Il Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria nei confronti dell’azienda di moda del lusso Manufactures Dior. Come si legge in una nota dell’Arma, essa è stata infatti ritenuta “incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo”, poiché non avrebbe messo in atto “misure idonee alla verifica delle reali condizioni lavorative ovvero delle capacità tecniche delle aziende appaltatrici”, agevolando colposamente “soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato”. L’indagine è stata coordinata dal pm Paolo Storari e condotta dai carabinieri di Milano.
Sambuca, il Comune siciliano che si sta ripopolando vendendo case a tre euro
Dopo i successi riscossi negli ultimi anni da alcune città italiane che hanno lanciato le iniziative “case a un euro”, il comune siciliano di Sambuca sta preparando per l’asta un nuovo lotto con prezzi di partenza di 3 euro: si tratta di un progetto promosso con l’obiettivo di combattere lo spopolamento di alcuni borghi che prevede l’acquisto con l’obbligo da parte del nuovo proprietario a provvedere ad alcuni lavori di ristrutturazione entro un termine specifico. Le case coinvolte sono spesso di dimensioni ridotte, antiche o in cattive condizioni ma, come riportato in questi anni anche da diversi media locali ed internazionali, possono essere convertite in abitazioni uniche più grandi e ospitare persino i più recenti modelli di ascensori. «Il tempismo è perfetto» e «i turisti e gli acquirenti interessati che attualmente viaggiano in Italia, e coloro che pianificano un viaggio in primavera ed estate possono venire a dare un’occhiata», ha dichiarato il sindaco Giuseppe Cacioppo.
Comprare “case a un euro” è un progetto che mira a combattere lo spopolamento di alcuni borghi del Belpaese promosso da numerosi Comuni italiani i quali, acquisito l’immobile dal proprietario precedente, lo vendono al prezzo simbolico di un euro ma con l’obbligo da parte dell’acquirente di ristrutturarlo entro un termine specifico. Si tratta spesso di case antiche e non utilizzate quindi, rimaste abbandonate o destinate alla demolizione. Per accedere all’iniziativa servono solo alcune condizioni base e i compratori interessati devono contattare direttamente il Comune ed esprimere il proprio interesse. Si tratta inoltre di una possibilità rivolta anche ai cittadini non italiani, a patto che questi siano in possesso del codice fiscale italiano, necessario per pagare le tasse. Infatti, nonostante le agevolazioni erogate tramite bonus restauri, bonus ristrutturazione e sconto del 50% sugli elettrodomestici, l’acquirente deve farsi carico di alcune spese che non hanno nulla a che vedere con il prezzo di acquisto proposto: il compratore infatti spesso deve assicurare che avvenga la ristrutturazione e la rivalutazione dell’immobile entro un determinato periodo dall’acquisto, per valori fino a circa 20-25 mila euro e, inoltre, è necessario sostenere le spese notarili per la registrazione e l’accatastamento dell’immobile, l’avviamento dei lavori e per pagare una polizza fideiussoria di 5.000 euro della durata di tre anni.
Si tratta di cifre sostanzialmente diverse, quindi, dal costo dell’abitazione proposto, che però non hanno comunque frenato centinaia di cittadini e di investitori che già da anni hanno provveduto a ripopolare diverse città d’Italia – tra cui appunto Sambuca – costruendo tra l’altro anche nuovi B&B e nuovi negozi. Il comune siciliano, attualmente, si sta preparando a mettere all’asta un terzo lotto con prezzi di partenza di 3 euro. «Vogliamo solo chiarire che numerando questi lotti probabilmente seguiranno più vendite nei prossimi anni. Gli stranieri si affollano per comprare le nostre case, finora è stato un successo», ha dichiarato il sindaco Giuseppe Cacioppo, il quale ha aggiunto che le case disponibili, situate nell’antico quartiere saraceno, sono «strutturalmente stabili come quelle finora vendute» ma necessitano di un restyling. Le autorità locali infatti presero possesso di diverse case abbandonate dopo che un terremoto colpì la Valle del Belice nel 1969 e costrinse la popolazione a fuggire abbandonando diverse abitazioni.
