Un elicottero H135 è precipitato venerdì mattina nelle campagne di Casalromano, nel Mantovano, provocando la morte del pilota 56enne, unico a bordo. L’incidente, segnalato alle 10.40 da un agricoltore, ha mobilitato elisoccorso, automedica, ambulanza, Vigili del Fuoco e Carabinieri. Secondo i dati del portale FlightRadar24, il velivolo era decollato da Costigliole d’Asti, sede della società proprietaria Heliwest, percorrendo circa 200 chilometri prima dello schianto. Le cause sono ancora da chiarire, ma la zona era avvolta dalla nebbia, che ha provocato anche quattro incidenti stradali con 16 persone coinvolti.
Chi è il giudice Paolo Adinolfi e perché alla Casa del Jazz si scava per trovare i suoi resti
Sono passati 31 anni da quel 2 luglio 1994 in cui il giudice Paolo Adinolfi uscì dalla sua casa romana in via della Farnesina, dicendo alla famiglia «Torno più tardi, ci vediamo a pranzo», per poi svanire nel nulla. Oggi, quel caso irrisolto della Repubblica, l’unico che riguardi la scomparsa di un magistrato, torna alla ribalta con operazioni di scavo sotto la Casa del Jazz, nel quartiere Ardeatino. L’edificio, bene confiscato alla malavita organizzata e divenuto polo culturale, sorge su un terreno che fu di Enrico Nicoletti, considerato il “cassiere” della Banda della Magliana. È lì, in tunnel sotterranei mai esplorati, che si spera di trovare finalmente i resti del giudice, forse sepolto per aver incrociato, nei suoi delicati incarichi fallimentari, interessi troppo pericolosi.
Paolo Adinolfi, 52 anni al tempo della scomparsa, era un uomo di solide radici: un matrimonio lungo e felice con Nicoletta, due figli, un profondo legame con la madre. Di formazione cattolica, era un magistrato stimato, da appena venti giorni si era insediato come consigliere alla Corte d’Appello di Roma dopo una lunga e significativa esperienza alla sezione fallimentare del Tribunale civile. Proprio in quell’ufficio, crocevia di affari legali e loschi, dove si decidevano le sorti di aziende nazionali, il giudice aveva maturato quella fama di integerrimo servitore dello Stato che, secondo molti, potrebbe essere all’origine della sua sparizione.
La mattina della scomparsa fu un susseguirsi di azioni consuete e dettagli insoliti. Adinolfi si recò in macchina alla biblioteca del Tribunale in viale Giulio Cesare, dove fu notato in compagnia di un giovane mai identificato. Effettuò un’operazione bancaria, pagò bollette per la madre in un ufficio postale e, passando da piazzale Clodio, incontrò un collega che notò sul suo volto «uno strano cipiglio, un turbamento». Poi, il gesto più enigmatico: parcheggiata l’auto al Villaggio Olimpico, dove verrà poi ritrovata, inviò da un altro ufficio postale un vaglia di 500 mila lire alla moglie. Da lì in avanti, l’oblio. Alcuni testimoni lo videro su un autobus diretto ai Parioli, dove viveva la madre; le chiavi di casa e dell’auto furono ritrovate nella di lei cassetta della posta. Due giorni dopo, Adinolfi sarebbe dovuto andare a Milano per un importante appuntamento con il pm Carlo Nocerino. Secondo quanto ricostruito, intendeva riferire elementi importanti su legami tra settori deviati del servizio civile e società fantasma che operavano nella compravendita di immobili. Indagini che affondavano le radici nei grandi fallimenti di cui si era occupato.
