La Commissione Finanze del Senato ha dato il via libera al decreto che riallinea le accise su gasolio e benzina. Viene previsto un aumento graduale sul diesel, tra 1 e 2 centesimi, e una riduzione parallela sulla benzina, come richiesto dall’Unione Europea per penalizzare i carburanti più inquinanti. Tuttavia, il processo porterà maggiori entrate per lo Stato, almeno inizialmente, poiché il gasolio è più consumato: un incremento di 1 centesimo garantirebbe 170 milioni di euro. Le accise attuali sono 0,61 euro/litro per il gasolio e 0,72 per la benzina. Piovono critiche dalle forze di opposizione, che denunciano l’ennesima «stangata» per i cittadini.
La guerra politica nascosta tra Donald Trump e papa Francesco
Che il neoeletto presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e Papa Francesco abbiano visioni divergenti è cosa nota. La posizione del Papa è stata ribadita nel messaggio inviato a Trump nel giorno del suo insediamento, contenente un appello affinché «sotto la sua guida il popolo americano si sforzi sempre di costruire una società più giusta, dove non ci sia spazio per odio, discriminazione o esclusione». In ogni caso, la battaglia sotterranea tra l’amministrazione Trump e il Vaticano prosegue da mesi. Questa tensione non si manifesta tanto nelle dichiarazioni pubbliche, che restano improntate a una cordiale freddezza, come da protocollo, quanto piuttosto negli atti concreti. Negli ultimi mesi, entrambe le parti si sono impegnate in manovre strategiche per cercare di influire nella sfera dell’altro, spesso attraverso la nomina di rappresentanti considerati scomodi per la controparte. Una battaglia che si consuma non solo sulle questioni relative ai migranti, ma su molteplici dossier, tra cui le politiche ambientali, i rapporti con la Cina e quelli con Israele.
Lo scorso dicembre, Trump ha nominato Brian Burch, cattolico devoto alle posizioni tradizionaliste, come nuovo ambasciatore presso la Santa Sede. Poco dopo, è arrivata la risposta di Papa Francesco, che ha scelto il cardinale Robert McElroy, fermo oppositore di Trump, come nuovo arcivescovo di Washington. Burch e McElroy rappresentano due visioni del cattolicesimo agli antipodi: entrambi sono strettamente legati alle posizioni di coloro che li hanno nominati e critici dei vertici degli Stati in cui opereranno. La scelta di due figure così chiaramente schierate sembra preannunciare futuri rapporti incerti tra l’amministrazione americana e il Vaticano.
Burch è stato definito da Trump come un «cattolico devoto». È un uomo dalle posizioni tradizionaliste, spesso in conflitto con quelle papali, e, secondo molti, più vicino alle idee di Carlo Maria Viganò, uno dei più accesi critici di Papa Francesco, recentemente scomunicato. Alcuni osservatori ritengono che la nomina di Burch costituisca una sorta di monito a Bergoglio. Burch ha più volte criticato Papa Francesco, in particolare per la sua apertura nei confronti delle coppie omosessuali e per il suo approccio, da lui definito «vendicativo», nella gestione delle controversie interne alla Chiesa. Inoltre, non ha risparmiato accuse ai sostenitori del Pontefice, descrivendoli come «cheerleader progressisti».
Di posizioni tradizionaliste e fortemente critiche verso il pontefice – tanto da definirlo «falso papa» – Viganò è stato scomunicato il 5 luglio 2024, dopo essere stato riconosciuto colpevole del delitto canonico di scisma. Il provvedimento è stato motivato dal suo «rifiuto di riconoscere e sottomettersi al Sommo Pontefice, dalla mancanza di comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti e dalla negazione della legittimità e dell’autorità magisteriale del Concilio Ecumenico Vaticano II». Dopo la scomunica, Viganò ha ricevuto il sostegno di Burch, che ha dichiarato: «Viganò potrebbe non avere ragione su tutto, ma c’è una cosa di cui sono certo: Satana è reale ed è in agguato». Viganò, da sempre sostenitore di Trump, ha inoltre espresso più volte dure critiche nei confronti di Kamala Harris, definendo i suoi sostenitori «criminali psicopatici dediti al culto di Satana».
