sabato 15 Novembre 2025
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L’Europa cerca di riavvicinare i giovani rispolverando i treni Interrail

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Per intere generazioni di giovani, specie tra gli anni ’90 e i primi duemila, il modo per conoscere l’Europa spendendo poco e con lo zaino in spalla è stato l’Interrail, il programma con il quale si poteva girare sui treni di tutta Europa a prezzo convenzionato. Internet, nel suo utilizzo di massa, era ancora agli albori: si viaggiava senza navigatore e si cercavano gli ostelli sulle guide stampate. Le compagnie low cost stavano muovendo i primi passi e prendere un aereo costava ancora tantissimo. Nel giro di pochi anni le cose sono cambiate. I voli a 20 euro hanno trasformato la geografia del viaggio: le città non erano più collegate da linee ferroviarie e metropolitane, ma da aeroporti periferici e pullman navetta. L’Interrail ha vissuto un periodo d’ombra, quasi una reliquia romantica del passato. E invece, eccoci qui, nel 2025, a parlarne ancora. Non per nostalgia, ma per contingenza: prezzi dei voli in aumento, maggiore attenzione al clima e una generazione che sembra voler rallentare, almeno per il momento. Un panorama in cui l’Unione Europea non si è fatta scappare l’occasione, aggiungendoci un pizzico di propaganda.

In occasione dei 40 anni dalla firma dell’Accordo di Schengen, infatti, è stata lanciata l’iniziativa DiscoverEU, che prevede la possibilità, per chi ha appena compiuto 18 anni, di ottenere un biglietto Interrail gratuito. Non è per tutti: bisogna rientrare in criteri piuttosto precisi. Innanzitutto, l’età: sono ammessi solo i nati nel 2007. Poi serve essere cittadini di uno Stato membro o di un Paese associato al programma Erasmus+ (come Islanda, Norvegia, Serbia, Macedonia del Nord, Turchia). I posti sono limitati e le quote vengono distribuite in base alla popolazione: per esempio la Germania ne ha 6.837, la Francia 5.540, l’Italia 4.888. Se un Paese non esaurisce la propria quota, i posti avanzati vengono redistribuiti altrove.

Per iscriversi c’è una finestra precisa: dal 30 ottobre al 13 novembre di quest’anno.
Poi bisogna aspettare: i viaggi potranno iniziare dal 1° marzo 2026, per un periodo che può andare da uno a trenta giorni. Il pass è quasi esclusivamente ferroviario, in seconda classe. I trasporti urbani non sono inclusi, quindi per muoversi nelle città bisognerà comunque spendere. C’è però una carta sconto per ostelli, musei, eventi culturali e sportivi.

Ma non basta: per tentare di accaparrarsi il biglietto bisogna anche superare un quiz. Cinque domande a risposta multipla più una di spareggio, con la possibilità di partecipare anche in gruppo (fino a cinque persone). In tal caso, il quiz lo fa uno solo: sperando che abbia studiato. Per candidarsi, ovviamente, c’è un sito internet. Si compila il modulo, si risponde al quiz, si incrociano le dita.

Appare piuttosto evidente che dietro questa iniziativa non c’è solo la voglia di far viaggiare i ragazzi, specie in un panorama dove Bruxelles risulta sempre più orientata agli investimenti in comunicazione. L’Unione Europa, che negli ultimi anni ha perso smalto e consenso tra i più giovani, prova a tornare simpatica, considerato il rischio di apparire solo l’istituzione dedica al riarmo, alla burocrazia e all’imposizione dell’austerità finanziaria. Resta comunque una bella opportunità per affacciarsi, appena maggiorenni, su un mondo nuovo.

La Lituania chiude i confini con la Bielorussia fino al 30 novembre

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In seguito alle consultazioni governative annunciate lo scorso 27 ottobre, l’esecutivo lituano ha scelto di chiudere i confini con la Bielorussia fino al 30 novembre. Il governo, spiega la premier Inga Ruginiene, si riserva l’opzione di estendere ulteriormente la misura e di prenderne di più dure. La scelta di chiudere i valichi di frontiera con Minsk da parte della Lituania arriva dopo un episodio, registrato il 26 ottobre, in cui diversi palloni aerostatici avrebbero oltrepassato il confine dalla Bielorussia con il fine di contrabbandare sigarette. Vilnius accusa la Bielorussia di agevolarne il transito come forma di «guerra ibrida»; Minsk smentisce le accuse.