Si tratta di case singole da 50 a 80 metri quadrati, con due o tre camere da letto e distribuite su uno o tre piani. A seconda delle condizioni – spiega il sindaco alla CNN – i lavori di ristrutturazione possono partire da 30.000 euro ma arrivare anche oltre a 200.000 euro se gli acquirenti intendono trasformare l’abitazione in un rifugio di lusso. Molti proprietari precedenti, infatti, hanno annesso diverse proprietà unificando queste piccole case in una unica o sono riusciti addirittura a costruire ascensori interni. «La nostra città è ormai definitivamente sulla mappa», ha affermato Cacioppo, aggiungendo che i candidati interessati possono trovare foto e descrizioni delle case disponibili, insieme ai moduli di richiesta, sul sito ufficiale del municipio.
[di Roberto Demaio]
Recanati, un’altra sentenza smonta l’obbligo vaccinale sul luogo di lavoro
Ancora una volta, un tribunale infierisce un colpo ai decreti che, durante il periodo pandemico, hanno imposto l’obbligo vaccinale per i lavoratori dipendenti e la sospensione senza stipendio per i “renitenti” alla dose anti-Covid. L’ultima sentenza arriva da Recanati, in provincia di Macerata, dove il Tribunale del Lavoro ha dato ragione a una professoressa che, a fine 2021, era stata sospesa senza stipendio dalla scuola in cui insegnava per non essersi vaccinata. L’insegnante aveva fatto ricorso, sostenendo che il fatto di essere in malattia la esonerasse dall’obbligo di presentare la certificazione vaccinale. La sua motivazione è stata accolta dal giudice, che ha condannato la scuola a reintegrarla con restituzione degli stipendi arretrati.
Nello specifico, dopo aver diffidato l’insegnante – di nome Rita Andrenelli – a effettuare la vaccinazione, la dirigente scolastica dell’Istituto di istruzione superiore Mattei Di Recanati aveva sospeso per un periodo di tre mesi dal lavoro l’insegnante, bloccando anche l’erogazione degli stipendi, in applicazione dell’articolo 4 del decreto legge 44 del 2021. Dopo essersi rivolta a un legale, la docente sospesa aveva presentato ricorso al Tribunale del Lavoro di Macerata. In una recente udienza, nella cui cornica l’Avvocatura dello Stato aveva insistito per la validità della sospensione, il giudice del lavoro si è pronunciato dando ragione alla donna e sancendo che, avendo quest’ultima presentato il certificato di malattia all’istituto, nessuno avrebbe potuto obbligarla a farsi inoculare contro il Covid. Per questo motivo, il giudice ha disposto il reintegro dell’insegnante, imponendo al Ministero dell’Istruzione il pagamento degli stipendi non erogati in suo favore.
Questa è solo l’ultima di una lunga scia di pronunce giurisprudenziali che, a diverse latitudini, stanno smontando pezzo per pezzo le norme che durante la pandemia hanno introdotto l’obbligo vaccinale e le sanzioni ai non vaccinati. In Liguria, nel gennaio dello scorso anno l’azienda ASL2 è stata condannata dal tribunale di Genova a pagare gli stipendi non corrisposti degli operatori sanitari dell’ospedale Santa Corona di Pietra Ligure, sospesi per sei dalle proprie mansioni nel 2021 in quanto non vaccinati. Pochi mesi dopo, il giudice monocratico del Tribunale del lavoro dell’Aquila ha emesso una fondamentale sentenza con cui è stata dichiarata illegittima la sospensione dal lavoro per la mancata vaccinazione Covid da parte dei lavori sottoposti all’obbligo, ovvero gli over 50, con la motivazione che le caratteristiche stesse dei vaccini anti-Covid disponibili non rispettano “il fondamento per imporre l’obbligo vaccinale”, in quanto non conferiscono “la garanzia della prevenzione dall’infezione”. Il mese scorso, due sentenze hanno riaperto il dibattito sul punto: quella del giudice del Lavoro del Tribunale di Bolzano, che ha stabilito che l’Asl bolzanina dovrà pagare un risarcimento di circa 170mila euro a una dirigente dell’ospedale di Bressanone che nel 2021 fu sospesa dal servizio per non essersi fatta inoculare, e il giudice del lavoro di Vasto, che ha condannato la Asl Lanciano Vasto a risarcire con oltre 4mila euro un infermiere che, nel 2022, era stato sospeso dal lavoro e dalla retribuzione per non aver adempiuto all’obbligo di vaccinazione contro il Covid 19 o alla comunicazione della certificazione recante le ragioni giustificative della mancata vaccinazione.
