domenica 24 Novembre 2024
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Bologna, 23 misure cautelari per gli sgomberi del 6 dicembre

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Il gip di Bologna ha disposto 23 misure cautelari per le persone coinvolte nei fatti di Via Corticella e Viale Filopanti il passato 6 dicembre, quando gli agenti della Digos hanno sgomberato con la violenza le due occupazioni abitative bolognesi che avevano sede presso le medesime vie, portando a episodi di scontri. Nello specifico sono stati disposti 13 divieti di dimora nella Città Metropolitana di Bologna, 9 obblighi di presentazione alla Polizia Giudiziaria, e un divieto di partecipazione alle manifestazioni pubbliche, quest’ultimo emesso nei confronti di un minore.

Torino: dopo mesi di lotta i cittadini sono riusciti a salvare gli alberi di Corso Belgio

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A Torino, un’ordinanza del giudice civile ha accolto il ricorso d’urgenza avanzato da numerosi cittadini riguardo l’alberata di Corso Belgio, che da mesi combattono contro un progetto di riqualificazione deciso dal Comune finalizzato alla sostituzione di 240 aceri con alberi più piccoli. Pur sancendo che il taglio degli alberi andrà comunque avanti, l’ordinanza ha stabilito che gli abbattimenti non dovranno essere eseguiti entro il limite di 18 mesi originariamente stabilito dal Comune e che i tagli potranno essere dilazionati in lotti concordati in modo da ridurre l’impatto sul quartiere “entro l’arco temporale di 5 anni” ed entro la quota annuale del 20%. Inoltre, gli alberi abbattuti dovranno essere sostituiti con piante di dimensione notevolmente maggiore rispetto a quella originariamente prevista. La vera novità sta però nel fatto che l’ordinanza fissa due principi fondamentali. Il primo è la legittimazione attiva per il cittadino di rivolgersi al giudice ordinario per la tutela del suo diritto alla salute. Il secondo è che il verde in ambito cittadino contribuisce sensibilmente al contenimento del calore e quindi appunto alla salute dei cittadini.

Dopo quasi un anno, la contesa giuridica sull’alberata di corso Belgio termina dunque con l’accoglimento parziale del ricorso presentato dai cittadini e la condanna del Comune al pagamento delle spese legali. A esultare è il Comitato “Salviamo gli alberi di Corso Belgio”, che all’interno di una nota parla di una sentenza “destinata a fare giurisprudenza”, che “riconosce il danno alla salute che il progetto causerebbe (e ha causato)”. Nel comunicato, i membri del Comitato hanno dichiarato che la pronuncia ha riconosciuto che, “se realizzato come pretendeva l’Amministrazione, per grandi lotti e in un tempo massimo di 18 mesi, il progetto avrebbe causato ai ricorrenti (e agli altri abitanti della zona) un danno alla salute”, essendo stato “confermato il nesso generale tra eccesso di temperatura e salute, in termini non solo di ricoveri ospedalieri ma anche di mortalità”. Il Comitato ha inoltre espresso soddisfazione per il fatto che il giudice abbia “colto in senso favorevole ai ricorrenti il riferimento alla ‘foresta urbana’ contenuto nella relazione finale del CTU”, dopo che i legali del Comune hanno “contestato la legittimazione attiva di alcuni cittadini non residenti in corso Belgio”. Infatti, “se la ‘rilevanza della foresta urbana’ è da considerare ‘nel suo complesso’ – scrivono i cittadini –, allora l’interesse legittimo a difendere il diritto alla salute non è limitato ai residenti nel luogo preciso in cui avviene l’abbattimento”, ma “si estende agli abitanti della zona e potenzialmente all’intera cittadinanza”.

Come ha dimostrato un rapporto di Legambiente, Torino è la città più inquinata d’Italia, avendo superato di più del doppio i limiti previsti dall’OMS per quanto riguarda la concentrazione di PM10 (polveri sottili inquinanti) nell’aria. Anche e soprattutto per questo motivo, il Comitato ha rinvigorito la sua battaglia per la difesa del verde pubblico, con l’obiettivo che vengano preservate le sue funzioni ecosistemiche e di mitigazione. La riqualificazione di Corso Belgio era stata decisa con la delibera n.528 del 26 Luglio 2022 che affermava che l’alberata fosse“ in condizioni di criticità” senza però rimandare ad alcun documento scientifico che lo dimostrasse. Il Comune, inoltre, non ha fornito alcuna prova nemmeno in seguito alle richieste avanzate dalla cittadinanza. Il Comitato a difesa dell’alberata aveva dunque scelto di intraprendere un’azione legale, presentando un ricorso d’urgenza al Giudice Civile per la tutela del diritto alla salute.

