venerdì 7 Marzo 2025
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Shanghai, centinaia di migliaia di evacuati per il peggior tifone dal 1949

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Voli e treni fermi e attività chiuse a Shanghai per il passaggio del tifone Bebinca, il più forte da oltre settant’anni. Il tifone, che ha causato forti piogge e venti superiori ai 100 km orari, si è abbattuto sulla città alle 7.30 del mattino (ora locale), causando l’evacuazione di 400 mila persone e l’abbattimento di oltre 10 mila alberi. Le autorità hanno invitato i 25 milioni di residenti a non uscire di casa. È alquanto raro che Shanghai sia colpita da questo tipo di eventi atmosferici, che generalmente si manifestano in zone più meridionali della Cina.

Il Viminale vuole vietare le manifestazioni per la Palestina in vista del 7 ottobre

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Le manifestazioni a sostegno della Palestina, previste per il prossimo 5 ottobre, potrebbero essere vietate. A dichiararlo è stato il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, in conferenza stampa. «Consentiremo ogni libera espressione, anche di critica legittima, ma non manifestazioni con un chiaro e esplicito invito alla celebrazione di un eccidio. Ci sono valutazioni in corso», ha affermato Piantedosi. Il riferimento è alla mobilitazione proclamata dai Giovani Palestinesi d’Italia che, in un comunicato, hanno sottolineato che la manifestazione è per «onorare i 40 mila martiri di Gaza e i loro valorosi combattenti che lottano senza tregua» e che l’operazione lanciata dalle sigle combattenti palestinesi il 7 ottobre 2023 è stata un «atto di resistenza». Questi passaggi, secondo Piantedosi, costituirebbero una «celebrazione dell’eccidio» dei civili israeliani. Lo stesso ministro, in passato, non ha mai vietato manifestazioni in solidarietà con Israele che prendevano apertamente le difese del genocidio in corso a Gaza. Il movimento dei Giovani Palestinesi d’Italia, appoggiato da decine di organizzazioni italiane in solidarietà con la Palestina, ha già annunciato che la manifestazione si svolgerà anche in caso di divieto.

«Dopo un anno il valore dell’operazione della resistenza palestinese e della battaglia del “Diluvio di Al Aqsa” è chiaro a tutto il mondo» hanno scritto i Giovani Palestinesi nel comunicato che annuncia la manifestazione. Parole che non sono piaciute al ministro Piantedosi, che sta valutando le misure da mettere in atto. Non sarebbe la prima volta che il governo italiano cerca di vietare le manifestazioni di solidarietà con il popolo palestinese dopo l’inizio dell’aggressione israeliana nella Striscia di Gaza, all’indomani del 7 ottobre 2023. Già in occasione della Giornata della Memoria, il ministro Piantedosi aveva invitato i gruppi pro-Palestina a non scendere in piazza, in quanto le manifestazioni avrebbero potuto «assumere connotazioni lesive, sotto l’aspetto formale organizzativo e contenutistico, del valore nazionale che la Repubblica Italiana» ha attrubuito «allo spirito commemorativo in favore delle vittime delle leggi razziali, nonché di condanna alla persecuzione del popolo ebraico». Di fatto, la repressione contro i movimenti per la Palestina si muove in Italia lungo molteplici assi. Mentre da un lato i partiti di governo avanzano proposte di legge che intendono criminalizzare ogni forma di critica a Israele, creando volontariamente confusione tra i ben distinti concetti di antisemitismo e antisionismo, dall’altro si portano a processo cittadini italiani per aver espresso pubblicamente sostegno alla Palestina e si persegue il dissenso della società civile contro il genocidio in atto a Gaza.

