sabato 23 Novembre 2024
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USA, possesso illegale di armi: Hunter Biden giudicato colpevole

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Hunter Biden, il figlio del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, è stato giudicato colpevole da un tribunale del Delaware di tutti e tre i capi d’imputazione per i quali è finito a processo dopo avere acquistato una pistola senza dichiarare la sua tossicodipendenza dal crack. L’uomo rischia ora una condanna fino a 25 anni di carcere, oltre a 750mila dollari di multa. A ogni modo, la pena potrebbe essere inferiore, dal momento che si tratta di un soggetto incensurato. È la prima volta che il figlio di un presidente in carica viene processato e giudicato colpevole.

La provincia di Alessandria agisce contro i PFAS imponendo lo stop a Solvay

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In seguito ai controlli eseguiti da Arpa Piemonte, che ha certificato il mancato rispetto dei limiti delle emissioni di Pfas nell’ambiente, la provincia di Alessandria ha mandato una doppia diffida a Syensqo – l’ex Solvay – imponendo il fermo delle produzioni per 30 giorni. La decisione è scattata dopo che nelle ultime settimane l’azienda è stata al centro di rilasci di schiume particolarmente gravi nel fiume Bormida e dopo indagini condotte già da anni sfociate in accuse per disastro ambientale colposo e che hanno portato a scoperte tutt’altro che rassicuranti, come il ritrovamento di Pfas nel sangue degli abitanti di Spinetta Marengo. «È tempo di una legge nazionale che vieti l’uso e la produzione di queste sostanze pericolose per tutelare l’ambiente e la salute dei cittadini», ha commentato Greenpeace Italia.

I Pfas sono un gruppo che raccoglie oltre 10.000 molecole sintetiche non presenti in natura, utilizzate in vari processi industriali per la fabbricazione di prodotti come le padelle antiaderenti o qualche imballaggio alimentare. Essendo molecole fortemente stabili, esse non vengono degradate brevemente nell’ambiente e sono state definite “inquinanti eterni”. L’esposizione ai Pfas è stata associata a problemi alla tiroide, diabete, danni al fegato e al sistema immunitario, cancro al rene e ai testicoli e ad impatti negativi sulla fertilità e da novembre 2023 le sostanze sono state riconosciute anche come cancerogene. I Pfas sono già stati rilevati in Veneto – dove la questione è così seria che anche l’Alto Commissariato dell’Onu spedì anni fa una delegazione – nelle acque potabili della Lombardia e del Piemonte.

Si tratta di sostanze certamente non estranee alla Solvey, visto che fin dal 2007 l’azienda è stata identificata come una delle principali fonti di inquinamento da Pfas nel bacino del fiume Po e recentemente – dopo un’autodenuncia – è stata classificata come il sito più inquinato in Europa. Nonostante il possibile impatto negativo dello stabilimento fosse stato ipotizzato già dagli anni Ottanta, ci sono voluti decenni per trovare le sostanze nel sangue dei cittadini e avviare decine di inchieste, tra cui quella sfociata nell’accusa di disastro ambientale colposo a due ex dirigenti Solvey: Stefano Bigini e Andrea Diotto. Inoltre, lo scorso agosto era persino scattato il sequestro preventivo delle due discariche di gessi del Gruppo chimico. Il blitz – il secondo dopo quello del 12 febbraio 2021, che sfociò in una vasta perquisizione per verificare lo sversamento delle sostanze inquinanti – è stato effettuato dai carabinieri del Noe su richiesta della Procura di Alessandria, autorizzata dal Gip, e ha portato al sequestro di alcune vasche perché, secondo gli inquirenti, sebbene non dovessero essere più operative sarebbero state riutilizzate.

