Con l’avvento dell’epoca moderna e dell’affermarsi del capitalismo come sistema economico dominante capace di plasmare i rapporti sociali e politici dei popoli, il povero è sempre stato visto con senso di disgusto e di colpevolizzazione della sua condizione. Nella società moderna, basata sulla produzione di valore attraverso lo sfruttamento del lavoro salariato, il povero, disoccupato, era colpevole della sua povertà e del suo disagio sociale, così come dei suoi vizi che lo mantenevano in tale situazione. Darwinismo sociale ed eugenetica hanno giustificato lo stato delle cose come un qualcosa ...
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L’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Ginevra (GIPRI) ha presentato la settimana scorsa una comunicazione alla Corte penale internazionale, sollecitandola a mettere sotto indagine Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, per complicità in crimini di guerra in Palestina. Secondo il GIPRI, che ha prodotto la memoria insieme al Collectif de Juristes pour le Respect des Engagements Internationaux de la France (CJRF) e a una coalizione di cittadini internazionali, sussistono infatti ragionevoli motivi per ritenere che “il sostegno incondizionato del presidente della Commissione europea a Israele, militare, economico, diplomatico e politico” abbia contribuito ai “crimini contro l’umanità” e al “genocidio” commessi dalle forze armate israeliane nei territori occupati e tuttora in corso. L’Istituto ha evidenziato come von der Leyen abbia “aiutato, spalleggiato e altrimenti assistito nella commissione o tentata commissione di tali crimini”, fornendo anche i mezzi per commetterli, ai sensi dell’articolo 25(3)(c) dello Statuto di Roma della CPI.
Secondo il GIPRI, la presidente della Commissione europea – che, ai sensi dell’articolo 27 dello Statuto di Roma, non gode dell’immunità funzionale davanti alla Corte penale internazionale – si sarebbe resa complice di violazioni degli articoli 6, 7 e 8 del medesimo Statuto mediante atti positivi e condotte omissive. Ricordando che “nel periodo 2019-23, Israele è stato il terzo principale destinatario di armi fornite da uno Stato membro dell’UE, la Germania, a sua volta quinto esportatore di armi importanti al mondo”, il GIPRI afferma che Ursula von der Leyen sarebbe responsabile del sostegno militare allo Stato Ebraico, poiché “è stata determinante nell’assicurare la fornitura di mezzi” all’IDF. Si imputa poi a von der Leyen di aver sostenuto Israele a livello “economico e finanziario”, sia “rifiutando di fare qualsiasi passo verso la sospensione dell’Accordo di Associazione UE-Israele” sia promuovendo “nel corso dell’attuale assalto israeliano a Gaza nuovi strumenti di cooperazione UE-Israele”. Il GIPRI accusa anche la presidente della Commissione per il “sostegno diplomatico” offerto al governo israeliano, che pare costituire una risposta alla richiesta formulata alla comunità internazionale il 7 ottobre 2023 dal Primo Ministro israeliano Netanyahu di “garantire libertà d’azione a Israele nel proseguimento della campagna”, nonché del “sostegno politico” incondizionato dato allo Stato Ebraico con “varie dichiarazioni ufficiali”, che sarebbe valso come un supporto morale ai membri dell’IDF. Secondo la memoria, inoltre, von der Leyen non sarebbe intervenuta tempestivamente per conto della Commissione Europea al fine di prevenire il genocidio come previsto dal mandato dalla Convenzione sul genocidio del 1948.
Il GIPRI afferma che la Presidente della Commissione Europea sia stata consapevole di partecipare, per favoreggiamento, all’attuazione dei suddetti crimini, dal momento che è stata ampia la pubblicità quotidianamente data alle violazioni del diritto internazionale umanitario perpetrate dall’IDF nella Striscia di Gaza e fossero molti i rapporti e i documenti ufficiali delle Nazioni Unite disponibili sul punto. In particolare, secondo i redattori della memoria, un passaggio cardine fu la comunicazione indirizzata il 14 febbraio a Ursula von der Leyen dal primo ministro spagnolo Pedro Sanchez e dall’allora primo ministro irlandese Leo Varadkar, in cui si sottolineavano forti preoccupazioni per le presunte violazioni del diritto internazionale a Gaza e si evidenziava l’urgenza di agire.