Nel frattempo, le stragi compiute da Israele avvengono a un ritmo tale che hanno smesso di fare notizia. È di pochi minuti fa la notizia che almeno dieci palestinesi sono stati uccisi nel campo rifugiati di Nuseirat, per la maggior parte donne e bambini. Gli attacchi dell’esercito israeliano proseguono senza sosta e contro qualunque obiettivo, che siano scuole, abitazioni o tendopoli di rifugiati, senza distinzioni tra le zone che l’esercito stesso ha designato come «sicure» per i civili. La popolazione di Gaza è allo stremo, tra mancanza di cibo e beni di prima necessità, epidemie diffuse sempre più su larga scala e massacri che avvengono ormai a ritmo costante, senza che sia rimasta in piedi alcuna struttura medica pienamente funzionante. Il conteggio dei morti certi è salito a 41 mila, ma potrebbero essere decine di migliaia i cadaveri seppelliti sotto le macerie della Striscia, ormai quasi del tutto rasa al suolo. Del massacro in corso in Cisgiordania, poi, si parla a stento. Nel frattempo, i ministri israeliani inneggiano – tra le altre cose – al genocidio del palestinesi e alla violazione dei loro luoghi sacri, ma il governo italiano fatica a condannare tali comportamenti per timore di «rompere le relazioni diplomatiche» tra i due Paesi.

[di Valeria Casolaro]

In Australia si stanno costruendo tunnel di argilla per salvare le tartarughe

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In Australia è stata progettata e costruita una nuova struttura che permette di tenere alla larga i predatori selvatici e, allo stesso tempo, consente alle tartarughe di spostarsi in cerca di acqua. Tale soluzione consiste in una serie di tunnel pieni d’acqua e protetti da una griglia, i quali permettono alle testuggini di transitare al di sotto delle recinzioni costruite per proteggere i quoll orientali dai predatori. «Sappiamo da tempo che le tartarughe utilizzano la rete di paludi e laghi di Booderee, nutrendosi e ingrassando nelle paludi e migrando verso i laghi permanenti quando le paludi...

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Spari al campo da golf di Trump, FBI: “probabile attentato”

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Un nuovo attentato avrebbe colpito Donald Trump. Il candidato conservatore si trovava a giocare nel proprio campo da golf di Palm Beach, in Florida, quando si sono uditi degli spari. Le guardie del corpo lo hanno portato al sicuro senza che fosse colpito. Secondo quanto riportato dallo sceriffo in conferenza stampa, un uomo avrebbe sparato da almeno 270 metri di distanza ed è stato arrestato mentre tentava la fuga; nel cespuglio dove era appostato sono stati ritrovati un fucile AK-47 e due zaini con munizioni. L’FBI sta indagando e i suoi vertici hanno affermato che «sembra essere stato un tentato assassinio dell’ex presidente Trump».

Inondazioni nell’Est Europa, media: “Almeno sette morti”

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Situazione critica nell’Europa centrale e orientale per il passaggio della tempesta Boris. Le inondazioni hanno causato migliaia di evacuazioni e danni catastrofici, oltre che a vittime e dispersi. Secondo quanto si apprende dalla stampa locale, almeno sette persone sono decedute e almeno quattro risultano disperse. In Polonia un fiume è esondato e anche l’esercito è stato chiamato a dare man forte ai soccorsi. In Romania sono almeno cinque i morti accertati mentre tra Galati e Vaslui sono già state evacuate oltre 15.000 persone. A Vienna è stato dichiarato lo stato di calamità naturale ed un vigile del fuoco è morto durante il soccorso, mentre nella Repubblica Ceca si contano ben 80.000 sfollati.

Salone di Torino, auto sulla folla: 15 contusi

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A Torino, durante il Salone dell’Auto, una Lancia Delta da rally ha perso il controllo ed è finita sulla folla che osservava da dietro le transenne di piazza San Carlo. Nonostante le cause siano ancora in fase di accertamento, secondo una prima ricostruzione il conducente avrebbe sbagliato una manovra uscendo dal percorso stabilito. È stato riferito inoltre che quindici persone sono rimaste ferite lievemente, anche se cinque tra queste sarebbero state trasportate in ospedale per ulteriori controlli. Le altre sono state assistite sul posto dai sanitari: due squadre della Croce Verde di Torino e della Croce Rossa di Moncalieri.

Il giornalismo di Oriana Fallaci

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Diciotto anni fa, il 15 settembre del 2006, si spegneva nella sua casa di Firenze Oriana Fallaci, scrittrice, giornalista e reporter di guerra che continua a far parlare. A suscitare in egual misura polemiche e riflessioni. Se dovessimo stilare una lista dei giornalisti e delle giornaliste più letti al mondo, il nome di Oriana Fallaci sarebbe in cima. Era diventata celebre per il suo stile diretto e frontale, senza peli sulla lingua lo avrebbe definito lei, con cui intervistava i potenti della Storia. Interviste strutturate come se fossero interrogatori. Da Henry Kissinger, artefice della politica estera di Nixon all’ayatollah Khomeini, il leader iraniano che ha fondato la Repubblica islamica in Iran; passando per Gheddafi, Andreotti, Pahlavi, Nenni, Arafat, Berlinguer, insomma leader, capi di stato e capi di partito, che hanno fatto la Storia del secondo dopo guerra, sono passati attraverso la scomoda esperienza di farsi intervistare e diventare oggetto della penna della Fallaci. 

