La Banca centrale europea ha annunciato il primo, lieve, taglio dei tassi d’interesse da settembre 2019, segnando una prima inversione di tendenza e la fine ufficiale del ciclo record di rapidi rialzi iniziato dopo la guerra in Ucraina con l’impennata dell’inflazione. Ma l’attenzione degli investitori sembra essersi già spostata su ciò che accadrà dopo il taglio di giugno da parte dell’istituto di Francoforte. Infatti, l’inflazione dell’area dell’euro a maggio è risultata leggermente superiore alle attese, attestandosi al 2,6%. Inoltre, la crescita negoziata dei salari, un dato attentamente monitorato dalla BCE, ha riaccelerato nel primo trimestre al 4,7% dopo aver toccato il 4,5% nel quarto trimestre del 2023.
Ex GKN: lanciato lo “sciopero della fame operaio” per difendere i posti di lavoro
Dopo due settimane di “accampata operaia” in tenda e dopo che il presidente della Toscana, Eugenio Giani, non è andato ad incontrarli seppur lo avesse promesso, gli operai della fabbrica ex GKN di Campi Bisenzio (Firenze) hanno annunciato l’inizio di uno sciopero della fame ad oltranza per difendere i loro posti di lavoro. Gli operai, che si trovano da cinque mesi senza stipendio né ammortizzatori sociali, sono in lotta da ormai tre anni. Era infatti il 9 luglio 2021 quando la dirigenza della fabbrica licenziò tutti i 422 dipendenti via mail. Da allora si sono susseguite cause in tribunale e promesse di reindustrializzazione, ma senza effettivi cambi di rotta.
Lo sciopero della fame è stato annunciato ieri con un comunicato del Collettivo di Fabbrica. La decisione vuole essere «solo un ulteriore strumento messo in campo da questa vertenza, ad ausilio di una lotta collettiva, delle richieste di sindacati, Rsu e Collettivo di Fabbrica», e non intenderebbe denunciare solo «lo stato di povertà relativa a cui ci hanno ridotto due anni di cassa integrazione e cinque mesi senza stipendio», ma l’intero atteggiamento assunto dalle istituzioni negli ultimi 4 anni. All’annuncio dell’azione dimostrativa, il Collettivo di Fabbrica affianca le sue richieste: in primo luogo, gli operai chiedono che venga subito istituita una legge regionale e che venga creato un consorzio pubblico regionale per trattare l’area interessata dalle proteste; successivamente, i lavoratori chiedono di commissariare QF, l’attuale proprietaria, così che vengano pagati gli stipendi; infine, essi intendono «dare vita a una vera discussione su reindustrializzazione seguendo le stesse linee indicate dalla 234, agganciando tra l’altro un ammortizzatore sociale».
L’annuncio di avvio di sciopero della fame, che oggi vede tre operai al secondo giorno di digiuno, è arrivato dopo due settimane di “accampata” per avanzare analoghe richieste: «commissariare QF, accendere un ammortizzatore, fare partire la reindustrializzazione». Questa è a sua volta seguita a oltre 1.000 giorni di assemblea permanente, sorta a causa dei fatti del 9 luglio 2021, quando tutti i 422 dipendenti della fabbrica vennero licenziati senza preavviso con una mail; l’intenzione di GKN era quella di chiudere la fabbrica e di delocalizzare la produzione in Polonia. A settembre 2021 una prima vittoria: il Tribunale del lavoro di Firenze stabilì infatti che il licenziamento era illegittimo perché violava gli accordi sindacali, ma la sentenza non portò a nulla. A novembre dello stesso anno, i lavoratori scrissero e depositarono alla Camera una proposta di legge per impedire alle aziende le delocalizzazioni selvagge, mentre a dicembre la fabbrica di GKN fu acquistata da QF, che promise un piano per la reindustrializzazione. A marzo del 2022 scadde la cassa integrazione, ma parallelamente venne presentato un piano per la reindustrializzazione da QF, nel quale si prevedeva il ritorno alla produzione entro il 2023 e il prolungamento della cassa integrazione fino ad allora; anche questo piano, tuttavia, si risolse in un nulla di fatto. A febbraio dell’anno successivo, QF venne messa in liquidazione e gli operai indissero una manifestazione nazionale, trovando l’appoggio di migliaia di persone. Lo scorso dicembre, poi, il tribunale di Firenze confermò il blocco dei licenziamenti.
[di Dario Lucisano]
La Spagna si unirà alla causa di genocidio contro Israele
La Spagna si unirà al procedimento presso la Corte Internazionale di Giustizia avviato dal Sudafrica contro Israele per la violazione della convenzione genocidio. A comunicarlo è il Ministro degli Esteri spagnolo Jose Manuel Albares, apparso in conferenza stampa per presentare l’annuncio; qualche minuto dopo è arrivata la conferma anche dalla vicepremier Yolanda Diaz. La Spagna appoggia inoltre le richieste di misure cautelari, “specialmente a Rafah”, e chiede un immediato cessate il fuoco. La decisione arriva dopo il riconoscimento dello Stato di Palestina, ratificato dalla Spagna il 28 maggio.
