sabato 23 Novembre 2024
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Eruzione in Indonesia, 9 morti e migliaia di sfollati

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Il governo indonesiano ha lanciato l’allerta eruzione, annunciando che farà evacuare le oltre 16.000 persone residenti nei villaggi vicini al vulcano Lewotobi Laki-Laki, situato nell’area orientale del Paese. La notizia arriva dopo l’eruzione di domenica notte, seguita da una seconda, di minore portata, la notte successiva. A seguito delle attività vulcaniche, sono morte almeno 9 persone e migliaia di case sono state distrutte. Per ora, sono state evacuate oltre 2.400 persone, ma le operazioni sono state ostacolate dai fitti strati di cenere vulcanica depositatisi sulle strade. I residenti si sono rifugiati in tre edifici scolastici e in strutture di accoglienza temporanea installate nei villaggi adiacenti, a circa 20 chilometri dal cratere.

Inghilterra: la lotta degli attivisti ferma l’estrazione di petrolio in quattro siti

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Dopo quasi cinque anni di battaglie legali, la compagnia petrolifera UK Oil & Gas (UKOG) ha deciso di interrompere le trivellazioni nel sito di Horse Hill, nel Surrey, in Inghilterra. La lotta contro UKOG è stata guidata dall’attivista Sarah Finch, con il supporto di Friends of the Earth, un gruppo ambientalista che si è opposto alla concessione del 2019 con cui la società avrebbe avuto il consenso a trivellare quattro nuovi pozzi e garantirsi vent'anni di produzione petrolifera.
Secondo gli oppositori, l'autorizzazione firmata dal Surrey County Council doveva essere ritenuta illegale, per...

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Alluvioni in Spagna: le responsabilità politiche dietro al disastro

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A cinque giorni dall’alluvione che ha colpito alcune aree della Comunità Valenziana, della comunità di Castiglia e la Mancia, del sud della Catalogna e dell’Andalusia, il conteggio delle vittime, al momento 213, non accenna a fermarsi. Nella giornata di domenica 3 novembre, A Paiporta, uno dei paesi maggiormente colpiti dal passaggio della Dana, una delegazione istituzionale, composta dai reali Felipe VI e Letizia, dal presidente del governo Pedro Sánchez e dal presidente della Comunità Valenziana Carlos Mazón, è stata attaccata con fango e oggetti dalla popolazione accorsa per protestare

«Assassini, assassini». Così sono state accolte le principali figure istituzionali dello stato spagnolo e della Comunità valenziana. A poco sono valse le parole di conforto che il re Felipe VI ha rivolto ad alcuni abitanti di Paiporta, ancora intenti a spalare il fango e i detriti dalle proprie case e dalle strade del paese.

Difatti, nonostante sia già iniziato l’imbarazzante scaricabarile tra rappresentanti del governo centrale e le rispettive opposizioni, a quasi una settimana dal disastro le responsabilità sulla prevenzione prima, e sulla gestione degli interventi dopo, sono chiare.

Seppur il presidente valenziano Carlos Mazón abbia dichiarato che la causa principale del ritardo nei servizi di allerta sia stata il «cambio di previsioni» dell’Agencia Estatal de Metereología Española (AEMET), è comprovabile che già il 28 ottobre l’ente meteorologico dichiarò l’allerta arancione in numerose aree della penisola e, dalle ore 7.42 del giorno successivo, l’allerta rossa nella zona meridionale della Comunità Valenziana. Inoltre, alle ore 12:20 il Centro de Coordinación de Emergencias de la Generalitat Valenciana pubblicò un avviso di allerta idrogeologica per le città di Torrent, Picanya, Paiporta, Alfafar, Benetússer e Sedaví, tutte attraversate dal Barranco del Poyo, già esondato alle 11.30 nel paese di Chiva, poco distante dalle già menzionate città.

A discapito degli avvertimenti, il governatore della regione alle ore 13 caricò su X un video, successivamente rimosso, nel quale dichiarava che secondo le previsioni la DANA si sarebbe diretta verso Cuenca, all’interno della penisola Iberica, e che intorno alle 18 avrebbe ridotto la sua intensità. Giusto alle 18.30 il Barranco del Poyo esondò, inondando inesorabilmente i paesi a sud di Valencia, ma solo alle ore 20.12, quando l’acqua aveva già raggiunto in alcuni casi i due metri di altezza, le persone hanno iniziato a ricevere sui propri dispositivi mobili gli avvisi di ES Alert, quando ormai era troppo tardi. Le strade dei paesi più gravemente colpiti erano ormai impraticabili, giusto mentre alcune persone tornavano a casa dal lavoro: le conseguenze le abbiamo viste tutti.

