giovedì 20 Novembre 2025
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Neo Robot: l’assistente domestico che promette libertà ma vende sorveglianza

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L’immaginario della fantascienza utopistica è popolato da mondi in cui robot e androidi si fanno carico dei mestieri più usuranti e umili, così che i loro padroni umani possano condurre vite più serene. Negli ultimi anni, diverse aziende sembrano intenzionate a tradurre questo ideale in realtà, annunciando la produzione di assistenti meccanici umanoidi destinati a entrare, entro pochi anni, tanto nelle fabbriche quanto nelle abitazioni private. Questo destino si dimostra però più vicino di quanto non sia lecito pensare: nei giorni scorsi l’azienda 1X ha presentato alla stampa il Neo Robot, un automa già in prevendita che, secondo le promesse, potrà essere utilizzato dai normali cittadini entro il 2026. Tuttavia, dietro l’apparente sogno virtuoso si celano molte ombre che, invece di essere limate, rischieranno di diventare le fondamenta della tecnologia di domani.

Il Neo Robot ha iniziato a far parlare di sé nel settore a partire dall’ultima settimana di ottobre, ovvero da quando Joanna Stern del Wall Street Journal ha pubblicato un approfondimento dedicato al prodotto, corredandolo con un’intervista al CEO di 1X, Bernt Bornich. Visto che l’azienda promette una macchina capace di accogliere gli ospiti alla porta, pulire casa usando scope e detergenti, piegare la biancheria e molto altro, la testata ha ben pensato di verificare la veridicità di tali ambizioni trascorrendo del tempo con l’automa. Nonostante il tono positivo – è un po’ promozionale – del servizio, il responso finale evidenzia tutti i limiti di uno strumento che funziona poco e male.

Durante la dimostrazione, Neo Robot si è limitato a spostare oggetti di piccole dimensioni e, cosa più interessante, a caricare una lavastoviglie. Nonostante sia lecito pensare che l’azienda abbia imbastito l’esperienza per mostrare i punti forti del suo prodotto, tutte le azioni sono state compiute con estrema lentezza e una certa goffaggine. Resta comunque innegabile che un simile passo rappresenti un traguardo tecnico interessante — se solo non fosse fondato su un grande equivoco. L’androide, infatti, non è autonomo, bensì viene “assistito”, se non addirittura teleoperato, da un tecnico munito di visore per la realtà virtuale. Sebbene l’azienda assicuri che in futuro un’intelligenza artificiale potrà autogestirsi “nella maggior parte dei casi”, il sistema prevederà comunque la possibilità per gli utenti di prenotare fasce orarie in cui un operatore umano potrà connettersi da remoto per eseguire compiti complessi.

Al “modico” prezzo di 20.000 dollari, l’acquirente potrà dunque dotarsi di uno strumento che registra costantemente tutto ciò che viene custodito tra le mura di casa, offrendo in cambio la possibilità — non proprio rassicurante — di essere osservato nella propria intimità da uno sconosciuto privo di volto. “Se compri questo prodotto, significa che accetti questa forma di contratto sociale”, ha dichiarato senza girarci attono Bornich. “Se non abbiamo i dati, non possiamo migliorare il prodotto.” 1X assicura inoltre che, sul modello degli assistenti vocali come Alexa, “nessun dipendente dell’azienda può ascoltare o visionare i dati raccolti” dai Neo Robot. La storia recente ci ricorda che Alexa registrava conversazioni anche non sollecitate, condividendole poi con aziende esterne, spesso all’insaputa degli utenti.