Crosetto ha mentito: armi da guerra italiane inviate a Israele anche dopo il 7 ottobre
Il governo Meloni ha mentito due volte. Prima il ministro Crosetto aveva assicurato che le vendite di armi a Israele erano state «sospese dopo il 7 ottobre». Poi, dopo che nel mese di marzo una inchiesta della testata giornalistica Altreconomia aveva dimostrato che le vendite erano continuate, aveva assicurato in Senato che le armi inviate erano «materiali che potevano essere impiegati con ricadute nei confronti della popolazione civile di Gaza», sostenendo si trattasse di forniture a fini civili. Ma ora è direttamente un rapporto dell’Agenzia delle Dogane a smentirlo, certificando che, solo nei mesi di dicembre 2023 e gennaio 2024, l’Italia ha esportato in Israele armi e munizioni da guerra e non per uso civile per oltre due milioni di euro. Contando che Israele è sotto accusa per genocidio alla Corte Internazionale di Giustizia, la vendita potrebbe comportare un’accusa di complicità nella violazione del diritto internazionale di fronte alle Corti dell’Aia.
A fine maggio, le Dogane hanno diramato dati scorporati per sottocategorie all’interno della voce “Armi e munizioni” attraverso i quali è possibile constatare come il materiale arrivato a Tel Aviv da Roma non sia affatto stato veicolato per uso civile. I numeri sono emblematici: solo le esportazioni registrate sotto la categoria “Bombe, granate, siluri, mine, missili, cartucce ed altre munizioni e proiettili, e loro parti”, riferite ai mesi di dicembre 2023 e gennaio 2024, ammontano complessivamente a oltre 2.083.544 euro (730.869,5 euro il primo mese, 1.352.675 euro il secondo). Proprio a gennaio 2024, la Corte internazionale di giustizia ha annunciato l’ammissibilità della causa intentata dal Sudafrica a carico di Israele per violazione della Convenzione sul genocidio, ordinando allo Stato ebraico di adottare tutte le misure in suo potere per “prevenire il genocidio” contro il popolo palestinese e per garantire la conservazione delle prove del presunto genocidio. «Esportando armi a Israele, il nostro Paese starebbe perciò violando precisi obblighi di prevenzione di atti di genocidio e si sarebbe reso complice della facilitazione della commissione di atti plausibilmente genocidiari, nella piena consapevolezza di questo rischio – ha rilevato Triestino Mariniello, docente di Diritto penale internazionale alla John Moores University di Liverpool, già nel team legale delle vittime di Gaza dinanzi alla Corte penale internazionale –. E uno Stato terzo potrebbe richiamarci alle nostre responsabilità, così come ha fatto il Nicaragua nei confronti della Germania per la medesima questione».
Altreconomia aveva sollevato la questione già nel febbraio 2024. Dopo aver vagliato i numeri contenuti nelle Statistiche del commercio estero periodicamente aggiornate dall’Istat, aveva infatti rivelato che il nostro Paese ha effettuato invii di armi e munizioni a Israele anche in seguito ai fatti del 7 ottobre – sicuramente nel mese di ottobre e in quello di novembre – nonostante il governo avesse assicurato lo stop all’esportazione di armi verso lo Stato ebraico. “Il fatto contraddice il governo Meloni, che in più occasioni ha invece dichiarato pubblicamente di aver ‘sospeso’ e ‘bloccato’ l’esportazione di armi verso Tel Aviv dal 7 ottobre 2023 – ha scritto la testata –. Pure ipotizzando che i 230mila euro di ottobre siano partiti prima del giorno 7, i dati di novembre coprono un periodo in cui i bombardamenti sulla Striscia di Gaza erano già pesantemente iniziati”. Negli scorsi mesi, sia il vicepremier e Ministro degli Esteri Antonio Tajani che il ministro della Difesa Guido Crosetto avevano formalmente dichiarato che il governo, dal 7 ottobre, ha disposto la sospensione della vendita di armi allo Stato ebraico. Sulla base del nuovo rapporto dell’Agenzia delle Dogane, ora sappiamo che quelle vendite sono proseguite anche nei due mesi successivi. E per finalità molto diverse da quelle dichiarate dall’esecutivo.