Di fronte alla nomina di Burch e al sostegno di Viganò, Papa Francesco non è rimasto a guardare. Il 6 gennaio, infatti, il pontefice ha nominato il cardinale Robert McElroy, di posizioni apertamente progressiste, come nuovo arcivescovo di Washington. McElroy è un convinto difensore dei migranti in chiave anti-razzista, un fervido sostenitore delle linee papali sulle coppie omosessuali e divorziate, e un deciso critico della prima amministrazione di Donald Trump. Egli prende il posto di Wilton Daniel Gregory, primo cardinale afroamericano negli Stati Uniti, dimessosi per raggiunti limiti di età. Durante il primo mandato di Trump, McElroy si è opposto apertamente alle politiche del presidente, in particolare sulla gestione della migrazione, esortando i cattolici a protestare contro di esse. In occasione di una visita di Trump per ispezionare i prototipi del muro con il Messico, McElroy dichiarò: «È un giorno triste per il nostro Paese quando scambiamo il simbolismo maestoso e pieno di speranza della Statua della Libertà con un muro inefficace e grottesco, che mostra e infiamma le divisioni etniche e culturali che a lungo hanno fatto parte della nostra storia nazionale».
Questa serie di nomine incrociate sembra inaugurare una nuova stagione di tensione tra la casa bianca e il vaticano. Durante il primo mandato presidenziale, Bergoglio e Trump hanno vissuto diversi momenti di confronto e attrito su questioni politiche e sociali. Il pontefice ha più volte criticato le politiche migratorie statunitensi e il progetto di costruire un muro al confine con il Messico, dichiarando che «chi costruisce muri invece di ponti non è cristiano». Inoltre, Papa Francesco ha condannato il ritiro degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi sul clima e ha espresso preoccupazione per lo spostamento dell’ambasciata statunitense in Israele a Gerusalemme. Dal canto suo, Trump ha sempre guardato con sospetto il tentativo di distensione nei rapporti con la Cina promosso da Bergoglio, culminato il 22 settembre 2018 nella firma di un patto, recentemente rinnovato per la terza volta, per la riconciliazione pastorale con Pechino. Questo accordo ha suscitato critiche da parte dell’amministrazione Trump, che percepisce Pechino come un rivale strategico. Per quanto riguarda i rapporti con la Cina e le possibili reazioni statunitensi, il Papa non si è ancora espresso pubblicamente sulla vittoria di Trump. Tuttavia, le parole del Segretario di Stato del Vaticano, Pietro Parolin, sono state chiare: la Santa Sede confermerà la sua linea «al di là delle reazioni che possano venire anche dall’America».
[di Dario Lucisano]
In Colombia si è riaccesa la guerra tra Stato e gruppi ribelli
In Colombia è riesplosa la violenza dei gruppi paramilitari proprio mentre erano in corso colloqui di pace con lo Stato, che presto si sarebbero potuti concretizzare in un accordo. Il sangue è tornato a scorrere soprattutto nella regione del Catatumbo, dove i gruppi armati hanno messo in atto un vasto attacco prendendo di mira la popolazione civile locale e alcuni ex membri delle formazioni paramilitari impegnati nel processo di pace con lo Stato. Il presidente colombiano, Gustavo Petro, ha ufficialmente sospeso i colloqui di pace con l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN). Dal ministero dell’Interno è stato detto che l’ELN ha «gettato via l’ultima possibilità di costruire la pace» e che adesso sarà affrontato con fermezza. Circa 30.000 persone sono sfollate a seguito dello scoppio della violenza nella regione.
Gustavo Petro ha deciso di sospendere i colloqui di pace con l’ELN dopo aver accusato il gruppo di aver commesso un crimine di guerra nella regione del Catatumbo, nella provincia di Norte de Santander: «Il processo di dialogo con questo gruppo è sospeso, l’ELN non ha alcuna volontà di pace», ha dichiarato Petro. Circa 80 persone sono state uccise e oltre 20 ferite nell’attacco della scorsa settimana. Lo scoppio della violenza sanguinaria ha anche prodotto lo sfollamento di circa 30.000 persone della regione. Come riferito dal governo, almeno cinque delle vittime erano ex ribelli delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) smobilitati, che facevano parte di un accordo di pace del 2016, mentre molte tra le altre vittime erano familiari di ex membri del gruppo. Anche i membri dell’Estado Mayor Central (EMC), una fazione dissidente delle FARC impegnata in colloqui di pace separati con il governo, sono stati attaccati.