Al di là dell’incubo di dover sacrificare la privacy in nome di un’ipotetica comodità, il Neo Robot evidenzia con chiarezza le insidie dell’“aiwashing”: la pratica di presentare come autonomi prodotti che dipendono in realtà da un intervento umano costante. Anche i robot Optimus di Tesla, per esempio, sono tuttora controllati da uno staff umano, mentre i robotaxi dell’azienda vengono “assistiti” da tecnici pronti a intervenire in qualsiasi momento. Tornando indietro nel tempo, è noto che i presunti negozi automatici di Amazon Go fossero in realtà supportati da operatori indiani e che molti sistemi di intelligenza artificiale oggi in voga siano stati perfezionati grazie al lavoro sottopagato di subappaltatori in Paesi come Venezuela, Kenya e Uganda.

Il rischio, dunque, è che, incapaci di mantenere le promesse di efficienza, le aziende dell’IA si trasformino in realtà ibride in cui i modelli vengono “assistiti” da esseri umani reclutati nelle aree più vulnerabili del pianeta. Una forma di esternalizzazione invisibile dei lavori a basso valore, che consentirebbe alle imprese di ridurre costi e tutele, trasferendo i lavori di fatica a chi ha meno diritti. Non a caso, la parola “robot” deriva dal termine ceco robota, traducibile come “corvée”: prestazioni di lavoro gratuito dovute dai servi ai propri signori feudali. Un concetto preoccupantemente vicino a quello di schiavitù.

Sfratti veloci se non paghi due mesi di affitto: la proposta di Fratelli d’Italia

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Dopo due mensilità d’affitto non pagate potrebbe scattare lo sfratto “rapido”. È quanto propone Fratelli d’Italia con un disegno di legge che introduce una procedura amministrativa alternativa a quella giudiziaria: se l’inquilino non salda entro 15 giorni, un’Autorità per l’esecuzione degli sfratti potrà emettere il titolo di sgombero in una settimana, con esecuzione entro 30 giorni e intervento dei servizi sociali solo nei casi più gravi. In parallelo, la Lega punta a rafforzare il dl Sicurezza contro le occupazioni abusive, prevedendo sgomberi immediati anche per immobili non abitati e pene fino a sette anni. Due iniziative diverse ma complementari, che esaltano la tutela della proprietà privata a discapito della protezione sociale, in un Paese dove le famiglie in affitto sono sempre più vulnerabili e gli sfratti in costante crescita.

La proposta di legge depositata al Senato, a prima firma del senatore Paolo Marcheschi (FdI), prevede una procedura speciale in cinque articoli con l’istituzione di un nuovo ente: l’Autorità per l’esecuzione degli sfratti, collegata al Ministero della Giustizia. In sintesi: dopo il mancato pagamento di due mensilità consecutive l’inquilino ha 15 giorni per saldare. Se non lo fa, il proprietario può rivolgersi all’Autorità, che entro sette giorni emette il titolo esecutivo di rilascio, senza passare per il tribunale. Lo sfratto dovrà essere eseguito entro 30 giorni, prorogabili fino a 90 giorni, nei casi di particolare fragilità sociale o su richiesta dei servizi sociali. Il disegno di legge prevede comunque alcune tutele: per chi ha ISEE inferiore a 12.000 euro, in caso di morosità dovuta a licenziamento, malattia grave o separazione, è previsto un rinvio della procedura e accesso a un “Fondo nazionale per l’emergenza abitativa”. Il testo mira a ridurre i contenziosi civili – uno degli argomenti-chiave della maggioranza – e a contrastare le locazioni “mordi e fuggi”.

La Lega, in parallelo, annuncia che presenterà a breve un pacchetto di norme “sgomberi-veloci” che valorizzi non solo le prime case occupate, ma tutti gli altri immobili privati. La proposta del Carroccio si inserisce in coerenza con la linea seguita dal governo nella materia della sicurezza abitativa: nel Decreto‑legge 11 aprile 2025, n.48, noto come “dl Sicurezza”, è stato introdotto il delitto di “occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui” (art. 634-bis c.p.), punito con reclusione da 2 a 7 anni. L’obiettivo dichiarato è dare maggior tutela ai proprietari privati vittime di occupazioni, prevedendo una procedura accelerata: il Pubblico Ministero può disporre lo sgombero “lampo” della casa occupata, spesso in meno di 30 giorni. In altre parole, mentre si rafforzano le misure penali per contrastare l’occupazione abusiva, si accelera anche la via amministrativa-giudiziaria per lo sgombero degli inquilini morosi.

