venerdì 28 Novembre 2025
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Guardare ai classici per rifondare la scuola e l’Italia: la lezione di Dionigi

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Ivano Dionigi, uno dei più noti latinisti italiani e già rettore dell’Alma Mater Studiorum di Bologna, ha pubblicato per Laterza un pamphlet dal titolo evocativo, Magister. La scuola la fanno i maestri non i ministri. Nelle premesse del saggio l’Autore tiene a precisare che non ha nessuna intenzione di entrare a gamba tesa in merito alle ennesime polemiche sulle riforme  della scuola. Dalla sua forma mentis di studioso dei testi classici, Dionigi intende «fare un elogio della scuola, a partire dal significato originario di scholé; elevare un’ode civile all’educazione, paidé ai, come la chiamavano i classici» (pag. 9). Partendo da questo assunto e premettendo che in questo preciso contesto storico la famiglia e la Chiesa hanno perso la prerogativa dell’educazione, la scuola ha l’onere di essere l’istituzione che deve perseguire lo scopo di formare il cittadino dal punto di vista etico e il luogo in cui gli studenti si identificano per la prima volta come una comunità di uguali, senza nessuna barriera sociale, economica e culturale.

Sulla scorta di Nietzsche e di Montaigne, la scuola deve perseguire l’obiettivo di formare dei cittadini pensanti, contraddistinti da una personalità non gregaria e non ridursi a creare dei futuri dipendenti di società che operano nei mercati commerciali e finanziari. Per fare ciò la scuola si deve fondare su tre parole-principi: interrogare, intelligere, invenire, che secondo Dionigi «devono essere scritte all’ingresso delle nostre scuole, università e istituzioni formative» (pag. 54). L’interrogare non è altro che l’attività che faceva Socrate nel domandare al proprio interlocutore «Tu chi sei?» e che confluiva nella massima del “conosci te stesso”, ovvero far elevare l’uomo come individuo alla sua massima espansione intellettuale

L’intelligere sta nel saper leggere e contestualizzare fatti e accadimenti contingenti, il che comporta una cognizione approfondita ad ampio raggio, quindi una conoscenza non specialistica che è solamente sterile e fine a se stessa. Infatti, se si guarda fin dai tempi dell’antichità la poesia, il pensiero scientifico e quello umanistico erano tutt’uno e lo stesso Cicerone nel De oratore sosteneva che l’unità del sapere era fondamentale per chiunque avesse l’ambizione di guidare la propria patria. La stessa separazione delle discipline, scrive Dionigi, ha avuto il demerito di creare discipline come l’economia e le materie tecniche che esistono solamente per creare un’utile materiale fine a se stesso, ma che non riescono a soddisfare la domanda sul perché del loro scopo. A chi è demandata la parte di porsi delle domande e stabilire l’eticità del progresso sono le materie umanistiche, discipline da cui non si può prescindere per il bene comune dell’intera società.
L’ultimo termine utilizzato da Dionigi è invenire, che nell’etimologia latina ha un doppio significato: in una prima accezione vuol dire «scoprire»e in una seconda «riscoprire di nuovo». Attribuire al termine il primo significato, il secondo o entrambi i significati, vi si racchiude comunque l’antica lezione che ha fornito i testi classici alla civiltà, ma che di fatto sono stati letteralmente cancellati dal presente codice culturale italiano. La causa, secondo l’Autore, è da imputare a una sorta di cattiva interpretazione di carattere storico e politico che è stata alla base del pregiudizio riguardo i classici, ritenuti testi ad uso esclusivo di una classe sociale elitaria e non popolare, che andava a discapito delle classi sociali basse.