Diversi carri armati israeliani avrebbero fatto ingresso nel centro di Rafah. Lo hanno riferito alcuni testimoni a Reuters e la notizia è stata resa nota anche da media israeliani, che citano la stampa internazionale. I tank dell’esercito israeliano sarebbero stati avvistati nei pressi della moschea al-Awda, un punto di riferimento nel centro di Rafah. L’esercito israeliano non ha ancora commentato. I media israeliani hanno affermato che i militari rilasceranno dichiarazioni sull’operazione nel corso della giornata.
Il Tar del Veneto si è pronunciato ieri sulla grave contaminazione da Pfas nelle province di Vicenza, Padova e Verona. Lo ha fatto sancendo che anche il colosso giapponese Mitsubishi Corporation – che alla fine degli anni Ottanta costituì la Miteni, di cui ha detenuto nel corso degli anni tra il 49 e il 90% del capitale sociale – dovrà sobbarcarsi i costi per la bonifica dei veleni disseminati nei pressi dell’ex Miteni di Trissino (Vicenza). In base a quanto emerso da rilevazioni e accertamenti, infatti, nel giudizio amministrativo di primo grado i giudici hanno inquadrato come responsabili dell’inquinamento tutte le società che si sono susseguite nel controllo dello stabilimento vicentino. Nel 2009 Miteni era stata ceduta alla Ici e poi, cinque anni dopo lo scoppio dello scandalo PFAS, avvenuto nel 2013, è stata dichiarata fallita.
Sebbene Mitsubishi si sia opposta con una serie di argomenti, tra cui l’attribuzione alla Miteni di “autonome scelte e strategie imprenditoriali”, l’assenza di “limiti legali di concentrazione dei Pfoa, dei Pase dei Btf” e la mancata considerazione del “contributo causale di altri soggetti presenti nel distretto industriale”, i giudici del TAR hanno evidenziato la “sussistenza di un’unità sostanziale dell’impresa” fra Mitsubishi e Miteni, attraverso una “condivisione delle medesime persone fisiche nelle cariche societarie”. In aggiunta, i giudici hanno censurato la vendita dell’azienda a Ici “per la somma simbolica di 1 euro, premurandosi di escludere la garanzia del venditore in merito ad eventuali criticità ambientali”, parlando di “un comportamento gravemente omissivo nei confronti degli Enti competenti, impedendo di fatto di avviare il procedimento di messa in sicurezza e/o di bonifica che la normativa applicabile riconduce sotto il controllo delle Autorità pubbliche, procedimento che con un ragionevole grado di certezza avrebbe permesso sin da allora di eliminare, o quantomeno di limitare efficacemente gli effetti pregiudizievoli dell’inquinamento in atto, incidenti sull’ambiente e sulla salute di migliaia di persone”. A proposito dei PFAS, i giudici sottolineano che si tratta di “composti da tempo sotto l’attenzione della comunità scientifica internazionale, e delle autorità di protezione ambientale”, poiché “sospettati di effetti dannosi sulla salute umana”, tra cui “alti livelli di colesterolo ed acido urico nel sangue, nonché una possibile correlazione con taluni tipi di cancro al fegato, al rene, al testicolo e alla tiroide”.
Nel frattempo, si attende che arrivi a sentenza il processo penale istruito sullo scandalo PFAS in Veneto, che vede dirigenti della Miteni e delle società a essa legate accusati a vario titolo di avvelenamento di acque, inquinamento ambientale, disastro innominato aggravato e bancarotta fraudolenta. La vicenda processuale ha avuto origine dalla scoperta, nel 2013, del grave inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche di una vasta falda acquifera che avrebbe coinvolto 350mila cittadini nelle aree di Vicenza, Verona e Padova. Su spinta delle associazioni ambientaliste, tra il 2015 e il 2016 è partita una rilevazione a campione nei comuni interessati che ha evidenziato valori elevati di Pfas nel sangue dei residenti: così, nel marzo 2018, il governo dichiarò lo stato di emergenza con il divieto di consumo di acqua potabile e l’istituzione di una zona rossa in 30 comuni. Un nuovo studio condotto da scienziati dell’Università degli studi di Padova, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Enviromental Health, ha calcolato che proprio all’interno di questa area rossa, tra il 1985 e il 2018, si è verificato un aumento di mortalità per malattie cardiovascolari e malattie neoplastiche maligne.
