martedì 11 Novembre 2025
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Mali, jihadisti attaccano altre due basi militari

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In Mali due basi militari sono state attaccate da miliziani islamisti, in un’escalation di violenze che starebbe rafforzando il controllo jihadista in alcune aree del Paese a suon di operazioni coordinate contro le forze governative. Gli assalti sono stati rivendicati da Jama’a Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin (JNIM), gruppo affiliato ad Al Qaeda attivo nella regione del Sahel. Al momento non sono disponibili dati ufficiali sul numero delle vittime; secondo gli insorti, sarebbero centinaia i soldati uccisi.

USA: sanzioni a 4 giudici della CPI per “azioni illegittime” contro Washington e Israele

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Nonostante non siano un Paese membro della Corte Penale Internazionale e non ne riconoscano l’autorità, gli Stati Uniti hanno sanzionato quattro giudici della Corte a causa di quelle che hanno definito una «grave minaccia e politicizzazione», oltre che un «abuso di potere» da parte dell’istituzione. Le misure, ampiamente annunciate nei mesi scorsi, seguono la decisione della Corte di perseguire membri del governo israeliano per i crimini di guerra e contro l’umanità compiuti a Gaza e in Cisgiordania, oltre che alle indagini condotte contro i crimini di guerra americani in Afghanistan. La decisione, spiega il Dipartimento di Stato americano, punta a imporre «conseguenze tangibili e significative» a coloro che risulteranno direttamente coinvolti «nelle trasgressioni della CPI contro gli Stati Uniti e Israele».

Le sanzioni, in particolare, vanno a colpire Solomy Balungi Bossa, Luz del Carmen Ibanez Carranza, Reine Adelaide Sophie Alapini Gansou e Beti Hohler. Bossa e Ibanez Carranza, si legge nella nota, hanno autorizzato «l’indagine della CPI contro il personale statunitense in Afghanistan». Questa decisione, in particolare, arriva nonostante la CPI avesse sospeso le indagini contro gli USA. Gansou e Hohler, invece, sono i responsabili dei mandati di arresto contro l’ex ministro israeliano della Difesa Yoav Gallant e contro il primo ministro Benjamin Netanyahu. «A seguito delle azioni odierne relative alle sanzioni – riporta il Dipartimento – tutte le proprietà e gli interessi nelle proprietà delle persone sanzionate sopra descritte che si trovano negli Stati Uniti o sono in possesso o sotto il controllo di persone statunitensi sono bloccate e devono essere segnalate all’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del Dipartimento del Tesoro. Inoltre, sono bloccati anche tutti gli individui o le entità che appartengono, direttamente o indirettamente, individualmente o complessivamente, per il 50% o più a una o più persone bloccate».

A gennaio, la Camera dei Rappresentanti USA aveva approvato in via definitiva un disegno di legge che prevede l’applicazione di sanzioni e misure restrittive contro i giudici della CPI. Il motivo scatenante era stata proprio la decisione della Corte di perseguire Netanyahu e Gallant, accusati di aver commesso crimini di guerra e contro l’umanità in Palestina a partire dall’8 ottobre 2023. Tra questi vi sarebbero l’affamare la popolazione come strategia di guerra, il «causare intenzionalmente grandi sofferenze, o gravi lesioni al corpo o alla salute», l’«uccisione intenzionale» e gli «attacchi intenzionalmente diretti contro la popolazione civile», lo sterminio, la persecuzione e altri «atti inumani». Le accuse sono state accompagnate dall’emissione di mandati d’arresto internazionali che obbligano gli Stati membri della Corte ad arrestare Netanyahu e Gallant in caso mettano piede nel territorio di uno di essi.

La decisione era subito valsa accuse di antisemitismo contro la Corte e il suo procuratore, Karim Khan, con la Casa Bianca che aveva espresso solidarietà con Israele. Alcuni Stati (compresa l’Italia), si sono rifiutati apertamente di rispettare le decisioni della Corte, schierandosi con Washington. La posizione, tanto statunitense quanto italiana, ha una chiara valenza politica, dal momento che nessun capo di governo ha avuto da ridire nel momento in la CPI ha emesso mandati d’arresto internazionali per il presidente russo Vladimir Putin.