Gaza: la tregua mediatica per coprire il genocidio e silenziare le proteste

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Negli appena 16 giorni trascorsi da quando è stata siglata la tregua tra Israele e Hamas e il giorno in cui questo mensile va in stampa, Israele ha commesso almeno 125 violazioni della tregua, ha ucciso oltre 200 persone e ne ha ferite almeno 600. Nel frattempo prosegue, a ritmo furibondo, la colonizzazione della Cisgiordania, mentre il parlamento di Tel Aviv ha approvato l’annessione totale dei territori occupati che, secondo il diritto internazionale, appartengono allo Stato di Palestina (misura sospesa su ordine degli USA) e sta discutendo di introdurre la pena di morte solo per i palestinesi accusati di terrorismo, certificando una volta di più la propria trasformazione in uno Stato non democratico che pratica l’apartheid.

Che tregua è questa? Dal punto di vista militare quasi non esiste, ma dal punto di vista mediatico e politico tutto va alla grande. Da quando è stata approvata, infatti, è immediatamente iniziato il grande processo di normalizzazione: sui media ciò che accade a Gaza è scomparso dalle prime pagine e dai salotti televisivi; il Parlamento Europeo ha rinviato a mai la discussione delle sanzioni contro Israele, che si era quasi visto costretto ad adottare sulla spinta delle proteste; tutte le istituzioni sportive e culturali internazionali – dall’Eurovision alla UEFA – hanno bloccato le proposte di espellere Israele dalle competizioni. Nel frattempo, vanno avanti le manovre di palazzo per criminalizzare le critiche al genocidio, anche in Italia, dove il solito Gasparri ha depositato un disegno di legge per equiparare critiche a Israele e odio contro gli ebrei, ossia antisionismo e antisemitismo.

Annotare queste cose, però, non deve togliere importanza a ciò che la tregua improvvisamente voluta da Netanyahu e Trump ha realmente dimostrato. La verità è che il criminale di guerra e il suo protettore hanno bisogno di riorganizzarsi perché non sanno più come andare avanti. Non è un caso che l’accordo sia arrivato al culmine del movimento di protesta globale che aveva reso ingestibile per l’Occidente insistere nell’appoggio al genocidio: la Flottilla, le piazze piene, gli scioperi generali in Italia e non solo, la campagna di boicottaggio che stava colpendo le aziende complici, e i sondaggi americani – certamente letti alla Casa Bianca – che mostravano come, per la prima volta, anche negli Stati Uniti la maggior parte della popolazione stava con i palestinesi, inclusi molti elettori conservatori. E non è un caso che sia arrivata dopo che Israele, pur avendo ridotto la Striscia in una sconfinata tabula rasa di macerie e morte, si era impantanata, non riuscendo a conquistare Gaza City e subendo centinaia di perdite tra i soldati, vittime degli agguati di una guerriglia palestinese tutt’altro che sconfitta. 

Si tratta quindi di una tregua tattica che è insieme militare, politica e mediatica. L’intento, del tutto chiaro, è quello di trovare un modo meno vistoso per proseguire nel disegno di pulizia etnica della Palestina, sperando che l’onda dell’attenzione globale passi. Starà ancora una volta ai popoli sfidare il silenzio complice e impedirlo.

Nel 2026 l’Italia spenderà 34 miliardi per le spese militari: è il nuovo record

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La spesa militare italiana continua a segnare record storici. Secondo i dati raccolti da Milex (Osservatorio indipendente sulle spese militari italiane), nel 2026 le risorse destinate agli armamenti sfioreranno i 34 miliardi di euro, con un incremento di circa un miliardo rispetto all’anno in corso. Le statistiche, aggiornate alla bozza dell’ultima manovra finanziaria approvata dal governo Meloni, riguardano specificamente la «spesa militare “pura”, cioè riferita esclusivamente alle forze armate» e mostrano un consolidamento della crescita che ha portato i fondi per i militari ad aumentare di oltre il 45% nell’ultimo decennio. Una parabola ascendente che non accenna a placarsi mentre il governo Meloni, su ogni altro capitolo di spesa, cerca di risparmiare con l’obiettivo dichiarato di assecondare i parametri europei per uscire dalla procedura d’infrazione per l’eccessivo disavanzo finanziario.

