mercoledì 17 Settembre 2025
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Israele ha bombardato la capitale dello Yemen

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L’aviazione israeliana ha condotto un massiccio bombardamento aereo contro la capitale dello Yemen, Sana’a. In totale, sono stati scagliati dieci attacchi aerei; le navi da guerra israeliane avrebbero partecipato ai bombardamenti. L’attacco è avvenuto in contemporanea con un discorso del leader del movimento Ansar Allah, meglio noto con il nome di Houthi. Da quanto riporta l’esercito israeliano, gli attacchi avevano l’obiettivo di uccidere i vertici di politici e militari di Ansar Allah, radunati in uno dei luoghi colpiti con missili di precisione; per ora non sono state segnalate vittime. I media arabi riportano una affermazione del leader del movimento, che avrebbe affermato che l’operazione israeliana è stata «un fallimento».

No al “neocolonialismo scientifico”: Il Burkina Faso vieta le zanzare OGM di Bill Gates

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Con una decisione che ha fatto rumore ben oltre i confini nazionali, il governo del Burkina Faso ha ordinato la sospensione definitiva del progetto Target Malaria, iniziativa di ricerca sostenuta dalla Fondazione Gates e da Open Philanthropy e guidata dall’Imperial College di Londra, che prevedeva il rilascio di zanzare geneticamente modificate per combattere la malaria. Il governo di Ouagadougou ha ordinato la chiusura dei laboratori e la distruzione dei campioni, trasformando un atto tecnico in un gesto dal forte valore simbolico e geopolitico: riaffermare la propria sovranità nazionale e opporsi a quello che viene definito nel Paese come una forma di «neocolonialismo scientifico», in cui le popolazioni vulnerabili diventano cavie di tecnologie ad alto rischio. Le preoccupazioni relative all’influenza coloniale sono un tema ricorrente del governo di Ibrahim Traore: il leader panafricano, che ha preso il potere con il colpo di Stato del 30 settembre 2022, si è allontanato dall’Occidente, cercando di limitare sempre più il coinvolgimento straniero nella politica interna

Attivo in Burkina Faso dal 2012, Target Malaria si proponeva di ridurre la trasmissione della malaria intervenendo direttamente sui vettori della malattia: le zanzare Anopheles. La strategia più controversa è quella del gene drive, una tecnica di ingegneria genetica basata su CRISPR che forza la trasmissione di un tratto genetico in tutta la popolazione naturale, fino a renderlo dominante. In questo caso, il tratto serve a produrre solo maschi o a sterilizzare le femmine, con l’intento di ridurre drasticamente la popolazione delle zanzare. 

Secondo la sociologa e accademica canadese Linsey McGoey, Target Malaria «è un esempio emblematico del tecnoscientismo filantropico che traveste da bene comune l’interesse privato. Dietro la retorica della lotta alla malaria, si nasconde la volontà di imporre tecnologie radicali come il gene drive, con effetti potenzialmente irreversibili sugli ecosistemi e sulle comunità locali. Le popolazioni africane, spesso escluse dal dibattito, subiscono così le scelte di attori globali che dettano l’agenda della salute pubblica». Si tratta, infatti, di soluzione radicale, che promette di colpire alla radice la malattia, ma che suscita preoccupazioni per i suoi effetti ecologici imprevedibili e difficilmente controllabili sugli ecosistemi e solleva dilemmi etici su chi abbia la legittimità di decidere sul suo impiego, soprattutto quando gli esperimenti si svolgono in comunità vulnerabili del Sud globale. 

Già nel 2016 la National Academies of Sciences degli Stati Uniti aveva avvertito che gli organismi gene-drive non erano pronti per rilasci ambientali. L’OMS nel 2021 aveva raccomandato prudenza e un coinvolgimento reale delle comunità. Nel 2024 la Convenzione sulla Diversità Biologica aveva auspicato valutazioni più ampie su impatto socio-economico, culturale ed etico, soprattutto sulle comunità locali – in linea con il principio di precauzione e decisioni precedenti della COP e del Protocollo di Cartagena. Da segnalare anche i timori che la tecnologia possa essere sfruttata in futuro a fini commerciali (ad esempio, se sviluppata per controllare i parassiti agricoli) o persino come arma biologica.

