mercoledì 10 Dicembre 2025
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Gaza: saltano i colloqui di pace, per gli USA è tutta colpa di Hamas

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Ieri, 24 luglio 2025, i colloqui di pace tra Israele, Stati Uniti e Hamas si sono interrotti bruscamente, con Washington e Tel Aviv che hanno ritirato le proprie delegazioni, accusando Hamas di mancare di volontà per una soluzione pacifica. I negoziati, iniziati due settimane prima, miravano a stabilire una tregua di 60 giorni, con l’intento di fermare le violenze e aprire corridoi umanitari per la popolazione di Gaza, gravemente provata dai massacri israeliani e dall’incombente carestia dovuta ai blocchi degli aiuti umanitari. Le richieste di Hamas, che chiedevano il ritiro dei militari israeliani dai territori palestinesi e garanzie sull’ingresso a Gaza degli aiuti, sono state rifiutate dagli interlocutori. A Gaza, dunque, l’inferno continua.

L’annuncio dell’interruzione dei colloqui in Qatar per il cessate il fuoco a Gaza è stato dato dall’inviato speciale della Casa Bianca per il Medio Oriente, Steve Witkoff, il quale ha puntato il dito contro Hamas, accusando il gruppo palestinese di «non agire in buona fede» e manifestare «mancanza di volontà» per il raggiungimento dell’accordo. Witkoff, inviato dell’amministrazione Trump, ha aggiunto che gli USA «prenderanno in considerazione opzioni alternative» per garantire il rilascio degli ostaggi israeliani. Alti funzionari di Tel Aviv hanno dichiarato che «il ritorno della delegazione da Doha non indica un fallimento dei negoziati: continueranno, ma significa che ci sono lacune significative e dobbiamo riflettere sul da farsi e prendere decisioni difficili». Eppure, l’esecutivo di Tel Aviv sembra volersi muovere in tutt’altra direzione: «L’intera Gaza sarà ebraica… il governo sta spingendo affinché Gaza venga cancellata. Grazie a Dio, stiamo estirpando questo male – ha dichiarato il ministro israeliano ultranazionalista Amihai Ben-Eliyahu -. Stiamo spingendo la popolazione che si è istruita sul Mein Kampf».

Hamas, che ha ripetutamente accusato Israele di voler bloccare il percorso verso l’accordo di cessate il fuoco, si è detta sorpresa dalle dichiarazioni di Witkoff. In vista del rilascio degli ostaggi israeliani, il gruppo palestinese aveva avanzato una serie di proposte a dir poco basilari: secondo i media israeliani, esse avrebbero incluso richieste relative al numero di prigionieri scambiati, alle agenzie autorizzate alla distribuzione degli aiuti a Gaza e alla fine definitiva della guerra, con il ritiro completo delle forze israeliane dai territori palestinesi. Un funzionario palestinese vicino ai colloqui ha dichiarato a Reuters che la risposta di Hamas è stata «flessibile, positiva e ha tenuto conto delle crescenti sofferenze a Gaza e della necessità di porre fine alla carestia». Il blocco israeliano, che impedisce l’ingresso di aiuti umanitari e rende quasi impossibile la fornitura di beni di prima necessità, sta aggravando la crisi umanitaria a Gaza. Organizzazioni internazionali hanno lanciato numerosi appelli, denunciando l’ostruzione degli aiuti da parte di Israele e le gravi condizioni in cui si trovano i civili palestinesi. La scarsità di cibo, acqua potabile e medicinali ha portato a una crisi senza precedenti, dove ogni giorno si contano nuove vittime innocenti, in gran parte donne, bambini e anziani.

Nel frattempo, con mesi di ritardo, continua a muoversi qualcosa nei Paesi del blocco occidentale. Sempre nella giornata di ieri, il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato che la Francia riconoscerà lo Stato di Palestina, diventando il primo Paese del G7 a farlo. L’annuncio ufficiale sarà fatto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a settembre. Macron ha sottolineato che il riconoscimento è parte dell’impegno della Francia per una pace giusta e duratura in Medio Oriente, ma ha evidenziato l’urgenza di fermare la guerra a Gaza, salvare i civili e smilitarizzare Hamas. La decisione è arrivata dopo il ritiro di Israele e degli Stati Uniti dai colloqui di cessate il fuoco in Qatar. La mossa è stata duramente criticata dagli Stati Uniti e da Israele. Nelle ultime ore, inoltre, il Canada ha condannato il governo Netanyahu per non essere riuscito a impedire quello che il primo ministro Mark Carney ha definito un «disastro umanitario» a Gaza. Il premier canadese ha accusato Israele di aver violato il diritto internazionale bloccando la consegna degli aiuti finanziati dal Canada ai civili nella Striscia.

