domenica 24 Novembre 2024
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Come la “terapia canguro” salva la vita a migliaia di bambini ogni anno

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La “terapia canguro”, ovvero il posizionare il figlio a stretto contatto con le madri collocandolo sul loro petto, aiuta a stabilizzare i nati prematuri e può salvare migliaia di vite ogni anno: è ciò che emerge da una nuova ricerca sottoposta a revisione paritaria pubblicata sulla rivista scientifica The Lancet. L’analisi ha coinvolto cinque ospedali in tutta l’Uganda e ha scoperto che iniziare la “marsupio terapia” prima che i bambini fossero stati clinicamente stabilizzati ha salvato il 14% in più di vite umane nei primi 28 giorni di vita. La ricerca, secondo l’autrice senior, pediatra e professoressa Joy Lawn, è la prima a dimostrare il vantaggio nel rapporto costo-efficacia dell’implementazione della tecnica prima della stabilizzazione clinica dei neonati e rappresenta quindi una vera e propria «opportunità» per adottare nuove strategie per combattere la mortalità neonatale, che è una delle principali cause di morte infantili nel mondo.

La terapia canguro consiste nel tenere il bebè appena nato in un contatto pelle a pelle continuo e prolungato, favorendo anche l’allattamento al seno e la dimissione veloce. Il bambino viene avvolto in una copertina e sistemato in posizione verticale sul petto del genitore, che decide di tenerlo con lui sulla base dello stato di salute del figlio. Grazie alla connessione fisica ed emotiva, che si attua attraverso sguardi, sorrisi, suoni e contatto fisico, si ottiene anche una modulazione dello stress e viene promosso un sano sviluppo neuro-comportamentale. In particolare, come spiegano gli esperti, serve anche a «stabilizzare i parametri cardio-respiratorio e l’omeostasi termica del neonato». Tale tecnica non è magia quindi, ma scienza, e ciò trova conferma anche in un recente studio pubblicato su The Lancet.

La ricerca è stata condotta individualmente a gruppi paralleli in cinque ospedali in Uganda e – spiegano i ricercatori – mira a proporre nuove strategie per la gestione della nascita prematura, che è la causa principale di morte nei bambini di età inferiori a 5 anni in tutto il mondo. Sono stati considerati idonei 2.221 neonati dal peso compreso tra i 700 ed i 2.000 grammi senza instabilità cliniche pericolose per la vita e si è scoperto che la terapia canguro ha salvato il 14% in più di bambini nei primi 28 giorni di vita. «L’effetto del 14% sulla mortalità è notevole se lo si applica a milioni di neonati vulnerabili in tutto il mondo. Questa è un’opportunità per cambiare davvero la traiettoria della sopravvivenza neonatale, che è uno degli obiettivi globali più fuori strada. Ma per ottenere questi vantaggi, i governi e i partner nazionali dovranno investire», ha dichiarato la professoressa Joy Lawn, coautrice, pediatra ed epidemiologa presso la London School of Health & Tropical Medicine. La tecnica «pone giustamente la famiglia al centro della cura del proprio bambino» ha poi affermato, aggiungendo: «Il contatto pelle a pelle fornisce calore, ma supporta anche meglio l’allattamento al seno e protegge i bambini dalle infezioni, quindi spesso tornano a casa prima».

Si tratta di una scoperta che potrebbe avere conseguenze tutt’altro che indifferenti soprattutto per i Paesi a basso reddito che dispongono di attrezzature specialistiche limitate: «Questo studio dimostra che ci sono azioni che possiamo intraprendere ora per ridurre le morti neonatali, ma la terapia canguro non è una bacchetta magica. Abbiamo ancora bisogno di più infermieri neonatali, di più spazio e di dispositivi di base, ma insieme una maggiore attenzione a questi interventi potrebbe iniziare a cambiare il progresso della sopravvivenza nazionale in molti paesi, soprattutto in tutta l’Africa», ha aggiunto, sottolineando però che anche la madre non interviene da sola: «La madre ha bisogno di rispetto. Ha bisogno di una stanza con letti, non puoi aspettarti che faccia dalle 12 alle 18 ore di marsupio cura senza docce. Anche l’assistente ha bisogno di cure». In tutti i casi però, conclude la professoressa, «ovunque tu sia nel mondo, se sei nato molto prematuro, è meglio essere pelle a pelle con tua madre».