L’analisi metodologica di Milex segnala che le tabelle ministeriali (Difesa, Economia e Imprese) possono ancora essere oggetto di aggiustamenti, ma offrono elementi concreti per la stima: il «bilancio proprio» del Ministero della Difesa per il 2026 è fissato a 32.398 milioni di euro, +3,52% rispetto al 2025. Applicando le correzioni per escludere le voci non militari (ad esempio parte dei compiti dei Carabinieri per la tutela ambientale) e sommando le voci esterne rilevanti, l’osservatorio arriva a una valutazione di spesa militare diretta pari a 33.948 milioni di euro, un nuovo record storico. Particolarmente significativo è il capitolo investimenti: «il totale delle spese per programmi di armamento previste nel 2026 arriva al record storico di oltre 13,1 miliardi di euro», una crescita dell’1,42% rispetto al 2025. A questi fondi contribuiscono non solo i programmi interni della Difesa (DNA e Segretariato Generale), ma anche risorse provenienti dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy; nel quinquennio la spesa per nuovi armamenti è aumentata di circa il 60% rispetto al 2022 (8,27 miliardi allora).

Per arrivare alla stima complessiva di spesa militare, l’Osservatorio Milex applica la propria metodologia che prevede sia sottrazioni sia aggiunte al bilancio del Ministero della Difesa. Vengono sottratti i fondi interni al Ministero con scopi non militari, come i «503 milioni del Programma 2.1 (Approntamento e impiego Carabinieri per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare)», mentre si aggiungono voci esterne che riguardano attività militari. La somma di queste operazioni porta a una valutazione della spesa militare italiana diretta per il 2026 di 33.948 milioni di euro, «ulteriore record storico con avvicinamento alla soglia dei 34 miliardi e un aumento del 2,8% rispetto al 2024».

Particolarmente significativo è il capitolo investimenti: «il totale delle spese per programmi di armamento previste nel 2026 arriva al record storico di oltre 13,1 miliardi di euro», una crescita dell’1,42% rispetto al 2025. A questi fondi contribuiscono non solo i programmi interni della Difesa, ma anche risorse provenienti dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy; nel quinquennio la spesa per nuovi armamenti è aumentata di circa il 60% rispetto al 2022 (8,27 miliardi allora). Nel conto complessivo la voce personale pesa in modo rilevante: i costi per il personale operativo delle Forze Armate ammontano a circa 12,3 miliardi — con l’Esercito a 6,3 miliardi, l’Aeronautica a 2,98 e la Marina a 2,44 — mentre altre poste non operative o amministrative pesano per circa 2,75 miliardi. Alle voci dirette si aggiungono stime pari a 1,18 miliardi per le missioni all’estero e 4,5 miliardi per la spesa pensionistica militare.

La cifra stimata da Milex non include le uscite per la sicurezza nazionale in senso più ampio, la quota complementare che la NATO inserisce nel target complessivo del 5% del PIL. Proprio per questo, alcune possibili fonti aggiuntive (tra cui cybersicurezza, sicurezza infrastrutturale e mobilità militare) restano complesse da contabilizzare.

Istat: torna a salire export verso Paesi extra-UE

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L’export verso i Paesi extra-Ue torna a crescere sia su base mensile sia annua. A settembre le importazioni salgono del +6,1% e l’export del +5,9%; su base annua l’export avanza del +9,9% e l’import del +16,9%. Su base mensile il traino viene dalle vendite di strumentazione e dall’export di beni di consumo non durevoli, voci che, insieme ai beni intermedi, incidono anche sull’aumento delle importazioni. Su base annua la crescita dell’export è sostenuta soprattutto dalla vendita di energia, mentre l’incremento dell’import riflette soprattutto maggiori acquisti di beni non durevoli.