La proposta di introdurre sfratti rapidi si inserisce in un quadro sociale già segnato da precarietà e rischia di trasformare la povertà abitativa in una nuova emergenza strutturale. Il contesto sociale in cui tutto ciò si muove è reso ancora più critico dai dati: secondo l’Istat nel 2024 le famiglie in povertà assoluta erano oltre 2,2 milioni, pari all’8,4% delle famiglie residenti. Tra queste, 1.049.000 famiglie in affitto vivevano in povertà assoluta, quasi la metà del totale. Quanto agli sfratti per morosità, nel 2024 sono state emesse 40.158 sentenze (di cui 30.041 per morosità), con richieste di esecuzione pari a 81.054 (+9,8% rispetto al 2023). Negli ultimi anni, gli sfratti sono aumentati del 218%, mentre il caro-affitti assorbe fino al 44% del salario medio degli operai. Il mercato immobiliare è fuori controllo, con canoni insostenibili e salari fermi, e lo Stato ha ridotto drasticamente i fondi per il sostegno all’affitto. In questo contesto, velocizzare gli sgomberi rischia di aggravare le disuguaglianze e colpire famiglie già fragili, trasformando la casa da diritto sociale a bene di mercato. Liberare rapidamente gli immobili non significa risolvere il problema della morosità, ma solo spostarlo, senza offrire alternative reali a chi è in difficoltà e perde l’abitazione. Senza un piano strutturale di edilizia pubblica e sostegni concreti, il rischio è quello di un Paese dove abitare diventa un privilegio, non un diritto.

Repubblica Ceca: firmato accordo di governo

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Il partito ceco Azione dei Cittadini Insoddisfatti (ANO) ha firmato un accordo di coalizione per formare un governo. ANO è guidato dal miliardario Andrej Babis, e ha vinto le elezioni a ottobre. Si è alleato con Libertà e Democrazia Diretta (SPD), partito considerato di estrema destra che predica l’uscita della Cechia dall’Unione Europea e dalla NATO, e con il partito degli Automobilisti, criticato per le sue posizioni scettiche nei confronti del cambiamento climatico. I tre partiti insieme hanno 108 seggi su 200 nella Camera bassa del parlamento.

Terapia forestale: il bosco come medicina

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terapia forestale

Al posto delle pillole, una bella passeggiata. Camminare fa bene, e farlo nei boschi anche di più, tanto che, se tutto andrà come dovrebbe, tra qualche tempo in Italia un medico potrà prescrivere una “terapia forestale” ai propri pazienti. La dottoressa Tania Re, antropologa, psicoterapeuta e socia fondatrice della cattedra UNESCO Salute, Antropologia, Biosfera e Sistemi di cura presso l’Università di Genova, insieme al CNR (Consiglio Nazionale della Ricerca) e al CAI (Club Alpino Italiano) sta seguendo il progetto che sta portando questa forma di benessere in diverse Regioni italiane con delle sessioni sperimentali pratiche, ideate per raccogliere i dati che saranno necessari a validare questa terapia innovativa, e farla rientrare nei LEA, i livelli essenziali di assistenza che il nostro servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti cittadini che ne possano avere bisogno.