Maxi-processo NO Tav: attivisti condannati a pagare decine di migliaia di euro

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Una cinquantina di attivisti impegnati nella lotta contro l’Alta Velocità in Val di Susa dovranno versare complessivamente decine di migliaia di euro allo Stato dopo essere stati condannati a processo. A inviare le cartelle di pagamento è stata, da fine giugno, l’Agenzia delle entrate, che ha dato loro 60 giorni di tempo per procedere al versamento. Venti attivisti, quelli con le accuse più gravi, sono stati condannati a pagare 3.000 euro, mentre molti altri dovranno versare cifre inferiori. Il processo contro i NO Tav riguarda i fatti del 27 giugno 2011, quando migliaia di agenti sono stati mandati a sgomberare il presidio di Chiomonte, che bloccava l’avvio dei lavori per la TAV, e quelli della manifestazione tenutasi in risposta il 3 luglio 2011, in cui si verificarono altri scontri con la polizia. In tale cornice, gli agenti arrivarono a utilizzare oltre 4mila lacrimogeni sui manifestanti, 200 dei quali rimasero feriti.

A distanza di quattordici anni dalle proteste contro l’apertura del cantiere per l’Alta Velocità Torino-Lione a Chiomonte, arriva ora il conto per decine di attivisti No Tav. Coinvolti nel cosiddetto maxi-processo, circa 50 militanti stanno ricevendo cartelle esattoriali per spese processuali e ammende: alcune cifre si aggirano intorno ai 3.000 euro, altre sono più contenute, ma si parla complessivamente di decine di migliaia di euro da versare. Il procedimento giudiziario, avviato dopo gli scontri del 27 giugno e del 3 luglio 2011 nei pressi della Libera Repubblica della Maddalena, si è protratto per oltre otto anni tra tutti i gradi di giudizio, concludendosi solo tra il 2023 e il 2025. Nonostante la caduta parziale dell’impianto accusatorio iniziale, sono arrivate condanne e richieste di risarcimento che ora l’Agenzia delle Entrate sta esigendo. In aggiunta, l’Avvocatura dello Stato ha recentemente notificato ai difensori degli imputati una diffida per il pagamento di ulteriori 32mila euro, minacciando atti esecutivi sull’intero importo a carico dei soggetti considerati più solvibili, in virtù della solidarietà del debito. Una clausola che rischia di riversare il peso economico su pochi attivisti.

Guido Fissore, uno dei volti storici del movimento, conferma l’avvio di una raccolta fondi per sostenere chi è colpito da queste richieste. «Abbiamo messo da parte una cassa di resistenza, ma non basta», ha spiegato. Sono previste cene, iniziative solidali e appuntamenti come il Festival dell’Alta Felicità per raccogliere contributi. Il movimento denuncia una strategia repressiva che mira a piegare una lotta popolare radicata sul territorio. Secondo i No Tav, il maxi-processo fu infatti un attacco politico più che giudiziario, volto a disarticolare una mobilitazione capillare e resistente, capace di coinvolgere migliaia di persone in difesa della Valsusa.

Il 3 luglio 2011 è una data incisa nella memoria collettiva del movimento No Tav come uno degli episodi più violenti e controversi nella lunga battaglia contro l’Alta Velocità Torino-Lione. Quel giorno, decine di migliaia di persone si mobilitarono in Valle di Susa per riconquistare simbolicamente l’area della Maddalena di Chiomonte, dove era sorto il cantiere del Tav. La manifestazione degenerò rapidamente in un durissimo scontro con le forze dell’ordine. Decine di agenti rimasero feriti, ma a farne le spese furono soprattutto i manifestanti: si contarono oltre 200 feriti, cinque arresti e un uso massiccio della forza da parte della polizia, che scagliò pietre contro i manifestanti e utilizzò perfino una pala meccanica per fronteggiarli. Dai boschi emersero storie di pestaggi, come quello documentato in un video in cui due attivisti, già fermati, vennero trascinati e picchiati dietro le recinzioni. Uno dei carabinieri responsabili, identificato grazie a un tatuaggio, è stato successivamente rinviato a giudizio.