Se queste sono state le inadempienze che avrebbero potuto salvare la vita a decine di persone rimaste inghiottite nelle proprie automobili, la risposta al disastro, purtroppo, non è stata da meno.

Nonostante le opposizioni abbiano immediatamente attaccato il governo centrale di ritardo e poca collaborazione, è bene specificare che la divisione del potere esecutivo in Spagna non permette al governo nazionale di gestire direttamente la crisi, in quanto responsabilità dei governi comunitari. In questo caso, Carlos Mazón, all’aver dichiarato il secondo livello di emergenza in risposta alla DANA, mantiene il comando di tutte le operazioni e il governo non può far altro che aspettare le richieste della Generalitat valenziana. È inoltre necessario ricordare che, solo l’anno scorso, a quattro mesi dal suo insediamento, il governo di coalizione PP-Vox della regione soppresse la Unità di Emergenza Valenziana (UEV), tagliò fondi al Corpo dei Vigili del Fuoco, per indirizzarli, tra le altre cose, all’organizzazione di eventi di tauromachia.

La responsabilità dell’intervento della Protezione Civile, dell’Unità Militare di Emergenza (UME) e dei vari corpi di sicurezza dello stato, come vigili del fuoco e dell’esercito, rientra nelle competenze del governo della Comunità. Solo ieri, Sánchez, sotto richiesta di Mazón, ha annunciato l’invio di 10.000 militari, tra soldati e poliziotti, oltre ai 7.000 già presenti. 

Se le infrastrutture hanno subito i danni più evidenti, in questo momento i principali supermercati dei paesi colpiti sono completamente vuoti, a causa dell’impraticabilità delle arterie stradali. L’aiuto dei volontari provenienti da Valencia, recanti generi alimentari e beni di prima necessità, è stato provvidenziale. Inoltre, il ristagno del fango, dell’acqua e, purtroppo, la presenza dei corpi delle vittime non ancora recuperate, aumentano il rischio di infezioni e diffusione di malattie. 

La popolazione si è scagliata anche contro Pedro Sánchez, al quale viene recriminato ritardo nell’invio di forze dell’ordine verso le zone alluvionate. Oltre ai residenti, alcune compagini politiche, tra le altre Podemos, accusano il Governo centrale di non aver dichiarato lo stato di emergenza nazionale, come fece durante la pandemia da Covid 19. Soltanto così, infatti, il comando della gestione passerebbe immediatamente nelle mani del primo ministro spagnolo. Questa situazione non fa che peggiorare la percezione di una parte della popolazione verso la politica del governo, già duramente attaccata per le accuse di corruzione e lo scandalo e dalle denunce di violenze sessuali che hanno coinvolto l’ex-portavoce del partito Sumar, Ínigo Errejón. 

La condizione di totale impotenza dinanzi alla distruzione provata dalla cittadinanza colpita ha generato un’onda di rabbia e frustrazione, che inevitabilmente ha investito anche la famiglia reale, recatasi per poche ore nella cittadina di Paiporta. Il re Felipe VI, nonostante sia privo di potere esecutivo, rappresenta l’istituzione principale del paese ed era prevedibile una tale reazione nei suoi confronti. Nella giornata di ieri, i video che mostravano le lacrime della regina Letizia e il tentativo del re di mostrare empatia ed ascolto verso la popolazione colpita, hanno permesso ai media del paese di raccontare il grande coraggio e la rettezza d’animo di queste figure, che tuttavia dimostrano, ancora una volta, la grande distanza che intercorre tra loro e i problemi reali della popolazione

La responsabilità delle vittime, però, non risiede solo nella politica. Sta circolando nelle ultime ore il video del valenziano Juan Roig, multimilionario proprietario dell’azienda alimentare Mercadona, accusato da alcuni giovani, di essere responsabile della morte di molti lavoratori. Infatti, attraverso numerose denunce mosse sui social network, la suddetta azienda, nonostante l’allerta rossa dell’AEMET, ha obbligato i propri dipendenti ad andare a lavorare e, in alcuni casi, a eseguire le consegne alimentari durante le inondazioni. Tra le altre aziende responsabili figurano Glovo, Ikea, Uber, che nonostante gli avvertimenti hanno imposto ai dipendenti di recarsi sul posto di lavoro, dove spesso sono rimasti intrappolati.

