mercoledì 2 Aprile 2025
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Trump ritira i fondi alla Columbia University e arresta gli studenti pro-Palestina

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L’amministrazione Trump ha annunciato il ritiro di 400 milioni di dollari destinati alla Columbia University, una delle istituzioni accademiche più prestigiose degli Stati Uniti e protagonista negli scorsi mesi di ampie proteste studentesche in favore del popolo palestinese. Il provvedimento, che comporta la cancellazione di sovvenzioni e contratti federali, è stato giustificato con l’accusa rivolta all’università di non aver contrastato adeguatamente episodi di antisemitismo all’interno del campus. La decisione arriva negli stessi giorni dell’arresto, da parte delle autorità federali per l’immigrazione, di un attivista palestinese che ha avuto un ruolo centrale nelle proteste contro Israele all’interno dell’ateneo. Un chiaro segnale dell’inizio della politica di repressione annunciata da Trump contro gli studenti che denunciano il genocidio israeliano.

“La Columbia University, come tutte le altre istituzioni, deve rispettare le leggi federali antidiscriminazione se vuole continuare a ricevere finanziamenti pubblici. Per troppo tempo ha ignorato questo obbligo nei confronti degli studenti ebrei”, ha dichiarato la Segretaria all’Istruzione Linda McMahon in un comunicato.

Già lo scorso giugno, nel pieno delle diffuse manifestazioni in ateneo, in solidarietà con il popolo palestinese, l’università aveva istituito una task force incaricata di ridefinire il concetto di “fanatismo” e di chiarire la definizione di “antisemitismo”. La decisione aveva suscitato polemiche tra studenti e docenti, convinti che l’ateneo stesse tentando di criminalizzare le manifestazioni a favore di Gaza. Infatti, nonostante le proteste, l’organizzazione era riuscita a pubblicare un documento in cui ridefiniva l’antisemitismo, includendo al suo interno anche l’antisionismo, ovvero la negazione del diritto all’esistenza dello Stato di Israele. Linee guida che, di fatto, hanno reso la critica all’esistenza dello Stato di Israele equiparabile ad un atto di antisemitismo, con possibili ripercussioni disciplinari e legali per gli studenti.

A dimostrarlo è il caso di Mahmoud Khalil. Laureato alla Columbia in Affari Internazionali, l’attivista palestinese è stato arrestato nel suo appartamento di proprietà dell’università dagli agenti dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE). Questi ultimi hanno fatto irruzione nell’edificio prendendolo in custodia, segnando la prima operazione di “deportazione” pubblicamente nota nell’ambito della stretta annunciata da Trump contro gli studenti coinvolti nelle proteste per Gaza. Un’operazione che l’amministrazione ha giustificato sostenendo che i partecipanti alle manifestazioni abbiano perso il diritto di rimanere nel Paese per aver sostenuto Hamas. Il Segretario di Stato Marco Rubio ha infatti specificato che il governo procederà con la revoca dei visti e delle carte verdi per i “sostenitori di Hamas” negli Stati Uniti, al fine di espellerli.

John McLaughlin, consigliere presidenziale per la sicurezza nazionale, ha confermato che l’arresto di Khalil è direttamente collegato alla sua attività politica nel campus. “Ha guidato iniziative allineate con Hamas, un’organizzazione terroristica designata”, ha riferito in una nota ufficiale. Khalil era stato tra i principali negoziatori degli studenti nelle trattative con l’amministrazione universitaria per lo smantellamento dell’accampamento di tende eretto nel campus durante le proteste della scorsa primavera. Il suo ruolo di primo piano lo aveva reso un bersaglio, e nelle ultime settimane gli attivisti filo-israeliani avevano chiesto a gran voce che venisse espulso dal Paese. 

Un’intervento dunque con cui l’amministrazione Trump dimostra ufficialmente di voler reprimere le proteste studentesche, trasformando la solidarietà nei confronti del popolo palestinese in un rischio politico e legale per chiunque decida di esprimersi apertamente.