Documenti interni delle forze dell’ordine, emersi anni dopo grazie a un leak di Anonymous, hanno rivelato che furono lanciati ben 4.357 lacrimogeni, molti dei quali contenenti CS, una sostanza chimica vietata in guerra. Nei file si legge che «i lacrimogeni, seppure in uso così massiccio, si sono rilevati inefficaci nell’allontanamento dei manifestanti» e che ebbero «effetti nefasti» sul personale, dal momento che i filtri delle maschere antigas furono «messi a dura prova dalla lunghezza dell’esposizione (6 ore di scontri, pressoché continuativi)» con «frequentissimi episodi di vomito, irritazione cutanea, intossicazione, stato confusionale transitorio».

Thailandia, evacuate 100mila persone per scontri al confine con Cambogia

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La Thailandia ha evacuato oltre 100.000 persone da quattro province al confine con la Cambogia, teatro da giovedì di intensi scontri armati tra i due eserciti. Le ostilità, che includono sparatorie e bombardamenti, si inseriscono in una disputa territoriale di lunga data tra i due Paesi, peggiorata negli ultimi mesi. Secondo le autorità thailandesi, gli scontri hanno causato finora 15 morti — 14 civili e un militare — e oltre 30 feriti. La Cambogia non ha fornito dettagli su eventuali vittime o evacuazioni nel proprio territorio. Attualmente i due Paesi stanno combattendo in 12 zone: la tensione resta alta lungo la linea di confine.

Il Senegal ha sconfitto il tracoma, principale causa mondiale di cecità infettiva

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Dopo anni di sforzi e interventi mirati, il Senegal ha eliminato il tracoma, malattia infettiva che può causare cecità, come problema di salute pubblica, diventando il nono della regione africana a ottenere tale riconoscimento. Il tracoma è causato dal batterio Chlamydia trachomatis, trasmesso principalmente attraverso superfici contaminate, feci o mosche che entrano in contatto con le secrezioni oculari di una persona infetta. Le sue cause principali sono legate a scarsa igiene, sovraffollamento nelle abitazioni e l'accesso limitato a acqua pulita e servizi igienici. Il tracoma ha afflitto il...

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Inondazioni in Vietnam: almeno 3 morti, allagate 3.700 case

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La tempesta tropicale Wipha ha causato gravi inondazioni nella provincia vietnamita di Nghe An, provocando almeno tre morti e un disperso. Una vittima è stata travolta da una frana, un’altra dalla corrente. La tempesta, la prima di tale intensità a colpire il Vietnam quest’anno, ha aggravato le piogge monsoniche anche nelle Filippine dopo aver colpito Hong Kong e la Cina. Oltre 3.700 abitazioni sono state allagate e 459 danneggiate dai venti. Le immagini diffuse mostrano interi villaggi sommersi. Il Vietnam, esposto ai tifoni, è spesso colpito da disastri naturali durante la stagione delle piogge.

Il Parlamento israeliano vota l’annessione totale della Cisgiordania

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I legislatori della Knesset hanno approvato con 71 voti a favore e 13 voti contrari una mozione non vincolante per l’ordine del giorno a favore dell’annessione della Cisgiordania. La mozione, avanzata dal deputato del Sionismo Religioso Simcha Rothman, dal parlamentare del Likud Dan Illouz e dal parlamentare Yisrael Beytenu Oded Forer, descrive la Giudea, la Samaria e la Valle del Giordano come «parte inseparabile della patria storica del popolo ebraico» e chiede l’applicazione della sovranità israeliana a queste aree. La Cisgiordania è parte integrante di quello che dovrebbe essere lo Stato di Palestina secondo la legge internazionale e secondo la stessa risoluzione dell’ONU – all’epoca accettata da Israele – che nel 1948 decise di dividere in due Stati (Israele e Palestina) la Palestina storica.