I dissidenti dell’EMC e delle FARC si sono ritirati nell’interno della regione, grazie anche all’intervento del governo, per evitare il confronto con l’ELN. Il ministro dell’Interno, Juan Fernando Cristo, ha affermato che «più di 400 persone, tra cui leader sociali e comunitari e firmatari della pace, sono state prelevate dall’area del Catatumbo per salvare le loro vite». Sul brutale attacco avvenuto, il ministro ha spiegato: «È evidente che quello che è successo qui è stata un’azione premeditata, con brutalità, organizzata con molto tempo, con commando trasferiti da Arauca, con l’inganno dell’ELN, perché mancavano pochi giorni al sedersi di nuovo al tavolo dei negoziati, presumibilmente per vedere come si facevano progressi nella ricerca della pace». Cristo ha poi aggiunto che «l’ELN ha gettato nel bidone della spazzatura la sua ultima opportunità per costruire la pace in Colombia e ora tocca a noi come Stato e come società affrontare questi criminali».
Il ministro dell’Interno ha delineato i passi che il governo intende mettere in atto per combattere l’emergenza. In primo luogo viene emanato un «decreto di tumulto interno» che permette al governo di aumentare la presenza di polizia, di intelligence e militare, anche con l’utilizzo della forza aerospaziale, all’interno della regione di Catumbo, per riportare l’ordine e passare alla controffensiva. In secondo luogo, il decreto permette una maggior assistenza umanitaria nei confronti della popolazione della regione. Il terzo punto che il governo intende affrontare comprende il Patto per la Trasformazione Sociale del Catatumbo, con cui si mira all’investimento sociale con l’attivazione della società civile così come di trasformazione infrastrutturale che potrà portare benessere alla regione. Ecopetrol, la società energetica a maggioranza statale della Colombia, ha comunicato che limiterà il lavoro e i movimenti dei suoi lavoratori nelle operazioni in corso a Catatumbo, tra cui il giacimento di Tibu e l’impianto di gas di Sardinata.
I colloqui di pace tra l’ELN e il governo, ripresi nel 2022, sono stati segnati da diverse battute d’arresto. Nel settembre scorso, il governo aveva sospeso i negoziati il giorno dopo che un attacco esplosivo dell’ELN aveva ucciso due soldati colombiani, ferendone 29, vicino al confine venezuelano. I colloqui si sono arenati anche quando il governo ha aperto negoziati separati con un gruppo scissionista dell’ELN nel sud-ovest, mentre l’ELN proseguiva con rapimenti, bombardamenti di oleodotti e attacchi alle forze di sicurezza.
[di Michele Manfrin]
Monte dei Paschi di Siena presenta offerta per acquistare Mediobanca
Monte dei Paschi di Siena, gruppo bancario il cui primo azionista è lo Stato italiano, ha presentato un’offerta per l’acquisizione della banca di investimento Mediobanca (azionista al 13% di Generali), con l’obiettivo di portarla a termine entro il 2025. MPS offre 13,3 miliardi di euro per controllare completamente Mediobanca tramite un’Offerta Pubblica di Scambio, offrendo 2,3 azioni di nuova emissione di Monte dei Paschi per ogni azione di Mediobanca. Se portata a termine, l’operazione sarebbe la più grande di questo genere degli ultimi anni e porterebbe alla creazione di un terzo grande polo bancario (insieme a Unicredit e Intesa Sanpaolo).
Abusi edilizi, 8 rinvii a giudizio per la Torre di Milano
Otto persone, tra imprenditori, progettisti, tecnici, funzionari e dirigenti o ex dirigenti dello Sportello unico dell’Edilizia e della Direzione urbanistica del Comune di Milano, sono state rinviate a giudizio per abuso edilizio e lottizzazione abusiva nella realizzazione della Torre Milano, grattacielo residenziale di 24 piani in via Stresa. Lo ha deciso la gup di Milano accogliendo la richiesta della Procura. Secondo i pm, l’intervento era stato «qualificato come ristrutturazione edilizia, con totale demolizione e ricostruzione e recupero integrale della superficie lorda di pavimento preesistente», sebbene l’opera andasse «integralmente qualificata di “nuova costruzione”», ossia come un «organismo edilizio radicalmente nuovo», con regole sulle volumetrie diverse.