[di Stefano Baudino]

Taxi: sospeso lo sciopero nazionale del 5 e 6 giugno

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Domani e dopodomani 5 e 6 giugno il servizio taxi sarà regolare e non ci sarà lo sciopero nazionale annunciato nei giorni scorsi. Si è concluso con esito positivo, quindi, il tavolo convocato al Mit con i sindacati dei tassisti, che saranno nuovamente ricevuti il 17 giugno alle 11:00. I lavoratori avevano annunciato lo sciopero per chiedere al governo i decreti attuativi della legge che regola il settore, per mantenere il sistema delle concessioni pubbliche, per combattere i fenomeni di abusivismo e per chiedere la regolamentazione delle piattaforme tecnologiche.

Kiev ha colpito in Russia con armi USA, la Russia avvisa: “non fate errori di calcolo”

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Le forze armate ucraine avrebbero utilizzato armi americane, nella fattispecie missili HIMARS, per colpire un sistema di difesa aerea con missili S-300 e S-400 nella regione russa di Belgorod, tra il primo e il due giugno: lo riferiscono fonti non ufficiali russe riprese da diversi media occidentali. Nonostante l’enfasi conferita alla notizia, non è di certo la prima volta che l’esercito ucraino colpisce nei territori russi di confine. Questo però sarebbe il primo caso documentato di utilizzo da parte di Kiev di armi americane per colpire siti militari all’interno del territorio russo, dopo che a fine maggio il presidente americano Joe Biden aveva autorizzato un uso localizzato delle armi americane sul suolo di Mosca. La Casa Bianca, però, non ha concesso a Kiev di colpire ovunque il territorio nemico, ma solo nelle retrovie dell’offensiva di Kharkov. Ciò è sufficiente a far crescere le tensioni tra Washington e Mosca. Quest’ultima ha avvertito, infatti, la Casa Bianca di valutare attentamente la serietà delle conseguenze degli attacchi con armi americani in Russia: «Vorrei mettere in guardia i funzionari americani contro gli errori di calcolo che potrebbero avere conseguenze fatali. Per qualche ragione sconosciuta, sottovalutano la gravità del rifiuto che potrebbero ricevere», ha detto ieri il viceministro degli Esteri russo Sergey Ryabkov. «Siamo consapevoli che i paesi occidentali si stanno muovendo verso un’escalation. Pertanto, da parte nostra, prenderemo tutte le misure necessarie per neutralizzare le minacce associate a questa escalation», ha affermato allo stesso tempo l’alto diplomatico russo Alexander Grushko. Lo stesso ha fatto sapere che tutte le armi e i sistemi missilistici forniti a Kiev saranno distrutti dall’esercito russo.

L’autorizzazione all’uso di armi statunitensi in territorio russo è arrivata in un momento di grande difficoltà sul campo da parte dell’esercito ucraino, in deficit di uomini e munizioni, mentre l’avversario opera con il vantaggio di poter condurre attacchi e bombardamenti dal territorio russo e non dalle aree di conflitto come altrove. Per questo gli ucraini hanno chiesto il via libera per colpire in territorio russo al governo americano, il quale si è però diviso: il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan ha esposto il timore di oltrepassare una linea rossa di Mosca e provocare un’escalation, mentre – al contrario – il segretario di Stato Antony Blinken ha espresso pubblicamente la necessità di concedere agli ucraini di prendere di mira il territorio nemico, mostrando così la divisione presente all’interno dell’amministrazione americana. Non a caso, alcuni analisti sottolineano come difficilmente questa decisione cambierà le sorti del conflitto sul campo, rivelando, invece, un momento di confusione strategica nel blocco atlantico e le gravi condizioni militari in cui versa, ormai da mesi, Kiev. Secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa russa TASS, l’amministrazione statunitense avrebbe assicurato che l’entità dell’uso delle armi americane sul territorio russo non sarà ampliata. Lo avrebbe dichiarato il direttore delle comunicazioni strategiche del Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, John Kirby, rispondendo ieri ad una domanda della stessa agenzia russa.