I Pfas sono un gruppo che raccoglie oltre 10.000 molecole sintetiche non presenti in natura, utilizzate in vari processi industriali per la fabbricazione di prodotti come le padelle antiaderenti o qualche imballaggio alimentare. Essendo molecole fortemente stabili, esse non vengono degradate brevemente nell’ambiente e sono state definite “inquinanti eterni”. L’esposizione ai Pfas è stata associata a problemi alla tiroide, diabete, danni al fegato e al sistema immunitario, cancro al rene e ai testicoli e ad impatti negativi sulla fertilità e da novembre 2023 le sostanze sono state riconosciute anche come cancerogene.
Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha comunicato che il governo ha disposto la riattivazione dei fondi destinati all’Agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi (UNRWA,) che erano stati sospesi dopo le accuse israeliane, poi rivelatesi infondate, sul presunto coinvolgimento di alcuni suoi addetti con gli attacchi lanciati da Hamas lo scorso 7 ottobre. La mossa del governo italiano, tuttavia, si profila come niente di più che una farsa: da un lato, infatti, non è stata specificata con certezza l’entità dei finanziamenti che verranno erogati (Tajani si limita a riferire di «star valutando» una cifra di 5 milioni); dall’altro, una somma di certo ben più corposa andrà alla controversa iniziativa Food for Gaza, una operazione umanitaria lanciata con il beneplacito dello stesso governo israeliano, che può quindi fare da filtro agli aiuti.
L’annuncio è stato fatto nella giornata di sabato 25 maggio, durante un incontro tra il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il primo ministro dell’Autorità Palestinese, Mohammed Moustafa, svoltosi a Roma. Nel corso dell’incontro, il ministro Tajani ha riferito come abbia disposto la ripresa dei finanziamenti all’Agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi, senza parlare di cifre certe. Il ministro si è limitato ad affermare di «star valutando» una cifra di 5 milioni di euro: 2 milioni dovrebbero essere destinati a «progetti in Cisgiordania», mentre 3 milioni potrebbero andare ai rifugiati palestinesi in Siria, Libano e Giordania. I finanziamenti all’Agenzia erano stati interrotti dopo le accuse lanciate da Israele, secondo le quali alcuni membri dell’UNRWA sarebbero stati coinvolti nell’attacco del 7 ottobre. Lo scorso 22 aprile è stato tuttavia pubblicato un rapporto indipendente, redatto da una commissione delle Nazioni Unite, il quale, al termine di oltre due mesi di indagini, spiegava come Israele non avesse fornito alcuna prova in merito alle accuse mosse. Nonostante ciò, la scorsa settimana il governo israeliano avrebbe comunque inserito l’UNRWA nell’elenco delle associazioni terroristiche riconosciute come tali dal Paese.
I finanziamenti all’UNRWA da parte del nostro Paese sono drasticamente calati dopo l’insediamento del governo Meloni. Se nel 2021 l’Italia ha versato 15,8 milioni di dollari (valuta usata dall’ONU), collocandosi al 16° posto tra i donatori, e nel 2022 ne sono stati stanziati oltre 18 milioni (14° posto), nel 2023 (quindi ben prima che Israele muovesse le proprie accuse contro l’UNRWA) i fondi erogati sono stati poco più di 1,4 milioni di dollari, facendo crollare l’Italia al 47° posto tra i donatori. E, stando alle comunicazioni del governo, non vi è certezza in merito all’entità delle donazioni per l’anno corrente. L’Italia ha preferito dirottare i propri finanziamenti sull’iniziativa Food For Gaza, realizzato su volontà di Tajani in collaborazione con la FAO (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), il PAM (Programma Alimentare Mondiale) e la Federazione Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa (FICROSS), presentato lo scorso 11 marzo. Non vi sono molti dettagli disponibili circa lo svolgimento di tale programma: ciò che è certo è che, prima di diventare effettivo, questo ha ricevutoil beneplacito del governo israeliano, con il coinvolgimento diretto del ministro degli Esteri israeliano Katz. A questa iniziativa, sulla quale Israele potrà dunque effettuare una qualche forma di controllo, l’Italia destinerà ben 30 milioni di euro (in parte già erogati), ovvero l’ammontare degli arretrati non erogati all’UNRWA – e non, come lasciato intendere dal governo, fondi aggiuntivi.
