giovedì 18 Settembre 2025
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Antitrust, multa da 20 milioni alle biglietterie del Colosseo

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L’Autorità garante ha stabilito una multa da 20 milioni di euro per i servizi di biglietteria del Parco archeologico del Colosseo, a causa della prolungata indisponibilità di biglietti d’accesso all’area. Nello specifico, a venire colpiti dalla sanzione sono la Società Cooperativa Culture (CoopCulture), che dovrà pagare una multa di 7 milioni di euro, e gli operatori turistici Tiqets International, GetYourGuide Deutschland, Walks, Italy With Family, City Wonders Limited e Musement. L’Antitrust aveva avviato l’istruttoria nel luglio 2023. Secondo l’Autorità, CoopCulture «ha contribuito, in piena consapevolezza, al fenomeno della grave e prolungata indisponibilità dei biglietti di ingresso per il Colosseo a prezzo base».

Il Decreto sicurezza ha messo fuorilegge anche la cannabis light

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Con l’approvazione del DL Sicurezza, il decreto legge che incorpora gran parte dell’omonimo disegno di legge, il governo porta avanti la guerra alla cannabis light. La filiera agroindustriale di CBD e derivati interessa diversi settori, dal cosmetico alla bioedilizia, dall’alimentare al tessile. A essere colpito direttamente e indirettamente è un intero mercato dal valore di 2 miliardi di euro, che conta 22mila posti di lavoro. Nel DL, il cannabidiolo con THC sotto i limiti di legge italiani ed europei viene comparato a uno stupefacente, venendo di fatto messo fuorilegge. In passato, il governo Meloni ha provato diverse volte a bandire i prodotti a uso orale a base di cannabidiolo, venendo però fermato a più riprese dal TAR.

Il provvedimento varato dal governo modifica in maniera sostanziale la legge 242/2016, che promuoveva la filiera agroindustriale della canapa. In particolare, l’articolo 18 del Decreto Sicurezza consente ora la produzione di infiorescenze contenenti CBD solo se destinate al “florovivaismo professionale”, vietandone ogni altro uso, dal commercio alla lavorazione, dalla detenzione alla vendita. Gli agricoltori che coltivano canapa industriale, dunque, rischiano di ritrovarsi da un giorno all’altro in possesso di un prodotto considerato uno stupefacente, senza alcuna finestra di tempo per lo smaltimento o la regolarizzazione. Secondo Canapa Sativa Italia, Confagricoltura, Coldiretti e Filiera Italia, il decreto paralizzerà l’intero comparto, mettendo migliaia di aziende nell’incertezza proprio alla vigilia della stagione agricola. Nonostante mesi di tentativi di dialogo, audizioni parlamentari, conferenze stampa e studi economici a supporto della cannabis light, il governo ha tirato dritto. E lo ha fatto proprio mentre l’agroalimentare italiano affronta la minaccia dei dazi internazionali, il Pil rallenta e la disoccupazione giovanile cresce. Le associazioni di settore denunciano come la filiera della canapa non riguardi solo la produzione di infiorescenze, ma anche cosmetici, bioedilizia, alimentare e tessile. Settori adesso messi a rischio da una scelta che ha il sapore della crociata ideologica, fortemente promossa dal ministro Matteo Salvini e dal sottosegretario Alfredo Mantovano.