Se la devastazione delle case, delle strade e delle proprietà personali non poteva essere evitata, sicuramente una comunicazione più efficace avrebbe potuto fare la differenza nel conteggio delle vittime. Mentre osserviamo l’empatia dei volontari, accorsi immediatamente per prestare aiuto, rimarranno impresse indelebilmente le responsabilità di chi, per non perdere i propri guadagni e la propria reputazione politica, ha messo fine alla vita di chi poteva, semplicemente, rimanere a casa.

[di Armando Negro]

Ungheria, prorogato lo stato di emergenza per la guerra in Ucraina

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Il parlamento ungherese ha votato a favore del prolungamento dello stato di emergenza nel Paese per fronteggiare il conflitto in corso in Ucraina. Il voto si è tenuto oggi e prolunga di sei mesi lo stato di emergenza proclamato nel 2022, allo scoppio del conflitto. Tale decisione offre maggiore spazio di manovra all’esecutivo, che potrà continuare a usufruire della maggiore libertà accelerando il consueto iter parlamentare di approvazione legislativa.

Una ricerca svela come il calcestruzzo dell’antica Roma sia durato migliaia di anni

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Mentre le costruzioni moderne crollano in pochi decenni, le strutture romane sono capaci di rimanere intatte per millenni ed una nuova scoperta ha capito il perché: il segreto risiede nell’uso di piccoli pezzi bianchi, chiamati clasti di calce, che conferiscono al calcestruzzo proprietà di auto-riparazione e, secondo gli scienziati potrebbero rivoluzionare il modo in cui produciamo tale materiale. Il merito della scoperta va ad un team internazionale di ricercatori del Massachussets Institute of Technology, di Harward e di istituti europei, i quali spiegano che tale tecnica permetterebbe di realizzare costruzioni resistenti e durature, oltre che più rispettose dell’ambiente. I risultati sono stati inseriti in un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Science Advances.

È da secoli che studiosi e ingegneri cercano di capire come le strutture romane potessero rimanere intatte per così tanto tempo, mentre molte costruzioni moderne crollano dopo pochi decenni. I loro sforzi si sono concentrati principalmente su un ingrediente chiave: il materiale pozzolanico, come la cenere vulcanica proveniente da Pozzuoli, utilizzato nella miscela di calcestruzzo romano. Tuttavia, un nuovo studio ha messo in evidenza che vi è un nuovo elemento fondamentale, chiamato clasti di calce. Attraverso l’analisi di campioni rinvenuti in diversi siti archeologici e sfruttando tecniche di imaging multiscala ad alta risoluzione combinate a mappatura chimica per scoprire la composizione dei materiali, gli scienziati hanno scoperto che questi clasti di calce non solo conferiscono al calcestruzzo la capacità di reagire con l’acqua, formando una soluzione satura di calcio, ma creano anche “un’architettura nanoparticellare fragile”. Si tratta di una composizione che permette alle crepe di riempirsi automaticamente, evitando che si diffondano e compromettano l’integrità strutturale. «La chiave della durevolezza del calcestruzzo romano non risiede solo nella qualità dei materiali, ma anche nei processi di produzione utilizzati. L’idea che i Romani avessero realizzato un materiale da costruzione così eccezionale utilizzando pratiche sciatte non ha mai avuto senso per me», ha dichiarato Admir Masic, professore di ingegneria civile e ambientale al MIT e coautore dello studio.

