Un elicottero militare è precipitato mercoledì sera in Ghana, causando la morte di tutti i passeggeri a bordo, tra cui il ministro della Difesa Edward Omane Boamah, il ministro dell’Ambiente Ibrahim Murtala Muhammed e altri alti funzionari. L’incidente, uno dei peggiori disastri aerei del Paese negli ultimi dieci anni, è avvenuto durante un volo da Accra verso Obuasi, una zona mineraria. L’elicottero è uscito dai radar poco dopo aver sorvolato la regione di Ashtani, e il relitto è stato localizzato solo successivamente. Le cause dello schianto sono ancora sconosciute.
Brasile, l’ex presidente fa ricorso contro gli arresti domiciliari
Gli avvocati dell’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro hanno presentato ricorso contro l’ordinanza di arresti domiciliari emessa nei suoi confronti. Bolsonaro è stato messo agli arresti con l’accusa avere violato degli ordini restrittivi che gli imponevano di non utilizzare le piattaforme social; gli avvocati contestato le accuse, e hanno chiesto che l’ordine di venga votato da un collegio più ampio di giudici della Corte Suprema. Bolsonaro è sotto processo con l’accusa di essere dietro ai moti di insurrezione scoppiati in occasione dell’insediamento del presidente Lula.
Guerra in Ucraina: l’incontro tra Putin e Witkoff è stato definito “molto produttivo”
Si sono incontrati oggi, 6 agosto, al Cremlino il presidente russo Vladimir Putin e l’inviato speciale degli Stati Uniti Steve Witkoff. Un incontro durato circa tre ore per avanzare nella ricerca di un possibile punto d’intesa per arrivare a una tregua nel conflitto in Ucraina. A fornire i primi dettagli sui contenuti è stato, come di consueto, il presidente statunitense Donald Trump sul social Truth, parlando di un incontro «molto produttivo», dove sono stati compiuti «grandi progressi». Nessun commento diretto, per ora, da parte di Putin. A parlare per conto del governo russo è stato l’assistente del Cremlino Yury Ushak che, citato dal canale Russia Today, ha parlato a sua volta di una conversazione «molto utile e costruttiva».
Donald Trump ha dichiarato: «Il mio inviato speciale, Steve Witkoff, ha appena avuto un incontro molto produttivo con il presidente russo Vladimir Putin. Sono stati fatti grandi progressi! In seguito, ho aggiornato alcuni dei nostri alleati europei. Tutti concordano sul fatto che questa guerra debba finire, e lavoreremo per questo nei giorni e nelle settimane a venire». Decisamente più prudente l’assistente del Cremlino Yury Ushak che, oltre a definire molto utile e costruttivo l’incontro, si è limitato ad affermare che «Putin ha trasmesso alcuni segnali sulla questione ucraina» e «segnali corrispondenti sono stati ricevuti anche dal presidente Trump»
Mentre si tenta di avanzare sulla strada dei colloqui, tuttavia, il presidente Trump non abbandona la strada delle pressioni su Mosca e i suoi alleati. Nelle stesse ore in cui il suo inviato Witkoff si trovava a Mosca, infatti, ha firmato un ordine esecutivo che impone nuovi dazi all’India in risposta al suo «continuo acquisto di petrolio dalla Federazione Russa». Nel comunicato pubblicato sul sito della Casa Bianca, molto duro nei toni, Trump ha affermato che «le azioni della Federazione Russa in Ucraina rappresentano una minaccia costante alla sicurezza nazionale e alla politica estera degli Stati Uniti, rendendo necessarie misure più incisive per affrontare l’emergenza nazionale» aggiungendo che non tollererà «l’aggressione della Federazione Russa» e che «queste azioni mirano a fare pressione sulla Federazione Russa affinché raggiunga una risoluzione che ponga fine al conflitto e salvi vite umane».
La strada non sarà semplice, anche ipotizzando le reali buone intenzioni dei contendenti. Fino ad oggi Trump ha appoggiato le richieste ucraine di una tregua prima di avanzare nei colloqui diretti nonché le pretese di Kiev di non cedere nulla dei propri territori. Da parte sua Mosca ha ripetutamente affermato di essere aperta a un accordo di pace, ma insiste sul fatto che la tregua arriverà in una fase avanzata di colloqui e che qualsiasi accordo dovrà riflettere la realtà sul campo e affrontare le cause profonde del conflitto. I funzionari russi – secondo quanto riportato da Russia Today – hanno espresso apprezzamento per gli sforzi di mediazione di Trump, pur respingendo «le sue ultime minacce», affermando che «il linguaggio degli ultimatum è controproducente».
