giovedì 3 Luglio 2025
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Una nuova scoperta rivoluziona la teoria sulla formazione della Luna

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Al contrario di quanto si pensava in precedenza, la Luna potrebbe non essere nata dalla collisione tra la Terra ed il protopianeta Theia ma, piuttosto, potrebbe essersi formata principalmente da materiale espulso dal mantello primordiale terrestre, con solo un contributo minimo di Theia. È quanto proposto da una squadra di ricercatori dell’Università di Gottinga e del Max Planck Institute for Solar System Research (MPS), i quali hanno dettagliato i loro risultati all’interno di uno studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). Analizzando isotopi di ossigeno su oltre una dozzina di campioni lunari e quasi 200 minerali terrestri, gli scienziati hanno notato diverse somiglianze nelle loro composizioni, il che confermerebbe la teoria proposta e risolverebbe un enigma decennale, chiamato “crisi degli isotopi”. Inoltre, gli autori sostengono che le misurazioni suggeriscono anche nuove informazioni sulla storia dell’acqua terrestre, che sarebbe arrivata esclusivamente grazie a corpi chiamati “condriti enstatitiche”.

Le teorie sulla formazione della Luna si basano da decenni sulla cosiddetta “teoria dell’impatto gigante”, secondo la quale Theia, un pianeta ancora alle prime fasi delle dimensioni di Marte, avrebbe colpito la Terra circa 4,5 miliardi di anni fa, generando un’enorme quantità di detriti da cui si sarebbe formato il nostro satellite naturale. Tuttavia, la stretta somiglianza tra la composizione isotopica della Terra e della Luna ha sempre rappresentato un enigma, noto come “crisi degli isotopi”. Per questo motivo, nello studio recentemente pubblicato i ricercatori hanno analizzato isotopi di ossigeno presenti in 14 campioni lunari e condotto 191 misurazioni su minerali terrestri, utilizzando un metodo avanzato chiamato fluorurazione laser, il quale ha permesso di liberare ossigeno dalle rocce tramite l’uso di un laser, offrendo dati ad altissima precisione.

I risultati hanno poi mostrato una somiglianza straordinaria tra un isotopo dell’ossigeno – l’ossigeno 17 (17O) – presente sia nei campioni terrestri che in quelli lunari. Ciò, secondo Andreas Pack, direttore generale del Geoscience Centre dell’Università di Gottinga e coautore, potrebbe spiegarsi ipotizzando che Theia abbia perso gran parte del suo mantello in precedenti collisioni, arrivando a colpire la Terra come una “palla di cannone metallica”: «Una spiegazione è che Theia abbia perso il suo mantello roccioso in precedenti collisioni e poi si sia schiantata sulla Terra primordiale come una palla di cannone metallica. Se così fosse, Theia farebbe parte del nucleo terrestre oggi, e la luna si sarebbe formata da materiale espulso dal mantello terrestre. Questo spiegherebbe la somiglianza nella composizione della Terra e della luna», ha spiegato Pack. Inoltre, i dati fornirebbero persino nuove informazioni sulla storia dell’acqua terrestre: contrariamente alla teoria del “Late Veneer Event”, secondo cui l’acqua sarebbe arrivata sulla Terra dopo la formazione della Luna a causa di impatti tardivi, i ricercatori affermano di aver dimostrato che molti tipi di meteoriti non possono essere stati responsabili di questa fase. La coautrice Meike Fischer ha spiegato che, piuttosto, le condriti enstatitiche – un tipo di meteoriti isotopicamente simili alla Terra e ricchi d’acqua – potrebbero essere state le uniche responsabili dell’apporto idrico del nostro pianeta: «I nuovi dati dimostrano che non è come si pensava e si può escludere che molti tipi di meteoriti siano la causa di questa “rivestimento tardivo”. I nostri dati possono essere spiegati particolarmente bene da una classe di meteoriti chiamati condriti enstatitiche, che sono isotopicamente simili alla Terra e contengono abbastanza acqua da essere gli unici responsabili dell’acqua presente sulla Terra», ha concluso la ricercatrice.

