Dopo la prima sospensione dello scorso mercoledì 4 giugno, la Gaza Humanitarian Foundation (GHF), l’ONG americana incaricata di distribuire gli aiuti umanitari a Gaza e fortemente criticata dall’ONU e da altre agenzie internazionali, ha nuovamente fermato questa mattina le attività nella Striscia. «State lontani dai punti di distribuzione per la vostra sicurezza», ha riferito la fondazione, che non specifica quando le attività ricominceranno. Sono decine i palestinesi uccisi e centinaia quelli feriti dall’esercito israeliano nei giorni scorsi, mentre cercavano di ricevere gli aiuti umanitari nei punti di distribuzione della GHF.
Molfetta, appalti in cambio di voti: arrestato sindaco Minervini
Il sindaco di Molfetta, Tommaso Minervini, è stato ristretto agli arresti domiciliari nell’ambito di un’inchiesta della Guardia di Finanza su presunte irregolarità negli appalti in cambio di voti. Stessa misura per la dirigente comunale Lidia De Leonardis. Disposte anche interdizioni per due dirigenti comunali, il divieto di dimora per un ex luogotenente della Guardia di Finanza e restrizioni per un imprenditore portuale. Le accuse, che ruotano attorno alla gestione del nuovo porto commerciale di Molfetta, comprendono corruzione, turbativa d’asta, peculato e falso. Minervini, secondo la ricostruzione dei magistrati, avrebbe promesso la gestione trentennale delle banchine in cambio di sostegno elettorale.
Il precariato nella scuola è diventato un affare per le università telematiche
L’anno scolastico 2023/2024 si è chiuso con un record di precari: 250.000 tra personale docente e personale amministrativo tecnico e ausiliario ATA. Per quanto riguarda gli insegnanti, i contratti a tempo determinato annuali (dal primo giorno di scuola al 31 agosto) e a termine (fino al 30 giugno) sono stati circa 230.000 su un totale di quasi 900.000 docenti in servizio. In pratica, un lavoratore su quattro era precario. La condizione di precariato non si limita però a un contratto che scade ogni estate, ma assume diverse forme, frustranti e difficili da gestire. Inseriti nelle graduatorie provinciali di supplenza (GPS, che si dividono tra una prima fascia di personale abilitato e una seconda di non abilitato), i docenti non di ruolo arrivano a stravolgere la propria vita pur di lavorare. Un sistema talmente incrostato da essere ormai diventato un nuovo modo per fare affari da parte delle università telematiche, che “offrono” crediti formativi che i docenti devono prendere per provare a migliorare la posizione in graduatoria, pagandoli carissimi.
Vite precarie
I primi giorni di scuola, nelle segreterie scolastiche del Nord, non è raro incontrare insegnanti appena arrivati da regioni del Mezzogiorno. Spesso, infatti, si sceglie di non iscriversi alle GPS della provincia di residenza, nella convinzione che in altre zone ci siano maggiori possibilità di essere chiamati. Questo significa lasciare la propria casa da un giorno all’altro per spostarsi in un luogo dove si ha il lavoro ma non un alloggio, che viene cercato rapidamente scontrandosi con la scarsa offerta abitativa e il caro affitti, magari incontrando solamente proposte di affitti brevi.

È solo l’inizio. È frequente che, per completare l’orario, un docente accetti più “spezzoni” – così chiamati gli incarichi con orario parziale – anche in istituti differenti, dovendo quindi organizzarsi con gli spostamenti in modo da entrare in classe in orario. Ma essere precari a scuola può anche significare accettare contratti della durata di pochissimi giorni. Francesca, non abilitata iscritta alle GPS in una provincia del Nordest, quest’anno è stata chiamata solo per una sostituzione breve di qualche settimana e da settembre a oggi ha ricevuto numerose proposte di supplenza che non arrivavano a sette giorni. Se non si ha la fortuna di ottenere l’annualità, i precari della scuola vanno avanti a suon di brevi supplenze, così da maturare punteggio e aumentare il proprio posizionamento nelle GPS. Per avanzare nelle graduatorie, oltre al servizio maturato e ai titoli di studio, ci sono una serie di certificazioni che si possono conseguire, come quelle informatiche o linguistiche.