GrokPedia: la Wikipedia “anti-woke” fondata da Elon Musk è tutt’altro che neutrale

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Elon Musk ha decretato che l’universo necessita con urgenza di un garante della verità assoluta, libero da pregiudizi e condizionamenti ideologici. Fatalmente, ha ritenuto che tale ruolo spettasse a lui. Da questa premessa nasce GrokPedia, la nuova creatura di xAI — l’azienda di intelligenza artificiale da lui fondata. Si tratta di un’enciclopedia digitale lanciata ieri, martedì 28 ottobre che è mossa dall’ambizione dichiarata di spodestare Wikipedia, offrendo una visione del mondo più “neutrale”. Nella pratica, però, GrokPedia non fa che ricalcare la struttura della sua nemesi, apportando ritocchi minimi sufficienti a simulare una vaga impressione di originalità. Il risultato? Un progetto claudicante che rivendica imparzialità, ma che lascia trasparire una netta inclinazione politica verso i repubblicani.

Sulla carta, l’intuizione di Musk è chiara: sostituire l’ampia comunità di volontari che aggiorna Wikipedia con Grok, il chatbot di xAI. “Wikipedia si affida a redattori volontari i cui pregiudizi – spesso di sinistra – possono distorcere le voci su argomenti controversi”, spiega lo stesso Grok su X. “GrokPedia riduce al minimo la soggettività umana, concentrandosi su fatti verificabili e ragionamenti logici per offrire un riferimento più affidabile. La versione 0.1 supera già Wikipedia in termini di neutralità, con rapidi miglioramenti in vista”.

Musk critica da tempo l’enciclopedia libera, accusandola di essere troppo “woke”. Così, per ristabilire l’equilibrio dell’universo digitale, il magnate ha deciso di intervenire personalmente, affidandosi a quella che dovrebbe essere un’ipotetica oggettività della macchina. Peccato che la realtà suggerisca che il presupposto sia del tutto errato: uno studio della Columbia University evidenzia infatti come i modelli di IA riflettano inevitabilmente i valori culturali delle lingue e delle fonti su cui vengono addestrati. Quasi tutti i modelli sono stati sviluppati rastrellando indiscriminatamente la Rete e, pertanto, concedono ampio spazio alla prospettiva Occidentale, la quale ha avuto maggiori occasioni di dominare il web rispetto a quella di culture altre come quelle africane o asiatiche. In parole povere, un’IA “oggettiva” non esiste e quella di Musk non fa eccezione.

Sorvolando sulle implicazioni imperialiste di chi si arroga il diritto di universalizzare i propri valori culturali e ignorando per un momento il fatto che le intelligenze artificiali soffrano di frequenti “allucinazioni” che generano dal nulla informazioni del tutto infondate, resta un dato ineludibile, ovvero che Grok non può essere politicamente neutrale per una ragione tanto ovvia quanto strutturale: è controllato da Elon Musk. Nato come reazione al cosiddetto “virus mentale woke”, il chatbot si è però rivelato fin da subito allineato alle IA delle grandi aziende concorrenti, adottando una posizione moderata e conforme al politicamente corretto. Proprio per questo, Grok ha commesso il peccato cardinale per eccellenza: contraddire apertamente le convinzioni di Musk e le posizioni del Partito Repubblicano.

La cosa, prevedibilmente, non è piaciuta al suo creatore, il quale ha fatto notare su X che “sfortunatamente, Internet (su cui [Grok] è addestrato) è invaso da sciocchezze woke. Grok migliorerà”. La sedicente oggettività della statistica, insomma, andava corretta. xAI non ha mai offerto troppa trasparenza sulle modifiche apportate al sistema, tuttavia diversi indizi portano a credere che negli anni si siano registrati molteplici rimaneggiamenti, spesso effettuati in maniera maldestra e frettolosa: è accaduto, a esempio, quando Grok ha suggerito che sia Musk che il Presidente USA Donald Trump meritassero la pena di morte; o quando ha promosso senza ritegno la teoria del genocidio bianco in Sudafrica; o ancora quando ha iniziato a riportare testi scritti in prima persona per negare qualsiasi legame tra Musk e il trafficante di minori Jeffrey Epstein. Il punto di rottura è arrivato lo scorso luglio, quando il modello, nel tentativo di compensare il perbenismo iniziale, ha virato bruscamente verso la dottrina nazista, arrivando a presentarsi come “Mechahitler” — un episodio che ha messo a nudo i limiti strutturali del rimaneggiamento ideologico.

