In India quasi un miliardo di persone si sono recate alle urne per eleggere i 543 deputati della Camera bassa del Parlamento (il Lok Sabha) e i risultati, annunciati il 4 giugno, hanno visto la vittoria del Primo ministro uscente Narendra Modi, che ha ottenuto uno storico terzo mandato, ma con una maggioranza molto ridotta rispetto alle aspettative dei sondaggi. La competizione elettorale è stata dominata dai due principali partiti politici indiani: il Bharatiya Janata Party (BJP) guidato da Modi, al governo dal 2014, e l’Indian National Congress (INC), all’opposizione. Tuttavia, al contrario dei pronostici elettorali, il BJP non ha ottenuto la maggioranza assoluta in Parlamento e avrà, dunque, bisogno dei seggi dell’Alleanza Nazionale Democratica (NDA), la coalizione con cui ha governato anche durante lo scorso mandato, per formare il governo. Rispetto alle elezioni del 2019 in cui il partito di Modi aveva ottenuto 303 seggi, conquistando la maggioranza assoluta, questa volta il BJP si è ridotto a 240 seggi e avrà bisogno quindi dei 293 seggi dell’NDA e dei 16 seggi del Telugu Desam Party (TDP), un attore regionale chiave nello stato meridionale dell’Andhra Pradesh che fa parte dell’alleanza, per governare. La coalizione di opposizione di centrosinistra, l’Alleanza inclusiva per lo sviluppo nazionale dell’India (indicata con l’acronimo INDIA), il cui partito principale è l’INC, ha ottenuto, invece, 234 seggi.
A pesare sul calo di consenso del governo Modi sono stati, tra gli altri, la stagnazione del settore agricolo che, pur rappresentando uno dei tre settori chiave dell’economia indiana insieme all’industria e ai servizi, contribuisce meno di tutti alla crescita del PIL e che ha generato massicce rimostranze da parte degli agricoltori negli ultimi anni. Determinante è anche la presunta agenda etno-nazionalista che molti attribuiscono al programma politico del BJP e che si traduce in un nazionalismo legato all’identità religiosa induista. Ciò ha creato una spaccatura tra induisti e musulmani, con quest’ultimi che hanno dovuto affrontare crescenti discriminazioni. Non a caso, la vita politica di Modi è cominciata nel Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), un movimento paramilitare nato negli anni Venti del Novecento che mira a diffondere l’ideologia e la disciplina indù come sostegno della cultura indiana e dei suoi valori. Un tema importante della campagna elettorale è stato quello della disoccupazione che, nonostante la crescita sostenuta, colpisce soprattutto i giovani.
Le elezioni indiane sono particolarmente importanti per via della rilevanza sempre più accentuata che il Paese asiatico sta assumendo sia a livello economico che geopolitico: l’economia indiana, infatti, è quella che cresce più velocemente tra le prime 20 al mondo, superando, nel 2023, il Pil del Regno Unito e, secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI), non ha intenzione di fermarsi. Inoltre, all’inizio del 2023 la sua popolazione ha superato quella della Cina, che ha detenuto il primato demografico per oltre tre secoli. Ciò permette alla Nazione di disporre di una forza lavoro ineguagliabile. Dal punto di vista geopolitico, l’India ambisce a ritagliarsi un ruolo chiave all’interno di un ordine mondiale sempre più multipolare, contendendo alla rivale Cina la funzione di voce del cosiddetto “sud globale”. Considerando i buoni rapporti che Nuova Delhi intrattiene con Washington e, di contro, i rapporti tesi con Pechino – che peraltro potrebbero pregiudicare la compattezza del sud globale e il potenziale dei BRICS – si potrebbe pensare che il Paese dell’Asia meridionale tenda verso l’asse occidentale in funzione anticinese. In realtà, l’obiettivo principale di Nuova Dehli è il perseguimento dei propri interessi attraverso un pragmatico multi-allineamento e, in questo senso, non ha esitato, durante la riunione del G20 del 2023 di cui deteneva la presidenza, a porsi come un ponte tra i Paesi occidentali e quelli in via di sviluppo.
L’India risulta, inoltre, un partner strategico di Washington e dell’Occidente nel contenimento della Cina, in quanto buona parte della produzione viene trasferita a Nuova Delhi. Tuttavia, il governo Modi rappresenta, allo stesso tempo, anche un problema per la sfera euro-atlantica, in quanto aggira le sanzioni e commercia con la Russia che non ha condannato in sede ONU per l’invasione dell’Ucraina. Ad allontanare il Paese asiatico dagli USA vi è, tra le altre cose, la sottoscrizione di un accordo tra Nuova Delhi e Teheran per la gestione e lo sviluppo del porto di Chabahar, situato in posizione strategica nel sud-est dell’Iran.
Dal punto di vista della politica internazionale, dunque, l’India di Modi è in grado di sfruttare e capitalizzare la guerra commerciale e diplomatica tra Occidente, da un lato, e Russia e Cina, dall’altro. Mentre sul piano interno, secondo il rieletto Primo ministro, la ridotta maggioranza non pregiudicherà le riforme, al contrario di quanto sostenuto dall’agenzia di rating Fitch: «Nonostante la maggioranza ridotta in parlamento, le riforme necessarie sono del tutto fattibili. Realizzare una crescita sostenuta ad un ritmo accelerato non potrà che rafforzare la posizione del governo nei prossimi anni», ha affermato. Se, dunque, una crescente parte della popolazione indiana sente il bisogno di un rinnovamento politico dopo dieci anni di governo Modi, puntando sull’alternativa credibile dell’opposizione, la coalizione di maggioranza dispone ancora dei numeri e della forza politica per lavorare affinché l’India diventi una Nazione pienamente sviluppata entro il 2047, il centenario dell’indipendenza dal dominio coloniale britannico. Portando così a termine il lavoro di trasformazione del Paese iniziato da Modi.
[di Giorgia Audiello]