In tutta Italia il 79% dell’acqua pubblica è contaminata da PFAS
In Italia, il 79% dell’acqua potabile è contaminato da PFAS, sostanze chimiche pericolose per la salute umana e per l’ambiente. È questo l’allarmante risultato dell’indagine indipendente “Acque senza veleni”, condotta dall’organizzazione ambientalista Greenpeace tra settembre e ottobre 2024, che ha portato alla creazione della prima mappa nazionale della contaminazione da PFAS. I numeri descrivono uno spaccato di proporzioni preoccupanti: dei 260 campioni raccolti in 235 città di tutte le regioni e province autonome, ben 206 contengono queste sostanze tossiche. Studi scientifici dimostrano che i PFAS – sostanze di sintesi utilizzate in molti processi industriali e prodotti di consumo – possono provocare danni al sistema endocrino, al fegato, alla tiroide, al sistema immunitario e alla fertilità. Alcuni PFAS, come il PFOA e il PFOS, sono stati classificati come cancerogeni o possibili cancerogeni.
Sulla base dei risultati dell’inchiesta, le molecole più diffuse sono risultate il PFOA (presente nel 47% dei campioni e classificato come cancerogeno), il composto a catena ultracorta TFA (40%) e il possibile cancerogeno PFOS (22%). La contaminazione interessa tutte le regioni italiane, con almeno tre campioni positivi per ognuna, eccezion fatta per la Valle d’Aosta, dove sono stati effettuati solo due prelievi, entrambi positivi. Particolarmente critiche risultano le situazioni in Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Liguria, Toscana e Sardegna, con valori elevati in grandi città come Milano, Torino e Cagliari, e in comuni più piccoli come Ferrara, Novara e Alghero. Tra le sostanze rilevate, il TFA merita un’attenzione speciale. Si tratta del PFAS più diffuso al mondo, persistente e indistruttibile, che non può essere eliminato attraverso i trattamenti di potabilizzazione tradizionali e, secondo recenti studi, può causare tossicità epatica e difetti alla nascita. Castellazzo Bormida (AL) ha registrato la concentrazione più elevata (539,4 nanogrammi per litro), seguito da Ferrara e Novara. La Sardegna, il Trentino Alto Adige e il Piemonte sono le regioni con la contaminazione da TFA più diffusa, rispettivamente con il 77%, 75% e 69% dei campioni positivi.
Nonostante la gravità del problema, i controlli sui PFAS nelle acque potabili italiane sono limitati o del tutto assenti in molte aree del Paese. Eppure, l’Italia ospita alcuni dei casi di contaminazione più gravi d’Europa, in particolare in Veneto e Piemonte. Già lo scorso giugno, peraltro, un rapporto di Greenpeace, dal titolo “La contaminazione da PFAS in Italia”, aveva registrato la presenza di PFAS nei corsi d’acqua di 16 Regioni italiane, tutte quelle in cui erano state effettuate rilevazioni. A partire dal 2026, entrerà in vigore la direttiva europea 2020/2184 che impone limiti normativi per i PFAS nelle acque potabili. Tuttavia, gli esperti avvertono che questi parametri sono già superati dalle più recenti evidenze scientifiche. Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), i limiti in via di adozione rischiano di essere inadeguati a proteggere la salute umana. Altri Paesi, come Danimarca, Paesi Bassi, Germania, Spagna, Svezia e alcune regioni del Belgio, hanno già adottato limiti più stringenti. Negli Stati Uniti, la regolamentazione è ancora più severa. I dati raccolti da Greenpeace mostrano che il 41% dei campioni italiani supera i limiti imposti in Danimarca, mentre il 22% non rispetterebbe le soglie statunitensi.
Una recente indagine chiamata “Forever Lobbying Project”, che ha coinvolto 18 esperti in 16 paesi e 46 giornalisti, ha attestato che i provvedimenti per limitare l’uso di PFAS sarebbero ostacolati dalle pressioni dei lobbisti dell’industria chimica e, anche se si fermasse improvvisamente la produzione, servirebbero comunque fino a 100 miliardi di euro l’anno per cancellarne gli effetti. Secondo l’indagine, che ha dettagliato costi, risultati di stress test e documenti interni del settore in un rapporto digitale, i lobbisti utilizzerebbero «tattiche di influenza» tipiche nel mondo aziendale di altri settori come i combustibili fossili o i pesticidi per diffondere argomenti «allarmistici, falsi, fuorvianti o potenzialmente disonesti». Inoltre, sono stati stimati gli impatti delle attività che coinvolgono tali sostanze ed i relativi costi per la bonifica ambientale – che superano i 100 miliardi di euro l’anno in Europa – e i costi sanitari, corrispondenti a circa 84 miliardi di euro.