La scelta del Burkina Faso non è solo scientifica ma geopolitica. Da un lato, c’è l’urgenza sanitaria: la malaria uccide ancora quasi 600.000 persone l’anno, perlopiù bambini africani. Dall’altro, c’è la volontà di non trasformarsi in “cavie” per la ricerca occidentale. Gli oppositori del Target Malaria sottolineano che i ceppi di zanzare modificate provengono da laboratori europei e che dietro il progetto ci sono fondazioni miliardarie occidentali che impongono la propria visione tecnologica senza un reale processo democratico locale. Ali Tapsoba, attivista della coalizione CVAB (Coalition pour le Suivi des Activités Biotechnologiques), ha parlato di tecnologia «altamente controversa, imprevedibile e potenzialmente irreversibile». Un capitolo spesso ignorato, ma essenziale per interpretare le ragioni dello stop a Target Malaria, è quello della finanziarizzazione della malaria, un fenomeno esposto con lucidità dall’African Centre for Biodiversity. In sintesi, il documento denuncia come la malaria – da emergenza sanitaria – si sia trasformata in opportunità finanziaria, sovvertendo il senso stesso della lotta alla malattia. Il Burkina Faso funge da “laboratorio vivente” in cui fondazioni cosiddette filantropiche, come quella di Gates, insieme a partenariati pubblico-privati, investono in tecnologie brevettate (vaccini, insetticidi, zanzare GM/gene-drive) attraverso modelli di sviluppo che privilegiano i profitti da royalties piuttosto che il rafforzamento dei sistemi sanitari nazionali. L’1% soltanto degli investimenti globali arriva alle istituzioni di ricerca locali, mentre il resto resta nelle sedi dei donatori. In questo schema, lo scenario è chiaro: i “risultati” più rischiosi di tecnologie sperimentali vengono testati sul continente africano e i danni – se ci saranno – peseranno sulle sue popolazioni, non su chi le ha finanziate o proposte.

Il rifiuto del Burkina Faso a Target Malaria non rappresenta solo la chiusura di un progetto scientifico, ma la dichiarazione di una volontà politica: sottrarsi al ruolo di laboratorio del mondo e rivendicare il diritto a decidere sul proprio destino. È un segnale di rottura verso il modello in cui l’Africa viene trattata come terreno di sperimentazione per i governi e le aziende occidentali. La salute pubblica del continente, secondo la nuova rotta intrapresa da Ouagadougou, non può essere subordinata agli interessi di fondazioni miliardarie, ma deve nascere da scelte condivise con le comunità locali, in nome della sovranità e dell’autodeterminazione. Il messaggio è chiaro: il futuro africano non sarà costruito da tecnologie imposte dall’alto, ma da soluzioni radicate nella conoscenza, nella cultura e nelle priorità delle popolazioni stesse.

L’Afghanistan convoca l’ambasciatore pakistano

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Il governo afghano ha convocato l’ambasciatore pakistano, accusando Islamabad di aver violato il proprio spazio aereo per condurre un attacco con droni. L’attacco avrebbe colpito le province di Nangarhar e di Khowst, distruggendo alcune abitazioni, uccidendo tre persone e ferendone altre sette. Le autorità pakistane non hanno risposto alle richieste di commenti. Gli attacchi arrivano in un momento teso per i due Paesi, con il Pakistan che accusa i talebani di fornire rifugio a milizie armate che operano nel proprio territorio. L’Afghanistan nega le accuse. Recentemente, i rappresentanti dei due Paesi si sono incontrati con la mediazione della Cina per rilanciare la lotta al terrorismo.