Il governo impugna la legge toscana sul salario minimo perché “danneggia la concorrenza”
Il governo Meloni ha impugnato la legge toscana sul salario minimo accusandola di violare la normativa statale sulla concorrenza. La legge prevede che nelle gare regionali siano favorite le aziende che offrono un salario minimo di almeno nove euro lordi all’ora. L’esecutivo sostiene che la legge interferisca con la competenza esclusiva dello Stato su questioni economiche e concorrenziali, come stabilito dall’articolo 117 della Costituzione. La decisione ha suscitato critiche, in particolare da parte del PD. Il presidente della Toscana Eugenio Giani ha anticipato che presenterà ricorso contro l’impugnazione davanti alla Corte Costituzionale «per difendere con determinazione questa legge e il principio che la ispira: il lavoro deve essere giusto, sicuro e retribuito in modo equo».
La decisione di impugnare la legge toscana sul salario minimo è stata presa dal Consiglio dei Ministri lunedì 4 agosto. La norma, entrata in vigore il 18 giugno, prevede l’assegnazione di un punteggio più alto a tutte le aziende che, nei bandi di appalto pubblici, garantiscano ai propri dipendenti una paga oraria di almeno 9 euro lordi. Essa dedica poi un’attenzione specifica ai bandi che riguardano gli “affidamenti ad alta intensità di manodopera” – ossia concernenti lavori come quelli dei servizi di ristorazione, pulizia o vigilanza – in cui il criterio di assegnazione dell’appalto si fonda sul principio del miglior rapporto tra qualità dell’offerta e prezzo del servizi. La legge, insomma, non prevede una vera e propria introduzione del salario minimo, ma favorisce nelle gare pubbliche le ditte appaltatrici che lo garantiscono. Il governo ha deciso di impugnarlo proprio sulla base di tale ragione: nel suo comunicato l’esecutivo richiama l’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, che garantisce allo Stato “legislazione esclusiva” sulla “tutela della concorrenza”. Secondo l’esecutivo, insomma, la norma toscana violerebbe la concorrenza perché impone a chi appalta (gli enti pubblici della regione) di introdurre un criterio per assegnare più punti nelle gare d’appalto.
La battaglia per il salario minimo in Italia va avanti da tempo. A muoversi nella sua direzione sono stati diversi Comuni italiani. Già alla fine del 2023, il Consiglio Comunale di Livorno diede l’ok a larga maggioranza a una mozione che garantiva a tutti i lavoratori del Comune un salario minimo di almeno 9 euro all’ora. Sulla stessa scia, sono poi arrivate Firenze e Napoli, che hanno approvato il salario minimo di 9 euro all’ora per tutti gli appalti del Comune. A livello nazionale, invece, nonostante le proposte, si assiste a tutt’altro scenario: a fine novembre 2023, la maggioranza decise di affossare definitivamente la proposta unitaria dei partiti di opposizione, che stabiliva l’introduzione del salario minimo sempre a 9 euro.
Bosnia: revocato il mandato al presidente della Repubblica Srpska
La commissione elettorale della Bosnia ha revocato il mandato del presidente della Repubblica Srpska, l’entità a maggioranza serba del Paese, Mirolad Dodik. La decisione arriva dopo l’ultimo scontro tra i tribunali centrali e il vertice politico. Dodik si era rifiutato di rispondere a un’ordinanza di un tribunale che lo condannava a un anno e mezzo di carcere e sei anni di interdizione dagli uffici pubblici. La decisione della commissione contro Dodik entrerà in vigore al termine del periodo di appello, dopo cui saranno indette elezioni anticipate per nominare un nuovo presidente. Dodik ha detto di non riconoscere il verdetto della commissione.
OpenAI torna “open” lanciando due modelli gratuiti
Dopo anni, OpenAI rende onore al suo nome pubblicando dei modelli di intelligenza artificiale che sono effettivamente “open”, ossia aperti a tutti e gratuiti. Si tratta di due strumenti leggeri e agili che possono essere gestiti localmente da computer e server accessibili al grande pubblico, un dettaglio che permetterà agli utilizzatori di preservare la privacy delle interazioni evitando di travasare i dati su servizi cloud che sono abitualmente gestiti da quelle aziende che sono costantemente accusate di sfruttare illecitamente le informazioni raccolte. Nell’attesa del lancio di GPT5, OpenAI ha diffuso in rete gpt-oss-120b e gpt-oss-20b, modelli “open-weight” che permettono a chi ci lavora sopra di avere piena consapevolezza dei parametri di riferimento adoperati durante l’addestramento del sistema. A livello tecnico, questo dettaglio permette di eseguire i modelli su infrastrutture private, di personalizzarli con dati propri e di integrarli in applicazioni senza appoggiarsi a realtà esterne. A livello accademico, la cosa è interessante perché rende più facile comprendere come un modello finisca a generare certi risultati e certe “allucinazioni”.