Per esempio, per un totale di quattro punti e a un prezzo variabile in base all’offerta che si trova, si possono seguire dei corsi on line per ottenere le competenze digitali che attestano l’abilità nell’uso della lavagna interattiva multimediale (LIM), del tablet, la conoscenza della programmazione informatica e dell’uso del computer tramite passaporto informatico europeo. Questa miriade di corsi si inserisce in una logica aziendalista che mette in competizione i docenti, impegnati in una folle corsa verso la stabilità.
I concorsi che non assicurano il ruolo

Tra dicembre 2023 e dicembre 2024, il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha indetto, in due fasi distinte, i concorsi PNRR1 e PNRR2, così denominati perché inseriti nell’ambito di assunzione previsto dal Piano Nazionale Ripresa e Resilienza. Mentre il primo si è concluso negli ultimi mesi del 2024, per il secondo i candidati (complessivamente 239.000 domande) hanno sostenuto nella seconda metà di febbraio di quest’anno la prima prova. In entrambi i casi, per partecipare alle prove (una scritta, una orale e una pratica qualora prevista) è stato necessario rispettare uno dei seguenti requisiti: l’abilitazione all’insegnamento, il possesso di 24 crediti in materie psicopedagogiche e metodologie didattiche conseguiti entro il 2022, tre anni di servizio (di cui uno specifico nella classe di concorso prescelta) svolti negli ultimi cinque.
Il dato significativo (e, come vedremo, non casuale) è che, per la prima volta nella storia dell’istruzione italiana, questi concorsi non sono risultati abilitanti: i vincitori, qualora non già abilitati, sono stati di fatto obbligati a iscriversi ai percorsi abilitativi al fine di poter vedere garantito l’incarico assegnato dal superamento del concorso stesso. Arturo (nome di fantasia), docente di strumento musicale presso la scuola secondaria di primo grado, dopo essere risultato vincitore del concorso PNRR1, a settembre 2024 ha lasciato la residenza d’origine per trasferirsi nella regione dove aveva vinto il ruolo. Non essendo abilitato, si è visto assegnare un incarico a tempo determinato. Benché abbia più volte interpellato gli organi competenti (Ufficio scolastico regionale, funzionari scolastici) riguardo alla propria posizione contrattuale, non ha mai ricevuto risposte chiare né alcuna garanzia in merito alla conferma del proprio incarico: questione di enorme importanza, che riguarda la condizione di centinaia di docenti. L’unico elemento che si è aggiunto nel corso dell’anno è stato l’emanazione di un decreto ministeriale che, autorizzando l’avvio dei percorsi abilitanti, riservava, regione per regione, una quota di posti disponibili ai vincitori di concorso. Arturo si è trovato costretto a iscriversi ai suddetti corsi per una cifra di circa 2000 euro, oltre a dover chiedere aspettativa dall’insegnamento: la calendarizzazione delle lezioni coincide con il suo orario di servizio. Si è creata, così, la situazione paradossale per cui il docente che ha ottenuto il posto è stato sostituito da un supplente, in questo caso anch’egli proveniente da un’altra regione. La condizione di Arturo riflette una dinamica strutturale che, per la prima volta in Italia, estende lo stato di precarietà anche ai vincitori di concorso.
A tutto questo si aggiunge un elemento che sfiora il grottesco. In una delle sessioni della prova scritta del concorso PNRR2, svoltosi a febbraio di quest’anno, è stata rilevata una domanda formulata in maniera errata sulle 50 elaborate e proposte dal Ministero. Dopo settimane di silenzio da parte degli organi ufficiali, centinaia di insegnanti coinvolti in questa prova si sono visti riconvocare per recuperare in massimo cinque minuti il quesito “scorretto”. Per chi, come Arturo, ha partecipato all’esame fuori regione, questa falla ministeriale ha comportato ulteriori viaggi e ulteriori spese, sostenute nel timore di non poter accedere all’esame orale.
Il business dei crediti abilitanti
Ma in cosa stanno investendo i docenti? I corsi abilitanti – funzionali a entrare in prima fascia e a garantirsi la possibilità di partecipare ai futuri concorsi e, di conseguenza, alle procedure di immissione in ruolo – si dividono in percorsi da 60, 36 e 30 crediti formativi e vi si accede in base a determinati requisiti. Il loro prezzo varia da 2000 a 2500 euro, a cui si aggiungono i 150 di iscrizione alla prova finale. Inoltre, poiché solo alcuni corsi prevedono lo svolgimento interamente on line, coloro che si sono iscritti a un’università distante dalla propria residenza devono sommare i costi degli spostamenti e dei pernottamenti.
