sabato 5 Luglio 2025
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Terra dei Fuochi, la CEDU condanna in via definitiva l’Italia per i rifiuti tossici

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La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha pronunciato una sentenza storica contro l’Italia, riconoscendo la responsabilità dello Stato nella gestione del disastro ambientale della Terra dei Fuochi. La Corte ha infatti stabilito che l’Italia ha violato gli obblighi di protezione della popolazione locale, non adottando misure adeguate contro l’inquinamento da rifiuti tossici che ha compromesso la salute di milioni di cittadini. I giudici hanno evidenziato che le autorità erano consapevoli dello smaltimento illegale di rifiuti, spesso orchestrato da gruppi di criminalità organizzata, ma non sono intervenute con la necessaria tempestività. Secondo il verdetto, emesso in via definitiva, l’Italia ha ora due anni per adottare misure concrete: elaborare un piano efficace contro l’inquinamento, implementare controlli autonomi e rendere accessibili ai cittadini le informazioni sui rischi ambientali e sanitari.

La sentenza nasce dal ricorso “Cannavacciuolo e altri contro Italia”, presentato da 41 cittadini di Napoli e Caserta e cinque associazioni, che denunciavano l’inerzia dello Stato di fronte a una situazione nota da decenni. Nello specifico, la Cedu ha riscontrato la violazione dell’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che tutela il diritto alla vita, e dell’articolo 8, relativo al rispetto della vita privata e familiare. «Lo Stato italiano non ha risposto alla gravità della situazione con la diligenza e la rapidità richieste, nonostante fosse a conoscenza del problema da molti anni», ha scritto la Corte, riconoscendo un rischio per la vita «sufficientemente grave, reale e accertabile» qualificabile come «imminente». «Data l’ampiezza, la complessità e la gravità della situazione, era necessaria una strategia di comunicazione completa e accessibile, per informare il pubblico in modo proattivo sui rischi potenziali o reali per la salute e sulle azioni intraprese per gestire tali rischi. Questo non è stato fatto. Anzi, alcune informazioni sono state coperte per lunghi periodi dal segreto di Stato», hanno messo nero su bianco i giudici. Nel verdetto, la Corte fa riferimento a una serie di autorevoli rapporti – tra i quali quelli pubblicati dall’OMS e da The Lancet Oncology – in cui si fa riferimento al «disastro ambientale paragonabile solo alla diffusione della peste nel XVII secolo», dove il territorio campano viene inquadrato come «la pattumiera d’Italia» e «un ricettacolo di rifiuti di ogni genere». Un inferno ambientale iniziato circa quaranta anni fa, quando la Camorra cominciò a sversare rifiuti tossici industriali ed ospedalieri di mezza Italia nelle periferie di Napoli e Caserta.

Nel 2023, in seguito a forti pressioni da parte dei cittadini, sono stati finalmente diramati i dati, aggiornati al 2018, del Registro Tumori Asl Napoli 2 nord, che delineano un quadro assolutamente allarmante. Confermando che gli abitanti della provincia del capoluogo campano registrano la più bassa aspettativa di vita alla nascita, il report evidenzia nel periodo 2010-2018 un’incidenza statisticamente assai significativa delle patologie neoplastiche nel Distretto di Acerra (Napoli). I dati rilasciati certificano, in particolare, un eccesso di incidenza e mortalità per cancro per quasi tutti i tumori noti, ovvero quello del polmone, della mammella, della vescica, del colon-retto, del fegato e delle vie biliari, dei linfonodi, della tiroide, dello stomaco e del pancreas. Come spiegato da Antonio Marfella, Presidente dell’Associazione Medici per l’Ambiente di Napoli, l’incidenza e la mortalità per cancro nei distretti esaminati risulta parallela non alla concentrazione demografica o alla deprivazione dei singoli comuni nei distretti, ma, ha «alla vastità e disponibilità di aree demaniali (sversamento di rifiuti tossici) e industriali ASI (sversamento in loco di rifiuti industriali prodotti in regime di evasione fiscale)».