[di Stefano Baudino]
In Italia sono stati trovati PFAS in ogni regione dove sono stati cercati
In tutte le regioni d’Italia in cui sono state effettuate rilevazioni per la ricerca di PFAS, sostanze perfluoroalchiliche prodotte dalle industrie e associate a numerose patologie, essi sono stati trovati. È quanto emerge dai risultati di un recente rapporto pubblicato da Greenpeace, dal titolo “La contaminazione da PFAS in Italia”, che ha registrato la presenza di PFAS nei corsi d’acqua di 16 Regioni italiane, tutte quelle in cui sono state svolte ricerche. L’inchiesta è stata effettuata utilizzando i dati ISPRA, il cui database ospita i risultati delle analisi effettuati dalle ARPA regionali e delle province autonome in Italia nel periodo compreso tra il 2019 e il 2022 sulla presenza di PFAS nei corpi idrici, ovvero fiumi, laghi e acque sotterranee. Secondo tali statistiche, la contaminazione da PFAS è presente nel 17% dei risultati ottenuti dai controlli.
La percentuale di valori positivi ai PFAS è diversa a seconda della regione oggetto di esame, nonché dell’accuratezza delle rilevazioni svolte dagli enti preposti. Nello specifico, le regioni che hanno fatto registrare la presenza più alta di analisi positive rispetto ai controlli effettuati sono la Basilicata (31%), il Veneto (30%) e la Liguria (30%). A sfondare il 10% sono poi Lombardia, Toscana, Lazio, Umbra, Abruzzo e Campania. In alcuni casi, invece, è mancato terreno fertile per sviluppare l’indagine: i dati ISPRA raccontano infatti che, dal 2017 fino al 2022, non vi è stato nessun controllo sui PFAS nei corpi idrici nelle regioni Puglia, Sardegna, Molise e Calabria. La regione in cui la situazione appare più critica è sicuramente il Veneto – colpita dal più grande scandalo sui PFAS degli ultimi anni -, in cui si trovano le più alte concentrazioni di PFOA, molecola che è stata certificata come “cancerogena per gli esseri umani, e PFOS. Uno scenario simile si staglia sul Piemonte, regione in cui sono state rinvenute concentrazioni elevate di PFOA e PFOS nei corpi idrici interessati dagli scarichi dell’azienda chimica Solvay (oggi Syensqo), sotto al cui polo produttivo è presente la falda acquifera più contaminata d’Europa da PFAS e che si trova attualmente alla sbarra davanti al Tribunale di Alessandria per disastro ambientale colposo. A seguire, destano allarme i risultati emersi in Lombardia, dell’Emilia-Romagna e del Lazio. Alla luce di quanto progressivamente si sta attestando sulla presenza dei PFAS, Greenpeace ha chiesto al governo di intervenire con una legge nazionale “che limiti l’uso e la produzione di queste pericolose sostanze”.
I Pfas sono un gruppo che raccoglie oltre 10.000 molecole sintetiche non presenti in natura, utilizzate in vari processi industriali per la fabbricazione di prodotti come le padelle antiaderenti o qualche imballaggio alimentare. Per quanto concerne il Veneto, solo un mese fa un nuovo studio aveva calcolato l’aumento della mortalità dal 1985 al 2018 all’interno dell’“area rossa”, ovvero la zona che comprende 30 comuni e le province di Vicenza, Padova e Verona, dove le sostanze Pfas hanno avvelenato centinaia di migliaia di persone. La ricerca – condotta da scienziati dell’Università degli studi di Padova, sottoposta a revisione paritaria e pubblicata sulla rivista scientifica Enviromental Health – ha attestato come a causa dei PFAS siano morte quasi 4mila persone, con la media di un decesso in più ogni tre giorni. Nel frattempo, si attende che arrivi a sentenza il processo penale istruito sullo scandalo PFAS che vede i dirigenti della Miteni di Trissino (Vicenza) e delle società a essa legate accusati a vario titolo di avvelenamento di acque, inquinamento ambientale, disastro innominato aggravato e bancarotta fraudolenta. Lo scorso 27 maggio, il Tar del Veneto ha sancito che anche il colosso giapponese Mitsubishi Corporation – che alla fine degli anni Ottanta costituì la Miteni, di cui ha detenuto nel corso degli anni tra il 49 e il 90% del capitale sociale – dovrà sobbarcarsi i costi per la bonifica dei veleni disseminati nei pressi dell’ex Miteni. Parallelamente, in Piemonte ha ufficialmente avuto inizio il processo davanti al Gup del Tribunale di Alessandria contro la Solvay, che nella città piemontese ha controllato il sito industriale che produce, tra le altre cose, le sostanze tossiche e persistenti PFAS. Lo scorso 6 maggio, all’udienza preliminare, oltre 250 parti civili si sono costituite davanti al giudice, incluse associazioni ambientaliste e istituzioni.