«La Giudea, la Samaria e la Valle del Giordano sono una parte inseparabile di Eretz Israel [la Israele biblica che, nelle intenzioni sioniste, dovrebbe comprendere l’intera Palestina, ndr], la patria storica, culturale e spirituale del popolo ebraico. Centinaia e migliaia di anni prima della creazione dello Stato, gli antenati e i profeti della nazione hanno vissuto e agito in queste regioni e in esse sono state gettate le fondamenta della cultura e della fede ebraica. Città come Hebron, Sichem, Shilo e Beit El non sono solo siti storici, ma un’espressione vivente della continuità dell’esistenza ebraica nella terra» riporta il testo della mozione, che aggiunge che i fatti del 7 ottobre 2023 sarebbero la conferma di come la creazione di uno Stato palestinese costituirebbe una minaccia per Israele. «La sovranità in Eretz Israel è una parte inseparabile della realizzazione del sionismo e della visione nazionale del popolo ebraico che è tornato nella sua patria».

Pur se simbolica e non vincolante, la risoluzione è in perfetta linea con i tentativi sempre più pressanti di Israele di acquisire il controllo della Cisgiordania, mentre l’esercito avanza nella Striscia di Gaza. Il voto segue infatti di pochi giorni la notizia, ampiamente ignorata dai quotidiani occidentali, secondo la quale Israele avrebbe rilanciato il piano di insediamento E1, che prevede la costruzione di oltre 3.000 unità abitative tra Gerusalemme Est e Maale Adumim che spaccherebbero a metà la Cisgiordania. «Questa è la nostra terra, questa è la nostra casa» ha dichiarato Amir Ohana (Likud), presidente della Knesset, al termine della votazione della Knesset. «Nel 1967 l’occupazione non è iniziata, è finita. Questa è la verità storica, e l’unico modo per raggiungere una pace autentica è da [una posizione di] potere».

A partire dalla risoluzione 242 del 1967, la comunità internazionale ribadisce come l’occupazione israeliana dei territori palestinesi sia illegale e ha continuato fino a pochi mesi fa a chiedere il ritiro delle truppe dai Territori palestinesi (una risoluzione che l’Italia si è ben guardata dall’approvare). Dopo il voto israeliano, condanne sono giunte da varie parti del mondo, a cominciare dall’OIC (Organizzazione della Cooperazione Islamica, che rappresenta 56 Paesi tra Europa, Medio Oriente, Sudamerica, Africa e Asia), definendola «una palese violazione del diritto internazionale e un’infrazione diretta di diverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite». L’ANSA cita inoltre una nota stampa nella quale la Commissione UE ricorda che «l’annessione è illegale secondo il diritto internazionale» e che qualsiasi passo in tale direzione sarebbe «una violazione del diritto internazionale».

OpenAI, DeepMind e dei giovani adolescenti hanno vinto la medaglia d’oro dei matematici

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OpenAI sostiene che una sua intelligenza artificiale abbia vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi Matematiche Internazionali (IMO), il più prestigioso concorso di calcoli matematici al mondo. Anche Google ritiene che la sua IA, DeepMind, abbia scalato le classifiche, arrivando in cima. Allo stesso tempo, cinque adolescenti possono vantare di aver battuto entrambe le Big Tech. Un unico fatto, molteplici letture che raccontano di un impressionante avanzamento tecnico che viene enfatizzato da un impianto di comunicazione fomentato ad arte.

Per comprendere il contesto, è necessario specificare che, a differenza delle più celebri competizioni sportive, le Olimpiadi Matematiche non prevedono un unico vincitore: la medaglia d’oro viene assegnata in base a una distribuzione percentuale dei punteggi. Per avere un parametro di misura, nell’ultima competizione, tenutasi in Australia, solo circa il 10% dei 641 partecipanti è riuscita a ottenere il punteggio prestabilito quest’anno per ottenere la medaglia d’oro. Raggiungere l’apice della classifica delle IMO è certamente un obiettivo di cui andare fieri, tuttavia questo traguardo non è totalmente esclusivo, sono previste molteplici medaglie d’oro.

DeepMind di Google figura tra questa manciata di vincitori. L’azienda ha iscritto al concorso una variante specializzata della sua intelligenza artificiale, Deep Think, la quale ha certificatamente ottenuto un punteggio di 35 su di un massimale di 42, risolvendo senza errori cinque dei sei problemi sottoposti ai partecipanti. I risultati, già di per sé interessanti, diventano ancora più stupefacenti se si considera che solamente l’anno scorso DeepMind era riuscita ad attestarsi al livello della medaglia d’argento, ma solamente ritagliandosi tempi di calcolo superiori ai due giorni. Questa volta lo strumento ha dimostrato prestazioni decisamente migliori e lo ha fatto rispettando il tempo limite della gara, quattro ore e mezza.

