sabato 23 Novembre 2024
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Riparte il “modello Riace”: dopo l’odissea giudiziaria Mimmo Lucano torna sindaco

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Dopo una vicenda giudiziaria durata quasi sette anni, arriva il doppio riscatto per Mimmo Lucano. Il tre volte sindaco di Riace ha infatti trionfato tanto alle elezioni europee 2024 quanto alle amministrative per il rinnovo del sindaco del Comune reggino, tornando a sedersi sul posto del primo cittadino dopo sei anni. La duplice vittoria di Lucano si configura in tal senso come una chiara manifestazione della volontà dei cittadini di mostrare supporto nei confronti di una figura politica che nel suo piccolo è stata centrale nella vita del Paese e della Calabria. Una riabilitazione che arriva dopo quella che sembra essere stata a tutti gli effetti una campagna di delegittimazione, e che mette il punto a una lunga e tortuosa vicenda al centro di una storia che grida vendetta.

I primi mandati e l’elaborazione del modello Riace

L’ingresso del Villaggio globale di Riace nel 2017

Mimmo Lucano muove i suoi primi passi nell’universo della politica e dell’attivismo nel 1999, anno in cui fonda con altri cittadini di Riace l’associazione Città Futura, che aveva l’intento di riaprire le case abbandonate di Riace superiore e restituire alla comunità cittadina la propria identità. L’anno seguente entra in consiglio comunale tra le forze di minoranza, e quattro anni dopo, nel 2004, diventa per la prima volta Sindaco di Riace. Da quel momento, ricopre la carica di primo cittadino fino al 2018, venendo riconfermato in due ulteriori tornate. Nel corso dei suoi quasi quindici anni da Sindaco, Mimmo Lucano si è fatto promotore di quello che col tempo ha preso il nome di “Modello Riace”, un sistema di accoglienza dei migranti aperto che avanzava diverse misure volte a promuovere l’integrazione dei richiedenti asilo con il tessuto della comunità. Tra le tante iniziative, l’adesione alla rete SPRAR (Sistema di protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) del Ministero dell’Interno, l’ottenimento di fondi regionali e finanziamenti per la ristrutturazione delle abitazioni dismesse, e la collaborazione con varie associazioni per fornire ospitalità alle persone migranti inserendole all’interno del mondo del lavoro mediante l’istituzione di laboratori di artigianato di varia natura. Riace era arrivata ad accogliere nei suoi momenti di picco oltre 500 migranti tutti insieme, ma il numero totale di coloro che vi ci sono transitati è arrivato a diverse migliaia di persone.

Le vicende giudiziarie

Un flash mob di solidarietà per Mimmo Lucano

Il modello Riace è stato lodato in varie aree del mondo ed è stato preso come esempio da numerosi altri comuni italiani e internazionali, e grazie a esso Lucano è finito più di una volta su una serie di classifiche riguardanti i migliori e più influenti sindaci e leader del mondo. Questo tuttavia non significa che sia stato esente dalle critiche, o immune dalle accuse. Il modello Riace, e conseguentemente lo stesso Mimmo Lucano, sono infatti stati al centro di una lunga vicenda giudiziaria durata circa sette anni. Tutto inizia nel dicembre 2016, quando i verbali del prefetto di Locri riportano anomalie nel funzionamento del sistema. A ottobre del 2017 Lucano viene registrato nella lista degli indagati della Procura con le accuse di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ai danni dello Stato e dell’Unione Europea, concussione, e abuso d’ufficio.

Il 2 ottobre 2018 il Sindaco viene sottoposto agli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta coordinata dalla Procura di Locri con le accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e affidamento fraudolento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti a due cooperative della zona, la Eco-Riace e L’Arcobaleno, dall’ottobre 2012 fino all’aprile 2016. Successivamente, i domiciliari sono stati trasformati in divieto di dimora dal Tribunale del Riesame e ancora dopo annullati dalla Corte di Cassazione. Nel settembre del 2021 il Tribunale aveva inflitto a Lucano una pena di 13 anni e 2 mesi di reclusione, quasi il doppio di quanto chiesto dall’accusa, stravolgendo però l’impianto dei PM, e condannando Lucano per associazione a delinquere, peculato, abuso d’ufficio e falso in atto pubblico, assolvendolo invece per le accuse di concussione e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. A ottobre 2023, tuttavia è stata ribaltata la pronuncia del Tribunale, mentre lo scorso aprile è stata la volta del modello Riace, che è stato riabilitato.

