domenica 24 Novembre 2024
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La battaglia transfemminista è una questione molto più complessa di come viene raccontata

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Una delle battaglie più sentite dagli studenti del nuovo millennio è quella per una maggiore rappresentatività e inclusività delle persone trans. La questione transfemminista oltre a essere particolarmente cara ai ragazzi di oggi è forse la fonte dei confronti più aspri e divisivi con le vecchie generazioni. Le modalità con cui vengono portate avanti le rivendicazioni e il loro stesso contenuto vengono infatti spesso visti come troppo estremi dalle persone più adulte, anche se spesso, secondo i più giovani, essi ne ignorano le radici profonde. Proprio per questo è il momento di razionalizzare ...

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Elezioni in India: Modi rimane al potere, ma perde la maggioranza

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In India quasi un miliardo di persone si sono recate alle urne per eleggere i 543 deputati della Camera bassa del Parlamento (il Lok Sabha) e i risultati, annunciati il 4 giugno, hanno visto la vittoria del Primo ministro uscente Narendra Modi, che ha ottenuto uno storico terzo mandato, ma con una maggioranza molto ridotta rispetto alle aspettative dei sondaggi. La competizione elettorale è stata dominata dai due principali partiti politici indiani: il Bharatiya Janata Party (BJP) guidato da Modi, al governo dal 2014, e l’Indian National Congress (INC), all’opposizione. Tuttavia, al contrario dei pronostici elettorali, il BJP non ha ottenuto la maggioranza assoluta in Parlamento e avrà, dunque, bisogno dei seggi dell’Alleanza Nazionale Democratica (NDA), la coalizione con cui ha governato anche durante lo scorso mandato, per formare il governo. Rispetto alle elezioni del 2019 in cui il partito di Modi aveva ottenuto 303 seggi, conquistando la maggioranza assoluta, questa volta il BJP si è ridotto a 240 seggi e avrà bisogno quindi dei 293 seggi dell’NDA e dei 16 seggi del Telugu Desam Party (TDP), un attore regionale chiave nello stato meridionale dell’Andhra Pradesh che fa parte dell’alleanza, per governare. La coalizione di opposizione di centrosinistra, l’Alleanza inclusiva per lo sviluppo nazionale dell’India (indicata con l’acronimo INDIA), il cui partito principale è l’INC, ha ottenuto, invece, 234 seggi.

A pesare sul calo di consenso del governo Modi sono stati, tra gli altri, la stagnazione del settore agricolo che, pur rappresentando uno dei tre settori chiave dell’economia indiana insieme all’industria e ai servizi, contribuisce meno di tutti alla crescita del PIL e che ha generato massicce rimostranze da parte degli agricoltori negli ultimi anni. Determinante è anche la presunta agenda etno-nazionalista che molti attribuiscono al programma politico del BJP e che si traduce in un nazionalismo legato all’identità religiosa induista. Ciò ha creato una spaccatura tra induisti e musulmani, con quest’ultimi che hanno dovuto affrontare crescenti discriminazioni. Non a caso, la vita politica di Modi è cominciata nel Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), un movimento paramilitare nato negli anni Venti del Novecento che mira a diffondere l’ideologia e la disciplina indù come sostegno della cultura indiana e dei suoi valori. Un tema importante della campagna elettorale è stato quello della disoccupazione che, nonostante la crescita sostenuta, colpisce soprattutto i giovani.

Le elezioni indiane sono particolarmente importanti per via della rilevanza sempre più accentuata che il Paese asiatico sta assumendo sia a livello economico che geopolitico: l’economia indiana, infatti, è quella che cresce più velocemente tra le prime 20 al mondo, superando, nel 2023, il Pil del Regno Unito e, secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI), non ha intenzione di fermarsi. Inoltre, all’inizio del 2023 la sua popolazione ha superato quella della Cina, che ha detenuto il primato demografico per oltre tre secoli. Ciò permette alla Nazione di disporre di una forza lavoro ineguagliabile. Dal punto di vista geopolitico, l’India ambisce a ritagliarsi un ruolo chiave all’interno di un ordine mondiale sempre più multipolare, contendendo alla rivale Cina la funzione di voce del cosiddetto “sud globale”. Considerando i buoni rapporti che Nuova Delhi intrattiene con Washington e, di contro, i rapporti tesi con Pechino – che peraltro potrebbero pregiudicare la compattezza del sud globale e il potenziale dei BRICS – si potrebbe pensare che il Paese dell’Asia meridionale tenda verso l’asse occidentale in funzione anticinese. In realtà, l’obiettivo principale di Nuova Dehli è il perseguimento dei propri interessi attraverso un pragmatico multi-allineamento e, in questo senso, non ha esitato, durante la riunione del G20 del 2023 di cui deteneva la presidenza, a porsi come un ponte tra i Paesi occidentali e quelli in via di sviluppo.