Ma non è finita qui. Il percorso da 60 crediti prevede un tirocinio diretto di 180 ore da svolgere in scuole convenzionate con l’ateneo di riferimento e sotto la supervisione del tutor dei tirocinanti. È possibile svolgerlo – a titolo gratuito – anche nella scuola dove si presta servizio come supplente, a condizione che non si faccia nella propria classe, che non coincida con le ore di insegnamento e che la scuola sia accreditata. Oltre all’enorme carico di lavoro che si aggiunge nel portare avanti parallelamente l’insegnamento e il tirocinio, qualora il proprio istituto non fosse riconosciuto si è costretti a chiedere aspettativa o a licenziarsi per portare a termine il ciclo intrapreso.
Monica Motter, segretaria del Trentino Alto Adige con funzione vicaria UIL Scuola, ha dichiarato a L’Indipendente che molte università hanno fissato lezioni in presenza durante gli esami di Stato di primo e secondo ciclo (scuola media e superiori). I docenti si trovano così a dover scegliere se essere sostituiti durante le prove di fine ciclo scolastico, non accompagnando la propria classe in questo passaggio, oppure saltare le lezioni, con il rischio di non raggiungere il 70% della presenza obbligatoria e vedendo così sfumare la possibilità di abilitarsi al netto del pagamento.

Questa sovrapposizione temporale sottolinea ancora una volta come questi percorsi non rispecchino le esigenze dei docenti obbligati a destreggiarsi tra la vita, gli impegni lavorativi e le rigidità burocratiche. Allo stesso tempo, i calendari programmati dalle università non vanno incontro nemmeno alle necessità delle scuole: si sta creando un vero e proprio cortocircuito per cui un impegno obbligatorio inerente allo svolgimento delle funzioni proprie del personale scolastico è impedito da un percorso di studi creato, nella teoria, per rendere i docenti ancora più idonei al loro mestiere.
Come già si è potuto capire dai prezzi dei percorsi abilitanti, a manifestarsi come centrale è la questione economica, perché determina l’equiparazione tra studente e cliente. La teoria dei crediti e debiti formativi, infatti, avvalla la logica per cui l’università vende qualcosa che lo studente acquista se ha il denaro sufficiente. In questo modo, il sapere è ridotto a un valore di scambio che, come spiega il sociologo Alessandro Dal Lago in Contro la società pedagogica, ribadisce il rapporto di subordinazione tra l’educando e l’educatore. Tale condizione di subalternità rischia, in questo caso, di essere ancora più frustrante, poiché l’alunno è spesso anch’egli un docente con anni di esperienza alle spalle. Attraverso la lente di questo mercato dei crediti si riesce però anche a comprendere il possibile interesse monetario che sta dietro alla scelta di istituire concorsi non abilitanti: tra l’anno scolastico 2023/2024 e quello 2024/2025 il totale dei posti dei percorsi accreditati è stato di 79.479, ripartiti tra le classi di concorso per università. Sebbene non sia ancora possibile avere una cifra delle persone che si sono iscritte ai cicli di 30, 36 o 60 crediti – ci si potrà fare un’idea solo quando saranno aggiornate le GPS – è lecito credere che la maggior parte dei posti disponibili sia stato occupato creando un giro d’affari dalle immense dimensioni.
Questa compra-vendita dei percorsi abilitanti non solo restituisce all’università la dimensione dell’azienda erogante servizi e dei clienti acquirenti di servizi, ma fa sì che la formazione offerta, più che migliorare le prestazioni dei docenti, sia funzionale a foraggiare le casse delle università pubbliche e private. La scelta politica di istituire concorsi con le caratteristiche di quelli PNRR1 e PNRR2 e nuovi corsi abilitanti permette di affermare che oggi i docenti sono costretti a comprarsi il lavoro poiché, qualora si decidesse di non ottenere i crediti, si rischia di rimanere indietro nelle GPS e non ottenere alcun incarico. In questo scenario, che vede nel lavoro un dovere individuale e non un diritto di cui si può eventualmente godere, sembrerebbe assente una lotta sindacale capace di creare solidarietà tra i lavoratori della scuola, piuttosto che una concorrenza dettata dall’individualizzazione della condizione di precarietà.