Lo studio è solo l’ennesima prova che, nonostante la relativa vicinanza a noi, la Luna continua a stimolare la ricerca sia sulle sue caratteristiche che sulle teorie che ipotizzano le modalità della sua formazione. Proprio qualche mese fa, infatti, un altro studio basato sui campioni lunari riportati sulla Terra dalle missioni Apollo degli anni ’70 ha suggerito un’ipotesi tutt’altro che simile: la luna sarebbe stata catturata durante un incontro ravvicinato tra la giovane Terra ed un sistema binario composto dal satellite ed un altro corpo roccioso, il quale sarebbe stato poi spazzato via dalla gravità terrestre.

[di Roberto Demaio]

Russia e Iran hanno firmato un trattato di partenariato strategico globale

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Una stretta di mano simbolica e un documento che potrebbe ridefinire gli equilibri geopolitici: ieri, venerdì 17 gennaio 2025, il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo iraniano Masoud Pezeshkian hanno siglato un “Trattato di partenariato strategico globale”. L’accordo, che sarà valido per vent’anni, mira a consolidare una cooperazione estesa tra Russia e Iran in settori chiave come commercio, energia, difesa, scienza, educazione e cultura, con l’ambizione di contrastare l’influenza occidentale e le sanzioni internazionali. Durante la cerimonia al Cremlino, il presidente Putin ha descritto l’accordo come «una vera svolta», sottolineando come esso crei condizioni per «uno sviluppo stabile e sostenibile» non solo per i due Paesi, ma per l’intera regione. Da parte sua, Pezeshkian lo ha definito «un nuovo capitolo nelle relazioni bilaterali», evidenziandone l’importanza strategica rispetto all’obiettivo di resistere alle eccessive pressioni imposte dagli USA e dai loro alleati.

L’accordo, che aggiorna una precedente intesa del 2001, contiene 47 articoli e mira a superare gli ostacoli tecnici che finora hanno limitato il volume degli scambi commerciali. Tra i progetti di punta, spiccano la costruzione di due nuovi reattori della centrale nucleare di Bushehr, in Iran, a cura dell’azienda russa Rosatom, e l’istituzione di corridoi di trasporto strategici verso i porti iraniani del Golfo Persico. Un pilastro centrale dell’intesa è la cooperazione nel settore energetico. Mosca ha espresso la volontà di esportare gas naturale in Iran, mentre Teheran ha confermato il proprio impegno a risolvere le questioni tecniche che ancora ostacolano il progetto. La difesa rappresenta un altro ambito cruciale: pur non includendo una clausola di assistenza reciproca, come nel caso del trattato russo-coreano, l’accordo prevede un rafforzamento delle esercitazioni militari congiunte, della formazione degli ufficiali e della sicurezza regionale. Dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022, Mosca considera l’Iran un partner strategico chiave: entrambi i Paesi hanno aumentato le loro attività commerciali in risposta alle sanzioni occidentali e, secondo funzionari ucraini e occidentali, l’Iran (che però nega) avrebbe già fornito alla Russia droni auto-detonanti “Shahed” che Mosca avrebbe utilizzato nei suoi attacchi notturni all’Ucraina. Durante la conferenza stampa congiunta, Pezeshkian ha ribadito il sostegno dell’Iran a una soluzione politica del conflitto in Ucraina, dichiarando che «guerra e ostilità non sono una soluzione». Putin, a sua volta, ha elogiato la «comunanza di vedute» tra Mosca e Teheran su questioni internazionali, sottolineando il reciproco impegno nel rispetto della sovranità e del diritto internazionale.

L’Unione Europea ha reagito con scetticismo alla firma del trattato, definendolo una prova del presunto isolamento diplomatico di Mosca. La portavoce della politica estera dell’UE, Anita Hipper, ha dichiarato che l’intesa rivela la «reale debolezza della Russia», alla ricerca di alleati per sostenere la propria strategia militare e politica. Gli Stati Uniti hanno espresso preoccupazione per il potenziale rafforzamento dei legami militari tra i due Paesi. La visita di Pezeshkian è arrivata pochi giorni prima dell’insediamento del presidente eletto degli USA, Donald Trump, che ha promesso di mediare la pace in Ucraina e adottare una linea più dura nei confronti di Teheran. Nel contesto di un’arena geopolitica sempre più polarizzata, l’accordo tra Russia e Iran segna un passo deciso verso una ridefinizione degli equilibri internazionali, rappresentando una chiara dichiarazione di intenti per la creazione di un blocco solido capace di affrontare sfide regionali e globali.