[di Stefano Baudino]
Somalia, scontro tra clan: almeno 55 morti
Nel corso del weekend nella Somalia centrale sarebbe avvenuto uno scontro tra clan in seguito a cui sarebbero state uccise 55 persone e ferite altre 150. A comunicare la notizia sono autorità ospedaliere e residenti locali, che nella tarda mattinata di oggi hanno sentito l’agenzia di stampa Reuters. Nello specifico, gli scontri tra i due clan rivali sarebbero esplosi di domenica, nelle città di Abudwaq ed Herale presso la regione di Galmudug. Le ragioni dietro alle lotte intestine al Paese sarebbero da trovarsi in questioni territoriali e di controllo delle risorse idriche.
Effetto Europee: in Francia e Belgio cadono i governi, in Germania Scholz è sfiduciato
Se i risultati delle elezioni europee, nel loro complesso, non lasciano presagire particolari scossoni per quanto attiene alle linee guida delle politiche comunitarie, altrettanto non si può dire degli effetti sulla situazione interna ad alcuni Paesi, dove il voto dell’8 e 9 giugno ha provocato veri e propri terremoti. È il caso della Francia, dove il presidente Emmanuel Macron, in seguito alla netta sconfitta elettorale, ha sciolto parlamento e indetto nuove elezioni, e del Belgio, che ha visto il primo ministro liberale Alexander De Croo rassegnare le dimissioni dopo essere stato battuto alle urne. Non è da meno la Germania, dove il cancelliere Scholz è stato surclassato sia dai conservatori moderati che dalle forze dell’ultradestra. Le prossime settimane saranno dunque decisive per comprendere quale fisionomia assumeranno alcuni tra i più influenti governi del Continente.
Il primo grande leader nazionale uscito sconfitto da queste elezioni europee è sicuramente il presidente francese Emmanuel Macron, il cui partito centrista Reinassance ha ottenuto soltanto il 15,2% dei consensi, venendo sbaragliato dal Rassemblement national – forza di estrema destra guidata da Marine Le Pen – che ha raggiunto il 31,5% dei consensi, divenendo in assoluto il primo partito all’Eurocamera per numero di eletti. Ieri sera, Macron ha annunciato lo scioglimento dell’assemblea nazionale, dichiarando in un discorso diffuso sui propri canali social che «dopo aver effettuato le consultazioni previste dall’articolo 12 della nostra Costituzione», ha deciso restituire ai francesi «la scelta del nostro futuro parlamentare attraverso il voto». Il primo turno si terrà il 30 giugno, il secondo il 7 luglio. La mossa di Macron rappresenta la prova più plastica di una sconfitta cocente, specie dal momento che era stato lo stesso Jordan Bardella, presidente di Rn e principale candidato principale del partito alle europee, a chiedere al presidente francese di procedere in tal senso nel suo discorso di vittoria.
Uno scenario simile è quello del Belgio – in cui, oltre alle Europee si votava anche per le elezioni federali e locali –, dove il primo ministro Alexander De Croo ha ufficializzato le sue dimissioni. Il suo partito è crollato al 5,9%, mentre si è registrato l’importante risultato del Vlaam Belang, il partito nazionalista fiammingo guidato da Tom van Grieken, che ha raggiunto il 21% dei consensi, senza riuscire però a battere i conservatori di New Flemish Alliance (25%) come i sondaggi pre-elettorali avevano per mesi ventilato. «Per noi è una sera particolarmente difficile, abbiamo perso», ha dichiarato – non riuscendo a trattenere le lacrime – De Croo, il quale ha ammesso la sonora sconfitta e si è complimentato con le forze della destra fiamminga. «Mi assumo le mie responsabilità, da domani – ha aggiunto – sarò un primo ministro dimissionario e mi concentrerò sulla gestione degli affari correnti».