La Corte Penale Internazionale ha condannato la decisione statunitense, dichiarando che questa costituisce «un chiaro tentativo di minare l’indipendenza di un’istituzione giudiziaria internazionale che opera su mandato di 125 Stati parte di tutto il mondo». L’organo ha ribadito il pieno sostegno al proprio personale, riferendo che «continuerà imperterrita il suo lavoro».

In Guatemala è stato scoperto un complesso Maya di tremila anni fa

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Include santuari, piramidi e persino un inedito sistema di canali idraulici distribuiti tra tre siti finora poco conosciuti: è l’antico complesso Maya risalente a circa tremila anni fa, riportato alla luce in Guatemala da un team di ricercatori locali e archeologi slovacchi e dettagliato nel corso di una conferenza stampa tenuta recentemente dal Ministero della Cultura del Guatemala, secondo cui si tratterebbe di un ritrovamento potenzialmente capace di riscrivere alcuni capitoli della storia della civiltà precolombiana, in particolare dei suoi insediamenti più antichi. La scoperta, avvenuta grazie alle tecnologie moderne di scansione come LIDAR, presenta inoltre elementi architettonici e simbolici di rilievo che, uniti alla peculiarità delle strutture idrauliche rinvenute, suggeriscono che questi luoghi costituissero un centro rituale strategico e articolato, rimasto finora sconosciuto. «Qui si trova uno dei centri rituali più importanti della regione, con notevoli santuari, che aiutano a rivalutare la nostra comprensione della storia Maya», ha commentato il Ministero della Cultura.

La civiltà Maya nacque intorno al 2000 a.C. e si sviluppò soprattutto negli attuali territori di Guatemala e Messico meridionale, raggiungendo il suo apice tra il 400 e il 900 d.C. È nota per le sue imponenti costruzioni architettoniche, per un sofisticato sistema di scrittura e per le avanzate conoscenze in campo astronomico e matematico. Uaxactún, situato nella regione guatemalteca del Petén, è considerato uno dei siti archeologici chiave per la comprensione di questa civiltà. L’area in questione, invece, si trova a breve distanza da quest’ultimo sito, ma i tre insediamenti scoperti – Los Abuelos, Petnal e Cambrayal – risultavano finora sconosciuti e non segnalati nemmeno dalle precedenti esplorazioni. Per effettuare la scoperta, spiegano i ricercatori, è risultato fondamentale il lavoro del Progetto archeologico regionale di Uaxactún (PARU), condotto da un’équipe internazionale di archeologi guatemaltechi e slovacchi, con il supporto dell’Università Comenius di Bratislava. Il tutto grazie al supporto delle tecnologie avanzate – come la mappatura laser – che hanno permesso di identificare nuovi siti nascosti nella fitta giungla, migliorando in modo sostanziale la capacità di esplorazione e documentazione.

Per quanto riguarda l’insediamento di Los Abuelos, il nome deriva da due figure rocciose di aspetto umanoide che, secondo gli archeologi, rappresenterebbero una coppia di antenati. «Qui si trova uno dei centri rituali più importanti della regione», ha dichiarato il viceministro della cultura e dello sport del Guatemala, Luis Rodrigo Carrillo, aggiungendo che in zona si trovano santuari sacri e strutture cerimoniali che indicano l’importanza rituale dell’area e che il ritrovamento impone una rivalutazione della storia religiosa e politica della zona. A est di Los Abuelos, invece, gli archeologi hanno identificato Petnal – dove si erge una piramide alta 33 metri e che presenta sulla sommità due stanze ben conservate affrescate con simbolismi ancora in fase di studio – mentre più a nord, a Cambrayal, è stato infine rinvenuto un palazzo dotato di un sistema di canali d’acqua considerato “unico” dal ministero, che lo ritiene un indizio prezioso per comprendere le tecnologie idrauliche e la gestione delle risorse da parte dei Maya. Tutti e tre i siti, spiegano i funzionari, formano un “triangolo urbano” mai documentato prima, che testimonia l’esistenza di un assetto urbanistico articolato, probabilmente connesso al centro maggiore di Uaxactún. «Queste nuove scoperte archeologiche costituiscono una testimonianza della grandezza della cultura Maya, che oggi stiamo facendo conoscere al mondo intero», ha concluso il Ministero.