Le inchieste sulla sparizione di Adinolfi si sono sviluppate per anni, sfociando il più delle volte in archiviazioni. L’ipotesi di un malore o di una fuga volontaria fu immediatamente scartata dai familiari. Le piste investigative hanno toccato più filoni: il crac della società Fiscom e quello della Ambra Assicurazioni, casi che portarono a sospetti intrecci tra malavita, prestanomi e ambienti deviati dei servizi. Enrico Nicoletti, indicato come il “cassiere” della Banda della Magliana – peraltro con importanti entrature nella corrente andreottiana della DC – era proprietario della villa su cui, dopo la confisca, è poi sorto il parco della Casa del Jazz; per anni circolò la voce che Adinolfi potesse essere stato seppellito in una proprietà a lui riconducibile. A rafforzare il sospetto, le parole dell’ex magistrato Otello Lupacchini, secondo cui Nicoletti interruppe proprio nel 1994 «il progetto edilizio di ristrutturazione di una dépendance della villa per realizzare un salone che si apriva su una catacomba». In occasione di un primo scavo, nel ’96, si trovò una galleria profonda, ma i lavori si fermarono dopo un crollo e per mancanza di fondi.
Solo pochi mesi fa, un’interrogazione a risposta scritta è stata presentata dalla deputata Stefania Ascari (e altri). Nel documento si sollecita il Governo a chiarire cosa le istituzioni abbiano in loro possesso sul caso della scomparsa del giudice Paolo Adinolfi e quali atti, compresi documenti riservati o archivi dei servizi, possano essere utili a riaprire o integrare le indagini. L’atto vuole fare chiarezza su eventuali coinvolgimenti di agenti dei servizi segreti italiani o coperture che avrebbero ostacolato la verità, chiedendo se siano state svolte verifiche sull’operato di basi militari vicine a una casa di proprietà della famiglia Adinolfi affittata da Vincenzo Fenili (alias “Kasper”), ex agente segreto e contractor del ROS, proprio per valutare possibili collegamenti con la sparizione di Adinolfi.
Nelle ultime ore, grazie a una segnalazione dell’ex giudice Guglielmo Muntoni e a nuovi finanziamenti, la Prefettura di Roma ha deciso di procedere in maniera dirompente. Il prefetto Lamberto Giannini ha spiegato: «È necessario fare una verifica, non perché si stia cercando in particolare qualcosa, ma perché si è avuta notizia che nel bene confiscato alla Banda della Magliana ci sarebbe una parte, una galleria che è stata tombata, non conosciuta, ed è giusto verificare cosa ci sia dentro». Non solo resti umani, ma eventualmente anche armi e soldi. L’intervento, prosegue, «è stato organizzato per motivi di sicurezza e trasparenza, perché se dovesse esserci qualcosa all’interno di quel tunnel chiuso da trent’anni, è giusto che sia preso in consegna dalle autorità competenti».
Sul luogo, coordinati dalla Prefettura, operano Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e Sovrintendenza. Sono stati impiegati cani molecolari e artificieri, per il timore di trovare armi o esplosivi. Trattandosi di un tunnel molto profondo, oggi si procede con dei georadar e con una ruspa, per consentire scavi più efficaci. La famiglia Adinolfi ha stigmatizzato il fatto di non essere stata «né consultata né informata rispetto a questa iniziativa» affermando che non avrebbe «mai desiderato il clamore mediatico che ne è conseguito» e chiesto a tutti «silenzio e rispetto» per un «dolore infinito». Il figlio del magistrato, l’avvocato Lorenzo Adinolfi, è presente sul luogo.
La Corea del Sud investirà 350 miliardi negli USA per ridurre i dazi
La Corea del Sud e gli Stati Uniti hanno firmato un memorandum d’intesa che impegna Seul a investire 350 miliardi di dollari in cambio della riduzione dei dazi statunitensi. Il memorandum è stato firmato elettronicamente dal Ministro dell’Industria sudcoreano Kim Jung-kwan e dal Segretario al Commercio statunitense Howard Lutnick; esso prevede un investimento di 200 miliardi in progetti «commercialmente ragionevoli» relativi a settori come energia, semiconduttori, prodotti farmaceutici, minerali essenziali, intelligenza artificiale e informatica quantistica; altri 150 miliardi, invece, serviranno a rilanciare la cooperazione bilaterale nel settore della cantieristica navale. In cambio, gli USA ridurranno i dazi su legname, auto, farmaci e semiconduttori.