L’UNRWA costituisce storicamente un unicum nella galassia delle agenzie e dei fondi delle Nazioni Unite, rappresentando l’unica agenzia dedicata a un gruppo etnico specifico e delimitato. L’esistenza dell’UNRWA, il cui mandato viene rinnovato ciclicamente, rappresenta per i palestinesi la garanzia i della sopravvivenza del diritto al ritorno alle proprie terre sancito dalla risoluzione 194 del 1948. Da anni Bibi Netanyahu chiede la chiusura dell’agenzia proprio perché essa permette la trasmissione dello status di rifugiato da una generazione all’altra, mantenendo di fatto in vita la questione del destino dei rifugiati palestinesi anche per chi non ha subito in prima persona l’esodo del 1948. Qualora dovesse cessare il lavoro dell’UNRWA, i rifugiati palestinesi passerebbero sotto il controllo di UNHCR (l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati), il cui mandato mira all’integrazione dei migranti nel Paese di destinazione e non al ritorno verso le terre di origine. La mossa del governo italiano, dunque, costituisce un assist non da poco nei confronti di quello israeliano, in quanto delegittima l’autorità della stessa Agenzia puntando su programmi alternativi che godano dell’approvazione del governo di Netanyahu. Il tutto sulla pelle dei civili palestinesi, tra i quali le vittime hanno superato ormai le 36 mila unità. L’offensiva israeliana non accenna infatti ad arrestarsi, anzi: all’indomani dell’appello della Corte di Giustizia Internazionale, che chiedeva lo stop delle operazioni a Rafah, l’IDF ha compiuto l’ennesimo massacro, scagliando diversi missili su un campo per sfollati recentemente istituito vicino a un magazzino dell’UNRWA, radendo al suolo gli insediamenti e causando almeno 40 vittime, molte delle quali arse vive. Dopo 235 giorni e con 1,7 milioni di sfollati interni, 815 mila dei quali solo a Rafah, la ferocia del conflitto non sembra che aumentare.
Una serie di potenti tempeste iniziate nel fine settimana e che proseguono nella propria opera distruttiva hanno avuto luogo nel centro e nel sud degli Stati Uniti, uccidendo fino ad ora almeno 22 persone. I tornado hanno lasciato dietro di sé case, aziende e linee elettriche distrutte. Le tempeste hanno causato 7 morti in Texas, 2 in Oklahoma, 8 in Arkansas e 5 in Kentucky, in coincidenza con un’opprimente ondata di caldo di inizio stagione che ha stabilito temperature record nel Texas meridionale e in Florida.
L’Ucraina ha dato l’ok all’arrivo di istruttori militari dalla Francia sul suo territorio. Lo ha reso noto il comandante in capo delle forze armate ucraine Alexander Syrsky su Telegram, facendo riferimento a un incontro in video collegamento tra il ministro della Difesa ucraino Rustem Umerov e il suo omologo francese Sebastien Lecornu. Syrsky ha dichiarato che sono «già stati firmati i documenti che consentiranno presto ai primi istruttori francesi di visitare i nostri centri di formazione e di familiarizzare con le infrastrutture e il personale.»