Harvard, tribunale sospende divieto di Trump a studenti stranieri

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Un tribunale federale statunitense ha bloccato il provvedimento dell’amministrazione Trump che escludeva i nuovi studenti stranieri dall’Università di Harvard. La giudice Allison Burroughs ha accolto il ricorso dell’ateneo, sostenendo che senza un intervento giudiziario urgente Harvard avrebbe subito un danno «immediato e irreparabile». Il blocco temporaneo sospende l’ordine esecutivo firmato da Trump, che prevedeva lo stop per sei mesi ai visti internazionali per motivi di sicurezza nazionale. L’università potrà quindi accogliere studenti stranieri fino al 16 giugno, data fissata per una nuova udienza.

Trump-Musk, è scontro aperto: tra accuse e insulti crollano le azioni di Tesla

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Negli Stati Uniti è esplosa una bomba. Non del tutto inaspettata però, ormai da più di una settimana se ne sentiva il ticchettio. Quella che per mesi era stata dipinta ironicamente come una “bromance” (una relazione romantica tra uomini) di interesse tra due delle figure più polarizzanti e influenti del panorama globale, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il magnate della tecnologia Elon Musk, è esplosa in una faida pubblica e virulenta. Un’escalation di accuse, insulti e minacce che, tra l’uscita di Musk dall’amministrazione e le critiche di quest’ultimo alla legge di bilancio, è rapidamente degenerata in uno scontro personale senza precedenti. Nel frattempo, le ripercussioni economiche per le due parti sono state immediate, con Trump che avrebbe perso almeno un miliardo di dollari e le azioni di Tesla crollate in borsa.

Fino a poco tempo fa, Elon Musk era considerato un alleato chiave di Donald Trump. Dopo quello che è stato classificato come tentato assassinio di Trump durante un comizio a Butler, in Pennsylvania, nel luglio 2024, Musk ha offerto al futuro presidente un sostegno incondizionato, spendendo milioni per la sua campagna elettorale e usando il suo megafono su X per amplificare i messaggi trumpiani. C’era persino chi lo vedeva come un possibile “amico e consigliere” all’interno della seconda amministrazione Trump, finendo poi per diventare il direttore del DOGE (Dipartimento di Efficienza Governativa), il revisore dei conti pubblici da tagliare e rimettere in ordine. I primi mesi di amministrazione del Dipartimento guidato da Musk sono stati un susseguirsi di azioni in grande stile e bombe mediatiche, più che concrete. Il punto di rottura, tuttavia, è arrivato con una prima critica di Musk a una vasta legge di spesa e riforme fiscali voluta da Trump. Il 28 maggio è poi arrivato l’annuncio di Musk di non essere più alla guida del DOGE. Che questo dipartimento avesse una sorta di “scadenza” era noto: il suo compito avrebbe dovuto infatti essere esaurito in un anno al massimo. Coincidenza, l’esperienza del DOGE, almeno quello guidato da Musk, finisce proprio al momento della critica alla politica di Trump.

Così, il 3 giugno, Musk alza i toni dello scontro e li porta al grande pubblico, definendo il Big Beautiful Bill del Presidente Trump una «montagna di porcherie disgustose» che avrebbe gonfiato il deficit federale, minando gli sforzi del suo ormai ex Dipartimento. La risposta di Trump arriva, il 5 giugno, dal suo profilo di Truth, il suo social network. Il presidente ha espresso la sua grande delusione per Musk, suggerendo che l’opposizione del CEO fosse legata a interessi personali, in particolare alla prevista rimozione di crediti d’imposta per i veicoli elettrici, misura che avrebbe colpito direttamente Tesla. Trump ha poi rincarato la dose dicendo di essere stato lui a chiedere a Musk di lasciare l’amministrazione, contraddicendo la narrazione di una partenza volontaria, spiegando che era diventato «stancante». Lo stesso Trump ha poi lanciato l’idea di cancellare i «lucrativi contratti governativi e i sussidi» per le aziende di Musk, tra cui Tesla e SpaceX, definendolo «il modo più semplice per risparmiare miliardi di dollari», facendo quindi allusione proprio al ruolo svolto fino a qualche giorno prima da Musk all’interno della sua amministrazione. Una chiara minaccia che dimostra come le lealtà nel mondo trumpiano siano effimere e strettamente legate al consenso e all’allineamento politico.