La doppia vittoria, e le sfide future

Dopo anni di turbolenze, la doppia vittoria elettorale di Lucano si configura come una sorta di riscatto per il Sindaco di Riace. Per le elezioni europee, Lucano era candidato con la lista di Alleanza Verdi-Sinistra, capolista nella circoscrizione meridionale, e in lista nelle circoscrizioni nordest, nordovest, e isole. In sede elettorale ha ricevuto circa 190.000 preferenze. In Europa Lucano ha detto che vorrà portare il modello Riace, e con ogni probabilità porterà avanti i dettagliati punti del programma di AVS sulla gestione del fenomeno migratorio. Anche nella sua stessa cittadina, proprio in virtù della sua riabilitazione, il modello di gestione dei richiedenti asilo potrebbe venire reintegrato. A Riace Lucano ha ricevuto il 46,3% delle preferenze. Avendo il comune meno di 15.000 abitanti, le cariche di europarlamentare e di sindaco non confliggono, e Lucano potrà mantenere entrambe le cariche.

[di Dario Lucisano]

Francia, no alleanza con Le Pen: Repubblicani espellono capogruppo

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Nel corso di un vertice svoltosi questo pomeriggio, i membri del partito francese Les Républicains hanno espulso il leader Éric Ciotti, dopo che questi aveva cercato un accordo con il partito Rassemblement National di Marine Le Pen per fare fronte unico contro Macron alle elezioni convocate per il prossimo 30 giugno. La decisione è stata presa all’unanimità, ma Ciotti ha comunque riferito l’intenzione di non abbandonare l’incarico e ordinato l’immediata chiusura della sede di Parigi.

La guerra per la lingua

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In questi giorni è uscito un saggio pubblicato da Einaudi: La guerra per la lingua; l’ho acquistato d’impulso e adesso dal mio comodino occhieggia la quarta di copertina che recita: «chi riesce a controllare la lingua, deciderà ciò che pensa la gente». La lingua è il terreno di scontro della politica. E la lingua che usiamo è sempre una questione politica, di un certo tipo di politica almeno. La lingua usata nei giornali, nelle radio, nelle televisioni, la lingua d’elezione delle classi dirigenti rivela molto sulla politica interna ed estera di un paese. 

Oggi leggere i giornali significa barcamenarsi tra una sfilza di anglicismi come long war, jobs act, green economy, recovery plan, calchi linguistici e pessimi adattamenti come il caso di smart working, letteralmente lavoro intelligente che in italiano chissà perché ha preso il significato di lavoro da remoto. Il compianto linguista Tullio de Mauro nel 2016 parlava di tsunami anglicus; per il professor Jeffrey Earp gli italiani usano l’inglese «più per mostrarsi colti o moderni che per comunicare nella maniera più chiara possibile».

Ne sono stati scritti a migliaia di articoli sugli anglicismi, qual è allora la necessità di tornare a rimarcare un fenomeno su cui è stata già stata spesa un’abbondanza di parole? Quando si parla di anglicismi si lancia sempre un appello accorato in difesa della lingua italiana, quasi mai ci si arrischia ad analizzare fino in fondo questo fenomeno. Sembra un aspetto marginale, mentre sta esattamente al centro del delicatissimo sistema socio-politico e socio-culturale di un paese. Ma per capirlo fino in fondo bisogna fare un passo indietro e andare a ripescare un classico della letteratura russa: Guerra e pace