Le conseguenze per le imprese potrebbero essere devastanti. Come sottolinea l’avvocato Giacomo Bulleri, in casi normali, quando un prodotto diventa non conforme, si concede un periodo per il suo smaltimento. Qui, invece, tutto cambia da un giorno all’altro: i produttori si troveranno improvvisamente in possesso di uno stupefacente, con il rischio di pesanti conseguenze penali. L’unica cautela consigliata è isolare i prodotti incriminati, conservare tutta la documentazione e astenersi da qualsiasi attività di vendita. Nel frattempo, le associazioni del settore non si arrendono. Sono già stati annunciati ricorsi giurisdizionali a livello nazionale ed europeo, con la speranza di sollevare dubbi di costituzionalità e violazione delle normative comunitarie. Tuttavia, fino all’eventuale sospensione o annullamento del decreto, chi decidesse di proseguire l’attività si troverebbe in una situazione di disobbedienza civile, esponendosi a rischi enormi. Anche sul piano politico il fronte di opposizione si muove. +Europa ha annunciato la volontà di lanciare un referendum abrogativo, chiedendo a tutte le forze di minoranza di unirsi nella raccolta firme per contrastare una norma giudicata tanto irragionevole quanto dannosa per l’economia, la libertà d’impresa e la coerenza giuridica.

Già nell’agosto del 2023, con un decreto del Ministro Schillaci, il governo Meloni aveva inserito nel testo unico sugli stupefacenti i “prodotti da ingerire” a base di cannabidiolo – sostanze prive di effetti psicotropi –, impedendo la loro libera vendita in tutti i punti che non siano farmacie. Una decisione che fa a pugni con un’importante pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione Europea del novembre 2020, in cui si è sancito che i prodotti a base di Cbd non devono essere considerati come stupefacenti. Il decreto era successivamente stato bloccato dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, che aveva accolto un ricorso presentato dall’associazione Imprenditori Canapa Italia (Ici), disponendo la sospensione del decreto e rendendo nuovamente consentito il commercio dei prodotti. Nel luglio 2024, il governo ci ha riprovato, tornando a inserire i prodotti a base di cannabidiolo (CBD) nella lista delle sostanze medicinali contenenti stupefacenti. Tre mesi dopo, il TAR è nuovamente intervenuto per bloccare il decreto.

Nel frattempo, però, la maggioranza ha inserito nel DDL Sicurezza il divieto della produzione e del commercio della cannabis light. Federcanapa, associazione del settore, aveva indirizzato una lettera alla commissione di Giustizia della Camera dei Deputati per sollecitare un dietrofront, evidenziando come il divieto si sarebbe abbattuto sull’«intero comparto agroindustriale della canapa da estrazione, in particolare della produzione di derivati da CBD o da altri cannabinoidi non stupefacenti per impieghi in cosmesi, erboristeria o negli integratori alimentari», ricordando che «tali impieghi sono riconosciuti dalla normativa europea come impieghi legittimi di canapa industriale». Il dietrofront, però, non è arrivato. E, dal momento che il “Pacchetto Sicurezza” era da mesi arenato in Parlamento, con un blitz in Consiglio dei Ministri il governo negli scorsi giorni ha trasformato il testo in un decreto. Che, dunque, diventa subito applicabile dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e dovrà essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni.

L’esercito israeliano ha occupato il 50% del territorio di Gaza

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L’esercito israeliano sta radendo al suolo la Striscia di Gaza per creare una «zona cuscinetto militarizzata», tanto che, nelle ultime settimane, sarebbe arrivato a controllare la metà del territorio. I vertici dell’esercito la chiamano il «perimetro» e avrebbero dato indicazioni precise per la sua instaurazione: «distruggere tutto quello che si può» così da non «fare tornare i palestinesi mai più». È questo quello che si legge nell’ultimo rapporto di Breaking the Silence, associazione di veterani israeliani che si propone di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle conseguenze dell’occupazione militare israeliana in Palestina. Secondo le testimonianze raccolte dall’ONG, il piano di demolizione delle aree di confine sarebbe stato chiaro sin dall’inizio delle aggressioni, il 7 ottobre 2023, e punterebbe a facilitare una occupazione militare della Striscia schiacciando notevolmente la linea di confine tra Israele e l’enclave costiera. Secondo il rapporto, il “perimetro” dovrebbe estendersi per il 16% della Striscia, ma stando a ulteriori analisi a ora Israele avrebbe di fatto occupato più del 50% del territorio gazawi.