A questo fraintendimento ha dato il suo contributo fondamentale l’appropriazione superficiale e qualunquista che ne fece il fascismo «che cercò ossessivamente di attualizzare la cultura e la civiltà latina in tutti i campi del sapere, dell’architettura alla lingua, fino a individuare nei maggiori poeti di Roma i cantori profetici del Ventennio fascista […]» (pp. 90-91).A questo retaggio, il successivo dibattito parlamentare, avvenuto tra la fine degli anni Cinquanta e Sessanta, in merito alla discussione dell’abolizione dell’insegnamento del latino nella scuola dell’obbligo in cui le compagini di sinistra vedevano il latino come una lingua passatista e di destra. A questo, aggiunge Dionigi, andando contro anche la sua stessa corporazione, ha dato adito l’insegnamento di alcuni docenti classicisti i quali  hanno fondato l’insegnamento della loro disciplina concentrandosi, in maniera esasperata, sulla struttura grammaticale e nella ricerca filologica, lasciando da una parte il messaggio intellettuale del testo. Il risultato della somma di questi fattori è stato quello che nell’opinione pubblica italiana si è diffusa la malsana idea che il latino e tutta la cultura classica non servono a nulla per le attività quotidiane della vita a differenza delle discipline scientifiche, mettendo in contrapposizione i due distinti saperi.

Oltre a quanto asserisce giustamente Dionigi, tale stereotipo ha causato un vistoso  abbassamento del livello culturale degli italiani, come ha dimostrato il rapporto Censis del 2024 intitolato Sindrome italiana, in cui viene evidenziato che è in corso una vera e propria emergenza educazionale. Nel rapporto si attesta che il 43,55 % degli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori non raggiunge gli obiettivi minimi di apprendimento dell’italiano. Inoltre,  per quanto concerne la conoscenza di eventi e personaggi storici, il rapporto da risultati dal sapore tragicomico. A livello esemplificativo si possono citare i seguenti casi: il 49,7% degli intervistati non sa indicare quando è avvenuta la Rivoluzione francese, oppure il 35,9% crede che Giuseppe Verdi sia stato il compositore dell’inno di Mameli. Questo rapporto mostra che il singolo individuo non ha gli strumenti intellettuali per decodificare le notizie vere da quelle false e quando queste ultime vengono appositamente fabbricate possono produrre il risultato di creare stereotipi e comportamenti irrazionali, andando a danneggiare tutta la comunità.

La nave di Emergency recupera 2 salme al largo della Libia

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La nave Life Support di Emergency ha recuperato due cadaveri in acque internazionali della zona Sar libica. L’allarme era stato lanciato da Sea-Watch dopo che l’aereo Seabird aveva avvistato diverse salme alla deriva. Non è chiaro cosa sia accaduto: Emergency ipotizza un naufragio ignorato, una mancata risposta a un SOS o un’intercettazione della Guardia costiera libica che ha spinto alcune persone a buttarsi in mare per non essere riportati in Libia. I corpi, in stato di decomposizione, sarebbero rimasti in mare almeno una settimana. Le salme arriveranno ad Augusta domenica 29 giugno.

La Cassazione boccia il decreto sicurezza: “Possibili profili di incostituzionalità”

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La Cassazione ha inferto un colpo durissimo al decreto Sicurezza del governo Meloni. In un report di 129 pagine – la Relazione n. 33, pubblicata il 23 giugno 2025 – l’Ufficio del Massimario della Suprema Corte ha infatti formulato una lunga serie di rilievi sul metodo e sul merito del provvedimento, delineando possibili profili di incostituzionalità e disomogeneità nei suoi articoli, tanto dirimenti da poter costituire base per ricorsi alla Corte costituzionale. Sebbene non si tratti di un documento vincolante, l’autorevolezza della fonte lo rende certamente una pietra miliare nell’attuale dibattito giuridico e politico. Tra i passaggi finiti sotto la lente della Suprema Corte, le aggravanti territoriali e di status, le norme che puniscono le rivolte in carcere e le occupazioni abusive, lo scudo penale per i servizi segreti e il divieto alla commercializzazione della cannabis light.