Al momento, non vi è unità tra gli Stati membri della NATO sull’autorizzazione all’uso delle armi occidentali da parte di Kiev per colpire in territorio russo: dopo gli USA, anche Francia e Germania hanno concesso l’utilizzo delle loro armi per colpire obiettivi in Russia. Venerdì scorso è arrivato il via libera di Berlino: il vice-portavoce del governo Wolfgang Büchner, infatti, ha detto che l’Ucraina potrà usare le armi fornite dalla Germania per colpire il territorio nemico, ma solo per difendere Kharkov. Gli appelli in tal senso si sono moltiplicati durante il vertice informale della Nato a Praga. Dal canto suo, invece, l’Italia non ha – per il momento – dato l’autorizzazione: il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha escluso che le armi italiane fornite a Kiev possano essere usate per colpire i territori russi.

Nel frattempo, l’esercito russo avanza lentamente a Kharkov e lungo tutta la linea del fronte. Secondo Alexander Borodai, membro della Duma di Stato e comandante della settima Brigata d’assalto del Corpo d’assalto volontario, in un contesto di peggioramento della situazione logistica per l’esercito ucraino, le forze russe si stanno preparando per sfondare le difese nemiche. Se, dunque, da un lato, l’uso di armi occidentali in territorio russo difficilmente invertirà il corso dei combattimenti a favore degli ucraini, dall’altro, non solo ciò inasprirà le tensioni tra Mosca e il bocco atlantico con il rischio di una escalation, ma conferma anche la difficoltà delle forze ucraine sul campo di battaglia e la confusione strategica del fronte occidentale.

[di Giorgia Audiello]

Messico, ancora un omicidio politico: uccisa la sindaca di Cotija

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Continua la scia di omicidi politici in Messico. Appena 24 ore dopo l’elezione della prima presidente donna del Paese, la sindaca di Cotija, città di uno Stato occidentale messicano, Yolanda Sanchez Figueroa, è stata assassinata a colpi d’arma da fuoco. Lo hanno reso noto le autorità locali. La sindaca era già stata bersaglio della criminalità organizzata nel settembre 2023, quando fu sequestrata da presunti componenti del cartello della droga Jalisco Nuova Generazione mentre si trovava nel comune di Zapopan a Jalisco, Stato confinante di Michoacán. La donna era stata liberata tre giorni dopo. I candidati uccisi in Messico nell’arco degli ultimi mesi sono oltre 35.

L’Università di Palermo è la prima in Italia a sospendere tutti gli accordi con Israele

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Il Senato Accademico dell’Università di Palermo, con una decisione che fino a ora non ha eguali in Italia, ha approvato ieri mattina all’unanimità un documento con cui viene sancita la sospensione degli accordi con Israele. Nello specifico, nel testo si legge che l’Ateneo “si propone di istituire procedure improntate alla massima trasparenza di due diligence nel valutare accordi istituzionali e proposte di collaborazione scientifica con Università, centri di ricerca e aziende che possano attenere allo sviluppo di tecnologie dual use per scopi militari”. L’Ateneo ha deciso di sospendere gli accordi Erasmus “nell’ambito del programma KA171 e KA220-HED vigenti con Università israeliane”, stabilendo inoltre che non verranno stipulati nuovi accordi con atenei ebraici “fino al superamento dell’attuale crisi” e che ogni futura proposta di accordo sarà “valutata attentamente dal tavolo tecnico sul dual use con la partecipazione di una componente studentesca”. Sono inoltre in fase di studio “misure di supporto per il sistema educativo palestinese finalizzate a garantire il diritto allo studio” e “iniziative volte a promuovere l’informazione e la formazione”.