Palestina: coloni bruciano una moschea, altri due ragazzini uccisi dall’IDF
AL KHALIL, PALESTINA OCCUPATA – Altri due ragazzini di quindici anni uccisi dai militari dell’esercito israeliano, nuovi attacchi dei coloni su tutto il territorio della Cisgiordania. Continuano le violenze contro la popolazione palestinese in Cisgiordania occupata, dove solo ieri l’esercito di Tel Aviv ha aperto il fuoco contro due quindicenni nella cittadina di Beit Ummar, a nord di Al Khalil (Hebron), uccidendoli e sequestrando i corpi. Per Israele, stavano per commettere un atto terroristico, ma nessuna prova a supporto è stata fornita. La zona è stata dichiarata “zona militare chiusa”, e anche in questo caso alle famiglie è stato negato il funerale dei loro cari. Non si fermano nemmeno le violenze dei coloni, che nelle prime ore del mattino hanno dato fuoco alla moschea Hajja Hamida, a nord ovest di Salfit.
Sulle pareti della moschea i coloni hanno scritto slogan razzisti contro i palestinesi ed anche messaggi diretti al capo del Comando centrale dell’esercito israeliano (IDF), Avi Blot. «Non abbiamo paura di Avi Blot», «Ci vendicheremo di nuovo» e «Continuate a condannare», recitano le scritte in ebraico. I messaggi sono una risposta alla presa di posizione del comandante Blot, che aveva condannato il raid di tre giorni fa a Beit Lid, vicino a Tulkarem, dove decine di coloni incappucciati avevano dato fuoco a vari mezzi e infrastrutture, ferendo almeno quattro persone. «Così danneggiano gli insediamenti e lo Stato di Israele», aveva avvertito Blot. A Beit Lid, forse tra le prime volte, i militari erano intervenuti per allontanare i coloni, che avevano reagito danneggiando un mezzo dell’IDF. Forse per questo perfino il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, il generale Eyal Zamir, aveva usato parole dure nell’accusare «una minoranza criminale oltrepassa la linea rossa» e aveva promesso di «agire con severità finché giustizia non sarà fatta». Ma la giustizia israeliana ha già risolto il caso, almeno per tre dei quattro coloni che erano stati fermati per l’attacco a Beit Lid, che sono stati rilasciati nel giro di poche ore.

Gli attacchi dei coloni contro i palestinesi e le loro proprietà sono aumentati quest’anno, in particolare durante la stagione della raccolta delle olive in ottobre e novembre. L’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA) riferisce che nel mese di ottobre si sono verificati più di 260 attacchi da parte dei coloni israeliani che hanno causato vittime e danni alla proprietà, con una media di otto incidenti al giorno.
L’OCHA riferisce che la violenza dei coloni durante la raccolta delle olive ha raggiunto il livello più alto da quando l’ONU ha iniziato a registrare gli incidenti nel 2006, con circa 150 attacchi documentati finora, che hanno causato il ferimento di oltre 140 palestinesi e il danneggiamento di almeno 4.200 alberi in 77 villaggi. Le ripetute violenze hanno compromesso la raccolta delle olive di quest’anno.
Gli attacchi, che comprendono incendi, furti di bestiame e materiali, sabotaggi alle infrastrutture e violenze di ogni genere contro la popolazione palestinese, sono spesso protetti dai soldati dell’IDF, che quasi mai agiscono per bloccare i coloni, ed anzi affiancano le loro attività criminali occupandosi di reprimere ed arrestare i palestinesi che tentano di difendere la loro terra. Giovedì si è svolto il funerale di un bambino di 13 anni, Aysam Mualla, morto dopo settimane di ospedale a causa dei gas lacrimogeni sparati dalle IDF mentre raccoglieva le olive con la sua famiglia a Beita, l’11 ottobre di quest’anno. Il giorno prima circa 70 coloni avevano attaccato i contadini nella stessa zona.

