Il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato un aumento di 6,5 miliardi nelle spese militari nei prossimi due anni. Parte di questi fondi, ha spiegato, intendono rafforzare il contributo del Paese all’Ucraina. Macron ha inoltre lanciato un appello per aumentare la collaborazione su scala europea. Da quanto riporta il presidente francese, con tale aumento, la Francia punterà a spendere 64 miliardi all’anno in spese militari entro il 2027. L’annuncio si colloca sulla scia delle discussioni sul tema del riarmo che da mesi interessano l’Unione Europea; recentemente la NATO ha approvato un aumento delle spese militari al 5% del PIL annuo entro il 2035.
La Commissione Europea lancia la nuova strategia per le emergenze sanitarie
Con la consueta retorica tecnocratica del “prevenire è meglio che curare”, la Commissione Europea ha annunciato due nuove strategie nell’ambito dell’«Unione della preparazione», focalizzate sulla costituzione di scorte strategiche e sulle contromisure mediche per rafforzare la preparazione alle crisi e la sicurezza sanitaria, sulla base delle raccomandazioni della relazione Niinistö. Dietro il lessico rassicurante della governance e dell’efficienza operativa, della «resilienza», delle «strategie coordinate» e delle «iniziative solidali», si nasconde un impianto burocratico di gestione centralizzata che sembra voler cristallizzare lo stato d’eccezione come prassi ordinaria, normalizzando un paradigma securitario e bio-amministrativo che prescinde ormai da reali minacce, per perpetuare uno stato di mobilitazione permanente basato sulla teoria dello shock.
Nel dettaglio, la strategia di costituzione di scorte prevede la creazione di una rete europea per monitorare e gestire beni essenziali come cibo, acqua, medicinali, carburanti. Le azioni chiave mirano a «salvaguardare gli approvvigionamenti essenziali prima delle crisi» e si focalizzano sull’istituzione di una rete dell’UE, sul coordinamento degli stock con gli Stati membri, sul miglioramento dei trasporti e della logistica per una risposta rapida alle crisi, sull’ampliamento delle scorte a livello dell’UE con il sostegno di iniziative come rescEU, e sulla promozione di partenariati civili-militari, pubblico-privati e internazionali per massimizzare l’uso delle risorse in modo efficiente e puntuale.
In apparenza, nulla di strano: la logica dello stoccaggio può sembrare ragionevole, ma il problema è che la crisi viene evocata come giustificazione costante per concentrare potere, centralizzare le decisioni e marginalizzare le autonomie nazionali. L’intero impianto è volutamente opaco e si affida a partenariati non solo civili-militari, ma anche pubblico-privati che, come già visto nel caso dei vaccini Covid, servono a trasferire denaro pubblico nelle mani di colossi farmaceutici e infrastrutturali, legittimando profitti colossali sulla pelle dei contribuenti.
Con la seconda iniziativa, l’UE intende predisporre una serie di «contromisure mediche» – promuovere i vaccini antinfluenzali di prossima generazione, nuovi antibiotici per contrastare la resistenza antimicrobica, antivirali per le malattie trasmesse da vettori, dispositivi di protezione, rafforzare la cooperazione globale e la collaborazione intersettoriale, elaborare un elenco dell’UE di contromisure mediche prioritarie, migliorare l’accesso ai medicinali e la loro diffusione attraverso appalti congiunti.
La Commissione annuncia inoltre l’accelerazione del programma HERA Invest, il braccio biotecnologico dell’UE, e il rafforzamento della EU FAB, la “capacità calda” di produzione di vaccini pronta all’uso. In pratica, si istituzionalizza un complesso bio-industriale che alimenta se stesso, producendo soluzioni per problemi che contribuisce a creare o ad amplificare, per spaventare l’opinione pubblica e legittimare misure draconiane.
Tra i bersagli? Le solite minacce: dai virus respiratori e da contatto a rischio pandemico, come il Covid-19, alle zoonosi come l’influenza aviaria, fino alle malattie emergenti e riemergenti come l’Ebola, arrivando alla famigerata “Malattia X”, un’entità fittizia creata dall’OMS, funzionale a giustificare una sorveglianza sanitaria continua e l’espansione illimitata del biopotere.
Siamo di fronte a un modello di governance che sfrutta il rischio ipotetico per modellare la realtà. Si crea il nemico invisibile – un virus ancora sconosciuto – per legittimare spese miliardarie, restrizioni dei diritti fondamentali e l’avanzata di un nuovo Leviatano tecno-sanitario, sempre più simile a un ibrido tra Big Pharma, NATO e OMS.