Il pacchetto sicurezza – entrato in vigore il 12 aprile 2025 – è stato approvato dal governo in forma di decreto legge, dopo essere stato bloccato in Parlamento sotto forma di disegno di legge. Un passaggio che la Cassazione definisce senza precedenti nella materia penale: «La prassi parlamentare annovera due soli precedenti di trasposizione dei contenuti di un progetto di legge in discussione in Parlamento in un decreto-legge, a suo tempo in effetti censurati dalla dottrina costituzionalistica e, in ogni caso, nessuno dei due riguardava la materia penale». La Corte osserva che la decretazione d’urgenza è stata usata in modo arbitrario, esprimendo «severe perplessità anzitutto sulla (in)sussistenza dei presupposti giustificativi». E ancora: «A ciò si aggiunge l’estrema disomogeneità dei contenuti», che «avrebbe richiesto un esame ed un voto separato sulle singole questioni». Invece, «la conversione in legge li riunisce “a bordo” di un unico articolo», in violazione della Costituzione (art. 72). Sul piano formale, inoltre, la Cassazione rileva che il decreto non è stato presentato alle Camere per la conversione il giorno stesso della sua adozione, come impone l’art. 77 della Costituzione. Ne deriva un possibile vizio insanabile: mancando «i presupposti costituzionali della decretazione d’urgenza», potrebbe determinarsi «l’invalidità della legge di conversione».

I rilievi più significativi si concentrano però sul merito. Il provvedimento, evidenzia la Corte, presenta un «rischio di colpire eccessivamente gruppi specifici, come minoranze etniche, migranti e rifugiati», e può produrre «discriminazioni e violazioni di diritti umani». La formulazione di molte nuove fattispecie penali e aggravanti è così vaga e generica da violare i principi costituzionali di «materialità», «precisione e determinatezza», «offensività», «uguaglianza», «autodeterminazione», «ragionevolezza» e «libertà di manifestazione del pensiero». Un esempio eloquente è rappresentato dalle aggravanti collegate al luogo o allo status dell’autore del reato, come nel caso del «danneggiamento in occasione di manifestazioni», dove il rischio è quello di criminalizzare «la contestazione e il dissenso». O ancora, la previsione di pena detentiva differenziata per le madri detenute con figli minori di un anno: basta un solo giorno in più nella data di nascita per cambiare radicalmente la sorte giudiziaria. Per quanto concerne i nuovi reati di resistenza passiva nelle carceri, la Corte sottolinea il rischio di incriminare «ogni atto di ribellione, non connotato da violenza o minaccia, quali, ad esempio, il rifiuto del cibo o dell’ora d’aria», parlando di una scelta «senza precedenti nell’ordinamento penale».

Particolarmente controversa è anche l’estensione dello scudo penale agli agenti dei servizi segreti che creano o dirigono gruppi eversivi o terroristici «a fini preventivi», che la Corte inquadra come «l’intervento più significativo e, per certi aspetti, più controverso» del decreto. La scelta di consentire agli 007 di fondare gruppi terroristici è, secondo gli ermellini, «un assoluto inedito nel panorama penalistico». Dirigere un’associazione terroristica è infatti «fenomeno ben diverso, più grave e più pericoloso rispetto alla già sperimentata possibilità di “infiltrazione”», trattandosi di una misura «sproporzionata, se non addirittura disfunzionale» rispetto alle finalità dell’antiterrorismo.

Preoccupa, inoltre, la norma che punisce le occupazioni abusive, che secondo la Corte presenta «eccessiva indeterminatezza», è «di difficile configurabilità» e non prevede nessuna «forma di impugnazione». I giudici si focalizzano anche sul divieto di commercializzare la cannabis light (art. 18), che «sembra impedire la libera circolazione di una merce all’interno dell’Ue in spregio al principio del mutuo riconoscimento e in rilevato difetto di esigenze imperative», mancando «evidenze scientifiche che provino che le infiorescenze di canapa e i derivati di varietà di canapa con un contenuto di Thc inferiore allo 0,3% siano una minaccia per la sicurezza e la salute pubblica».