Israele ha lanciato 17 attacchi nella periferia sud di Beirut
Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno effettuato almeno 17 attacchi nella periferia sud della capitale libanese Beirut. Lo ha riportato l’emittente Al Jazeera. Secondo quanto affermato dall’emittente libanese LBCI, gli israeliani hanno effettuato sei attacchi diretti e dieci attacchi di avvertimento e l’unico proiettile rimasto non è esploso. In precedenza, l’IDF aveva dichiarato che i suoi attacchi avrebbero preso di mira siti dell’Unità Aerea di Hezbollah a Dahieh, sobborgo meridionale di Beirut. Prima di compiere il bombardamento, l’esercito israeliano ha diramato un ordine di evacuazione dei civili, che in migliaia si erano riversati in strada per allontanarsi.
Centomila droni all’Ucraina e armi nucleari: il Regno Unito si prepara alla guerra
La Strategic Defence Review (SDR) 2025 è una revisione approfondita della politica di difesa britannica. L’obiettivo dichiarato è «Rendere il Regno Unito più sicuro, protetto in patria e forte all’estero». La politica varata da Londra è giustificata come conseguenza di un panorama di minacce in evoluzione, considerato il più serio e imprevedibile dai tempi della Guerra Fredda. Queste minacce riguarderebbero la guerra in Europa, ovvero in Ucraina, l’aggressività russa, nuovi rischi nucleari e attacchi informatici quotidiani. Il messaggio è chiaro: il governo britannico intende trasformare la sicurezza nazionale nel principio fondante della sua azione politica, anche in campo economico. A tal fine, è stato annunciato il più grande aumento sostenuto della spesa per la difesa dalla fine della Guerra Fredda, con l’obiettivo di raggiungere il 2,5% del PIL entro il 2027 e, condizioni economiche permettendo, il 3% nella prossima legislatura. Oltre a ciò, il Paese si impegna a inviare armamenti all’Ucraina tra i quali centomila droni entro l’anno 2026.
Pronti al combattimento, «Warfighting Readiness», è uno dei punti. La SDR segna un cambiamento significativo in direzione della preparazione a una ipotetica guerra, con l’obiettivo di scoraggiare le minacce e rafforzare la sicurezza nell’area euro-atlantica. Questo include la creazione di una «forza integrata» più letale, equipaggiata per il futuro, e una difesa interna rafforzata. La politica di difesa inglese sarà «NATO First», con il Regno Unito che intensifica la sua responsabilità per la sicurezza europea e cerca di assumere un ruolo di leadership sul fronte europeo all’interno dell’Alleanza, che vede Francia e Germania scalpitare e affannarsi per ricoprire quel ruolo all’interno dell’Unione Europea (la quale vara anch’essa ingenti piani di riarmo). Infatti, almeno a parole, Trump intende ridurre l’impegno statunitense in Europa: per la Gran Bretagna, questo implica la necessità di rafforzare le capacità nucleari, adottare di nuove tecnologie e aggiornare le capacità convenzionali.
La politica militarista prevede di utilizzare il settore della Difesa come volano per l’economia, in linea con quanto annunciato un anno fa da Draghi e da quanto sta facendo l’Unione Europea, così come i suoi stessi Stati membri. Quindi, la difesa vista come un fattore di crescita, stimolo per un aumento dei posti di lavoro e di prosperità con una nuova partnership con l’industria, attraverso riforme radicali degli appalti e il sostegno alle imprese del Regno Unito. Tradotto, dare linfa all’economia britannica attraverso il complesso militare-industriale. L’obiettivo è aumentare la spesa per la difesa al 2,5% del PIL entro il 2027 e al 3% nel prossimo Parlamento, se le condizioni economiche lo permetteranno.