[di Roberto Demaio]

Ucraina: la Germania autorizza uso di armi tedesche contro obiettivi in Russia

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Il governo tedesco ha autorizzato l’esercito ucraino a utilizzare gli armamenti forniti dalla Germania per attaccare obiettivi militari in territorio russo. Lo ha annunciato oggi il portavoce del governo, Steffen Hebestreit, il quale ha dichiarato che «Germania e Ucraina hanno concordato che le armi che forniremo saranno utilizzate in conformità con il diritto internazionale». La richiesta di dare la possibilità all’Ucraina di colpire obiettivi in Russia era arrivata la scorsa settimana dal segretario generale della Nato Stoltenberg. Negli scorsi giorni, anche il presidente USA Joe Biden ha autorizzato Kiev a colpire obiettivi in Russia con armi americane per difendere Kharkiv, dove è in corso l’avanzata di Mosca.

L’ultima trovata della Lega: carcere per manifesti e pubblicità con la foglia di cannabis

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Vietare il consumo della cannabis, anche nella sua forma priva di THC, non basta. Ora la Lega vorrebbe addirittura vietare «l’utilizzo di immagini o disegni, anche in forma stilizzata, che riproducano l’intera pianta di canapa o sue parti su insegne, cartelli, manifesti e qualsiasi altro mezzo di pubblicità per la promozione di attività commerciali». La pena, per chi violi tale disposizione, potrebbe prevedere «la reclusione da 6 mesi a 2 anni» e una multa «fino a 20 mila euro». Le disposizioni sono contenute nel subemendamento, depositato dal deputato leghista Igor Iezzi alla Camera, all’emendamento sulla cannabis al ddl Sicurezza voluto dal governo. Il pacchetto Sicurezza si trova attualmente in discussione presso le commissioni Affari Costituzionali e Giustizia della Camera.

La proposizione di questo subemendamento è solo l’atto conclusivo di una battaglia spietata portata avanti dai partiti della maggioranza contro la cannabis. Nell’aprile del 2023, la deputata di FDI Augusta Montaruli aveva presentato formalmente una proposta di legge in cui si prevedeva di alzare a 5 anni la pena massima per chi produce, traffica e detiene sostanze stupefacenti o psicotrope quando il fatto è “di lieve entità”, con l’obiettivo di dare «alla magistratura giudicante questo ulteriore strumento per arginare la reiterazione del delitto quando gli elementi de facto a seguito di una puntuale e attenta valutazione siano tali da richiederne l’applicazione». Nell’estate dello scorso anno, poi, il governo aveva ulteriormente alzato il tiro, emanando un decreto che equiparava i prodotti per uso orale a base di cannabidiolo a sostanze stupefacenti, vietandone il commercio. Dall’entrata in vigore del testo, pubblicato il 20 settembre in Gazzetta Ufficiale, essendo diventata illegale anche la detenzione all’interno dei punti vendita, erano scattati perquisizioni e sequestri da parte delle forze dell’ordine. A reagire era stata l’associazione Imprenditori Canapa Italia (Ici), che aveva avanzato un ricorso definendo “illegittimo” il decreto a causa della mancanza del parere dell’Iss, contestando la decisione di ricondurre il cannabidiolo tra le sostanze stupefacenti o psicotrope. Il TAR del Lazio, a ottobre, ha bocciato il decreto del governo, accogliendo il ricorso di Ici e rendendo nuovamente consentito il commercio dei prodotti. Solo pochi giorni fa, è andato in scena un nuovo blitz: con un emendamento al Ddl Sicurezza, l’esecutivo ha proposto il divieto della produzione e del commercio della cosiddetta cannabis light, stabilendo il ritorno all’equiparazione della cannabis light, ovvero quella con quantità di Thc inferiore allo 0,2% (che attualmente può essere venduta nei negozi commerciali), alla cannabis ‘normale’, che figura nella lista delle sostanze stupefacenti citate nel Testo Unico sulle Sostanze Stupefacenti. Federcanapa, associazione del settore, ha indirizzato una lettera alla commissione di Giustizia della Camera dei Deputati per sollecitare un dietrofront, scrivendo che il divieto “non danneggerebbe solamente il commercio della cosiddetta ‘cannabis light’, ma andrebbe a colpire l’intero comparto agroindustriale della canapa da estrazione, in particolare della produzione di derivati da Cbd o da altri cannabinoidi non stupefacenti per impieghi in cosmesi, erboristeria o negli integratori alimentari”, ricordando che “tali impieghi sono riconosciuti dalla normativa europea come impieghi legittimi di canapa industriale”. Ciò non è evidentemente bastato a frenare l’azione repressiva della maggioranza, che ieri ha partorito il subemendamento per vietare i manifesti e le pubblicità con la foglia di cannabis.