In Germania, il grande perdente è il presidente socialista Olaf Scholz. Il suo partito ha raccolto solo il 14% dei voti (peggior risultato mai ottenuto in tutte le dieci elezioni europee svoltesi finora), la metà dei consensi ottenuti dalla CDU/CSU, che con il 30% è risultato il partito più votato. Scholz è stato superato anche dagli estremisti di destra dell’AfD, che con il 16,2% dei voti sono il secondo partito nel Paese. La crisi è però diffusa a tutta la coalizione guidata dal cancelliere: i Verdi, che nel 2019 si erano attestati al 20,5% delle preferenze, sono crollati all’11,9%, mentre il partner della coalizione Fdp ha preso il 5,2% (poco al di sopra della soglia sotto cui, alle elezioni federali, si finirebbe fuori dal Parlamento). Scholz aveva fortemente personalizzato le Europee come una sorta di referendum sul suo operato: la bocciatura degli elettori è stata clamorosa e ora, forti dei nuovi rapporti di forza in campo, i vertici dell’Union gli hanno espressamente chiesto di presentarsi al Bundestag per «chiedere il voto di fiducia».
Interessante è anche la situazione in Slovacchia, dove il partito del primo ministro Robert Fico – reduce da un attentato a colpi di arma da fuoco avvenuto lo scorso 15 maggio – perde il primato. Le elezioni sono infatti state vinte dal partito di opposizione Slovacchia Progressista con il 27,81% dei voti, mentre lo Smer-Sd del premier è arrivato secondo con il 24,76%. In Ungheria, nonostante il suo partito, Fidesz, abbia ampiamente primeggiato con il 44% dei consensi, si registra una battuta d’arresto per il presidente Orban. Si tratta, infatti, del dato più basso maturato dalla sua forza politica nell’arco delle cinque elezioni per il Parlamento europeo che si sono svolte nel Paese. Infatti, nel 2004 Fidesz ottenne il 47,4%, nel 2009 il 56,4%, nel 2014 il 57,1% e nel 2019 il 52,6%.
Si contano, comunque, anche casi di nazioni in cui i governi non escono indeboliti dalle europee. È il caso dell’Italia, dove Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni migliora addirittura il dato delle ultime Politiche, arrivando a sfiorare il 29%. In Spagna ha ottenuto il maggior numero di consensi – il 34,2% dei voti – il Partito Popolare di Alberto Nunez Feijoo, che non è però riuscito a staccare di molti punti percentuali i socialisti del premier Pedro Sanchez, che si attestano come secondo partito prendendo il 30,1%. La terza forza è Vox, che sfiora il 10% dei voti. Una buona performance, più contenuta però rispetto ad altri partiti di ultra-destra in Europa. In Portogallo l’Alleanza democratica di centrodestra, al governo del Paese, ottiene il 30,6%, venendo superata di pochi decimi dai socialisti, che si accaparrano il 31,4% dei consensi. Il partito di estrema destra Chega di Andrè Ventura, con il 9,2%, si colloca in quarta posizione.
[di Stefano Baudino]
Europee: un elettore su due non vota, gli altri confermano la linea su guerra e austerità
Si è chiusa la tornata elettorale per votare la decima legislatura del Parlamento Europeo, e, contrariamente a quanto paventato dai grandi media tradizionali, sul palcoscenico comunitario non paiono essersi verificati particolari stravolgimenti. Nonostante da mesi non si faccia che parlare di un possibile “ritorno del fascismo”, alla fine, i primi dati sui risultati parlano chiaro: i cittadini hanno poca fiducia nell’Europa e continuano, sempre che vadano a votare, a preferire le forze liberali. I popolari del PPE, infatti, si confermano la prima forza – per giunta in crescita – e i socialisti, malgrado un leggero calo, riaffermano il proprio secondo posto; sebbene non quanto previsto prima delle elezioni, crescono effettivamente i partiti euroscettici, principalmente a scapito degli europeisti più convinti come quelli di Renew Europe (di linea atlantista-europeista, in Italia rappresentata da Stati Uniti d’Europa e Azione), e degli ambientalisti del Partito Verde, che vivono un drastico calo. Nonostante tutto ciò, la maggioranza popolari-socialisti-europeisti, non sembra venire davvero scalfita, e si conferma così la solita linea liberale e filo-americana che governa l’Europa da anni. Grandi invece gli scossoni all’interno dei singoli Paesi, tanto che addirittura in Francia Macron è stato costretto a sciogliere l’Assemblea Nazionale e chiamare elezioni anticipate.