Elon Musk, noto per la sua propensione allo scontro, specie sui social, non si è sottratto alla battaglia, replicando che Trump «non avrebbe potuto vincere» le elezioni senza il suo supporto. Musk è addirittura arrivato a insinuare riguardo a legami tra Trump e il defunto Jeffrey Epstein, motivo per cui le rivelazioni promesse sul caso non sarebbero arrivate. Infine, ha anche lanciato un sondaggio intitolato «È giunto il momento di creare un nuovo partito politico in America che rappresenti davvero l’80% della popolazione media?», facendo credere nella sua volontà di lanciare la sfida politica.

Uno scontro così aggressivo rivela una rottura profonda che va oltre le semplici divergenze politiche, toccando corde profonde di ego e potere, che a entrambe di certo non mancano. Le conseguenze di questa faida pubblica si sono fatte sentire immediatamente sul mercato. Le azioni di Tesla, già sotto pressione da tempo, anche per il sostegno politico a Trump, hanno registrato un crollo significativo bruciando circa 150 miliardi di dollari di valore azionario. Ieri hanno toccato il picco di -19% e oggi, al momento in cui scriviamo, stanno continuando a scendere. Ma, come riporta Axios, anche le attività di Trump hanno avuto una flessione significativa, costando più di 1 miliardo al presidente. Insomma, per entrambi una grana economica, prima che politica. In queste ore si vocifera di una possibile chiamata pacificatoria che avverrà nelle prossime ore.

Lo scontro pubblico tra Trump e Musk è un caso emblematico di come le intersezioni tra politica di alto livello, potere economico ed ego possano produrre dinamiche esplosive. L’alleanza iniziale era fondata su una convergenza di interessi e ideologie: Trump, pro-business e anti-regolamentazione, e Musk, innovatore eccentrico e critico del “deep state” e delle narrative mainstream. Entrambi amano il controllo diretto, la provocazione e l’uso spregiudicato dei social media per influenzare l’opinione pubblica. Tuttavia, il dissidio sulla legge di spesa rivela una frattura fondamentale: per Trump, la lealtà è un valore supremo e le critiche a una sua iniziativa legislativa vengono percepite come un tradimento personale. Questo scontro, dunque, non è solo una lite tra due ego smisurati, ma una cartina di tornasole delle complessità che emergono quando il capitale privato, con le sue logiche di mercato e innovazione, si scontra con il potere politico, con le sue logiche di controllo e fedeltà. La domanda ora è se questo scontro avrà ripercussioni durature sulla politica americana, sull’agenda di Trump e sulle fortune delle imprese di Musk, o se si tratta solo di un’altra tempesta in un bicchiere d’acqua nel tumultuoso panorama contemporaneo.

Gaza: fondazione USA sospende di nuovo distribuzione aiuti umanitari

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Dopo la prima sospensione dello scorso mercoledì 4 giugno, la Gaza Humanitarian Foundation (GHF), l’ONG americana incaricata di distribuire gli aiuti umanitari a Gaza e fortemente criticata dall’ONU e da altre agenzie internazionali, ha nuovamente fermato questa mattina le attività nella Striscia. «State lontani dai punti di distribuzione per la vostra sicurezza», ha riferito la fondazione, che non specifica quando le attività ricominceranno. Sono decine i palestinesi uccisi e centinaia quelli feriti dall’esercito israeliano nei giorni scorsi, mentre cercavano di ricevere gli aiuti umanitari nei punti di distribuzione della GHF.

Molfetta, appalti in cambio di voti: arrestato sindaco Minervini

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Il sindaco di Molfetta, Tommaso Minervini, è stato ristretto agli arresti domiciliari nell’ambito di un’inchiesta della Guardia di Finanza su presunte irregolarità negli appalti in cambio di voti. Stessa misura per la dirigente comunale Lidia De Leonardis. Disposte anche interdizioni per due dirigenti comunali, il divieto di dimora per un ex luogotenente della Guardia di Finanza e restrizioni per un imprenditore portuale. Le accuse, che ruotano attorno alla gestione del nuovo porto commerciale di Molfetta, comprendono corruzione, turbativa d’asta, peculato e falso. Minervini, secondo la ricostruzione dei magistrati, avrebbe promesso la gestione trentennale delle banchine in cambio di sostegno elettorale.