L’India risulta, inoltre, un partner strategico di Washington e dell’Occidente nel contenimento della Cina, in quanto buona parte della produzione viene trasferita a Nuova Delhi. Tuttavia, il governo Modi rappresenta, allo stesso tempo, anche un problema per la sfera euro-atlantica, in quanto aggira le sanzioni e commercia con la Russia che non ha condannato in sede ONU per l’invasione dell’Ucraina. Ad allontanare il Paese asiatico dagli USA vi è, tra le altre cose, la sottoscrizione di un accordo tra Nuova Delhi e Teheran per la gestione e lo sviluppo del porto di Chabahar, situato in posizione strategica nel sud-est dell’Iran.

Dal punto di vista della politica internazionale, dunque, l’India di Modi è in grado di sfruttare e capitalizzare la guerra commerciale e diplomatica tra Occidente, da un lato, e Russia e Cina, dall’altro. Mentre sul piano interno, secondo il rieletto Primo ministro, la ridotta maggioranza non pregiudicherà le riforme, al contrario di quanto sostenuto dall’agenzia di rating Fitch: «Nonostante la maggioranza ridotta in parlamento, le riforme necessarie sono del tutto fattibili. Realizzare una crescita sostenuta ad un ritmo accelerato non potrà che rafforzare la posizione del governo nei prossimi anni», ha affermato. Se, dunque, una crescente parte della popolazione indiana sente il bisogno di un rinnovamento politico dopo dieci anni di governo Modi, puntando sull’alternativa credibile dell’opposizione, la coalizione di maggioranza dispone ancora dei numeri e della forza politica per lavorare affinché l’India diventi una Nazione pienamente sviluppata entro il 2047, il centenario dell’indipendenza dal dominio coloniale britannico. Portando così a termine il lavoro di trasformazione del Paese iniziato da Modi.

[di Giorgia Audiello]

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Germania, accoltellato candidato di AfD

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Ieri sera a Manheim, nella Germania meridionale, un candidato al consiglio comunale del partito di estrema destra Alternativa per la Germania è stato aggredito con un coltello, per poi venire prontamente ricoverato in ospedale. A ora pare che il politico sia fuori pericolo. Stando alle prime ricostruzioni, il candidato si era avvicinato all’aggressore mentre questi era intento a strappare dei manifesti del partito, per poi venire colpito. La polizia ha dichiarato di avere arrestato un potenziale sospettato, ma non sono ancora noti i dettagli.

La minaccia della Camera USA alla Corte Penale Internazionale: sanzioni se condannate Israele

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Ieri, la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato una bolla proposta dai repubblicani che prevede la applicazione di sanzioni e misure restrittive contro i giudici della Corte Penale Internazionale che sono “impegnati in qualsiasi tentativo di indagare, arrestare, detenere o perseguire qualsiasi” politico statunitense o “persona protetta” dal Paese che come gli USA non riconosca la CPI. La decisione arriva dopo la richiesta di elaborazione di mandati di arresto contro Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant avanzata dal procuratore dell’organo internazionale Karim Khan, a cui il testo modificato fa esplicito riferimento. Dopo le sanzioni ad personam rilasciate dagli USA nel 2020 (emesse dopo l’apertura di indagini sui crimini di guerra in Afghanistan), arriva così l’ennesima conferma della loro chiara volontà di porsi al di sopra della legge internazionale, insieme di norme da rispettare solo quando risulta comodo.