Congo e Ruanda firmano accordo di pace mediato dagli USA

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La Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda hanno firmato a Washington un trattato di pace, mediato da Stati Uniti e Qatar, per porre fine al conflitto nell’est della RDC. Alla cerimonia erano presenti i ministri degli Esteri dei due Paesi e il segretario di Stato americano Marco Rubio. L’accordo prevede il rispetto dell’integrità territoriale, il disarmo dei gruppi armati, il ritorno di rifugiati e una cooperazione economica rafforzata. Il conflitto, concentrato nelle province del Nord e Sud Kivu, ha causato centinaia di migliaia di vittime e milioni di sfollati negli ultimi decenni.

Israele ha arrestato due italiani che documentavano le violenze dei coloni sui palestinesi

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Israele ha arrestato due attivisti italiani di Mediterranea Saving Humans e Operazione Colomba, mentre stavano documentando le violenze dei coloni e dei soldati israeliani sui palestinesi in Cisgiordania. I volontari registravano un gruppo di coloni armati. Poco dopo, sono sopraggiunte sul posto le forze delle IDF per arrestare un civile palestinese; i soldati hanno fatto spegnere le videocamere ai volontari, e li hanno arrestati con l’accusa di intralcio a pubblico ufficiale. Due diverse fonti verificate che stanno seguendo il caso hanno confermato a L’Indipendente che i volontari italiani al momento non si trovano più sotto custodia delle autorità di Tel Aviv. Tuttavia la loro vicenda non può ancora dirsi conclusa. In mattinata uno di loro è stato ascoltato dall’Ufficio immigrazione israeliano e nelle prossime ore si attende la decisione delle autorità, che potrebbero ordinare la loro espulsione dal Paese.

L’arresto degli attivisti italiani è avvenuto ieri, giovedì 26 giugno. I due volontari si trovavano sulle colline a sud di Hebron, nel villaggio di Khirbet al-Rakiz, dove stavano filmando i coloni, armati di fucili. Poco dopo, sono arrivati sul posto i soldati israeliani, che hanno chiesto ai volontari i loro passaporti e hanno affermato che i due non avessero l’autorizzazione di filmarli, nonostante, sottolinea il quotidiano israeliano Haaretz, non esista davvero una legge che lo vieti; gli attivisti hanno spento le loro attrezzature, ma sono stati comunque arrestati e portati in stazione, dove sono stati sottoposti a un interrogatorio. Dopo l’interrogatorio, è stato loro ordinato di dirigersi presso l’Autorità Israeliana per l’Immigrazione di Ramla, nei pressi dell’aeroporto Ben Gurion, dove uno di loro si è recato questa mattina. Al momento nessuno dei due si trova sotto custodia delle autorità di Tel Aviv, ma entrambi attendono ancora la pronuncia dell’Ufficio immigrazione. Secondo Haaretz è molto probabile che i due volontari vengano espulsi; se dovesse accadere, è possibile che l’ordine di espulsione venga accompagnato da un divieto di reingresso dalla durata variabile.

Aeroporto di Brescia: la protesta dei lavoratori ferma il trasporto di armi

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Con il loro sciopero, i lavoratori dell’aeroporto di Montichiari, in provincia di Brescia, sono riusciti a bloccare il traffico di armi nel proprio scalo. La protesta intendeva contestare il traffico di armi da un aeroporto che, almeno in teoria, dovrebbe ospitare solo materiali di natura civile. I lavoratori, venuti a conoscenza del transito di un carico di missili, hanno così disertato dalle loro mansioni, bloccando il suo arrivo. «Una vittoria importante della lotta contro il traffico di materiale bellico nel nostro Paese», si legge nel comunicato del sindacato USB, che ha indetto lo sciopero, «in un momento storico dove i venti di guerra soffiano più forti che mai». In passato, i lavoratori si erano già mossi contro l’utilizzo militare delle piste. Uno di loro era stato oggetto di un provvedimento disciplinare da parte di GDA Handling, il gestore dell’aeroporto.