La SDR enfatizza il ruolo della guerra in Ucraina come fonte di apprendimento militare in termini di droni, dati e guerra digitale, al fine di rendere le forze armate più forti e sicure – il conflitto, insomma, sarebbe un laboratorio di prova che va mantenuto in vita. «Il nostro obiettivo è semplice: fornire all’Ucraina tutto il necessario per combattere ora e garantire una pace duratura in futuro», ha dichiarato il segretario alla Difesa del Regno Unito John Healey, durante un recente briefing a seguito della 28a riunione del Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina (Ramstein-28). Con più di 10.000 droni consegnati in Ucraina l’anno scorso dal Regno Unito, altre decine di migliaia sono già state consegnate verso un nuovo ambizioso obiettivo di 100.000 droni per l’anno finanziario in corso. L’investimento record di 350 milioni di sterline in droni per l’Ucraina fa parte del sostegno militare di 4,5 miliardi di sterline del Regno Unito quest’anno.
Si prevede l’introduzione di armi a energia diretta, l’aumento delle capacità corazzate dell’esercito con l’intelligenza artificiale e sciami di droni e l’aggiornamento della Royal Air Force con jet di prossima generazione e caccia autonomi. Per la marina, la Gran Bretagna prevede di produrre un nuovo sottomarino nucleare ogni 18 mesi. Dunque, si mira a una nuova visione delle forze armate britanniche, combinando potenziale nucleare, convenzionale e digitale, dove la potenza di droni e l’intelligenza artificiale si uniscono ai più tradizionali carri armati e all’artiglieria. Il rapporto delinea profonde riforme necessarie per garantire che il Regno Unito possa compiere questa profonda riforma. Questo include la ristrutturazione dei detentori del budget del Ministero della Difesa da dieci a quattro e l’attribuzione di nuovi poteri al Capo di Stato Maggiore della Difesa. La SDR raccomanda un aumento del 30% del numero di cadetti e lo sviluppo di una nuova riserva strategica entro il 2030, oltre a un programma di “anno sabbatico” volontario per i diplomati.
In sintesi, la Strategic Defence Review 2025 delinea un cambiamento significativo nella politica di difesa del Regno Unito, concentrandosi sulla prontezza al combattimento, una forte leadership all’interno della NATO, l’innovazione tecnologica ispirata dalle lezioni recenti e un aumento degli investimenti nella difesa come motore di crescita economica.
Puglia, corruzione: chiesti arresti domiciliari per assessore Delli Noci
La Procura di Lecce ha chiesto gli arresti domiciliari per Alessandro Delli Noci, assessore allo Sviluppo economico della Regione Puglia, nell’ambito di un’inchiesta su una presunta associazione per delinquere finalizzata a corruzione, turbativa d’asta e frode sui fondi pubblici dei Programmi integrati di agevolazione (Pia). Chiesta anche la custodia cautelare in carcere per l’imprenditore Alfredo Barone, oltre a cinque domiciliari e quattro misure interdittive. Il presidente della Regione, Michele Emiliano, ha espresso fiducia nella giustizia e in Delli Noci, auspicando tempi rapidi per l’accertamento della verità.
BCE, abbassati tassi d’interesse per l’ottava volta
La Banca centrale europea ha ridotto oggi di 25 punti base il tasso di riferimento sui depositi, portandolo al 2%, il livello più basso da oltre due anni. Dal prossimo 11 giugno scenderanno anche i tassi sulle operazioni di rifinanziamento principali (2,15%) e marginali (2,40%). Il taglio, che dimezza il picco raggiunto nel giugno 2024, è motivato dalla diminuzione delle pressioni inflazionistiche. A maggio, infatti, l’inflazione annua nell’Eurozona è scesa all’1,9%, contro il 2,2% di aprile e al di sotto dell’obiettivo del 2% fissato dalla BCE.
In Malesia l’industria del legno minaccia le comunità indigene
Un nuovo rapporto pubblicato da Human Rights Watch denuncia come l’industria del legno stia minacciando l’esistenza delle comunità indigene che vivono in Malesia. Nello specifico, il dettagliato rapporto racconta come la comunità di Rumah Jeffery, che vive nel profondo della foresta pluviale del Sarawak, lungo le rive del fiume Belawit, nel Borneo, sia minacciata dalla società di legname Zedtee. Questa azienda intende utilizzare il territorio in cui vive la comunità indigena per farne una piantagione di legname utile per la produzione di pellet, per cui occorre prima deforestare e distruggere la foresta ricca di biodiversità affinché si possano coltivare monoculture arboree. La comunità locale, che rischia lo sfratto forzato, in base al diritto internazionale riguardante i popoli indigeni, dice di non aver mai dato il proprio assenso allo sfruttamento delle risorse dell’area.