Con OpenAI, la situazione è decisamente più sfumata. L’azienda guidata da Sam Altman non ha effettivamente partecipato all’IMO, bensì ha analizzato privatamente i problemi sottoposti ai concorrenti e ha pubblicato le sue risposte attraverso i canali social. Le sue performance sono comparabili a quelle ottenute dall’IA concorrente: cinque problemi risolti su sei. L’intero processo non è però stato supervisionato dagli organizzatori delle Olimpiadi Matematiche, ma solo da tre ex-vincitori che sono stati reclutati direttamente da OpenAI per verificare gli esiti della gara. L’impresa sostiene di aver sfruttato per l’occasione un modello sperimentale che non verrà distribuito al pubblico per “molti mesi”, ma non essendoci occhi veramente indipendenti che possano testimoniare le dinamiche della faccenda, non resta che fidarsi di OpenAI, azienda nelle mani di un CEO che è stato accusato di essere un bugiardo seriale.

Google e OpenAI promuovono esplicitamente i propri successi, tuttavia evitano accuratamente di intavolare una narrazione che contrappone le abilità delle macchine a quelle degli esseri umani. Ancor più, tendono a sorvolare il fatto che cinque studenti under-20 siano riusciti a ottenere il punteggio perfetto dell’IMO, superando per risultato entrambi i giganti del tech. Come spesso capita per le evoluzioni tecniche che hanno risvolti politici o speculativi, gli avanzamenti concreti nel campo dei modelli di linguaggio sono stati messi da parte in favore di slogan notiziabili che riescono a catturare l’attenzione del pubblico e degli investitori.

Questi trionfi, assolutamente degni di nota, sono in grado di evidenziare un avanzamento rapido delle IA, eppure restano ambigui i concreti scopi applicativi dei modelli, come questi siano stati addestrati, nonché la loro effettiva sostenibilità. In sostanza, non è chiaro se gli sviluppi maturati in questo contesto dalle imprese siano funzionali alla società o se i loro sforzi si siano concentrati esclusivamente sul dar vita a un’oculata stunt commerciale.

La strana fine di Michele Noschese, il dj italiano morto a Ibiza

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Non è stata la musica elettronica, che dosava con passione dalla sua consolle ormai da decenni, né sono stati gli schiamazzi ad accendere la miccia che ha bruciato la sua vita: Michele Noschese, 35 anni, meglio conosciuto come DJ Godzi, è stato infatti vittima di una fine violenta avvolta nel mistero, tra (presunte) allucinazioni, poliziotti, manette e botte.

Alle Baleari, l’alba di sabato 19 luglio sembrava portare una mattina come tante altre. Carrer Lausanne, a Roca Llisa, è un bel viale pieno di villette e appartamenti di lusso, appoggiati su una collina. Un quartiere residenziale sospeso a 300 metri dal mare. Sotto c’è Ibiza Town, che nella stagione estiva è un tempio per turisti e cercatori di emozioni, coi suoi baccanali di musica ed eccessi. Dall’altra parte, Santa Eulalia del Río. Ci sono sicuramente posti peggiori in cui vivere.

Noschese, originario di Napoli, viveva nell’arcipelago più gettonato dai pendolari delle discoteche da ormai 10 anni. Dopo la laurea in Economia e un passato nella Primavera del Napoli, avrebbe potuto diventare un calciatore professionista, ma alle offerte dalla Svizzera preferì la musica, la madre di tutte le passioni, trasformandola in un percorso e in un lavoro. Ha lavorato in giro per il mondo: Londra, Parigi, New York — nel giro lo conoscevano tutti. I DJ, quelli bravi e richiesti, in fondo sono un po’ come i calciatori: molto ricercati e spesso ben pagati.

D’altronde, per uno che vive di mixer, luci e note, ritrovarsi a Ibiza è come chiudere un cerchio: i sogni vanno assecondati, accompagnati — e Michele c’era sicuramente riuscito. Giuseppe Noschese, suo padre, è un medico e ha capito subito che c’era qualcosa che non andava nella notizia e nel racconto di quel figlio morto in modo così rapido e brutale. Ha parlato subito di bastonate, di poliziotti violenti. Ha detto che l’autopsia è stata eseguita in modo frettoloso e che la famiglia aveva subito mandato un proprio consulente da quelle parti.