[di Stefano Baudino]
Germania, Ministro della Difesa: “Pronti alla guerra in 5 anni”
Ieri il Ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius ha dichiarato nelle aule del Bundestag, il Parlamento federale tedesco, che la Germania deve “essere in grado di affrontare una guerra entro il 2029”, sottolineando che Putin non si fermerà in Ucraina. Dopo le dichiarazioni del Presidente francese Macron e del Segretario Generale della NATO Stoltenberg, arrivano così anche personalità tedesche a suggerire la possibilità di entrare in guerra di qui ai prossimi cinque anni. Pistorius aveva suggerito che la Germania sarebbe dovuta essere pronta alla guerra già lo scorso novembre, e ieri è tornato sull’argomento in concomitanza con l’approvazione della nuova strategia di difesa in caso di conflitti.
Il Vermont è il primo Stato USA a chiedere un fondo di riparazione alle industrie fossili
A partire dal mese di luglio 2024, lo Stato americano del Vermont inizierà a chiedere i risarcimenti alle grandi compagnie petrolifere e industrie fossili responsabili di avere contribuito al cambiamento climatico. A stabilirlo è il “Climate Superfund Act“, la nuova legge in cantiere in diversi Stati USA, che negli Stati Uniti ha visto la luce per la prima volta proprio tra le mura di Montpelier. Secondo il CSA, le maxi aziende operanti nel settore dell’energia non rinnovabile dovranno pagare un indennizzo a titolo di risarcimento per i danni causati ad ambiente, città, e persone, per un potenziale valore di centinaia di miliardi di euro. Gli USA non sono l’unico Paese in cui si parla di quello che viene definito dagli attivisti fondo di riparazione: anche in Italia movimenti come Ultima Generazione premono affinché venga istituito un analogo strumento che faccia pagare i costi per la transizione verde a coloro che hanno causato i più ingenti danni al pianeta, ma siamo ancora lontani anche solo dal considerare una simile opzione.
Il CSA del Vermont è stato approvato il passato giovedì 30 maggio e avrà effetto a partire dal primo giorno del mese di luglio. Il piano è stato stilato attorno all’analogo modello dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente degli Stati Uniti e prevede l’istituzione di un fondo formato da risarcimenti, investimenti e donazioni da utilizzare solo ed esclusivamente per far fronte ai danni causati dal cambiamento climatico e coprire i costi della transizione a un modello di produzione più sostenibile. Per stabilire l’ammontare dei danni, l’ufficio preposto attingerà dai dati federali rilasciati dalla stessa EPA, con i quali andrà a considerare la quantità di gas inquinanti emessi nell’atmosfera, e i danni a cose e persone causati dalle industrie del fossile nel periodo che va dal 1995 al 2024. Ora gli agenti incaricati di svolgere tale analisi dei dati hanno tempo fino a gennaio 2026 per redigere una accurata restituzione dei dati da consegnare alle imprese coinvolte. Con tale decisione, il Vermont diventa il primo Paese USA a istituire un fondo di riparazione, e punta a diventare il capofila di un movimento che sta sempre più prendendo piede negli stessi Stati Uniti; vi sono infatti anche altri Stati, come quello di New York o quello della California, ad avere già pronta la legge, che deve tuttavia ancora venire votata. Questa, comunque, anche nello stesso Vermont, andrà con ogni probabilità incontro a sfide legali, e verrà impugnata dai rappresentanti delle aziende del fossile.
La discussione sull’attivazione di un fondo di riparazione è molto presente anche in Italia, dove essa, tuttavia, non sta venendo davvero vagliata come papabile soluzione dalla politica. Nel Belpaese sono molti i movimenti a chiedere che venga istituito qualcosa di anche solo analogo, primo fra tutti – almeno per fama – Ultima Generazione, che tuttavia è stato più volte criminalizzato per via delle sue azioni spesso considerate ai limiti del legale. Secondo Ultima Generazione, la creazione di un fondo di riparazione servirebbe a “per ritrovare la solidarietà, la dignità ed il senso di quello che è giusto”, e, in un Paese a rischio come l’Italia, risulterebbe “assolutamente necessario”.
[di Dario Lucisano]
Dall’UE 30 milioni per nuovi collegamenti aerei tra la Sardegna e il Continente
La Commissione UE ha approvato un pacchetto di aiuti all’Italia pari a 30 milioni di euro per incentivare la costituzione di nuove rotte aeree da e per la Sardegna. Le misure servirebbero a «migliorare la mobilità dei residenti in Sardegna, che si qualifica come regione periferica ai sensi delle norme Ue sugli aiuti di Stato, nonché la connettività tra la Sardegna e altre regioni europee» e intendono così incrementare il traffico nella Regione anche al di fuori della stagione turistica. Nello specifico, tutte le compagnie che intendano creare nuove linee di collegamento negli aeroporti di Cagliari, Olbia o Alghero avranno diritto alla copertura del 50% dei costi per i diritti aeroportuali.