[di Stefano Baudino]
Nelle Filippine migliaia di nativi stanno protestando per riavere le scuole indigene
Nelle Filippine, in occasione del National Children’s Month, il mese dedicato ai diritti dell’infanzia, vari gruppi di attivisti dei diritti umani e dei diritti delle popolazioni indigene stanno protestando per chiedere al governo di Marcos Jr. di riaprire le scuole Lumad che erano state chiuse forzatamente nel 2019 dal suo predecessore, Rodrigo Duterte. Le varie organizzazioni sottolineano il ruolo di queste scuole nella salvaguardia della cultura indigena e nell’istruzione fornita ai giovani indigeni. La repressione delle popolazioni indigene delle Filippine, che condividono questo destino con molte altre popolazioni native nel mondo, ha luogo a causa del loro ruolo nella difesa dell’ambiente, che i grandi gruppi privati, locali ed stranieri, intendono invece sfruttare per il proprio profitto.
Save Our Schools Network, Bagong Alyansang Makabayan, ACT Teachers Party, United Church of Christ in the Philippines e Sandugo, gruppo in difesa delle minoranze indigene, sono alcune delle più importanti organizzazioni del Paese che stanno chiedendo a gran voce al Presidente Marcos Jr. di riaprire le scuole indigene chiuse forzatamente dall’ex Presidente Rodrigo Duterte. Nell’ottobre 2019, infatti, furono chiuse oltre 55 scuole Lumad per presunta non conformità alle linee guida del Dipartimento dell’Istruzione e per la diffusione di programmi contrari al governo. Quest’ultimo sosteneva che in queste scuole si insegnasse un’ideologia sovversiva «di sinistra». I militari entrarono con la forza nei campus e arrestarono insegnanti e studenti, nonostante non avessero un mandato per farlo. Inoltre, secondo l’iniziativa Save Our Schools Network, il Dipartimento dell’Istruzione aveva approvato i programmi all’inizio dell’anno scolastico. Da allora, le scuole sono rimaste chiuse, con un grave impatto sul diritto all’istruzione dei bambini indigeni.
A partire dagli anni ’80, le scuole Lumad, gestite da varie fondazioni, sono cresciute in tutta Mindanao, la seconda isola delle Filippine per grandezza, offrendo istruzione gratuita alla popolazione indigena. A complemento di materie convenzionali, come l’alfabetizzazione e la matematica, le loro lezioni si concentravano anche sul patrimonio locale e la protezione dell’ambiente. La repressione nei confronti delle popolazioni indigene è spesso legata allo sfruttamento ambientale contro cui questi popoli combattono: secondo l’International Coalition for Human Rights in the Philippines, quella contro i popoli indigeni è una «guerra progettata dagli Stati Uniti e finanziata dai contribuenti che sta togliendo la vita a persone innocenti nelle Filippine. Dall’inizio del mandato del presidente Aquino nel 2010, sia l’esercito del governo filippino che gli eserciti privati delle multinazionali e delle dinastie familiari più ricche hanno rapito, torturato e ucciso insegnanti di scuola, agricoltori e bambini indigeni. Hanno inoltre rubato la terra indigena, abbattuto le foreste, inquinato i sistemi idrici e fatto saltare in aria le montagne. Hanno persino occupato e bruciato scuole pluripremiate nelle comunità indigene, per impedire ai bambini e alle loro famiglie di imparare a vivere in modo sostenibile, sulla loro terra ancestrale e ricca di risorse». Una denuncia forte, che spiegherebbe quindi la decisione presa nel 2019 dal presidente Dutarte.
Il popolo Lumad di Mindanao è un esempio di come le ingiustizie ambientali colpiscono i gruppi indigeni e di come li costringono a rispondere. Questo gruppo ha sofferto in modo significativo a causa di problemi ambientali causati dall’agroindustria illegale e dalle operazioni minerarie illegali. In risposta, molti si sono uniti a organizzazioni volte a proteggere le loro terre ancestrali dalla distruzione. La loro continua resistenza anche di fronte a tali attacchi offre una certa speranza che i movimenti indigeni in tutto il mondo non vengano soffocati, ma sono anche la causa della continua repressione che subiscono.
[di Michele Manfrin]
Irlanda, si insedia il governo centrista di Martin
Oggi, giovedì 22 gennaio, in Irlanda si è insediato il governo di Micheál Martin, leader del partito centrista Fianna Fáil. Martin doveva insediarsi ieri, ma la cerimonia è stata rimandata a causa delle proteste dell’opposizione del Sinn Féin, il partito nazionalista di sinistra, che contestava una serie di questioni procedurali che ridurranno il tempo per gli interventi parlamentari del partito. Fianna Fáil ha vinto le ultime elezioni, tenutesi lo scorso 28 novembre, ottenendo il 22% dei voti. Martin si è alleato con Fine Gael, il partito di centrodestra conservatore, e con alcuni deputati indipendenti.