La Campania non è l’unica porzione di territorio intaccata da queste vicende. Lo testimonia, ad esempio, la drammatica realtà ambientale del Salento, che registra un tasso di mortalità per tumori tra i più alti d’Italia. Le cause risiedono nell’interramento di rifiuti tossici, un fenomeno avviato negli anni Ottanta con un decreto d’urgenza e poi gestito dalla criminalità organizzata, in particolare dal clan dei Casalesi in collaborazione con la Sacra Corona Unita. L’inquinamento del suolo e delle falde acquifere rappresenta una minaccia crescente, aggravata dall’omertà e dall’assenza di interventi di bonifica. Tuttavia, l’interesse economico legato al turismo impone il silenzio su questa emergenza ambientale.

[di Stefano Baudino]

A Barcellona è stata sgomberata l’Antiga Massana, luogo simbolo della resistenza cittadina

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A Barcellona la politica degli sgomberi non vede battute d’arresto. Nella giornata del 28 gennaio, i locali dell’Antiga Massana, luogo simbolo della resistenza cittadina e sede del Sindicat de l’Habitatge del Raval (Sindacato della Casa), nel quartiere del Raval, sono stati sgomberati dalle forze dell’ordine senza alcun tipo d’avvertimento. A pochi minuti dalle prime luci del mattino, vari camion della Policía Nacional e dei Mossos d’Esquadra si sono recati negli spazi occupati dell’Antiga Massana per effettuare uno sgombero dei locali e di tutti i materiali che per anni hanno garantito aiuto al quartiere e alla resistenza popolare del Raval. Alcuni mesi fa soltanto, più di dodicimila persone avevano partecipato ad una manifestazione in difesa dello spazio e contro il tentativo di riacquisizione dello stesso da parte del governo della città. Difatti questo luogo, di proprietà del Comune, ha ospitato storicamente l’Accademia delle Belle Arti, per poi rimanere vuoto nel 2017 dopo lo spostamento di quest’ultima nell’edificio adiacente. 

Dal 2020 varie entità del quartiere si sono così installate nei locali vuoti, altrimenti destinati alla distruzione con il fine di unire due strade, e hanno dato vita ad una vera e propria comunità, attenta alle necessità popolari, al diritto alla casa e al contrasto della speculazione immobiliare, tanto privata, quanto pubblica.

«La situazione sta gradualmente precipitando, si nota la differenza tra En Comù e il Partido Socialista Catalán». Con queste parole iniziava l’intervento di una rappresentante del Sindicat de Habitatge del Raval nel novembre del 2022. «Per anni abbiamo difeso le persone vulnerabili dagli sgomberi, adesso rischiamo di essere sgomberati anche noi», ed è ciò che è accaduto a distanza di due anni.

Non appena sono iniziati a circolare i video delle camionette di Policía e Mossos D’Esquadra raggiungere la piazza e le forze dell’ordine fare irruzione all’interno dell’Antiga Massana, il tam tam mediatico della rete sindacale è stato immediato. «Tothom cap a la plaça Gardunya a defensar els espais de la clase treballadora! (Tutti verso la piazza Gardunya a difendere gli spazi della classe lavoratrice)» riportava alle 8 la pagina X dell’Antiga Massana. In pochi minuti svariati manifestanti si sono riversati verso la piazza, imbattendosi però nei cordoni degli agenti schierati in assetto antisommossa. Fin da subito la situazione è stata drammatica. Le cariche della polizia contro i manifestanti hanno causato più di cinquanta feriti, alcuni hanno riportato ferite alla testa. 