Adesso invece, dopo i controlli di Arpa Piemonte che hanno certificato il mancato rispetto dei limiti di emissioni di Pfas nell’ambiente, la provincia di Alessandria ha mandato due nuove diffide, le quali impongono un periodo di stop di 30 giorni alle produzioni dell’azienda: la prima si riferisce alle sostanze scaricate nel fiume Bormida, mentre la seconda riguarda i valori elevati registrati nei suoli interni al polo chimico. Solvey non avrebbe così rispettato l’autorizzazione integrata ambientale, la quale si basa su prescrizioni necessarie a non compromettere irrimediabilmente il territorio dove risiede la comunità limitrofa allo stabilimento, ovvero il sobborgo alessandrino di Spinetta Marengo. Sulla notizia è intervenuto anche Giuseppe Ungherese – responsabile della Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia – che ha accolto con favore il provvedimento auspicando che sia solo il primo di una lunga serie: «Dopo anni di silenzi e inquinamento, finalmente gli enti pubblici adottano un primo provvedimento per tutelare l’ambiente e la salute umana dalla produzione di PFAS da parte di Solvay», ha commentato.

D’altra parte però, il provvedimento potrebbe essere arrivato troppo tardi: l’Arpa Piemonte ha consegnato solo il 5 giugno i dati raccolti il 20 maggio, vale a dire oltre due settimane dopo la rilevazione dei valori anomali dello scarico. «Il tempo fisiologico per elaborare i dati», secondo il Direttore generale Secondo Barbero.

[di Roberto Demaio]

Venezia: la digos dentro l’Università per identificare chi protesta per la Palestina

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Nel silenzio generale, le proteste per la Palestina continuano a essere centrali all’interno della città di Venezia, dove nella giornata di ieri un gruppo di studenti ha partecipato a una conferenza sulle “sfide contemporanee” di Israele, manifestando dissenso per i contenuti indirizzati dell’evento attraverso l’esposizione di brevi contro-interventi, e venendo di tutta risposta identificato dagli agenti della DIGOS. Alla conferenza di ieri era presente il noto statistico Sergio Della Pergola, italo-israeliano dalle posizioni politiche radicalmente orientate verso lo Stato ebraico, tanto che in una passata intervista datata 23 ottobre dichiarò che, nei contorni dell’escalation che si era da poco verificata, «l’ultima scena dell’ultimo atto dovrà essere il suicidio del leader nel bunker e se non avverrà allora qualcun altro dovrà provvedere». La vicenda pare avere i contorni di un autentico «atto intimidatorio», visto che – come riportano gli studenti – il dibattito si sarebbe svolto nell’assoluto rispetto di persone e ambiente circostanti, all’interno dei tempi di svolgimento della conferenza, e senza sfociare in episodi di violenza fisica o verbale. La stessa presenza degli agenti di polizia nella struttura risulta in tal senso alquanto controversa, visto che per entrare avrebbero dovuto avere il consenso della Rettrice, da giorni contestata dagli studenti.

La conferenza tenutasi ieri a Venezia si è svolta all’interno delle mura di Palazzo Vendramin, sede del Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea dell’Università Ca’ Foscari. All’incontro, dal titolo “Dove va Israele? Scenari, sfide, prospettive” erano presenti quattro relatori che hanno portato interventi su questioni politiche, geopolitiche, ed economiche oggi centrali per lo Stato ebraico. Il relatore di punta era certamente il Professor Della Pergola, che ha presentato uno studio demografico e sui trend elettorali della popolazione ebraica in Israele e negli Stati Uniti. In seguito alle presentazioni degli oratori, il dibattito è stato aperto anche all’uditorio, e hanno preso parola 7 diverse persone tra studenti e professori. Questi hanno tutti contestato la linea «ideologica» della conferenza nonché la collusione dell’ambiente accademico con le politiche e le attività di Israele, e hanno per questo incontrato l’ostilità dei quattro oratori e del moderatore, che hanno spesso evaso le domande e mancato di rispondere.