La bolla, dal nome “Illegitimate Court Counteraction Act“, è passata in Camera bassa con 247 voti a favore e 155 contrari. Tra i favorevoli sono apparsi anche 42 democratici che si sono staccati dal blocco di oppositori del proprio partito. Nello specifico, la legge punirebbe in via generale tutti coloro direttamente o indirettamente coinvolti in una azione della CPI contro un alleato, inclusi coloro che le hanno fornito supporto tecnologico, finanziario, o materiale, e coloro che hanno agito rispettando tali ordini. La pena prevista prevede un blocco dal circuito VISA e il congelamento dei beni, nonché il divieto di entrare negli Stati Uniti; il blocco VISA verrebbe esteso anche ai familiari diretti. Il prossimo passaggio previsto è il voto al Senato; se la legge dovesse passare anche in Camera alta arriverebbe allora al Presidente, e dopo la sua eventuale firma passerebbe alla ratifica finale.

La proposta di legge era stata precedentemente avanzata in data 7 maggio, ma dopo la sessione di ieri il testo è stato leggermente modificato: a esso è stato infatti aggiunto un intero paragrafo di “considerazioni” che chiama in causa per direttissima il caso della richiesta di emissione di mandati di arresto nei confronti degli alleati israeliani da parte del procuratore della CPI, che fungerebbe in tal senso da fondamento per la stessa legge. Non è inoltre la prima volta che negli Stati Uniti si parla di sanzioni contro esponenti della CPI: basti pensare infatti al caso scoppiato a settembre del 2020 quando due membri della Corte vennero inseriti nei registri delle persone sanzionate per avere aperto delle indagini sui possibili crimini di guerra e contro l’umanità commessi dagli USA in Afghanistan. Queste vennero poi rimosse qualche mese dopo, ad aprile, quando Biden riconobbe che “la minaccia o l’imposizione di sanzioni contro la Corte, il suo personale e quelli che la assistono non sono strategie efficaci e opportune per risolvere la questione tra Stati Uniti e CPI”. Se la norma dovesse venire approvata, tuttavia, queste stesse parole troverebbero una sonorissima smentita: con l’eventuale passaggio della bolla, infatti, gli USA isolerebbero di fatto tutti gli esponenti della CPI che oserebbero mettersi contro di loro o contro i loro alleati, visto che essa colpisce anche coloro che sostengono le decisioni dei giudici.

Considerato tutto ciò, il passaggio della legge in prima lettura conferma la tendenza di porsi al di sopra della legge internazionale che gli USA hanno spesso assunto con lo scopo di portare avanti i propri interessi. Basti a tal proposito pensare al caso della emissione di mandati contro Putin. In occasione della passata decisione della CPI, infatti, il Segretario di Stato Blinken aveva caldamente invitato tutti gli Stati firmatari dello Statuto di Roma (tra cui USA, Russia, e Israele non figurano) a mettere in atto gli ordini dell’istituzione se si fosse verificata la possibilità di farlo. Oggi, invece, viene approvata in prima lettura una bolla che li punirebbe se facessero la stessa cosa con Netanyahu. La discussione dell’Illegitimate Court Counteraction Act risulta in tal senso l’ennesimo fallimento dell’uso politico della legge internazionale, che ancora una volta verrebbe piegata dagli interessi personali delle superpotenze, sempre pronte a chiamarla in causa quando appare utile, e a ignorarla – se non addirittura violarla – quando risulta un ostacolo.

[di Dario Lucisano]

Una sonda cinese è atterrata sul lato oscuro della Luna

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La Cina ha segnato un altro significativo passo in avanti per quanto riguarda l’esplorazione spaziale: il lander lunare Chang’e-6 è atterrato con successo sul lato nascosto della Luna prelevando circa due chili di campioni dal terreno e si trova ora sulla via del ritorno, previsto per il 25 giugno nel sito di Siziwang Banner, in Mongolia. Lo ha annunciato l’Amministrazione spaziale nazionale cinese, citata dall’agenzia di stampa Xinhua. Si tratta di una delle operazioni robotiche più complesse mai realizzate da Pechino e della sesta missione lunare dal 2007. I campioni raccolti potrebbero fornire indizi cruciali per indagare l’origine e l’evoluzione non solo della Luna stessa, ma anche della Terra e del sistema solare, oltre che arricchire le conoscenze scientifiche in vista delle prossime missioni e degli obiettivi futuri della Cina, che vorrebbe inviare astronauti sulla Luna nel 2030. Alla missione, inoltre, ha contribuito anche il Belpaese: a bordo del lander era presente uno strumento chiamato INRRI e realizzato da ricercatori italiani.