[Foto di Armando Negro]
Le pattuglie, dispiegate tra le anguste vie del quartiere, delimitavano l’accesso alla piazza, finendo per accerchiare le centinaia di manifestanti tra Plaça del Canonge Colom, Carrer de l’Hospital e Carrer de la Junta de Comerç. Poco prima delle ore 10, un camion con tutti i materiali di proprietà del Sindacato e della comunità attiva nell’Antiga Massana ha lasciato la zona, dinanzi all’incredulità dei presenti. Nonostante lo sgombero fosse quindi effettivamente concluso, la polizia ha bloccato l’accesso alla zona per le successive tre ore, caricando a più riprese i manifestanti intenti a rientrare negli spazi occupati. «Sono sotto shock, ho preso varie manganellate alle gambe. Non so cosa dire, sono senza parole» mi confida una ragazza seduta a terra mentre applica del ghiaccio sulle ferite alle ginocchia. La vicinanza con il famoso Mercat de la Boqueria fa sì che anche qualche turista si imbatta, spaesato, nella calca.  «Nei locali non c’era nessuno» mi racconta una signora attiva nella comunità di quartiere «abbiamo visto le foto e i video della polizia e ci siamo precipitati. Ormai avranno finito, non capisco perché continuano a colpirci. L’unica cosa che mi viene da pensare è che questi spazi non dovrebbero essere mai lasciati incustoditi». Mentre una ventina di agenti, seguiti da una decina di camionette, contingenta Carrer de l’Hospital, la folla di manifestanti innalza cartelli di protesta. «Desnonament Il.legal» (Sgombero illegale), «L’Antiga Massana es queda al barri» (L’Antiga Massana resta al quartiere) si può leggere tra la folla, mentre si levano cori contro Jaume Collboni, sindaco della città. Altri manifestanti si appellano alle forze dell’ordine, spiegando che il progetto di levare spazi alla cittadinanza per arricchire gli investitori immobiliari, si ritorcerà anche contro di loro. La frustrazione, la rabbia e l’incredulità tra i manifestanti è concreta, molte persone siedono accovacciate sui marciapiedi, in lacrime, mentre le più anziane provano a consolarle.

[Foto di Armando Negro]
Verso le 13 il gruppo di manifestanti abbandona gradualmente le strade delimitate, dopo aver organizzato una manifestazione per la sera stessa, alle ore 19.30, nell’adiacente Rambla del Raval. Oltre ai feriti, la rappresentanza del sindacato fa noto che cinque persone sono state detenute dalle forze dell’ordine.

Più di diecimila persone, secondo gli organizzatori, hanno invaso le strade del Raval per protestare contro lo sgombero della Massana, confluendo dalle sedi dei sindacati situati nei vari quartieri della città. Ancora una volta, però, le forze dell’ordine hanno impedito lo svolgimento della manifestazione, bloccando i manifestanti con varie cariche lungo Carrer del Carme. Come riportato dalla stessa organizzazione, la manifestazione ha avuto fine intorno alle 22.30, a causa della rinnovata violenza operata dalle forze dell’ordine contro le persone manifestanti.

Lo sgombero dell’Antiga Massana è un vero e proprio fulmine a ciel sereno nella resistenza popolare della città. Questa settimana, infatti, l’attenzione dei vari sindacati era tutta rivolta verso il giudizio che avrà luogo giovedì mattina, 30 gennaio, di due manifestanti arrestati proprio durante uno sgombero, nel 2020. I due rischiano dodici anni di carcere. Lo stesso giorno, inoltre, avrà luogo una grande manifestazione contro l’annunciato sgombero, previsto per il 31, della Casa Orsola, un grande spazio occupato nel quartiere dell’Eixemple. 

[Foto di Armando Negro]
La politica vive la vicenda con un celato imbarazzo. Durante lo sgombero della Massana un rappresentante del partito En Comù-Podem, compagine dell’ex sindaca Ada Colau, venuto per esprimere la propria vicinanza alla causa, è stato respinto dai manifestanti e accusato di essere parte integrante del problema, insieme ai vari partiti che hanno portato nel corso degli anni a questa situazione. Difatti, per quanto il partito di Colau provi ad intercettare le istanze dei sindacati per il diritto alla casa, questi ultimi vedono proprio nella passata legislatura l’inizio di una politica, che ha trovato in Collboni e nel Partito Socialista Catalano il perfetto prosecutore. Sgomberare senza avvertimento l’Antiga Massana è chiaramente una prova di forza da parte del Comune di Barcellona, che, nonostante le promesse del sindaco di non rinnovare e successivamente vietare le licenze turistiche dal 2028, continua imperterrito una politica di favore nei confronti di speculatori e gruppi d’investimento stranieri, protetto dagli interessi della Generalitat (il governo della Comunità catalana) e del Governo nazionale di Pedro Sánchez. Soltanto pochi giorni fa, il ministro dell’Industria e del Turismo ed ex sindaco di Barcellona Jordi Hereu ha vantato la cifra record di 94 milioni di turisti in Spagna durante l’anno 2024, vedendo possibile il raggiungimento di 100 milioni per il 2025.