Nel corso di tutta la conferenza, erano presenti all’interno dell’edificio quattro diversi agenti della DIGOS, tra cui – secondo informazioni verificate da L’Indipendente – il dirigente dell’ufficio veneziano Carlo Ferretti, tutti nei pressi di un banchetto situato fuori dall’aula dove si teneva la conferenza, a metà tra questa e la biblioteca della struttura; sette invece, gli agenti di polizia all’entrata di Palazzo Vendramin. Secondo quanto riporta una testimonianza apparsa sulla pagina Instagram Spotted Unive, i poliziotti avrebbero iniziato a chiedere i documenti ai ragazzi che uscivano dalla biblioteca, «pretendendo» di fotografarli. Parallelamente, all’interno dell’edificio, gli agenti della DIGOS avrebbero chiesto i documenti e identificato quattro diverse persone presenti alla conferenza, di cui una protagonista del primo intervento: la studentessa ha infatti preso parola dopo il naturale svolgimento della conferenza, e quando ha iniziato a parlare lo stesso Ferretti sarebbe entrato nell’aula e avrebbe scattato delle foto alla ragazza. Questa, finito il proprio discorso, si sarebbe avvicinata al dirigente assieme ad altri studenti e ad alcuni professori, e gli avrebbe chiesto di eliminare le immagini appena ottenute; Ferretti, dopo un po’ di resistenza, le avrebbe cancellate, per poi chiederle i documenti. Alla richiesta di spiegazioni, gli agenti, contestati anche dai professori, si sono giustificati in linea molto generale, dicendo che in quanto forze dell’ordine hanno la potestà di chiedere i documenti alle persone; sono stati poi allontanati da una professoressa.

Secondo i contestatori, i fatti di ieri si configurerebbero come un vero e proprio «atto intimidatorio». In effetti, la stessa presenza della DIGOS in università potrebbe essere stata permessa dalla Rettrice Tiziana Lippiello, la quale, essendo la rappresentante legale dell’edificio, risulta l’unica – assieme alla sola questura – che può autorizzarne l’entrata. A tal proposito va inoltre sottolineato come la stessa Lippiello è parte della cosiddetta “Task Force” della CRUI (il gruppo di rappresentanza che riunisce i rettori universitari italiani) che ha avanzato le linee guida anti rivolte nelle università. L’Indipendente ha provato a sentire la Rettrice per chiederle chiarimenti a riguardo, ma non ha ricevuto ancora alcuna risposta. Le contestazioni universitarie a Venezia portano avanti le generali rivendicazioni portate avanti anche da tutte le altre “acampade”, e dalla ribattezzata “intifada studentesca”. Nello specifico, nella città lagunare, sono state portate avanti tre occupazioni in due diverse università, e di queste una, dopo un mese di vita, risulta ancora attiva presso la sede didattica dell’Università Ca’ Foscari. Qui gli studenti hanno promosso numerose attività di contro-informazione per contestare la «complicità» del proprio ateneo nel massacro in corso a Gaza da dopo l’escalation del 7 ottobre, ma hanno trovato una totale chiusura da parte dell’istituzione.

[di Dario Lucisano]

Malawi, il Vicepresidente muore in un incidente aereo

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Il Vicepresidente del Malawi Saulos Chilima è morto assieme ad altre nove persone in seguito a un incidente aereo verificatosi ieri in un’area montuosa del Paese. A comunicarlo è oggi il Presidente del Paese Lazarus Chakwera, che ha confermato anche la morte di tutte le altre persone presenti sull’aeroplano. Il volo su cui si trovava a bordo Chilima doveva trasportare i passeggeri dalla capitale Lilongwe alla città di Mzuzu, e aveva deciso di non tentare l’atterraggio all’aeroporto della località di destinazione a causa della scarsa visibilità dovuta al maltempo. Ha dunque provato a fare ritorno alla capitale, ma è scomparso dai radar.

Moda e caporalato: un’inchiesta fa tremare le grandi firme, coinvolti Armani e Dior

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Si arricchisce di un nuovo capitolo l’inchiesta coordinata dalla Procura di Milano sullo sfruttamento della manodopera nel settore della sartoria di lusso. Il Tribunale della città meneghina, negli scorsi giorni, ha infatti disposto l’amministrazione giudiziaria nei confronti di Manufactures Dior – società della maison dell’alta moda francese che realizza articoli da viaggio, borse e altri capi in pelle -, ritenuta dai giudici «incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo», non avendo messo in atto «misure idonee alla verifica delle reali condizioni lavorative ovvero delle capacità tecniche delle aziende appaltatrici», agevolando colposamente «soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato». Questo è solo l’ultimo tassello di un’indagine che, negli scorsi mesi, ha portato all’amministrazione giudiziaria per ragioni sostanzialmente identiche anche le importanti aziende Giorgio Armani Operations e Alviero Martini Spa. E che offre uno spaccato molto puntuale sul lato oscuro dell’alta moda, troppo spesso sinonimo di impiego irregolare e sfruttamento della manodopera.