Amata e odiata in egual misura, controversa e divisiva per il suo rifiuto di sottostare all’autorità, per la sua lotta incessante contro ogni forma d’ideologia, di qualunque colore fossero, anche in vecchiaia ha infiammato i dibattiti per via delle sue posizioni contro l’Islam. Nel bene e nel male ha portato avanti le sue idee anche quando erano in netto contrasto con l’opinione pubblica. Parlare di Oriana Fallaci e ripercorrerne la vita non significa soltanto riflettere sull’evoluzione del giornalismo italiano, ma significa affrontare di petto questioni come democrazia, libertà, sicurezza, religione, ideologia. 

«A diciassette anni fui assunta come cronista in un quotidiano di Firenze. E a diciannove o giù di lì fui licenziata in tronco (…). Mi avevano ingiunto di scrivere un pezzo bugiardo su un comizio d’un famoso leader nei riguardi del quale, bada bene, nutrivo profonda antipatia anzi avversione(..). Pezzo che, bada bene, non dovevo firmare. Scandalizzata dissi che le bugie io non le scrivevo, e il direttore (…) rispose che i giornalisti erano pennivendoli tenuti a scrivere le cose per cui venivano pagati. “Non si sputa nel piatto in cui si mangia”. Replicai che in quel piatto poteva mangiarci lui, che prima di diventare una pennivendola sarei morta di fame, e subito mi licenziò.»

Si era fatta strada in una società dominata principalmente da figure maschili, e forse a ciò doveva la sua verve, ma iscrivere l’odissea della Fallaci nella corrente del femminismo è riduttivo. Da bambina Oriana entra far parte della Resistenza: porta di nascosto munizioni ai Partigiani. Il padre, Edoardo Fallaci, antifascista iscritto fin da giovanissimo al Partito Socialista, aveva subito coinvolto la figlia nei suoi ideali. Poi fu arrestato e torturato dalle camicie nere. E da quel momento l’odio per i regimi autoritari l’ha accompagnata per tutta la vita.

Scriverà nella prefazione alla sua Intervista con la Storia: «Che provenga da un sovrano dispotico o da un presidente eletto, da un generale omicida o da un leader amato, vedo il potere come un potere disumano e un fenomeno odioso: ho sempre considerato la disobbedienza verso gli oppressori come l’unico modo per sfruttare il miracolo di essere nato».

Intervista della giornalista Oriana Fallaci al Presidente della Repubblica Giovanni Leone

Minuta, con i capelli che era solita portare con la riga in mezzo o raccolti in due trecce, di primo impatto dava un’impressione ingannevole di fragilità, di tenera femminilità. Aveva sempre voluto scrivere, dietro consiglio dello zio però s’iscrive a medicina. E per mantenersi durante gli studi inizia a lavorare come giornalista. Esordisce nel giornale Epoca, poi lascia il settimanale per L’Europeo, diretto all’epoca da Michele Serra. Si occupa di moda, cinema, gossip e mondanità, ambiti che però le stanno stretti. Negli anni 60, stanca di intervistare star e registi del cinema, decide di partire per il Vietnam come reporter di guerra. Nel 1967 Oriana Fallaci diviene la prima corrispondente di guerra donna

Con una sorta di ingenuità che solo i giovani, i pazzi e gli idealisti hanno si pone la domanda: «nessuno mi ha ancora spiegato perché uccidere per rapina è peccato, mentre uccidere perché hai un’uniforme è glorioso». Con gli occhi di una giovane afferra per la prima volta il senso della guerra: i morti si ammucchiano nelle strade, i civili vengono torturati e sterminati e allora dividere il mondo in buoni e in cattivi diventa non solo impossibile ma anche intellettualmente immorale. I soldati statunitensi e i membri del Fronte Nazionale per la Liberazione del Vietcong hanno una cosa in comune: sono assassini. Ci si ammazza in nome della libertà quanto in nome della democrazia, ecco cosa le insegna l’esperienza in Vietnam. 