Uno studio attesta i vaccini mRNA come i farmaci più associati a infiammazioni cardiache

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Esistono dieci farmaci più frequentemente associati a miocarditi e pericarditi a livello globale, e i vaccini a mRNA contro il Covid-19 occupano il primo posto nella classifica: è quanto emerge da un nuovo studio ritenuto unico nel suo genere, condotto da un team internazionale guidato dai ricercatori della Kyung Hee University, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato su Scientific Reports del gruppo Nature. Utilizzando le informazioni del database globale di farmacovigilanza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e i dati riferiti alle segnalazioni di eventi avversi provenienti da più di 140 paesi, gli autori hanno stabilito che i vaccini a mRNA contro il Covid-19 risultano collegati ad infiammazioni cardiache nel 76,16% dei casi di miocardite e nell’88,15% dei casi di pericardite, seguiti da clozapina e da altri farmaci immunoterapici o antivirali. «Impossibile non notare come in questo momento gran parte della comunità scientifica sembri preferire ignorare quello che è successo e tutti i segnali d’allarme che sono presenti da tantissimo tempo», commenta a L’Indipendente Giovanni Frajese, endocrinologo e professore presso l’Università del Foro Italico di Roma.

La miocardite e la pericardite sono due infiammazioni che colpiscono rispettivamente il muscolo cardiaco e la membrana che avvolge il cuore. Possono insorgere per cause infettive, autoimmuni o tossiche, spiegano i ricercatori, ma anche come reazioni avverse a determinati farmaci o vaccini. Negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia, l’attenzione si è concentrata sui possibili legami con i vaccini a mRNA, soprattutto dopo il loro inserimento all’interno dei bugiardini di tali farmaci. Per questo, continuano, la farmacovigilanza – cioè il sistema di raccolta e analisi delle segnalazioni di effetti collaterali – rappresenterebbe lo strumento principale per individuare segnali di rischio. Per quanto riguarda i metodi, invece, sono stati usati due indicatori statistici utili a valutare se un determinato farmaco ricorra più spesso del previsto nelle segnalazioni di un certo evento avverso, i quali hanno permesso di isolare i dieci farmaci più frequentemente utilizzati e segnalati.

Il grafico a torta comprendente i principali farmaci associati a miocardite (A) e pericardite (B). Credit: Myung Yang e Dong Keon Yon, Scientific Reports

Analizzando oltre 35.000 segnalazioni di miocardite e quasi 25.000 di pericardite in cui un farmaco era indicato come “sospetto” o “interagente” con la condizione sviluppata, è stata osservata una prevalenza maggiore nei maschi e nei giovani adulti, con tempo medio di insorgenza molto breve – mediana di un giorno dall’assunzione – e una elevata tendenza alla guarigione, visto che come riportano gli autori il tasso di mortalità riscontrato è stato generalmente inferiore del 10%. Tra le segnalazioni con esiti fatali, inoltre, tre anticorpi monoclonali – pembrolizumab, ipilimumab e nivolumab – hanno mostrato quasi il 20% dei decessi nelle segnalazioni di miocardite. Particolare attenzione, invece, è stata dedicata ai vaccini a mRNA contro il Covid-19: sono il farmaco che più spesso è stato associato ad entrambe le infiammazioni cardiache dal 1968 al 2024, e il tutto con un Reporting Odds Ratio (ROR) – l’indicatore statistico che, se maggiore di 1, indica che un evento avverso viene riportato in associazione ad un farmaco più spesso del previsto – di 38,30 per la miocardite e 55,95 per la pericardite, nonostante valori decisamente più alti siano stati registrati per il vaccino contro il vaiolo.