A pochi metri dalle turistiche Ramblas, ieri mattina una cinquantina di persone sono rimaste ferite dagli scontri con la polizia, per difendere uno spazio del quartiere e per il quartiere. L’Antiga Massana, simbolo della resistenza cittadina, è stata sgomberata; ma la forza e il coraggio di chi lotta per far sì che Barcellona rimanga a chi la abita, non si ferma qui.

[Foto e testo di Armando Negro]

Caso Almasri: Parlamento bloccato fino al 4 febbraio

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La vicenda del capo della polizia giudiziaria libica Al-Masri ha scatenato uno scontro tra opposizioni e governo, sfociato in un blocco dei lavori delle aule fino a martedì 4 febbraio. Dopo la comunicazione di iscrizione nel registro dei reati pervenuta alla Presidente del Consiglio Meloni, ai ministri Nordio, Piantedosi e al sottosegretario di Stato Mantovano, è stata rinviata l’informativa dei ministri sulla vicenda. In segno di protesta, le opposizioni hanno deciso di fermare i lavori di Camera e Senato fino alla prossima convocazione dei capigruppo, sostenendo che non si può andare avanti con la normale attività parlamentare prima che venga fatta chiarezza su quanto accaduto.

Il governo ha impugnato la legge sarda per normare l’eolico

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Il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro per gli Affari regionali Calderoli, ha deciso di impugnare la legge sarda sulle aree idonee alle energie rinnovabili, che individua come non idonea ai nuovi impianti eolici e fotovoltaici buona parte del territorio regionale. Il provvedimento, voluto dalla Sardegna per contrastare la speculazione eolica e fotovoltaica, è stato contestato dall’esecutivo poiché violerebbe tre articoli della Costituzione. Sin dalla sua emanazione, diverse aziende della filiera energetica avevano contestato la legge, giudicandola costituzionalmente illegittima e troppo radicale nella selezione delle aree catalogate come non idonee, malgrado i cittadini sardi chiedessero che venisse fatto di più; la legge Todde, denunciano, non bloccherebbe molti degli impianti già attivi e, di fatto, garantirebbe una scappatoia per edificare anche sulle aree non idonee. Sul tema della legittimità si era espressa anche la Corte Costituzionale nell’ambito dei ricorsi accolti contro l’autonomia differenziata, precisando che l’energia non è una materia delegabile alle Regioni.

Il Governo ha deciso di impugnare la legge sulle aree idonee perché eccederebbe le «competenze statutarie, ponendosi in contrasto con la normativa statale ed europea in materia di energia, beni culturali e paesaggistici». Di preciso, le disposizioni della legge Todde violerebbero «gli articoli 117, primo comma, secondo comma, lettera m) e s), e terzo comma, della Costituzione, nonché i principi di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, di certezza del diritto e del legittimo affidamento e di libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 della Costituzione». L’articolo 117 della Costituzione stabilisce le materie esclusive dello Stato e quelle concorrenti con le regioni. Di preciso, il Consiglio dei ministri contesta alla legge di entrare in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» e di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali». Secondo quanto contestato dal Governo sulla base dell’articolo 117, inoltre, l’energia costituirebbe materia esclusiva in quanto di interesse strategico e nazionale.

Il Governo ha impugnato la legge Todde anche sulla base dei principi di uguaglianza stabiliti dall’articolo 3, che affida alla Repubblica il compito di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». La norma viene infine impugnata anche in materia di libertà di iniziativa economica, che, secondo l’articolo 41, «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Sulla base di questi articoli della Costituzione, il Governo contesta, tra le altre cose, gli articoli della legge Todde che individuano le aree idonee. Criticato anche lo stesso concetto di area “idonea” e “non idonea”, che, secondo il Consiglio, non possono essere stabiliti sulla base di «una qualificazione aprioristica, generale e astratta», bensì «dall’esito di un procedimento amministrativo che consenta una valutazione, in concreto, delle inattitudini del luogo, in ragione delle relative specificità». Giudicati incostituzionali, infine, i criteri di individuazione delle aree non idonee, che sarebbero in contrasto con il principio comunitario dell’interesse pubblico.