Le elezioni europee 2024 sono iniziate il 6 giugno e si sono chiuse domenica 9 giugno. Per mesi le forze politiche di tutto il continente hanno spinto i cittadini ad andare a votare, suggerendo un possibile, ma incombente rischio di exploit della destra. In effetti, il partito conservatore (in Italia rappresentato da Fratelli d’Italia) e Identità e Democrazia (dalla linea nazionalista-sovranista e, in certi casi, più vicina alla Russia di Putin, in Italia rappresentata dalla Lega) avrebbero insieme ottenuto, secondo i primi risultati, almeno una dozzina di seggi in più, a testimonianza della crescita del sentimento euroscettico tra i cittadini europei. A confermare il generale senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni comunitarie paiono arrivare anche le prime proiezioni sull’affluenza, che per quanto non ancora realmente disponibile sembra fermarsi al di sotto del 50%. Particolarmente restitutivo, in tal senso, risulta il dato dell’Italia, che per la prima volta dal 1979 vede una percentuale di astensionismo superiore al 50%. I partiti di destra sono nello specifico cresciuti a scapito di quelli dalla linea più europeista, primo fra tutti RE, che per ora sembra avere ceduto oltre 20 seggi ai rivali; fiasco totale anche per i verdi, che secondo le prime proiezioni avrebbero perso poco meno di 20 posti in Parlamento.
Nonostante la sfiducia verso l’Unione sia aumentata, le carte in tavola rimangono sostanzialmente le stesse. Il nuovo Parlamento, per ora, risulterebbe infatti composto da: Partito Popolare Europeo con 185 seggi (9 in più rispetto al 2019), socialisti con 137 seggi (2 in meno), Renew Europe con 80 seggi (22 in meno), conservatori con 73 seggi (4 in più), Identità e Democrazia con 58 seggi (9 in più), verdi con 52 seggi (19 in meno), The Left (esponenti della forma più radicale di sinistra in Europa) con 36 seggi (1 in meno), e infine 99 seggi ricoperti da non iscritti e membri di altri piccoli gruppi. La cosiddetta “maggioranza Ursula”, ovvero quella tripartitica composta da popolari, socialisti ed europeisti, insomma, sembra avere retto il colpo abbastanza solidamente. Per ora, se messi insieme, i tre partiti della maggioranza raggiungono infatti 402 seggi, 41 in più rispetto alla nuova soglia per la maggioranza assoluta. Malgrado non si sappia ancora a chi verrà affidata la guida della Commissione (anche se è un po’ di mesi che si parla di un eventuale secondo mandato a Ursula Von der Leyen), il tanto paventato “ritorno al fascismo” non si è verificato, e ha comportato solo qualche piccolo spostamento, mentre intanto si mantiene forte la maggioranza classica: quella legata ai soliti partiti che indirizzano da sempre le linee politiche europee, a partire dal liberalismo fino ad arrivare alla cieca fedeltà verso l’alleato statunitense.