[di Gloria Ferrari]

USA: Trump impone nuovi dazi al Canada

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Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato un aumento dei dazi sui prodotti in acciaio e alluminio importati dal Canada, che passeranno dal 25% al 50%. L’annuncio è arrivato oggi, martedì 11 marzo, in un post sul social Truth Social. Trump ha spiegato che la mossa è una risposta ai dazi canadesi sui prodotti agricoli statunitensi e alle analoghe tariffe imposte dalla provincia canadese dell’Ontario sull’elettricità in uscita verso Washington. I nuovi dazi statunitensi entreranno in vigore domani. Trump ha poi ribadito le sue intenzioni di rendere il Canada il 51esimo Stato degli USA.

Cortina ’26: il tribunale ribadisce il diritto dei cittadini a fare causa contro le opere

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Il Comune di San Vito di Cadore, in provincia di Belluno, ha perso la causa intentata contro 25 cittadini che avevano protestato contro la variante stradale prevista per le Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026. Il Comune aveva chiesto un risarcimento di quasi 150mila euro, accusando i cittadini di aver “abusato” del proprio diritto di protesta presentando troppe cause in tribunale e di aver danneggiato l’immagine dell’ente. La richiesta è stata respinta e il Comune è stato condannato a pagare circa 40mila euro di risarcimento. La decisione del tribunale conferma il diritto dei cittadini a portare avanti le proprie proteste. Quelle dei cittadini di San Vito di Cadore, in particolare, si collocano su una scia di generali contestazioni per le opere previste per le Olimpiadi invernali, che hanno interessato diverse aree del Veneto e della Lombardia.

La causa contro i cittadini davanti al Tribunale di Belluno è stata presentata nell’aprile 2024 dall’allora commissario prefettizio straordinario Antonino Russo. Russo contestava ai cittadini un “eccesso di ricorsi” davanti al tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, che avrebbe causato al Comune un danno da “abuso del diritto” pari a 64.526,44 euro, corrispondenti alle spese stanziate per la difesa in aula. Oltre a ciò, Russo reclamava un danno di immagine per presunta diffamazione pari ad altri 80.000 euro. In totale, il Comune ha chiesto ai propri cittadini 144.526,44 euro. Alcuni dei cittadini accusati, inoltre, erano candidati alle elezioni comunali e hanno dovuto rinunciare alla propria posizione in Consiglio a causa del contenzioso con l’ente. In sede di giudizio, la giudice Chiara Sandini ha definito la richiesta del Comune “inammissibile”. “Il diritto all’azione è costituzionalmente garantito dall’art. 24 della Costituzione”, scrive la giudice. “L’ordinamento riconosce a chiunque la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”. Per quanto riguarda la presunta presentazione di troppe cause da parte dei cittadini, Sandini ha rimarcato che un giudizio sulla quantità di ricorsi “non può essere sindacato in questa sede”.

Le proteste dei cittadini di San Vito di Cadore riguardano la realizzazione di uno svincolo stradale sulla statale 51 di Alemagna che servirebbe a spostare il flusso del traffico al di fuori del Paese in vista delle Olimpiadi Milano-Cortina. La strada dovrebbe passare sopra l’argine del fiume Boite e minerebbe, ritengono i comitati, la stabilità idrogeologica della zona. I cittadini di San Vito di Cadore non sono gli unici a protestare contro la realizzazione di opere – collaterali e non – per le prossime Olimpiadi invernali. A Cortina è particolarmente noto il caso della pista da bob, i cui lavori sono iniziati solo un anno fa, dopo un turbolento iter burocratico e diverse contestazioni degli abitanti, che si sono mossi contro l’abbattimento dei 500 larici secolari destinati a venire tagliati per fare spazio all’opera. Ad agosto del 2024, inoltre i lavori per le Olimpiadi sono finiti sotto la lente dell’antimafia, mentre verso la fine dello scorso maggio è stata aperta una inchiesta per corruzione contro la Fondazione.

[di Dario Lucisano]

Il “tritacarne” russofobo: come i media manipolano la realtà per giustificare il riarmo

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«Gesto choc», «bufera sul partito di Putin», «un tritacarne per la festa della donna». Per i media occidentali, l’ennesima polemica che ha travolto il Cremlino sarebbe un’iniziativa di Russia Unita, che avrebbe consegnato tritacarne e fiori alle madri dei soldati caduti in Ucraina, un atto descritto dalle testate mainstream come una “provocazione” sprezzante e crudele, che avrebbe scatenato un’ondata di indignazione sui social media. 