Il materiale raccolto diventerà uno dei suoi primi libri di spessore, Niente e così sia. Nella prefazione scrive: «Se il processo di Norimberga fu un processo legale dovremo rifarlo: al banco degli accusati mettendo stavolta quei bravi ragazzi, quei bravi generali che davan l’ordine di ammazzare i civili, di non lasciar viva neanche una gallina. E tuttavia, tuttavia, tuttavia, il discorso da fare non è sugli americani: il discorso da fare è sugli uomini. Sulla guerra e sugli uomini.»

Dopo l’esperienza in Vietnam, parte per documentare gli scontri armati tra polizia e movimenti studenteschi a Città del Messico.

Nel 1968 a Città del Messico i soldati spararono contro centinaia di militanti antigovernativi: una carneficina compiuta sotto l’egida dell’autorità e in nome della sicurezza. La Fallaci viene colpita tre volte dai proiettili. «Il muro contro cui ci avevano messo era un luogo di esecuzione, se ti muovevi la polizia ti giustiziava, se non ti muovevi i soldati ti uccidevano».

Data per morta, viene portata in obitorio e poi in ospedale, dove la operano per rimuovere i proiettili. Uno dei suoi dottori le bisbiglia: «Scrivi tutto quello che hai visto. Scrivilo!». Scrisse anche di questo, raccontando e consegnando alla storia un massacro che il governo messicano ha sempre negato.

Due eventi tuttavia hanno segnato in modo radicale la sua vita sul piano professionale e personale: l’incontro con Alekos Panagulis, che diventerà il suo compagno e l’intervista con l’ayatollah Khomeini. Durante quest’intervista si strappa di dosso il chador che era stata costretta a indossare per essere ammessa in sua presenza. L’ayatollah, offeso dalle sue domande pungenti e aggressive sulla condizione della donna in Iran, le aveva risposto seccato che quell’indumento era solo per le «donne perbene» e che se non lo voleva indossare, era libera di non farlo. E lei si strappò di dosso «quel cencio medievale», come lo definì. Un’intervista che ne consacrò la fama e contribuì a farne una vera e propria leggenda. Ma sul piano personale fu decisivo l’incontro con  Alekos Panagulis, condannato dapprima a morte e poi al carcere dopo aver tentato di assassinare il dittatore Papadopoulos nel 1968. Torturato, sepolto vivo in una cella non più grande di una tomba, in una cella situata sottoterra proprio come una tomba, il caso Panagulis scosse e mobilitò l’opinione pubblica. Oriana incontrò Alekos il giorno della sua scarcerazione e resterà al suo fianco fino alla morte di lui, avvenuta in un misterioso incidente stradale il 1 maggio 1976. Oriana fu sempre convinta che si fosse trattato di un omicidio deliberato, ma la storia di Alekos Panagulis l’ha raccontata in quello straordinario romanzo, che non è esattamente un romanzo ma un pezzo di vita e di politica e di resistenza, che prende il nome di Un uomo.

Intervista della giornalista italiana Oriana Fallaci all’ayatollah Khomeini

 Ci sarebbe moltissimo altro da dire su Oriana Fallaci. In primis è interessante analizzare il perché delle fortissime reazioni che ha sempre suscitato nei suoi estimatori e nei suoi detrattori. La stessa Oriana ne era acutamente consapevole quando in uno sbotto di rabbia confessò: «Non chiedetemi il perché di tutte  le cattiverie che hanno scritto sui miei libri. Ogni volta che succede io mi chiedo, smarrita, sgomenta, incredula: ma perché? (…) Non appartengo a nessun partito, non appartengo a nessun gruppo o meglio a nessuna mafia letteraria. Dico la verità quando la scopro e quello che sento quando lo sento, cercando di non offendere prima di tutto la mia dignità. Ma quelli che fanno il mio mestiere mi odiano a morte.»