[di Stefano Baudino]

Gaza, continuano i raid: decine di morti

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Nonostante manchino poche ore all’entrata in vigore del cessate il fuoco, programmato per domenica 19 gennaio alle ore 8:30 locali, non si sono ancora fermati i bombardamenti nella Striscia, i quali hanno causato decine di morti e di feriti. Secondo l’agenzia Wafa, che cita fonti mediche sul campo, nelle ultime ore «tre massacri contro famiglie» hanno portato all’uccisione di 23 cittadini e al ferimento di altri 83. Numeri che vanno sommati ai cinque civili uccisi questa notte nella zona di Mawasi che costituirebbero complessivamente, secondo i reporter di Al Jazeera, circa 122 morti di cui 33 bambini solo nelle ultime 24 ore.

La Nigeria diventa partner BRICS

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La presidenza brasiliana di turno per il blocco BRICS ha annunciato che la Nigeria è entrata a far parte del gruppo con lo status di partner. Il Paese africano si unisce così agli altri otto Stati che hanno acquisito lo status di partner BRICS a inizio anno (senza contare l’Indonesia, che è successivamente entrata come membro a pieno titolo). Lo status di partner è stato introdotto in occasione dell’ultimo vertice del gruppo, tenutosi a Kazan, in Russia, e prevede la collaborazione su progetti specifici, accordi economici o cooperazione su temi di interesse comune, e la possibilità di essere invitati ai summit, senza tuttavia potere decisionale e di voto.

“Efeso”, una poesia di Jorgos Seferis (1955)

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Parlava seduto su un marmo
simile a rovina d’antico portale:
sterminato e vuoto a destra il campo
a sinistra scendevano le ombre dal monte:

“La poesia è ovunque. La tua voce
a volte incede al suo fianco
come il delfino che per poco ti accompagna
vascello d’oro nel sole
e poi scompare. La poesia è ovunque
come le ali del vento nel vento
che per un attimo hanno sfiorato le ali del gabbiano.
Uguale e diversa dalla nostra vita, come cambia
il volto di una donna che si è spogliata,
e tuttavia rimane uguale. Lo sa
chi ha amato: alla luce degli altri
il mondo implode; ma tu ricorda
Ade e Dioniso sono la stessa cosa”.

Disse, e imboccò la grande strada
che mena al porto di un tempo, ora inghiottito
laggiú  fra i giunchi. Il crepuscolo pareva
per la morte di un animale,
cosí nudo.
Ricordo ancora:
viaggiava sulle coste della Ionia,
in vuote conchiglie di teatri
dove solo la lucertola striscia sull’arida pietra,
e io gli chiesi: “Un giorno torneranno a riempirsi?”
E mi rispose: “Forse, nell’ora della morte”.
E corse nell’orchestra urlando:
“Lasciatemi ascoltare mio fratello!”.
Ed era duro il silenzio attorno a noi
e non rigato nel vetro dell’azzurro.

Il teatro e il sogno, il mito e il mare. Nel mondo greco classico –  quelle vestigia sono chiare oggi ancora – la realtà è leggermente sospesa dal suolo, un po’ come se le impronte di chi cammina a lui fossero visibili.

È la condizione del mito, perché in fondomythos’ in greco vuol dire anche realtà, nulla è estraneo al racconto, tutto si trasforma in storia, in parola, in ‘logos‘, quando sappiamo che vivere e mettere in scena si assomigliano e gli attori che seguiamo sul palco siamo noi stessi di fronte a specchi iridescenti.

Luigi Pirandello aveva tratto la sua ispirazione dai Greci con quella attualizzazione borghese, anzi quotidiana, con quella impronta ordinaria e straordinaria insieme, che i siciliani sanno imprimere, quasi una tradizione isolana del perdurare e del divenire che della Sicilia mi incanta ogni volta. Pirandello per cui tragedia e commedia si mascherano insieme in un oracolo sorridente.

Seferis, però, se penso al mare, e quindi alla morte, mi ricorda Ernest Hemingway che in un suo romanzo ricordava il suo primo viaggio di nozze sulle sponde francesi come l’avventura di un pesce che per amore risale la corrente.

E ne Il vecchio e il mare: «Vorrei poter dar da mangiare al pesce, pensò. È mio fratello. Ma devo ucciderlo e mantenermi forte per farlo». Per chi ha scritto Addio alle armi e Verdi colline d’Africa, la morte provocata è un tema immenso. Jorgos Seferis: «Dormo, ma il cuore veglia:/guarda in cielo le stelle, e la barra,/ l’infiorata dell’ acqua al timone».