Il rapporto di Breaking the Silence è uscito ieri, lunedì 7 aprile. In esso, la ONG raccoglie circa una dozzina di testimonianze di soldati e ufficiali dell’esercito che  hanno preso parte alla creazione del “perimetro” e alla sua trasformazione in una zona di distruzione totale. Il “perimetro” si estende dalla costa a nord al confine egiziano a sud, tutto all’interno del territorio della Striscia di Gaza a una profondità che varia dagli 800 ai 1.500 metri. Il piano per la sua creazione è semplice: radere al suolo tutto quello che ci si trova davanti per lasciare spazio agli avamposti militari. «Quando dico tutto intendo tutto», dice un testimone. «Tutto quello che è costruito». Tutte le strutture, tutte le costruzioni», inclusi stalle e pollai. «Come appare la zona dopo la demolizione?» chiede allora l’intervistatore. «Hiroshima», risponde il soldato. Lo scopo militare del “perimetro” è quello di creare un’area isolata «che fornisca una chiara linea di vista e, con quella, una chiara linea di fuoco» verso qualsiasi cosa l’esercito definisca come una potenziale minaccia. «In altre parole, il controllo militare assoluto sull’area».

Dalle varie testimonianze emerge come non solo la distruzione totale della Striscia, e specialmente delle aree di confine, fosse «deliberata», ma anche che era stata pensata sin dall’inizio degli attacchi, a partire dal 7 ottobre. «La leadership politica di Israele ha evitato di lavorare per un accordo politico che avrebbe posto fine alla guerra e inaugurato una nuova era per il “giorno dopo”», scrive Breaking the Silence. Tale obiettivo, sottolinea il rapporto, troverebbe conferma nelle numerose dichiarazioni rilasciate sin dall’inizio dell’escalation militare a Gaza. «Alla fine di questa guerra, non solo Hamas non sarà più a Gaza, ma anche il territorio di Gaza diminuirà», dichiarava l’allora ministro degli Esteri Eli Cohen. Prima della guerra, la zona cuscinetto tra Israele e la Striscia di Gaza si estendeva per circa 300 metri nel territorio palestinese e l’accesso all’area era limitato. A ora, invece, secondo un’analisi dell’agenzia di stampa Associated Press, Israele avrebbe preso il controllo di oltre il 50% della Striscia, e starebbe spingendo il popolo gazawi in porzioni di terra sempre più piccole. Particolarmente forte, secondo AP, la presenza israeliana attorno a Gaza City, dove, dalla ripresa dei massacri, la fanteria ha raddoppiato l’estensione della «zona di cuscinetto militare».

Con l’espansione delle operazioni militari, continuano anche i massacri. Dall’alba di oggi, le forze israeliane hanno continuato a bombardare Gaza, uccidendo 6 palestinesi in un raid nella città settentrionale di Beit Lahiya. Le vittime di oggi seguono le decine di ieri. A esse si è aggiunto anche Ahmed Mansour, il giornalista rimasto intrappolato e arso vivo nell’attacco israeliano a una tenda per i media vicino all’ospedale Nasser a Khan Younis. In totale, dall’escalation del 7 ottobre, l’esercito israeliano ha ucciso direttamente almeno 50.695 persone, anche se il numero totale dei morti potrebbe superare le centinaia di migliaia, come sostenuto da un articolo della rivista scientifica The Lancet e da una lettera di medici volontari nella Striscia. Dalla ripresa delle aggressioni su larga scala del 18 marzo, invece, Israele ha ucciso almeno 1.338 persone. L’ultimo aggiornamento risale all’altro ieri, domenica 6 aprile.

USA, la Corte accetta la legge di guerra per espellere i migranti

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La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha autorizzato il presidente Trump a utilizzare l’Alien Enemies Act, una legge di guerra del 1798, per accelerare le espulsioni di migranti. La decisione arriva dopo che un giudice aveva vietato al presidente di fare ricorso all’atto contro cinque migranti venezuelani che avevano fatto causa contro l’espulsione. Trump aveva fatto appello al decreto lo scorso 16 marzo per aggirare un divieto imposto da un Tribunale federale. L’Alien Enemies Act gli permette di trasferire rapidamente i migranti ritenuti parte di una «invasione o incursione predatoria».

