venerdì 7 Marzo 2025
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Il Salento saluta Freddy, l’uomo che agli agi preferì la vita semplice e libera fronte mare

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freddy sannicola

Ferdinando Maramonte, conosciuto da tutti come Freddy, ha trascorso gli ultimi trent’anni della sua vita nella capanna che si era costruito sulle dune di Lido Conchiglie, vicino a Gallipoli, vivendo in armonia per primo con la natura e il mare, e poi con se stesso. La sua vita, segnata dalla scelta coraggiosa e controcorrente di non assecondare lobby e sistemi, è stata un esempio di autenticità e libertà. A 63 anni, la sua scomparsa dovuta probabilmente ad una polmonite ha lasciato l’intera comunità salentina in lutto, ma anche un’eredità che merita di essere condivisa.  

Originario di Sannicola, in provincia di Lecce, e cresciuto in una famiglia benestante, Freddy ha tutte le carte in regola per mettere in piedi un futuro di agio e successo. Dopo un diploma da ragioniere, negli anni ‘80 si iscrive alla facoltà di Economia e Commercio all’Università di Bari, intervallando gli studi con lunghi viaggi tra l’America del Nord e del Sud. È in quegli anni che qualcosa dentro di lui si rompe. O, probabilmente, comincia ad aggiustarsi. Di ritorno in Salento, Freddy decide di abbandonare tutto per dedicarsi a una vita semplice, lontano dalle convenzioni sociali, dagli obblighi e dagli schemi, trovando il suo rifugio sulla spiaggia di Lido Conchiglie. 

Viveva di pesca Freddy, e il suo approccio alla vita obbediva ad una sola regola: semplicità. Soprannominato “Loco” durante i suoi viaggi in America Latina, rifiutava le etichette e per questo rispondeva con un sorriso a chi lo additava come pazzo. «Mi chiamano pazzo perché non sono come loro», ci diceva. Dimostrando, ancora una volta, quella leggerezza di spirito che solo chi è in grado di liberarsi dai catenacci della società riesce a far uscire fuori.  

Una capanna sulla spiaggia, essenziale ma completa di tutto, era il suo regno, che condivideva con un amico a quattro zampe. Qui preparava il cibo con l’acqua del mare e lavava i vestiti, strofinandoli sempre con l’acqua, a riva. Poi, verso sera, puliva la spiaggia da rifiuti e cartacce, imprecando contro chi si era sentito in diritto di sporcarla in quel modo. Una vita con poco ma manchevole di niente – a chi gli suggeriva di chiedere il reddito di cittadinanza, Freddy rispondeva che lo avrebbe reso «schiavo di chi te lo dà», a cui si approcciava con gentilezza. Come gentili erano le parole che riservava a noi che lo avevamo conosciuto, o a chiunque gli rivolgesse un sorriso, uno sguardo, una domanda. 

La sua esistenza unica ha reso anche la sua scomparsa tale: la morte di Freddy lascia un vuoto nell’animo di chi l’ha conosciuto o di chi ha ascoltato la sua storia. Perché in fondo,  non era un uomo come gli altri. Era pazzo, sì, per aver scelto di vivere secondo i propri valori, incarnando una filosofia di vita a cui molti aspirano, senza mai avere il coraggio di avvicinarsi. Un’audacia che ha garantito a Freddy l’immortalità, custode di un messaggio di libertà e semplicità che rimarrà nel mare e nel vento di Lido Conchiglie, anche senza un corpo tramite cui esprimersi. 

[di Gloria Ferrari]

La nuova Commissione Europea: dall’economia a Israele, rimossa ogni voce critica

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Machiavelli sosteneva che la presenza di un aspro conflitto tra le idee e una forte critica delle decisioni fossero segnali attraverso cui valutare lo stato di salute di un’organizzazione. Quindi, oggi si troverebbe probabilmente a constatare lo stato di morte clinica della nuova Commissione Europea varata da Ursula von der Leyen per il suo secondo mandato. Dall’economia, alla condiscendenza verso il genocidio israeliano in Palestina, fino all’appoggio all’Ucraina che deve essere armato e incondizionato, la politica tedesca ha infatti scientificamente rimosso ogni voce critica all’interno dei ruoli apicali chiamati a governare Bruxelles per i prossimi cinque anni.

Quella che è stata presentata ieri, 17 settembre, sarà una squadra composta da 27 commissari: 16 uomini e 11 donne. Prima di entrare in carica, dovrà essere approvata dal Parlamento europeo. Visto che il primo quinquennio ha registrato diverse voci critiche nei confronti della linea generale adottata dall’esecutivo UE — si pensi alla presa di posizione di Josep Borrell nei confronti di Israele — von der Leyen è corsa ai ripari, epurando la sua squadra da ogni possibile posizione critica.