Il lander lunare cinese Chang’e-6 è atterrato con successo sul lato nascosto della Luna – che mostra sempre la stessa faccia in quanto possiede periodo di rotazione simile a quello di rivoluzione intorno alla Terra – domenica mattina, alle 00:23 ore italiane. L’allunaggio ha seguito 20 giorni di orbita ed è avvenuto nell’immenso bacino del Polo Sud-Aitken, ovvero un cratere di circa 2.500 km di diametro situato vicino al polo sud lunare. All’interno di questa zona – riporta l’agenzia di stampa cinese – Chang’e-6 ha esaminato un terreno «esplorato per la prima volta nella storia umana». Il dispositivo, costituito da un orbiter, un returner, un lander e un ascender, ha raccolto per due giorni campioni lunari sfruttando un trapano ed un braccio robotico e ha sfruttato il supporto fornito dal satellite Queqiao-2, lanciato nel marzo 2024. Tale impiego ha permesso all’Agenzia spaziale cinese di superare un ostacolo tutt’altro che indifferente: il lato buio della Luna è al di fuori della portata delle normali comunicazioni e per questo è risultato essenziale lo strumento lanciato qualche mese prima che, grazie alla sua potente antenna parabolica di oltre 4 metri di diametro, è stato in grado di collegare l’Agenzia a Chang’e-6. Tuttavia – spiegano gli scienziati cinesi – per risparmiare tempo e migliorare l’efficienza è stato comunque sviluppato un processo di campionamento più intelligente che ha permesso al lander di eseguire istruzioni in modo autonomo per ridurre le interazioni Terra-Luna.

Foto che mostra la vista generale della superficie della Luna, ripresa dalla fotocamera panoramica collegata alla sonda lunare Chang’e-6 prima che iniziasse a raccogliere campioni. Credit: China National Space Administration, AFP

Durante la missione, è stata issata la bandiera nazionale cinese e sono stati eseguiti vari esperimenti scientifici, tra cui l’attivazione del rivelatore di ioni dell’ESA e il rilevatore di radon. Il lander, quindi, non si è limitato alla sola raccolta di campioni, ma ha valutato e testato le risorse presenti nell’area, cercando prove sulle grandi riserve di ghiaccio che dovrebbero essere presenti nei pressi del polo sud lunare. Teodoro Valente, presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, ha dichiarato che Chang’e-6 rappresenta un passo importante nella corsa al ritorno sul nostro satellite naturale, ricordando la presenza di un contributo italiano alla missione: «A bordo del lander è presente uno strumento realizzato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Si chiama INRRI ed è costituito da un retroriflettore laser passivo da utilizzare per la telemetria laser del lander. Non richiede energia e sarà utilizzato anche dopo che la missione si sarà conclusa».

Secondo quanto riportato dall’Agenzia di stampa cinese Xinhua, che cita la China National Space Administration, la sonda è decollata martedì 4 giugno alle ore 7:38 locali dopo aver stivato i campioni raccolti come previsto. Si stima che il viaggio di ritorno sulla Terra durerà circa tre settimane e terminerà con un atterraggio previsto in Mongolia il 25 giugno. «L’enigmatico lato nascosto della Luna è così diverso dal lato visibile della Luna in così tanti modi, che senza campioni restituiti, gli scienziati lunari non possono comprendere appieno la Luna come un intero corpo planetario. I campioni restituiti da Chang’e-6 consentiranno di compiere grandi passi avanti nella risoluzione di questi problemi», ha affermato James Head, professore alla Brown University che ha collaborato alla missione. Ma gli obiettivi non sembrano limitarsi solo ad una maggiore comprensione del corpo celeste: «La superficie lunare è ricca di basalto. Dato che in futuro costruiremo una base lunare, molto probabilmente dovremo trasformare il basalto in fibre e usarlo come materiale da costruzione», ha dichiarato l’ingegnere e ricercatore Zhou Changyi. La Cina, infatti, prevede di lanciare altre due missioni della serie Chang-e che le consentirebbero di avvicinarsi ulteriormente all’obiettivo di inviare astronauti sulla Luna nel 2030, e sicuramente nell’ultima settimana è stato raggiunto un importante passo in avanti per portare a termine tale obiettivo.