Il Ministero degli Affari Esteri e degli Espatriati palestinese ha condannato con forza il recente attacco incendiario alla moschea, dichiarando di ritenere il governo israeliano pienamente responsabile dell’escalation di violenza, che ha descritto come parte di una più ampia ondata di terrorismo dei coloni sostenuta e protetta dalle politiche israeliane che mirano a sfollare i palestinesi e a consolidare l’occupazione coloniale in Cisgiordania.
Secondo il monitoraggio condotto dal gruppo israeliano per i diritti umani Yesh Din, circa il 94% di tutti i fascicoli investigativi aperti dalla polizia israeliana sulla violenza dei coloni dal 2005 al 2024 si è concluso senza alcuna incriminazione. Dal 2005, solo il 3% dei circa 1.700 fascicoli investigativi aperti sulla violenza dei coloni ha portato a condanne totali o parziali. Dati che evidenziano come la complicità degli apparati dello stato israeliano verso le attività dei coloni non sia affatto scalfita da alcune condanne di facciata.
Ucraina, massiccio attacco russo con droni su Kiev: “4 morti”
Quattro persone sarebbero state uccise e almeno 27 ferite in un massiccio attacco russo su Kiev avvenuto questa mattina. Lo riferiscono le autorità ucraine, secondo cui l’offensiva ha provocato incendi e detriti in diversi quartieri della capitale. Il presidente Volodymyr Zelenskyy ha riferito che in tutto il Paese sono stati lanciati circa 430 droni e 18 missili. Colpita anche l’ambasciata dell’Azerbaigian. Le truppe russe continuano ad avanzare sul campo: dopo la conquista di Sinelnikovo, nella regione di Kharkov, i soldati di Mosca – forti del successo ottenuto a sud-ovest di Volchansk – premono ora sulle linee difensive ucraine a Liman.
Olimpiadi Cortina ’26, ancora buchi nei conti: servono altri 120 milioni
Quelle che erano state definite “Olimpiadi a costo zero” hanno bisogno di soldi. La Fondazione Milano-Cortina ha infatti chiesto alle regioni Lombardia e Veneto una lettera di patronato per aumentare la propria linea di credito con le banche di 120 milioni di euro. La richiesta di garanzie agli enti regionali emerge da una deliberazione della giunta regionale veneta, promossa dallo stesso governatore Luca Zaia: la Fondazione, si legge nella delibera, ha un bisogno urgente di liquidità per far fronte a vuoti di cassa, obblighi di contributi relativi ai diritti televisivi, e al ritardo nel «subentro del Commissario Straordinario» per le Paralimpiadi, creato ad hoc dal governo con il Decreto Sport per coprire i contratti relativi all’evento paralimpico.
La richiesta di lettere di patronato da parte della Fondazione Milano Cortina alle regioni Lombardia e Veneto è stata emessa lo scorso 12 agosto, ed è stata accolta dal Veneto con una deliberazione datata 22 settembre. Il testo sponsorizzato da Zaia, fa una lunga premessa relativa agli oneri sui diritti televisivi che la Fondazione, in quanto Comitato Organizzatore, è tenuta a coprire: il Broadcasting Refund Agreement, siglato tra il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) e la Fondazione, stabilisce che il CIO anticipi alla Fondazione una parte dei ricavi televisivi, impegnando quest’ultima a «rimborsare al CIO quanto eventualmente già ricevuto a titolo di anticipo sui diritti televisivi relativi all’evento» in caso di limitazioni, spostamenti o cancellazioni. Le regioni si sono impegnate a coprire parte di tali costi al posto della Fondazione nel caso dovesse essere necessario. Nella richiesta di garanzie, si legge che «il piano di erogazione dei contributi per broadcasting e top programme da parte del Comitato Olimpico Internazionale» è stato «ridefinito», e attualmente «prevede l’erogazione di una percentuale di tali contributi solo pari al 60% prima dei Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali del 2026». Insomma: il CIO ha anticipato alla Fondazione il 60% dei ricavi provenienti dai diritti televisivi, e tale somma, a quanto pare, non basta.