Continua la mobilitazione veneziana contro le grandi navi, in una città sempre più attiva dal punto di vista delle iniziative popolari. Durante il fine settimana, decine di cittadini ed esponenti del comitato No Grandi Navi hanno partecipato a una fantasiosa quanto efficace protesta contro il ritorno delle navi da crociera e i nuovi progetti di scavi in laguna, sorta al culmine di una serie di incontri, workshop, e assemblee urbane che hanno visto la partecipazione di numerosi cittadini e collettivi di artisti. La manifestazione è iniziata alle Zattere, per poi spostarsi con le barche dando vita a un vero e proprio “corteo d’acqua” che ha portato verso Punta Fusina, fermando una delle due navi che sarebbero dovute passare per il canale. A guidare il convoglio di circa 30 barche una gigantesca installazione raffigurante un pesce, a rappresentazione del precario ambiente lagunare veneziano, minacciato dal possibile ritorno delle grandi navi. Molti i manifestanti mascherati e vestiti, e ancor di più striscioni e cartelli realizzati dagli stessi gruppi di artisti locali ed internazionali che hanno partecipato agli incontri. Nonostante la pioggia, si è insomma mobilitata una ampia frangia dei cittadini, per rivendicare a gran voce che «la laguna è Venezia e Venezia è la laguna».
La protesta contro le grandi navi si è tenuta sabato 25 maggio e ha coinvolto diverse associazioni e realtà cittadine. A lanciare la mobilitazione è stato il gruppo No Grandi Navi, a cui si sono aggiunti collettivi di artisti, comitati cittadini, e il collettivo gastronomico Tocia, che ha preparato il pranzo per tutti. Come ci racconta Federica dello stesso collettivo No Grandi Navi, il presidio è iniziato su terra, alle Zattere, mentre parallelamente se ne è tenuto un altro a Punta Fusina. Dopo aver pranzato, il gruppo, armato dei cartelli artistici realizzati con il collettivo indonesiano Taring Padi e raffiguranti elementi della laguna, si è spostato a bordo di «una trentina di barchette», alla cui testa si trovavano tre piccole zattere che trasportavano l’installazione fatta appositamente durante la giornata di workshop tenutasi in occasione dell’apertura della Biennale in collaborazione con il collettivo di artisti di Mira Notte Blu. Anche le maschere sono state pensate durante la giornata di workshop e, parimenti al gigantesco pesce e ai cartelli, volevano rappresentare la realtà cittadina, e in particolare «il popolo della laguna». Nonostante la pioggia e la resistenza delle forze dell’ordine, il corteo d’acqua è riuscito a solcare il canale, impedendo il passaggio a una delle due navi che avrebbero dovuto attraversarlo. L’altra, invece, è stata fatta transitare proprio col supporto della polizia, che avrebbe impedito ai manifestanti di procedere fino al suo passaggio. Terminato il corteo, i dimostranti hanno raggiunto l’altro presidio a Punta Fusina dove è terminata la manifestazione.
Oggetto della contestazione sono stati i progetti della autorità portuale per tentare di riportare in via definitiva le navi da crociera all’interno della laguna. Nello specifico, i piani contestati punterebbero ad ampliare gli scavi sul canale dei petroli e su quello di Vittorio Emanuele, collegando la vecchia zona marittima. L’ampliamento delle aree, venduto come soluzione temporanea, permetterebbe il passaggio delle grandi navi, e «avrebbe un effetto devastante su tutta la gronda lagunare», specialmente la laguna sud, «che in questo momento rimane una di quelle parti di laguna ancora salva», nonché «ricchissima dal punto di vista di flora e fauna». Quelle di questo maggio fanno parte di quella che Federica definisce «seconda ondata» di contestazioni per le grandi navi. Queste sembravano infatti inizialmente essere state definitivamente allontanate nel mese di luglio del 2021, quando un decreto governativo aveva sancito che esse non sarebbero più potute arrivare a Venezia, a meno che non fosse stato costruito un molo offshore apposito grande abbastanza da soddisfare i requisiti necessari per il transito e la permanenza delle maxi-imbarcazioni. L’amministrazione ha così trovato una soluzione temporanea, adottando gli spazi di Marghera e Fusina come momentanei moli per l’attracco delle navi. Secondo il comitato No Grandi Navi, però, i progetti dell’autorità portuale punterebbero a rendere permanenti tali approdi provvisori, allargandone l’area. Si è così riaperta quell’ormai decennale battaglia, che solo all’apparenza sembrava terminata.