Si tratta di risultati che «sottolineano l’importanza della vigilanza clinica e della valutazione dei fattori individuali di rischio», spiegano gli autori, aggiungendo al contempo che lo studio fornisce correlazione – e non causalità – con qualche limite: «In alcuni casi, gli eventi segnalati potrebbero essere attribuibili ad una infezione concomitante o recente piuttosto che principalmente al farmaco». Inoltre, continuano, il database si basa su segnalazioni spontanee, il che significa che potrebbero esistere incongruenze nelle definizioni dei casi e che quindi il numero di effetti avversi potrebbe essere sovrastimato, anche se d’altra parte è possibile che sia stata anche una sottostima dovuta a tutti quei casi dove il danno c’è stato ma non è stato segnalato. «La farmacovigilanza attiva avrebbe identificato tutti i segnali velocemente. Basta considerare che secondo alcune ricerche persino le segnalazioni su Eudravigilance – il database dell’Agenzia europea dei medicinali (EMA) – sono significativamente sottostimate», commenta invece Frajese. Chiaramente, vi è anche il limite dovuto ai dati osservazionali che variano di Paese in Paese, così come secondo gli autori sono anche variati «consapevolezza pubblica, attenzione dei media e sospetto clinico», tutt’altro che irrilevanti nella costruzione del dataset. In conclusione, quindi, un altro caso di studio scientifico che rileva dati tutt’altro che indifferenti ma con correlazione e non causalità, un fattore su cui Frajese ha le idee chiare: «Nessuno studia il nesso di causalità perché non ci sono i fondi e si rischiano tagli ai finanziamenti, visto che si tratta di un argomento ancora tabù. Per indagare bisogna avere la capacità e soprattutto la volontà di farlo senza preconcetti».

Nigeria, epidemia di colera uccide otto persone e ne infetta oltre 200

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Nel distretto di Bukkuyum, nello stato di Zamfara (Nigeria nord-occidentale), un’epidemia di colera ha causato almeno otto morti e oltre 200 contagi in 11 comunità rurali. La malattia, trasmessa dall’acqua, si diffonde rapidamente in un contesto segnato da scarsità di acqua potabile e carenza di strutture sanitarie. Villaggi come Nasarawa-Burkullu, Gurusu e Adabka risultano tra i più colpiti: molti malati sono curati in casa per mancanza di assistenza adeguata. Secondo il capo di Gurusu, Muhammad Jibci, tre persone sono decedute durante il trasferimento al Nasarawa General Hospital.

Treviso chiede verità per Danilo: colpito col taser e morto in carcere a 17 anni

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Si chiamava Danilo Riahi e aveva 17 anni. È morto in carcere quattro giorni dopo l’arresto, effettuato da agenti che lo hanno immobilizzato con un taser, la pistola elettrica in dotazione alle forze dell’ordine. Dopo un tentativo di fuga dalla polizia, il ragazzo è stato immobilizzato con l’arma e, al posto di venire portato subito in ospedale, sarebbe stato condotto presso il carcere per minori di Treviso. La versione ufficiale parla di un tentato suicidio, ma per gli attivisti sono molti gli interrogativi rimasti aperti. Il Collettivo Rotte Balcaniche e i centri sociali locali hanno organizzato per oggi un presidio, che si terrà fuori dal carcere di Treviso in via Santa Bona Nuova alle 19, per chiedere verità sulla morte del ragazzo.

Danilo era arrivato in Italia l’anno scorso dal Mediterraneo. Il ragazzo è stato arrestato il 9 agosto, a Vicenza, dopo vari tentativi di furto e una fuga dalla polizia. In «evidente stato di agitazione», è stato colpito dagli agenti armati di taser e condotto presso il carcere minorile di Treviso dove, subito dopo, avrebbe tentato il suicidio. È morto il 13 agosto all’ospedale Ca’ Foncello dopo quattro giorni in terapia intensiva, mentre fuori dalla struttura il questore Vicenza celebrava «il lavoro encomiabile» delle forze dell’ordine. «Come mai è stato portato in un carcere minorile invece che in un ospedale? È stato visitato dopo essere stato colpito con il taser? Cosa (non) è stato fatto per accertarne le condizioni di salute psico-fisica prima di rinchiuderlo in un carcere? Per quanto tempo è stato privo di sorveglianza mentre tentava il suicidio?». Sono queste le tante domande che il Collettivo Rotte Balcaniche, il Centro Sociale Django di Treviso e il Centro Sociale Arcadia di Schio hanno posto dopo la sua morte.