Nel sogno non ci sono volti. Per Seferis la poesia è il giornale di bordo dell’ immaginario. La poesia per di più, dice Seferis, è oracolo e fraterna declamazione. A lui l’oracolo parla in modo deciso ma enigmatico e misteriosamente si sottrae al suo sguardo, come le parole della poesia che si sottraggono a una facile comprensione.

La poesia è delfino ed è vento, è eros e crepuscolo. Come il delfino e il vento ti accompagna per un po’, quasi fosse una preghiera che poi ti lascia al tuo destino. Come eros e crepuscolo canta la pienezza e il suo trascolorare ma non è prigioniera di sentimenti.

La poesia è tempo, per cui ciò che si brucia in un attimo, in un fuoco di significati, è anche proiezione illimitata dell’eterno, vale a dire di ciò di cui non conosciamo la misura. E che fa dire a Seferis che Dioniso e Ade si mescolano, appunto come amore e morte, come passione e fato.

Ecco perché la poesia è antidoto all’ipocrisia del potere. Perché la poesia consapevolmente  illude, ti sottrae agli automatismi, e il potere (non il tuo potere, beninteso), invece, inganna.

[di Gian Paolo Caprettini]

Iran, due giudici uccisi davanti alla Corte Suprema di Teheran

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Due giudici sono stati uccisi davanti alla Corte suprema di Teheran, capitale dell’Iran, a causa di un attacco con armi da fuoco da parte di un uomo contro tre di loro. L’attacco è avvenuto nel centro della città, nel Park-e Shahr. I due magistrati rimasti uccisi erano Mohammad Moghiseh, 68 anni, e Ali Razini, 71 anni. È invece rimasto ferito, insieme alla sua guardia del corpo, il giudice Miri. La televisione di Stato ha riferito che l’attentatore, suicidatosi subito dopo avere aperto il fuoco contro i giudici, era un dipendente del Ministero della Giustizia.

Brescia: espone la bandiera palestinese, si ritrova la polizia in casa

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Ha esposto per anni una bandiera della Palestina alla finestra di casa sua, alla quale, dall’inizio dei massacri del 7 ottobre da parte dell’esercito israeliano a Gaza, ha aggiunto uno striscione con la scritta “Palestina Libera”. Per questo, Giulio Tonincelli, fotografo e documentarista indipendente di Salò, è finito nel mirino delle autorità. Lo scorso 8 dicembre, mentre era all’estero per lavoro, i carabinieri si sono infatti presentati alla porta della sua abitazione, dove in quel momento si trovavano i suoi anziani genitori, manifestando l’intenzione di rimuovere lo striscione. Dopo essersi sottratti a spiegazioni chiare e aver chiesto i documenti alla coppia, i militari hanno lasciato l’appartamento. Tonincelli conferma comunque di non avere alcuna intenzione di rinunciare ad esprimere le sue idee: il sole che batte sulla sua finestra continuerà a far brillare i colori della bandiera palestinese.

Il regista e fotografo Giulio Tonincelli si recò in Medio Oriente per lavoro, assieme a una ricercatrice dell’Università Bicocca, nel 2018. Visitò tutti i territori occupati della Palestina, compresa Gaza. Rimase esterrefatto da quanto vide e, per questo motivo, issò una bandiera con i colori della Palestina alla sua finestra: «Ho deciso di esporre la bandiera perché ho visto con i miei occhi le atrocità del regime fascista di Israele che occupa i territori palestinesi – ha spiegato il regista a Radio Onda D’Urto -. Ho ritenuto folle che potesse esistere qualcosa del genere al mondo che sia supportato dalle democrazie occidentali». Subito dopo lo scoppio della carneficina a Gaza, tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024, la bandiera inizia a suscitare forti antipatie. «La capo scala del mio appartamento arriva a suggerirmi di togliere bandiera perché potrebbe creare problemi – ha spiegato Tonincelli –. Io le dico che quella è casa mia, che quella è la mia finestra, e io ho pieno diritto di esprimere liberamente le mie opinioni. Non passa molto che si fa sentire anche l’amministratrice, dicendo che è stata contattata dai carabinieri, i quali le hanno chiesto se esistesse qualche regola precisa del condominio che vietasse la possibilità di esporre manifesti o bandiere». Questa regola non c’è, dunque Tonincelli espone anche uno striscione con la scritta “Palestina Libera”.