Dalla Francia all’Italia: i portuali boicottano l’invio di armi a Israele

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Un container con 14 tonnellate di componenti per mitragliatrici destinate all’esercito israeliano è stato bloccato nel porto francese di Marsiglia grazie all’azione dei portuali della CGT, che hanno rifiutato di caricarlo sulla nave cargo Contship Era della compagnia israeliana ZIM. I lavoratori lo hanno definito come atto di dissenso «contro il genocidio in corso orchestrato dal governo israeliano». Il boicottaggio è stato promosso anche dai membri del Collettivo autonomo lavoratori del porto di Genova, dove il cargo attraccherà domani. Questi ultimi, plaudendo ai colleghi francesi, hanno annunciato che sorveglieranno la nave – che nei giorni successivi arriverà a Salerno, per poi salpare verso Haifa – per assicurarsi che sia effettivamente vuota.

La protesta è iniziata a Marsiglia, quando il sindacato CGT ha scoperto che il carico conteneva 19 pallet di maillons, componenti metallici prodotti dall’azienda Eurolinks e utilizzati per collegare le munizioni nei fucili mitragliatori. Il media investigativo Disclose ha rivelato negli scorsi giorni che questi materiali sarebbero destinati a Israel Military Industries, una controllata di Elbit Systems, azienda chiave del comparto militare israeliano. Il governo francese sostiene che il carico non sia destinato direttamente all’esercito israeliano, ma per produzioni da riesportare. A ogni modo, i portuali hanno deciso di bloccarlo: «Il porto di Marsiglia non deve alimentare l’esercito israeliano», hanno affermato. L’azione ha ricevuto il plauso della sinistra francese: «Gloria ai dockers di Marsiglia-Fos», ha scritto il deputato Manuel Bompard, mentre Jean-Luc Mélenchon ha chiesto un «embargo immediato sulle armi del genocidio».

Ora la Contship Era è attesa a Genova, dove i portuali dell’USB e del Collettivo autonomo lavoratori portuali (CALP) avevano annunciato per la giornata di oggi un presidio a Ponte Etiopia per impedire l’attracco. Ieri sono però usciti con un comunicato in cui hanno elogiato i portuali di Marsiglia e spostato la mobilitazione a domani: «Primo grande risultato della lotta dei portuali francesi in coordinamento con i nostri: la nave della morte, la Contship Era, è ferma a Marsiglia e NON è stata caricata delle sue 14 tonnellate di nastri per mitragliatrici – si legge nella nota –. Il presidio di domani delle 15 al Varco Etiopia del Porto di Genova è spostato al sabato mattina per verificare che, qualora arrivasse a Genova, sia effettivamente vuota». I portuali hanno inoltre indetto per domani alle 18 una conferenza stampa al Music For Peace, a pochi passi dal Varco Etiopia. «Boicottare la guerra si può. Al fianco del popolo Palestinese», scrivono chiudendo il comunicato.

Già nel novembre del 2023, poco dopo l’inizio dei massacri a Gaza, il Collettivo autonomo dei lavoratori portuali aveva lanciato una mobilitazione per bloccare il varco di San Benigno, uno dei punti chiave della viabilità genovese, al fine di protestare contro il transito di armamenti dal porto del capoluogo ligure. La mobilitazione era proseguita nel giugno dello scorso anno, quando i portuali avevano organizzato un presidio non autorizzato in sostegno della Palestinabloccato i varchi portuali della città. Iniziative che si collocano in un generale movimento di protesta dal basso contro il traffico marittimo di armi, che in Italia – come in Europa – ha portato a muoversi tanto i lavoratori del settore, quanto le comunità cittadine. I portuali genovesi non sono nuovi a questo tipo di azioni: già in passato avevano bloccato carichi di armi diretti in Arabia Saudita per la guerra in Yemen, ricevendo anche un riconoscimento da papa Francesco.