È impossibile leggere queste strategie senza richiamare alla mente il Trattato Pandemico globale dell’OMS, ancora in fase di finalizzazione. Entrambe le iniziative europee si inseriscono nel solco di quell’accordo, che prevede la creazione di un sistema integrato di biosorveglianza globale basato su intelligenza artificiale, test di massa e raccolta di dati biometrici. Anche in questo caso, non si parla mai apertamente di consenso democratico o di diritti dei cittadini, ma solo di «scalabilità», «efficienza» e «resilienza».
E proprio il termine “resilienza” è il leitmotiv abusato da Hadja Lahbib, Commissaria per la Parità e per la Preparazione e gestione delle crisi, che per commentare le nuove misure varate dall’UE ha spiegato che «rafforzando la nostra preparazione e resilienza», l’obiettivo è «affrontare le sfide future con fiducia». Lahbib divenne nota quando pubblicò un assurdo video dal titolo What’s in my bag? Survival edition, in cui mostrava gli oggetti da avere sempre con sé in caso di “crisi”, inclusi i vituperati contanti, per sopravvivere almeno 72 ore.
Bruxelles formalizza così il passaggio dall’eccezione alla regola: lo stato di crisi non è più un’eccezione, ma la nuova normalità, alimentata da paura, emergenze e terrorismo mediatico. Come ogni architettura autoritaria che si rispetti, anche questa si regge su un pilastro imprescindibile: la paura.
Si tratta dell’ennesima tappa in un processo più ampio: la costruzione di un’infrastruttura normativa, logistica e ideologica finalizzata a centralizzare il potere e a consolidare un controllo preventivo su popolazioni sempre più medicalizzate e sempre meno sovrane, nel quadro di un capitalismo emergenziale che monetizza la crisi e istituzionalizza la paura.
Il terrore sanitario è l’elemento fondante del nuovo ordine europeo: un’ansia diffusa e coltivata ad arte, utile per mantenere alto il livello di allerta e basso il livello del dibattito pubblico. Ogni emergenza è buona per giustificare nuove deroghe, nuove misure eccezionali, nuovi dispositivi di controllo.
Il governo italiano continua a tacere sulla persecuzione contro Francesca Albanese
Dopo l’annuncio delle sanzioni statunitensi contro la Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, il mondo ha reagito con una generale condanna alle misure degli Stati Uniti; eppure, di fonte al coro di voci che si sono schierate al fianco di Albanese, ce n’è una – la più importante – che non si è ancora fatta sentire: quella del governo del Paese della quale la relatrice ONU è cittadina, l’Italia. Quando la Corte Penale Internazionale rilasciò il mandato d’arresto contro Netanyahu, Salvini disse che il primo ministro israeliano sarebbe stato il «benvenuto in Italia», e Tajani rigettò l’ordine della Corte liquidando le richieste di esecuzione del mandato come «irrealizzabili». Oggi, tuttavia, quello stesso governo che sui concetti di patria e di orgoglio nazionale ha costruito la propria identità politica tace di fronte alla persecuzione di una propria illustre cittadina che, ricoprendo un importante incarico internazionale, si sta battendo per il rispetto dei diritti umani in Palestina. Davanti alle restrizioni ad Albanese imposte dagli USA sulla base di accuse pescate alla rinfusa dal bagaglio della retorica filo-israeliana, il governo del “prima gli italiani” non sembra avere nulla da ridire, e preferisce, anzi, non interferire con le politiche degli alleati statunitense e israeliano.
È un silenzio assordante quello italiano sulla questione delle sanzioni a Francesca Albanese. La misura era stata annunciata lo scorso 9 luglio, e include diverse limitazioni, come il divieto di ingresso negli Stati Uniti, il congelamento dei beni e l’impossibilità di ricevere fondi e donazioni da aziende statunitensi. A favore di Albanese si sono sollevate voci provenienti da tutte le sfere della società: diversi relatori ONU hanno condannato le sanzioni definendole «pericolose e inaccettabili», e chiedendo che venissero revocate; a loro hanno fatto eco capi di uffici delle Nazioni Unite, come l’Alto Commissario per gli Affari Umanitari, Volker Türk; diverse ONG, come Amnesty e Human Rights Watch, hanno definito l’attacco ad Albanese «vergognoso» e chiesto agli Stati di prendere misure per respingere «vigorosamente» le sanzioni; la stessa società civile si è mobilitata, facendo fioccare petizioni sulla piattaforma change.org per chiedere al governo italiano di prendere posizione. Sul fronte politico, seppur timidamente, si è mossa persino l’UE, che per bocca del portavoce Anouar El Anouni ha «espresso rammarico» per la decisione di imporre sanzioni ad Albanese, e riaffermato il proprio sostegno al sistema ONU per i diritti umani.