In Italia il 63% della ricchezza è ereditaria e 71 persone possiedono più di 5,7 milioni di poveri
La ricchezza in Italia non è mai stata così polarizzata. Nel 2024, i capitali complessivi dei miliardari italiani hanno infatti raggiunto i 272,5 miliardi di euro, facendo segnare un aumento di 61,1 miliardi in un solo anno, pari a 166 milioni di euro al giorno. Questo patrimonio è detenuto da appena 71 individui. È quanto emerge dall’ultimo rapporto di Oxfam, pubblicato in occasione del World Economic Forum di Davos, che ha evidenziato come la quota di ricchezza concentrata nelle mani del 10% più ricco sia salita dal 52,5% del 2010 al 59,7% del 2024, mentre il patrimonio del 50% più povero è sceso dall’8,3% al 7,4%. Secondo la ricerca, sono frutto di eredità quasi due terzi (63%) della ricchezza miliardaria, una percentuale significativamente superiore alla media globale del 36%.
Il report pubblicato da Oxfam attesta come, nel nostro Paese, il 10% più ricco delle famiglie italiane possedeva oltre otto volte la ricchezza della metà più povera della popolazione. Solo quattordici anni fa, questo rapporto era di 6,3: un divario già enorme, ma comunque inferiore a quello attuale. I risultati della ricerca evidenziano come la concentrazione della ricchezza sia particolarmente evidente tra i più abbienti: il 5% delle famiglie italiane detiene quasi la metà della ricchezza nazionale (47,7%), mentre lo 0,1% più ricco, tra il 1995 e il 2016, è riuscito a incrementare il proprio patrimonio del 70%. Mentre i miliardari accumulano fortune, 5,7 milioni di persone vivono in condizioni di povertà assoluta: una cifra che corrisponde a quasi il 10% della popolazione italiana. Nonostante un miglioramento del mercato del lavoro, questo dato è rimasto invariato rispetto al 2023. Le donne e i giovani continuano a soffrire di sottoccupazione e salari bassi, mentre le disparità tra Nord e Sud rimangono marcate. Inoltre, il salario medio annuale reale è rimasto invariato negli ultimi trent’anni, facendo dell’Italia uno dei Paesi con i peggiori dati salariali nell’Unione Europea.
Ciò che rende ancora più eloquente lo scenario delineato dal rapporto è la natura fortemente ereditaria della ricchezza in Italia: un dato che attesta come, più che altrove, il destino economico degli italiani sia determinato dalla famiglia in cui nascono, piuttosto che dal percorso professionale intrapreso nel corso della loro vita. «Larga parte della ricchezza estrema è difficilmente ascrivibile a meriti individuali, ma riconducibile ad eredità, sistemi di relazione clientelari e all’immenso potere di mercato esercitato da imprese che i super-ricchi controllano o dirigono – scrive Oxfam all’interno del rapporto -. Le disuguaglianze non sono né casuali né ineluttabili. Sono il risultato di scelte politiche che hanno prodotto negli ultimi decenni profondi mutamenti nella distribuzione di risorse, dotazioni, opportunità e potere tra i cittadini. Cambiare rotta è un imperativo categorico, sebbene l’attuale contesto politico renda il compito impervio».
All’interno del documento, Oxfam chiede interventi strutturali per contrastare l’escalation delle disuguaglianze. Tra le principali raccomandazioni, spiccano l’introduzione di un’imposta progressiva sui grandi patrimoni e un aumento della tassazione sulle successioni più consistenti, le quali, avendo «scarse giustificazioni di merito», contribuiscono a «divaricare le opportunità» e «riducono il dinamismo dell’economia». Inoltre, l’organizzazione sottolinea l’importanza di politiche volte a rafforzare la contrattazione collettiva e a introdurre un salario minimo legale, misure che potrebbero migliorare significativamente la qualità della vita dei lavoratori più vulnerabili. Infine, Oxfam invita ad abbandonare il progetto di autonomia regionale differenziata, definito “Spaccaitalia”, che rischia di acuire ulteriormente le disparità tra Nord e Sud nel settore pubblico e nei servizi essenziali.
[di Stefano Baudino]