Basta il titolo di Adnkronos per cadere nella trappola mediatica, come osserva Valerio Savaiano, esperto di comunicazione: Tritacarne alle madri dei soldati uccisi in Ucraina, il regalo choc in Russia. Il titolo, infatti, mancando di precisare che i soldati uccisi sono quelli russi, lascia intendere che il partito di Putin si sia fatto beffe delle madri dei soldati ucraini. E, invece, si è trattata di una piccola commemorazione dei soldati russi morti in Ucraina

In un panorama mediatico ormai pervaso da una narrazione bellicista e russofobica, nessuno si chiede quale sarebbe il senso di un governo che sbeffeggia le madri dei propri soldati caduti in guerra. Nessuno si interroga sul perché testate di Paesi diversi pubblichino simultaneamente la stessa storia, con lo stesso taglio e le stesse parole chiave. Basta andare oltre i titoli per rendersi conto che siamo nel consueto campo della distorsione e della strumentalizzazione di una notizia per alimentare il “frame” del sadico Putin e dei russi invasori, cattivi e senza pietà.

L’episodio del “regalo choc” si è verificato l’8 marzo a Polyarny Zori, una cittadina dell’Oblast di Murmansk, dove il movimento femminile del partito di governo, Russia Unita, ha organizzato un’iniziativa intitolata Fiori per le mamme degli eroi. Lo scopo era quello di rendere omaggio alle madri dei soldati russi caduti nel conflitto, offrendo loro fiori ed elettrodomestici di vario genere. Tra le madri, una donna ha richiesto specificamente un tritacarne (che non era previsto), che le è stato quindi consegnato e in un video ha ringraziato “goffamente” per il dono di cui aveva bisogno. L’uso della parola “goffamente” è un chiaro tentativo di insinuare che la donna sia stata costretta a ringraziare per l’elettrodomestico. In ogni caso, non si sarebbe trattato di un “regalo provocatorio” imposto dal partito o da Putin in persona, ma una richiesta esaudita. Eppure, questo piccolo dettaglio è stato completamente stravolto nella narrazione dei media mainstream, trasformando un’iniziativa di sostegno e riconoscimento in una macabra beffa ai danni delle madri dei caduti.

Tutto è partito dai social media, dove alcuni utenti hanno notato la presenza del tritacarne e hanno collegato l’episodio all’uso della parola per descrivere le sconfitte sul campo di battaglia. Il problema, infatti, è che la parola russa per il tritacarne, «myasorubka», ha lo stesso doppio significato dell’inglese e si riferisce a una tattica che comporta pesanti perdite, in cui piccoli gruppi di soldati vengono inviati in attacco, rischiando pesanti perdite, con l’obiettivo di logorare e sopraffare le truppe nemiche.

Da lì, il passo è stato breve: alcuni giornalisti e testate allineate con la narrazione occidentale hanno colto la palla al balzo per rilanciare la vicenda come una prova della crudeltà russa, come se il Cremlino provasse un piacere perverso nell’umiliare le famiglie dei propri caduti. 

Questa narrazione non è casuale. Arriva in un momento in cui la Commissione Europea, guidata da Ursula von der Leyen, sta spingendo per un massiccio riarmo dell’Unione Europea, giustificandolo con la minaccia russa. Ma come convincere i cittadini a sostenere ingenti spese militari, quando per anni è stato detto che non c’erano fondi per sanità, welfare, pensioni e istruzione? Semplice: si demonizza il nemico e, a corrente alternata, lo si ridicolizza, proiettando su di esso caratteristiche esagerate e anche grottesche, come l’Emmanuel Goldstein di orwelliana memoria. Così, Putin ha un piede nella fossa, soffrendo un po’ di Alzheimer e un po’ di schizofrenia, ma è pronto a scatenare un conflitto nucleare, anche se le sue truppe cavalcano ciuchini, combattono a mani nude e senza calzini con le pale.