Per cannabis light si intende la sostanza ricavata dalle infiorescenze femminili della pianta di cannabis, che vengono selezionate proprio per il loro basso contenuto di THC e per la ricchezza di CBD, composto che non ha effetti psicotropi. Nel novembre 2020, in un’importante pronuncia la Corte di giustizia dell’Unione Europea aveva affermato che i prodotti a base di CBD non devono essere considerati come stupefacenti, sottolineando che “il divieto di commercializzazione del CBD costituisce una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative delle importazioni, vietata dall’articolo 34 TFUE”. La stessa Organizzazione mondiale della sanità, in un report di pochi anni prima, aveva asserito che il CBD, non provocando effetti collaterali sulla salute degli esseri umani, è ben tollerato dall’organismo, evidenziando la sua potenziale applicazione in ambito medico. Gli effetti analgesici e antinfiammatori della sostanza, in grado di ridurre la percezione del dolore e di agire come ansiolitico, calmante e anticonvulsionante, sono ormai attestati da anni. Mentre l’Italia fa la guerra alla cannabis, l’Europa e il mondo si muovono in maniera sempre più chiara verso la regolarizzazione del suo mercato. In ultimo, lo scorso febbraio, la Germania ha approvato il provvedimento sulla legalizzazione parziale della cannabis ad uso ricreativo, permettendo il possesso e la coltivazione di cannabis alle persone maggiorenni, che potranno portare con sé fino a 25 grammi di cannabis, possederne in casa fino a 50 grammi e coltivarne fino a tre piante. Si consentirà inoltre ai componenti dei “cannabis club”, che saranno autorizzati a partire dal mese di luglio, di acquistare la cannabis per finalità ricreative.

[di Stefano Baudino]

Donald Trump è il primo ex presidente USA ad essere stato condannato

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Con un verdetto unanime i dodici giurati della corte di New York hanno stabilito che Donald Trump è colpevole per tutti e 34 i capi d’accusa per aver falsificato altrettanti documenti contabili al fine di occultare il pagamento di 130mila dollari alla pornostar Stormy Daniels per convincerla a non rivelare la relazione sessuale che sarebbe intercorsa tra i due. La sentenza, giunta dopo due giorni di camera di consiglio, segna due prime volte nella storia americana: Trump diventerà il primo ex presidente a subire una condanna penale, nonché il primo candidato ad arrivare al voto presidenziale da pregiudicato. Il verdetto del giudice arriverà l’11 luglio prossimo, a meno di quattro mesi dalle elezioni del 5 novembre: Trump sarà condannato e la pena prevista può raggiungere i quattro anni di carcere, anche se per reati come quelli contestati al leader conservatore spesso si ottengono pene più brevi, multe o libertà vigilata. Dopo la sentenza Trump ha parlato di un «processo farsa» e di una «vergogna», sottolineando che la vera sentenza la emetteranno gli elettori. Mentre sul sito internet della sua campagna elettorale è comparsa una raccolta fondi straordinaria dove l’ex presidente viene definito «prigioniero politico».