Il precariato nella scuola è diventato un affare per le università telematiche

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L’anno scolastico 2023/2024 si è chiuso con un record di precari: 250.000 tra personale docente e personale amministrativo tecnico e ausiliario ATA. Per quanto riguarda gli insegnanti, i contratti a tempo determinato annuali (dal primo giorno di scuola al 31 agosto) e a termine (fino al 30 giugno) sono stati circa 230.000 su un totale di quasi 900.000 docenti in servizio. In pratica, un lavoratore su quattro era precario. La condizione di precariato non si limita però a un contratto che scade ogni estate, ma assume diverse forme, frustranti e difficili da gestire. Inseriti nelle graduatorie provinciali di supplenza (GPS, che si dividono tra una prima fascia di personale abilitato e una seconda di non abilitato), i docenti non di ruolo arrivano a stravolgere la propria vita pur di lavorare. Un sistema talmente incrostato da essere ormai diventato un nuovo modo per fare affari da parte delle università telematiche, che “offrono” crediti formativi che i docenti devono prendere per provare a migliorare la posizione in graduatoria, pagandoli carissimi.

Vite precarie

I primi giorni di scuola, nelle segreterie scolastiche del Nord, non è raro incontrare insegnanti appena arrivati da regioni del Mezzogiorno. Spesso, infatti, si sceglie di non iscriversi alle GPS della provincia di residenza, nella convinzione che in altre zone ci siano maggiori possibilità di essere chiamati. Questo significa lasciare la propria casa da un giorno all’altro per spostarsi in un luogo dove si ha il lavoro ma non un alloggio, che viene cercato rapidamente scontrandosi con la scarsa offerta abitativa e il caro affitti, magari incontrando solamente proposte di affitti brevi.

È solo l’inizio. È frequente che, per completare l’orario, un docente accetti più “spezzoni” – così chiamati gli incarichi con orario parziale – anche in istituti differenti, dovendo quindi organizzarsi con gli spostamenti in modo da entrare in classe in orario. Ma essere precari a scuola può anche significare accettare contratti della durata di pochissimi giorni. Francesca, non abilitata iscritta alle GPS in una provincia del Nordest, quest’anno è stata chiamata solo per una sostituzione breve di qualche settimana e da settembre a oggi ha ricevuto numerose proposte di supplenza che non arrivavano a sette giorni. Se non si ha la fortuna di ottenere l’annualità, i precari della scuola vanno avanti a suon di brevi supplenze, così da maturare punteggio e aumentare il proprio posizionamento nelle GPS. Per avanzare nelle graduatorie, oltre al servizio maturato e ai titoli di studio, ci sono una serie di certificazioni che si possono conseguire, come quelle informatiche o linguistiche.

Per esempio, per un totale di quattro punti e a un prezzo variabile in base all’offerta che si trova, si possono seguire dei corsi on line per ottenere le competenze digitali che attestano l’abilità nell’uso della lavagna interattiva multimediale (LIM), del tablet, la conoscenza della programmazione informatica e dell’uso del computer tramite passaporto informatico europeo. Questa miriade di corsi si inserisce in una logica aziendalista che mette in competizione i docenti, impegnati in una folle corsa verso la stabilità.

I concorsi che non assicurano il ruolo

Il ministro dell’istruzione e del merito Giuseppe Valditara

Tra dicembre 2023 e dicembre 2024, il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha indetto, in due fasi distinte, i concorsi PNRR1 e PNRR2, così denominati perché inseriti nell’ambito di assunzione previsto dal Piano Nazionale Ripresa e Resilienza. Mentre il primo si è concluso negli ultimi mesi del 2024, per il secondo i candidati (complessivamente 239.000 domande) hanno sostenuto nella seconda metà di febbraio di quest’anno la prima prova. In entrambi i casi, per partecipare alle prove (una scritta, una orale e una pratica qualora prevista) è stato necessario rispettare uno dei seguenti requisiti: l’abilitazione all’insegnamento, il possesso di 24 crediti in materie psicopedagogiche e metodologie didattiche conseguiti entro il 2022, tre anni di servizio (di cui uno specifico nella classe di concorso prescelta) svolti negli ultimi cinque.