Rumah Jeffery, una piccola comunità indigena appartenente al gruppo etnico Iban che si trova nella foresta pluviale nello stato malese del Sarawak, situato nella parte nord-occidentale del Borneo, rischia di essere deportata con la forza dalla propria terra a causa dell’espansione dell’industria del legname che intende trasformare la foresta in una monocultura arborea per la produzione di pellet. Rumah Jeffery, che conta appena 60 membri, gestisce 520 ettari di foresta pluviale. Gli Iban traggono dal loro ambiente tutto ciò che occorre loro per la propria sussistenza. Comunicando con gli spiriti della foresta, gli Iban proteggono la sua biodiversità e le creature che vi abitano, così come i loro siti sacri e le zone di sepoltura dei propri antenati. Il governo di Sarawak ha però concesso a Zedtee due contratti per stabilire piantagioni di legname. I membri della comunità hanno detto a Human Rights Watch di non aver mai acconsentito a rinunciare alla loro terra o alle loro risorse forestali. Tuttavia, nel 2022, Zedtee ha registrato una parte della foresta di Rumah Jeffery senza il loro consenso libero, preventivo e informato, un principio di diritto internazionale di lunga data che si riferisce al diritto delle popolazioni indigene di dare o trattenere il loro consenso per qualsiasi azione che influenzi o modifichi le loro terre, i territori o le risorse.
L’azienda ha già abbattuto diversi ettari di preziosi alberi da frutto. Gli Iban hanno detto di aver affrontato i bulldozer nel tentativo di fermare la deforestazione. Per tutta risposta, il Dipartimento Forestale del Sarawak li ha minacciati di arresto. Zedtee ha denunciato i residenti di Rumah Jeffery, accusando la comunità di invadere il territorio oggetto del contratto di locazione, chiedendo la loro rimozione. Così, il Dipartimento Forestale di Sarawak ha emesso un ordine di sfratto contro la comunità nell’ottobre 2022. Gli Iban hanno fatto appello a più uffici governativi senza ottenere alcuna risposta ufficiale. Se il Dipartimento Forestale di Sarawak effettuasse lo sfratto, equivarrebbe ad un atto di forza in violazione dei diritti umani riconosciuti a livello internazionale alle popolazioni indigene. Le autorità hanno emesso l’avviso di sfratto alla comunità di Rumah Jeffery negando agli Iban qualsiasi opportunità di contestazione, senza peraltro aver seguito un inter decisionale che li avesse coinvolti. Nessuna offerta di alloggio alternativo o compensazione pecuniaria è stata fatta alla comunità, che comunque non ha mai acconsentito a lasciare il proprio territorio.
La rimozione sarebbe quindi contro la volontà dei membri della comunità, come indicato in una lettera che gli Iban hanno inviato al Sarawak Land and Survey Department. Secondo Human Rights Watch, Zedtee avrebbe così violato anche i termini del Malaysian Timber Certification Standard (MTCS), un programma di certificazione obbligatorio per le piantagioni forestali nel Sarawak, negando il diritto della comunità di gestire la propria foresta. La condotta di Zedtee nei confronti di Rumah Jeffery, con il sostegno del governo, è un esempio di un abuso a cui sono sottoposte numerose comunità indigene, non solo in tutto il Sarawak, ma in tutta la Malesia. Nel 1960, il 90% del Sarawak era coperto da foreste primarie: oggi sono meno del 10%. Gli sgomberi su larga scala hanno lasciato il posto a vaste monocolture di palma da olio e legno. Le piantagioni commerciali hanno invaso incessantemente le terre indigene e sfrattato i loro abitanti.
La Malesia, in quanto Stato membro delle Nazioni Unite, è tenuta al rispetto di tutti i trattati e di tutte le dichiarazioni, compresa la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni. Come ricorda Human Rights Watch, la Corte Internazionale di Giustizia ha riconosciuto il diritto di tutte le persone all’autodeterminazione ai sensi del diritto internazionale consuetudinario. Il meccanismo di esperti delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni ha rilevato che, nel contesto dei diritti dei popoli indigeni, il diritto all’autodeterminazione include il diritto di avere il controllo e di prendere decisioni sulle loro terre e risorse.