Brasile: la lotta indigena ferma la legge che avrebbe consentito lo sfruttamento delle terre

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La Corte Suprema del Brasile ha ritirato una delle proposte più controverse degli ultimi anni: un disegno di legge mirato a modificare l’articolo 231 della Costituzione, che tutela i diritti territoriali delle popolazioni indigene. Il provvedimento avrebbe aperto la strada a concessioni minerarie e ad altri interventi economici all’interno delle terre indigene. Un risultato che è conseguenza diretta della mobilitazione degli indigeni e dei settori popolari che da subito hanno dato vita a un vasto movimento di lotta per fermare il provvedimento. Il disegno di legge avrebbe autorizzato il govern...

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Serbia, nominato il nuovo primo ministro

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Il presidente serbo Aleksandar Vucic ha nominato Djuro Macut come nuovo primo ministro. Macut, 62 anni, è medico e professore di endocrinologia all’Università di Belgrado. Privo di esperienza politica, Macut ha in passato dichiarato di avere posizioni vicine a quelle del Partito Progressista Serbo di Vucic. Entro il 18 aprile, Macut dovrebbe presentare una squadra di governo; la sua nomina dovrà poi essere confermata dal parlamento del Paese. Macut sostituisce il primo ministro Milos Vucevic, dimessosi a causa delle proteste che hanno investito il Paese dopo il crollo della tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad.

Il piano del Messico per raggiungere la sovranità alimentare grazie ai piccoli agricoltori

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Il Messico ha annunciato un piano di oltre 4 miliardi di dollari per raggiungere la sovranità alimentare tramite il sostegno ai piccoli agricoltori. Il programma, definito “Raccogliere Sovranità” (Cosechando Soberanía), rientra nel più ampio “Plan México”, la strategia di sviluppo economico svelata dall’amministrazione di Claudia Sheinbaum, e prevede l’incremento della produzione di mais bianco naturale, di fagioli e di riso. Per farlo, il governo messicano ha messo a punto un piano sfaccettato, che va da un ampliamento delle tutele legali dei prodotti locali a investimenti mirati nel settore agricolo, che passano in primo luogo da finanziamenti diretti e agevolati ai piccoli produttori, a cui dovrebbero accedere fino a 750.000 agricoltori. Solo nel 2025, ha affermato il ministro dell’Agricoltura Julio Berdegué, il governo dovrebbe spendere oltre 2,5 miliardi di dollari per avviare il piano, arrivando a sostenere circa 300.000 lavoratori.

Il programma Raccogliere Sovranità è stato annunciato venerdì 4 aprile e illustra una serie di misure di finanziamento ai piccoli e medi produttori messicani volte ad aumentare la produzione agricola nazionale. Il programma prevede prestiti agevolati con un tasso di interesse massimo del 9% annuo fino a 1,3 milioni, lancia una piattaforma di sostegno per l’acquisizione di assicurazioni agricole e garantisce la copertura per l’accesso alle polizze minime, coprendo anche i possibili disastri ecologici. Raccogliere Sovranità, inoltre, intende garantire prezzi minimi per i prodotti agricoli immessi nel mercato, fornire agli agricoltori sementi e fertilizzanti di alta qualità e dare ai piccoli e medi produttori accesso alle nuove tecnologie agricole e all’assistenza tecnica necessaria per il loro utilizzo. Sono previsti anche supporto alla commercializzazione dei prodotti e l’istituzione di un fondo per distribuire semi non transgenici di alta qualità. L’amministrazione messicana accompagnerà il programma di sostegno economico con un piano di tutela legale dei prodotti, consolidando l’uso di etichettatura per tutelare la produzione biologica locale. A beneficiare del piano saranno gli agricoltori che coltivano mais, fagioli, riso e caffè, e i lavoratori che producono latte o praticano la pesca.