Chi legge per la prima volta Guerra e Pace non può non sentirsi confuso, spaesato, perfino infastidito. Il famoso ricevimento di Anna Pavlovna che dà il là al romanzo è scritto quasi interamente in francese. Nel salotto della leonessa di Pietroburgo gli invitati parlano in francese. Metà delle frasi sono in francese, l’altra metà abbonda di parole come mon ami, chère, charmant, ridicule, caustique, ma tante.  Non si tratta di una trovata letteraria, Tolstoj, da maestro del realismo qual era, ha descritto fedelmente l’atteggiamento linguistico della nobiltà russa. Nel XIX secolo il francese ha conquistato la Russia diventando la lingua ufficiale dell’aristocrazia. Parlare in francese è una moda, un lusso, un segno distintivo. Al contrario l’eroe del romanzo, Pierre, usa di rado il francese, perché crede nell’uguaglianza tra gli uomini e non ritiene di doversi dimostrare superiore a nessuno, nemmeno alla servitù. 

Che cosa contiene allora la lingua, che cosa custodisce, che cosa esprime? Una cultura. La lingua riflette un’identità culturale, innata, mancante o acquisita. Nel II secolo d.C. il greco diventa la lingua d’elezione di un’altra identità culturale e politica. Ai tempi dell’irriverente Luciano di Samosata che ridicolizza questo fenomeno, parlare in greco significava appartenere a quell’élite di intellettuali – allora chiamati neosofisti – che contrapponevano la propria grecità al potere politico romano. 

Gli esempi storici non mancano e ci vorrebbe un’analisi molto accurata, oggi mi limito a dire che la lingua è da sempre ed è sempre stata una questione politica. Quando una cultura ne assorbe e ne soppianta un’altra, lo fa lo attraverso la lingua. Chi conquistava una terra aveva il diritto d’imporre sul popolo assoggettato la sua lingua. Il conquistatore impone la sua lingua, il conquistato la subisce. Nel racconto biblico Dio dà ad Adamo il compito di dare un nome agli animali. Adamo è il primo uomo, il primo della sua dinastia. Dio lo nomina «signore degli animali e delle creature del paradiso terrestre» e in quanto signore ha il diritto d’imporre il nome a tutte le creature che fanno parte del suo regno. Nell’antica Grecia si credeva che un uomo potesse acquisire potere su un altro apprendendone il nome. Quando gli antichi romani volevano cancellare la memoria di una persona, ne cancellavano il nome. I nomi hanno potere. Noi acquisiamo potere sulle cose dandogli un nome. Dire è creare, ma è anche avere potere sulle cose. 

L’incipit di Lolita, il celebre romanzo di Nabokov, ha inizio proprio con un cambiamento di nome: «Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. […] Era Dolores sulla linea punteggiata dei documenti. Ma nelle mie braccia fu sempre Lolita». Humbert Humbert dà alla sua figlioccia dodicenne il nome di Lolita. La fantasia morbosa di Humbert prende possesso di Dolores, si appropria della sua identità, della sua storia, la modella a suo piacimento e lo fa innanzitutto dandole un altro nome. Dolores dunque diventa Lolita. 

Assegnare un nome alle cose, nominarle e rinominarle, lasciare su di esse l’impronta della propria lingua è un atto di possesso, di conquista, di supremazia. La lingua è uno strumento di controllo di sociale: i regimi in ogni tempo ed epoca hanno maneggiato, rivoltato e tentato di togliere significato alle cose e di chiamarle con un altro nome. E le trasformazioni linguistiche riflettono l’avvicendarsi di primati culturali e supremazie politiche. Il linguaggio musicale abbonda di parole italiane, testimonianza dell’influenza che l’Italia esercitò sul canto e la musica; in ambito informatico la supremazia americana è stata indiscussa e questa supremazia si è tradotta in una «lingua informatica» mutuata direttamente dall’inglese. L’inglese però è anche la lingua della finanza, dell’economia, della politica, dell’industria farmaceutica, della sanità. Già, ma perché? Perché gli Stati Uniti esercitano un’egemonia su finanza, economia, politica, sanità

Cosa rivela allora la massiccia influenza di una lingua su un’altra? Una sudditanza psicologica, culturale e politica. Difficile negare l’influenza degli Stati Uniti sulla vita politica italiana e di riflesso sulla cultura italiana e sulla nostra lingua. Viviamo all’ombra di una civiltà più forte, dinamica e agguerrita della nostra che ha affermato su di noi la sua egemonia. E lo fa attraverso le nostre classi dirigenti. I vettori principali dell’immissione di parole inglesi nella nostra lingua sono la televisione, la radio, i giornali, la politica, le istituzioni. Apparati che dall’alto propagano messaggi verso il basso e che già per Pasolini rappresentavano l’opinione e la volontà di un’unica fonte d’informazione: quella del Potere. 