La sentenza non avrà particolari conseguenza dal punto di vista giudiziario. È del tutto probabile che Trump non passerà nemmeno un giorno in prigione e che potrà anzi essere libero su cauzione mentre si discuterà l’appello, dopo il ricorso che i legali del magnate certamente presenteranno. Nella peggiore ed improbabile delle ipotesi potrebbe essere costretto a qualche settimana di arresti domiciliari, ma in nessun caso potrebbe essere costretto a ritirarsi dalla corsa alla Casa Bianca. La Costituzione degli Stati Uniti richiede solo che i presidenti abbiano almeno 35 anni, che siano cittadini statunitensi nati entro i confini della nazione e che vivano nel paese da almeno 14 anni. In teoria, Trump potrebbe anche prestare giuramento e governare dal carcere se dovesse vincere le elezioni.

Altro discorso, invece, quello delle possibili conseguenze elettorali in vista del voto. I sondaggi attualmente preannunciano che il nuovo scontro tra Trump e Biden sarà molto combattuto. Trump viene dato in leggero vantaggio e tutto dipenderà dal risultato delle urne in una manciata di stati chiave. Secondo molti analisti, principalmente quelli di stampo liberal, la sentenza di condanna potrebbe alienare ulteriori consensi tra l’elettorato moderato a Trump, costandogli la vittoria. Ma non è affatto detto. Trump è infatti determinato a usare il caso giudiziario come uno strumento di marketing elettorale. Già nell’agosto del 2023 trasformò la foto segnaletica scattatagli in Georgia (dove lo attende un altro processo) in un simbolo elettorale da apporre su migliaia di magliette e cappellini, mentre nell’aprile dello scorso anno, dopo la prima udienza del processo sul caso Stormy Daniels, gli analisti verificarono un suo balzo del 4% nei sondaggi tra l’elettorato repubblicano mentre la campagna elettorale raccolse 7 milioni di donazioni in poche ore. Nei prossimi giorni The Donald, punterà a fare lo stesso. La raccolta fondi straordinaria secondo quanto riportato dal suo staff procede a gonfie vele, e il candidato punterà a rafforzare la propria aurea di candidato anti-sistema e perseguitato dalla giustizia.

Insomma, ci sono tutti gli ingredienti affinché la questione giudiziaria si trasformi in una gigantesca arma elettorale per gli staff elettorali di Joe Biden e Donald Trump, con i media che faranno da cassa di risonanza a una campagna elettorale polarizzata tra “innocentisti” e “colpevolisti” e che verosimilmente distrarrà il dibattito pubblico da altre questioni politiche decisamente più interessanti per gli elettori statunitensi e per i cittadini del mondo, a cominciare dalle strategie sulla guerra in Ucraina e sul massacro in corso a Gaza.

Yemen, raid congiunti Usa-Gran Bretagna contro Huthi: 14 morti

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È di 14 morti e trenta feriti il bilancio dei raid aerei effettuati congiuntamente da Stati Uniti e Gran Bretagna contro obiettivi Houthi nella provincia di Hodeidah, in Yemen. Gli attacchi angloamericani, svolti nella capitale Sana e nella città portuale di Hodeida, hanno colpito diversi obiettivi nello Yemen. Sono state prese di mira anche le infrastrutture di telecomunicazioni a Taiz. “Gli Huthi – si legge in una nota del ministero della Difesa britannico – continuano a effettuare attacchi alle navi internazionali nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden”, da qui l’operazione per “minare le loro capacità militari”.

Sempre più comuni italiani vietano le antenne 5G: il governo prepara un piano di emergenza

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Mentre da una parte sempre più comuni ostacolano la creazione di antenne 5G invitando alla prudenza e chiedendo maggiori evidenze scientifiche che rassicurino circa gli effetti sulla salute dei cittadini, dall’altra c’è il governo che studia con Inwit, Tim e Vodafone un nuovo piano per la copertura di aree alternative da poter attuare qualora le amministrazioni meno collaborative non decidano di sbloccare i permessi: è ciò che emerge dalla nuova Relazione sullo stato di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) che, pubblicata recentemente dalla Corte dei conti, ha inserito il Piano Italia 5G tra i programmi in difficoltà. Tra i motivi che pesano sul progetto però, non vi è solo la scadenza del Pnrr, ma anche gli obiettivi europei per le reti internet ultra-veloci da realizzare entro il 2025 ed il 2030 che, secondo la stessa Commissione Ue, sarebbero attualmente realizzabili con probabilità «bassa» dall’Italia.