Nel novembre del 2024, il regista parte per lavorare ad alcuni progetti in Uganda e in Etiopia. E a dicembre succede qualcosa. «Domenica 8 dicembre, a pranzo, i miei sono nel mio appartamento. Suonano alla porta tre carabinieri, due donne e un uomo, che dicono di voler entrare per parlare con i presenti (i miei genitori hanno 74 e 75 anni e sono incensurati). Mia madre, intimorita, apre: i carabinieri entrano e puntano verso le finestre del soggiorno. Una di loro dice in maniera arrogante che sono venuti a requisire lo striscione», spiega Tonincelli. Scossa, ma lucida, la madre del registra chiede ai militari il motivo di questo intervento. «Perché lo abbiamo già fatto», la loro risposta. Al che, la donna domanda ai carabinieri se ci sia una legge per poterlo fare. «La carabiniera, a quel punto, cambia atteggiamento e chiede i documenti ai miei genitori, che glieli consegnano per la schedatura dei dati. Mia madre chiede dunque loro di sapere chi sono: “Chieda sotto, dove c’è la volante, noi siamo i carabinieri”, le rispondono», riferisce con amarezza il regista. Il quale conferma che continuerà la sua battaglia: «La mia finestra è un simbolo di libertà di espressione, continuerò a tenere alta la bandiera della Palestina».

Questo non è certo il primo caso di azioni da parte delle forze dell’ordine che paiono pienamente intimidatorie nei confronti di chi esprime solidarietà alla causa palestinese. Una delle vicende che fece più discutere, di cui L’Indipendente diede notizia in anteprima, avvenne lo scorso ottobre a Desio, quando l’apicoltore Marco Borella venne raggiunto da due carabinieri che gli intimarono di rimuovere uno striscione con la scritta “Stop al genocidio”. Borella si rifiutò di farlo, così fu redatto un verbale per “propaganda politica non autorizzata”, con una mukta di 430 euro. Dopo due giorni dalla compilazione del verbale, il comando dei carabinieri decise di fare marcia indietro e di ritirare la sanzione.

[di Stefano Baudino]

Il governo israeliano ratifica il cessate il fuoco

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Ieri sera, venerdì 17 gennaio, il governo israeliano ha ratificato l’accordo di cessate il fuoco a Gaza. L’approvazione del governo era l’ultimo degli step necessari a rendere ufficiale l’entrata in vigore dell’accordo. Il cessate il fuoco entrerà in vigore a partire da domani alle 8:30 locali (le 7:30 in Italia). Esso prevede tre fasi, di cui solo la prima ben delineata: la fase 1 durerà sei settimane e vedrà una prima serie di scambi di prigionieri tra le parti. Hamas riconsegnerà 33 ostaggi, mentre Israele ha annunciato che rilascerà 737 prigionieri palestinesi. Mentre attende l’entrata in vigore dell’accordo, l’esercito israeliano continua a bombardare Gaza. Dall’annuncio dell’accordo, Israele ha ucciso 122 persone in tutta la Striscia.

Il ddl 1660 lede il diritto di protesta: sei relatori ONU contro l’Italia

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Sei Relatori Speciali delle Nazioni Unite hanno scritto una lettera al governo italiano esprimendo preoccupazione per le misure contenute nel disegno di legge 1660, attualmente in discussione al Parlamento. Secondo il loro parere, infatti, le disposizioni contenute nella bozza – con particolare riferimento al reato di occupazione arbitraria e di blocco stradale, oltre che alle aggravanti introdotte per una lunga serie di reati – violerebbero una lunga lista di diritti umani e civili, ponendosi in contraddizione con patti e trattati europei per la tutela dei diritti umani e civili sottoscritti e ratificati dall’Italia. Per tale ragione, i sei Relatori hanno chiesto al governo italiano di modificare o revocare del tutto alcune delle norme contenute nella bozza.