In definitiva non è possibile criticare e contestare l’uso sproporzionato di parole inglesi nella nostra lingua, se non mettiamo prima in discussione i nostri rapporti politici e culturali con la nazione che ne è l’origine. 

[di Guendalina Middei, in arte “Professor X”]

Al primo vertice degli Esteri, i BRICS+ discutono le basi del nuovo ordine globale

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Nella città russa di Nizhny Novgorod si è svolta una riunione di due giorni dei Ministri degli Esteri dei Paesi aderenti al gruppo dei BRICS, presieduta dal massimo diplomatico russo, Sergey Lavrov. Si tratta del primo incontro, dopo l’espansione del gruppo nel 2023, a cui hanno partecipato i nuovi membri, ossia Emirati Arabi Uniti, Iran, Egitto ed Etiopia. L’Arabia Saudita, invece, non ha ancora sottoscritto formalmente l’ingresso e ha partecipato come membro esterno. Il vertice, che si è concluso con una dichiarazione congiunta in 54 punti, ha avuto al centro una serie di questioni che, nel ...

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Una ricerca rivela come l’inquinamento farmaceutico marino influisce sulla psiche dei pesci

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Da pesci che perdono la paura dei predatori e diventano meno attraenti per i potenziali compagni fino a trote “dipendenti” dalla metanfetamina e persino a popolazioni ittiche al collasso per colpa del principio attivo della pillola contraccettiva: l’inquinamento causato da farmaci e droghe è un fenomeno che non può più essere ignorato. L’allarme è stato lanciato sulla rivista scientifica Nature da un gruppo di scienziati del settore, i quali hanno avvisato che tali contaminazioni si verificano anche negli organismi che spesso finiscono sulle nostre tavole. Una buona strategia per combattere l’emergenza – spiegano i ricercatori – sarebbe impegnarsi per riformare la produzione dei farmaci, fornire maggiori informazioni riguardo alle potenziali ricadute sugli ecosistemi e preferire lo sviluppo di medicinali progettati per degradarsi più rapidamente dopo l’uso.

Dalla caffeina agli ansiolitici, agli antidepressivi e antipsicotici fino a particolari principi attivi come quello della pillola contraccettiva, troppe sostanze contenute all’interno dei farmaci stanno entrando negli ecosistemi, accompagnate perlopiù da droghe come cocaina e metanfetamina. È così che, come riportano diversi studi sottoposti a revisione paritaria e pubblicati in questi anni, alcune trote sono diventate “dipendenti”, altri organismi hanno perso la paura dei predatori a causa dell’assunzione di determinate sostanze contenute negli antidepressivi e alcune popolazioni ittiche hanno registrato il fenomeno dell’inversione del sesso – ovvero lo sviluppo di organi femminili nei maschi – portando ad enormi collassi demografici e ad estinzioni locali. Per questo motivo un team di ricercatori ha lanciato l’allarme riportato sulla rivista Nature e citato da The Guardian chiedendo di «progettare farmaci più ecologici». Michael Bertram, professore presso l’Università svedese di scienze agrarie e coautore, ha spiegato che il problema è aumentato negli ultimi decenni e che ora si tratta di una “questione globale per la biodiversità” che merita maggiore attenzione: «I principi attivi farmaceutici si trovano nei corsi d’acqua di tutto il mondo, compresi gli organismi che potremmo mangiare. Ci sono alcuni percorsi attraverso i quali queste sostanze chimiche entrano nell’ambiente. Se i farmaci rilasciati durante la produzione vengono trattati in modo inadeguato, questo è un modo. Un altro è durante l’uso. Quando un essere umano prende una pillola, non tutto il farmaco viene scomposto nel nostro corpo e quindi, attraverso i nostri escrementi, gli effluenti vengono rilasciati direttamente nell’ambiente».

