L’Autorità garante ha stabilito una multa da 20 milioni di euro per i servizi di biglietteria del Parco archeologico del Colosseo, a causa della prolungata indisponibilità di biglietti d’accesso all’area. Nello specifico, a venire colpiti dalla sanzione sono la Società Cooperativa Culture (CoopCulture), che dovrà pagare una multa di 7 milioni di euro, e gli operatori turistici Tiqets International, GetYourGuide Deutschland, Walks, Italy With Family, City Wonders Limited e Musement. L’Antitrust aveva avviato l’istruttoria nel luglio 2023. Secondo l’Autorità, CoopCulture «ha contribuito, in piena consapevolezza, al fenomeno della grave e prolungata indisponibilità dei biglietti di ingresso per il Colosseo a prezzo base».
Il Decreto sicurezza ha messo fuorilegge anche la cannabis light
Con l’approvazione del DL Sicurezza, il decreto legge che incorpora gran parte dell’omonimo disegno di legge, il governo porta avanti la guerra alla cannabis light. La filiera agroindustriale di CBD e derivati interessa diversi settori, dal cosmetico alla bioedilizia, dall’alimentare al tessile. A essere colpito direttamente e indirettamente è un intero mercato dal valore di 2 miliardi di euro, che conta 22mila posti di lavoro. Nel DL, il cannabidiolo con THC sotto i limiti di legge italiani ed europei viene comparato a uno stupefacente, venendo di fatto messo fuorilegge. In passato, il governo Meloni ha provato diverse volte a bandire i prodotti a uso orale a base di cannabidiolo, venendo però fermato a più riprese dal TAR.
Il provvedimento varato dal governo modifica in maniera sostanziale la legge 242/2016, che promuoveva la filiera agroindustriale della canapa. In particolare, l’articolo 18 del Decreto Sicurezza consente ora la produzione di infiorescenze contenenti CBD solo se destinate al “florovivaismo professionale”, vietandone ogni altro uso, dal commercio alla lavorazione, dalla detenzione alla vendita. Gli agricoltori che coltivano canapa industriale, dunque, rischiano di ritrovarsi da un giorno all’altro in possesso di un prodotto considerato uno stupefacente, senza alcuna finestra di tempo per lo smaltimento o la regolarizzazione. Secondo Canapa Sativa Italia, Confagricoltura, Coldiretti e Filiera Italia, il decreto paralizzerà l’intero comparto, mettendo migliaia di aziende nell’incertezza proprio alla vigilia della stagione agricola. Nonostante mesi di tentativi di dialogo, audizioni parlamentari, conferenze stampa e studi economici a supporto della cannabis light, il governo ha tirato dritto. E lo ha fatto proprio mentre l’agroalimentare italiano affronta la minaccia dei dazi internazionali, il Pil rallenta e la disoccupazione giovanile cresce. Le associazioni di settore denunciano come la filiera della canapa non riguardi solo la produzione di infiorescenze, ma anche cosmetici, bioedilizia, alimentare e tessile. Settori adesso messi a rischio da una scelta che ha il sapore della crociata ideologica, fortemente promossa dal ministro Matteo Salvini e dal sottosegretario Alfredo Mantovano.
Le conseguenze per le imprese potrebbero essere devastanti. Come sottolinea l’avvocato Giacomo Bulleri, in casi normali, quando un prodotto diventa non conforme, si concede un periodo per il suo smaltimento. Qui, invece, tutto cambia da un giorno all’altro: i produttori si troveranno improvvisamente in possesso di uno stupefacente, con il rischio di pesanti conseguenze penali. L’unica cautela consigliata è isolare i prodotti incriminati, conservare tutta la documentazione e astenersi da qualsiasi attività di vendita. Nel frattempo, le associazioni del settore non si arrendono. Sono già stati annunciati ricorsi giurisdizionali a livello nazionale ed europeo, con la speranza di sollevare dubbi di costituzionalità e violazione delle normative comunitarie. Tuttavia, fino all’eventuale sospensione o annullamento del decreto, chi decidesse di proseguire l’attività si troverebbe in una situazione di disobbedienza civile, esponendosi a rischi enormi. Anche sul piano politico il fronte di opposizione si muove. +Europa ha annunciato la volontà di lanciare un referendum abrogativo, chiedendo a tutte le forze di minoranza di unirsi nella raccolta firme per contrastare una norma giudicata tanto irragionevole quanto dannosa per l’economia, la libertà d’impresa e la coerenza giuridica.