[di Dario Lucisano]
Arresti e bombe sui campi: nel silenzio globale la Turchia aggrava la repressione dei curdi
Prima gli attacchi alle centrali elettriche, poi gli attacchi di artiglieria e di mortaio e i roghi di centinaia di ettari di terreni agricoli: la Turchia sta cercando in ogni modo di destabilizzare le zone a nord-est della Siria, in corrispondenza della regione del Rojava, dove il prossimo 11 giugno avrebbero dovuto svolgersi le elezioni municipali. Si tratta di un evento di portata storica, trattandosi delle prime elezioni dal 2017, ovvero da quando l’Amministrazione Autonoma Democratica della Siria Settentrionale (DAANES) si è espansa geograficamente a seguito della sconfitta dell’ISIS. Il rischio, per la Turchia, è che queste elezioni possano confermare, tramite un processo democratico, il controllo delle Forze Democratiche Siriane a maggioranza curda nella zona, ostacolando di fatto il tentativo di Ankara di prendere il controllo del Rojava. Tuttavia, nonostante la portata dell’evento e della repressione turca, la stampa e la politica internazionale continuano a non voler guardare quanto sta accadendo e a ignorare il doppio standard di Erdogan, che da un lato si schiera (a parole) contro il genocidio in Palestina e dall’altro porta avanti un disegno politico del tutto simile a quello israeliano, differente nei numeri ma non nella sostanza.
A partire da maggio, gli attacchi delle forze turche nelle zone lungo il confine nordorientale tra Siria e Turchia si sono fatti sempre più frequenti e violenti. Secondo quanto riferito dal gruppo di attivisti RiseUp4Rojava, il 18 maggio i villaggi nella zona di Shehba, a nord di Aleppo, sono stati oggetto di attacchi di artigleria, che hanno causato il ferimento grave di due ragazzini. Il 23 maggio, le truppe di Ankara hanno scaricato oltre 200 proiettili di artiglieria su una dozzina di villaggi nella zona di Minbic, causando morti e feriti gravi. Lo scorso 31 maggio, quattro combattenti delle Forze Democratiche Siriane (SDF) sono rimasti uccisi nel corso di un attacco con droni, mentre 11 civili sono stati feriti. In aggiunta a ciò, centinaia di ettari di campi coltivati e decine di migliaia di alberi di ulivo sono stati dati alle fiamme (azione considerata crimine di guerra dal diritto internazionale, ma usata dalla Turchia da anni), causando una grave minaccia al sostentamento di una regione che dipende in larga parte dall’agricoltura.
Salih Muslim, co-leader del Partito di Unione Democratica curdo, ha definito gli attacchi della Turchia come un tentativo di sabotare le elezioni e ha dichiarato che «il nostro popolo andrà alle urne senza fare un passo indietro ed eleggerà i propri rappresentanti con la propria volontà». Le elezioni sono infatti il primo evento di questo genere da lungo tempo nel nordest della Siria, motivo per il quale la Turchia è tanto determinata a impedire che abbiano luogo. «Le elezioni si svolgeranno in un ambiente democratico e trasparente. Inoltre si stanno attuando i requisiti del Contratto Sociale. Pertanto nessun gruppo ha il diritto di dire nulla sulle elezioni» ha dichiarato Muslim. Il Contratto Sociale (o Carta del Rojava) è una carta giuridica valida per l’intera società curda, un modello senza precedenti nel Medio Oriente, che intende costruire una società libera da autoritarismo, militarismo e ingerenze religiose nella vita civile dei cittadini, pur garantendo il rispetto di ogni cultura.