Quindi – scrivono i ricercatori – c’è bisogno di progettare farmaci più ecologici che mantengano l’efficacia ma minimizzino l’impatto ambientale, in quanto la contaminazione degli ecosistemi data dai principi attivi sta diventando «sempre più persuasiva», causando cambiamenti significativi ed inaspettati nel comportamento e nell’anatomia di alcuni animali. «Viviamo in un mondo sempre più medicalizzato. I prodotti farmaceutici sono indispensabili nell’assistenza sanitaria moderna, avendo rivoluzionato la prevenzione e il trattamento delle malattie, e rimarranno cruciali anche in futuro», scrivono gli scienziati, aggiungendo però che il prezzo da pagare è notevole: «Gli scarichi nell’ambiente durante la produzione, l’uso e lo smaltimento dei farmaci stanno riversando miscele di ingredienti farmaceutici attivi, nonché di loro metaboliti, e di additivi, adiuvanti, eccipienti e prodotti di trasformazione». Di esempi, purtroppo, ce ne sono fin troppi e tra questi Bertram ha citato il caso del Diclofenac, ovvero un antinfiammatorio somministrato al bestiamo dell’Asia meridionale che ha causato una diminuzione di popolazione di avvoltoi in India di oltre il 97% tra il 1992 ed il 2007. Altri esempi includono casi di contaminazione dal principio attivo della pillola contraccettiva come quello registrato in un lago nell’Ontario in Canada, pesci che hanno registrato ansia dopo essere stati esposti a caffeina ed inquinamento da antibiotici e quelli riportati da un altro studio recente, il quale ha misurato ben 61 farmaci diversi provenienti da fiumi in oltre mille località dove nel 43,5% dei casi i livelli registrati superavano quelli considerati sicuri.

Gli autori hanno concluso suggerendo diverse strategie per contrastare il fenomeno: il ciclo di vita della produzione dei farmaci dovrebbe essere completamente riformato e farmacisti, medici, infermieri e veterinari dovrebbero essere informati e informare gli utilizzatori riguardo ai potenziali impatti ambientali. Inoltre, i medicinali dovrebbero essere progettati per degradarsi più facilmente dopo l’uso e il trattamento delle acque reflue dovrebbe essere ampliato per impedire che l’inquinamento di determinati principi attivi intacchi l’ecosistema. «I farmaci più ecologici riducono il potenziale di inquinamento durante l’intero ciclo. I farmaci devono essere progettati non solo per essere efficaci e sicuri, ma anche per avere un rischio potenziale ridotto per la fauna selvatica e la salute umana quando presenti nell’ambiente», ha concluso Gorka Orive, scienziata e professoressa di farmacia presso l’Università dei Paesi Baschi e coautrice del documento pubblicato su Nature.

[di Roberto Demaio]

Napoli, 11 misure cautelari per legami con la camorra

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In seguito a una inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, sono state varate 11 misure cautelari nei confronti di alcuni membri del clan camorrista dei Contini, uno dei gruppi della cosiddetta “alleanza di Secondigliano”. Nello specifico, otto persone sono state arrestate e tre sono state messe agli arresti domiciliari, tutte accusate di associazione mafiosa e trasferimento fraudolento di valori. Secondo l’inchiesta gli indagati avrebbero aiutato il clan a ottenere il controllo operativo dell’ospedale San Giovanni Bosco della città, tanto tra i corridoi dell’ospedale, quanto nella gestione della struttura, sospettata di essere al centro di un cospicuo giro di spaccio.