La disponibilità di liquidi della Fondazione non scarseggia solo a causa della mancata copertura totale degli anticipi sui diritti tv. La Fondazione ha infatti parlato di una «differenza strutturale tra gli incassi e le spese» che deriva da un disallineamento temporale tra uscite ed entrate, e che avrebbe così generato un sostanziale vuoto di cassa: in particolare, si fa riferimento alle «tempistiche di pagamento effettivamente negoziate con i fornitori e gli appaltatori di lavori, beni e servizi, maggiormente anticipate rispetto alle previsioni iniziali, nonché le scadenze più dilatate nel tempo degli incassi dei corrispettivi da sponsorizzazione». La Fondazione, insomma, ha fatto male i calcoli: le scadenze dei pagamenti sono più vicine di quanto originariamente previsto, ma i guadagni provenienti dalle sponsorizzazioni non arriveranno in tempo per coprire gli oneri.
Terzo e ultimo punto che giustifica la richiesta di garanzie, è quello del «ritardo del subentro del Commissario Straordinario di cui all’articolo 5 [ndr. del Decreto Sport] nei contratti della Fondazione stipulati per le Paralimpiadi». Lo scorso giugno, il governo ha istituito un nuovo Commissario per le Paralimpiadi con il compito di «favorire l’inclusione sociale e l’abbattimento delle barriere», e soprattutto, quello di «subentrare nei rapporti giuridici della Fondazione», assumendosi gli oneri dei contratti siglati dalla Fondazione nell’ambito delle Paralimpiadi. Già ai tempi, L’Indipendente aveva ipotizzato che con tale mossa il governo sembrasse volere scorporare una parte dei costi della Fondazione – precisamente 328 milioni, destinati proprio all’istituzione del Commissario – alleggerendone il bilancio. La recente richiesta di garanzie della Fondazione pare confermare tale ipotesi: fino alla scesa in campo del Commissario, infatti, gli oneri relativi ai contratti paralimpici spettano alla Fondazione, ma essa non pare avere abbastanza liquidità per affrontarli.
La richiesta di garanzia per 120 milioni di euro si uniscono agli oltre 45 milioni già chiesti dalla Fondazione nel 2021, e ha portato così all’emissione di una lettera di patronato dal valore complessivo di oltre 165 milioni. Essa segue le difficoltà finanziarie già affrontate dalla Fondazione, che avrebbe fronteggiato un deficit stimato in oltre 500 milioni di euro, mai ufficialmente riconosciuto dagli organizzatori.
Milioni di perdite per “Il Domani”: ora punta ai fondi pubblici per sopravvivere
Il quotidiano Il Domani, diretto da Emiliano Fittipaldi, ha ufficializzato un cambio di proprietà e una ricostituzione del capitale dopo mesi di conti in affanno: il controllo è passato dalle società Romed e Romed International di Carlo De Benedetti alla Fondazione Editoriale Domani. Quest’ultima, con un versamento di un milione di euro effettuato a fine settembre, ha ricostituito il capitale sociale eroso dalle perdite. Alla base dell’operazione ci sono numeri che parlano chiaro — perdite accumulate, ricorso al capitale e alla cassa del fondatore — e una modifica statutaria che apre la porta alla possibilità di richiedere contributi pubblici destinati all’editoria, trasformando così la strategia di sopravvivenza del giornale.