I Relatori si sono soffermati, in particolare, su una dozzina di articoli contenuti nel ddl, a partire dall’art. 1, che preve la reclusione fino a sei anni per chi «si procura o detiene» materiale utile alla preparazione o all’uso di armi al fine di compiere non meglio specificati atti di terrorismo (scritto «con un linguaggio vago ed eccessivamente ampio, rischiando di criminalizzare atti che non sono terroristici»). L’art. 10, che introduce il reato di occupazione arbitraria, insieme all’art. 14 (reato di blocco stradale) contraddice il diritto di protesta pacifica e di compiere atti di disobbedienza civile definito dal Comitato per i Diritti Umani, oltre che ledere il diritto delle persone a protestare pacificamente per questioni legate all’ambiente – il blocco stradale è infatti una tecnica utilizzata spesso da gruppi quali Extintion Rebellion. Per quanto riguarda articoli come il 19 e il 21 (che introducono aggravanti per fatti violenti commessi contro le forze dell’ordine o al fine di impedire la costruzione di «infrastrutture strategiche»), i Relatori fanno notare che il linguaggio utilizzato dai relatori non definisce con chiarezza cosa si intenda con «violenza». In aggiunta a ciò, impedire alle persone di realizzare atti di protesta pacifici in relazione alla realizzazione di infrastrutture strategiche costituisce una ulteriore limitazione del diritto di manifestare.

Secondo l’analisi effettuata dai Relatori ONU, se le norme contenute all’interno della bozza di decreto fossero approvate così come sono violerebbero una lunga serie di normative europee, tra le quali «l’art. 9 (diritto alla libertà e alla sicurezza e la proibizione della detenzione arbitraria), 12 (diritto alla libertà di movimento), 14 (diritto a un giusto processo), 17 (diritto alla privacy), 19 (diritto alla libertà di espressione e opinione), 21 (libertà di riunione pacifica) e 22 (libertà di associazione) del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR)». Il testo potrebbe anche contenere violazioni degli obblighi dell’Italia specificati all’interno della Convenzione Aarhus (sui diritti dei cittadini alla partecipazione nei processi decisionali e all’accesso alla giustizia sui temi ambientali) della Commissione Economica per l’Europa (UNECE), ratificata dall’Italia nel 2001. Inoltre, notano i Relatori, il rischio è che chi è già discriminato per ragioni di razza, colore della pelle, nazionalità o status migratorio si trovi ad essere enormemente più colpito da questo provvedimento rispetto ad altre persone.

La discussione in merito al nuovo decreto Sicurezza, misura cardine del governo Meloni, è in discussione in Parlamento da qualche mese. La società civile si è in più occasioni mobilitata per chiedere che il governo riveda le sue posizioni e non approvi il decreto, che secondo vari legislatori, ONG e personalità della società civile è profondamente lesivo del diritto al dissenso. Al suo interno sono presenti anche misure alquanto controverse, come l’art. 31, che amplia in maniera significativa i poteri dell’intelligence costringendo alla collaborazione una lunga serie di servizi pubblici – come le università. Parallelamente a ciò, il nuovo decreto amplia in maniera significativa i poteri delle forze dell’ordine, che ora potranno portare con sè, anche fuori servizio e anche senza licenza, le armi di cui all’art. 42 del TULPS (Testo Unico sulla Pubblica Sicurezza), ovvero «rivoltelle o pistole di qualunque misura o bastoni animati la cui lama non abbia lunghezza inferiore a 65 cm». Infine, tra le novità principali introdotte dal disegno di legge vi è il divieto di coltivare e vendere la cannabis light, proibendo il commercio, la lavorazione e l’esportazione di foglie, infiorescenze e di tutti i prodotti che contengono sostanze derivate dalla pianta di canapa – misura che, così per come è concepita, andrà a colpire tutta la filiera di produzione della canapa industriale, mettendo dunque a repentaglio migliaia di posti di lavoro.

[di Valeria Casolaro]

Biden impone restrizioni all’export di chip nei confronti di 120 Paesi nel mondo

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Il presidente statunitense Joe Biden, in quella che probabilmente sarà la sua ultima azione politica prima dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, il 13 gennaio ha imposto restrizioni all’esportazione di chip informatici avanzati utilizzati per alimentare l’intelligenza artificiale ad un totale di 120 Paesi nel mondo. Se l’amministrazione Trump non interverrà per abrogare tale decisione, le restrizioni entreranno in vigore tra tre mesi. Le nuove normative limiteranno il numero di chip IA che possono essere esportati nella maggior parte dei Paesi e consentiranno l’accesso illimitato alla tecnologia IA degli Stati Uniti per i più stretti alleati dell’America, mantenendo invece un blocco totale sulle esportazioni verso Cina, Russia, Iran e Corea del Nord. Tra i Paesi esentati dalle restrizioni figurano 10 Stati dell’Unione Europea, Italia inclusa.