Ecco che a Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza nel von der Leyen I, è stata preferita Kaja Kallas, politica estone nota per i suoi rapporti tesi con Mosca, il sostegno al potenziamento militare dell’UE e una salda posizione filo-israeliana. Kallas incarna alla perfezione il doppiogiochismo europeo nei confronti della Palestina, poiché si limita a esprimere preoccupazione per la situazione umanitaria a Gaza senza però avanzare misure concrete per pretendere da Israele il rispetto del diritto internazionale. La politica estone ha più volte ribadito che Israele ha tutto il diritto di difendersi, limitandosi a vaghi richiami sulla necessità di tutelare la vita dei civili. Appelli dovuti, che portano la sua linea allo stesso punto di quella statunitense: supporto totale a Israele, con finte prese di distanza mediatiche in occasione degli atti più indifendibili dell’esercito di Tel Aviv.

Un atteggiamento che evidentemente piace a Ursula von der Leyen, più volte imbarazzata dalle dichiarazioni di Josep Borrell su Israele. Di recente, il politico spagnolo ha commentato l’invasione israeliana della Cisgiordania, accusando il governo Netanyahu di «volerla trasformare in una nuova Gaza». Il capo della diplomazia UE ha più volte sottolineato la necessità di un cessate il fuoco in Palestina, affermando che se l’accordo è saltato è «perché coloro che fanno la guerra non hanno interesse a farla finire. Quindi fingono. Sempre meno, perché la loro intransigenza è accompagnata da una totale impunità e le loro azioni non hanno conseguenze». La presa di posizione di Borrell ha fatto sì che Israele gli chiudesse le porte, rifiutando l’invito a un incontro a Tel Aviv. Lo Stato ebraico attende con ansia l’insediamento della nuova Commissione: «Senza Borrell, potremo continuare a lavorare insieme ai nostri numerosi amici nell’UE per riportare a casa gli ostaggi e sconfiggere Hamas, rafforzare e intensificare i legami, e promuovere ulteriori sanzioni contro l’Iran e l’asse del male dell’Islam estremista», ha dichiarato il ministro degli Esteri di Tel Aviv, Israel Katz.

Anche Thierry Breton, attuale commissario per il mercato interno, non farà parte del von der Leyen bis. Il politico francese ha denunciato l’esistenza di un accordo segreto tra Bruxelles e Parigi, che prevedeva il suo allontanamento in cambio di un «portafoglio più influente» per la Francia, ovvero l’incarico di commissario all’Industria, che sarà ricoperto – a meno di un rifiuto del Parlamento europeo – da Stéphane Séjourné. Breton ha accusato von der Leyen di perpetuare una leadership accentratrice e dubbia. Questo è stato l’ultimo tassello di una lunga serie di screzi interni, iniziati durante la pandemia, quando Breton assunse un ruolo rilevante nella definizione del piano relativo alla produzione e distribuzione di vaccini e mascherine all’interno del territorio comunitario.

Superata a fatica la fiducia per il secondo mandato, von der Leyen punta quindi a correggere i problemi della sua prima esperienza a capo della Commissione, rendendola il più possibile un corpo omogeneo e privo di increspature, con poche critiche nei confronti della linea politica ufficiale. Con buona pace di quel conflitto tanto caro a Machiavelli e, soprattutto, delle opinioni dei cittadini europei che – i sondaggi lo dimostrano – sulla fornitura di armi all’Ucraina e sul supporto al genocidio israeliano la pensano in maniera profondamente diversa.

[di Salvatore Toscano]

Sport, è morto l’ex campione Totò Schillaci

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Si è spento questa mattina Salvatore Schillaci, per tutti Totò, icona nel mondo dello sport e del calcio. Nato a Palermo nel 1964, Schillaci aveva giocato, tra le altre, per l’Inter, la Juve e la Nazionale – e proprio con la maglia azzurra fece sognare gli italiani durante le “notti magiche” di Italia ’90. Malato di tumore al colon, si era già sottoposto a due operazioni. Nonostante negli ultimi giorni i medici parlassero di un apparente miglioramento delle condizioni di salute, queste sono precipitate nelle ultime ore.