L’inchiesta su Manufactures Dior è partita lo scorso 21 marzo grazie a una serie di ispezioni svolte in quattro opifici nel milanese e in Brianza. Manufactures Dior ha esternalizzato a varie società la produzione, che, come si legge nel provvedimento, veniva effettuata in contesti «di sfruttamento dei lavoratori», attraverso l’impiego di persone in nero e senza adeguate condizioni di sicurezza sul lavoro. Secondo i pm, infatti, «emerge in modo del tutto evidente l’esistenza di una catena produttiva a valle della filiera, nella quale il vero business è costituito da costi di produzione in serie ampiamente compressi rispetto a quelli che si avrebbero qualora fosse correttamente applicata la normativa contrattuale collettiva ed in materia di sicurezza degli ambienti di lavoro». Proprio su tali aspetti, secondo le ricostruzioni, «si crea il margine di profitto», realizzato mediante «l’utilizzo di manodopera in nero e clandestina, la «»mancata formazione sui rischi da lavoro», le «omesse visite mediche», i «macchinari non a norma dai quali risultano rimossi scientemente i dispositivi di protezione» e l’uso di «ambienti abitativi abusivamente realizzati al fine di avere forza lavoro reperibile h/24». 23 lavoratori sono stati trovati all’interno di «camere da letto» ricavate sopra i laboratori di un opificio di Opera, dove è stata attestata, come evidenziato dai magistrati, «la rimozione dei dispositivi di sicurezza che hanno lo scopo di impedire che il lavoratore possa entrare in contatto con i meccanismi mossi elettricamente o che pezzi del prodotto smerigliato possano essere proiettati negli occhi dell’operatore». Per i magistrati, gli operai irregolari o in nero sarebbero stati «preparati a dichiarare, in caso di controlli, di non essere impiegati nell’azienda, adducendo le più disparate ed inverosimili motivazioni circa la loro presenza all’interno dei locali della pelletteria». I giudici della sezione misure di prevenzione di Milano, accogliendo la richiesta della Procura, hanno messo nero su bianco che la Manufactures Dior «non ha verificato la reale capacità imprenditoriale delle società appaltatrici» e i suoi modelli gestionali «si sono nel concreto rivelati inadeguati».

Lo scorso gennaio, i carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro di Milano avevano dato esecuzione a un decreto di amministrazione giudiziaria emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale nei confronti della Alviero Martini spa, altra società attiva nel settore dell’alta moda, anch’essa ritenuta «incapace» di prevenire e mettere un freno allo sfruttamento lavorativo, non avendo verificato «le reali condizioni lavorative» o «le capacità tecniche delle aziende appaltatrici» e avendo «colposamente» agevolato i presunti autori del delitto di caporalato. la casa di moda avrebbe affidato la produzione mediante contratto di appalto con divieto di subappalto a società terze. Le aziende appaltatrici esternalizzavano le commesse a opifici cinesi, che «grazie all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento», potevano abbattere i costi. Anche in questo caso, le indagini hanno attestato che nei laboratori erano all’ordine del giorno pagamenti sotto soglia, ambienti insalubri (compresi i dormitori realizzati abusivamente) e mancato rispetto degli orari di lavoro, nonché gravi violazioni in materia di sicurezza, con omessa sorveglianza sanitaria, formazione e informazione.