Tra i Paesi esenti del ban statunitense figurano: Australia, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Corea del Sud, Spagna, Svezia, Taiwan e Regno Unito. Per quanto concerne invece Cina, Russia, Iran e Corea del Nord, le esportazioni sono completamente vietate. L’UE si è detta «preoccupata» per la decisione dell’amministrazione Biden, che limita l’accesso alle esportazioni di chip avanzati di intelligenza artificiale anche per alcuni dei suoi Stati membri. La piccata reazione di Bruxelles è arrivata con un comunicato congiunto della vicepresidente esecutiva della Commissione Europea, Henna Virkkunen, e del commissario UE per il Commercio, Maroš Šefčovič. «Siamo preoccupati per le misure adottate dagli Stati Uniti che limitano l’accesso alle esportazioni di chip AI avanzati per determinati Stati membri dell’UE e le loro aziende» si legge nel comunicato.

Alle aziende statunitensi che producono ed esportano tecnologia avanzata per l’IA sarà richiesto il rispetto di condizioni rigorose in termini di trasparenza, rendicontazione e sicurezza. In particolare,i fornitori globali come Amazon Web Services e Microsoft, non potranno distribuire più del 50 per cento della potenza di calcolo totale fuori dagli Stati Uniti. «L’intelligenza artificiale sta rapidamente diventando centrale sia per la sicurezza che per la forza economica. Gli Stati Uniti devono agire con decisione per guidare questa transizione assicurandosi che la tecnologia statunitense sostenga l’uso globale dell’intelligenza artificiale e che gli avversari non possano facilmente abusare dell’intelligenza artificiale avanzata. Nelle mani sbagliate, i potenti sistemi di intelligenza artificiale hanno il potenziale per esacerbare significativi rischi per la sicurezza nazionale, anche consentendo lo sviluppo di armi di distruzione di massa, supportando potenti operazioni informatiche offensive e aiutando le violazioni dei diritti umani, come la sorveglianza di massa. Oggi, i Paesi interessati impiegano attivamente l’intelligenza artificiale, inclusa l’intelligenza artificiale prodotta negli Stati Uniti, in questo modo e cercano di minare la leadership dell’intelligenza artificiale degli Stati Uniti», è scritto nella nota rilasciata dalla Casa Bianca, nel merito della decisione adottata dell’amministrazione uscente.

Secondo Politico, la decisione di Biden arriva dopo due importanti eventi che si sono verificati nella comunità scientifico-tecnologica dell’intelligenza artificiale. Il primo riguarda il rilascio dell’ultimo modello di OpenAI, o3, il quale ha ottenuto una positività dell’88% in una serie di test di ragionamento difficili per cui nessun sistema di intelligenza artificiale aveva precedentemente ottenuto un punteggio superiore al 32%. Il secondo evento riguarda invece un’azienda cinese, DeepSeek, la quale ha rilasciato un modello di intelligenza artificiale open source che ha superato qualsiasi modello linguistico open source statunitense. Il risultato avrebbe sorpreso molti ricercatori di intelligenza artificiale e funzionari statunitensi, i quali avevano creduto che la Cina fosse rimasta indietro in termini di capacità di intelligenza artificiale. DeepSeek è riuscita a creare un modello di intelligenza artificiale di livello mondiale nonostante un embargo globale sulla vendita di chip di intelligenza artificiale avanzati alla Cina, posto in essere dal governo degli Stati Uniti. Quindi, estendendo le restrizioni a 120 Paesi nel mondo, gli Stati Uniti cercando di fare in modo che la Cina non posso ottenere la tecnologia statunitense da terze parti. Inoltre, con tale decisione, l’amministrazione Biden tenta reindustrializzare gli Stati Uniti nel settore delle nuove tecnologie, cercando anche di creare migliaia di posti di lavoro.

Resta da capire se la mossa di Biden sarà confermata anche dall’amministrazione Trump o se il presidente eletto la abrogherà. Ci sono però i presupposti che tale mossa venga mantenuta, alla luce della volontà politica di Trump di attuare una specie di protezionismo economico per gli Stati Uniti, sebbene i suoi sostenitori del settore tecnologico, come Elon Musk, potrebbero trovarsi in disaccordo per la limitazione del mercato che subirebbero.

[di Michele Manfrin]