La legge “aree idonee” sarda individua le aree della regione in cui si può – e quelle in cui non si può – costruire impianti alimentati da fonti di energia rinnovabile (i cosiddetti “impianti FER”), distinguendoli per categoria (eolico, fotovoltaico, termodinamici…) e taglia (piccola, media e grande). Approvata a inizio dicembre 2024 tra le proteste dei cittadini, è stata fortemente voluta dall’amministrazione Todde, ma contestata da diversi comitati locali. Questi, assieme a oltre 210.000 cittadini, hanno firmato e consegnato la proposta di legge di iniziativa popolare “Pratobello” che, contrariamente alla legge “aree idonee”, bloccherebbe definitivamente gli impianti non ancora autorizzati o completati e consegnerebbe nelle mani della Regione la gestione di questi progetti. Malgrado la consegna delle firme, la legge è stata momentaneamente accantonata e in Regione è stata discussa solo la legge Todde.

[di Dario Lucisano]

USA, collisione tra elicottero militare e aereo di linea: 67 dispersi

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Alle 3, ora italiana, a Washington DC, un elicottero militare e un aereo di linea regionale dell’American Airlines si sono scontrati, cadendo nel fiume Potomac, a circa 4 chilometri dalla Casa Bianca. A bordo dell’aereo erano presenti 64 persone, di cui 60 passeggeri, mentre sull’elicottero volavano 3 militari. Le operazioni di soccorso stanno andando avanti da ore, ma le condizioni delle persone coinvolte sono ancora ignote. Ignote anche le cause dello scontro.

Perù, il sostegno economico alle comunità indigene funziona contro il disboscamento

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In Perù è stato avviato un progetto pilota di trasferimento incondizionato di denaro alle popolazioni indigene dell'Amazzonia. L'obiettivo è aiutare a sostenere le famiglie che si rivolgono ad attività forestali non sostenibili o illegali a causa dell'insicurezza economica ed alimentare. Secondo l'ultima valutazione interna al progetto, l'iniziativa sembra funzionare e alcune comunità hanno già smesso di praticare attività distruttive della natura. La necessità di un "reddito di base per la conservazione" per le comunità che vivono in prossimità di aree sensibili e ricche di biodiversità è anc...

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‘Ndrangheta, inchiesta dei carabinieri: 44 arresti

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Un’inchiesta dei carabinieri di Catanzaro ha portato all’arresto di 44 persone tra la costa ionica calabrese, il Lazio, il Piemonte e la Lombardia. Tra le persone coinvolte figurano Giuseppe Nicola Parretta, sindaco di Badolato (Catanzaro), il suo vice Ernesto Maria Menniti e il presidente del Consiglio comunale Maicol Paparo. Le persone arrestate nel blitz dei carabinieri sono accusate di associazione di tipo ‘ndranghetistico, procurata inosservanza di pena, traffico di armi e molteplici reati contro la persona e il patrimonio, aggravati dalle finalità mafiose. 15 di loro sono in carcere, mentre gli altri 29 si trovano agli arresti domiciliari.

Uno studio rivela l’esplosione del ritiro sociale degli adolescenti dopo la pandemia

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Con la pandemia di Covid-19 è incrementato il numero di adolescenti italiani che si isolano e non incontrano più i propri amici fuori dalla scuola, e il ritiro sociale è così accentuato che è paragonabile a quello degli hikikomori giapponesi. È quanto riportato da un nuovo studio condotto da ricercatori del gruppo MUSA (Mutamenti sociali, Valutazione e Metodi) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) in collaborazione con l’Istat, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature. Secondo i dati, il numero di adolescenti che non socializzano al di fuori dall’ambiente scolastico è quasi raddoppiato tra il 2019 ed il 2022 e il fenomeno, secondo gli esperti, è diventato così marcato da essere strutturale e non legato a specifiche condizioni socio-economiche o geografiche. I numeri «evidenziano l’urgenza di interventi educativi e formativi da rivolgere a genitori e docenti scolastici, nonché di sostegno per i giovani, ovvero un supporto specifico verso gli adolescenti che versano nelle condizioni più critiche», ha commentato Antonio Tintori, ricercatore del CNR e coautore dello studio.