«Con il CNR e il supporto del CAI abbiamo condotto la più grande campagna sperimentale di terapia forestale al mondo, coinvolgendo più di 3mila persone in tutta Italia in 70 siti diversi, dal Friuli Venezia Giulia fino alla Sicilia», sottolinea Francesco Meneguzzo, primo ricercatore dell’Istituto di Bioeconomia del CNR, di cui è primo ricercatore. «In questo momento è in corso una sperimentazione in Regione Toscana, a Cecina, con le donne affette da fibromialgia, con un protocollo che viene applicato, mentre un’altra è stata ad esempio condotta in Abruzzo sulle donne affette da carcinoma mammario», racconta la dottoressa Re che spiega: «Sul tema c’è anche un nostro studio scientifico, per ora in fase di pre-stampa, dal quale si evince che la presenza di un operatore sanitario che guida il gruppo, offre benefici per la salute mentale a breve termine significativamente maggiori rispetto a un’equivalente immersione nella foresta».

Numerosi studi scientifici hanno dimostrato i benefici delle foreste sulla salute, sia in termini preventivi che curativi, facendo riferimento nella maggior parte dei casi alla frequentazione libera o a passeggiate in questi ambienti, che prendono il nome di “immersione forestale”. Il “bagno di foresta” (forest bathing, dal giapponese Shinrin-Yoku) rappresenta un’evoluzione di questa pratica e consiste in brevi passeggiate o attività rilassanti organizzate. La “terapia forestale” è una forma ancora più strutturata, che prevede percorsi guidati con tappe specifiche dedicate a pratiche come camminata consapevole, meditazione, respirazione, yoga o attività manuali, spesso integrata con approcci psicoterapeutici e sviluppata attraverso programmi continuativi, che garantiscono i maggiori benefici per la salute.

Come spiega un libro pubblicato proprio da CNR sul tema, «i benefici sono prima di tutto psicologici (processi mentali, stress, ansia ed emozioni), riferiti ai processi cognitivi, alla vita sociale (abilità, interazioni, comportamenti e stili di vita) e al benessere spirituale. Sul lato fisiologico, effetti molto significativi sono stati osservati rispetto al miglioramento delle funzioni cardiovascolari e degli indici emodinamici, neuroendocrini, metabolici, immunitari, infiammatori e ossidativi». Meneguzzo sul tema aggiunge che: «Abbiamo trovato risultati importantissimi e originali, come gli effetti benefici degli oli essenziali delle piante sull’ansia e sull’asma infantile e adolescenziale». A livello di sistema possono invece tradursi in un nuovo approccio alla salute con un grande risparmio economico del sistema sanitario. Meneguzzo spiega infatti che: «Di recente abbiamo calcolato il valore economico preciso di questa terapia che sta tra 3500 e 9500 euro l’anno a persona per un programma di 25 sessioni l’anno. Questo significa che non solo è efficace, è anche molto economica e può essere adottata in modo vantaggioso dal Sistema Sanitario Nazionale e da quelli regionali». Nella pubblicazione del CNR spiegano i vari effetti positivi sulla salute: «Aiuta le difese immunitarie, riduce lo stress, diminuisce la pressione sanguigna, migliora lo stato d’animo e induce rilassamento. Trascorrere almeno 120 minuti alla settimana in natura, anche non consecutivamente, è stato associato con una probabilità significativamente maggiore di buona salute o di benessere, indipendentemente dalle caratteristiche dei soggetti, inclusi anziani e coloro che sono affetti da patologie croniche. In certi paesi asiatici quali Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Cina, le pratiche di bagno di foresta e terapia forestale sono da tempo particolarmente diffuse, godono di un ruolo riconosciuto nell’ambito della prevenzione medica e sono praticate per migliorare la salute fisica e mentale e come rimedio allo stress».

Gli effetti benefici della terapia forestale sono dovuti alla combinazione di attività rilassanti, esercizi leggeri e mirati, e alla naturale atmosfera terapeutica della foresta, perché le piante emanano molecole invisibili, che noi inaliamo senza accorgercene. Si tratta dei cosiddetti composti organici volatili (COV), tra i quali i principali sono i terpeni (come ad esempio il limonene, il pinene e il mircene), che possono avere un’azione antiossidante, antinfiammatoria e balsamica sulle vie respiratorie, oltre all’effetto benefico di alcuni di essi in termini di rilassamento psico-fisico, performance cognitiva e tono dell’umore.