Cosa sappiamo del caso dei cercapersone esplosi tra le mani degli hezbollah

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Martedì 17 settembre, i cercapersone di molti dei miliziani di Hezbollah sono detonati all’unisono in Libano e in Siria, in quello che è stato identificato come un attacco hacker attribuito a Israele. I numeri in merito all’attentato sono ancora imprecisi e confusi, in continua crescita, tuttavia si parla correntemente di almeno nove morti e di più di 2.800 feriti. Tra coloro che sono stati colpiti, figura anche il console iraniano in Libano, Mojtaba Amini. Hezbollah ha giurato vendetta, annunciando che Israele subirà la “giusta punizione” per quanto accaduto.

Oltre a Hezbollah, a puntare il dito contro Tel Aviv è il Ministro libanese dell’Informazione, Ziad Makary, il quale ha classificato l’accaduto esplicitamente come “un’aggressione israeliana”. Tel Aviv, dal canto suo, non ha rivendicato la manovra, ma si è anche rifiutata di commentare, chiudendosi in un silenzio che non aiuta a fugare i naturali sospetti, soprattutto considerando che Israele ha una lunga storia di attentati e attacchi hacker perpetrati ben oltre le linee nemiche.

Le esplosioni sono state segnalate perlopiù nel sud del Libano, nei sobborghi di Beirut, e nella valle della Beqa’, tuttavia la testata Saberin News, affiliata ai Guardiani della rivoluzione iraniani, e l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani hanno segnalato la presenza di episodi anche all’interno dei territori siriani. Nella maggior parte dei casi, le vittime sono rimaste ferite alle mani, agli occhi e al volto, alcune gravemente, inoltre è stata registrata la morte di bambini. I medici di Sidone e di Beirut hanno lanciato un’improvvisata campagna di donazione del sangue, mentre il Primo Ministro libanese, Najib Mikati, ha chiesto al Ministro della Sanità, Firas Abiad, di interrompere ogni attività per mobilitare tutte le risorse disponibili al fine di curare il numero crescente di feriti che assiepa ormai gli ospedali.

Secondo Reuters, i miliziani di Hezbollah avevano iniziato a usare i cercapersone solamente da qualche mese. La soluzione low-tech sarebbe stata suggerita dal leader Hassan Nasrallah al fine di evitare che le comunicazioni telefoniche e i dati di geolocalizzazione degli smartphone potessero finire in possesso dell’intelligence israeliana. Il canale saudita Al Hadath conferma quanto riportato dall’agenzia di stampa britannica, suggerendo però che i cercapersone in questione siano troppo obsoleti per essere stati bersagliati della pirateria informatica, invocando la possibilità di una manomissione fisica progettata sul lungo periodo.

Un’altra opzione che viene ventilata è che gli apparecchi elettronici abbiano ricevuto un impulso energetico improvviso, comandato in remoto, il quale potrebbe aver causato un deflagrante sovraccarico della batteria. In questo caso, però, i device dovrebbero più che altro tendere a prendere fuoco, non a esplodere. Ciò su cui tutti concordano, è però che le tempistiche e la dimensione dell’episodio non possano essere declinate a una semplice fatalità, ma che sia presente l’orma di un intervento deliberato e consapevole.

A prescindere da modalità e responsabilità dell’attentato, i rapporti già tesi tra Israele e Libano si stanno rapidamente deteriorando. Hussein Khalil, ufficiale anziano dell’organizzazione paramilitare sciita, ha rimarcato pubblicamente che “non si tratta di aver bersagliato uno, due o tre persone, ma di aver colpito un’intera nazione”, un sentimento che, a questo punto, rischia di diffondersi a macchia d’olio. Da che Tel Aviv ha inviato le sue truppe in Palestina, il confine libanese è d’altronde al centro di schermaglie tra esercito israeliano e truppe di Hezbollah, scontri definiti come a “bassa intensità” che però durano ormai da undici mesi e che hanno mietuto centinaia di vittime.

[di Walter Ferri]

Cisgiordania, scontri e decine di arresti nella notte

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Durante la notte sono stati registrati scontri nei pressi della città di Nablus, nella Cisgiordania occupata, tra combattenti palestinesi e israeliani. I coloni, scortati da soldati, hanno infatti preso d’assalto il sito sacro della Tomba di Giuseppe per eseguire delle preghiere. Nelle prime ore di questa mattina, le forze armate israeliane hanno arrestato 22 palestinesi nella città di Salfit, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa palestinese Quds Network. Wafa riporta poi l’arresto di altri 14 palestinesi nel villaggio di Husan, a ovest di Betlemme, e di un uomo nel villaggio di Wadi Fukin.