Gli interrogativi rimasti aperti, insomma, sono tanti. Per tale motivo oggi, alle 19, è stato organizzato un presidio davanti al carcere minorile di Treviso per chiedere «verità e giustizia» per Danilo: «Le autorità dovranno rispondere delle loro azioni e delle loro omissioni, perché troppi punti di domanda rimangono aperti», scrivono gli organizzatori; «Vogliamo sapere esattamente che cosa è successo al momento dell’arresto, in carcere, in ospedale, perché un ragazzo di diciassette anni è morto mentre si trovava sotto la custodia dello Stato. Dalla questura di Vicenza alla polizia penitenziaria di Treviso, fino agli operatori dell’ospedale: chi ha avuto un ruolo in questa vicenda deve assumersene la responsabilità».

Secondo le linee guida sull’utilizzo del taser, «dopo ogni utilizzo del dispositivo, indipendentemente dalle condizioni fisiche in cui versa il soggetto attinto, lo stesso deve rimanere sotto il costante controllo degli operatori di polizia e va richiesto l’intervento di personale sanitario che dovrà rilasciare apposita certificazione medica descrittiva»; questo significa che ogni volta che le forze dell’ordine colpiscono una persona con la pistola elettrica, questa deve essere visitata da personale medico-sanitario che deve rilasciare una certificazione scritta sul suo stato di salute. Allo stesso modo, quando una persona detenuta viene identificata come soggetto a rischio di suicidio, deve venire sottoposta a supervisione medica, controlli regolari, e rimanere osservazione e vigilanza.

L’Ungheria ha fatto causa al Consiglio dell’UE per gli aiuti a Kiev

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L’Ungheria ha presentato una causa davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea contro il Consiglio dell’Unione Europea, contestando gli aiuti all’Ucraina. Di preciso, Budapest contesta il programma del Fondo Europeo per la Pace, con il quale l’UE ha consegnato 11 miliardi a Kiev prendendoli dagli interessi generati dai beni russi congelati. Secondo l’Ungheria, l’approvazione della misura non avrebbe rispettato il principio di uguaglianza degli Stati e il principio del funzionamento democratico dell’UE, perché non ha preso in considerazione il suo veto. Il Consiglio ritiene invece che l’Ungheria non potesse partecipare alla votazione in quanto non era uno «Stato membro contributore». La Corte ha ha rinviato la causa al Tribunale dell’Unione Europea.

La vera origine del Pachino: il pomodoro “tipico” che in realtà è israeliano

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Un pomodorino il cui nome è indissolubilmente legato alla piccola città nell’estremo sud della Sicilia dove si produce. Rosso, tondo e dolce al punto da essere diventato uno dei più apprezzati in Italia e non solo. Stiamo parlando del pomodorino di Pachino, dal lontano 2003 riconosciuto come marchio di Indicazione geografica protetta (IGP) ed emblema stesso del made in Italy al punto che il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, si è spinto a prendere ad esempio la sua promozione come simbolo dell’attenzione del governo italiano per «il nostro cibo» e la «sovranità alimentare». Tuttavia, quello che molti non sanno, è l’origine tutt’altro che italiana e tipica di questo pomodoro, arrivato a Pachino negli anni ’80 del secolo scorso grazie alla manovra di un’azienda tecnologica israeliana, che continua ad arricchirsi grazie a questo pomodoro, di varietà quasi sterile e quindi con i semi che vengono ricomprati ogni anno dagli agricoltori.

Arrivato dall’estero

Le prime coltivazioni nella zona di Pachino, in provincia di Siracusa, datano 1925. Negli anni ’60 nascono le prime serre di copertura in polietilene, che ancora oggi caratterizzano queste produzioni. In quegli anni le varietà locali di pomodoro che si coltivavano erano prevalentemente i pomodori insalatari a frutto grosso, e il piccolo ciliegino e datterino che si coltiva oggi era invece completamente assente e sconosciuto. 

E qui veniamo al nocciolo della nostra storia: come ci è arrivato in Sicilia il pomodoro ciliegino tondo e succoso? Ci è arrivato direttamente da Israele, alla fine degli anni 80 del secolo scorso. Il pomodoro di Pachino, infatti, è nato in Israele nel 1989, presso una delle più importanti aziende al mondo nel settore delle ricerche genetiche in campo agricolo: la Hazera Genetics. Si tratta di una pianta ottenuta da incroci e ibridi di semi di diverse varietà di pomodoro, un modo velocizzato e artificiale di ricreare l’evoluzione e gli incroci delle specie, che avvengono in natura in tempi lunghi. 