Già nell’agosto del 2023, con un decreto del Ministro Schillaci, il governo Meloni aveva inserito nel testo unico sugli stupefacenti i “prodotti da ingerire” a base di cannabidiolo – sostanze prive di effetti psicotropi –, impedendo la loro libera vendita in tutti i punti che non siano farmacie. Una decisione che fa a pugni con un’importante pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione Europea del novembre 2020, in cui si è sancito che i prodotti a base di Cbd non devono essere considerati come stupefacenti. Il decreto era successivamente stato bloccato dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, che aveva accolto un ricorso presentato dall’associazione Imprenditori Canapa Italia (Ici), disponendo la sospensione del decreto e rendendo nuovamente consentito il commercio dei prodotti. Nel luglio 2024, il governo ci ha riprovato, tornando a inserire i prodotti a base di cannabidiolo (CBD) nella lista delle sostanze medicinali contenenti stupefacenti. Tre mesi dopo, il TAR è nuovamente intervenuto per bloccare il decreto.
Nel frattempo, però, la maggioranza ha inserito nel DDL Sicurezza il divieto della produzione e del commercio della cannabis light. Federcanapa, associazione del settore, aveva indirizzato una lettera alla commissione di Giustizia della Camera dei Deputati per sollecitare un dietrofront, evidenziando come il divieto si sarebbe abbattuto sull’«intero comparto agroindustriale della canapa da estrazione, in particolare della produzione di derivati da CBD o da altri cannabinoidi non stupefacenti per impieghi in cosmesi, erboristeria o negli integratori alimentari», ricordando che «tali impieghi sono riconosciuti dalla normativa europea come impieghi legittimi di canapa industriale». Il dietrofront, però, non è arrivato. E, dal momento che il “Pacchetto Sicurezza” era da mesi arenato in Parlamento, con un blitz in Consiglio dei Ministri il governo negli scorsi giorni ha trasformato il testo in un decreto. Che, dunque, diventa subito applicabile dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e dovrà essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni.
L’esercito israeliano ha occupato il 50% del territorio di Gaza
L’esercito israeliano sta radendo al suolo la Striscia di Gaza per creare una «zona cuscinetto militarizzata», tanto che, nelle ultime settimane, sarebbe arrivato a controllare la metà del territorio. I vertici dell’esercito la chiamano il «perimetro» e avrebbero dato indicazioni precise per la sua instaurazione: «distruggere tutto quello che si può» così da non «fare tornare i palestinesi mai più». È questo quello che si legge nell’ultimo rapporto di Breaking the Silence, associazione di veterani israeliani che si propone di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle conseguenze dell’occupazione militare israeliana in Palestina. Secondo le testimonianze raccolte dall’ONG, il piano di demolizione delle aree di confine sarebbe stato chiaro sin dall’inizio delle aggressioni, il 7 ottobre 2023, e punterebbe a facilitare una occupazione militare della Striscia schiacciando notevolmente la linea di confine tra Israele e l’enclave costiera. Secondo il rapporto, il “perimetro” dovrebbe estendersi per il 16% della Striscia, ma stando a ulteriori analisi a ora Israele avrebbe di fatto occupato più del 50% del territorio gazawi.
Il rapporto di Breaking the Silence è uscito ieri, lunedì 7 aprile. In esso, la ONG raccoglie circa una dozzina di testimonianze di soldati e ufficiali dell’esercito che hanno preso parte alla creazione del “perimetro” e alla sua trasformazione in una zona di distruzione totale. Il “perimetro” si estende dalla costa a nord al confine egiziano a sud, tutto all’interno del territorio della Striscia di Gaza a una profondità che varia dagli 800 ai 1.500 metri. Il piano per la sua creazione è semplice: radere al suolo tutto quello che ci si trova davanti per lasciare spazio agli avamposti militari. «Quando dico tutto intendo tutto», dice un testimone. «Tutto quello che è costruito». Tutte le strutture, tutte le costruzioni», inclusi stalle e pollai. «Come appare la zona dopo la demolizione?» chiede allora l’intervistatore. «Hiroshima», risponde il soldato. Lo scopo militare del “perimetro” è quello di creare un’area isolata «che fornisca una chiara linea di vista e, con quella, una chiara linea di fuoco» verso qualsiasi cosa l’esercito definisca come una potenziale minaccia. «In altre parole, il controllo militare assoluto sull’area».