Insomma, tra società civile, ONG, politica, istituzioni e uffici internazionali hanno parlato tutti. Manca solo il governo italiano. Quello stesso governo che, lo scorso novembre, giudicava la scelta di emettere mandati d’arresto contro Netanyahu e il suo ministro Gallant «sbagliata», e che addirittura per voce del ministro Salvini invitava un criminale di guerra nel Paese. Meloni, forte del suo ideale di “difesa dell’italianità”, si è sempre messa di punta davanti le accuse di razzismo contro i propri cittadini: era successo l’anno scorso, quando la Commissione Europea contro il Razzismo e l’Inclusione accusava le forze dell’ordine e la politica italiana di portare avanti pratiche di profilazione razziale: «Le nostre Forze dell’Ordine sono composte da uomini e donne che, ogni giorno, lavorano con dedizione e abnegazione per garantire la sicurezza di tutti i cittadini, senza distinzioni. Meritano rispetto, non simili ingiurie», diceva allora la premier.
Sulle accuse di antisemitismo che gli USA hanno ripetutamente lanciato contro Albanese, invece, il governo non ha mai speso una parola. Eppure queste non sono mai state corredate da rapporti, e, anzi, hanno sempre puntato il dito contro la mera attività della Relatrice italiana. Quando ne chiedevano l’estromissione dall’ONU, gli USA accusavano Albanese di un «virulento antisemitismo», sostenendo che esso emergesse dalle sue richieste di fare rispondere Israele delle proprie azioni in Palestina. Una definizione quanto meno curiosa del termine, visto che l’antisemitismo si identifica con l’odio razziale nei confronti degli ebrei, e non nelle critiche documentate a uno Stato che sta compiendo crimini contro l’umanità. Le sanzioni degli Stati Uniti ad Albanese, e come prima di esse le accuse e i tentativi di boicottarne il lavoro, si configurano come una vera e propria intimidazione, da parte di uno Stato i cui interessi vengono costantemente minati dalla attività della relatrice. È il caso del suo ultimo rapporto, in cui Albanese esplora «i meccanismi aziendali che sostengono il progetto coloniale israeliano», citando proprio decine di realtà statunitensi.
Violenze in Siria: 30 persone uccise
Continuano le violenze settarie in Siria, dove negli ultimi giorni sono state uccise almeno 30 persone, e altre 100 sono rimaste ferite. La notizia è stata data nelle prime ore della mattina di oggi, lunedì 14 luglio, dal ministero degli Interni siriano, che ha parlato di scontri nella città siriana di Sweida, a maggioranza drusa. Secondo testimoni locali, gli scontri sarebbero scoppiati lo scorso venerdì a causa di una ondata di rapimenti, tra cui quello di un mercante druso. Gli scontri si sarebbero concentrati nel quartiere di Maqwas a est di Sweida, abitato da tribù beduine, che sarebbe stato circondato da gruppi armati drusi e successivamente conquistato.
La Francia riconoscerà la Nuova Caledonia
In una svolta definita «storica», il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato che riconoscerà la Nuova Caledonia come Stato autonomo, ma che il territorio rimarrà possedimento francese. L’accordo prevede la creazione di uno Stato di Caledonia che potrà essere riconosciuto dagli altri Paesi, ma che non avrà un posto nelle Nazioni Unite. Il documento riconosce la nascita di una nazionalità caledoniana accanto a quella francese. Esso deve essere ancora approvato dalla stessa Nuova Caledonia, che potrebbe farlo votare ai propri cittadini il prossimo anno. L’accordo segue le violente proteste del 2024, scoppiate contro delle riforme elettorali proposte dalla Francia e presto allargatesi alla questione dell’indipendenza del territorio.
Siria, accordo da 800 milioni con DP World
L’Autorità generale siriana per i porti terrestri e marittimi ha firmato un accordo da 800 milioni di dollari con DP World, multinazionale della logistica con sede negli Emirati Arabi Uniti. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa statale siriana SANA, l’accordo è teso a rafforzare le infrastrutture portuali e i servizi logistici siriani; esso fa seguito a un memorandum d’intesa firmato tra le due parti a maggio. Con tale accordo la Siria vuole sviluppare un terminal multifunzionale nella città costiera di Tartus, e instaurare zone industriali e di libero scambio.
Regno Unito: 86 persone arrestate per supporto a Palestine Action
La polizia britannica ha arrestato 86 sostenitori del gruppo di attivisti Palestine Action, recentemente messo al bando per terrorismo. Nella sola giornata di ieri, sabato 12 luglio, a Londra, sono avvenuti 41 arresti; questi seguono i 29 arresti della scorsa settimana, effettuati poco dopo la messa al bando del gruppo. Altri 16 manifestanti sono stati arrestati a Manchester. Palestine Action è un gruppo di attivisti per la Palestina noto per le sue azioni di sabotaggio contro le aziende che collaborano con Israele; i legislatori britannici lo hanno inserito nei gruppi terroristici del Paese dopo che alcuni suoi membri hanno fatto irruzione in un base della Royal Air Force e danneggiato alcuni aerei.