Elezioni europee 2024: la guida de L’Indipendente
Fino all’ultima prima pagina in edicola, fino all’ultimo talkshow televisivo, fino all’ultimo post sui social, lo spettacolo elettorale in vista delle elezioni europee sui media dominanti non cambierà registro. Meloni contro Schlein, Borghi contro Mattarella, Tajani contro Le Pen, tutti tranne Salvini contro Vannacci. E poi le liste d’attesa, gli immigrati spediti in Albania, i presunti buchi del superbonus… Pare che in campagna elettorale si possa parlare di tutto, tranne dei temi che realmente vengono decisi a Bruxelles. La posizione dei partiti rispetto al MES, al Patto di Stabilità, al Green Pass globale e all’identità digitale, alle politiche ambientali, alla corsa continentale agli armamenti? Niente di niente. Per questo torna la guida alla elezioni de L’Indipendente. Nessun commento, solo la sintesi partito per partito delle posizioni e dei programmi sui temi che segneranno i prossimi 5 anni delle politiche europee, nonché un raffronto con quanto effettivamente votato nella legislatura appena conclusa per valutare quanto le promesse elettorali siano rispecchiate dalle posizioni effettivamente espresse. Perché l’informazione serva anche a votare in modo consapevole, o a decidere altrettanto consapevolmente di astenersi.
Le regole del gioco
Dal 6 al 9 giugno in tutta l’Unione europea si voterà per rinnovare la composizione del Parlamento. Il nostro Paese è stato suddiviso in cinque circoscrizioni: nord-ovest, nord-est, centro, sud e isole, da cui verranno eletti, l’8 e il 9 giugno, 76 dei 705 eurodeputati che siederanno a Strasburgo. Correranno tutti i maggiori partiti e diverse liste minori o inedite. Fratelli d’Italia e Lega hanno deciso di partecipare da soli, mentre Forza Italia e Noi moderati hanno unito le forze e puntano a essere la seconda forza del centrodestra, scalzando proprio il Carroccio. Azione si è ormai lasciata alle spalle le alleanze con +Europa e Italia Viva (che hanno lanciato il progetto Stati Uniti d’Europa) e si presenta alle urne guidando una lista – Siamo europei – formata da altri otto partiti minori. Il record è però detenuto dall’outsider Cateno De Luca, l’ex sindaco di Messina che si è messo alla guida di Libertà, una lista formata da 19 simboli. Partito democratico e Movimento 5 Stelle non hanno lanciato alcun laboratorio politico 2.0 e correranno da soli, mentre Verdi e Sinistra Italiana hanno confermato l’alleanza del 2022. In tutte le circoscrizioni saranno presenti anche Pace Terra Dignità e Alternativa Popolare. Su tutti questi partiti si concentrerà l’analisi della guida elettorale de L’Indipendente, tralasciando solo – per ragioni di spazio – quei partiti che sono presenti solo in poche circoscrizioni elettorali e sostanzialmente senza possibilità di ottenere una rappresentanza.
Le liste, i loro programmi e – quando disponibili – i trascorsi in Europa saranno oggetto di articoli specifici, sulla scorta di quanto realizzato nel 2022 per le elezioni politiche. L’obiettivo è andare oltre la passerella elettorale, la retorica e le proposte non attuabili in sede europea che affollano comizi e slogan. Ci sarà comunque modo di riflettere su questi ultimi e in generale sulla comunicazione politica messa in campo dalle liste.
È bene ricordare che l’Unione europea ha competenza esclusiva – dunque è la sola a legiferare e gli Stati membri si limitano ad applicare la legge – nei settori dell’unione doganale, delle regole di concorrenza per il mercato unico, della politica monetaria (per i Paesi che hanno adottato l’euro), della politica commerciale comune e della conservazione delle risorse biologiche del mare. A ciò si aggiungono delle materie concorrenti, dove sia i Paesi membri sia l’Unione europea possono legiferare. Bruxelles è in posizione sovraordinata, dal momento che i singoli Stati possono intervenire solo se l’Unione europea non ha ancora proposto leggi o se ha deciso di non proporne in materia di: mercato unico, occupazione e affari sociali, coesione economica, sociale e territoriale, agricoltura, pesca, ambiente, protezione dei consumatori, trasporti, reti transeuropee, energia, giustizia e diritti fondamentali, migrazione e affari interni, ricerca e spazio, cooperazione allo sviluppo e aiuti umanitari nonché alcuni aspetti della sanità pubblica.
L’Unione europea ha dunque un elevato impatto sulla vita dei suoi cittadini. La classe politica italiana spesso si è nascosta dietro il “ce lo impone l’Europa” per non prendere posizione o adottare misure antipopolari, dimenticando di ricordarci che l’organizzazione è composta dagli Stati nazionali e le misure “imposte” sono state in realtà spesso votate dagli stessi rappresentanti italiani. Il nostro Paese può vantare un peso rilevante, forte dei 76 eurodeputati su 705 in Parlamento, organo centrale nel procedimento legislativo comunitario, in continuo confronto con la Commissione, il Consiglio europeo e il Consiglio dei ministri dell’Unione europea. Oltre a votare le leggi, il Parlamento approva la nomina dei commissari e ha la facoltà di censurarli collettivamente. Si tratta dunque di un controllo sulla Commissione, considerata l’organo “esecutivo” dell’Unione europea da cui partono tutte le proposte degli atti legislativi, quali direttive e regolamenti.