In pochi anni questi frutti, grazie anche ad una sapiente pubblicizzazione e agli accordi commerciali con la Grande Distribuzione, raggiungono una enorme popolarità ed entrano nelle case di tutti gli italiani e la tipologia ciliegino diventa sinonimo di «pomodoro di Pachino». Perché questo pomodoro ha avuto grande successo? Essenzialmente per alcune caratteristiche che gli sono state date dal lavoro in laboratorio dei biologi genetisti. Secondo il divulgatore e docente universitario Dario Bressanini infatti «determinante per il successo di questi pomodori è stata l’introduzione, da parte delle aziende sementiere, di due geni chiamati rin e nor (ripening inibitor e no ripening), che permettono di mantenere inalterate le caratteristiche del prodotto per un periodo di 2 o 3 settimane dopo la raccolta.

Per potersi conservare nel tempo i precedenti pomodori da insalata dovevano essere raccolti prima che cambiassero colore dal verde al rosato. I ciliegino invece si possono raccogliere quando sono rossi e completamente maturi». In pratica, grazie alle modifiche a livello genetico sui semi dei pomodori, il pomodoro di Pachino rimane perfettamente maturo per 2 o 3 settimane e non marcisce nel giro di pochi giorni come fanno altre varietà più naturali e autoctone. Un altro motivo per il successo del pomodoro di Pachino è legato alla stagionalità – o meglio alla non-stagionalità – poiché si riesce a coltivarlo tutto l’anno, moltiplicando le rendite.

Semi da ricomprare ogni anno

Quello che però in pochi sanno è che i pomodori progettati dalla multinazionale israeliana Hazera Genetics danno semi che non permettono di riprodurre le caratteristiche originarie del pomodoro. Sempre secondo Bressanini «questo significa che ogni anno gli agricoltori devono ricomprare i semi ibridi registrati, di proprietà della Hazera, per non perdere le caratteristiche agronomiche desiderate. Anzi, ormai gli agricoltori comprano direttamente le piantine dal vivaio, visto il costo delle sementi». In sostanza, non possono ripiantare le stesse piantine cresciute nei loro campi l’anno prima, determinando così un continuo enorme business a vantaggio della multinazionale israeliana. Nei sistemi di agricoltura più naturale sono invece gli agricoltori stessi a creare nuove varietà, selezionando e incrociando i migliori esemplari trovati nei campi, derivanti da mutazioni naturali dovute al clima, al vento, al terreno.

4 tipologie diverse

La tipologia di pomodoro di Pachino chiamata «ciliegino»

Uno dei luoghi comuni più diffusi identifica il Pomodoro di Pachino IGP con la varietà detta comunemente «ciliegino», ma in realtà il disciplinare classifica e tutela ben quattro tipologie diverse di pomodoro. Tali tipologie sono: il «tondo-liscio», che si presenta piccolo e rotondo, di colore verde scuro, inconfondibile per il gusto molto marcato e dai frutti di forte consistenza; il pomodoro «a grappolo», che può essere verde o rosso e si presenta tondo, liscio, dal colore brillante, con il colletto verde molto scuro; il «costoluto», di grandi dimensioni, dalle coste marcate, di colore verde molto scuro e brillante e che ha conquistato il favore del consumo nazionale sostituendo nel periodo invernale (periodo ottimale per  la produzione di questa tipologia) il «tondo insalataro»; e infine il «ciliegino», conosciuto anche come «pomodorino», varietà di piccole dimensioni, a grappolo o a frutto singolo, di colore rosso intenso, profumatissimo e dal sapore estremamente dolce e succoso. Inoltre il pomodoro di Pachino non si coltiva solo a Pachino ma nei territori comunali di Pachino, Portopalo di Capo Passero, Noto e Ispica, quindi in un’ampia zona delle province di Siracusa e Ragusa.