[di Roberto Demaio]

Il Parlamento sloveno ha riconosciuto lo Stato di Palestina

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Durante la sessione di martedì 4 giugno, il Parlamento sloveno ha riconosciuto formalmente lo Stato di Palestina diventando così il tredicesimo Paese comunitario a riconoscere l’autorità palestinese sui 27 Stati membri dell’UE. La sessione parlamentare è durata sei ore ed è stata protagonista di numerosi stravolgimenti, ma alla fine si è chiusa con l’approvazione della mozione presentata la scorsa settimana e il riconoscimento formale della Palestina. I voti a favore sono stati 52, 48 invece gli astenuti. Dopo Spagna, Norvegia e Irlanda, la Slovenia diventa così il quarto Paese del continente europeo a riconoscere la Palestina nel giro di una manciata di giorni.

Tennis, Sinner è il numero 1 al mondo

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Da lunedì prossimo, il tennista Jannik Sinner sarà il primo atleta nella classifica mondiale di tennis, diventando così il primo italiano nella storia a godere del gradino più alto del podio. A rendere sicura la scalata al primo posto è il ritiro dell’attuale numero uno Novak Djokovic dal torneo Roland Garros di Parigi, tutt’ora in fase di svolgimento. Sinner è così destinato a diventare matematicamente primo in classifica alla chiusura del torneo.

Covid, Fauci ammette: le regole su distanziamento e mascherine ce le siamo inventate

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Le misure adottate per il contenimento della pandemia da Covid-19, quali distanziamento sociale e mascherine, non erano supportate da alcun criterio scientifico. L’ammissione è stata fatta niente di meno che dall’immunologo Anthony Fauci, il quale, lunedì 3 giugno, ha testimoniato davanti alla sottocommissione sulla pandemia da coronavirus della Camera statunitense (a guida repubblicana), che indaga sulle origini del Covid e sulla risposta del governo in merito. L’udienza, nel corso della quale è emersa ancora una volta la divisione tra i due partiti sul tema, ha segnato la prima apparizione pubblica di Fauci a Capitol Hill da quando ha lasciato l’amministrazione del governo Biden, nel 2022. Nel corso dell’audizione, Fauci è stato anche interrogato circa le origini del virus e sui propri rapporti con la ONG EcoHealth Alliance.

Misure quali distanziamento sociale e mascherine sono state dunque adottate senza che vi fossero evidenze scientifiche a sostegno della loro utilità, come ammesso da Fauci in aula. Dichiarazioni che acquisiscono ancora più peso alla luce di quanto evidenziato da uno studio dell National Institute of Health (NIH), risalente al maggio 2022, che rilevava l’impatto «molto negativo» dell’utilizzo di mascherine sull’alfabetizzazione e sull’apprendimento dei giovani e come il distanziamento sociale avesse causato «depressione, ansia generalizzata, stress acuto e pensieri intrusivi». Già nel gennaio scorso, durante un interrogatorio a porte chiuse durato 14 ore, Fauci aveva detto ai legislatori repubblicani che la regola del distanziamento sociale di un metro e mezzo era «apparsa» senza che si ricordasse come. «Non ricordo. In un certo senso è apparso» riportano le trascrizioni della commissione, al momento in cui gli fu chiesto come e quando la regola fosse nata. Fauci aveva anche ammesso di «non essere a conoscenza di studi» che supportassero il distanziamento sociale, sottolineando che tali studi «sarebbero molto difficili» da compiere con efficacia. Eppure, sia il distanziamento sociale che le mascherine sono state vendute al pubblico come qualcosa di assolutamente efficacie e confermato da prove scientifiche.

Anthony Fauci, oltre ad essere stato direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAD, l’Istituto Nazionale per le Allergie e le Malattie Infettive) ininterrottamente dal 1984 al 2022, ha ricoperto il ruolo di consigliere medico del Presidente Joe Biden dal gennaio 2021 fino al dicembre 2022. Durante la pandemia, Fauci è stato dipinto come una sorta di eroe da parte dei democratici, che ora sono venuti in suo aiuto denunciando quello che hanno definito uno sforzo politicamente motivato per denigrarlo. I repubblicani, dal canto loro, lo hanno messo pesantemente sotto accusa per la gestione emergenziale del Covid-19, sebbene sia stato lo stesso Trump, nel gennaio 2020, a nominarlo membro della task-force creata per analizzare e contrastare il diffondersi dell’infezione sul suolo americano. Durante l’audizione pubblica, Fauci ha negato di aver cercato di coprire la teoria secondo cui il Covid-19 abbia avuto origine da una fuga di laboratorio in Cina, dicendo ai legislatori di non aver mai influenzato la ricerca sulle origini del virus, sebbene in passato abbia più volte sostenuto la teoria della trasmissione naturale del virus, che sarebbe quindi passato da un animale all’uomo (per la quale non esiste alcuna prova a sostegno). Allo stesso tempo, lo scienziato statunitense ha detto: «Sono stato anche molto, molto chiaro, e l’ho detto più volte, che non penso che il concetto di un laboratorio sia intrinsecamente una teoria del complotto».