Solo tre mesi dopo, era toccato alla Giorgio Armani Operations Spa essere sottoposta alla misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria dal Tribunale di Milano. Lo schema di base è il medesimo: subappalti, sfruttamento sul lavoro con turni logoranti, dormitori abusivi nei pressi dei laboratori, massimizzazione dei profitti. Secondo gli investigatori, infatti, la famosa casa di moda avrebbe affidato «attraverso una società in house creata ad hoc per la progettazione, produzione e industrializzazione delle collezioni di moda e accessori» attraverso un contratto di fornitura «l’intera produzione di parte della collezione di borse e accessori 2024 a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi», che avrebbe però esternalizzato le commesse ai “soliti” opifici cinesi, dove si sarebbe consumato lo sfruttamento dei lavoratori. Nel provvedimento firmato dai giudici è stato evidenziato come non si tratti di «fatti episodici», bensì di un «sistema di produzione generalizzato e consolidato» che si ripete «quantomeno dal 2017». I giudici hanno attestato come la produzione all’interno degli opifici fosse «attiva per oltre 14 ore al giorno, anche festivi», con lavoratori pagati anche 2-3 euro l’ora che venivano «sottoposti a ritmi di lavoro massacranti» e con una situazione caratterizzata da «pericolo per la sicurezza» della manodopera, che si trovava a lavorare e dormire in «condizioni alloggiative degradanti».

[di Stefano Baudino]

Yemen, naufraga barcone: almeno 49 morti e 140 dispersi

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Almeno 49 migranti sono morti mentre altri 140 risultano dispersi al largo dello Yemen dopo che un’imbarcazione si è capovolta. La nave trasportava 260 migranti e tra coloro che hanno perso la vita ci sono ben 31 donne e bambini. Lo riporta l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM). Secondo i sopravvissuti, l’imbarcazione era partita dalla Somalia intorno alle 3:00 di domenica, con a bordo migranti somali ed etiopi. Dei 71 sopravvissuti, otto sono stati portati in ospedale mentre i restanti 63 hanno ricevuto pronto soccorso e cure minori.

Il caso del pompiere Luigi Spera, in carcere per aver attaccato l’industria di armi Leonardo

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Nel novembre 2022, alcuni attivisti lanciano oggetti incendiati all’interno del cortile di Leonardo spa, a Palermo. È notte e tutti i dipendenti sono a casa. Il resoconto di quanto accaduto lo restituiscono le immagini sgranate di un video che gira sui social di Antudo, realtà indipendentista siciliana: un paio di oggetti che volano, una fiammata di qualche secondo, poi più nulla. Gli attivisti corrono via. La protesta era volta a denunciare come le armi prodotte da Leonardo (società partecipata dal governo al 33%) fossero vendute alla Turchia e impiegate nell’etnocidio dei curdi messo in atto da Erdogan. Nessun dipendente di Leonardo è stato coinvolto nell’incidente, mentre i danni agli oggetti sono stati molto lievi. Eppure, per quella breve azione dimostrativa, alla fine dello scorso marzo alcuni attivisti di Antudo sono stati colpiti da alcune misure cautelari. Tra di essi vi è Spera, vigile del fuoco, l’unico ad essere detenuto in carcere con l’accusa di aver compiuto atti di natura terroristica.

«Il pm aveva chiesto per Spera e un altro ragazzo la custodia cautelare per il reato incendiario di natura terroristica (art. 280 c.p.) – spiega l’avvocato di Spera, Giorgio Bisagna, a L’Indipendente – e aveva contestato a Spera anche l’utilizzo, sempre ai fini terroristici (art. 270 c.p.), di una molotov, congegno incendiario equiparato a un’arma da guerra, in quanto sarebbe stata rinvenuta una bottiglia rotta con uno stoppino dentro». Spera è poi stato accusato, insieme ad un’altra attivista, di aver divulgato un comunicato stampa che spiegava le ragioni dell’atto dimostrativo, motivo per il quale il pm gli contesta anche l’istigazione a delinquere aggravata dal compimento di atti sovversivi (art. 414 c.p., comma 4). Nell’esaminare le richieste del pm, il giudice per le indagini preliminari (gip) ha confermato l’imputabilità per i fatti contestati, ma senza l’aggravante della valenza terroristica. «Perché ci sia una valenza terroristica di un atto occorre che si crei uno stato di intimidazione, di costrizione effettiva nel soggetto che viene minacciato. Una vampata avvenuta di notte, quando il personale non era presente, che non ha recato danni sostanziali ha una evidente finalità dimostrativa» dichiara Bisagna. «Pensare che Leonardo, la settima azienda al mondo nella produzione di armi, possa sentirsi influenzata al punto da recedere dalle proprie scelte finanziarie per una minaccia di questo tipo mi sembra da escludere».