La data per andare alle urne era stato fissata per il prossimo 11 giugno ma, alla luce della situaizone attuale, i partiti politici hanno esercitato pressioni sulla Commissione elettorale, al fine di ottenere un rinvio e poter garantire elezioni democratiche. La nuova data è stata fissata per il prossimo agosto. Le elezioni, previste per tutte le regioni della Siria nord-orientale controllate dalle SDF, sono le prime dal 2017, quando l’Amministrazione Autonoma Democratica della Siria Settentrionale (DAANES) si espanse geograficamente dopo la sconfitta dell’ISIS. L’Alta Commissione Elettorale ha riferito che sono in corsa oltre 5 mila candidati per le elezioni dei co-sindaci e dei consigli in oltre 134 municipalità, con più due milioni e mezzo di aventi diritto al voto sparsi in 7 province. La portata dell’evento ha attirato l’attenzione di diversi attori esterni, in primis della Turchia, che si oppone all’amministrazione locale e che teme che queste elezioni possano di fatto legittimare lo status quo nella regione. Secondo il leader del Partito del Movimento Nazionalista (MHP), Devlet Bahceli, alleato politico di Erdogan, queste elezioni sono «un tentativo di dividere la Siria con la scusa della democrazia» e dichiarato che Turchia e governo siriano dovrebbero coordinarsi per distruggere le SDF e DAANES. Bahceli ha anche criticato il supporto statunitense alle SDF considerandolo sintomo di una grave minaccia alla sicurezza della Turchia, chiedendo a Washington di ritirare immediatamente le sue forze dalla Siria e dall’Iraq, come già fatto in Afghanistan. A tal proposito, il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Vedant Patel, ha dichiarato che «Qualsiasi elezione che si svolge in Siria dovrebbe essere libera, equa, trasparente e inclusiva, come richiesto nell’UNSCR 2254, e non riteniamo che le condizioni per tali elezioni siano presenti nel nord-est della Siria al momento». Tuttavia, come sottolineato dall’Istituto per la Pace curdo, queste elezioni costituiscono un evento perfettamente in linea con gli sforzi statunitensi di lunga data di stabilizzare la regione e garantire ai locali una maggiore inclusione e rappresentanza all’interno degli organi amministrativi.
Il Rojava non è l’unico contesto nel quale i turchi stanno cercando di soffocare il controllo dei curdi. Pochi giorni fa, infatti, è stato destituito il neoeletto sindaco della città di Hakkari, nella provincia di Bakur. Mehmet Siddik Akis, del Partito per l’Uguaglianza e la Democrazia dei Popoli (DEM), è stato condannato a quasi 20 anni di carcere con l’accusa di avere collegamenti con il PKK, il Partito dei Lavoratori Curdi, considerato dal governo turco un gruppo terroristico. Nelle ultime elezioni turche, svoltesi a marzo, il DEM ha ottenuto la maggioranza in moltissimi comuni nelle province del Kurdistan turco, vittoria che Erdogan ha cercato di sabotare in ogni modo. Il tentativo di rimozione del sindaco della città di Wan, in particolare, ha scatenato rivolte popolari che hanno visto la partecipazione di decine di migliaia di persone. Si tratta di pratiche non nuove per il presidente turco, che nel 2019 aveva già sostituito 48 dei 65 sindaci eletti con il Partito Democratico dei Popoli (HDP) con propri fiduciari.
[di Valeria Casolaro]
Europee: affluenza in Italia sotto il 50%, vince la Meloni
Le elezioni europee dell’8-9 giugno hanno fatto segnare un calo storico dell’affluenza in Italia, che si è fermata al 49,69% (si è recato alle urne meno di un elettore su due). Mentre lo spoglio si avvia alla conclusione, si registra la vittoria di Fratelli d’Italia, che sfiora il 29% dei consensi. Al secondo posto il PD, con il 24%. Delusione per il M5S, fermo al 9,9% dei voti, tallonato da Forza Italia (9,7%) e Lega (9,1%). Boom di AVS, in forte crescita rispetto alle politiche, che arriva al 6,63%. Restano fuori dal parlamento europeo Stati Uniti d’Europa di Renzi e Bonino (3,74%) e Azione di Calenda (3,31%).
Forze militari yemenite rivendicano tre attacchi nel Mar Rosso
Le forze armate yemenite hanno annunciato di aver lanciato una nuova operazione militare diretta contro il cacciatorpediniere britannico Diamond nel Mar Rosso. L’attacco è stato «accurato» e realizzato con una serie di missili balistici, secondo quando riportato dall’Agenzia di stampa yemenita Saba. Inoltre, sarebbero state colpite con droni e missili navali e balistici anche la nave Norderney e la MSC Tavvishi nel Mar Arabico in quanto «appartenenti a società che hanno violato la decisione di divieto d’accesso ai porti della Palestina occupata», secondo quanto riferito dal generale di brigata Yahya Sarie. Nessuna conferma, per ora, da parte occidentale