Con simili premesse, GrokPedia nasce su una base concettuale estremamente fragile, tuttavia riesce comunque a superarsi fino a raggiungere una dimensione tragicomica: una parte considerevole dei suoi articoli è copiata da Wikipedia — quella stessa enciclopedia che Musk accusa di faziosità. Grok attinge dalle pagine open source della nota enciclopedia online, quindi le riformula quel tanto che basta per imporre loro una narrativa più in linea con le idee Repubblicane.

grokpedia

Brasile, blitz nelle favelas contro i narcos: almeno 60 morti

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Durante un’operazione su larga scala delle forze speciali nelle favelas della zona nord di Rio de Janeiro, sono stati segnalati oltre 60 morti tra narcos e civili. Il blitz, che ha coinvolto più di 2.500 agenti con supporto di droni e mezzi blindati, aveva l’obiettivo di colpire i vertici del gruppo criminale Comando Vermelho, attivo nel traffico di stupefacenti. La reazione armata dei clan ha incendiato autobus, eretto barricate e generato colonne di fumo visibili in città.

Uragano Melissa devasta la Giamaica e colpisce Cuba

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L’uragano Melissa ha travolto la Giamaica con venti vicini ai 300 km/h, lasciando oltre 530 mila persone senza elettricità e infrastrutture «severamente compromesse». Dopo aver devastato la Giamaica, l’urgano si è abbattuto su Cuba. Secondo il quotidiano ufficiale Granma, le autorità cubane hanno già evacuato più di 700mila persone. Il bilancio provvisorio parla di almeno sette morti nei Caraibi e oltre 1,5 milioni di persone coinvolte negli eventi calamitosi.

Gaza: i bombardamenti israeliani hanno ucciso almeno 90 palestinesi

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Nella notte, nuovi bombardamenti israeliani hanno colpito la Striscia di Gaza, uccidendo, secondo fonti mediche palestinesi, almeno 90 persone, tra cui 24 bambini. Le sirene e le ambulanze hanno scandito ore di terrore, mentre gli aerei dell’IDF sorvolavano Khan Younis e Rafah e i campi profughi di Deir el-Balah e Shati. Il primo raid è partito dopo che il governo israeliano ha accusato Hamas di aver violato la tregua in vigore dal 10 ottobre. Il premier Benjamin Netanyahu ha ordinato all’esercito di effettuare «colpi immediati e potenti» contro la Striscia, mettendo in forse la mediazione statunitense. A Gaza la conta delle vittime cresce, mentre oltreoceano la Casa Bianca minimizza, sostenendo che «nulla metterà a repentaglio il cessate il fuoco».

A innescare la nuova escalation è stata una presunta imboscata contro una squadra del genio militare israeliano a Rafah. Militanti di Hamas avrebbero lanciato missili anticarro e tentato di colpire i soldati con cecchini appostati tra le rovine. L’esercito israeliano ha risposto con colpi di artiglieria verso le postazioni sospette, dando il via a una giornata di tensione crescente. Secondo i media dello Stato ebraico, un riservista di 37 anni delle IDF sarebbe stato ucciso. L’attacco è stato solo la scintilla finale che ha dato fuoco alle polveri. Per ore, l’opinione pubblica israeliana è stata monopolizzata dal caso della “finta restituzione” di una salma. L’ultimo corpo trasferito ieri sera in Israele dalla Striscia di Gaza non apparterrebbe, secondo Tel Aviv, a nessuno dei 13 prigionieri deceduti ancora detenuti da Hamas, bensì all’ostaggio Ofir Tzarfati, le cui spoglie erano state recuperate due anni fa dall’IDF. Un gesto che per Israele rappresenta la prova che Hamas continua a eludere gli accordi. Di fronte a queste accuse, Netanyahu ha convocato ieri pomeriggio una riunione urgente del gabinetto di sicurezza e ha dato ordine all’Israel Defense Forces di “riattivare i raid” in Gaza, dopo aver informato la Casa Bianca che avrebbe attaccato. Le incursioni sono partite poco dopo e hanno colpito diverse aree residenziali dell’enclave: almeno 42 palestinesi sono stati uccisi negli attacchi israeliani nella Striscia di Gaza centrale, 31 nella Striscia di Gaza settentrionale e 18 nella Striscia di Gaza meridionale. Cinque palestinesi sono stati uccisi in uno degli attacchi più recenti, quando le forze israeliane hanno bombardato una tenda che ospitava sfollati a Deir el-Balah. Le autorità sanitarie della Striscia parlano di altre «decine di corpi sotto le macerie» e di una emergenza che nessuno osa più definire tregua.