Il Brasile sta sconfiggendo i minatori d’oro che minacciano gli indigeni Yanomami

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Il Brasile ha compiuto passi significativi nella lotta contro i minatori d’oro illegali che minacciano la popolazione indigena Yanomami. Questa comunità, tra le più isolate del Sud America, ha vissuto una grave crisi umanitaria causata dall’invasione di cercatori d’oro, che ha portato malattie e malnutrizione. Tuttavia, grazie all'intervento del Governo brasiliano, la situazione sta lentamente migliorando.
Nello specifico, per riportare alcuni dei dati raccolti dal Centro di Gestione e Operativo del Sistema di Protezione dell'Amazzonia (Censipam), tra marzo e agosto 2024 l'apertura di nuove ar...

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Il numero di crimini in Italia è tornato a salire dopo oltre 10 anni

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Dopo dieci anni, i reati denunciati nel nostro Paese sono tornati a salire. È quanto emerge dalla Classifica sui Tassi di Criminalità pubblicata da Sole 24 Ore, basata sui dati diramati dal dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno in riferimento al 2023. L’anno scorso, in Italia, sono infatti state registrate in tutto 2,34 milioni di denunce di reato, per una media di oltre 6mila episodi ogni 100mila abitanti. Maglie nere della speciale classifica sono sicuramente le città di Milano e Roma, nei cui municipi viene attestato complessivamente il 15% dei reati. A questo proposito, occorre però considerare che, nelle due metropoli, vive circa il 13% della popolazione italiana, e che si tratta di mete estremamente ambite per numero di visitatori annuali.

Il capoluogo lombardo si è confermato il centro con il maggior numero di reati denunciati nel 2023. Si contano, infatti, più di 230mila denunce totali, con 7.093 segnalazioni ogni 100mila abitanti. Milano rimane da anni in testa alla Classifica sui Tassi di Criminalità, ma quest’anno le denunce risultano in crescita del 4,9% rispetto alla fase pre-pandemica, con picchi di furti e rapine. La città meneghina è inoltre terza per violenze sessuali e quinta per reati legati alle sostanze stupefacenti. Al secondo posto c’è Roma, con 6.071 segnalazioni ogni 100mila abitanti, che vede un aumento dei furti (registrato un +17% su base annua e raggiunto il secondo posto in classifica per questo tipo di reato, con 3.465 denunce ogni 100mila abitanti) e delle rapine (+24%), confermando anche l’alto numero dei reati collegati agli stupefacenti e delle estorsioni. Sul gradino più basso del podio c’è Firenze, con una media di 6.053 denunce ogni 100mila abitanti, prima per numero di rapine, cresciute addirittura del 56% rispetto al 2022. Il capoluogo toscano si distingue anche per l’alto numero di furti, truffe e frodi informatiche, reati legati alle droghe e danneggiamenti. Tra le province con la più elevata incidenza di denunce depositate nel comune capoluogo rispetto all’area extra urbana figurano Trieste (87%), Prato (83%), Genova (81%) e Roma (80%).

Osservando la lista delle città più pericolose delineata dal report, troviamo poi che la quarta posizione è occupata da Rimini, seguita a ruota da Torino, Bologna, Prato, Imperia, Venezia e Livorno, che chiude la top ten. Tra le poche novità rispetto alle scorse annate, c’è l’uscita di Napoli dalla lista delle prime 10: la città partenopea scivola alla 12esima posizione, lasciando il nono posto a Venezia. Oltre a Milano, tra i grandi centri urbani che fanno segnare un forte incremento rispetto ai numeri del 2019, ci sono Roma (+ 16,7% dei reati denunciati) e Torino (+ 7,6%). In controtendenza rispetto alle città più grosse, a rivelarsi – almeno secondo il rapporto – come i centri più sicuri dello Stivale sono Oristano, Potenza e Treviso, che si posizionano in fondo alla classifica. A ogni modo, gli esperti sono concordi nel ritenere che i dati non possano configurare alcun allarme sociale. Infatti, se si considera la serie storica degli ultimi tre decenni – mettendo da parte, per ovvi motivi, gli anni della pandemia – si nota che, dopo il picco più basso di denunce registratosi nel 2019, i valori si stanno riposizionando sui livelli della fase 2016-2018. Che erano, comunque, estremamente più positivi rispetto a quelli di dieci o venti anni fa.

[di Stefano Baudino]

Medicina, lo studio: sfruttare caratteristica del cancro per nuove cure

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Un gruppo di ricercatori coordinati dal prof. Stefano Santaguida dell’Istituto Europeo di Oncologia ha scoperto che due classi di farmaci anticancro già in uso sono in grado di interferire con l’aneuploidia, ovvero la caratteristica genetica comune nelle cellule tumorali. Gli scienziati hanno individuato un nuovo approccio terapeutico applicabile in principio a diversi tipi di cancro e i risultati della ricerca sono stati pubblicati sulle prestigiose riviste scientifiche Nature Communications e Cancer Discovery. «Siamo fiduciosi che i nostri studi offriranno a breve nuove possibilità di cura per l’ampio gruppo di tumori aneuploidi», ha commentato il prof. Stefano Santaguida, coautore dello studio.