Inoltre, gli scienziati hanno dimostrato che un passaggio fondamentale nel processo di creazione del materiale era la miscelazione a caldo, in quanto riscaldare il calcestruzzo a temperature elevate non solo accelera le reazioni chimiche, ma consente di ottenere prodotti che non sarebbe possibile ottenere con metodi tradizionali. Infine, gli autori hanno aggiunto che la possibilità di replicare queste antiche tecniche di costruzione potrebbe non solo allungare la vita dei materiali di costruzione moderni, ma persino ridurre l’impatto ambientale della produzione di cemento, che attualmente contribuirebbe a circa l’8% delle emissioni globali di gas serra. «È entusiasmante pensare a come queste formulazioni di calcestruzzo più durevoli potrebbero ampliare non solo la durata di vita di questi materiali, ma anche migliorare la durata delle formulazioni di calcestruzzo stampate in 3D», ha commentato Masic, aggiungendo che il gruppo sta già lavorando per commercializzare un materiale cementizio modificato, sperando di portare in cantiere un calcestruzzo che non solo duri più a lungo, ma che sia anche più sostenibile.

[di Roberto Demaio]

Meta cade di nuovo in un uso illegittimo dei dati 

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Meta è sotto indagine federale da parte del Consumer Financial Protection Bureau (CFPB) per un presunto uso improprio dei dati finanziari raccolti da terzi a fini pubblicitari. I tratti dell’indagine non sono ancora del tutto chiari, le autorità non hanno approfondito pubblicamente i dettagli della questione e l’azienda ha semplicemente confermato di aver ricevuto comunicazione di un’indagine che si concentra sulla pubblicità per prodotti e servizi finanziari. Meta ha inoltre aggiunto che «non concorda con le accuse e ritiene che un’azione esecutiva non sia giustificata».

Israele revoca l’accordo con l’ONU che dal 1967 protegge i rifugiati palestinesi

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Nella serata di domenica 3 novembre il ministero degli Esteri israeliano ha notificato alle Nazioni Unite la cancellazione unilaterale dell’accordo tra Israele e l’UNRWA (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Palestinesi), firmato nel 1967. L’accordo tra le parti è stato uno degli elementi principali che ha permesso le attività dell’UNRWA in Israele, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza negli ultimi 57 anni. La scorsa settimana, la Knesset ( il Parlamento israeliano) ha approvato una legge che sospende tutti i legami del Paese con l’Agenzia.

«A seguito della legislazione sull’UNRWA, lo Stato di Israele ha notificato ufficialmente al Presidente dell’Assemblea Generale la cessazione della cooperazione con l’Agenzia. Nonostante le prove schiaccianti che abbiamo presentato all’ONU che confermano l’infiltrazione di Hamas nell’UNRWA, l’ONU non ha fatto nulla per rettificare la situazione. Lo Stato di Israele continuerà a cooperare con le organizzazioni umanitarie, ma non con le organizzazioni che promuovono il terrorismo contro di noi» ha dichiarato Danny Danon, ambasciatore di Israele all’ONU. La scorsa settimana, la Knesset aveva approvato una legge che sospende tutte le attività dell’UNRWA nel Paese. Il provvedimento, approvato in seconda e terza lettura, ha vietato all’Agenzia di svolgere missioni o qualunque altro tipo di attività, «dirette o indirette», all’interno del territorio di Israele. Il Commissario Generale dell’UNRWA, Philippe Lazzarini, aveva definito il provvedimento «l’ultimo episodio della campagna in corso per screditare l’UNRWA e delegittimare il suo ruolo». Israele, già da diversi mesi, aveva infatti lanciato pesanti accuse nei confronti dell’Agenzia (rivelatesi prive di qualsiasi fondamento), quali l’aver arruolato tra le sue fila «terroristi» direttamente implicati negli attacchi del 7 ottobre e di favorire le operazioni di Hamas.

Il direttore generale del ministero degli Esteri, Jacob Blitshtein, ha inviato una lettera al Presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il camerunense Philemon Yang, informandolo che «Israele continuerà a lavorare con i partner internazionali, comprese altre agenzie delle Nazioni Unite, per garantire la facilitazione degli aiuti umanitari ai civili di Gaza in maniera tale che ciò non comprometta la sicurezza del Paese. Israele si aspetta che le Nazioni Unite contribuiscano e cooperino in questo sforzo». Mentre Tel Aviv ha lavorato incessantemente per limitare il ruolo dell’UNRWA nella fornitura di quei pochi aiuti umanitari che ha lasciato entrare nel territorio di guerra, favorendo il Programma Alimentare Mondiale, l’UNICEF e altre agenzie ONU, l’UNRWA è ancora fortemente coinvolta nelle operazioni umanitarie della Striscia, gestendo rifugi, cliniche e magazzini. Nonostante le promesse e le assicurazioni del primo ministro Benjamin Netanyahu e del ministero degli Esteri israeliano sul fatto che il flusso di aiuti non verrà interrotto, gli stessi rappresentanti dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e dell’UNICEF hanno dichiarato che non sarebbero in grado di colmare il vuoto lasciato dall’UNRWA. L’Agenzia fornisce a quasi 2 milioni di palestinesi servizi umanitari e di sviluppo umano, che comprendono l’istruzione primaria e professionale, l’assistenza sanitaria di base, i servizi sociali e di soccorso, il miglioramento delle infrastrutture e dei campi, la microfinanza e la risposta alle emergenze, anche in situazioni di conflitto armato.