In virtù del rinnovo delle cariche europee, ciascun Paese membro organizza il proprio sistema elettorale. In Italia vige un sistema proporzionale con una soglia di sbarramento al 4%. Ciò significa che le liste che raccoglieranno meno voti di tale soglia non eleggeranno alcun candidato (da tenere a mente per capire i perché delle alleanze). Il diritto di voto è esercitato dai cittadini maggiorenni, mentre per candidarsi l’età minima è di 25 anni. Si tratta dello sbarramento all’elettorato passivo più elevato di tutta l’Unione europea, al pari soltanto della Grecia. Si vota per una delle liste e si possono esprimere da una a tre preferenze. In caso di preferenza multipla è necessario indicare il nome e cognome di candidati di sesso diverso presenti nella stessa lista.
A differenza delle elezioni politiche, in vista del voto europeo non è obbligatorio presentare alcun programma elettorale. Si tratta tuttavia dello strumento per eccellenza per far conoscere le proprie idee e la loro traduzione in misure concrete. A inizio maggio più della metà delle liste in corsa alle elezioni non aveva presentato il programma ufficiale, mentre i volti dei leader e dei capolista tappezzavano le città. Ennesima prova della deriva personalistica della politica, con l’attenzione spostata dal partito, e dunque dalla sua visione, al candidato. Proprio la discussione circa la presenza del nome del leader all’interno del simbolo della lista e tra le fila di quest’ultima ha infiammato il dibattito pubblico delle ultime settimane. Giorgia Meloni, Elly Schlein, Antonio Tajani e Carlo Calenda hanno deciso di presentarsi alle elezioni, tentando di trasmettere l’immagine di un leader al servizio del popolo, sempre pronto a raccogliere le sue istanze. Ciò che è arrivato, invece, è l’ennesimo tentativo per accaparrarsi più voti e dunque seggi possibili. In caso di elezione i citati esponenti politici rinunceranno infatti all’incarico di europarlamentare, continuando con i propri impegni in Parlamento o al governo.
Una volta eletti, gli eurodeputati dichiarano la propria appartenenza a un gruppo parlamentare, i cosiddetti gruppi politici al Parlamento europeo, altro tema di interesse per la presente rubrica. Attualmente se ne contano sette: Partito Popolare Europeo (PPE), Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D), Renew Europe, Verdi/Alleanza Libera Europea (ALE), Identità e Democrazia (ID), Conservatori e Riformisti Europei (ECR), Sinistra al Parlamento europeo. A questi si aggiunge il gruppo dei non iscritti, una sorta di gruppo misto europeo.
Clicca qui per conoscere il programma di tutti i partiti in lista.
Speciale elezioni europee 2024: il programma di Fratelli d’Italia
A circa venti giorni dal voto dell’8 e 9 giugno ha fatto la sua comparsa il programma elettorale di Fratelli d’Italia. Ad anticiparlo, nelle settimane scorse, slogan e cartelloni disseminati nelle città dello stivale. Si pensi, ad esempio, allo scambio di accuse con la giunta campana guidata da Vincenzo de Luca, che a febbraio aveva tappezzato Napoli e dintorni con le scritte “il governo Meloni tradisce il sud” e “il governo Meloni chiude i pronto soccorso”, in riferimento al blocco dei fondi di sviluppo e coesione. Fratelli d’Italia ha replicato, scaricando proprio su De Luca le inefficienze della Regione. Sulla diatriba è intervenuto il Consiglio di Stato, dando ragione alla Campania e riconoscendo dunque le responsabilità del governo.
Carta d’identità: Fratelli d’Italia
Leader: Giorgia Meloni
Orientamento: Estrema destra. Tra le ideologie si annoverano nazionalismo e conservatorismo.