Il Piano Italia 5G è un intervento pubblico tramite il quale il Governo intende incentivare la realizzazione delle infrastrutture di rete per lo sviluppo e la diffusione di reti mobili 5G nelle aree a fallimento di mercato su tutto il territorio nazionale, ovvero in tutte quelle aree dove l’allocazione di servizi tramite il libero mercato non risulterebbe efficiente. Si tratta di una iniziativa in attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e prevista nella Strategia italiana per la Banda Ultra Larga, la quale prevede di sviluppare una rete in banda ultra-larga sull’intero territorio nazionale per creare un’infrastruttura pubblica di telecomunicazioni coerente con gli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea. Il Piano – come riporta il governo – ha l’obiettivo di incentivare la diffusione di reti mobili 5G in grado di assicurare un significativo salto di qualità della connettività radiomobile mediante rilegamenti in fibra ottica e la densificazione delle infrastrutture di rete, al fine di garantire velocità di downlink e uplink più alte in aree in cui non è presente, né lo sarà nei prossimi cinque anni, alcuna rete idonea a fornire una determinata connettività in tipiche condizioni di punta del traffico. Tuttavia, negli ultimi mesi l’installazione delle antenne ha trovato ostacoli non indifferenti, tra cui l’opposizione di diverse amministrazioni comunali che hanno ritardato o negato il rilascio di permessi necessari agli operatori che dovevano effettuare l’intervento chiedendo prudenza.

Tali difficoltà sono stata inserite anche nella Relazione di maggio Relazione sullo stato di attuazione del Pnrr, pubblicata recentemente dalla Corte dei Conti. All’interno del documento, infatti, si legge che sono state coperte solo 160 aree su un totale di 1.385 (circa l’11,6%), mentre le aree coperte sarebbero corrispondenti al 7,7% sul totale, nonostante le stime siano ancora in corso. L’obiettivo della linea di intervento rimodulata in sede di revisione del Piano – spiega la Relazione – è quella di estendere la copertura 5G a 1.400 km di aree a fallimento del mercato, di cui 500 kmq già provviste di copertura. Tale decisione sarebbe emersa dopo aver constatato che «la popolazione residente è concentrata in punti specifici, spesso piccoli e vicini ad aree già servite» e ha reso necessaria «una ridefinizione del perimetro dell’intervento ad almeno 1.400 km aggiuntivi di zone abitate abilitati alla copertura 5G, non più limitato esclusivamente alle aree a fallimento di mercato». Inoltre, mentre il Dipartimento per la trasformazione digitale «ha avviato una cooperazione sinergica con le Amministrazioni meno collaborative», ma al contempo ha commissionato «la predisposizione di una relazione riepilogativa delle criticità riscontrate», anche al fine di individuare zone alternative per attuare un eventuale piano di recupero, da «poter attuare qualora necessario».

Questo lavoro di sostituzione delle aree problematiche è ancora in corso e – secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore – dovrebbe rispondere ad alcuni criteri specifici. In primo luogo, si potrebbero ammettere all’intervento solo le zone che facevano parte della mappatura iniziale. Inoltre, l’area “alternativa” individuata dovrebbe comunque rientrare nella stessa zona geografica del lotto a cui appartiene il comune che ostacola gli impianti e, infine, deve esserci un accordo sia di Inwit – la società italiana che opera nel settore delle infrastrutture per le telecomunicazioni elettroniche – che di almeno uno tra i due operatori che gestiscono il servizio finale, i quali dovrebbero riscontrare “sostenibilità economica” nella nuova area individuata.