Biden ha revocato il divieto di usare armi americane ai neonazisti del battaglione Azov

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L’amministrazione guidata dal presidente Joe Biden ha deciso di rimuovere il battaglione Azov dai gruppi a cui è vietata la vendita di armi statunitensi. Lunedì, il Dipartimento di Stato USA ha infatti dichiarato che sarà consentita la consegna di armamenti al gruppo neonazista, invertendo quindi una politica di lunga data. La decisione sembra avere una portata decisamente simbolica, più che pratica: il battaglione Azov è, ormai da anni, parte integrante dell’esercito ucraino, motivo per cui sembra difficile che gli sia stato impedito di utilizzare le armi che gli Stati Uniti hanno fornita all’Ucraina nel corso di questi anni. La notizia è però rilevante se si pensa che il battaglione neonazista era stato inserito nella lista nera in base alla Legge Leahy, che vieta agli Stati Uniti di fornire aiuti alle unità militari straniere anche solo sospettate di violazioni dei diritti umani. In questo modo, gli USA tornano a legittimare un gruppo neonazista che si è macchiato di gravi crimini contro l’umanità.

«Dopo un’attenta revisione, la 12a brigata Azov delle forze speciali ucraine ha superato il controllo Leahy effettuato dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti», ha dichiarato il dipartimento in una nota ottenuta dal Washington Post. In base a questo, gli Stati Uniti consentiranno quindi alla Brigata Azov dell’esercito ucraino di utilizzare le armi statunitensi per combattere contro la Russia. La decisione ribalta quindi una politica che andava avanti da circa 8 anni, ovvero da quando il Dipartimento di Stato statunitense decise di inserire il battaglione paramilitare Azov, di chiara ideologia neonazista, nella lista nera di quelle organizzazioni che non possono ricevere aiuti o forniture militari americane a causa del loro comportamento lesivo dei diritti umani, senza però averle inserite nelle organizzazioni terroristiche. Infatti, in base alla base alla Legge Leahy, che vieta agli Stati Uniti di fornire aiuti alle unità militari straniere anche solo sospettate di violazioni dei diritti umani, l’organizzazione neonazista Avoz era stata inserita nella lista nera a causa delle varie, ed accertate, violazioni di tali diritti. Amnesty InternationalHuman Rights Watch e persino le Nazioni Unite hanno infatti, nel corso degli anni passati, denunciato le indicibile violenze commesse dai vari gruppi neonazisti impegnati, fin dal 2014, nella guerra contro la regione orientale filo-russa dell’Ucraina, il Donbass. Tra queste, vengono elencate accuse quali detenzione arbitraria, torture, omicidi e molte altre. Anche l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), nel 2016, redasse un report sui crimini di guerra commessi dalle forze armate e di sicurezza ucraine nei confronti delle popolazioni russofone.

L’aver preso parte al conflitto ha permesso a questi gruppi di accrescere i propri consensi tra la popolazione ucraina, nonostante le loro visioni politiche razziste e intolleranti (o forse anche grazie ad esse). Negli anni, questi gruppi sono stati inoltre capaci di ampliare le loro influenze politiche: parti di queste milizie, che includono anche bambini sono state integrate nell’esercito ucraino. La legittimazione di Azov da parte della politica ha fatto sì che tale gruppo divenisse parte integrante della Guardia nazionale ucraina, che riferisce direttamente al ministero dell’Interno. Azov inoltre possiede un’ala politica (il Corpo nazionale) e tutta una rete subculturale fatta di centri sociali, palestre, scuole di addestramento e circoli, come un moderno partito di massa. Come spiegato nell’inchiesta condotta da L’Indipendente nel maggio del 2022, Azov è l’epicentro di una rete solida e strutturata che connette battaglioni ucraini ormai noti come Azov e Pravyï Sektor a centinaia di fazioni alleate in tutto il mondo, da molti Stati europei – Italia inclusa – passando per gli Stati Uniti, fino a Canada, Brasile, Hong Kong e persino Israele. Il filo che lega questi movimenti neofascisti e neonazisti in giro per il mondo forma una vasta rete che ben facilmente potremmo chiamare Internazionale Nera.