Lo sciopero all’aeroporto Montichiari è stato indetto per la giornata di mercoledì 25 giugno, in cui era previsto l’arrivo di un carico di missili nello scalo. I lavoratori si sono riuniti in presidio a partire dalle 11, per denunciare il traffico di attrezzatura militare in una struttura di natura civile, che finisce per coinvolgere direttamente gli stessi operatori: «Lavoratori civili sono vengono mandati bordo a caricare e scaricare queste armi», denuncia infatti il sindacato USB. «Abbiamo chiesto incontri, abbiamo chiesto spiegazioni, ma nessuno ci ha mai dato risposte esaustive». Lo sciopero di mercoledì si è svolto in parallelo al vertice della NATO dell’Aia, in cui i rappresentanti degli Stati membri hanno dato il via libera all’aumento delle spese militari al 5% del PIL entro il 2035. La protesta dei lavoratori di Montichiari contestava in generale il fiorire delle politiche belliciste del blocco Occidentale: «Mentre esportiamo armamenti nei vari teatri di guerra, ha detto un lavoratore, questi ci ritornano in casa sotto forma di inflazione». Non si tratta dunque solo di una «questione etico-morale, ma anche dei lavoratori: oltre al fatto che si mette a repentaglio la vita dei lavoratori che mobilitano queste armi», il continuo privilegiare gli investimenti bellici contribuisce a causare un «impoverimento del mercato del lavoro».

Non è la prima volta che gli operatori dello scalo di Montichiari denunciano la presenza di merci pericolose nell’infrastruttura: già lo scorso giugno i lavoratori addetti al carico e scarico avevano segnalato attività di trasporto di materiale bellico, tra cui armi ed esplosivi, «con tutti i conseguenti rischi per i lavoratori e le popolazioni limitrofe». A ottobre, invece, Luigi Borrelli, il rappresentante sindacale di USB presso l’aeroporto, ha denunciato pubblicamente i movimenti di carico e scarico di materiale bellico. In seguito a queste dichiarazioni, la società GDA Handling ha mosso nei suoi confronti una contestazione disciplinare. A marzo, dopo mesi di denunce, gli operatori dell’aeroporto hanno lanciato un presidio per contestare il presunto impiego militare della struttura, dichiarando di essere costretti a maneggiare materiale esplosivo. L’attrezzatura militare, ha sostenuto il personale aeroportuale, verrebbe trasportata per chilometri da lavoratori sprovvisti di patenti idonee alla gestione di materiali pericolosi, transitando vicino a edifici civili.

Migranti: la Grecia dispiega forze navali per ridurre gli arrivi

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La Grecia ha iniziato a dispiegare le proprie forze navali per ridurre gli sbarchi di persone migranti dalla Libia. L’iniziativa è stata lanciata a fronte dell’aumento di persone migranti dal Paese africano, da cui quest’anno sono sbarcate 7.300 persone tra Creta e Gavdos. La missione, sostenuta dal coordinamento europeo e libico, pattuglierà il sud di Creta. Essa era stata precedentemente annunciata lo scorso lunedì dal premier Mitsotakis e coinvolge due navi greche e una libica.

Von der Leyen dovrà affrontare un voto di sfiducia a causa del Pfizergate

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Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, dovrà affrontare un voto di sfiducia al Parlamento europeo, a seguito dello scandalo noto come “Pfizergate”. L’iniziativa è stata promossa dall’eurodeputato rumeno Gheorghe Piperea, del partito AUR e membro del gruppo Conservatori e Riformisti Europei (ECR). La mozione ha superato la soglia minima richiesta di 72 firme, raccogliendone 74 da eurodeputati di vari schieramenti: ECR, Patrioti per l’Europa, Europa delle Nazioni Sovrane, alcuni non affiliati e persino un membro del Partito Popolare Europeo (PPE). Il voto è atteso nella sessione plenaria di luglio, ma difficilmente potrà avere successo, anche a causa della complessità dei regolamenti europei che garantiscono all’esecutivo comunitario un sistema di inattaccabilità dalle sfiducie parlamentari che non ha pari nelle costituzioni dei Paesi democratici.