Negli ultimi anni, gli effetti della pandemia hanno reso sempre più evidente una tendenza già in atto: l’erosione della socialità adolescenziale. Secondo gli esperti, il lockdown e la didattica a distanza avrebbero accelerato il passaggio delle interazioni umane dalla sfera reale a quella virtuale, con conseguenze tangibili sul benessere giovanile. Per indagare tali fenomeni, i ricercatori hanno analizzato i dati raccolti in due momenti distinti, nel 2019 e nel 2022, attraverso interviste strutturate con la tecnica CAPI su due campioni rappresentativi di studenti delle scuole superiori italiane, formati rispettivamente da 3.273 e 4.288 studenti. L’obiettivo era individuare i profili sociali degli adolescenti e comprendere i fattori alla base dell’isolamento e, dalle analisi svolte, sono emerse tre categorie principali: le “farfalle sociali”, gli “amico-centrici” e i “lupi solitari”, categoria particolarmente più preoccupante in quanto comprende un numero crescente di ragazzi che hanno pochissime interazioni sociali al di fuori della scuola. Tale gruppo risulta particolarmente incrementato durante il periodo scelto, passando dal 15% al 39,4%, e la cosa più grave è che all’interno di questo profilo è stato rilevato un ulteriore raggruppamento di ragazzi che hanno totalmente azzerato i loro rapporti extrascolastici, il quale è passato rapidamente dal 5,6% al 9,7%.

Tra i fattori principali che accomunano i giovani a rischio isolamento, poi, ci sarebbero la qualità deteriorata delle relazioni familiari (in particolare con la madre), una bassa fiducia negli altri (in particolare con familiari ed insegnanti), l’esposizione al cyberbullismo e la scarsa autostima legata a insicurezze sul proprio corpo: «Precedenti studi del nostro gruppo di ricerca avevano già chiarito le cause di alcuni effetti negativi del mutamento delle interazioni sociali accelerato della pandemia da COVID-19, che ha esacerbato la trasposizione delle relazioni umane verso la sfera virtuale. Si è visto in particolare che l’iperconnessione, ossia la sovraesposizione ai social media, ha un ruolo primario in questo processo corrosivo dell’interazione e dell’identità adolescenziale e successivamente del benessere psicologico individuale. L’iperconnessione è principale responsabile tanto dell’autoisolamento quanto dell’esplosione delle ideazioni suicidarie giovanili. Lo studio mostra che non solo dal 2019 al 2022 sono drasticamente aumentati i giovani che si limitano alla sola frequentazione della scuola nella loro vita, ma anche nel mondo adolescenziale è significativamente diminuita l’abitudine a trascorrere il tempo libero faccia a faccia con gli amici», ha spiegato il coautore Antonio Tintori, che ha aggiunto: «Questi fattori, inoltre alimentati dall’influenza pervasiva delle pressioni sociali a conformarsi a standard anche estetici irraggiungibili, erodono l’autostima favorendo un senso di inadeguatezza nelle interazioni sociali con i coetanei. Abbiamo, inoltre, constatato che coloro che già versano in uno stato di ritiro sociale presentano un uso più moderato dei social media: ciò apre all’ipotesi che, all’aumentare del tempo di isolamento fisico ci si disconnetta gradualmente anche dalle interazioni virtuali, ossia ci si diriga verso la rinuncia totale alla socialità».

Si tratta di un quadro tutt’altro che rasserenante quello descritto dai dati raccolti, assimilabile secondo gli autori a quello degli hikikomori del Giappone, ovvero persone che hanno scelto di limitare o ridurre la propria vita sociale ricorrendo spesso a livelli estremi di isolamento e confinamento: «Il nostro studio, oltre a fornire risultati utili alla comprensione della natura del problema, evidenzia l’urgenza di interventi educativi e formativi da rivolgere a genitori e docenti scolastici, nonché di sostegno per i giovani, ovvero un supporto specifico verso gli adolescenti che versano nelle condizioni più critiche», concludono gli autori.