In parte, ciò è stato reso possibile anche grazie all’enorme flusso di denaro da parte dei Paesi occidentali, così come dall’addestramento fornito a tali gruppi. Secondo un rapporto dell’Istituto per gli Studi Europei, Russi ed Eurasiatici (IERES) della George Washington University, pubblicato nel settembre 2021, Canada, Stati Uniti, Francia, Regno Unito e altri Paesi occidentali avrebbero aiutato a formare estremisti di estrema destra in Ucraina. Il rapporto ha rilevato che i membri di Centuria (organizzazione di estrema destra intenzionata a rimodellare l’ideologia dell’esercito ucraino) hanno ricevuto addestramento dai Paesi occidentali sia quando si trovavano all’estero, sia mentre erano all’Accademia dell’esercito nazionale di Hetman Petro Sahaidachny (NAA). La NAA riceve e ha accesso a finanziamenti e formazione da numerosi Paesi occidentali, finanziamenti che, a seguito delle tensioni con la Russia, sono notevolmente aumentati. Europa e USA, di fatti, al fine di indebolire il nemico russo, non pare si siano fatti problemi non solo ad accettare, ma anche a cooperare con gruppi neonazisti. Centuria si descrive come un ordine militare di «tradizionalisti europei» che mirano a «difendere» la «identità culturale ed etnica» dei popoli europei contro «politici e burocrati di Bruxelles». Il gruppo è guidato da persone che hanno stretti legami con il battaglione Azov e alcuni dei suoi membri avrebbero sostenuto corsi di addestramento all’estero. Nel report vengono infatti citate l’Accademia militare di Sandhurst, Regno Unito e l’Accademia degli ufficiali dell’esercito tedesco (Die Offizierschule des Heeres, OSH) a Dresda, in Germania.

Insomma, visti i fatti storici, risulta difficile che Azov non abbia, nel corso di questi anni, continuato a beneficiare delle armi che gli Stati Uniti hanno inviato copiosamente in Ucraina, nonostante il ban imposto dal Congresso statunitense. L’annuncio però da certamente un segnale politico forte, tornando a legittimare un gruppo neonazista che si è macchiato di gravi crimini contro l’umanità.

[di Michele Manfrin]

Per la prima volta la concentrazione del gas che causa il buco dell’ozono sta diminuendo

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Dopo circa 30 anni che si cerca di eliminare gradualmente gli idroclorofluorocarburi, gas nocivi che riducono lo strato di ozono e riscaldano il pianeta, i ricercatori hanno rilevato per la prima volta un calo significativo dei livelli di tali sostanze nell’atmosfera e una conseguente riduzione del potenziale di riduzione dello strato di ozono: lo riporta una nuova ricerca condotta da scienziati dell’Università di Bristol e pubblicata sulla rivista scientifica Nature. Gli autori hanno spiegato che le concentrazioni globali di tali gas hanno a raggiunto il picco nel 2021 – cinque anni prima del previsto – e che da allora è stato registrato un declino che rappresenta una “pietra miliare” significativa per bloccare le pericolose radiazioni solari ultraviolette. «Questa è una notevole storia di successo che mostra come le politiche globali stiano proteggendo il pianeta», ha commentato Veerabhadran Ramanathan, uno scienziato del clima presso l’Università della California non coinvolto nello studio.

Fu più di 50 anni fa quando i ricercatori si accorsero che si stava formando uno buco nello strato di ozono sopra l’Antartide, consentendo a radiazioni pericolose e cancerogene di raggiungere la superficie terrestre. L’ozonosfera, infatti, è uno schermo fondamentale la cui formazione avviene principalmente alle latitudini tropicali e che ha permesso lo sviluppo ed il mantenimento della vita sulla Terra, in quanto assorbe del tutto la componente UV-C e per il 90% la UV-B delle radiazioni ultraviolette solari, le quali possiedono un effetto sterilizzante per moltissime forme di vita. La riduzione di tale strato si verifica principalmente per colpa di composti alogenati di fonte antropica, i quali raggiungono la stratosfera e strappano un atomo di ossigeno dalle molecole di ozono degradandole a normale ossigeno molecolare. Tra i principali colpevoli furono individuati i clorofluorocarburi (CFC), che con un singolo atomo di cloro potevano distruggere migliaia di molecole di ozono e rimanere in atmosfera per centinaia di anni.

