Gli attivisti filo-palestinesi di Palestine Action hanno fatto irruzione in una base della Royal Air Force nell’Inghilterra centrale, danneggiando e imbrattando due aerei utilizzati per il rifornimento e il trasporto. La notizia arriva dalla stessa Palestine action che ha condiviso un video dell’azione sui propri canali social. Da quanto comunica il gruppo, due attivisti sono entrati nella base di Brize Norton, nell’Oxfordshire, imbrattando di vernice i motori degli aerei e danneggiandoli ulteriormente con dei piedi di porco. Qualche ora dopo, a Manchester, altri membri del gruppo hanno ricoperto di vernice le sedi dell’azienda tecnologica CDW e della compagnia assicurativa Allianz, che collaborano con l’azienda bellica israeliana Elbit.
Congo, crollo in una miniera di coltan: 12 morti
Los Angeles, Corte d’Appello: Trump può schierare Guardia Nazionale
La Corte d’Appello del Nono Circuito degli USA ha autorizzato Donald Trump a mantenere il controllo della Guardia Nazionale a Los Angeles, respingendo il ricorso del governatore Gavin Newsom. La decisione ribalta la precedente sentenza di un tribunale inferiore, legittimando l’intervento federale in occasione delle proteste contro le politiche migratorie, nonostante l’assenza di preavviso al governatore. I giudici hanno ritenuto «sufficienti» le prove fornite dall’amministrazione, citando i rischi per agenti e strutture federali. Newsom ha criticato il verdetto come un colpo alla sovranità statale, ma ha apprezzato il riconoscimento della necessità di controllo giudiziario sulle azioni presidenziali.
Come i media celebrano gli attacchi israeliani all’Iran come una lotta contro il “male”
C’era una volta la fiaba dell’aggressore e dell’aggredito. C’era una volta il principio basilare del giornalismo: riportare i fatti, verificarli, contestualizzarli. Questo avveniva in illo tempore, prima che la deontologia si schiantasse contro il muro dell’ideologia. Oggi la stampa italiana ha archiviato anche l’ultimo brandello di decenza professionale, per trasformarsi in un megafono entusiasta della guerra preventiva di Israele contro l’Iran, avallando la retorica bellicista di Tel Aviv come se stesse raccontando la finale di Champions League.
Vediamo velocemente alcuni esempi:
- Bombe democratiche. Israele attacca l’Iran. Guerra al male. Un avvertimento ai regimi in nome della democrazia (Il Giornale, 14 giugno 2025);
- Guerra inevitabile: Israele si difende e fa il lavoro sporco anche per noi (Il Giornale, 15 giugno);
- Liberaci dal male e Guerra Iran-Israele ‘durerà almeno due settimane’: Netanyahu stronca la spina dorsale del regime di Khamenei (Il Riformista, 14 giugno);
- Uccidere Khamenei. Netanyahu: ‘Abbiamo il controllo dei cieli, senza l’ayatollah la guerra finisce’ (Repubblica, versione cartacea, 18 giugno 2025);
- Finalmente! L’Iran delle belve sta per cadere! (Libero, versione cartacea, 18 giugno).
E si potrebbe continuare all’infinito. Basta una veloce carrellata per osservare come in questi giorni i quotidiani italiani abbiano archiviato ogni parvenza di obiettività e si siano accodati, come megafoni di guerra, alle voci politiche, abbracciando la causa dell’aggressore (Israele), per deprecare, se non addirittura plaudire, alla malasorte dell’aggredito (l’Iran).
Presentando le azioni militari “preventive” di Tel Aviv come una missione di liberazione morale e politica, i mezzi di (dis)informazione di massa giustificano il conflitto e auspicano apertamente l’intervento americano e il cambio di regime iraniano. La narrazione è ormai talmente smaccata da far impallidire perfino i manuali di propaganda bellica: Israele agisce “per difesa preventiva” contro un Iran demonizzato a uso e consumo di un pubblico infantilizzato, da anni nutrito a suon di slogan sulla fantomatica “minaccia nucleare iraniana” – una minaccia, per inciso, smentita persino dall’intelligence americana e dall’AIEA.
Ma la verifica delle fonti è roba da vecchi cronisti: oggi vige la cronaca a tifo sfrenato, che ribalta la realtà se questa osa non accordarsi ai desiderata di Tel Aviv e dei suoi menestrelli.
Pensiamo a la Repubblica: «Uccidere Khamenei». Titolo da prima pagina, degno di un manifesto bellico, non di un quotidiano che pretende ancora di essere autorevole. In un’Italia dove il giornalismo è ormai ancella della geopolitica occidentale, la testata sdogana l’idea dell’omicidio mirato di un Capo di Stato come se fosse il gol della vittoria ai supplementari.
Nel sottotitolo: «Abbiamo il controllo dei cieli, senza l’Ayatollah la guerra finisce» – parole di Netanyahu, riprese senza contraddittorio, senza contestualizzazione, senza il minimo sforzo di problematizzazione. Anzi, con una compiacenza che gronda ammirazione per la presunta onnipotenza israeliana.