[di Roberto Demaio]

La scelta di Venezia di restaurare il graffito di Banksy è contro l’anima della sua arte

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In questi giorni di fine gennaio, il murale veneziano di Banksy, Migrant Child, sarà rimosso per venire restaurato. L’opera era apparsa con le prime luci del 9 maggio 2019 sulle mura di Palazzo San Pantalon, un edificio storico del sestiere Dorsoduro, acquistato l’anno scorso da Banca Ifis proprio con lo scopo di restaurare il graffito. Ironicamente, con questa operazione di salvaguardia, il destino di Migrant Child è più che mai incerto. L’opera, similmente a ogni murale, era pensata appositamente per stare esattamente dove stava, e venire mangiata dalla stessa laguna da cui Banca Ifis e Comune dicono di volerla salvare. In questo, l’imminente restauro del murale di Banksy incarna perfettamente lo stato in cui riversa la concezione odierna dell’arte: da una parte intrappolata in una stagnante idea di “bene culturale”; dall’altra trasformata in un prodotto di consumo destinato ai salotti borghesi.

Un graffito è per definizione un’opera ribelle. Esso lotta strenuamente contro la logica della commercializzazione, della vacua contemplazione, dell’erezione sull’altare privo di significato di un museo. Il murale si espone con violenza al proprio pubblico, occupando le strade altrimenti vuote e obbligando i suoi inermi spettatori a guardarlo. Non è un caso se Tommaso Montanari e Vincenzo Trione hanno deciso di dedicare alla Street Art le conclusioni del loro libello Contro le mostre. Il breve scritto presenta le contraddizioni e le «polarità», che da anni alimentano il mondo dell’arte da esposizione: «mercato e cittadinanza», «chiusa antologia a pagamento e contesto aperto e libero», «dittatura di un presente sterile e dialogo vivo e fecondo tra passato e presente». Ed è proprio in quest’apertura del dialogo tra passato e presente che l’arte trova la sua dimensione.

La conclusione del pamphlet si apre proprio con un riferimento a Banksy e alla mostra Banksy & co. L’arte allo stato urbano, del 2016, tenutasi a Bologna. Essa era dichiaratamente pensata per ospitare le opere di diversi artisti di strada, «salvarle dalla demolizione e preservarle dall’ingiuria del tempo»; al lancio della mostra, diversi artisti, primo fra tutti l’italiano Blu, cancellarono le proprie opere per salvarle dalla prigione delle teche. Questo perché l’arte, specialmente quella di strada, non ha bisogno di venire «preservata dall’ingiuria del tempo». L’arte, come qualsiasi altra cosa, è nel tempo.

Se privata della sua dimensione temporale, l’arte non può che venire rinchiusa dentro quel concetto di “bene culturale” che la inquadra come un oggetto da ammirare con la dovuta distanza. Questa visione, pur rispettando l’integrità delle opere, finisce per porle in una dimensione aliena, immutabile ed eterna e allontanare il dialogo con esse, impedendo loro di assolvere il cruciale ruolo di testimoni del passato. A venire allontanato e rinchiuso in una teca finisce così per essere il passato intero, che costituisce l’identità di un luogo e dei suoi abitanti. Tutto questo, il graffito lo sa bene ed è per tale motivo che lotta attivamente contro il tempo, consapevole che prima o poi giungerà la sua inesorabile sconfitta. Sceglie di farlo tra le mura delle città, rivendicando gli spazi che abita, e riaprendo il dialogo con i propri concittadini. Lottando contro la musealizzazione urbana, si riappropria degli spazi comuni e li restituisce agli abitanti dando all’arte una forma fisica e materiale che come tale è soggetta al decadimento, ma che proprio nel decadimento porta avanti i propri obiettivi.

Migrant Child, poi, è un caso emblematico: il murale era stato realizzato lì proprio perché in una zona particolarmente soggetta all’erosione del traffico e delle onde lagunari. Diversi critici d’arte sottolineano come lo stesso significato dell’opera risieda nel suo farsi carico dello scorrere del tempo, come traccia della caducità della nostra memoria da una parte e del disastro ambientale a cui è soggetta la laguna dall’altra. E il fatto che l’iniziativa di restaurarla sia stata presa proprio a Venezia, con il beneplacito dell’amministrazione locale, non fa che riaffermare con forza quella logica di «disneyficazione» e svendita della laguna a cui la città è sottoposta da anni, di cui parla Salvatore Settis nel suo saggio Se Venezia muore. In una città-vetrina sempre più soggetta allo spopolamento, in una laguna sempre più alla mercé dei turisti, in un centro storico sempre più vicino a venire convertito in un museo a pagamento, il rischio è quello che Venezia si dimentichi di sé e perda la propria identità. Come un graffito senza muro.