Roma, crolla un pezzo della Torre dei Conti: 4 feriti, uno è grave

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È crollata una parte della Torre dei Conti, in ristrutturazione, a largo Corrado Ricci, nel cuore di Roma. Un operaio di 64 anni è stato estratto vivo dalle macerie e ricoverato in codice rosso per un trauma cranico, mentre altri tre lavoratori, con ferite lievi, hanno rifiutato il trasporto in ospedale. I tre erano al lavoro sulle impalcature e sono stati soccorsi dai vigili del fuoco con un’autoscala. L’area è stata isolata, il traffico chiuso e sono in corso le indagini dei carabinieri e dei tecnici della Asl per accertare le cause del cedimento.

Il governo rilancia le trivelle in tutta Italia: approvate 34 licenze

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A due anni dal blocco delle nuove esplorazioni, il governo ha approvato 34 licenze per la ricerca di petrolio e gas in Italia. Il via libera del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) applica la sentenza del TAR Lazio che aveva annullato il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (Pitesai), riaprendo di fatto la strada alle attività esplorative. Le nuove concessioni riguardano sia la terraferma – Basilicata, Lombardia, Emilia-Romagna, Puglia e Campania – sia le aree marine dell’Adriatico, Ionio e Canale di Sicilia. I principali gruppi energetici, tra cui Eni, Shell ed Energean, avevano intensificato la pressione sul governo per sbloccare i titoli minerari, evidenziando il potenziale estrattivo del territorio italiano.

La svolta arriva dopo che la moratoria del 2019 e il successivo Pitesai del 2022 avevano di fatto congelato nuovi progetti esplorativi. Con l’annullamento del Piano da parte del Tar la scorsa primavera, numerose aziende hanno presentato nuovamente richieste di autorizzazione, e il MASE ha proceduto ad assegnare le oltre trenta licenze dopo l’estate. Tra i principali beneficiari spiccano sia colossi nazionali come Eni che gruppi internazionali già radicati nel territorio.

La britannica Shell, presente dal 2002 in Basilicata nei due principali giacimenti onshore d’Europa, guarda con ottimismo al rilancio. João Santos Rosa, ceo di Shell Italia E&P, ha spiegato: «L’Italia ha un grande potenziale di risorse naturali, un sistema energetico maturo, un tessuto industriale competitivo e capitale umano qualificato. Oggi investiamo circa 500 milioni all’anno, ma saremo pronti a fare di più. Ma servono un’azione di governo ambiziosa e un quadro regolatorio chiaro e stabile». Shell detiene il 39% di Val d’Agri (operatore Eni al 61%) e il 25% di Tempa Rossa (operatore Total al 50% con Mitsui al 25%).

Anche la greca Energean punta a espandere le proprie attività. L’azienda, quotata a Londra e socia di Eni nel gas Argo e Cassiopea al largo di Gela, prevede di aprire «tre nuovi pozzi petroliferi per Vega di fronte a Pozzallo», come ha dichiarato il ceo Mathios Rigas, aggiungendo che «per Rospo stiamo ultimando le analisi per avviare 1 o 2 nuovi pozzi, già individuati ma da scavare. Potrebbero triplicare la produzione con le infrastrutture già esistenti». La società ha inoltre richiesto licenze esplorative nel Mar Ionio, al confine con le acque greche dove detiene già un permesso considerato promettente.