Il dato significativo (e, come vedremo, non casuale) è che, per la prima volta nella storia dell’istruzione italiana, questi concorsi non sono risultati abilitanti: i vincitori, qualora non già abilitati, sono stati di fatto obbligati a iscriversi ai percorsi abilitativi al fine di poter vedere garantito l’incarico assegnato dal superamento del concorso stesso. Arturo (nome di fantasia), docente di strumento musicale presso la scuola secondaria di primo grado, dopo essere risultato vincitore del concorso PNRR1, a settembre 2024 ha lasciato la residenza d’origine per trasferirsi nella regione dove aveva vinto il ruolo. Non essendo abilitato, si è visto assegnare un incarico a tempo determinato. Benché abbia più volte interpellato gli organi competenti (Ufficio scolastico regionale, funzionari scolastici) riguardo alla propria posizione contrattuale, non ha mai ricevuto risposte chiare né alcuna garanzia in merito alla conferma del proprio incarico: questione di enorme importanza, che riguarda la condizione di centinaia di docenti. L’unico elemento che si è aggiunto nel corso dell’anno è stato l’emanazione di un decreto ministeriale che, autorizzando l’avvio dei percorsi abilitanti, riservava, regione per regione, una quota di posti disponibili ai vincitori di concorso. Arturo si è trovato costretto a iscriversi ai suddetti corsi per una cifra di circa 2000 euro, oltre a dover chiedere aspettativa dall’insegnamento: la calendarizzazione delle lezioni coincide con il suo orario di servizio. Si è creata, così, la situazione paradossale per cui il docente che ha ottenuto il posto è stato sostituito da un supplente, in questo caso anch’egli proveniente da un’altra regione. La condizione di Arturo riflette una dinamica strutturale che, per la prima volta in Italia, estende lo stato di precarietà anche ai vincitori di concorso.

A tutto questo si aggiunge un elemento che sfiora il grottesco. In una delle sessioni della prova scritta del concorso PNRR2, svoltosi a febbraio di quest’anno, è stata rilevata una domanda formulata in maniera errata sulle 50 elaborate e proposte dal Ministero. Dopo settimane di silenzio da parte degli organi ufficiali, centinaia di insegnanti coinvolti in questa prova si sono visti riconvocare per recuperare in massimo cinque minuti il quesito “scorretto”. Per chi, come Arturo, ha partecipato all’esame fuori regione, questa falla ministeriale ha comportato ulteriori viaggi e ulteriori spese, sostenute nel timore di non poter accedere all’esame orale.

Il business dei crediti abilitanti

Ma in cosa stanno investendo i docenti? I corsi abilitanti – funzionali a entrare in prima fascia e a garantirsi la possibilità di partecipare ai futuri concorsi e, di conseguenza, alle procedure di immissione in ruolo – si dividono in percorsi da 60, 36 e 30 crediti formativi e vi si accede in base a determinati requisiti. Il loro prezzo varia da 2000 a 2500 euro, a cui si aggiungono i 150 di iscrizione alla prova finale. Inoltre, poiché solo alcuni corsi prevedono lo svolgimento interamente on line, coloro che si sono iscritti a un’università distante dalla propria residenza devono sommare i costi degli spostamenti e dei pernottamenti.

Ma non è finita qui. Il percorso da 60 crediti prevede un tirocinio diretto di 180 ore da svolgere in scuole convenzionate con l’ateneo di riferimento e sotto la supervisione del tutor dei tirocinanti. È possibile svolgerlo – a titolo gratuito – anche nella scuola dove si presta servizio come supplente, a condizione che non si faccia nella propria classe, che non coincida con le ore di insegnamento e che la scuola sia accreditata. Oltre all’enorme carico di lavoro che si aggiunge nel portare avanti parallelamente l’insegnamento e il tirocinio, qualora il proprio istituto non fosse riconosciuto si è costretti a chiedere aspettativa o a licenziarsi per portare a termine il ciclo intrapreso.

Monica Motter, segretaria del Trentino Alto Adige con funzione vicaria UIL Scuola, ha dichiarato a L’Indipendente che molte università hanno fissato lezioni in presenza durante gli esami di Stato di primo e secondo ciclo (scuola media e superiori). I docenti si trovano così a dover scegliere se essere sostituiti durante le prove di fine ciclo scolastico, non accompagnando la propria classe in questo passaggio, oppure saltare le lezioni, con il rischio di non raggiungere il 70% della presenza obbligatoria e vedendo così sfumare la possibilità di abilitarsi al netto del pagamento.