Il padre di Michele Noschese, il dottor Giuseppe Noschese

I fatti sono sembrati fin da subito molto poco chiari. Nemmeno sugli orari c’era chiarezza, perché i media italiani hanno riportato la vicenda alla notte tra venerdì e sabato. Invece, la testimonianza che potrebbe cambiare tutto — quella di un amico di Michele che era a casa sua — racconta che tutto è successo nelle prime ore del mattino di sabato. Si chiama Raffaele Rocco, ed è un commerciante. Per lui, DJ Godzi era come un fratello, ha detto, e ha aggiunto che è disposto a raccontare tutto in tribunale. Ha dormito a casa di Michele fino alle 7, quando lo stesso Noschese gli ha chiesto di andare a comprare del cibo per gatti. In casa c’erano diverse persone, distribuite tra la casa e la piscina.

Per motivi che al momento nessuno conosce, Michele Noschese, poco dopo le 8, ha varcato la soglia della casa del vicino. Quello che è successo è stato raccontato come una diatriba lunga, protratta nel tempo. La figlia dell’anziano ha raccontato che Michele ha messo le mani addosso a suo padre, gli pestava un piede. Qualcuno ha anche parlato di un coltello, che però Raffaele ha negato di aver visto. Forse ci sono state delle minacce, forse sono volate parole grosse. Da qui a immaginare un finale come quello che c’è stato — con un cadavere, pochissime certezze e molti sospetti — ovviamente c’è un abisso.

La notizia di una telefonata alla polizia per il volume troppo alto da casa Noschese, diffusa inizialmente, vacilla paurosamente. Può darsi che, invece, qualcuno abbia chiesto l’intervento delle forze dell’ordine per l’intrusione del DJ nella casa del vicino. Fatto sta che a interrompere bruscamente la quiete del quartiere, quel sabato mattina, è arrivata la polizia. E la Guardia Civil spagnola, si sa, non ha generalmente una fama propriamente “gandhiana”.

Lo raccontano, per esempio, i turisti italiani che l’hanno vista in azione sulla costa: i loro metodi sbrigativi sono ormai una vulgata molto diffusa. Gli agenti che passeggiano sulla costa iberica roteando manganelli tra la gente sono stati visti da molte persone. E d’altronde esistono da tempo le foto scattate nelle enclavi iberiche di Melilla e Ceuta, in Marocco, con persone aggrappate alle reti e agenti in mimetica nera che menano come fabbri coi manganelli.

Certo, non si può fare di tutta l’erba un fascio e bisogna verificare cosa sia realmente successo a Michele Noschese. Ma ciò che è accaduto nella casa del DJ Godzi è stato riassunto da Raffaele Rocco — al momento unico testimone oculare che si sia fatto avanti — in questo modo: i poliziotti intervenuti hanno ammanettato mani e piedi di Michele e lo hanno bastonato forsennatamente sul letto, tanto che Noschese faticava a respirare. «Lo tenevano fermo, e il ragazzo ha cominciato ad avere difficoltà nel respirare», ha raccontato Raffaele.

Quando gli agenti si sono accorti della sua presenza, non avendo forse immaginato che ci fosse un testimone, gli hanno intimato di andarsene immediatamente. Se fosse confermata, sarebbe una procedura quantomeno singolare per un intervento di ordine pubblico sfociato in tragedia. Di certo, Michele Noschese è stato condotto direttamente in obitorio da casa sua, invece che in ospedale, come ci si sarebbe aspettati. E la domanda se avesse già smesso di respirare al momento dell’uscita da casa aggrava sicuramente la posizione degli agenti, visto che non sarà facile avere una controprova.

Fino a qui, il racconto del testimone e la ricostruzione della famiglia di Noschese, che ha mandato alle Baleari l’avvocato Rosanna Alvaro, supportata dal collega spagnolo Jaime Rog, per cercare di fare chiarezza — e soprattutto salvare il salvabile dal punto di vista giudiziario, in una vicenda che si preannuncia molto dura e complicata. Tanto che il governo italiano, tramite il ministro Tajani, ha fatto sapere di seguire la vicenda da vicino.