Da diversi decenni lo yogurt 0% grassi, come il latte scremato e gli alimenti light, attirano frotte di consumatori che sperano di ottenere dei vantaggi per il dimagrimento. Ma che senso hanno questi prodotti e servono davvero a qualcosa? È importante comprendere le modalità di preparazione di questi prodotti senza grassi che l’industria adotta, e non basta affatto fermarsi ad ascoltare ciò che le aziende produttrici proclamano riguardo questi prodotti. Le aziende rigirano la frittata sempre al proprio tornaconto, questo dovrebbe ormai essere chiaro a tutti i consumatori, eppure non è così e ancora oggi gran parte dei consumatori confida, ripone fiducia e credito in ciò che afferma l’industria alimentare, senza sviluppare nessun senso critico e andare a verificare come stanno veramente le cose attraverso un approfondimento. Gli yogurt 0% grassi sono uno dei simboli del successo commerciale delle aziende, ma sono anche l’emblema del cibo fintamente sano, e non apportano vantaggi né per il dimagrimento né per la salute in generale, al contrario vedremo che sono forieri invece di problemi e svantaggi.
I cibi a basso contenuto in grassi non sono una scelta salutare
Una campagna mediatica che ha favorito le grandi aziende alimentari a scapito dei cittadini è stata quella che ha divulgato l’utilizzo dei cibi a basso contenuto in grassi per dimagrire. Il risultato: siamo tutti più grassi. Diverse ricerche hanno dimostrato che mangiare alimenti a basso contenuto in grassi non solo non fa perdere peso, ma nemmeno giova alla salute cardiovascolare, anzi semmai possiamo dire esattamente il contrario, e cioè che le diete ad alto contenuto di grassi (e al contempo basso in carboidrati) apportano benefici per la salute cardiovascolare. Il ridotto contenuto in grassi, infatti, rende i cibi meno buoni e meno palatabili; per correre ai ripari di un tale svantaggio in termini commerciali, ecco dunque che l’industria aggiunge zuccheri e additivi vari (aromi e addensanti soprattutto) trasformando un alimento in origine sano, come lo yogurt intero bianco, in un alimento ad elevato potere infiammante come lo yogurt alla frutta, che fra l’altro spesso non ci toglie nemmeno la fame. Saziare infatti è da sempre prerogativa dei grassi alimentari. Ma la vera beffa nel mangiare alimenti light e sgrassati è che oltre a non ricevere la sazietà adeguata, questi alimenti inducono a continuare a mangiare, alla ricerca appunto della vera sazietà.
Perchè lo yogurt 0% grassi non è sano
È abbastanza semplice intuire cosa sia uno yogurt zero grassi: si tratta di un prodotto “scremato” o “deprivato del grasso”, rispetto al prodotto di origine, cioè allo yogurt intero. Da diversi studi che sono stati effettuati nel corso degli anni appare che il consumo di questo tipo di prodotto riduca effettivamente le entrate di grassi alimentari durante la giornata, aumentando però in maniera compensatoria quelle di carboidrati e zuccheri. In poche parole, a fine giornata, chi ha scelto i prodotti light ha introdotto meno grassi ma più pasta (o ancora peggio caramelle, dolciumi, merendine e prodotti confezionati a base di carboidrati come i crackers). Questo tipo di compensazione è lontano dall’essere positivo: sono infattilo zucchero e i carboidrati(molto più dei grassi) i veri responsabili di ingrassamento, resistenza all’insulina e obesità. Scegliendo uno yogurt (o un latte o un formaggio) intero, rispetto a quello magro, a fine di giornata verrà introdotta qualche caloria in più, ma si saranno con tutta probabilità ridotti gli introiti da altri prodotti come pasta, prodotti da forno e dolci, che sono i veri responsabili del sovrappeso.
Possiamo vedere con un esempio pratico concreto come gli yogurt 0% grassi vengano riempiti dall’industria alimentare di zuccheri e additivi malsani, allo scopo di ridare a questi prodotti sapidità e cremosità, perse con l’eliminazione dei grassi naturali del latte.