Non ebbe un carattere facile, e non solo perché era una donna in un mondo di uomini. Non doveva essere semplice per chi non condivideva le sue idee dibattere con Oriana che perorava ciò in cui credeva con l’aggressività di un profeta, l’eloquenza di un oratore romano e l’arguzia di un chi era solito frequentare i tribunali. E dire la verità, la verità in senso assoluto o quella che è la propria opinione, ma dirla con forza, a voce alta, senza tenere conto degli interessi particolari di questa o di quella fazione, non contribuì a renderla persona gradita. Prima icona della sinistra e della Resistenza, poi in vecchiaia divenuta icona della destra, in tanti hanno sempre tentato di ideologizzare la Fallaci e di prendere le sue idee, le sue battaglie, i suoi scritti, troppo anti sistematici per far realmente parte di qualsiasi sistema, per portare acqua al proprio mulino. Tuttavia sorge spontanea la domanda: come mai oggi nessun nome nell’ambito giornalistico si è imposto all’attenzione pubblica con la stessa potenza di Oriana? Che fine hanno fatto queste figure dotate di carisma e di una levatura intellettuale e morale davanti alla quale oggi impallidiamo? Quali sono stati i processi storici e culturali che hanno fatto morire di inedia le grandi voci, o le presunte tali, del giornalismo italiano? Sono convinta che anche Oriana se lo sarebbe chiesto.

[di Guendalina Middei, in arte Professor X]

Spazio, conclusa la prima missione privata con attività extraveicolare

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Si è concluso con successo l’atterraggio della navetta Crew Dragon e l’operazione Polaris Dawn: la prima missione privata a prevedere una passeggiata spaziale condotta da cittadini comuni e non da astronauti professionisti. Lo riporta la stampa statunitense, la quale precisa che l’atterraggio è avvenuto al largo di Dry Tortugas, in Florida alle ore 3:37 locali (le 9:36 italiane). Al comando della missione c’era il miliardario Jared Isaacman, accompagnato da un ex colonnello dell’aeronautica e due ingegneri di SpaceX. Durante il volo, durato ben cinque giorni, è stata raggiunta un orbita che distava dalla Terra ben 1.400 chilometri.

Il crollo della produzione automobilistica minaccia l’intera economia europea

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La produzione automobilistica delle principali case europee sta registrando una contrazione senza precedenti a causa della perdita di competitività delle nazioni europee – in primis della Germania – degli alti costi energetici e del fallimentare tentativo di transizione all’elettrico. La crisi del settore minaccia l’intera economia europea, in quanto rappresenta oltre il 7% del Prodotto Interno Lordo (PIL) dell’UE e oltre 13 milioni di posti di lavoro. Secondo un’analisi di Bloomberg News, quasi un terzo dei principali impianti di autovetture delle cinque più grandi case automobilistiche europee – BMW, Mercedes-Benz, Stellantis, Renault e VW – sono stati sottoutilizzati l’anno scorso, producendo meno della metà dei veicoli che hanno la capacità di produrre. Le vendite annuali di auto in Europa si assestano intorno ai tre milioni, ben al di sotto dei livelli antecedenti al 2020. Una prova inequivocabile della crisi del settore è stata la proposta della più grande casa automobilistica europea per vendite, la Volkswagen (VW), di chiudere per la prima volta nella sua storia le fabbriche tedesche e di abolire le garanzie occupazionali in vigore da decenni negli stabilimenti di Wolfsburg, Hannover, Braunschweig, Salzgitter, Kassel ed Emden.

L’annuncio dell’azienda ha innescato un animato dibattito con i sindacati, mettendo in crisi per la prima volta il modello produttivo tedesco che per anni si è basato sull’accordo tra industria, sindacati e politica. Negli ultimi anni, però, quel modello è stato intaccato da ampie proteste dei lavoratori a causa dell’alta inflazione non compensata dalla crescita dei salari. Per fine settembre sono previsti colloqui tra VW e il sindacato IG Metall per un nuovo accordo di lavoro per sei dei suoi stabilimenti tedeschi. Lo scenario non è più roseo per gli altri marchi automobilistici europei, ma anche per altri settori dell’economia del Vecchio continente.