Sul fronte politico, il governo afferma di essere impegnato a valutare strumenti per trasformare la maggiore produzione nazionale in vantaggio competitivo per l’industria. Si ragiona su una «gas release» che concederebbe permessi più rapidi in cambio di un contingente di metano venduto a prezzi calmierati alle imprese energivore. Il bacino disponibile stimato è di circa 0,5 miliardi di metri cubi, a fronte di una produzione nazionale che si aggira sui 3 miliardi di m³ annui. La decisione è già al centro di un acceso dibattito. Da un lato il governo la giustifica come scelta strategica per aumentare l’autosufficienza energetica, dall’altro associazioni ambientaliste e scienziati mettono in guardia dai rischi legati all’ampliamento dell’estrazione di combustibili fossili, in contrasto con gli obiettivi di transizione ecologica. La comunità scientifica ricorda che la lotta al cambiamento climatico richiede una rapida transizione verso le rinnovabili e il blocco di nuovi progetti fossili, mentre l’esecutivo sostiene che lo sfruttamento di risorse nazionali – con regole chiare e tempi brevi – possa essere compatibile con la sicurezza energetica del paese.

Risulta pacifico che l’obiettivo di rilanciare le trivellazioni sia da sempre un tema molto caro alla maggioranza che regge il governo Meloni. Uno dei principali segnali è stato, nel dicembre dello scorso anno, il via libera della Camera dei Deputati alla fiducia al decreto Ambiente 2024, convertito definitivamente in legge, con 141 voti favorevoli e 81 contrari. Il provvedimento, che introduce alcune modifiche al Testo Unico sull’Ambiente del 2006, prevede, tra le varie novità, la controversa riduzione delle distanze di protezione dalle coste per le trivellazioni marine, da 12 a 9 miglia, sbloccando la corsia preferenziale per le valutazioni ambientali relative a progetti di «preminente interesse strategico nazionale».

Afghanistan, sisma causa almeno 20 morti e 320 feriti nel nord

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Almeno 20 morti e circa 320 feriti: questo il bilancio provvisorio del terremoto di magnitudo 6.3 che ieri sera ha colpito l’Afghanistan, a 28 km di profondità con epicentro vicino a Mazar-i-Sharif, secondo l’US Geological Survey. Il Ministero della Salute conferma le vittime; l’Afp segnala quattro decessi nella provincia di Balkh, dove l’ospedale provinciale ha già curato oltre cento persone. Nella vicina Samangan cinque morti e circa 140 feriti, comunica l’Autorità nazionale per la gestione dei disastri (NDMA), precisando che la maggior parte dei feriti è tornata a casa dopo le cure. Danni anche alla Moschea Blu, con pezzi del minareto caduti nel parco.

Trump minaccia di invadere la Nigeria per “proteggere i cristiani”

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«Se attaccheremo, sarà un’operazione rapida, feroce e risolutiva, proprio come quei delinquenti terroristi attaccano i nostri AMATI cristiani!». Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha minacciato sul suo social Truth un raid in Nigeria per «spazzare via i terroristi islamici», responsabili del «massacro di migliaia di cristiani». Il leader statunitense ha paventato il blocco immediato di tutti gli aiuti americani e ha annunciato di aver ordinato al Pentagono di prepararsi a un’operazione «a colpi di arma da fuoco» se il governo nigeriano non metterà fine a quella che definisce una «minaccia esistenziale» al cristianesimo. La mossa ha provocato immediata sorpresa e reazione di Abuja, che respinge le accuse di Washington.

Su Truth, Trump ha puntato il dito contro il governo nigeriano accusandolo di tollerare l’uccisione di cristiani e ha puntato il dito contro i gruppi estremisti di Boko Haram e la Provincia dell’Africa Occidentale dello Stato Islamico (ISWAP) come responsabili di «atrocità orribili» contro i cristiani. Il capo del Pentagono, Pete Hegseth, ha risposto prontamente al post presidenziale con un «Sì, signore» su X, ribadendo: «Il Dipartimento della Guerra si sta preparando per l’azione». Anche a bordo dell’Air Force One, il tycoon ha confermato la sua intenzione di inviare truppe in Nigeria o di effettuare raid aerei: «Potrebbe essere», ha spiegato Trump, «Stanno uccidendo un gran numero di cristiani, non permetteremo che ciò accada», ha aggiunto. Le minacce di Trump seguono l’attenzione posta dal senatore Ted Cruz all’inizio del mese, che ha accusato la Nigeria di consentire un “massacro” di cristiani.