Mentre migliaia di studenti affrontano ogni giorno le carenze della scuola pubblica, lo Stato bandisce concorsi a ostacoli per selezionare docenti precari da anni, con regole sempre diverse e scadenze imposte dal PNRR

Questa sovrapposizione temporale sottolinea ancora una volta come questi percorsi non rispecchino le esigenze dei docenti obbligati a destreggiarsi tra la vita, gli impegni lavorativi e le rigidità burocratiche. Allo stesso tempo, i calendari programmati dalle università non vanno incontro nemmeno alle necessità delle scuole: si sta creando un vero e proprio cortocircuito per cui un impegno obbligatorio inerente allo svolgimento delle funzioni proprie del personale scolastico è impedito da un percorso di studi creato, nella teoria, per rendere i docenti ancora più idonei al loro mestiere.

Come già si è potuto capire dai prezzi dei percorsi abilitanti, a manifestarsi come centrale è la questione economica, perché determina l’equiparazione tra studente e cliente. La teoria dei crediti e debiti formativi, infatti, avvalla la logica per cui l’università vende qualcosa che lo studente acquista se ha il denaro sufficiente. In questo modo, il sapere è ridotto a un valore di scambio che, come spiega il sociologo Alessandro Dal Lago in Contro la società pedagogica, ribadisce il rapporto di subordinazione tra l’educando e l’educatore. Tale condizione di subalternità rischia, in questo caso, di essere ancora più frustrante, poiché l’alunno è spesso anch’egli un docente con anni di esperienza alle spalle. Attraverso la lente di questo mercato dei crediti si riesce però anche a comprendere il possibile interesse monetario che sta dietro alla scelta di istituire concorsi non abilitanti: tra l’anno scolastico 2023/2024 e quello 2024/2025 il totale dei posti dei percorsi accreditati è stato di 79.479, ripartiti tra le classi di concorso per università. Sebbene non sia ancora possibile avere una cifra delle persone che si sono iscritte ai cicli di 30, 36 o 60 crediti – ci si potrà fare un’idea solo quando saranno aggiornate le GPS – è lecito credere che la maggior parte dei posti disponibili sia stato occupato creando un giro d’affari dalle immense dimensioni.

Questa compra-vendita dei percorsi abilitanti non solo restituisce all’università la dimensione dell’azienda erogante servizi e dei clienti acquirenti di servizi, ma fa sì che la formazione offerta, più che migliorare le prestazioni dei docenti, sia funzionale a foraggiare le casse delle università pubbliche e private. La scelta politica di istituire concorsi con le caratteristiche di quelli PNRR1 e PNRR2 e nuovi corsi abilitanti permette di affermare che oggi i docenti sono costretti a comprarsi il lavoro poiché, qualora si decidesse di non ottenere i crediti, si rischia di rimanere indietro nelle GPS e non ottenere alcun incarico. In questo scenario, che vede nel lavoro un dovere individuale e non un diritto di cui si può eventualmente godere, sembrerebbe assente una lotta sindacale capace di creare solidarietà tra i lavoratori della scuola, piuttosto che una concorrenza dettata dall’individualizzazione della condizione di precarietà. 

Israele ha lanciato 17 attacchi nella periferia sud di Beirut

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Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno effettuato almeno 17 attacchi nella periferia sud della capitale libanese Beirut. Lo ha riportato l’emittente Al Jazeera. Secondo quanto affermato dall’emittente libanese LBCI, gli israeliani hanno effettuato sei attacchi diretti e dieci attacchi di avvertimento e l’unico proiettile rimasto non è esploso. In precedenza, l’IDF aveva dichiarato che i suoi attacchi avrebbero preso di mira siti dell’Unità Aerea di Hezbollah a Dahieh, sobborgo meridionale di Beirut. Prima di compiere il bombardamento, l’esercito israeliano ha diramato un ordine di evacuazione dei civili, che in migliaia si erano riversati in strada per allontanarsi.