Gruppo politico al Parlamento europeo: Conservatori e Riformisti Europei (ECR)
Ultima legislatura: 5 eurodeputati eletti
I capolista nelle cinque circoscrizioni: Giorgia Meloni (tutte)
Programma
- Maggiori investimenti per le imprese, semplificazione delle procedure, della burocrazia e delle limitazioni imposte dall’Europa. “Detassazione verso le aziende che creano nuova occupazione di qualità, sul modello italiano del più assumi meno paghi”;
- Revisione del Green Deal, restringimento della Politica Agricola Comune (PAC) e della normativa sul Ripristino della natura, ad esempio attraverso l’abrogazione delle norme che riducono le superfici coltivabili (e che favoriscono la biodiversità). “Proseguire la battaglia contro la produzione e commercializzazione di carne e cibi sintetici” e contrastare l’adozione di etichette alimentari, utili per una maggiore consapevolezza circa la produzione dell’alimento e dunque la salute del consumatore. Modifica radicale della direttiva sulle case green e cancellazione del blocco alla produzione di auto a motore endotermico dal 2035;
- No al green pass globale proposto dall’OMS e dall’UE. “Fare luce sugli errori commessi nella gestione della pandemia e garantire giustizia alle persone che hanno subito danni permanenti dopo la vaccinazione contro il Covid-19”;
- “Investire una significativa parte del bilancio europeo per finanziare le politiche di supporto alla famiglia e alla natalità intraprese dagli Stati membri”;
- Revisione del Patto di Stabilità e Crescita nell’ottica di una maggiore flessibilità. “La sostenibilità del debito può essere raggiunta solo con una crescita vigorosa, figlia di spese per investimenti, e non con tagli selvaggi alla spesa pubblica che deprimono ulteriormente l’economia”;
- Tutelare il mercato unico, contrastare i paradisi fiscali europei, fermare la concorrenza sleale sia all’interno sia all’esterno dell’UE. A tal proposito viene previsto il completamento della riforma del Codice Doganale UE, così da intensificare l’attività anti-contraffazione e anti-frode. “Garantire un’adeguata applicazione della Global Minimum Tax”;
- “Proteggere i confini d’Europa”. Non dall’escalation militare ma dai migranti, per cui vanno promossi accordi di cooperazione con gli Stati terzi, sullo stile di quanto fatto di recente nella Tunisia di Saied, il cui governo è impegnato in una sistematica attività di discriminazione e deportazione degli africani subsahariani. Nonostante ciò la Tunisia è stata inserita dall’Italia nella lista dei “Paesi sicuri”. Nel programma è previsto il potenziamento del ruolo di Frontex, Europol ed Eurodac per il rafforzamento delle frontiere, a cui si aggiunge il contrasto alle “organizzazioni criminali che gestiscono la tratta di esseri umani”;
- “Proseguire nell’impegno a prevenire e risolvere ogni conflitto, per una pace giusta in Ucraina e per il perseguimento del principio “due popoli, due Stati” in Medio Oriente”. Tuttavia in sede ONU l’ambasciatore italiano, che agisce in coordinamento con il governo, si è più volte astenuto sulle risoluzioni a favore della Palestina e del suo popolo.
- Costruire una politica industriale comune nel settore della difesa”. Previsto il potenziamento della produzione militare sia in termini quantitativi sia per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo. Il ruolo della NATO non viene messo in discussione;
- Diversificazione energetica. Sì al nucleare di ultima generazione. Sviluppare nel quadro del Piano Mattei accordi di cooperazione e partenariati strategici in ambito energetico con gli Stati africani produttori di energia. Allo stesso modo, vanno conclusi accordi con Paesi terzi per l’approvvigionamento di terre rare e incrementate le capacità estrattive degli Stati membri favorendo la nascita di imprese europee per l’estrazione e la raffinazione di materie prime critiche e strategiche;
- Migliorare la normativa europea sulla violenza contro le donne, promuovere l’occupazione e l’imprenditoria femminile. No alla “teoria gender” e al “mercato transnazionale dell’utero in affitto”;
- “Stanziare fondi europei per la creazione di un polo comune di ricerca e sviluppo delle tecnologie dell’Intelligenza Artificiale”;
- Promuovere la collaborazione tra Stati membri nella lotta alla criminalità organizzata, integralismo religioso e terrorismo islamista.
Le votazioni in Europa
- Recovery Fund (10 febbraio 2021): astensione. L’indirizzo delle risorse del fondo (209 miliardi di euro) è stato definito dall’Italia attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR);
- Regolamento sull’identità digitale (29 febbraio 2024): astensione. La nuova identità digitale conterrà tutti i dati dei cittadini europei e permetterà loro di accedere a servizi pubblici e privati con un click, in tutta l’Unione. Norma che ha sollevato parecchi dubbi circa i possibili “effetti collaterali” in termini di sorveglianza e repressione;
- Direttiva sulle emissioni industriali (12 marzo 2024): voto contrario. La norma prevede multe del 3% del fatturato annuo per gli allevamenti di medio-grandi dimensioni che non adottato le “migliori tecnologie disponibili” per minimizzare le emissioni inquinanti. Il voto contrario non aveva l’obiettivo di tutelare i piccoli allevatori, piuttosto forniva l’ennesimo assist a favore dell’insostenibile sistema degli allevamenti intensivi;
- Nuovo Patto su migrazione e asilo (10 aprile 2024): voto a favore per cinque delle dieci leggi che lo compongono, appoggiando ad esempio lo screening alle frontiere, sempre più luoghi di impunità. FDI si è astenuto sulle procedure di asilo più rapide, che si tradurranno in analisi superficiali e incomplete, complicando una situazione di per sé difficile. Infine, si è schierato contro il meccanismo di redistribuzione dei rifugiati perché non obbligatorio e di fatto bypassabile dai Paesi membri attraverso dei “contributi finanziari” o “un sostegno tecnico-operativo” (una procedura che dunque non supera il controverso regolamento di Dublino); e il meccanismo, attivabile a discrezione dei Paesi membri, che in poche parole garantisce l’accesso legale e sicuro all’Europa per le persone a cui l’ONU riconosce lo status di rifugiato;
- Riforma del Patto di Stabilità (23 aprile 2024): voto contrario. Delle sue controversie abbiamo scritto più volte su L’Indipendente, sottolineando l’obiettivo principale della misura: limitare il più possibile l’intervento statale nell’economia per promuovere, invece, il ruolo dei privati secondo uno dei pilastri del modello economico liberista.