Libano, esplodono i cercapersone di Hezbollah: 8 morti e migliaia di feriti

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Centinaia di membri di Hezbollah, gruppo radicale libanese sostenuto dall’Iran, sono stati investiti dall’esplosione dei loro cercapersone in varie zone del Libano. L’agenzia di stampa statale libanese NNA ha reso noto che i dispositivi sarebbero stati fatti esplodere a distanza. Il ministro della Salute libanese ha dichiarato che, a causa degli attacchi, 8 persone sono state uccise e 2.750 ferite. Citando fonti anonime degli Hezbollah, i media libanesi hanno comunicato che si tratterebbe di un attacco hacker israeliano. Decine di ambulanze stanno intervenendo a Beirut e varie altre zone del Paese. Molti ospedali stanno chiedendo agli abitanti di donare il sangue per aiutare i feriti.

Meta ha messo al bando i media russi per atti di “interferenza straniera”

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La società Meta ha bandito RT, il gruppo mediatico che include Sputnik, RIA Novosti, inoSMI e altre reti di media statali russi, accusandoli di «attività di interferenza straniera». Lo ha dichiarato l’azienda di Mark Zuckerberg alla stampa, sostenendo che tali organi d’informazione avrebbero utilizzato tattiche ingannevoli per “amplificare la propaganda di Mosca”. Il provvedimento segue una serie di restrizioni già introdotte dal 2020 e accentuate ulteriormente dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina, e arriva pochi giorni dopo le sanzioni annunciate dal Dipartimento di Stato americano, il quale ha accusato alcuni media russi di diffondere disinformazione e raccogliere fondi per finanziare attrezzature belliche utilizzate a Kiev. D’altra parte, Meta non ha ancora risposto alle richieste di chiarimento da parte della Tass, mentre Dmitri Peskov, portavoce di Putin, ha definito «inaccettabili» le azioni selettive contro i media russi.

Meta, che possiede Facebook, WhatsApp e Instagram, ha dichiarato che il divieto sarà effettivo nei prossimi giorni, aggiungendo: «Dopo un’attenta riflessione, abbiamo esteso il nostro blocco contro i media statali russi: Rossiya Segodnya, RT e altre entità collegate sono ora bandite dalle nostre app a livello globale per attività di interferenza straniera». Dall’altro lato, Peskov ha commentato: «Con queste azioni, Meta sta screditando se stessa. Questo atteggiamento complica ulteriormente le prospettive di normalizzazione dei rapporti con Meta», mentre Margarita Simonyan, la caporedattrice di RT ha reagito ironicamente, affermando: «Davvero? Avete finito gli specchi?».

Il provvedimento segue le limitazioni già imposte dal 2020 e ulteriormente accentuate dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina, le quali hanno previsto, rispettivamente, l’etichettatura dei post pubblicati dalle piattaforme e successivamente lo shadowban che ha relegato i contenuti pubblicati nelle sezioni inferiori dei feed degli utenti. Limitazioni a cui Mosca aveva reagito designando Meta come “gruppo estremista” e bloccando Facebook e Instagram nel territorio russo.

Inoltre, la decisione arriva proprio pochi giorni dopo che il Dipartimento di Stato americano ha annunciato nuove sanzioni contro i media statali russi: «RT vuole che le sue nuove capacità di intelligence segrete, come i suoi sforzi di disinformazione propagandistica di lunga data, rimangano nascoste. Il nostro antidoto più potente alle bugie della Russia è la verità. Sta gettando una luce brillante su ciò che il Cremlino sta cercando di fare sotto la copertura dell’oscurità», ha dichiarato il Segretario di Stato Antony Blinken. Inoltre, secondo i funzionari statunitensi alcuni organi di informazione di Mosca avrebbero avviato iniziative di crowd-sourcing per raccogliere fondi destinati all’acquisto di armi, apparecchiature per la visione notturna, droni, radio e generatori destinati alla Russia, avrebbero gestito un sistema di acquisto di voti in Moldavia e avrebbero pagato alcuni influencer per la creazione di contenuti. Tutte accuse che sarebbero «un’assurdità» secondo Peskov e secondo la portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, che ha commentato: «Penso che negli Stati Uniti dovrebbe apparire una nuova professione: uno specialista delle sanzioni già imposte alla Russia».

[di Roberto Demaio]