L’azienda non aveva più toccato questi livelli di apertura sin dal 14 febbraio 2019, ovvero dal rilascio iniziale di GPT2. Ai tempi, OpenAI era ancora pienamente una no-profit che si poggiava su ricercatori che credevano nella mission accademica dell’organizzazione: costruire un’intelligenza artificiale generale sicura e benefica, condividendo in maniera trasparente con il resto del mondo gli esiti del loro processo di ricerca. Nel marzo del 2019, a neppure un mese dal lancio ufficiale di GPT2, OpenAI ha annunciato la nascita della sua sussidiaria for-profit, stravolgendo i suoi obiettivi originari e scatenando una scissione interna che ha poi dato vita alla concorrente Anthropic.
gpt-oss-20b, la più piccola delle nuove varianti, si poggia su 21 miliardi di parametri, i quali vengono ottimizzati da un sistema mixture-of-experts (MoE) perché ogni singola unità minima di testo – token – venga elaborata facendo riferimento solamente a 3,6 miliardi di parametri. gpt-oss-120b, il maggiore dei due modelli, scala rispettivamente questi orizzonti a 117 miliardi e a 5,1 miliardi. In termini concreti, vuol dire che gpt-oss-20b può essere sostenuto da un normale computer d’alto livello che sia dotato di almeno 16GB di memoria, mentre gpt-oss-120b abbisogna di strumenti che toccano gli 80GB, un requisito decisamente meno comune da soddisfare, ma comunque raggiungibile.
OpenAI non sta però certamente distribuendo gratuitamente nuovi modelli che possano concretamente fare concorrenza ai servizi che vende: per questioni tecniche e commerciali, i due strumenti sono stati progettati per essere leggeri, ma anche limitati, inoltre il loro impiego richiede una consapevolezza tecnica di affinamento che va oltre alle capacità del consumatore medio. È inoltre opportuno rimarcare che open-weight e open-source non sono la stessa cosa: gpt-oss-120b e gpt-oss-20b sono pensati per mostrare i parametri di addestramento, ma non i dati originali di riferimento o il codice di programmazione che è stato adoperato dall’architettura impiegata. Non sono “open” nel senso più assoluto del termine. Si tratta però di limitazioni comprensibili, visto che i giganti del settore – OpenAI compresa – si stanno lanciando in operazioni al limite dello spionaggio per avere la meglio sui propri concorrenti e che i dati di addestramento contengono probabilmente elementi che l’azienda non aveva il diritto di toccare.
A preoccupare c’è anche il fatto che, operando in un contesto lontano dagli occhi e dalle potenzialità di controllo di un gestore, i modelli open-weight possano essere affinati per scopi malevoli. In tal senso, OpenAI cerca di rassicurare il pubblico sostenendo di aver eseguito test interni utili a verificare che i due strumenti non possano essere impiegati in direzioni rischiose nei contesti biologici e della cybersicurezza. “Il Safety Advisory Group (“SAG”) di OpenAI ha esaminato questi test e ha concluso che […] gpt-oss-120b non ha raggiunto l’High capability nei domini Biological and Chemical Risk o Cyber risk”, conclude l’azienda autoassolvendosi da ogni potenziale malefatta.
La Lega ha presentato una legge per punire chi critica Israele
Su proposta del leghista e luogotenente salviniano Massimiliano Romeo, il Parlamento ha avviato la discussione sulla legge che mira a introdurre “Disposizioni per l’adozione della definizione operativa di antisemitismo, nonché per il contrasto agli atti di antisemitismo”. Una legge che in realtà va ben oltre la prevenzioni delle discriminazioni, con articoli che sembrano scritti apposta per criminalizzare critiche e manifestazioni contro Israele. La proposta mira infatti a introdurre la contestata definizione di antisemitismo prodotta dall’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto (IHRA), che identifica tali non solo critiche e manifestazioni contro le persone ebree, ma anche contro «le istituzioni della comunità», e quindi contro lo Stato ebraico. Inoltre la proposta Romeo prevede anche che sia negato il permesso «per ragioni di moralità» a manifestazioni che in base alla definizione della IHRA siano giudicabili antisemite.