Come è facile notare, leggendo la lista degli ingredienti e la tabella nutrizionale del prodotto, questo yogurt 0% grassi contiene ben 14,5 grammi di zuccheri su 100g di alimento, una quantità di zucchero pari a quasi 4 volte quella dello yogurt bianco naturale. Tutti questi zuccheri sono stati aggiunti dal produttore utilizzando lo zucchero tradizionale e lo sciroppo di glucosio-fruttosio. Inoltre sono stati aggiunti degli aromi. Considerate sempre anche che il vasetto di yogurt è da 125 grammi e chiunque usi questi prodotti ne consuma almeno un vasetto intero quando lo mangia, pertanto il quantitativo di zuccheri che viene ingerito effettivamente è pari a 18 grammi di zucchero, cioè corrispondente a 4 bustine di zucchero circa. Si mangia un dessert al cucchiaio senza rendersene conto, con la convinzione per giunta di mangiare un prodotto salutare e adatto a mantenere la linea, quando è in effetti esattamente tutto il contrario! Se non vengono aggiunti degli zuccheri tradizionali, come nel caso qui in esempio, possono essere aggiunte altre sostanze dolcificanti meno note al consumatore, come i polioli (maltitolo, sciroppo di maltitolo) o gli edulcoranti (dolcificanti artificiali come sucralosio, acesulfame K) ma il risultato da un punto di vista metabolico è esattamente identico: si favorisce l’aumento di peso e lo squilibrio della flora batterica intestinale. Uno yogurt che contenga zucchero o dolcificante è meglio lasciato sullo scaffale: molto meglio optare per uno yogurt naturale (fatto di solo latte e fermenti), indipendentemente dalla quantità di grasso che contiene.
Un’altra problematica importante degli yogurt 0% è quella associata alla perdita delle vitamine del latte, che sono chiamate liposolubili e che sono nello specifico la A, la E, la D e la K. Di questa problematica abbiamo già parlato in un altro articolo che esaminava i prodotti light in genere, al quale vi rimando. Attenzione a non confondere però un prodotto light con uno 0% grassi, quello light mantiene comunque una minima percentuale di sostanze grasse, quello 0% non le contiene più.
Non tutti gli alimenti con i grassi sono sani
D’altro canto non bisogna pensare all’opposto che qualsiasi prodotto contenente grassi sia salutare e buono da acquistare. Grassi idrogenati, presenti in alimenti e prodotti come le margarine o i prodotti da forno, nei fritti e in molti snack confezionati, promuovono il danno cardiovascolare e aumentano il rischio di malattie del metabolismo come il diabete e l’obesità. Grassi buoni come quelli polinsaturi, gli omega 3 e gli omega 6 hanno invece una valenza positiva di salvaguardia della salute. A patto che questi ultimi non vengano però trattati e ossidati nei processi industriali dove si utilizza l’alta temperatura e l’alta pressione, come succede ad esempio nella produzione degli oli vegetali per frittura (olio di semi di girasole, di mais ecc.). Questi prodotti, pur avendo dei grassi polinsaturi, sono pessimi per la salute e associati alle malattie cardiovascolari. I grassi vegetali buoni e sani sono soltanto quelli preparati ed estratti a freddo, come l’olio extravergine di oliva o di girasole estratto a freddo, o anche l’olio di cocco estratto a freddo.
Secondo quanto confermato dall’IDF sui propri canali social, vi sarebbe stata una sparatoria tra esercito israeliano ed egiziano al confine tra i due Paesi, nei pressi del valico di Rafah, per la quale «sono in corso dialoghi» tra le due parti. La dinamica dei fatti è ancora ignota e non è chiaro chi abbia aperto il fuoco per primo. Secondo alcuni canali di informazione, sarebbero stati i soldati egiziani a sparare per primi, in quanto scossi dal massacro condotto da Israele a Rafah nella serata di domenica. Secondo altre fonti, sarebbe stato l’IDF a esplodere i primi colpi. Nello scontro sarebbe morto almeno un militare egiziano.
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