Con oltre 240 milioni di abitanti, divisi tra musulmani e cristiani, la Nigeria è da anni teatro di violenze diffuse. Nel Nord-Est, Boko Haram e ISWAP hanno causato decine di migliaia di morti dal 2009, colpendo sia cristiani sia musulmani. Secondo i dati dell’Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED), tra gennaio 2020 e settembre 2025 si contano 11.862 attacchi contro civili e 20.409 vittime: 385 episodi hanno mirato a cristiani (317 morti) e 196 a musulmani (417). Gran parte della violenza, specie nel Nord-Ovest, deriva da banditi e milizie etniche. Dall’ascesa di Bola Tinubu nel 2023, si stimano 10.000 morti, centinaia di rapimenti e 3 milioni di sfollati. Le regioni di Benue e Plateau restano epicentro di uccisioni e distruzioni di scuole e luoghi di culto. Secondo la International Society for Civil Liberties and Rule of Law (Intersociety), oltre 52.000 cristiani sono stati uccisi dal 2009, mentre la violenza si espande verso Sud tra conflitti per la terra e risorse. Il presidente nigeriano Bola Ahmed Tinubu ha respinto il quadro delineato da Trump: «La libertà religiosa e la tolleranza sono state un principio fondamentale della nostra identità collettiva e lo rimarranno sempre». In un comunicato ufficiale, Abuja ha definito la minaccia come una tattica coercitiva, rilevando che la violenza nel Paese non colpisce solo cristiani, e che la sovranità nazionale non consente interventi unilaterali.

Dal punto di vista geopolitico, l’annuncio di Trump apre molti interrogativi. Washington, richiamando valori come la libertà religiosa, si pone come protettore dei cristiani in un’ottica che mescola politica estera, pressione ideologica e retorica evangelica che strizza l’occhio alla base MAGA. Sul piano geopolitico, l’iniziativa di Washington sembra rispondere più a calcoli di potenza che a preoccupazioni umanitarie. Le minacce di Trump giungono, infatti, in una fase in cui la Cina sta consolidando la propria presenza strategica in Nigeria e nell’Africa occidentale. L’aggiornamento delle relazioni bilaterali a partenariato strategico globale, l’istituzione di un comitato intergovernativo di cooperazione e le intese sul Global South hanno rafforzato il ruolo di Pechino come alleato privilegiato di Abuja. In questo quadro, la retorica americana sulla “difesa dei cristiani” rischia di fungere da pretesto per un intervento coercitivo volto a recuperare influenza politica ed economica in un’area sempre più orientata verso l’Eurasia. Tale approccio muscolare, basato sulla pressione e sulla forza, potrebbe inasprire le tensioni locali, compromettere la stabilità regionale e spingere ulteriormente la Nigeria – e con essa una parte dell’Africa occidentale – nell’orbita cinese.

Berlino consegna i Patriot a Kiev, Mosca stringe l’assedio a Pokrovsk

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La Germania ha consegnato nuovi sistemi di difesa “Patriot” all’Ucraina, rafforzando lo scudo antiaereo di Kiev, mentre la guerra si intensifica sul fronte orientale. La città di Pokrovsk, nel Donetsk, è divenuta il cuore dei combattimenti: Mosca rivendica l’accerchiamento della roccaforte, ma Kiev parla di “resistenza in condizioni estreme”. Droni russi hanno colpito obiettivi civili a Odessa e Dnipropetrovsk, causando vittime, mentre un attacco ucraino ha incendiato una petroliera nel porto russo di Tuapse. Contemporaneamente, sul fronte diplomatico-militare, l’Donald Trump ha dichiarato che l’invio dei missili a lungo raggio “Tomahawk” all’Ucraina «al momento non è in considerazione».