La proposta della Lega è arrivata in Commissione Affari Costituzionali martedì 5 agosto. Essa era stata redatta a gennaio 2024 e presentata dai senatori della Lega Massimiliano Romeo, Daisy Pirovano e Giorgio Maria Bergesio. In un’intervista, Romeo ha detto che «si auspica» che a settembre le discussioni procedano rapidamente. Il ddl prevede l’adozione della definizione di antisemitismo dell’IHRA e prevede diverse misure di contrasto alle pratiche che verrebbero in tal senso definite antisemite. Di preciso, la proposta intende: creare una “banca dati di antisemitismo”, che registri i vari episodi che si verificano; applicare misure di controllo delle piattaforme social; formare docenti, educatori e membri delle forze dell’ordine sull’antisemitismo e su come applicare la nuova definizione; insegnare forme di contrasto e riconoscimento dell’antisemitismo nelle scuole; promuovere iniziative e campagne di sensibilizzazione attraverso radio, televisione, media, ed eventi sportivi. La misura più controversa, tuttavia, è quella che vieterebbe qualsiasi “riunione o manifestazione pubblica” che abbia anche solo il “rischio potenziale” di rispecchiare la definizione di antisemitismo.
Non è un caso se la proposta di legge è giunta dal partito del “migliore amico di Israele”. La definizione dell’IHRA, infatti, lungi dal difendere il popolo ebraico dal crimine di antisemitismo, finisce per tutelare lo Stato ebraico e fornirgli uno scudo contro le critiche. Malgrado si parli appunto di “definizione”, essa – su stessa ammissione dell’IHRA – non determina dei confini precisi entro cui inquadrare il termine, ma più propriamente descrive in senso generale cosa possa essere inteso come atto antisemita. Questo punto è reso esplicito nella guida redatta dall’Alleanza per conto della Commissione Europea, in cui si legge che «il contesto generale deve essere tenuto in considerazione e l’antisemitismo non è limitato agli esempi forniti». Gli stessi punti elencati dall’IHRA sono estremamente vaghi: nel suo nucleo centrale l’antisemitismo è descritto come «una certa percezione degli ebrei, che può essere espressa come odio verso gli ebrei. Le manifestazioni retoriche e fisiche dell’antisemitismo sono rivolte verso individui ebrei o non ebrei e/o le loro proprietà, verso le istituzioni della comunità ebraica e le strutture religiose». Con “atto antisemita”, insomma, si intende anche la critica allo Stato di Israele.
Nonostante specifichi che «le critiche rivolte a Israele simili a quelle rivolte a qualsiasi altro Paese non possono essere considerate antisemite», l’IHRA si smentisce poco dopo: tra gli atti antisemiti citati a titolo di esempio vi è infatti l’applicazione di «doppi standard» nei confronti dello Stato ebraico, che si concretizza nel chiedere a Israele «un comportamento non atteso da o non richiesto a nessun altro stato democratico». Come sottolineato da una lettera aperta compilata da 104 ONG – tra cui anche associazioni israeliane – questo punto «apre la porta all’applicazione dell’etichetta di antisemita a chiunque si concentri sugli abusi israeliani, purché si ritenga che abusi peggiori si verifichino altrove». Alla luce della definizione dell’IHRA sono stati presi di mira e accusati di antisemitismo «studenti e professori universitari, organizzatori di base, organizzazioni per i diritti umani e civili, gruppi umanitari e membri del Congresso degli Stati Uniti, che documentano o criticano le politiche israeliane e che si esprimono a favore dei diritti umani dei palestinesi», sottolinea la lettera. Effettivamente, l’applicazione delle definizioni dell’IHRA hanno spesso portato a identificare come antisemiti degli ordinari atti di protesta: è il caso del rapporto pubblicato dalla Fondazione CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) che individua proprio sulla base della definizione dell’IHRA quasi 900 casi di antisemitismo che si sarebbero verificati in Italia nel 2024. Tra questi, la Fondazione include murales con la scritta «Palestina libera», adesivi dove l’acronimo RAI è storpiato in Radio Televisione Israeliana, e inviti a boicottare i prodotti israeliani.