Il trucco è sempre lo stesso. Si costruisce un’immagine dell’avversario come malvagio e inumano, così che ogni decisione bellica diventi giustificabile e, anzi, necessaria. La logica è puramente emozionale: se i russi arrivano a tanto – farsi beffe delle madri dei soldati morti – dobbiamo difenderci a ogni costo, anche sacrificando il nostro benessere economico e sociale. Come dimenticare Beppe Severgnini che, ospite negli studi di Otto e mezzo, dichiarava che bisognava fermare Putin assolutamente, altrimenti «sarebbe arrivato a Lisbona»? Il risultato è una costruzione dell’opinione pubblica orientata verso una guerra che viene presentata come inevitabile.

Se davvero vogliamo difendere la libertà e la democrazia, la prima cosa che dovremmo fare è esercitare lo spirito critico. Altrimenti, il vero tritacarne sarà quello che macinerà la verità in nome della propaganda di guerra.

[di Enrica Perucchietti]

Pakistan, separatisti sequestrano treno con 500 passeggeri

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I separatisti del Baloch Liberation Army hanno aperto il fuoco oggi contro un treno su cui viaggiavano 500 passeggeri nella provincia del Balochistan, nel Pakistan sud-occidentale. Come riferito dalle autorità locali, il convoglio è stato sequestrato dal gruppo. In seguito all’avvio dell’offensiva dei separatisti, l’esercito ha cercato di intervenire con un attacco attraverso l’utilizzo di aerei ed elicotteri. Baloch Liberation Army ha emesso un avvertimento, affermando che «se il bombardamento aereo non si ferma, si procederà con l’uccisione degli ostaggi entro la prossima ora».

Il nuovo rapporto sul commercio globale di armi

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Nel periodo 2020-2024, l’Italia ha fatto registrare un maxi-aumento delle esportazioni di armi, pari al 138% rispetto al quinquennio precedente, piazzandosi al sesto posto della classifica dei maggiori esportatori. Lo ha attestato l’ultimo rapporto dell’Istituto Internazionale di Stoccolma per la Ricerca sulla Pace (SIPRI), in cui si legge che al primo posto della lista si confermano gli Stati Uniti d’America, seguiti da Francia e dalla Russia. Se Washington e Parigi hanno aumentato la quota delle loro esportazioni, ciò non vale per Mosca, che nel periodo di riferimento ha visto una diminuzione del 64%. Sul fronte delle importazioni, l’Europa è diventata un’area strategica per l’industria bellica, mentre l’Ucraina ha assunto un ruolo centrale, avendo aumentato gli acquisti di armi di quasi 100 volte rispetto al 2015-19 ed essendosi trasformata nel primo importatore mondiale.

Dalla ricerca emerge che, nel periodo 2020-2024, il commercio globale di armi ha subito una lieve contrazione (pari allo 0,6%) rispetto al quinquennio precedente. Al contempo, il documento mostra come i membri della NATO abbiano più che raddoppiato le importazioni di armi, con un aumento del 105%. Di queste, il 64% sono state fornite dagli USA, che nel periodo 2015-2019 ne avevano esportate il 52%. Nella lista dei Paesi fornitori seguono Francia e Corea del Sud con il 6,5%, la Germania con il 4,7% e Israele con il 3,9%. L’Europa ha registrato un aumento del 155% delle importazioni, trainato principalmente dalle conseguenze del conflitto russo-ucraino. L’Ucraina è diventata infatti il primo importatore mondiale di armi, con una quota dell’8,8% del totale globale, risultato delle forniture militari ricevute da oltre 35 Paesi a seguito della guerra con la Russia. Gli Stati Uniti si sono confermati il principale fornitore dell’Ucraina, con il 45% delle esportazioni dirette a Kiev, seguiti da Germania (12%) e Polonia (11%). Gran parte delle armi trasferite all’Ucraina sono state fornite sotto forma di aiuti militari, comprendendo missili a lungo raggio, carri armati, sistemi di difesa aerea e veicoli corazzati.