Francesca Albanese, la relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Territori Occupati Palestinesi, nel presentare il suo nuovo rapporto sul genocidio israeliano a Gaza ha dichiarato che «È arrivato il momento di fare un passo esemplare», invitando l’ONU a prendere in considerazione la sospensione di Israele dall’Organizzazione, in quanto Stato membro che «viola persistentemente» le prescrizioni dell’organismo internazionale.

[di Michele Manfrin]

Diciottenne morta dopo il vaccino Covid: la Procura chiede il processo per 5 medici

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La Procura di Genova ha ufficialmente chiesto il rinvio a giudizio per cinque medici in relazione al decesso di Camilla Canepa, la ragazza diciottenne che, nel giugno 2021, morì a causa di una trombosi in seguito alla somministrazione del vaccino AstraZeneca. Quattro di loro risultano imputati per omicidio colposo in ambito sanitario e falso, mentre il quinto solo di falso. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, i medici avrebbero infatti agito con negligenza e imprudenza, omettendo esami essenziali per diagnosticare la patologia che ha causato il decesso della studentessa. L’episodio ha suscitato un ampio dibattito sulla gestione della campagna vaccinale, nonché numerose domande sul monitoraggio degli effetti avversi da vaccino e sui criteri di selezione dei pazienti per vaccini a vettore virale.

La giovane Camila Canepa è deceduta il 10 giugno 2021, alcuni giorni dopo aver ricevuto una dose di vaccino anti-Covid AstraZeneca nell’ambito di un open day vaccinale. Secondo i pm Stefano Puppo e Francesca Rombolà, i medici ora imputati – all’epoca in servizio al pronto soccorso di Lavagna – avrebbero omesso di effettuare accertamenti ritenuti fondamentali per salvare la vita alla giovane. Pur in presenza di sintomi riconducibili alla trombocitopenia trombotica indotta da vaccino (VITT), come un persistente mal di testa e la recente somministrazione di AstraZeneca, non sono stati infatti eseguiti esami specifici, quali il D-Dimero e i test per gli anticorpi anti-eparina. Oltre all’omicidio colposo, ai camici bianchi è contestato il falso in atto pubblico per non aver attestato, all’interno della cartella clinica, che la ragazza era stata inoculata. Nelle 74 pagine di relazione consegnate alla Procura di Genova alcuni mesi dopo la morte di Camilla Canepa, i periti avevano scritto che il decesso era «ragionevolmente da riferirsi a effetti avversi della vaccinazione», accertando che la ragazza non aveva patologie pregresse e non aveva assunto farmaci che potessero interferire con il vaccino. I medici imputati potranno ora presentare ricordi difensivi, richiedendo ulteriori accertamenti entro il termine previsto. L’udienza preliminare di fronte alla giudice Carla Pastorini è stata fissata per il prossimo 16 gennaio.

Nel frattempo, lo scorso maggio, l’azienda anglo-svedese AstraZeneca ha ufficialmente ritirato dal mercato il suo vaccino anti-Covid in tutto il mondo, dopo averlo ritirato dal mercato europeo già a marzo. La decisione è arrivata dopo che il colosso farmaceutico ha ammesso per la prima volta in documenti giudiziari, nella cornice di una causa collettiva andata in scena nel Regno Unito, che il farmaco può causare effetti collaterali rari e pericolosi, fatto che la stessa azienda aveva negato fino a poco tempo prima. In particolare, l’azienda ha ammesso che «il vaccino in casi molto rari può causare Tts», ossia sindrome da trombosi con trombocitopenia, caratterizzata da coaguli di sangue e bassi livelli ematici di piastrine. Tuttavia, il motivo ufficiale con cui la società ha giustificato il ritiro del farmaco dal mercato è che esso non sarebbe più aggiornato: «Nel frattempo sono stati sviluppati altri vaccini contro le nuove varianti e dunque c’è un surplus di prodotti. Ciò ha provocato un declino della richiesta per Vaxzevria, che in questo momento non è più prodotto o distribuito. Dunque, AstraZeneca ha deciso di ritirarlo, a iniziare dal mercato europeo», ha dichiarato l’azienda.