Tuttavia, a causa di alcuni precedenti minori legati ad atti di contestazione, il gip ritiene vi sia il rischio di reiterazione del reato e dispone le misure in carcere. Sarà poi il tribunale di Palermo, nel corso dell’udienza di riesame (fissata dopo che l’avvocato ha contestato le misure cautelari) a riconfermare la natura terroristica degli atti e confermando dunque la custodia in carcere. Così, Spera viene trasferito nella prigione di Alessandria, dall’altra parte dell’Italia, in regime di Alta Sicurezza 2 (AS2), riservato a coloro accusati o condannati di atti di terrorismo. Secondo l’avvocato, qui si iniziano a delineare le prime incongruenze. «C’è sicuramente qualcosa di strano, perché l’allontanamento viene disposto quando il gip aveva escluso la finalità terroristica, prima che il tribunale rovesciasse tale posizione. Per i reati comuni, come quello di incendio, si dispone la misura del carcere solamente in extrema ratio. Eppure, il Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria (DAP) non prende in considerazione ciò che ha detto il giudice, ma le accuse avanzate dal pm, mandandolo in carcere ancora prima che il tribunale del riesame riconfermasse le aggravanti per terrorismo. In pratica lui è indagato per terrorismo, ma è in carcere per incendio. Chiaramente c’era già qualcosa che non andava sin da subito». Al momento, l’avvocato ha presentato ricorso in Cassazione, ma per l’esito si dovrà attendere. Nel frattempo, Spera si trova rinchiuso in una cella. Con la possibilità concreta che vi rimanga molto a lungo, in quanto per i reati di terrorismo, esattamente come per i reati di mafia, i termini di custodia cautelare sono raddoppiati.

Secondo l’avvocato, che sostiene l’estraneità di Spera ai fatti («è l’accusa che deve dimostrare la sua colpevolezza, non noi provare la sua innocenza»), basta il video a dimostrare l’evidente natura dimostrativa dell’azione. E nemmeno i pochi danni materiali che vi sono stati sarebbero sufficienti a dimostrare la matrice terroristica dell’atto. «È già stato stabilito per fatti accaduti in passato, come quelli avvenuti in Val di Susa con le proteste contro la TAV. In quei casi, la procura di Torino aveva contestato l’attentato terroristico, ma la Cassazione ha detto no. Accadde anche nel 2021, durante il Covid, quando fu lanciata una molotov contro un polo vaccinale nel bresciano non fu considerato un atto di terrorismo, perché il ministero della Salute non avrebbe certo smesso di somministrare le vaccinazioni per un episodio del genere».

«Luigi è molto sereno, perché è una persona molto solida» riferisce Bisagna. Intanto, però, a causa del sospetto che abbia lanciato una molotov di notte in uno spiazzo di cemento, senza che questo abbia recato danni a persone o oggetti, il vigile del fuoco si trova rinchiuso in una cella di tre metri quadri, da dividere con un altro detenuto. Il tutto per denunciare la complicità del nostro governo nelle azioni di un altro, che di morti e distruzione, quello sì, ne causa per davvero.

[di Valeria Casolaro]

Una nuova ricerca svela che durante il sonno il cervello pianifica il futuro

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Durante il sonno il cervello non solo consolida il ricordo delle esperienze passate, ma cerca anche di anticipare quelle future: ecco perché capita a volte di svegliarsi con in mente la soluzione ad un problema che fino a poche ore prima sembrava irrisolvibile. È ciò che emerge da un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature e condotto da scienziati della Rice University e dell’Università del Michigan. La ricerca ha indagato il comportamento di alcune aree dell’ippocampo dei ratti, i quali sono stati inseriti in una particolare scatola “labirinto” e sono stati analizzati durante il sonno. Il merito della scoperta va all’utilizzo di un nuovo approccio statistico basato su un algoritmo di apprendimento automatico, il quale ha permesso agli autori di capire quali porzioni del percorso veniva rappresentata da ciascun neurone e, di conseguenza, di inferire in quale posto l’animale stava sognando di trovarsi.