Nello specifico, il documento è stato sottoscritto da 32 deputati del gruppo conservatore ECR (in Italia vi fanno parte i deputati di Fratelli d’Italia), 23 del gruppo sovranista ESN (nato su iniziativa del partito Alternativa per la Germania), 4 di Patrioti per l’Europa (in Italia rappresentato dalla Lega), 1 del PPE (i popolari di centrodestra, in Italia rappresentati da Forza Italia) e 14 non iscritti. Il motivo della presentazione della mozione risiede nel cosiddetto “Pfizergate”, lo scandalo che ha travolto la presidente della Commissione per la gestione della campagna vaccinale con la multinazionale farmaceutica Pfizer. Al centro della polemica c’è la gestione riservata dei negoziati con Pfizer da parte di von der Leyen durante la pandemia: nel 2021, la presidente trattò l’acquisto di 1,8 miliardi di dosi di vaccino anti-Covid (per un valore di 35 miliardi di euro, in un pacchetto più ampio da 70 miliardi) tramite messaggi privati con l’amministratore delegato Albert Bourla. Di quelle dosi, meno del 20% è stato effettivamente utilizzato. La Commissione ha più volte rifiutato di pubblicare gli sms, nonostante le richieste della stampa. Lo scorso maggio, la Corte di Giustizia dell’UE ha accolto il ricorso della giornalista del New York Times, Matina Stevis-Gridneff, che chiedeva accesso agli SMS scambiati tra von der Leyen e Bourla, annullando la decisione della Commissione di negare l’accesso ai messaggi di testo.

La mozione ha comunque evidenziato spaccature anche all’interno dello stesso gruppo ECR, guidato da Fratelli d’Italia e dal partito polacco Diritto e Giustizia (PiS). Mentre tutti i 20 eurodeputati del PiS hanno firmato, l’italiano Nicola Procaccini (co-presidente ECR) ha messo in dubbio l’opportunità della mozione, osservando che questa coinvolgerebbe l’intera Commissione, compresi i commissari nominati dai governi ECR. «Non ritiene che una simile decisione avrebbe dovuto prima essere approvata dal gruppo?», ha scritto in una email interna. Anche i rapporti tra Meloni e von der Leyen complicano la linea del gruppo: negli anni del suo governo, la premier italiana ha infatti collaborato strettamente con la presidente della Commissione, e l’alleato Raffaele Fitto ricopre un ruolo di rilievo a Bruxelles.

L’architettura istituzionale dell’Unione europea rende estremamente complesso sfiduciare la Commissione per più ragioni convergenti. Innanzitutto, per il fatto che a tal fine occorre sia il voto favorevole di almeno due terzi dei voti espressi (escludendo le astensioni) sia la maggioranza assoluta degli attuali 720 eurodeputati, (dunque almeno 361 sì). Se da un lato le astensioni abbassano il numero di voti espressi e quindi teoricamente riducono la soglia dei due terzi, dall’altro non intaccano i 361 voti necessari, anzi rendono più difficile raggiungere quella cifra fissa. La richiesta di un quorum così elevato garantisce che solo una solida maggioranza trasversale a partiti e Paesi possa staccare la spina all’esecutivo comunitario. E costituisce inoltre una protezione in favore dell’esecutivo che non ha pari nelle costituzioni dei Paesi democratici. Inoltre, la procedura impone un intervallo minimo di tre giorni tra presentazione e voto, lasciando tempo ai gruppi di riorganizzarsi e convincere gli indecisi. Una combinazione di fattori che rende sostanzialmente velleitario questo tipo di tentativo: finora tutte le mozioni di sfiducia contro la Commissione hanno fallito l’obiettivo di raggiungere contemporaneamente entrambi i quorum.

