrebbe smentito le accuse di Elder, sostenendo che le carte da lui presentate non fossero complete, confermando così di avere negato l’accesso agli aiuti.

Studenti si incatenano al Politecnico di Torino per Gaza: la polizia carica

1

Giovedì mattina, dopo un mese di proteste e occupazioni in solidarietà con la Palestina e a fronte del mancato confronto con il rettore dell’istituto, nove studenti del Politecnico di Torino si sono incatenati all’edificio. Con loro vi era anche un docente, Massimo Zucchetti, candidato nel 2015 al premio Nobel per la Fisica. In tutta risposta, l’Università ha chiesto l’intervento delle forze dell’ordine e della sicurezza privata, che, secondo le testimonianze rilasciate dai presenti a L’Indipendente, hanno prima spintonato e poi caricato gli studenti presenti sulle scalinate. Uno dei membri della sicurezza avrebbe inoltre rivolto il saluto romano agli studenti, in quello che ha tutta l’aria di essere un deliberato atto provocatorio – oltre che reato di apologia del fascismo. Da circa un mese gli studenti occupano l’Aula Magna del Politecnico – rinominata Aula Sufyan Tayeh, rettore dell’Università di Gaza ucciso dagli attacchi israeliani nel dicembre dello scorso anno – per chiedere all’Università di interrompere gli accordi di collaborazione scientifica con Israele e in segno di solidarietà con la popolazione di Gaza, soggetta da ormai oltre otto mesi all’aggressione israeliana, che ha già causato oltre 37 mila morti tra i civili.

«Ci siamo incatenati ai cancelli perchè pensavamo fosse un tipo di azione che potesse richiamare l’attenzione alla necessità di dialogo, che dopo un mese di occupazione non siamo riusciti a instaurare nè col rettore Corgnati nè col vicerettore – spiega a L’Indipendente Aurora, una delle studentesse del Politecnico che ha deciso di incatenarsi ai cancelli dell’istituto». Insieme a loro vi era anche il professor Massimo Zucchetti, professore ordinario e candidato al Nobel per la Fisica nel 2015. «Oggi mi sono incatenato ai cancelli del Politecnico in solidarietà con i ragazzi e ragazze dell’Intifada Studentesca, che da oltre un mese tengono vivo il mio Ateneo occupandolo e protestando contro la strage di civili, uomini donne bambini e anziani che si sta consumando da otto mesi a Gaza. Sono morti quarantamila innocenti. Le sette Università della Striscia di Gaza sono tutte distrutte, come le case, le scuole, gli ospedali» riferisce Zucchetti, aggiungendo come le modalità della sua protesta fossero ispirate alle lotte del Movimento No TAV. Come spiegato dagli studenti, «Tutto questo mese non abbiamo ottenuto risposta nè dal rettore nè dall’Ateneo e per questo oggi abbiamo deciso di incatenarci ai cancelli della sede principale del Politecnico, per bloccarli per tutta la giornata. È particolarmente importante in questo momento che il Politecnico prenda una posizione, anche dopo i recenti attacchi di Rafah e quello di pochi giorni fa a Nuseirat. Per questo, come facciamo da un mese, continueremo a chiedere al Politecnico di Torino di interrompere tutti gli accordi con Israele e con le aziende belliche».

«In concomitanza a quest’azione simbolica, avevamo anche preparato alcuni finti checkpoint, che richiamano quelli in Palestina, per sensibilizzare studenti e studentesse e richiamare le difficolità quotidiane dei palestinesi» riferisce Aurora. Le azioni degli studenti sono state presidiate per l’intera mattinata dagli agenti della sicurezza del Politecnico: «uno di loro ha letteralmente spintonato uno dei nostri compagni, senza motivo, facendolo cadere su uno dei checkpoint di legno». Le azioni violente sono proseguite contro tutti gli studenti che, mano a mano, si sono radunati sulle scalinate dell’istituto in solidarietà con i compagni incatenati. «Alcuni compagni si sono sistemati di fronte alla porta del Rettorato, per mimare una dinamica di pressione, e in molti sono stati spintonati dalle forze di sicurezza. A una ragazza hanno persino tolto un fumogeno di mano e gliel’hanno spento sulla schiena. Nel frattempo è arrivata anche la Digos e la celere» racconta Aurora.

I momenti di tensione sono proseguiti per tutto il pomeriggio, dopo che tre ragazzi sono riusciti a entrare nel Rettorato e sedersi sulle scale, in segno di protesta pacifica. «Un paio di ragazzi sono usciti tranquillamente, dopo che gli agenti hanno detto di volerli identificare; il terzo è stato spintonato e malmenato. Noi altri compagni ci trovavamo lì davanti alla porta di vetro del Rettorato, abbiamo visto tutto. In quel momento, poi, la polizia ha iniziato a manganellare anche noi che eravamo fuori». Nel mezzo di queste dinamiche, inoltre, uno dei membri della sicurezza privata impiegata dall’Ateneo ha alzato il braccio verso gli studenti, in quello che ha tutta l’aria di essere un saluto fascista.

Nel pomeriggio gli studenti sono riusciti ad avere un breve colloquio con il rettore, chiedendo che una delegazione di essi potesse essere presente al Senato Accademico convocato per il prossimo 19 giugno, ma la risposta è stata negativa. «Un’ora dopo è arrivata la celere» racconta Aurora, che spiega come anche nella giornata di venerdì l’Università fosse pesantemente presidiata dalla Digos. «Non hanno ascoltato i nostri punti nè le nostre posizioni, ma hanno mandato la polizia a reprimerci». Il timore, ora, è che il prossimo passo sia l’autorizzazione, da parte dell’Università, a dare il via a uno sgombero coatto da parte delle forze dell’ordine. «In ogni caso, anche se questa sembra l’eventualità più probabile, noi non abbiamo nessuna intenzione di fermare l’occupazione nè la protesta».

[di Valeria Casolaro]