Tra i motivi che spingono alla creazione di un piano che riesca ad evitare mesi di attesa per ricorsi al TAR e permessi bloccati dai comuni però, non vi è solo la scadenza del Pnrr. L’Italia deve infatti impegnarsi per raggiungere gli obiettivi europei di connettività Gigabit Society 2025 e Digital Decade 2030, impresa tutt’altro che certa secondo lo studio della stessa Commissione Ue: secondo il documento, è «bassa» la possibilità che venga raggiunto l’obiettivo che prevede l’accesso per tutte le famiglie ad una velocità in downloading di almeno 100 megabit aggiornabili a 1 gigabit per secondo. Su tale obiettivo ci sono ben nove Paesi in posizione migliore, mentre sulle proiezioni riguardanti le sfide per il 2030, siamo in 17esima posizione. Secondo il report, a condizionare «in negativo» l’Italia c’è un mix di quattro fattori: posizione topografica non favorevole, complessità dei processi amministrativi e di coordinamento tra livelli del governo, competenze digitali e di utilizzo di internet inferiori alla media e infine – appunto – scarsa copertura di reti ultraveloci fisse.

[di Roberto Demaio]

Hong Kong, condannati 14 attivisti “democratici” per sovversione

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L’Alta corte di Hong Kong ha condannato 14 dei 16 attivisti “democratici” accusati di associazione a delinquere e di aver organizzato elezioni primarie non organizzate: rischierebbero ora dai tre anni di carcere all’ergastolo. Gli imputati erano stati arrestati insieme ad altre decine di persone a febbraio 2021, a causa dell’organizzazione nel 2020 di primarie che avevano l’intento di individuare i candidati più forti per partecipare alle elezioni locali. I giudici hanno scritto che in caso di successo, l’azione avrebbe «creato una crisi costituzionale» e avrebbe portato a «gravi interferenze, interruzioni o indebolimenti nell’adempimento dei loro doveri e funzioni». Alle udienze hanno partecipato come spettatori anche diplomatici europei e statunitensi, che hanno criticato il processo in quanto “motivato politicamente”.

Il governo spagnolo ha approvato l’amnistia per gli indipendentisti catalani

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Il 30 maggio il Congresso dei deputati spagnolo ha approvato definitivamente la controversa Ley de Amnistía, con 177 voti a favore e 172 voti contrari. La legge, già approvata dal Congresso il 14 marzo, ha incontrato il veto del Senato, a maggioranza Popolare, il 14 maggio, pochi giorni dopo la celebrazione delle elezioni autonomiche catalane. Nei prossimi giorni la legge verrà ufficializzata entrando a far parte del Boletín de Estado, ed iniziare così ad essere applicata nei tribunali del Paese. Il provvedimento ha vissuto un cammino tortuoso a causa di un iniziale affossamento da parte del partito indipendentista catalano Junts a gennaio e dopo il veto imposto dal Senato in seguito alla prima approvazione della Camera. Esso permetterà l’amnistia per tutte quelle persone condannate per gli avvenimenti inerenti al referendum del primo ottobre 2017 (per l’indipendenza della Catalogna) e alla conseguente dichiarazione unilaterale d’indipendenza pronunciata da Carles Puigdemont. Rientrano, tra queste, anche le persone militanti condannate per aver preso parte alle manifestazioni pacifiche definite «Tsunami democratic» del 2019. Questa nuova legge mette così fine al processo finalizzato alla normalizzazione della convivenza in Catalogna, iniziato nel 2021 durante il secondo mandato di Pedro Sánchez attraverso l’approvazione di indulti alle figure condannate per malversazione e sedizione nell’organizzazione del referendum del 2017.

La seduta del Congresso ha visto alternarsi i vari deputati, che, con un tempo di sette minuti, hanno esposto le proprie mozioni dirette all’aula. Le rappresentazioni indipendentiste basche del Partido Nacionalista Vasco ed Euskal Herria Bildu hanno rivelato soddisfazione per l’approvazione della legge, mentre la deputata del partito indipendentista catalano Junts Míriam Nogueras ha mostrato profonda gratitudine, rivolgendosi direttamente ai suoi compagni di partito visibilmente commossi tra i banchi dell’aula. «Prossima fermata, referendum» così chiosa Gabriel Rufián, deputato del partito indipendentista catalano di sinistra Esquerra Republicana, indirizzandosi a tutte quelle persone che hanno vissuto le conseguenze delle condanne imposte dal Tribunale Supremo, incluso i rivali politici, tra tutti Carles Puigdemont.