Il piano del governo messicano mira ad aumentare entro il 2030 la produzione di mais bianco non transgenico del 17% (pari a 2,5 milioni di tonnellate in più all’anno), quella di fagioli del 64% (1,2 milioni di tonnellate in più), quella del latte del 15% (15 miliardi di litri), e quella del riso del 103% (450.000 tonnellate in più). Solo quest’anno verranno stanziati 2,64 miliardi di dollari. Raccogliere Sovranità rientra nel più ampio, Plan México, annunciato mesi fa e dettagliato solo negli ultimi giorni. Il piano viene definito come «una strategia di sviluppo economico, equo e sostenibile per la prosperità comunitaria». Consiste in circa 2.000 progetti divisi in 18 punti chiave, elaborati per raggiungere 13 obiettivi entro il 2030, anno in cui scadrà il mandato della presidente Claudia Sheinbaum, e può contare su un portafoglio di circa 277 miliardi di dollari complessivi. Il piano, in sintesi, intende rafforzare lo sviluppo economico facendo dialogare governo, uffici pubblici e attori privati.

Cannabis e nuovo Codice della strada: c’è il primo ricorso alla Corte Costituzionale

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Un lieve incidente stradale, un test tossicologico dubbio, la scoperta dell’epilessia e ora una battaglia legale che potrebbe cambiare il nuovo Codice della strada. È la storia di Elena Tuniz, giovane insegnante friulana di 32 anni, protagonista del primo caso in cui viene contestata la legittimità costituzionale delle nuove norme approvate dalla maggioranza lo scorso dicembre su spinta del vicepremier Matteo Salvini. Dopo un improvviso malore alla guida e la successiva diagnosi di epilessia, Elena si è trovata coinvolta in un procedimento penale e con la patente sospesa per un anno, a causa di una «dubbia» positività al THC, il principio psicotropo della cannabis. Il suo caso ora potrebbe approdare alla Corte Costituzionale.

Il 7 gennaio scorso Elena stava tornando a casa in auto quando ha perso conoscenza, andando a sbattere contro un paletto. Ricoverata in ospedale, è stata sottoposta a vari esami, tra cui un test tossicologico che ha evidenziato possibili tracce di THC. Nello specifico, come attestato dallo screening tossicologico, rispetto alla voce “cannabonoidi” il risultato è “dubbio”, mentre per tutte le altre sostanze in elenco il responso è “negativo”. Nonostante la diagnosi di epilessia arrivata solo dopo un successivo attacco, le autorità hanno attribuito l’incidente alla “positività” alla cannabis, ignorando il quadro clinico completo. Il risultato? La sospensione della patente per un anno – con pesanti ripercussioni sulla sua vita, dato che il tragitto casa-lavoro copre circa 70 chilometri – e l’avvio di un procedimento penale che prevede fino a due anni di carcere e una multa che può arrivare a 12mila euro. I legali della donna parlano di una «sanzione sproporzionata», che nulla ha a che vedere con la reale alterazione psicofisica durante la guida. Inoltre, come ha evidenziato la stessa Tuniz, nella nuova terapia stabilita dal neurologo per fronteggiare la patologia appena scoperta c’è anche la prescrizione di cannabis medica.