Pachino al McDonald’s

Nel 2023 il pomodoro di Pachino IGP è entrato nel menù del colosso americano del fast food, grazie ad un protocollo firmato tra il Consorzio di Tutela del pomodoro di Pachino IGP e McDonald’s Italia. Previsto l’acquisto di 250 mila chili di pomodoro ogni anno. Questo accordo è stato favorito dal ministro Lollobrigida e dal Ministero dell’Agricoltura italiano. Questo accordo potrebbe aiutare tutti i produttori della zona di Pachino ad avere più garanzie e un reddito più stabile e sicuro? Forse si, ma tutto dipende alla fine da quanto viene pagato al Kg la fornitura di pomodori agli agricoltori. Se il prodotto è sottopagato, allora non sembra essere un grande affare. Ricordo che negli anni scorsi, per le stesse politiche intraprese dal ministero dell’agricoltura italiano (quando nel 2018 era ministro Maurizio Martina) i produttori di Pachino ebbero grossi contraccolpi e difficoltà  economiche per l’importazione di pomodori dal Camerun venduti proprio nei supermercati della Sicilia, oltre che nel Nord Italia. Ad oggi però non è dato sapere quale sia il prezzo al chilo che viene riconosciuto e quali siano i reali vantaggi economici di rifornire il colosso McDonald’s (oltre ad un evidente ritorno di immagine) per i produttori della zona di Pachino. Di sicuro è un’operazione mediatica efficace da parte dell’attuale governo italiano, nel mostrare una propagandistica difesa e valorizzazione del made in Italy. Ricordo infatti che allo stesso tempo lo stesso governo promuove l’importazione di centinaia di altri ortaggi e cibi dall’estero, o per lo meno non fa nulla per limitarla, mettendo così in difficoltà le produzioni nostrane.

Come ai tempi delle colonie: USA, GB e Israele decidono a porte chiuse il futuro di Gaza

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«Non ci sarà alcuno Stato palestinese». Sono queste le parole pronunciate dal ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar a margine del misterioso vertice alla Casa Bianca tenutosi ieri, mercoledì 27 agosto. Alla riunione, Trump ha accolto anche l’ex premier britannico Tony Blair, e il proprio stesso genero, nonché inviato per il Medio Oriente durante il suo primo mandato, Jared Kushner. Del contenuto delle conversazioni si sa poco e niente: «Una semplice riunione politica», avrebbe detto un ufficiale della Casa Bianca, smentendo le parole del braccio destro diplomatico di Trump, l’inviato speciale Steve Witkoff, che definiva l’incontro «largo» e volto a proporre un «piano esaustivo». Blair e Kushner, in effetti, sarebbero coinvolti nelle discussioni sul futuro di Gaza da parecchio tempo. Kushner fu il primo ad abbozzare l’idea di deportare i palestinesi in aree desertiche, e Blair, attraverso la sua fondazione, avrebbe elaborato un progetto per trasformare Gaza in un polo commerciale.

Le informazioni sugli incontri di ieri scarseggiano. Il vertice non è stato annunciato pubblicamente e non ha ricevuto la copertura mediatica che ci si aspetterebbe da una simile iniziativa. Le riunioni si sono tenute a porte chiuse e, in seguito a esse, non c’è stata alcuna conferenza stampa. Ad annunciarlo era stato l’inviato speciale di Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff, che viene attualmente impiegato nelle squadre diplomatiche in diversi scenari di guerra. Ne ha parlato brevemente martedì 26 agosto, in un’intervista all’emittente Fox News, dedicata per la prima metà alla situazione a Gaza e per l’altra a quella in Ucraina: al termine della prima parte dell’intervista, gli è stato domandato se ci fosse un piano per il «giorno dopo» a Gaza, e il diplomatico ha risposto affermativamente, annunciando i colloqui che sarebbero arrivati il giorno seguente.