[di Stefano Baudino]

Los Angeles, è morto lo storico produttore e musicista Quincy Jones

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È morto, all’età di 91 anni, il grande produttore discografico e musicista statunitense Quincy Jones. Lo ha comunicato la sua famiglia, rendendo noto che il gigante della musica si è spento ieri notte a Los Angeles. Noto per aver lavorato ai dischi più famosi di Michael Jackson, per aver arrangiato numerose colonne sonore di successo e per le collaborazioni con Frank Sinatra e Count Basie, Quincy Jones ha diretto le storiche sessioni di registrazione per il brano di beneficenza del 1985 “We are the World”, il singolo di maggior successo di tutti i tempi. È stato candidato ai Grammy 80 volte, ottenendo 28 vittorie.

Medio Oriente: l’Iran promette vendetta contro Israele, gli USA mandano i rinforzi

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A poco più di una settimana dall’attacco israeliano contro l’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha rotto gli indugi e annunciato che arriverà una «risposta sconvolgente» contro i propri nemici, incarnati dallo stesso Stato ebraico e dagli USA. «Si tratta di affrontare la crudeltà internazionale», ha detto Khamenei; «per la nazione iraniana, ispirata agli insegnamenti dell’Islam, affrontare la crudeltà è un dovere religioso». Dopo giorni di reciproche provocazioni, quella che sembrava essere la solita schermaglia verbale ha così ripreso fuoco, con un annuncio che pare volere lasciare poco spazio all’interpretazione. Ieri si è accodato alle dichiarazioni di Khamenei anche il neo-eletto Premier Pezeshkian, lanciando un ultimatum allo Stato ebraico: o si arriva a un cessate il fuoco, o arriverà una risposta. La palla torna dunque nelle mani iraniane, mentre intanto gli Stati Uniti non sembrano intenzionati a mollare la presa: in occasione del rientro in patria della portaerei Lincoln, Washington ha organizzato in tempi record l’invio di ulteriori truppe e aerei da combattimento nella regione, per aumentare la propria potenza di fuoco.

La situazione in Medio Oriente sembra essere sempre più appesa a un filo. In seguito agli attacchi israeliani di sabato 26 ottobre, l’Iran pareva intenzionato a lasciare correre e a tornare al punto di partenza: tanta tensione, ciclici battibecchi, e nebbiose minacce di ritorsione. Le ultime dichiarazioni di Khamenei paiono però volere suggerire allo Stato ebraico di tenersi pronto. Gli annunci sono arrivati sabato 2 novembre, durante una visita ricevuta da un gruppo di studenti di Teheran in occasione dell’avvicinarsi dell’anniversario della presa dell’ambasciata statunitense nel 1979. Questa giornata ha un valore storico e fortemente simbolico in Iran, tanto da essere stata designata come “Giornata nazionale contro l’arroganza globale”. Ormai quasi 45 anni fa, gli studenti iraniani sono entrati all’interno dell’edificio dell’ambasciata di Washington nel Paese perché sospettata di essere un centro di spionaggio contro la neonata rivoluzione islamica filo-khomeinista, e ne hanno preso il controllo. Il tredicesimo giorno del mese di Aban del calendario della Repubblica Islamica (il nostro 4 novembre) si tengono marce in tutto l’Iran per commemorare l’evento.