A denunciare il paradosso è l’associazione Meglio Legale, che ha preso in carico la difesa di Elena. In una conferenza stampa alla Camera dei Deputati, Antonella Soldo, coordinatrice dell’associazione, ha parlato di «una storia che grida vendetta», sottolineando come la nuova normativa rischi di penalizzare anche chi utilizza cannabis terapeutica prescritta da un medico, senza essere affatto in stato di alterazione alla guida. Sentita da L’Indipendente, Soldo ha affermato che si tratta di un «provvedimento puramente ideologico» che, con la scusa della lotta contro la cannabis, «ha evitato di soffermarsi sulle reali cause degli incidenti sulle strade», ovvero «la velocità e la guida sotto gli effetti dell’alcool». Al contrario, ha aggiunto Soldo, «il ministro Salvini si è dimostrato il più strenuo nemico degli Autovelox e della “Zona 30″», mentre i limiti sul consumo di sostanze alcoliche non sono cambiati. Alla Camera è intervenuto anche il deputato di +Europa Riccardo Magi, che ha definito il nuovo Codice «incostituzionale» e ha criticato duramente il ministro Matteo Salvini, accusandolo di aver promosso un approccio «da polizia morale» più che di tutela della sicurezza stradale. «Non si punisce chi è alterato alla guida, ma chi presenta anche minime tracce di sostanze risalenti a 70 ore prima», ha spiegato Magi, parlando di una «caccia alle streghe» dal sapore propagandistico.

La strategia difensiva degli avvocati di Elena punta a sollevare la questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte: se il Giudice di Pace di Udine accoglierà il ricorso, si aprirà la strada a una possibile revisione della legge, con effetti potenzialmente dirompenti per molte altre situazioni analoghe. I numeri, d’altronde, confermano che il problema è tutt’altro che isolato: nei primi tre mesi di applicazione del nuovo Codice della strada, dal 14 dicembre 2024 al 15 marzo 2025, la polizia stradale ha ritirato 16.432 patenti. Un record assoluto, se si pensa che in tutto il 2024 le patenti sospese erano state 38mila.

Il nuovo Codice della strada, entrato in vigore il 14 dicembre 2024, ha generato forti critiche per le potenziali implicazioni nei confronti dei pazienti che utilizzano cannabis terapeutica. La norma prevede infatti sanzioni severe per chi risulti positivo al test antidroga, che rileva la presenza di cannabinoidi nell’organismo senza distinguere chi è sotto effetto della sostanza da chi ha assunto una dose terapeutica giorni prima. Tracce di THC possono infatti persistere fino a tre giorni nel corpo, ben oltre la durata degli effetti psicotropi. Nelle settimane successive all’approvazione del testo, associazioni di pazienti e avvocati si sono spinti a diffidare il governo, chiedendo l’immediata convocazione di un Tavolo tecnico entro il 20 gennaio per definire deroghe specifiche. Sebbene Salvini avesse aperto a modifiche, non è stata adottata in tal senso alcuna misura concreta.

USA, inondazioni nel Midwest e nel Sud: almeno 18 morti

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Sono almeno diciotto le vittime causate dalle forti piogge e inondazioni che negli ultimi giorni hanno colpito alcuni Stati meridionali e del Midwest degli Stati Uniti. Tra i morti ci sono anche due bambini. I fenomeni meteorologici, particolarmente violenti, hanno provocato anche centinaia di feriti e grossi danni materiali. Nel frattempo, i livelli dei bacini idrici continuano a crescere in diverse zone di Arkansas, Tennessee e Kentucky. Si sono verificate in alcuni casi esondazioni che hanno causato la sommersione di strade e abitazioni. Nel Kentucky centro-settentrionale, le autorità hanno ordinato l’evacuazione di Falmouth e Butler, centri siti vicino al fiume Licking.

Meta pubblicizza gli insediamenti israeliani illegali (ma censura chi denuncia il genocidio)

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Facebook ha consentito, nell’ultimo anno, la pubblicazione di annunci pubblicitari da parte di agenzie immobiliari israeliane che promuovono la vendita di abitazioni in villaggi e località della Cisgiordania occupata. La piattaforma, controllata dalla società Meta fondata e guidata da Mark Zuckerberg, ha ospitato inserzioni relative a immobili situati all’interno di insediamenti considerati illegali secondo il diritto internazionale. Alcuni annunci chiedevano anche la demolizione di edifici palestinesi, comprese scuole, mentre altri sollecitavano donazioni a favore dei soldati israeliani impegnati nelle operazioni militari nella Striscia di Gaza. Secondo diverse segnalazioni, Meta ha quindi permesso la diffusione di contenuti pubblicitari a sostegno di azioni considerate in violazione del diritto internazionale. Allo stesso tempo, la piattaforma ha rimosso contenuti che documentavano tali operazioni, ha oscurato pagine e profili pro-Palestina e ha licenziato alcuni dipendenti che avevano espresso dissenso rispetto a queste scelte.