L’approvazione del documento da parte del Senato Accademico rappresenta una grande vittoria per il movimento Intifada studentesca, che da settimane occupa l’università protestando contro i massacri in atto a Gaza e chiedendo ai vertici dell’ateneo l’interruzione degli accordi di ricerca con le università e le aziende israeliane e con le società italiane che supportano politiche belliche. “Sentiamo di doverci esprimere anche contro la normalizzazione del rapporto delle università con le aziende, a maggior ragione se queste sono industrie direttamente implicate in contesti di guerra e coloniali”, aveva scritto il movimento nel suo appello al Senato Accademico dell’Università degli Studi di Palermo che è stato vagliato ieri, evidenziando “la preoccupazione concernente i rapporti che l’Università degli Studi di Palermo intrattiene con la Leonardo S.p.A., holding italiana il cui maggiore azionista è lo Stato italiano attraverso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che più di due anni fa ha fuso la sua controllata statunitense Leonardo DRS con Rada Electronic Industries, fornitore israeliano di avanzati radar tattici militari e altre tecnologie dual use, oggi diventata DRS RADA TECHNOLOGIES”. In seguito alla seduta straordinaria del Senato Accademico, i membri della delegazione sono usciti trionfanti da Palazzo Steri, dove si è tenuta l’assemblea: «È una giornata storica – hanno detto al megafono -. Si tratta di una piccola ma grande vittoria. Un passo avanti. Il traguardo, però, resta sempre la fine del genocidio, dell’occupazione sionista, la liberazione di tutti i prigionieri politici palestinesi e il ritorno dei profughi in Palestina». I contenuti del documento approvato saranno presentati in un’assemblea pubblica che si terrà il prossimo 19 giugno.

Nel frattempo, l’ondata di proteste dei movimenti studenteschi dilaga da mesi in tutto lo Stivale e non accenna a fermarsi. A Torino gli studenti continuano a insistere per ottenere uno spazio di confronto con gli organi accademici «dove discutere della desecretazione e rescissione di tutti gli accordi» tra le università italiane, Israele e le aziende belliche. La settimana scorsa, un gruppo di studenti pro-Palestina si è incatenato davanti al rettorato in via Po, nel centro cittadino. Nelle stesse ore era stato annunciato che, grazie alla spinta esercitata dai movimenti studenteschi, il prossimo 13 giugno sarà organizzata a Pisa una riunione congiunta di Senato Accademico e Cda, in diretta streaming, per esaminare e discutere degli accordi fra l’Università di Pisa e atenei israeliani. Seguendo l’esempio degli studenti americani pro-Palestina, decine di tende sono state piazzate dai ragazzi in protesta presso le sedi universitarie di molte città, tra cui Verona, Udine, Trieste, Forlì e Bari. Le proteste continuano anche a Roma: tre giorni fa sono sfociate in momenti di tensione e scontri tra le forze dell’ordine e i componenti del partecipatissimo corteo “contro il governo e Pro-Palestina” che si è snodato per le strade della Capitale.

[di Stefano Baudino]

In Italia stanno chiudendo quattro negozi ogni ora

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Solo nei primi tre mesi del 2024, in Italia sono scomparse circa 10mila imprese del commercio al dettaglio. È quanto emerge dall’ultima stima di Confesercenti, in cui si certifica che la media di negozi dissolti – tra chiusure e nuove aperture mancate – è di oltre quattro ogni ora. L’associazione ha evidenziato come alla galoppante crisi dei negozi corrisponda un aumento degli acquisti sul web, che secondo le proiezioni aumenteranno nel 2024 del +13%: le spedizioni ai clienti arriveranno a toccare quota 734 milioni, per una media di circa 84mila pacchi ogni ora. Il meccanismo non è però indolore per le casse dello Stato, dal momento che le piattaforme internazionali di eCommerce pagano sovente le imposte in altri Paesi. Così, in un solo decennio, il fisco italiano si è trovato a perdere oltre 5,2 miliardi di euro di tasse.

Nello specifico, tra gennaio e marzo 2024, nel territorio dello Stivale sono evaporati ben 9.828 negozi. 17.243 imprese del commercio al dettaglio hanno infatti abbassato definitivamente le serrande, mentre ad avere un enorme peso è la problematica della denatalità delle attività: nei primi tre mesi di quest’anno le nuove aperture sono state solo 7.414, mentre 10 anni fa erano più del doppio. A livello regionale, a registrare la perdita più consistente di negozi in termini assoluti è la Campania (-1.225), cui seguono Lombardia (-1.154) e Lazio (-1.063). Nel frattempo, si registra l’impennata degli acquisti online, cresciuti di circa dieci volte in nell’arco di poco più di dieci anni. Delle 734 consegne stimate nel corso dell’anno a livello nazionale, un terzo avverrà proprio in Lombardia (124 milioni), Lazio (71 milioni) e Campania (circa 70 milioni). Il tutto con grande nocumento per fisco centrale ed enti locali: del gettito andato in fumo, scrive Confesercenti, “il 17,4% – 910 milioni – sarebbe stato di IMU, il 12,6% – o 660 milioni di euro – di TARI, il 42,7% (2,24 miliardi) di Irpef”, oltre a “223 milioni (il 4,3%) di addizionale regionale e comunale Irpef, 700 milioni di euro di Irap (il 13,4%)” e “510 milioni di euro di altri tributi comunali (9,7% del totale)”.