La reazione internazionale non si è fatta attendere. Il presidente americano Donald Trump ha dichiarato che Israele ha il diritto di rispondere agli attacchi. «Hanno ucciso un soldato israeliano. Quindi gli israeliani hanno reagito. E dovevano reagire», ha spiegato Trump ai giornalisti sull’Air Force One, aggiungendo che non permetterà che la tregua venga compromessa: «Niente metterà a repentaglio» il cessate il fuoco, «Dovete capire che Hamas è una parte molto piccola della pace in Medio Oriente, e devono comportarsi bene». Allo stesso tempo, il vicepresidente JD Vance ha parlato di “scaramucce” e ha invitato alla calma: «La pace resisterà», ha sentenziato con ottimismo. Tuttavia, la tensione sul terreno è palpabile: l’ambasciatore turco ha definito gli attacchi «una chiara violazione del cessate il fuoco», mentre la mediazione egiziana resta in allerta per evitare una ripresa del conflitto su scala più ampia. Sale, intanto, la pressione dei ministri di estrema destra, Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, sul premier israeliano, al quale chiedono un intervento forte per garantire la distruzione del movimento islamista. «Non puoi fare patti con il diavolo. Quanto è triste che avessi ragione», ha commentato Ben Gvir, che ha sempre osteggiato apertamente il piano di Trump per la pace. Il ministro della Sicurezza nazionale ha invitato Netanyahu a «spezzare quelle gambe su cui ancora si regge Hamas». La richiesta di una risposta dura arriva anche dall’opposizione. Per il presidente del partito Blu e Bianco, Benny Gantz, «le violazioni di Hamas non possono continuare senza una risposta dura».

Diciotto giorni: tanto ha tenuto la fragile tregua tra Hamas e Israele sancita dall’accordo di Sharm el Sheikh. C’erano già state delle avvisaglie nelle scorse settimane: il clima instabile poteva far prevedere il precipitare degli eventi e l’inizio dell’azione israeliana. Quella di ieri non è, infatti, la prima volta che Israele viola i termini della tregua: la più violenta violazione è avvenuta domenica 19 ottobre, quando Israele ha sganciato 153 tonnellate di bombe, uccidendo quasi 100 persone in un giorno solo. Secondo l’analista olandese-palestinese del Medio Oriente, Mouin Rabbani, Israele starebbe volutamente minando il cessate il fuoco imposto dagli Stati Uniti, senza aver mai rispettato pienamente gli impegni presi. Il ricercatore ha accusato Tel Aviv di usare pretesti per limitare gli aiuti e impedire le operazioni di soccorso sotto le macerie, erodendo gradualmente l’accordo. La vera incognita, afferma, resta la reazione di Washington di fronte a questa escalation controllata. Sul piano umanitario, la situazione peggiora di ora in ora: i raid interrompono il passaggio degli aiuti, aumentano gli sfollati e la sanità locale, già sovraccaricata, fatica a far fronte alle decine di morti e alle centinaia di feriti. A Gaza i medici chiedono un immediato cessate il fuoco per estrarre i corpi e curare i feriti. Il bilancio delle vittime cresce e la comunità internazionale osserva con crescente preoccupazione. Hamas ha riferito in un comunicato ufficiale di aver trovato i corpi degli ostaggi Amiram Cooper e Sahar Baruch durante le operazioni di ricerca condotte nel corso della giornata. In questo scenario, i nuovi raid rappresentano la cruda realtà di un conflitto che sembra non concedere soste.

La Spagna ha istituito sei nuove aree marine protette

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La Spagna ha annunciato l’istituzione di sei nuove aree marine protette, estendendo di altri 17.000 chilometri quadrati la porzione di mare soggetta a tutela ambientale. Si tratta di una delle mosse più concrete compiute di recente in Europa per salvaguardare la biodiversità marina, in linea con gli impegni assunti nell’ambito della Strategia europea per la biodiversità 2030. Con questo provvedimento, la protezione marina spagnola raggiunge il 22,45% del totale, avvicinandosi all’obiettivo del 25% da raggiungere entro la fine del 2025.
I nuovi siti includono zone di particolare ricchezza ecolo...

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