Facebook ha pubblicato oltre 100 annunci pubblicitari a pagamento che promuovono insediamenti illegali e attività di coloni nella Cisgiordania occupata: è quanto emerge da un’inchiesta pubblicata da Al Jazeera. La maggior parte degli annunci riguarda la vendita di immobili situati nei territori occupati, rivolti ad acquirenti israeliani, statunitensi e britannici. Le inserzioni sono apparse per la prima volta nel marzo 2024 e molte risultano ancora attive. Tra queste, 48 sono state pubblicate dall’agenzia Gabai Real Estate, che promuove abitazioni all’interno degli insediamenti di Ma’ale Adumim e Efrat. Le abitazioni fanno parte di un piano di espansione approvato nello stesso mese dal Comitato di pianificazione superiore israeliano, organo sottoposto al Ministero delle Finanze guidato da Bezalel Smotrich, il quale, dal 2023, non necessita più di approvazioni politiche o militari per l’autorizzazione di nuovi insediamenti.

Tra le pubblicità individuate da Al Jazeera figurano quattro annunci della società immobiliare Ram Aderet, che promuovono la vendita di proprietà nell’insediamento israeliano di Ariel, situato a circa 20 chilometri a est della Linea Verde, nella Cisgiordania occupata. Ram Aderet ha ricevuto finanziamenti dalla Prima Banca Internazionale di Israele, istituto oggetto di una campagna di boicottaggio da parte del movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni), che accusa la banca di sostenere il sistema degli insediamenti nei territori occupati. Il 12 febbraio 2020, le Nazioni Unite hanno incluso la Prima Banca Internazionale di Israele in una lista di 112 entità coinvolte nel sostegno all’espansione degli insediamenti israeliani. L’inserimento è motivato dalla «fornitura di beni e servizi a sostegno della manutenzione e dell’esistenza degli insediamenti» e dalle «attività bancarie e finanziarie che contribuiscono allo sviluppo, all’espansione o al mantenimento degli insediamenti e delle loro operazioni».

Secondo il diritto internazionale, tutti gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono illegali. Il trasferimento della popolazione civile di una potenza occupante all’interno di territori occupati è classificato come crimine di guerra dallo Statuto di Roma della Corte penale internazionale. Oltre alla promozione di vendite immobiliari, tra gli annunci individuati da Al Jazeera figurano anche richieste di demolizione di abitazioni, scuole e parchi giochi palestinesi, allo scopo di liberare spazio per nuovi insediamenti. Inoltre, al di là della questione insediativa, Meta ha pubblicato annunci pubblicitari destinati alla raccolta fondi per unità militari israeliane impegnate nelle operazioni di sterminio nella Striscia di Gaza.

Interessante notare come, mentre lucrava sulla pubblicazione di annunci che promuovono l’espulsione nei confronti dei palestinesi, Meta ha costantemente censurato i contenuti che denunciano il genocidio ed esprimono sostegno nei confronti della resistenza palestinese. Arrivando al punto di denunciare chi, all’interno della stessa azienda, si opponeva alla censura. Come accaduto a Ferras Hamad, che ha fatto causa a Meta per il suo licenziamento che sostiene sia basato sulla condotta contraria agli algoritmi che oscurano i contenuti che riguardano il massacro subito dal popolo palestinese. Anche in Italia, la censura di Meta ha colpito i contenuti contrari agli interessi di Israele e in favore del popolo palestinese.