I dati si pongono in continuità con quelli diramati lo scorso febbraio dall’Ufficio Studi di Confcommercio in collaborazione con il Centro Studi Guglielmo Tagliacarne all’interno dell’analisi “Demografia d’impresa nelle città italiane”. Nella ricerca si era attestato come in soli 11 anni, tra il 2012 e il 2023, in Italia siano scomparsi oltre 111mila negozi al dettaglio (un crollo del 20,25%) e 24mila attività di commercio ambulante. Una tendenza opposta era invece emersa per le attività di alloggio e ristorazione, che sono ben 9.800 in più. Ad ogni modo, in tutti i settori menzionati sono nettamente aumentate le imprese straniere, in crescita del 30,1%, mentre si sono progressivamente ridotte quelle italiane, che hanno fatto segnare un -8,4%. Dati che, in combinato disposto, non fanno che delineare in maniera chiara come le città italiane siano soggette in maniera sempre più significativa a una desertificazione commerciale e a un sempre più spedito processo di turistificazione, come dimostra il fatto che la riduzione delle attività commerciali risulti molto più accentuata, in ogni quadrante della Penisola, nei centri storici rispetto alle periferie.

[di Stefano Baudino]

Massacro a Gaza, raid in tutta la Striscia: decine di morti

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Continuano senza sosta gli attacchi israeliani in tutta la Striscia di Gaza. In 48 ore, a causa dei raid effettuati dall’IDF hanno perso la vita almeno 45 palestinesi. Si contano vittime nel campo profughi di Bureij, nel centro di Gaza, in un’abitazione nel quartiere Daraj di Gaza City, nel nord di Gaza, nonché tra gli abitanti del campo profughi di Nuseirat, nel centro di Gaza. Ci sono morti anche a Rafah, nel sud dell’enclave. Nel frattempo, il gruppo umanitario Oxfam in una nota denuncia che Israele sta rendendo «praticamente impossibile per le agenzie umanitarie raggiungere i civili intrappolati e affamati» a Gaza.

 

Sovrano e indipendente dagli USA: il Messico prosegue sulla strada tracciata da Obrador

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Con le ultime elezioni presidenziali in Messico, svoltesi il 2 giugno insieme a quelle per il rinnovo del Parlamento, i messicani hanno deciso di proseguire sulla strada tracciata dal presidente uscente Andrés Manuel López Obrador, orientata a perseguire una politica estera e nazionale sovrana e indipendente dagli Stati Uniti. Hanno votato, infatti, in maggioranza Claudia Sheinbaum, la candidata del suo partito di sinistra – il Movimento Rigenerazione Nazionale, meglio conosciuto con l’acronimo di Morena – destinata ad essere la prima presidente donna del Paese: secondo il conteggio rapido pubblicato dall’Istituto nazionale elettorale, Sheinbaum avrebbe registrato, infatti, un dato tra il 58,3% e il 60,7% dei voti, staccando di quasi trenta punti percentuali la sua principale rivale, Xóchitl Gálvez, che rappresenta una coalizione di partiti di centro e di centrodestra. Il candidato del Movimento Cittadino (MC) dell’opposizione, Jorge lvarez Maynez, si attesterebbe, invece, tra il 9.9 e il 10.8 per cento. La vittoria dell’esponente di Morena dovrebbe garantire la prosecuzione di una politica estera indipendente come quella che ha caratterizzato il Messico di Obrador, ispirato al progetto della Patria Grande hiberoamericana.