Alcuni passaggi dell’interrogatorio a Fauci hanno poi riguardato le sovvenzioni ad EcoHealth Alliance. Sebbene Fauci abbia sempre giurato che i soldi americani non abbiano finanziato la ricerca del guadagno di funzione in quel di Wuhan, sappiamo che dal 2014 al 2020, EcoHealth Alliance (organizzazione con sede negli Stati Uniti che ha collaborato per anni con l’Istituto di virologia di Wuhan) ha ricevuto sovvenzioni da milioni di dollari dal NIH (National Institutes of Health, agenzia governativa) per esaminare possibili coronavirus provenienti dai pipistrelli e lavori di gain of function. La cancellazione del finanziamento, avvenuta sotto la pressione dell’allora presidente Donald Trump, fu attaccata con una lettera scritta da 77 premi Nobel statunitensi e 31 società scientifiche, con la quale si chiedeva alla leadership del NIH di rivedere la decisione. Nell’estate del 2020, il NIH decise quindi che EcoHealth Alliance avrebbe potuto ripristinare la sua sovvenzione se l’organizzazione avesse soddisfatto una serie di prerequisiti, tra cui la garanzia dell’accesso all’Istituto di virologia di Wuhan per gli investigatori statunitensi e un campione di virus da Wuhan. Nell’agosto del 2020, il NIH assegnò ulteriori 7,5 milioni di dollari a EcoHealth Alliance, presieduta da Peter Daszak. Quest’ultimo, zoologo britannico, consulente ed esperto pubblico di ecologia delle malattie, in particolare di zoonosi, divenne membro del team dell’Organizzazione Mondiale della Sanità inviato per indagare sulle origini della pandemia di COVID-19 in Cina, nonostante l’enorme conflitto d’interesse che poi, alla fine, lo stesso Daszak, sotto continue pressioni, dovette ammettere.

Alina Chan, biologa molecolare del Broad Institute del MIT e di Harvard che ha chiesto di sondare più da vicino le origini di laboratorio del COVID, ha accolto con favore un esame più approfondito: «EcoHealth Alliance non dovrebbe ricevere ulteriori finanziamenti federali fino a quando non consegnerà tutti gli scambi con l’Istituto di virologia di Wuhan e non dimostrerà di essere in grado di monitorare in modo responsabile gli esperimenti di ricerca pagati con i dollari dei contribuenti». Jamie Metzl, senior fellow presso l’Atlantic Council, esperto di biotecnologie, ha studiato le possibili origini di laboratorio del virus, ed è d’accordo con Chan: «Sia Peter Daszak che EcoHealth non sono stati all’altezza degli standard dei beneficiari del governo degli Stati Uniti». Il comitato, istituito anche per scoprire le origini del virus, ha scoperto inoltre alcune e-mail che mostrano come alti funzionari del NIH abbiano tentato di nascondere documenti di fronte alle richieste del Freedom of Information Act. Le e-mail private suggeriscono che alcuni funzionari, tra i quali un consigliere e un assistente di lunga data di Fauci, abbiano cancellato la corrispondenza e utilizzato e-mail private per aggirare le leggi sui registri pubblici, anche in merito ai fondi elargiti ad EcoHealth Alliance. In particolare, la commissione parlamentare ha indagato il lavoro del consigliere David Morens, il quale si è definito amico di Peter Daszak. Fauci ha minimizzato la sua collaborazione e il suo lavoro con il consigliere Morens. L’ex direttore del NIAID ha negato di aver mai usato un indirizzo e-mail privato per discutere di affari governativi, cosa che infrangerebbe le norme di sicurezza e permetterebbe inoltre di aggirare la possibilità di accesso pubblico secondo le regole del Freedom of Information Act.