La trasformazione proprietaria è stata formalizzata dopo che le quote sono passate dalle società personali al nuovo ente: la Fondazione Editoriale Domani, nata per «per garantire al giornale un futuro autonomo e indipendente», diventa unico azionista. Il fondatore della testata, l’ingegner Carlo De Benedetti, aveva da tempo annunciato l’intenzione di trasferire la testata a una fondazione, ribadendo quel progetto: «La mia idea da sempre era che, quando il giornale fosse stato in equilibrio economico, l’avrei passato a una fondazione».
I dettagli finanziari emersi dalle ultime assemblee dipingono un quadro assai problematico. Il bilancio chiuso al 31 dicembre 2024 ha registrato un fatturato in calo a 5,35 milioni di euro, con le perdite che sono scese da 1,901 a 1,483 milioni di euro grazie a un’opera di contenimento dei costi. Tuttavia, la situazione patrimoniale aggiornata al 31 agosto 2025 mostra una perdita del periodo di 1.051.099 euro, a cui si sommano piccole perdite precedenti. Un rosso leggermente superiore a quello dello stesso periodo dell’anno precedente. Per coprire questi disavanzi è stato utilizzato il capitale sociale, poi ricostituito dalla neonata Fondazione con un bonifico da un milione di euro.
Nel corso dell’assemblea è stata inoltre approvata una modifica dello statuto che contiene un passaggio tecnico ma strategico: «È fatto divieto alla società di procedere alla distribuzione di utili provenienti dall’esercizio dell’anno di riscossione dei contributi all’editoria di cui al D.Lgs. 15 maggio 2017 n. 70 e negli otto anni successivi». L’inserimento di questa clausola indica la volontà della nuova proprietà di rendere la testata compatibile con i requisiti per accedere ai contributi diretti previsti dalla legge, uno strumento che potrebbe trasformare i conti della testata.
Oggi circa 130 testate percepiscono contributi diretti in valori che vanno da poche decine di migliaia a milioni di euro; confrontando soglie e importi erogati a testate comparabili, l’importo potenziale per una realtà come Il Domani potrebbe aggirarsi intorno ai due milioni annui, una cifra sufficiente a compensare ampiamente le perdite registrate negli ultimi esercizi; si tratta però di una proiezione che dipende da graduatorie e stanziamenti. Sul fronte operativo, la direzione punta a rinforzare il digitale e gli abbonamenti mirati — in particolare tramite newsletter verticali — per centrare il pareggio entro un orizzonte annuale, confidando nelle strategie di audience e nelle scelte di gestione già avviate.
Per raccontare la crisi in atto dell’editoria italiana è emblematico il caso del gruppo GEDI. Dopo anni di cure dimagranti, John Elkann, patron di Stellantis e della holding Exor, cassaforte della famiglia Agnelli, è infatti pronto a lasciare gli ultimi pezzi editoriali pregiati: le testate La Repubblica e La Stampa. Le trattative sono ben vive, con potenziali compratori già allo studio. Per La Stampa, la cui vendita appare in fase più avanzata, è in piedi da tempo una trattativa con il Gruppo Nem guidato da Enrico Marchi. Per Repubblica, invece, è allo studio una proposta greco-saudita del gruppo guidato da Kyriakos Kyriakou, ma è spuntato anche il nome di Leonardo Maria Del Vecchio, uno degli eredi del gruppo Luxottica. A spingere verso la cessione sono i conti in rosso: le perdite accumulate ammontano a quasi mezzo miliardo.
UE: ok alla revisione PNRR Italia
La Commissione UE ha reso noto di avere accettato la richiesta di revisione per il Piano nazionale ripresa resilienza dell’Italia. La revisione include l’aggiornamento di 173 misure e ne introduce altre dieci di nuove. L’Italia aveva chiesto una revisione del piano lo scorso 10 ottobre e la sua richiesta è stata approvata lo scorso 4 novembre e ufficializzata oggi, 13 novembre.