Oltre all’aumento dei costi di produzione, dovuti agli alti costi energetici, e alla concorrenza con Paesi come Stati Uniti e Cina, le case automobilistiche europee devono scontare gli ingenti costi del passaggio all’elettrico: proprio la Volkswagen è stata costretta ad intraprendere un’azione di riduzione dei costi, con l’obiettivo di risparmiare 10 miliardi di euro (11 miliardi di dollari) entro il 2026, nel tentativo di razionalizzare la spesa per sopravvivere alla transizione verso le auto elettriche, sebbene il mercato dell’elettrico stenti a decollare. Diverse aziende automobilistiche, a causa della scarsa domanda, hanno ridimensionato i loro obiettivi di elettrificazione. Tuttavia, proprio VW non ha modificato i suoi obiettivi per il 2030, che prevedono di portare i veicoli elettrici a rappresentare il 70% delle vendite in Europa e il 50% negli Stati Uniti e in Cina, nonostante i ripetuti avvertimenti sul rallentamento della domanda. Secondo Bloomberg, la situazione è particolarmente critica in Germania, dove le case automobilistiche devono affrontare la transizione ai veicoli elettrici, dopo aver dominato per decenni nella produzione di automobili con motore a combustione interna.

Le cose non vanno meglio per Stellantis, la cui produzione in Italia è calata del 25,2% nel primo semestre dell’anno, secondo il consueto report elaborato da Fim-Cisl e presentato a Torino dal segretario nazionale Ferdinando Uliano. Inoltre, giovedì 12 settembre, il gruppo ha dichiarato che avrebbe sospeso la produzione della piccola auto elettrica Fiat 500 per quattro settimane a causa della scarsa domanda. “La misura è necessaria a causa dell’attuale mancanza di ordini legata alle profonde difficoltà sperimentate nel mercato europeo delle auto elettriche da tutti i produttori, in particolare quelli europei”, ha affermato Stellantis in una nota. La scarsa domanda a livello globale di veicoli elettrici ha spinto le case automobilistiche di tutto il mondo a rivedere al ribasso i loro programmi di produzione. La mancanza di infrastrutture adeguate, come le colonnine di ricarica, e i problemi tecnici e logistici che ancora presentano i veicoli elettrici hanno contribuito al crollo della domanda.

Le nazioni europee pagano l’assenza di competitività causata dagli alti costi energetici, dovuti in particolare all’interruzione delle forniture russe a buon mercato a causa delle sanzioni, e all’assenza di sovvenzioni statali. In particolare, la Germania, con l’auto imposizione di un freno al debito e rigide regole contabili che cerca costantemente di aggirare, non ha potuto sostenere la sua produzione industriale, pesantemente colpita dalla perdita del gas russo: una sentenza della Corte costituzionale federale tedesca di Karlsruhe, infatti, ha stabilito che la decisione del governo di trasferire i fondi non utilizzati per la pandemia verso iniziative per il clima e il sostegno dell’industria nel cosiddetto Fondo per il clima e la trasformazione (KTF) era illegale. Di conseguenza, il ministro dell’Economia dei Verdi, Robert Habeck, ha avvertito che sono a rischio il ruolo della Germania come polo di investimenti, così come i posti di lavoro. Una situazione che accomuna gran parte dei Paesi europei, che risentono peraltro proprio del calo industriale tedesco. Le difficili condizioni produttive hanno costretto molte aziende automobilistiche, ma non solo, a ridurre la produzione o a delocalizzare. L’ultimo caso di Volkswagen rappresenta un duro colpo per il già traballante governo tedesco, sconfitto dal partito di destra “Alternativa per la Germania” alle elezioni regionali in Turingia. La crisi del settore automobilistico si inserisce in un contesto già precario per l’economia europea che ha registrato una recessione tecnica nel primo trimestre del 2023 e che ora rischia un ulteriore rallentamento economico a causa della depressione di un settore chiave come quello automobilistico.

[di Giorgia Audiello]

Open Arms, chiesti sei anni di reclusione per Matteo Salvini

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La procura di Palermo ha chiesto una condanna a 6 anni più pene accessorie per il vicepremier Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio per aver trattenuto a bordo della nave Open Arms 147 migranti nell’estate del 2019. La procuratrice aggiunta Marzia Sabella ha precisato che «non si può chiamare in causa la difesa dei confini senza tenere conto della tutela della vita umana in mare». D’altra parte Salvini, che non era in aula, ha pubblicato sui social un video che ripercorre la vicenda e dove ribadisce di aver agito per «difendere i confini». È intervenuta anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha ha espresso «totale solidarietà al ministro Salvini».