A Los Angeles cittadini e polizia si fronteggiano usando il riconoscimento facciale

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Le retate degli agenti dell’immigrazione statunitense continuano a colpire duramente la comunità di Los Angeles. Paramilitari mascherati, privi di codici identificativi, fermano auto e pedoni per catturare residenti e raggiungere così la quota delle fatidiche 3.000 detenzioni giornaliere imposta dall’amministrazione Trump a sostegno della politica delle deportazioni di massa. La città ha reagito, tuttavia l’indignazione degli abitanti è stata accolta dall’intervento congiunto della polizia, della Guardia Nazionale e dei Marines. Con il passare dei giorni, nella spirale repressiva sono entrate in campo anche le tecnologie di riconoscimento biometrico, le quali vengono utilizzate dalle autorità per individuare con maggiore precisione i propri bersagli, ma che vengono adottate anche dal basso per documentare e contrastare i numerosi abusi di potere. Un sistema di controllo che ora, grazie a un artista locale, anche i cittadini stanno iniziando a utilizzare per sorvegliare gli abusi di polizia e aggirare gli stratagemmi che molti agenti adoperano per oscurare il proprio codice identificativo.

Una email interna visionata da 404 Media rivela che il personale dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE) ha cominciato a utilizzare un’applicazione per smartphone capace di confrontare i volti immortalati dagli agenti con due distinti archivi governativi. Il primo è il database dei servizi di verifica dei viaggiatori del Customs and Border Protection (CBP), il quale contiene i dati biometrici raccolti normalmente nei checkpoint statunitensi; il secondo è il Seizure and Apprehension Workflow del Dipartimento della Sicurezza Interna (DHS). Non è da escludere che, in un futuro, possano venire integrate anche le informazioni di BITMAP, un database contenente dettagli accumulati con le collaborazioni poliziesche transfrontaliere.

I documenti interni rivelano che il software – chiamato Mobile Fortify App – “offre agli utenti funzionalità di verifica dell’identità biometrica in tempo reale utilizzando impronte digitali contactless e immagini facciali acquisite tramite fotocamera […] senza la necessità di dispositivi di raccolta secondari”. L’app è stata sviluppata per identificare soggetti sconosciuti agli agenti ed è persino dotata di un “campo di addestramento non dal vivo”, utile per esercitarsi a scattare immagini in maniera rapida ed efficiente, così da essere più efficienti una volta che si viene schierati sul campo. L’app non è però la prima incursione dell’ICE nel mondo del riconoscimento facciale: in passato era emerso un contratto da oltre tre milioni di dollari con Clearview, controversa azienda tecnologica che estrae dati dai social media, la cui attività è considerata illegale in Europa.

Strumenti di questo tipo, però, cominciano a diffondersi anche tra i cittadini, che li impiegano per contrastare gli eccessi delle forze dell’ordine. L’artista losangelino Kyle McDonald ha lanciato il portale FuckLAPD.com, un servizio online pensato per aiutare i cittadini a identificare quegli agenti della polizia di Los Angeles che, intenzionalmente, celano il proprio distintivo, rendendosi irriconoscibili per vie ufficiali. L’applicazione elabora i dati direttamente sul dispositivo dell’utente – senza caricamenti esterni – e li confronta con un archivio di oltre 9.000 fototessere di agenti ottenute da registri pubblici.

Già nel 2018, McDonald aveva ideato un sistema simile: ICESPY, dedicato all’identificazione del personale ICE. In quel caso, l’archivio fotografico era stato costruito attingendo a immagini e dati estratti da LinkedIn, il più noto social network dedicato al mondo del lavoro. Una scelta strategica, ma anche profondamente simbolica: LinkedIn è di proprietà di Microsoft, una delle aziende accusate di fornire supporto tecnologico a fini militari, e nota per reprimere i dipendenti che osano criticare le collaborazioni con l’ICE e il sistema di deportazioni forzate che viene imposto ai migranti. A prescindere che questi siano negli USA legalmente o meno.

Colombia, sospesa l’indagine della Corte Elettorale sul presidente Petro

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La Corte Costituzionale colombiana ha sospeso l’indagine della Corte Elettorale sul Presidente Gustavo Petro. La Corte, nello specifico, ha stabilito che solo la Camera dei Rappresentanti può indagare su Petro. L’indagine della Corte Elettorale era stata richiesta lo scorso ottobre dal Consiglio Elettorale Nazionale, sulla base di presunte irregolarità nei finanziamenti alla campagna elettorale di Petro del 2022, anno in cui è stato eletto presidente.