Le dure parole di Khamenei arrivano dunque in una giornata dal forte valore simbolico per il Paese, ed è difficile stabilire se costituiscano una reale minaccia. Esse, tuttavia, sono in linea con quanto affermato da Pezeshkian, che ha detto che la natura e l’intensità di un eventuale attacco iraniano potrebbero cambiare solo se Israele fermerà la sua aggressione nella regione e accetterà un cessate il fuoco. Questa escalation verbale segue le precedenti dichiarazioni della Repubblica Islamica, rilasciate in occasione dell’attacco lanciato su Israele martedì 1 ottobre. Le Guardie della Rivoluzione Iraniana lo avevano definito una risposta all’uccisione del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, e del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, aggiungendo che se Israele avesse mai reagito ci sarebbe stata un’ulteriore risposta «ancora più schiacciante e rovinosa».

Di fronte alle continue minacce di ritorsione, gli Stati Uniti non sembrano volere lasciare nulla al caso: giusto qualche giorno fa, Washington ha infatti annunciato un riassetto delle proprie forze in Medio Oriente, coincidente con il rientro in patria della portaerei Lincoln. Al suo posto saranno dispiegati aerei da guerra B-52, jet da combattimento, aerei da rifornimento, e cacciatorpedinieri. Sebbene il Maggior Generale Patrick “Pat” Ryder, il segretario stampa del Pentagono, avesse annunciato che le nuove forze sarebbero «iniziate ad arrivare nei prossimi mesi», i cacciabombardieri B-52, i principali responsabili del sempre più prossimo aumento della potenza di fuoco statunitense nella regione, sono arrivati poco prima la mezzanotte di ieri, domenica 4 ottobre. Gli USA sembrano così lanciare il loro solito monito all’Iran, lasciando intendere che, se dovesse succedere qualcosa, si farebbero trovare pronti.

L’annuncio di Khamenei è caratterizzato da quella consueta dose di estrema vaghezza nel fornire specifiche riguardo ai possibili attacchi. Malgrado nell’ultima settimana la situazione sembrasse tranquilla, non si sono fermate le speculazioni sulla possibile risposta iraniana agli attacchi di fine ottobre. Secondo quanto riporta il sito di informazione Axios, l’intelligence israeliana sospetterebbe che l’Iran stia preparando una offensiva da lanciare contro Israele a partire da una delle sue “proxy” in territorio iracheno. Mercoledì 30 ottobre, CNN scriveva che entro il 5 novembre sarebbe potuto arrivare un attacco iraniano sullo Stato ebraico; la data limite fissata dalle fonti indiscrete di CNN non è casuale, poiché coincide con le elezioni statunitensi. Molti analisti ritengono infatti che, dal punto di vista iraniano, il momento propizio per attaccare Israele sia proprio quello precedente alle elezioni presidenziali degli USA, anche perché il risultato potrebbe cambiare notevolmente le carte in tavola. Dall’altro lato della barricata, infatti, c’è chi reputa che a preparare un attacco sia più lo Stato ebraico, che la Repubblica islamica. Su un articolo uscito sulla rivista Fair Observer firmato dall’ex agente della CIA Glenn Carle, si legge che Israele starebbe pianificando un attacco alle basi petrolifere e nucleari iraniane, da tanto tempo sotto i riflettori.

Effettivamente, nei giorni che hanno preceduto l’ultima offensiva israeliana, proprio i siti di idrocarburi e nucleari iraniani sono stati al centro di accese discussioni tra l’amministrazione Biden e il governo Netanyahu. Il caso è scoppiato dopo lo scandalo mediatico che ha visto la diffusione di una serie di documenti riservati riguardanti la presunta pianificazione di un attacco israeliano sulle strutture sensibili di Teheran, in seguito a cui il Presidente statunitense ha subito negato il proprio beneplacito a Tel Aviv nel caso prendesse simili iniziative. La discussione sul tema risale agli inizi di ottobre, periodo in cui Biden aveva scelto di mantenere la sua solita linea di vaghezza pubblica nel dichiarare l’appoggio statunitense su questioni riguardanti il tema dell’equilibrio regionale. Trump, al contrario, ha colto l’occasione per sostenere apertamente che Israele avrebbe dovuto prendere di mira i bersagli sensibili della Repubblica Islamica. All’interno di questo sfaccettato quadro, le elezioni del 5 novembre appaiono particolarmente delicate e possono segnare una svolta in questa lunga partita che non sembra voler terminare. Nel mentre, tra dichiarazioni, annunci, e nuovi dispiegamenti di forze, i tre principali contendenti continuano a prepararsi, e a posizionare i pezzi sulla scacchiera.

[di Dario Lucisano]