Focalizzando l’attenzione sul nostro Paese, il report attesta che l’Italia si è posizionata al sesto posto tra gli esportatori mondiali con una quota del 4,8% e una crescita impressionante rispetto alla fase antecedente. Questo incremento rappresenta il maggiore tra tutti i primi dieci esportatori mondiali, indicando un’espansione significativa dell’industria bellica italiana. I principali destinatari delle esportazioni italiane sono stati il ​​Qatar (28%), l’Egitto (18%) e il Kuwait (18%). In particolare, le vendite al Qatar hanno riguardato soprattutto sistemi navali e aerei. L’Egitto, altro grande cliente, ha acquistato navi da guerra e velivoli, mentre il Kuwait ha incrementato la sua flotta con mezzi di produzione italiana. Per quanto concerne le importazioni di armi, il nostro Paese ha fatto segnare un calo del 27%, essendo passata la quota globale dall’1,5% all’1,1% (24esimo posto tra gli importatori). A esportare la stragrande maggioranza delle armi all’Italia sono stati gli USA, con il 94% dei trasferimenti, cui seguono Germania (2%) e Regno Unito (1,5%).

Nonostante una contrazione complessiva del 20% nelle importazioni rispetto al periodo precedente, i Paesi del Medio Oriente si confermano tra i principali acquirenti di armamenti a livello globale, con Qatar, Arabia Saudita, Egitto e Kuwait che figurano nella lista dei primi dieci importatori mondiali. Il Qatar ha visto un incremento del 127% delle importazioni, diventando il terzo maggiore acquirente globale. Gli Stati Uniti sono stati il ​​principale fornitore del Paese (48%), seguiti dall’Italia (20%) e dal Regno Unito (15%). L’Arabia Saudita, pur avendo ridotto gli acquisti del 41%, rimane uno dei principali mercati per l’industria bellica nordamericana, con il 74% delle sue importazioni provenienti dagli USA. Un calo significativo delle esportazioni nel periodo 2020-2024 è stato registrato dai Paesi africani, con una diminuzione del 44% rispetto al lustro precedente. La riduzione è stata in particolare dovuta alla diminuzione delle importazioni di armamenti dei due maggiori importatori, ovvero Algeria (-73%) e Marocco (-26%). Un trend che non riguarda i Paesi dell’Africa occidentale, le cui importazioni – a causa delle gravi criticità riscontrate nell’ambito della sicurezza – hanno fatto segnare importanti aumenti negli ultimi 15 anni, con un aumento del 100% rispetto al periodo 2015-19 e dell’82% a quello 2010-14.

Già lo scorso aprile, il SIPRI aveva attestato come, nel 2023, la spesa militare mondiale avesse raggiunto il massimo storico di 2.443 miliardi di dollari, con un aumento del 6,8% in termini reali rispetto al 2022. L’Istituto aveva confermato che si trattava dell’aumento su base annua più marcato dal 2009 e, a partire dallo stesso anno, della prima volta che si è registrato un incremento della spesa militare in tutte e cinque le regioni geografiche – Europa, Asia e Oceania, Medio Oriente, Africa e Americhe –, con aumenti particolarmente elevati registrati nelle prime tre.

[di Stefano Baudino]

In Canada finisce l’era Trudeau: Mark Carney è il nuovo primo ministro

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L’ex governatore della Banca Centrale Canadese, Mark Carney, ha conquistato la leadership del Partito Liberale del Paese e si prepara a succedere a Justin Trudeau come primo ministro per traghettare il Canada verso le prossime elezioni. Le elezioni politiche sono previste per il 20 ottobre, ma secondo alcuni esponenti del Partito Liberale il neoeletto premier potrebbe decidere di anticipare il voto. I sondaggi indicano che né i liberali né i conservatori riusciranno a ottenere una maggioranza. Carney assumerà l’incarico in un momento di forti tensioni politiche per il Canada, sia sul fronte interno, con la caduta di uno dei maggiori rappresentanti dell’establishment progressista mondiale, che su quello esterno, con la guerra commerciale con gli Stati Uniti guidati dal presidente Donald Trump.