Ciò portò i governi a firmare il Protocollo di Montreal nel 1987, ovvero il trattato ambientale internazionale che prevede di eliminare gradualmente la produzione di CFC. Ciò portò i paesi più ricchi a fermare la produzione e fornire assistenza alle nazioni a basso reddito, fino ad arrivare al divieto raggiunto nel 2010. Tuttavia, tali sostanze furono sostituite da altri composti – gli idroclorofluorocarburi (HCFC) – che hanno un decimo del potenziale di riduzione dell’ozono ma che potrebbero risultare responsabili di altri danni tutt’altro che indifferenti. Ciò portò alla decisione di abbandonare anche queste sostanze e questa transizione – alla luce dei nuovi dati inseriti nello studio Nature – ha avuto «un discreto successo» secondo Luke Western, ricercatore dell’Università di Bristol e coautore. Lo scienziato ha spiegato che ci vogliono decenni prima che i divieti di produzione si traducano in un minor numero di prodotti venduti e quindi in un minor numero di HCFC nell’atmosfera.

Tale fenomeno sembra essersi avverato proprio in questi anni, visto che analizzando i dati dei programmi globali di monitoraggio dell’aria si è scoperto che tali sostanze hanno raggiunto il picco nel 2021 e sono diminuite da allora. «Questa pietra miliare è una testimonianza del potere della cooperazione internazionale. Per me, questo segnala il potenziale per fare molto di più e mi dà speranza per il clima», ha commentato Avipsa Mahapatra, direttore della campagna per il clima dell’Environmental Investigation Agency, Ong fondata dal 1984 che mira a indagare e rendere noti i crimini contro l’ambiente e la fauna selvatica. Ha poi aggiunto che il successo del Protocollo di Montreal potrebbe ispirare gli sforzi per frenare altri tipi di inquinamento che riscaldano il pianeta visto che l’accordo avrebbe il merito di aver evitato milioni di casi di cancro alla pelle e fino ad un grado Celsius in più di riscaldamento. Infine però Mahapatra ha aggiunto che, nonostante la buona notizia, «il lavoro non è ancora finito» in quanto proprio come gli HCFC hanno sostituito i CFC, adesso sono in uso gli idrofluorocarburi (HFC) che sono comunque considerati “super inquinanti climatici”. In definitiva – ha aggiunto il coautore Luke Western – la transizione dai combustibili fossili sarà molto più complessa che frenare la produzione di sostanze che riducono lo strato di ozono visto che il Protocollo riguardava un’industria relativamente piccola e richiedeva alle aziende solo di cambiare i loro prodotti, non l’intera attività. Con il cambiamento climatico, «in un certo senso ci si trova di fronte a una bestia più grande», ha poi concluso.

[di Roberto Demaio]

Libano, ucciso un leader di Hezbollah: in risposta dozzine di razzi

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Nella notte tra martedì e mercoledì Israele ha lanciato un attacco aereo nell’area meridionale del Libano, presso la città di Jouaiya, uccidendo quattro persone, tra cui Taleb Sami Abdallah, uno dei comandanti dell’organizzazione. Dai continui attacchi intensificatisi a partire dall’escalation del 7 ottobre, quella di questa notte risulta “l’uccisione più rilevante” di un membro di Hezbollah. Questa mattina è arrivata la risposta dell’organizzazione libanese, che ha scagliato un’ingente offensiva nell’area settentrionale di Israele. Il portavoce dell’esercito di Tel Aviv Daniel Hagari avrebbe detto che novanta colpi sarebbero stati sparati dal Libano, causando diversi incendi. Per ora non sono stati registrati “gravi danni” o vittime.

USA, possesso illegale di armi: Hunter Biden giudicato colpevole

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Hunter Biden, il figlio del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, è stato giudicato colpevole da un tribunale del Delaware di tutti e tre i capi d’imputazione per i quali è finito a processo dopo avere acquistato una pistola senza dichiarare la sua tossicodipendenza dal crack. L’uomo rischia ora una condanna fino a 25 anni di carcere, oltre a 750mila dollari di multa. A ogni modo, la pena potrebbe essere inferiore, dal momento che si tratta di un soggetto incensurato. È la prima volta che il figlio di un presidente in carica viene processato e giudicato colpevole.