Valditara ha impedito un convegno contro la militarizzazione nelle scuole

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Il ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM) ha revocato l’accreditamento del corso di formazione online per docenti La scuola non si arruola, previsto per il 4 novembre e promosso dal Centro Studi CESTES e dall’Osservatorio Contro la Militarizzazione delle Scuole e delle Università. L’iniziativa, alla quale si erano già iscritti oltre mille insegnanti, intendeva affrontare i temi della pace, del riarmo e del ruolo della scuola di fronte ai conflitti. Il ministero ha motivato la decisione sostenendo che il corso «non appare coerente con le finalità di formazione professionale del personale docente» e che i contenuti proposti risultano «estranei agli ambiti formativi riconducibili alle competenze professionali». Gli organizzatori denunciano una grave violazione della libertà di formazione e di espressione del personale scolastico. I legali del CESTES, intanto, sono al lavoro per tutelare il diritto dei docenti a una formazione libera e consapevole.

Il corso avrebbe dovuto aprirsi con un intervento di Roberta Leoni, docente e presidente dell’Osservatorio, e avrebbe visto l’intervento di personalità quali Luciano Vasapollo (direttore del CESTES, Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali), Antonio Mazzeo (docente e giornalista), Marco Meotto (docente e ricercatore), Mjriam Abu Samra (ricercatrice e attivista italo-palestinese), Raffaele Spiga (di BDS Italia), Tommaso Marcon e Leonardo Cusmai (studenti, rispettivamente membri dei collettivi studenteschi OSA e Cambiare Rotta). Gli incontri avrebbero dovuto avere al centro temi quali la militarizzazione dell’istruzione e del sapere, repressione e decolonizzazione. La giornata non era stata scelta casualmente: il 4 novembre, infatti, si celebra la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, istituita con la legge n.27 del 1° marzo 2024 varata dall’attuale governo. In questa data, come sottolinea l’Osservatorio contro la Militarizzazione delle Scuole, i docenti vengono invitati ad accompaganre gli sutdenti in attività che esaltino i valori della patria e del sacrificio, «con particlare riferimento al primo conflitto mondiale».

«Si tratta invece, a nostro avviso, di un salto di qualità dell’ideologia militarista che porta dentro le scuole di ogni ordine e grado una forte ventata di nazionalismo, attraverso la retorica del compimento dell’unità nazionale, e di militarismo, con ampio ricorso alla retorica del sacrificio. La storia ci ricorda invece che la Prima Guerra Mondiale fu, per il nostro Paese, oltre che un atto di aggressione, una vera e propria carneficina», scrive l’Osservatorio. Un punto di vista di certo non condiviso dal MIM, che ha revocato l’iniziativa con la scusa l’attività era stata presentata come organizzata dall’Osservatorio (ente non accreditato presso il ministero) in collaborazione con il CESTES (ente accreditato) e non viceversa. Per l’Osservatorio, le motivazioni dietro alla decisione del MIM sono «politiche», dal momento che «ogni iniziativa nelle scuole e nelle università che contesti storicamente la equiparazione tra antisionismo e antisemitismo (in Parlamento hanno depositato una legge che trasforma le critiche allo Stato di Israele in una minaccia al popolo ebraico punibile dal Codice Penale) viene considerata una sorta di minaccia per un governo complice del genocidio».

L’Osservatorio ha deciso di “disobbedire” alle indicazioni del ministero e confermato il Convegno per la giornata del 4 novembre, con lo stesso programma. Non trattandosi di un evento accreditato presso il MIM, tuttavia, il personale scolastico che deciderà di prendervi parte non potrà chiedere un esonero dall’attività lavorativa per fini di formazione. A seguire, inoltre, è stata chiamata una mobilitazione che riguarderà decine di piazze in tutta Italia.