La violenza verbale nel trattare il conflitto tra Israele e Iran si riverbera in quasi tutte le testate mainstream, come se fossero l’appendice di un giornale unico. Veniamo così al giornalismo da curva sud.
Libero, per esempio, usa un linguaggio emotivo e polarizzante, descrivendo l’Iran come un regime brutale (“belve”) e celebrando la sua presunta caduta come un risultato positivo delle azioni israeliane. Il quotidiano presenta il conflitto in maniera manichea, come una lotta tra il bene (Israele) e il male (Iran), finendo per esultare come un hooligan: finalmente, le “belve” iraniane stanno per essere annientate.
Niente analisi geopolitica, niente domande su cause, conseguenze, legittimità, diritto internazionale: solo giubilo tribale. Il messaggio è netto: Israele bombarda? Bene. Più bombe, più morti, più “liberazione”.
Lo stesso approccio viene usato a più riprese da il Riformista, che il 14 giugno 2025, nel pezzo Liberaci dal male, descrive gli attacchi israeliani come «attacchi chirurgici» contro il «regime sanguinario degli ayatollah, i lapidatori di donne col velo messo male». L’articolo sposa acriticamente la versione di Netanyahu e sottolinea che Israele starebbe agendo per il bene comune, liberando l’Iran da un regime oppressivo.
Non poteva mancare alla carrellata Il Foglio: La prima resa necessaria: gli utili idioti degli ayatollah(18 giugno), dove si invoca apertamente l’intervento dei bombardieri americani.
Dello stesso tono è Il Giornale che, in un’intervista di Stefano Zurlo (Guerra inevitabile. Israele si difende e fa il lavoro sporco anche per noi), presenta il giornalista Pigi Battista mentre difende le ragioni di Israele, usando il registro dell’empatia e del pietismo: «Teheran vuole l’atomica per distruggere l’entità sionista. Cosa dovrebbero fare gli ebrei, aspettare di essere sterminati?».E, intanto, a essere sterminati sono la logica e i civili iraniani. Il giorno prima è Alessandro Sallusti, sempre dalle colonne de Il Giornale, a parlare esplicitamente di «guerra al male» e di «bombe democratiche», celebrando la superiorità morale di Israele e i suoi attacchi come una lotta contro il “male” rappresentato dal regime iraniano. Le bombe diventano così “democratiche” e fungono da monito ai regimi autoritari. Orwell, scansati. Quella che una volta era chiamata “informazione” oggi assomiglia a un bollettino trionfalistico. Nessuna analisi sui motivi reali dell’attacco israeliano; nessuna discussione sulla legalità delle operazioni preventive; nessuna voce critica sul rischio che l’escalation degeneri in una guerra su larga scala in Medio Oriente. I giornali italiani sembrano funzionare come terminali secondari del portavoce IDF. L’Iran, che sta reagendo agli attacchi e non li ha avviati, viene ridotto a caricatura del Male Assoluto, pronto a essere sacrificato nel nome della “liberazione” occidentale.
La stampa, piegata e servile, recita il suo ruolo con zelo imbarazzante. Così l’Italia assiste, impotente e ormai assuefatta, allo smantellamento del giornalismo critico. La regola aurea è semplice: Israele ha sempre ragione. Chi osa dissentire viene tacciato di “antisemitismo”. E così, mentre i missili piovono su Teheran e il rischio di un conflitto mondiale si fa sempre più concreto, i nostri quotidiani sfornano titoli urlati, moralismi puerili e una totale, desolante assenza di pudore. Il quarto potere? Sepolto sotto le macerie dell’autocensura, della pavidità e della propaganda di guerra.
Depistaggi nel processo Cucchi: confermata la condanna per due carabinieri
Si è risolto in due condanne e tre assoluzioni il processo della Corte d’Appello di Roma per il caso Cucchi, geometra romano morto a 31 anni, il 22 ottobre 2009, in seguito a un violento pestaggio mentre si trovava in custodia cautelare. Nell’ambito dell’indagine per depistaggio, i giudici hanno confermato la condanna a un anno e tre mesi per il colonnello dei carabinieri Lorenzo Sabatino e quella a due anni e mezzo per Luca De Cianni. Assolti invece Massimiliano Colombo Labriola e Tiziano Testarmata, i quali erano stati condannati in primo grado a un anno e nove mesi, mentre è stata abbassata a dieci mesi la pena a Francesco di Sano. Il tribunale ha inoltre riconosciuto la prescrizione per i reati contestati ad altri tre carabinieri.