Dalle varie testimonianze emerge come non solo la distruzione totale della Striscia, e specialmente delle aree di confine, fosse «deliberata», ma anche che era stata pensata sin dall’inizio degli attacchi, a partire dal 7 ottobre. «La leadership politica di Israele ha evitato di lavorare per un accordo politico che avrebbe posto fine alla guerra e inaugurato una nuova era per il “giorno dopo”», scrive Breaking the Silence. Tale obiettivo, sottolinea il rapporto, troverebbe conferma nelle numerose dichiarazioni rilasciate sin dall’inizio dell’escalation militare a Gaza. «Alla fine di questa guerra, non solo Hamas non sarà più a Gaza, ma anche il territorio di Gaza diminuirà», dichiarava l’allora ministro degli Esteri Eli Cohen. Prima della guerra, la zona cuscinetto tra Israele e la Striscia di Gaza si estendeva per circa 300 metri nel territorio palestinese e l’accesso all’area era limitato. A ora, invece, secondo un’analisi dell’agenzia di stampa Associated Press, Israele avrebbe preso il controllo di oltre il 50% della Striscia, e starebbe spingendo il popolo gazawi in porzioni di terra sempre più piccole. Particolarmente forte, secondo AP, la presenza israeliana attorno a Gaza City, dove, dalla ripresa dei massacri, la fanteria ha raddoppiato l’estensione della «zona di cuscinetto militare».
Con l’espansione delle operazioni militari, continuano anche i massacri. Dall’alba di oggi, le forze israeliane hanno continuato a bombardare Gaza, uccidendo 6 palestinesi in un raid nella città settentrionale di Beit Lahiya. Le vittime di oggi seguono le decine di ieri. A esse si è aggiunto anche Ahmed Mansour, il giornalista rimasto intrappolato e arso vivo nell’attacco israeliano a una tenda per i media vicino all’ospedale Nasser a Khan Younis. In totale, dall’escalation del 7 ottobre, l’esercito israeliano ha ucciso direttamente almeno 50.695 persone, anche se il numero totale dei morti potrebbe superare le centinaia di migliaia, come sostenuto da un articolo della rivista scientifica The Lancet e da una lettera di medici volontari nella Striscia. Dalla ripresa delle aggressioni su larga scala del 18 marzo, invece, Israele ha ucciso almeno 1.338 persone. L’ultimo aggiornamento risale all’altro ieri, domenica 6 aprile.
USA, la Corte accetta la legge di guerra per espellere i migranti
La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha autorizzato il presidente Trump a utilizzare l’Alien Enemies Act, una legge di guerra del 1798, per accelerare le espulsioni di migranti. La decisione arriva dopo che un giudice aveva vietato al presidente di fare ricorso all’atto contro cinque migranti venezuelani che avevano fatto causa contro l’espulsione. Trump aveva fatto appello al decreto lo scorso 16 marzo per aggirare un divieto imposto da un Tribunale federale. L’Alien Enemies Act gli permette di trasferire rapidamente i migranti ritenuti parte di una «invasione o incursione predatoria».
Serbia, nominato il nuovo primo ministro
Il presidente serbo Aleksandar Vucic ha nominato Djuro Macut come nuovo primo ministro. Macut, 62 anni, è medico e professore di endocrinologia all’Università di Belgrado. Privo di esperienza politica, Macut ha in passato dichiarato di avere posizioni vicine a quelle del Partito Progressista Serbo di Vucic. Entro il 18 aprile, Macut dovrebbe presentare una squadra di governo; la sua nomina dovrà poi essere confermata dal parlamento del Paese. Macut sostituisce il primo ministro Milos Vucevic, dimessosi a causa delle proteste che hanno investito il Paese dopo il crollo della tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad.