Già nel 2002, gli scienziati scoprirono che i neuroni degli animali addormentati che prima avevano esplorato un nuovo ambiente si attivano in modo da riprodurre le traiettorie percorse durante l’esplorazione. Ciò portò gli esperti a spiegare che durante il sonno le esperienze vengono cristallizzate in ricordi stabili, svelando i meccanismi che regolano il nostro cervello durante l’elaborazione di ciò che è stato vissuto in passato. Alcuni ricercatori della Rice University e dell’Università del Michigan, però, hanno voluto indagare ulteriormente e hanno scoperto che mentre sogniamo cerchiamo anche di pianificare il futuro. Gli scienziati hanno studiato il fenomeno nei ratti, i quali sono stati privati di acqua poche ore prima dell’esperimento e sono stati poi inseriti per un’ora all’interno di una scatola “labirinto”, ovvero una pista rialzata che prevedeva come “ricompensa” acqua alle due estremità. In seguito, le cavie sono state riportate all’interno del loro ambiente standard per permettergli di riposare 10 ore e infine sono stati riesposti nella stessa scatola per un’altra ora.

Il tutto è avvenuto sotto attenta osservazione degli scienziati che hanno monitorato l’attività cerebrale dell’ippocampo e, attraverso un calcolo statistico basato su un algoritmo di apprendimento automatico, hanno potuto stabilire in quale posizione l’animale stava sognando di trovarsi. «Per la prima volta in questo articolo, abbiamo osservato come questi singoli neuroni stabilizzano le rappresentazioni spaziali durante i periodi di riposo», ha affermato Caleb Kemere, neuroscienziato della Rice University e coautore, il quale ha aggiunto che i ricercatori hanno «immaginato che alcuni neuroni potessero cambiare le loro rappresentazioni, riflettendo l’esperienza che tutti abbiamo avuto di svegliarci con una nuova comprensione di un problema». Ha poi spiegato che «dimostrare questo, tuttavia, ha richiesto di monitorare il modo in cui i singoli neuroni raggiungono la sintonizzazione spaziale, cioè il processo attraverso il quale il cervello impara a navigare in un nuovo percorso o ambiente. Ho pensato a lungo a come valutare le preferenze dei neuroni al di fuori del labirinto, ad esempio durante il sonno. Abbiamo affrontato questa sfida mettendo in relazione l’attività di ogni singolo neurone con l’attività di tutti gli altri».

Tale metodo non solo ha confermato le scoperte precedenti riguardo alle rappresentazioni spaziali che si formano durante l’esplorazione del nuovo ambiente, le quali rimangono stabili per diverse ore di sonno in seguito all’esperienza vissuta, ma ha permesso ai ricercatori di andare oltre: «La capacità di tracciare le preferenze dei neuroni anche senza uno stimolo è stata per noi una svolta importante. La cosa che mi è piaciuta di più di questa ricerca e il motivo per cui ero così entusiasta è che non è necessariamente vero che durante il sonno l’unica cosa che fanno questi neuroni è stabilizzare il ricordo dell’esperienza. Possiamo vedere questi altri cambiamenti che si verificano durante il sonno e, quando rimettiamo gli animali nell’ambiente una seconda volta, possiamo verificare che questi cambiamenti riflettono davvero qualcosa che è stato appreso mentre gli animali dormivano. È come se la seconda esposizione allo spazio avvenisse effettivamente mentre l’animale dorme».

Kemere ha concluso affermando che la scienza e lo studio del cervello sono quindi pronti a compiere passi significativi in futuro, aggiungendo: «È del tutto possibile che se avessimo iniziato questo lavoro oggi, non saremmo stati in grado di fare questi esperimenti e ottenere questi risultati. Siamo decisamente grati che l’opportunità sia stata lì».