Appellandosi ad una presunta distruzione del Paese, ha mosso le accuse alla legge e al governo Santiago Abascal, rappresentante del partito di estrema destra VOX, dando così inizio ad un momento di tensione nell’aula, che ha raggiunto il suo apice durante il discorso del socialista Artemi Rallo, che ha accusato VOX di essere un partito «neofascista e filonazi», menzionando l’incontro tra Santiago Abascal e Benjamin Netanyahu e l’alleanza tra VOX e Fratelli d’Italia. Non sono mancate, inoltre, allusioni a Giorgia Meloni, accusata di censurare i giornalisti RAI e vietare la registrazione dei figli delle coppie omosessuali all’anagrafe. Chiude così il momento degli interventi il leader del Partido Popular Alberto Núñez Feijóo, muovendo critiche verso il governo e Pedro Sánchez, assente in tribuna, di inabilità politica e appellandosi ad un’ultima, disperata riflessione. Durante il voto, nel momento in cui si sono pronunciati i ministri e le ministre del Governo, tra i quali Pedro Sánchez, non sono mancate accuse di tradimento urlate dalle tribune della destra.

Dopo l’approvazione, la legge verrà inserita nel Codice penale spagnolo, attraverso una revisione dell’Articolo 130, insieme alla modifica della Ley del Tribunal de Cuentas. I tribunali hanno così un tempo di due mesi per applicare l’amnistia, nonostante alcune rappresentazioni del governo temano l’ostruzione politica del Tribunale Supremo, legato al Consiglio Generale del Potere Giuridico (CGPJ), l’organo del governo che controlla l’indipendenza dei giudici e dei magistrati dai poteri dello stato. Il CGPJ, eletto dai rappresentanti del Governo e bloccato da cinque anni dai deputati del Partito Popolare, ha inviato, attraverso la Plataforma Cívica por la Independencia Judicial, una guida diretta ai giudici spagnoli per elevare la questione e passare l’applicazione concreta della legge al Tribunale Supremo e ai tribunali della Corte di Giustizia europea.

Sono passati sei anni dalle cariche della Guardía Civil e della Policia Nacional durante il referendum del 1° ottobre 2017 e dalla conseguente applicazione dell’Articolo 155 da parte dell’ex presidente spagnolo Mariano Rajoy, momenti che hanno segnato profondamente la società catalana e che sono stati la dimostrazione che il governo non seppe gestire adeguatamente una questione esclusivamente politica. La violenza fisica, giuridica e istituzionale imposta su un popolo, armato soltanto di matite e urne elettorali, ha visto la sua fine. Un «processo» che, iniziato come forma di protesta politica, si risolve definitivamente attraverso le regole della politica.

[di Armando Negro]

Separazione delle Carriere dei magistrati: la riforma che era nel programma della P2

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Il Consiglio dei ministri ha ufficialmente dato il via libera al disegno legge sulla separazione delle carriere dei magistrati. Un vecchio pallino di Silvio Berlusconi e, prima di lui, di Bettino Craxi e addirittura della loggia massonica P2 di Licio Gelli, si appresta dunque a diventare legge dello Stato, sebbene l'iter sia ancora molto lungo. L’approvazione del Ddl costituzionale è stata accolta da un lungo applauso da parte dei ministri del governo Meloni. Il testo prevede l’istituzione di un altro organo di autogoverno della magistratura oltre al Consiglio Superiore della Magistratura (CSM...

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Campi Flegrei, Musumeci: “Firmato lo stato di mobilitazione”

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Il ministro per la Protezione civile e le politiche del mare dell’Italia Nello Musumeci ha annunciato di aver appena firmato il decreto «per disporre la mobilitazione straordinaria del Servizio nazionale di Protezione civile a supporto della Campania», accogliendo la richiesta del presidente di Regione e fronteggiando «la situazione di criticità che si è determinata nei Campi Flegrei dopo l’evento sismico del 20 maggio scorso». Il Ministro ha poi aggiunto di avere anche disposto «un potenziamento e una accelerazione del lavoro dei tecnici di ricognizione della vulnerabilità del costruito».