Il piano del Messico per raggiungere la sovranità alimentare grazie ai piccoli agricoltori
Il Messico ha annunciato un piano di oltre 4 miliardi di dollari per raggiungere la sovranità alimentare tramite il sostegno ai piccoli agricoltori. Il programma, definito “Raccogliere Sovranità” (Cosechando Soberanía), rientra nel più ampio “Plan México”, la strategia di sviluppo economico svelata dall’amministrazione di Claudia Sheinbaum, e prevede l’incremento della produzione di mais bianco naturale, di fagioli e di riso. Per farlo, il governo messicano ha messo a punto un piano sfaccettato, che va da un ampliamento delle tutele legali dei prodotti locali a investimenti mirati nel settore agricolo, che passano in primo luogo da finanziamenti diretti e agevolati ai piccoli produttori, a cui dovrebbero accedere fino a 750.000 agricoltori. Solo nel 2025, ha affermato il ministro dell’Agricoltura Julio Berdegué, il governo dovrebbe spendere oltre 2,5 miliardi di dollari per avviare il piano, arrivando a sostenere circa 300.000 lavoratori.
Il programma Raccogliere Sovranità è stato annunciato venerdì 4 aprile e illustra una serie di misure di finanziamento ai piccoli e medi produttori messicani volte ad aumentare la produzione agricola nazionale. Il programma prevede prestiti agevolati con un tasso di interesse massimo del 9% annuo fino a 1,3 milioni, lancia una piattaforma di sostegno per l’acquisizione di assicurazioni agricole e garantisce la copertura per l’accesso alle polizze minime, coprendo anche i possibili disastri ecologici. Raccogliere Sovranità, inoltre, intende garantire prezzi minimi per i prodotti agricoli immessi nel mercato, fornire agli agricoltori sementi e fertilizzanti di alta qualità e dare ai piccoli e medi produttori accesso alle nuove tecnologie agricole e all’assistenza tecnica necessaria per il loro utilizzo. Sono previsti anche supporto alla commercializzazione dei prodotti e l’istituzione di un fondo per distribuire semi non transgenici di alta qualità. L’amministrazione messicana accompagnerà il programma di sostegno economico con un piano di tutela legale dei prodotti, consolidando l’uso di etichettatura per tutelare la produzione biologica locale. A beneficiare del piano saranno gli agricoltori che coltivano mais, fagioli, riso e caffè, e i lavoratori che producono latte o praticano la pesca.
Il piano del governo messicano mira ad aumentare entro il 2030 la produzione di mais bianco non transgenico del 17% (pari a 2,5 milioni di tonnellate in più all’anno), quella di fagioli del 64% (1,2 milioni di tonnellate in più), quella del latte del 15% (15 miliardi di litri), e quella del riso del 103% (450.000 tonnellate in più). Solo quest’anno verranno stanziati 2,64 miliardi di dollari. Raccogliere Sovranità rientra nel più ampio, Plan México, annunciato mesi fa e dettagliato solo negli ultimi giorni. Il piano viene definito come «una strategia di sviluppo economico, equo e sostenibile per la prosperità comunitaria». Consiste in circa 2.000 progetti divisi in 18 punti chiave, elaborati per raggiungere 13 obiettivi entro il 2030, anno in cui scadrà il mandato della presidente Claudia Sheinbaum, e può contare su un portafoglio di circa 277 miliardi di dollari complessivi. Il piano, in sintesi, intende rafforzare lo sviluppo economico facendo dialogare governo, uffici pubblici e attori privati.
USA, inondazioni nel Midwest e nel Sud: almeno 18 morti
Sono almeno diciotto le vittime causate dalle forti piogge e inondazioni che negli ultimi giorni hanno colpito alcuni Stati meridionali e del Midwest degli Stati Uniti. Tra i morti ci sono anche due bambini. I fenomeni meteorologici, particolarmente violenti, hanno provocato anche centinaia di feriti e grossi danni materiali. Nel frattempo, i livelli dei bacini idrici continuano a crescere in diverse zone di Arkansas, Tennessee e Kentucky. Si sono verificate in alcuni casi esondazioni che hanno causato la sommersione di strade e abitazioni. Nel Kentucky centro-settentrionale, le autorità hanno ordinato l’evacuazione di Falmouth e Butler, centri siti vicino al fiume Licking.