La comunicazione politica
Giorgia Meloni ha capito come conquistare il pubblico. Attraverso lo strumento del framing, dunque del come viene “confezionata” una notizia o anche una semplice parola, la leader di Fratelli d’Italia nonché presidente del Consiglio si è dimostrata capace non solo di rispedire al mittente le critiche ma anche di cavalcarle per aumentare il consenso popolare. Le opposizioni la accusano di aver trasformato il servizio pubblico d’informazione nel suo giocattolo personale, nella Telemeloni? Lei risponde rinominando così la sua rubrica web “Gli appunti di Giorgia”, sgonfiando e delegittimando la protesta. Pochi giorni fa la leader di Fratelli d’Italia ha sfruttato l’inaugurazione di una struttura sportiva a Caivano per togliersi qualche sassolino dalla scarpa nei confronti del presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, presentandosi a quest’ultimo come «quella stronza della Meloni». Il video è andato virale, riscuotendo ampio consenso dal suo elettorato (e non solo).
In poche parole
Dopo essersi affermato come primo partito alle elezioni legislative del 2022, Fratelli d’Italia parteciperà al voto dell’8 e 9 giugno da favorito. Il peso dell’aspettativa si è fatto sentire e la leader, nonché presidente del Consiglio, Giorgia Meloni ha deciso candidarsi come capolista in tutte e cinque le circoscrizioni elettorali in cui è divisa l’Italia. Una mossa condivisa da altri leader con incarichi governativi o parlamentari, come Antonio Tajani, Carlo Calenda o Elly Schlein, e definita negli ambienti politologici come voto-truffa. Questo perché attrae voti – soprattutto dagli indecisi, facendo leva sul fascino personalistico degli ultimi decenni – senza però arrivare al risultato promesso: l’incarico da europarlamentare verrà infatti rifiutato, così da mantenere la posizione attuale, e i voti raccolti aiuteranno gli altri candidati della lista ad arrivare a Strasburgo.
Il programma presentato da Fratelli d’Italia conferma la metamorfosi iniziata con la scalata al potere. Riposti i vessilli più sovranisti in soffitta, il partito guidato da Giorgia Meloni mostra un volto accondiscendente nei confronti della NATO, non mette più in discussione il ruolo della BCE o dell’euro. Per quanto conservatrice, la linea sul fenomeno migratorio si mostra scevra della vecchia retorica sul blocco navale. Fratelli d’Italia cerca dunque il compromesso, tra la presenza nell’ECR e una nuova identità.
Il programma si mostra carente e vago in politica estera. Manca una posizione chiara sui negoziati in Ucraina o nei confronti di Israele, protagonista di un genocidio a Gaza. Quest’ultima non viene mai nominata. Al massimo si cita il sostegno alla missione Aspides, “sotto il comando tattico italiano, avviata per garantire la sicurezza della navigazione delle navi UE nel Mar Rosso e tutelare l’economia italiana ed europea”. L’operazione è contro gli Houthi, il gruppo ribelle dello Yemen, che da mesi cerca di far pressione su Israele e sui suoi alleati, attaccando le navi dirette a Tel Aviv.
C’è incertezza anche nei confronti della direttiva Bolkestein, su cui Fratelli d’Italia si è limitato ad affermare l’intenzione di “garantirne la corretta applicazione”, senza specificare altro. Nel programma appare invece chiara la strizzata d’occhio alla protesta dei trattori, a cui abbiamo dedicato il Monthly Report n. 32. È presente un ammiccamento anche al Sud Italia, che però fa fatica ad attecchire visto il piano, a livello nazionale, dell’autonomia differenziata presentato dal governo Meloni. Una misura che rischia di spaccare il Paese, facendolo correre ancor di più a due velocità.
[di Salvatore Toscano]