La sentenza di secondo grado ha accolto in parte le richieste della procura generale. Nello specifico, i pm avevano sollecitato l’assoluzione di Sabatino, Francesco Di Sano e Tiziano Testarmata «perché il fatto non costituisce reato», la prescrizione per Alessandro Casarsa, Francesco Cavallo e Luciano Soligo, e la conferma delle condanne per Massimiliano Colombo Labriola e De Cianni. Le accuse a vario titolo riguardano reati come falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia. L’inchiesta ha portato alla luce un’azione sistematica finalizzata a ostacolare l’accertamento della verità e proteggere le responsabilità interne all’Arma. In primo grado, nel procedimento nato dall’inchiesta del pubblico ministero Giovanni Musarò, il 7 aprile 2022 erano stati condannati in primo grado tutti gli otto carabinieri imputati. «L’ampia istruttoria dibattimentale ha permesso di ricostruire i fatti contestati e di accertare un’attività di sviamento posta in essere nell’immediatezza della morte di Stefano Cucchi, volta, ad allontanare i sospetti che ricadevano sui carabinieri per evitare le possibili ricadute sul vertice di comando del territorio capitolino», aveva messo nero su bianco il giudice monocratico Roberto Nespeca nelle motivazioni del verdetto.
La conferma delle condanne ha suscitato reazioni forti. Ilaria Cucchi, sorella di Stefano e senatrice di Alleanza Verdi e Sinistra, ha espresso la propria soddisfazione per l’esito della sentenza. «Abbiamo lottato duramente per arrivare alla verità, contro tutto e tutti, eravamo ignari di tutto quello che avremmo dovuto affrontare. Era assolutamente inimmaginabile – ha scritto in un comunicato -. Quelli della scala gerarchica sono stati veramente bravi. Sono stati scoperti soltanto quasi dieci anni dopo mentre noi avevamo girato a vuoto nelle aule di giustizia rimediando sconfitte su sconfitte per almeno sei anni. Sono stati così bravi che, alla fine, molti di loro hanno rimediato la prescrizione e chi, improvvidamente, l’ha rinunciata, si è ritrovato oggi condannato». I legali di Riccardo Casamassima, l’appuntato dei carabinieri che con le sue dichiarazioni ha permesso la riapertura dell’indagine, hanno commentato: «La conferma della sentenza di condanna di De Cianni ce la aspettavamo. La Corte di Appello ha ribadito una volta di più che Riccardo Casamassima è stato vittima di calunnia e di falso, così ulteriormente confermando, ma a questo punto non c’era alcun dubbio, che Casamassima, come la moglie Maria Rosati, sentito nel processo Cucchi bis disse nient’altro che la verità».
Stefano Cucchi fu fermato con in tasca 21 grammi di hashish il 15 ottobre 2009. Solo una settimana dopo, il 22 ottobre, il giovane morì all’ospedale Sandro Pertini, con il corpo martoriato da una violenta scarica di botte. In seguito ad anni di silenzi e depistaggi, si è potuto celebrare un processo che ha visto imputati i membri delle forze dell’ordine che si macchiarono del delitto. Nell’aprile del 2022 è stata pronunciata la condanna definitiva a 12 anni di carcere per omicidio preterintenzionale nei confronti dei carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele d’Alessandro, mentre per i loro complici Roberto Mandolini e Francesco Tedesco è stato disposto un nuovo processo. Dopo essere stati condannati a 3 anni e 6 mesi e 2 anni e 4 mesi dalla Corte d’Assise d’appello di Roma nel luglio del 2022, poiché giudicati come colpevoli della falsificazione del verbale di arresto di Cucchi, nell’ottobre 2023 la Cassazione ha dichiarato per loro la prescrizione.
Messico, uragano Erick si abbatte sulla costa: 2 morti e molti danni
L’uragano Erick ha colpito la costa pacifica meridionale del Messico come un ciclone di 3ª categoria. La zona colpita, tra Acapulco e Puerto Escondido, è poco popolata, ma si registrano due vittime: un bambino annegato a San Marcos e un uomo folgorato a San Pedro Pochutla. Le autorità hanno segnalato frane, interruzioni stradali, linee elettriche abbattute e allagamenti diffusi. Erick ha mostrato una rapida intensificazione, fenomeno sempre più frequente e difficile da prevedere, come già avvenuto con l’uragano Otis nel 2023. Le piogge, fino a 40 cm, hanno colpito soprattutto Oaxaca e Guerrero, aggravando il rischio di smottamenti e colate detritiche.
Tragedia del Mottarone, riformulati i capi d’imputazione
Prima svolta nel nuovo processo per la tragedia del Mottarone, durante la prima udienza preliminare-bis al Tribunale di Verbania. I legali degli imputati hanno nuovamente contestato la formulazione dei capi d’imputazione. Il nuovo giudice, Gianni Macchioni, ha chiesto alla Procura di modificarli: il pubblico ministero ha accolto la richiesta, eliminando l’ipotesi dolosa legata alla caduta della cabina. Resta però l’accusa dolosa per l’attentato alla sicurezza dei trasporti nei 15 giorni precedenti l’incidente, quando le cabine 3 e 4 circolavano con i forchettoni inseriti, disattivando i freni d’emergenza. I parenti delle vittime hanno espresso delusione.