Marco Rubio si è incontrato con Sa’ar e il collega Ron Dermer, ministro degli Affari Strategici israeliano. Dopo il vertice, Sa’ar è stato intercettato dai giornalisti, che gli hanno chiesto quale fosse il piano per uno Stato palestinese. «Non ce ne sarà alcuno», ha risposto. Non è chiaro se gli stessi ministri abbiano partecipato anche all’incontro a porte chiuse tra Trump, Kushner e Blair, ancora più avvolto nel mistero. Un funzionario della Casa Bianca, citato dall’agenzia di stampa Reuters, avrebbe descritto gli incontri come ordinari, smentendo tuttavia le parole di Witkoff, che li aveva definiti di ben maggiore portata. Secondo il funzionario, il vertice ha discusso di Gaza sotto tutti gli aspetti: dall’aumento delle consegne di aiuti alimentari alla questione degli ostaggi, fino ai piani postbellici.

La vastità degli argomenti trattati e la partecipazione di figure come Blair e Kushner suggeriscono che le parole di Witkoff non fossero un’esagerazione. Tony Blair, infatti, è molto vicino al ministro Dermer, uno dei più fidati uomini di Netanyahu, nonché principale figura di riferimento per le discussioni sul piano postbellico; i due, insieme al ministro degli Esteri emiratino, hanno già lavorato sul piano di pace per Gaza durante l’amministrazione Biden. Da quanto riporta il sito di informazione Axios, inoltre, sembra che Blair sia stato invitato alla Casa Bianca a luglio, quando Trump stava ricevendo Netanyahu. Qualche giorno dopo si è incontrato con il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas per aggiornarlo sugli incontri. Blair, infine, è coinvolto nell’inchiesta del Financial Times sulla Gaza Humanitarian Foundation: secondo il quotidiano britannico, il Tony Blair Institute avrebbe infatti collaborato con il Boston Consulting Group per elaborare un progetto per trasformare Gaza in un polo commerciale; esso prevedrebbe la costruzione di isole artificiali al largo della costa, simili a quelle di Dubai, un porto in acque profonde per collegare Gaza al corridoio economico India-Medio Oriente-Europa e l’istituzione di zone economiche speciali a bassa tassazione.

Kushner, invece, è noto per aver ricoperto il ruolo attualmente assegnato a Witkoff durante il primo mandato di Trump. Il genero del presidente fu il primo a suggerire l’idea di deportare i palestinesi, che lanciò nel febbraio 2024 in occasione di un incontro della Harvard Middle East Initiative. Secondo Axios, anche Kushner si trovava in Israele all’inizio di agosto, dove avrebbe incontrato Netanyahu per discutere di Gaza. Tanto Kushner quanto Blair sarebbero coinvolti nelle discussioni per il piano postbellico da tempo, e sembra che entrambi parlino con Witkoff da diversi mesi. Viste le proposte e i progetti avanzati da febbraio a oggi, e considerate le parole di Sa’ar, tutto fa pensare che durante l’incontro abbiano discusso di come implementare il piano Trump per Gaza. Questo prevede una prima occupazione della Striscia da parte degli Stati Uniti, che poi cederebbero il controllo a Israele o a un’amministrazione palestinese che abbia il beneplacito dello Stato ebraico, smilitarizzata, e non costituisca alcuna minaccia ai piani coloniali di Tel Aviv. Questo significa, nell’ottica israeliana, né Hamas né l’ANP. I palestinesi, intanto, verrebbero deportati.

Russia-Ucraina, attacchi incrociati: 10 morti a Kiev

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Le forze russe hanno lanciato un attacco notturno con droni e missili su Kiev, uccidendo 10 persone, ferendone 38 e danneggiando edifici in sette distretti. Lo riferiscono funzionari ucraini, citati da Reuters. L’aeronautica militare ucraina ha dichiarato di aver abbattuto 563 dei 598 droni e 26 dei 31 missili lanciati dalla Russia in un attacco su scala nazionale. L’agenzia russa Tass, citando il Ministero della Difesa russo, ha riferito che le difese aeree di Mosca hanno intercettato e distrutto 102 droni ucraini nelle regioni russe durante la notte, e che un incendio di 200 metri quadrati è scoppiato in una foresta dopo la caduta di detriti di un drone a Gelendzhik.