Carney è stato nominato leader del Partito Liberale in una votazione che ha visto la partecipazione di quasi 152.000 tesserati su 400.000 iscritti, ottenendo l’86% dei voti e sbaragliando la concorrenza dell’ex ministra delle Finanze Chrystia Freeland. Con la vittoria delle primarie, Carney succederà a Trudeau come primo ministro e guadagnerà il posto di candidato alle prossime elezioni politiche. Il suo insediamento è previsto nei prossimi giorni. Con il cambio di guardia all’esecutivo, non ci si aspetta alcuno stravolgimento nella gestione interna del Paese. Carney ha 59 anni ed è stato governatore della banca centrale canadese, di quella britannica e inviato speciale dell’ONU per il clima. Durante il suo discorso di insediamento, ha salutato con entusiasmo il premier Trudeau, lodandone la guida. Il discorso si è concentrato sin dal principio sul contrasto alle politiche di Trump, che sta «cercando di indebolire la nostra economia». Riguardo agli attriti con Trump, Carney ha affermato che continuerà a imporre tariffe di risposta sui beni statunitensi e ha dichiarato perentoriamente che «il Canada non è gli Stati Uniti e gli Stati Uniti non sono il Canada», in riferimento alle dichiarazioni di Trump sull’annessione del Paese agli USA.

Carney ricoprirà il posto di primo ministro in una situazione particolarmente instabile per il Canada. Trudeau governava con un governo di minoranza, appoggiato esternamente dal Nuovo Partito Democratico (NDP), partito di centrosinistra. Sin dall’estate le critiche verso Trudeau si sono fatte più intense a causa degli alti costi della vita, delle politiche del lavoro e di quelle migratorie. A settembre il leader dell’NDP, Jagmeet Singh, ha messo fine all’accordo informale con i Liberali, accusandoli di favorire le grandi aziende e minando così la già precaria stabilità governativa. A ottobre sono iniziati i dibattiti interni, alimentati dalla legge di bilancio, e a dicembre Freeland ha dato il colpo di grazia all’esecutivo, rassegnando le dimissioni a causa del deficit del 2024, risultato più alto del previsto. Trudeau si è dimesso il 6 gennaio.

Uno dei motivi per cui Trudeau ha perso consensi è legato anche alla sua gestione della crisi pandemica. Durante il periodo Covid, l’amministrazione Trudeau ha gestito l’emergenza in linea con i provvedimenti dei lockdown e degli obblighi vaccinali stabiliti dalle organizzazioni internazionali. Nel gennaio 2022, tuttavia, il primo ministro canadese ha aperto la strada a un nuovo tipo di repressione sociale, quando ha assunto poteri speciali e congelato i conti bancari dei camionisti del Freedom Convoy, che paralizzarono Ottawa per protestare contro l’obbligo vaccinale, sostenuti da migliaia di cittadini. A gennaio 2024 è stato condannato da un tribunale per la repressione delle proteste. Trudeau è inoltre sempre stato uno dei maggiori rappresentanti del progressismo globale, esponente di spicco del World Economic Forum, dove è intervenuto più volte a difesa dei grandi accordi di libero scambio e di partenariato globale.

[di Dario Lucisano]

Mosca, massiccio attacco ucraino con droni

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L’Ucraina avrebbe lanciato un attacco con droni contro Mosca, uccidendo una persona e ferendone altre tre. L’agenzia di stampa russa TASS comunica che, nella notte, 91 velivoli ucraini senza pilota diretti verso la regione di Mosca sarebbero stati abbattuti dalla contraerea russa. In città, i detriti avrebbero causato il danneggiamento di sette appartamenti e la distruzione di circa venti automobili. Intanto, nella regione russa di Kursk, le forze russe sostengono di avere riconquistato parte dei territori controllati da Kiev, avvicinandosi a circondare l’esercito nemico. Il capo dell’esercito ucraino ha dichiarato che non sussiste pericolo di accerchiamento. Oggi, inoltre, sono previsti colloqui tra USA e Ucraina in Arabia Saudita.

Le comunità brasiliane accusano Enel di sottrarre terre per costruire parchi eolici

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In Brasile i residenti di alcune comunità hanno affermato che l’azienda energetica italiana Enel e la brasiliana Maestro Holding li hanno privati del loro territorio per perseguire progetti di energia eolica. Secondo un’indagine giornalistica durata mesi, sarebbero infatti diversi i casi di potenziale accaparramento di terre da parte di aziende che acquisiscono terreni pubblici utilizzati dai residenti, sfruttando il fatto che molte persone in queste aree non hanno documenti che ne dimostrino la proprietà. Nessuno, tra coloro che hanno denunciato quanto sta accadendo, ha contestato l’importanza delle energie rinnovabili, ma tutti sono d’accordo sul fatto che per farlo sia fondamentale tenere conto delle realtà sociali e politiche locali e delle necessità dei residenti.