La versione della Guardia Civil, naturalmente, è diametralmente opposta a queste — pur frammentarie — ricostruzioni. I poliziotti raccontano di aver trovato una persona sotto l’effetto di stupefacenti, in preda ad allucinazioni, insomma fuori di testa, e di aver cercato di riportarlo alla calma. Nel farlo, tuttavia, hanno ammesso di aver dovuto “fare di tutto” per rianimarlo: ma da cosa, di grazia?

Per coincidenza — anche se magari non sarà questo il caso — non possono non tornare alla memoria i verbali di polizia giudiziaria in cui agenti e uomini delle forze dell’ordine hanno raccontato di persone in preda a convulsioni, agitazione e crisi. In Italia è successo per Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, e la lista purtroppo è lunga. Fatto sta che, al momento, c’è un ragazzo di 35 anni morto per “arresto cardiaco”, come da nota ufficiale della Guardia Civil — ossia la causa di morte dell’intera umanità da sempre. Qualsiasi cosa succeda prima, si muore meccanicamente di quello. Sarebbe come dire che un aereo precipitato si è disintegrato perché ha toccato il suolo, senza spiegare il motivo della caduta.

In foto: Michele Noschese, 35 anni, meglio conosciuto come DJ Godzi

Gli avvocati della famiglia hanno fatto notare che l’autopsia — che esclude eventi traumatici o azioni violente sul corpo di Michele — è assai lacunosa. Da un primo esame sono state escluse lesioni riconducibili a percosse, ma solo con TAC, risonanze o altri esami più approfonditi si può davvero escludere un pestaggio come causa della morte del DJ Godzi. Inoltre — e soprattutto — l’autopsia è stata eseguita senza la presenza di un perito di parte, in poche parole senza che la famiglia fosse rappresentata. E si sa: le autopsie svolte frettolosamente non sono mai foriere di trasparenza. Disporre altri accertamenti autoptici — o semplicemente ottenerli, visto anche il problema della giurisdizione straniera — non sarà semplice. Il padre Giuseppe, che non a caso è medico, ha però incaricato subito un perito in loco, e questo potrebbe essere un elemento fondamentale nel proseguimento della vicenda.

In certi casi la tempestività dei familiari, pur colpiti dal lutto e dal dolore, si rivela una carta decisiva nell’accertamento dei fatti e della verità. Nel caso della morte di Stefano Cucchi, per esempio, se un addetto dell’obitorio non avesse scattato fotografie al cadavere martoriato del ragazzo, probabilmente l’esito giudiziario della vicenda sarebbe stato diverso. In ogni caso, Giuseppe Noschese ha presentato denuncia per omicidio volontario alle autorità spagnole. E la morte di Michele Noschese, fin dall’inizio, assomiglia a tanti altri casi in cui la strada per portare a galla verità e responsabilità si è rivelata molto amara, cupa e dolorosa.

India e Regno Unito firmano un accordo di libero scambio

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In occasione di una visita del primo ministro indiano Narendra Modi in Regno Unito, Londra e Nuova Delhi hanno firmato un accordo di libero scambio volto a ridurre i dazi su beni di vario genere qual articoli del settore tessile, beni di consumo come il whisky e automobili. L’accordo arriva dopo tre anni di negoziati che sono stati portati avanti a rilento, e rilanciato due mesi fa, per fare fronte all’annuncio di dazi globali rilasciato dagli Stati uniti. L’accordo prevede anche un incremento degli scambi bilaterali col fine di raggiungere l’obiettivo 25,5 miliardi di sterline (circa 29,5 miliardi di euro) entro il 2040; esso entrerà in vigore dopo il processo di ratifica.

Chi è davvero Ibrahim Traoré: il presidente del Burkina Faso che fa sognare l’Africa

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Lo scorso 3 aprile, durante un’audizione davanti alla Commissione per le Forze Armate del Senato degli Stati Uniti, il generale Michael Langley, comandante dell’US Africa Command (AFRICOM), ha identificato il capitano Ibrahim Traoré come un nemico degli interessi statunitensi. Secondo Langley, il leader della giunta militare attualmente al potere in Burkina Faso starebbe utilizzando le riserve auree nazionalizzate «per proteggere la sua giunta», invece di impiegarle nella lotta contro il terrorismo. Come la storia recente insegna, gli Stati Uniti tendono a osteggiare quei Paesi che scelgono di...

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