[di Roberto Demaio]

Russia e Bielorussia, riprendono le esercitazioni nucleari tattiche

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La Russia ha avviato la seconda fase delle esercitazioni delle forze nucleari tattiche con la Bielorussia. Lo ha riferito il ministero della Difesa russo con una nota, dichiarando che lo scopo dell’attività militare è quello di attestare la preparazione delle armi nucleari tattiche al fine di “garantire incondizionatamente la sovranità e l’integrità territoriale dello Stato dell’Unione”, ovvero di Russia e Bielorussia. L’agenzia di stampa russa Tass ha riferito che durante le esercitazioni saranno affrontate questioni attinenti all’addestramento congiunto delle unità delle forze armate dei due Paesi per l’uso in combattimento di armi nucleari non strategiche.

Europee in Italia: il governo perde un milione di voti, esiste un fronte pacifista che avanza

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Il risultato delle elezioni europee conferma una tendenza generale: metà dell’elettorato non va a votare. Ma come al solito tutti hanno vinto, secondo il principio che basta guardare i dati che si vogliono guardare e, soprattutto, non guardare i voti che si sono presi, che sono lo specchio reale ed obiettivo del consenso che si ha. Così, mentre i commenti mainstream si soffermano sulle percentuali (che nascondono con abilità e nonchalance la realtà dei fatti) le persone serie e posate dovrebbero andare a leggere i voti. Per farlo sembra ragionevole confrontare i dati delle recenti elezioni con le politiche, in particolare con le elezioni della camera dei deputati del 2022. Un esercizio capace di dimostrarci due verità del tutto ignorate dagli analisti ufficiali. 

Fratelli d’Italia perde voti: insieme al Movimento 5 stelle, Fratelli d’Italia è il partito che ha perso più voti, esattamente 600mila; è il primo partito ma l’entusiasmo immediatamente manifestato da Giorgia Meloni non è giustificato. Per giunta la nuova alleanza tra Forza Italia e Noi Moderati ha perso 200mila voti e la Lega ne ha presi 350mila circa in meno. In totale il governo che sta cantando vittoria ha perso oltre un milione di voti.

Partito Democratico, avanti piano: anche qui a guardare le percentuali sembra un grande successo, a guardare il numero di voti si scopre che il PD ha preso solo 250mila voti in più. Elly Shlein che ha cautamente portato il partito su alcune posizioni più di sinistra può essere contenta.

Movimento 5 stelle, continua a scendere: 2 milioni tondi di discesa nelle preferenze degli elettori: il ritorno ad alcuni temi classici degli inizi e la scritta “pace” dentro il simbolo non hanno impedito agli elettori di punire un movimento anti-sistema che quando è stato al governo non ha realizzato la maggior parte delle promesse elettorali.

Avanzano i pacifisti: nonostante i movimenti pacifisti non siano riusciti ad esprimere una lista comune come molti  pacifisti italiani  si aspettavano ma si siano divisi in varie liste, l’avanzata dell’Alleanza Verdi Sinistra è stata di oltre mezzo milione di voti mentre la lista Pace Terra Dignità, esclusa dagli eletti per l’incomprensibile soglia di  sbarramento, ha preso almeno centomila voti in più di quelli che aveva preso alla Camera la lista di Unione Popolare, e questo nonostante l’assoluta assenza dalle reti televisive e radiofoniche.  A questi voti vanno aggiunti anche quelli delle altre liste che facevano proposte chiaramente pacifiste (Libertà e Democrazia Sovrana e Popolare in totale altri 300mila voti). Se in questo conto volessimo considerare anche i voti assegnati alM5S potremmo dire che il pacifismo ha ottenuto circa 5 milioni di voti.

Astensionismo: ancora una volta la percentuale di chi non vota è salita, segno evidente che la sfiducia nella politica non ha freno. La propaganda sottile verso il non voto, dietro ai proclami retorici alla “partecipazione democratica” ha vinto una volta di più. Ma dietro l’astensionismo ci sono fenomeni molto diversi, dalla motivazione politica, alla disillusione, al menefreghismo, alla convinzione profonda dello scippo che altri poteri hanno fatto alla politica, in primis le grandi lobby finanziarie. Motivazioni anche giuste, ma quello che resta è il fatto che meno gente vota (e non vota per i rompiscatole) e più per i potenti è facile comprare eletti già “addomesticati”. Si spende meno…

[di Patrick Boylan – autore del libro Free Assange e co-fondatore del gruppo Free Assange Italia]