[di Michele Manfrin]

Continuano le proteste degli agricoltori: bloccato il confine Spagna Francia

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Nonostante spariti dai canali mediatici, gli agricoltori non hanno mai smesso di protestare, tanto che nella giornata di ieri sono tornati alla ribalta con una nuova rumorosa mobilitazione che aveva per oggetto il confine tra Spagna e Francia. Più di500 agricoltori si sono infatti schierati su oltre una dozzina di strade nei pressi dei valichi di frontiera addosso ai Pirenei, bloccando il traffico nei punti di accesso posti in mezzo ai due Paesi. A pochi giorni dalle elezioni europee, nella speranza di avere un impatto su di esse, i lavoratori di categoria non smettono così di fare sentire la propria voce, e reclamano che vengano risolti i problemi di iniquità che essi credono essere presenti nelle istituzioni e nelle leggi europee.

La manifestazione degli agricoltori è stata organizzata congiuntamente da sindacati di categoria provenienti da ambedue i Paesi. Nello specifico, le centinaia di manifestanti sono arrivate coi trattori in numerosi punti di confine, bloccando il traffico sui valichi e causando non pochi disagi tanto al flusso di automobili, quanto ai settori della logistica e dei trasporti. Non sono mancate a tal proposito lamentele da associazioni del settore, come nel caso della spagnola Fenadismer; assente per ora una stima quantitativa dei danni, ma secondo la stessa Fenadismer almeno 20.000 camion sarebbero stati momentaneamente bloccati dalla presenza dei trattori. Nello specifico, i blocchi avrebbero colpito numerose aree di confine, che sarebbero state chiuse dai presidi da entrambe le parti: secondo quanto riporta Trànsit, il servizio catalano di viabilità che fa capo direttamente al Dipartimento dell’Interno della regione della Catalogna, a essere colpite sarebbero state l’autostrada AP-7 in almeno tre diversi punti,  la Nazionale N-II in almeno altrettanti punti e la N260 in un punto. Altre fonti riportano blocchi in almeno altre otto strade tanto su lato francese quanto su lato spagnolo.  Fenadismer per esempio parla anche di blocchi sulle strade AP-8, A-136, N-330, N-230, N-141, N-145, N-152, C-38. Su una delle strade, gli agricoltori si sono fermati anche a cucinare una paella.

I vari presidi di ieri hanno certamente avuto una forte eco mediatica, restituendo voce agli agricoltori che da mesi si mobilitano contro le istituzioni europee. La verità, infatti, è che le proteste dei lavoratori del settore non si sono mai fermate, e sono continuate in numerosi Paesi e altrettante città, specialmente a Bruxelles. Le proteste sono iniziate verso la fine dell’anno scorso, e contestano nello specifico le manovre del Green Deal europeo, criticato in particolar modo per l’aumento del prezzo del gasolio e per le sue misure troppo stringenti; a tali motivazioni si aggiunge anche il crescente aumento dei prezzi dei prodotti agricoli di qualsivoglia natura, dai fertilizzanti ai macchinari, come anche la sempre maggiore sfiducia nei confronti delle istituzioni e dei sindacati, accusati di fare gli interessi delle «grandi multinazionali» e dei «burocrati europei», e di avere abbandonato i lavoratori di categoria a sé stessi. Ultima, ma non meno importante l’accusa lanciata alle istituzioni comunitarie di applicare due pesi e due misure nella gestione del grano ucraino, che secondo loro sarebbe favorito dalle norme comunitarie, e andrebbe così a creare un sistema di concorrenza sleale.

Le proteste degli agricoltori hanno avuto una ingente restituzione mediatica specialmente a gennaio e febbraio, mesi in cui presidi e manifestazioni erano arrivati ovunque: in Germania i contadini si erano resi protagonisti di una delle più rumorose proteste del continente, circondando numerose città, istituendo blocchi urbani, e occupando le autostrade; in Francia le proteste sono andate avanti per mesi e sono arrivate a paralizzare il Paese; in Romania e in Paesi di frontiera con l’Ucraina i cortei hanno coinvolto anche i trasportatori, visto che anch’essi  lamentavano l’applicazione di due pesi e due misure da parte dell’UE. In Italia le proteste sono arrivate nella seconda metà di gennaio e sono andate avanti all’incirca per un mese, coinvolgendo numerose città.

[di Dario Lucisano]