Incendio in Francia: un morto e 25 case bruciate
Nell’area sud-occidentale della Francia, nel dipartimento dell’Aude, in Occitania, è scoppiato un vasto incendio che ha provocato la morte di una donna, e il ferimento di altre nove persone. La vittima è stata registrata a Saint-Laurent-de-la-Cabrerisse, dove risulta anche un disperso. L’area interessata dall’incendio, descritto come il peggiore da inizio, è di circa 110 chilometri quadrati tra le località di Narbona e Carcassonne. Da quanto si apprende, le fiamme avrebbero raggiunto decine di abitazioni, distruggendo almeno 25 case e lasciando circa 2.500 famiglie senza elettricità. Per contenere l’incendio sono stati dispiegati 2.000 vigili del fuoco e sono state chiuse due strade.
Cornflakes e cereali sono realmente cibi sani? Le cose da sapere
Ma i cereali da colazione sono salutari? La maggior parte degli italiani risponderebbe senza indugio di si. Infatti nel nostro Paese la colazione a base di cereali è considerata da molti anni un pasto sano, nutriente ed equilibrato per l’inizio della giornata. Non sempre però ciò che è popolare e che è ritenuto un’abitudine alimentare positiva corrisponde effettivamente a dei cibi sani e nutrienti, se analizziamo le cose da un punto di vista strettamente nutrizionale, scevro da interessi commerciali che ne hanno decretato appunto il successo di pubblico.
E se parliamo di cereali per la colazione, questi come è noto sono arrivati in Italia e in Europa direttamente dall’America, dove è nato e cresciuto il culto di questo alimento per iniziare la giornata. Negli USA sono stati inventati, nel 1894 dai fratelli Kellogg, e poi ebbero uno straordinario successo commerciale in America del Nord e Europa, accompagnati da un marketing che li ha sempre dipinti come alimento sano, nutriente e ricco di energia per cominciare la giornata. Ma oggi è proprio dagli USA che paradossalmente è partita la “riforma” contro i cereali per la colazione e in particolare dei cornflakes e dei prodotti a base di crusca, al fine di aiutare i consumatori a identificare gli alimenti particolarmente utili come base di una dieta coerente con le raccomandazioni nutrizionali. Infatti di recente (già dal 2023 a dire il vero, ma in Italia nessuno ne ha parlato) la FDA (Food and Drug Administration, l’ente americano per la sicurezza alimentare e farmaceutica) ha cambiato e aggiornato le proprie regole sulle etichette alimentari dei prodotti, in particolare per quanto riguarda l’aggettivo «healthy», cioè salutare, che viene usato sia sulle confezioni che negli spot pubblicitari delle aziende. Tale aggettivo adesso può essere usato solo quando l’alimento rispetti determinati requisiti, molto specifici, che nel caso dei cereali per la colazione devono essere i seguenti: contenere almeno per i ¾ del prodotto dei cereali integrali, avere al massimo 1 grammo di grassi saturi (per porzione), contenere al massimo 230 milligrammi di sale, e avere al massimo 2,5 grammi di zuccheri aggiunti per porzione (cioè mezzo cucchiaino di zucchero, per capirci). Se questi valori sono superati, non si potrà in alcun modo etichettare il prodotto come healthy, cioè sano, salutare.
Si tratta di una vera e propria rivoluzione, almeno per gli americani, che sono abituati a cereali per la colazione contenenti molto più zucchero di quanto adesso fissato dalla FDA, al punto che tale norma ha di fatto escluso il 95% dei prodotti per la colazione del mercato americano USA dalla categoria di cibi sani. E infatti le aziende americane famose per la produzione di questi alimenti, come Kellogg’s, General Mills e Nestlè, non l’hanno presa affatto bene e si sono appellate ai loro avvocati e studi legali per cercare di contrastare ed eliminare queste nuove regole del governo americano (la FDA è un ente governativo), iniziando subito una vera e propria battaglia per poter continuare a definire «sani» i loro prodotti. Al momento però la battaglia pare che l’abbiano persa, salvo ripensamenti e novità del futuro, e gran parte dei cereali non sono più etichettati come salutari negli USA. Ma hanno comunque ottenuto di posticipare di 2 anni l’entrata in vigore delle nuove regole, al 2025 appunto. A rientrare nella categoria “healthy” rimangono i veri cereali da colazione, cioè i fiocchi di avena o di farro o di altro cereale, che però non hanno nessuna aggiunta di zuccheri, aromi o coloranti tra gli ingredienti, e qualche altro prodotto come i muesli con pochissimi zuccheri aggiunti o con l’uvetta. Tutti i prodotti più popolari e famosi usati dai consumatori americani – e anche europei e italiani – sono stati esclusi dalla categoria di cibi sani, e neppure quelli definiti Special K o ricchi di fibre hanno superato la soglia di sbarramento stabilita dal comitato di esperti governativi americani. Nella immagine che segue potete vedere raffigurati i 7 cereali da colazione più popolari negli USA, esclusi tutti dalla categoria di cereali sani.