[di Dario Lucisano]

In California è stata approvata una raccolta firme per l’indipendenza dagli USA

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Giovedì scorso, la Segretaria di Stato della California, Shirley Weber, ha dato il via libera a una delle iniziative più ambiziose della recente storia politica americana: la raccolta firme per un referendum sull’indipendenza della California dagli Stati Uniti. L’obiettivo della proposta, soprannominata “Calexit”, è chiaro: inserire il quesito «La California dovrebbe lasciare gli Stati Uniti e diventare un paese libero e indipendente?» nelle schede elettorali delle elezioni di mid-term del 2028. Per raggiungere questo traguardo, la campagna dovrà raccogliere almeno 546.651 firme valide entro il 22 luglio 2025, equivalenti al 5% dei voti espressi per il governatore Gavin Newsom nel 2022. Anche ove andasse in porto, il progetto troverebbe però una barriera insormontabile nella Costituzione americana, che non prevede alcun meccanismo per la secessione di uno Stato.

Sul portale della segreteria di Stato della California, si legge che «il proponente di una nuova iniziativa è stato autorizzato a iniziare a raccogliere firme per la petizione il 23 gennaio 2025». Si tratta, nello specifico, di Marcus Evans, principale promotore del progetto che mira a trasformare il Golden State in un paese indipendente. Secondo il piano, affinché il referendum abbia validità, sarà necessario che almeno il 50% degli elettori registrati partecipi alla votazione e che il 55% dei votanti approvi la proposta di secessione. La proposta prevede la creazione di una commissione incaricata di analizzare la praticabilità dell’opzione della California come stato indipendente dagli USA. Per sostenere questo processo, saranno stanziati 10 milioni di dollari una tantum per l’organizzazione delle elezioni e 2 milioni di dollari all’anno per gestire le attività della commissione. «Calexit significa che le nostre leggi sono stabilite dal popolo della California e non da burocrati a Washington che non abbiamo eletto – è scritto nero su bianco sul sito ufficiale dell’iniziativa, che riporta il link per sottoscrivere la petizione –. Significa che avremo un governo che inizia e finisce ai confini della California. Significa la fine dei soldi sottratti alle tasche dei contribuenti della California. Ma soprattutto, significa che per la prima volta nella nostra vita controlliamo il nostro destino». Se fosse indipendente, la California sarebbe la quinta economia mondiale, con un PIL superiore a quello di molti Stati sovrani. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, il Golden State si posiziona dietro il Giappone e davanti a Paesi come il Regno Unito e la Francia. Questo potenziale economico è uno degli argomenti principali utilizzati dai sostenitori di Calexit, che immaginano uno stato indipendente in grado di giocare un ruolo di primo piano sulla scena internazionale.

A ogni modo, secondo la maggior parte degli analisti, l’iniziativa rappresenta più un simbolo di dissenso che un piano concreto per l’indipendenza. Infatti, anche se il referendum venisse approvato, non vi sarebbe alcun obbligo da parte del governo federale di rispettarne l’esito. La Carta Costituzionale degli Stati Uniti, infatti, non prevede in alcun modo un percorso giuridicamente tracciato per secessione di uno Stato membro. Tale impedimento è rafforzato dalla sentenza della Corte Suprema del 1869, emessa dopo la Guerra Civile, che stabilì che l’adesione di uno Stato all’Unione è permanente e revocabile solo attraverso una rivoluzione o il consenso di tutti gli altri Stati. Anche se le probabilità di successo di Calexit sono estremamente basse, il movimento ha comunque già avuto un impatto significativo nel sollevare una discussione sul ruolo della California negli Stati Uniti e sulla crescente polarizzazione politica del Paese.

[di Stefano Baudino]