L’enorme potenziale delle risorse naturali dell’America Latina (come, per esempio, i forti venti dello Stato brasiliano di Bahía) ha fatto da catalizzatore per gli interessi di varie aziende europee. Tra queste, Enel è rapidamente divenuta una delle principali fornitrici di energia elettrica da fonti rinnovabili del Brasile e di altri Stati. Un recente studio di Nature sul tema ha rilevato che l’azienda energetica italiana è la più grande società madre straniera proprietaria di progetti di energia rinnovabile. Secondo quanto riportato da un’inchiesta di Mongabay, IrpiMedia e Intercept Brasil, la sola Enel Américas – una delle principali sussidiarie di Enel – ha aumentato del 45% i propri investimenti in Brasile nel 2023, portandoli a 3,7 miliardi di dollari. Tuttavia, sono le popolazioni locali a dover pagare il prezzo di tale espansione: in Brasile, Enel (appoggiandosi anche a intermediarie locali, come la brasiliana Maestro Holding de Energia) è infatti accusata di appropriarsi illegalmente dei territori dei residenti, pratica comunemente nota come land grabbing. 

Secondo quanto denunciato dai residenti e riportato dall’inchiesta, infatti, l’azienda sfrutterebbe il fatto che coloro che vivono in queste terre non abbiano i documenti per dimostrarne la proprietà legittima. Le procedure per farlo, inoltre, sono spesso molto costose: il georeferenziamento, ad esempio, richiede l’assunzione di specialisti che stabiliscano con precisione i confini delle proprietà, con un costo che può arrivare all’equivalente di 2500 euro. Secondo quanto riferito dall’avvocato delle comunità, sapendo che la maggior parte dei confini dei terreni non sono ben delimitati, le aziende li georeferenzierebbero prima dei residenti senza informarli, inserendo così le terre nelle loro proprietà. In alternativa, le intermediarie sfrutterebbero «tattiche aggressive» per stipulare contratti con i proprietari terrieri locali, ottenendo condizioni favorevoli per le aziende e vantaggi minimi per le comunità. Successivamente, le terre vengono cedute a Enel per la costruzione dei parchi eolici o solari.

Sono numerosi i cittadini che hanno intentato cause legali private contro l’azienda, la quale ha tuttavia riferito di «attenersi rigorosamente ai requisiti legali e alle normative industriali», nonchè di «rispettare tutti i requisiti ambientali». «In conformità con la legge brasiliana, Enel non acquista terreni in Brasile. Le aree in cui l’azienda installa turbine eoliche o pannelli solari sono proprietà private con regolare attestazione di regolarità dal punto di vista della proprietà fondiaria» ha dichiarato la filiale brasiliana dell’azienda, mentre Enel Italia non ha risposto alla richiesta di commento. Secondo quanto riportato nell’inchiesta, la sede di Roma non sarebbe direttamente coinvolta in queste pratiche, anche se le operazioni all’estero dipedono in maniera determinante da essa. Come riferito da un ex specialista legale di Enel, a fronte del continuo ripresentarsi delle accuse, l’azienda non può dire di non avere idea di cosa stia succedendo con le comunità locali – ipotesi confermata anche da un ex dipendente, che ha preferito parlare in condizioni di anonimato.

[di Valeria Casolaro]

Filippine, l’ex presidente Duterte è stato arrestato

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L’ex presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, è stato arrestato su richiesta della Corte Penale Internazionale, accusato di aver commesso crimini contro l’umanità durante la sua dura campagna di contrasto alla droga. L’arresto è avvenuto presso l’aeroporto di Manila, capitale delle Filippine. Rodrigo Duterte ha 79 anni ed è stato presidente delle Filippine dal 2016 al 2022. Durante il suo mandato, fece della “guerra alla droga” uno dei suoi obiettivi primari, e ad oggi si sospetta che oltre 6.000 persone siano state uccise nel corso di operazioni repressive della polizia. Duterte, inoltre, ritirò il Paese dalla stessa CPI. È padre di Sara Duterte, vicepresidente delle Filippine, oggi sotto impeachment.