Dunque i responsabili della salute pubblica americana hanno stabilito che gran parte dei cereali per la colazione presenti in commercio non sono un alimento sano, né per gli adulti né tantomeno per i bambini, proprio a causa dell’eccessivo contenuto di zuccheri in primis, e di farine bianche (raffinate) anziché cereali integrali, e per l’aggiunta di sale e grassi oltre i limiti. E in Italia com’è la situazione? Davvero possiamo continuare a pensare ingenuamente che i cereali più comuni offerti ai nostri bambini per colazione siano dei cibi sani?
Italia: è sano ciò che negli USA è considerato nocivo
Sembra un paradosso, ma è la realtà. Di solito succede il contrario, nel nostro Paese abbiamo delle varianti più sane di cibi americani nocivi, ma per quanto riguarda i cereali da colazione in commercio, molte marche hanno caratteristiche e valori nutrizionali che non rispecchiano i requisiti di cereale salutare ora imposte negli USA da qualche anno. Una vera e propria beffa. Di cui però nessuno parla, credo che i primi a parlarne siamo proprio noi de L’Indipendente. La verità è che in Italia vi è una forte influenza sulle decisioni pubbliche e governative legate alla salute della popolazione e all’alimentazione, da parte di aziende e associazioni dolciarie che da sempre controllano il mercato dei cereali e degli altri prodotti per la colazione, in particolare parliamo di biscotti, merendine, creme spalmabili, latte, e altro. Sappiate solo che ad oggi esiste un documento ufficiale del Ministero della Salute italiano, chiamato Obiettivi condivisi per il miglioramento delle caratteristiche nutrizionali dei prodotti alimentari con particolare attenzione alla popolazione infantile (3-12 anni) dove si dà l’impressione di cercare un miglioramento dei profili nutrizionali di vari alimenti, compresi i cereali da colazione, indicando una progressiva riduzione negli anni dei valori di zuccheri, grassi, sale (e aumento di fibre), ma dove ancora si afferma che cereali con 30 grammi di zucchero aggiunto (su 100g di alimento) sono dei cibi sani, nutrienti ed equilibrati. Trenta grammi di zucchero equivale, per chi non sapesse, a 6 zollette o 6 cucchiaini di zucchero aggiunto ogni 100g di cereale. Un quantitativo davvero spaventoso e ben lontano dalle nuove soglie fissate addirittura in America, la patria dello zucchero, dell’obesità e delle malattie cardiovascolari e diabete.
Il problema di questo documento ministeriale è che è stato redatto e concordato assieme all’industria e alle aziende che producono cereali e altri dolciumi, oltre che latte. Basta vedere a fine documento in basso, dove compaiono i nomi dei soggetti firmatari del documento: associazioni di produttori di dolciumi (AIDEPI), associazioni di produttori di bibite gassate analcoliche (ASSOBIBE), di snack e succhi di frutta (AIIPA), di latte (ASSOLATTE). Insomma, non decidono gli esperti ministeriali di salute, ma il Ministero della Salute in accordo con l’industria. Una commistione alquanto imbarazzante e che personalmente trovo contraddittoria e rischiosa per le politiche di salute pubblica.
La prova tangibile che anche i cereali in vendita in Italia sono eccessivamente ricchi di ingredienti non salutari è data dalle seguenti foto che ho scattato al supermercato, dove vedrete sia quelli destinati in prevalenza all’uso da parte dei bambini, sia quelli indirizzati maggiormente nelle pubblicità agli adulti. Il quantitativo di zuccheri supera sempre di circa 3 o 4 volte quello che è il massimo consigliato negli USA. Osservate nelle immagini sia i grammi di zucchero su 100g che quelli riferiti alla porzione da 30 grammi, sono sempre altissimi e fuori soglia se li paragoniamo alle ultime indicazioni che provengono dalla FDA americana. Insomma, in Italia consideriamo sano ciò che negli USA è visto oggi come nocivo. A quando anche da noi un bell’aggiornamento?