Il governo di Obrador è diventato un riferimento e un baluardo per  tutti i governi non allineati a Washington della regione: è stato, infatti, il grande alleato di Cuba, sotto sanzioni statunitensi, e l’“ancora di salvezza” di diversi presidenti sudamericani. Quest’anno, ad esempio, l’ambasciata messicana ha dato rifugio all’ex vicepresidente “correista” dell’Ecuador, Horge Glas, vittima di una persecuzione giudiziaria ordita dai poteri filoccidentali ecuadoriani. La vicenda ha suscitato clamore, in quanto il neopresidente di Quito, filo-occidentale e filo-americano, Daniel Noboa, ha violato il diritto internazionale ordinando ai suoi uomini di fare irruzione nell’ambasciata messicana, innescando così una grave crisi diplomatica. Allo stesso modo, quando in Perù il governo Castillo è stato rovesciato, nel dicembre 2022, da un golpe sostenuto dagli USA, il Messico di Obrador è stato il primo a rompere i rapporti diplomatici con Lima. Similmente, in Bolivia, dopo il golpe del 2019, quando i gruppi paramilitari di estrema destra hanno cominciato a perseguitare Evo Morales, a offrirgli riparo è stata sempre l’ambasciata messicana di La Paz. Segno di come, per la prima volta, il Messico si è reso protagonista di una politica di sovranità e indipendenza dagli USA mai verificatasi prima e che ci si aspetta verrà proseguita anche da Claudia Sheinbaum.

Ex sindaca di Città del Messico dal 2018 al 2023, fisica e ingegnere energetico, fin dalla sua entrata in politica nel 2000, la carriera di Sheinbaum è stata legata a quella di Obrador, tanto che alcuni analisti ritengono che il suo governo sarà caratterizzato dalla forte influenza dell’ex presidente, sebbene ciò sia negato da entrambi. Le principali sfide che dovrà affrontare la neopresidente riguardano un’economia che cresce ma non quanto sarebbe necessario, la violenza del narcotraffico, che negli ultimi anni con Obrador è aumentata, e l’immigrazione. Mentre, infatti, la politica del presidente uscente – che lascia dopo sei anni, con un indice di popolarità uguale o addirittura più alto di quando era stato eletto, nel 2018, col 53% dei voti – era riuscita a ridurre la povertà grazie ad una razionalizzazione delle risorse pubbliche e una lotta alla corruzione istituzionale dei partiti storici, non è riuscita a migliorare la sicurezza nelle periferie e nelle campagne né a contrastare il narcotraffico. La politica tracciata da Obrador – e che intende proseguire anche Sheinbaum – sintetizzata dallo slogan «Abbracci e non proiettili», ossia tesa a intervenire più sul piano sociale che non su quello dell’intervento armato contro i trafficanti – ha infatti fatto precipitare il Paese in un vortice di violenza. Nonostante ciò, la popolazione messicana ha scelto la candidata di Morena, la cui linea – anche su questo piano – si pone in continuità con quella di Obrador.

Ricercatrice ed esperta di ambiente e sviluppo sostenibile, nonché vincitrice del Premio Nobel per la Pace nel 2007, Sheinbaum da sindaca si è concentrata molto sulle questioni ecologiche e su una forte politica sociale, creando infrastrutture e distribuendo aiuti nei quartieri più poveri. Durante il suo mandato ha promosso importanti progetti come il Metrobús e il programma di riforestazione urbana. Come presidente del Messico, invece, ha garantito riforme economiche per rafforzare lo Stato sociale, lo sviluppo di una politica “sulle energie rinnovabili” e un impegno sul contrasto alla violenza, soprattutto contro le donne. Con la sua elezione, il Paese ha confermato di voler proseguire nel solco tracciato da Obrador, non solo per quanto riguarda gli aspetti di gestione interna della nazione, ma anche e soprattutto per la politica estera, sancendo il ruolo del Messico come riferimento e sostegno dei Paesi non allineati a Washington.

[di Giorgia Audiello]

A Bologna sarà possibile tenere un referendum sulla “città 30”

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Il Comitato dei garanti del comune di Bologna ha giudicato ammissibile la richiesta delle forze politiche di centro-destra di indire un referendum consultivo in merito al limite di velocità di 30 chilometri all’ora stabilito da gennaio dall’amministrazione di centro-sinistra nella maggior parte delle strade. Per dare concretezza all’azione i partiti dovranno raccogliere almeno 9mila firme nell’arco di circa tre mesi. Se riusciranno a farlo, il referendum potrà andare in scena già nei primi mesi del prossimo anno. In una nota, il sindaco PD di Bologna, Matteo Lepore, ha definito il possibile referendum «una bella e ulteriore occasione di partecipazione e di confronto».