domenica 24 Novembre 2024
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Musei aperti per il ponte: ingresso gratuito il 3 e 4 novembre

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Nelle giornate di domenica 3 novembre e lunedì 4 novembre, è previsto l’accesso libero a tutti i musei e i parchi archeologici statali: lo riporta il Ministero della Cultura, spiegando che nel primo caso è in occasione dell’iniziativa “#domenicalmuseo”, mentre nel secondo si celebra la ricorrenza del Giorno dell’Unità nazionale e della Giornata delle Forze Armate. Tutte le visite si svolgeranno secondo le modalità di apertura stabilite, con accesso su prenotazione dove previsto, le quali possono essere consultate sull’app Musei italiani o sui siti ufficiali dei singoli musei. Gli elenchi in tempo reale dei luoghi coinvolti sono disponibili sul sito del Ministero della Cultura.

Gli archeologi messicani hanno scoperto una città Maya perduta all’interno di una foresta

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Si chiama Valeriana, è rimasta nascosta per secoli nella foresta del Messico meridionale ed è composta da piramidi, palazzi e piazze che presentano le tipiche caratteristiche che “ci si aspetterebbe di osservare se fosse visitata all’interno di un videogioco”: è l’antica citta Maya scovata dagli archeologi della Tulane University, i quali hanno effettuato la scoperta grazie a scansioni lidar e ne hanno dettagliato le peculiarità all’interno di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista Antiquity. Il sito avrebbe ospitato fino a 50.000 persone tra il 750 e l’850 d.C spiegano i ricercatori, i quali aggiungono che la città confermerebbe l’idea di un’antica popolazione fittamente distribuita nella regione rafforzando il mistero sul successivo declino dei Maya.

La civiltà Maya, fiorita in Mesoamerica – l’area che si estendeva dall’attuale Messico centrale fino al Belize, Guatemala, El Salvador e le parti occidentali di Honduras, Nicaragua e Costa Rica – tra il 2000 a.C. e il 1500 d.C., è celebre per le sue avanzate conoscenze astronomiche, la complessità architettonica e i monumentali centri urbani. Al centro di questa società c’era una struttura sociale, politica e religiosa complessa, che si rifletteva nelle grandi città-stato come Tikal e Calakmul, oltre che in un numero crescente di insediamenti minori scoperti negli ultimi anni. La tecnologia che ha reso possibile la scoperta dell’ultima antica città ritrovata, denominata Valeriana, è il cosiddetto lidar (Light Detection And Ranging), ovvero una tecnica di rilevamento remoto che, utilizzando laser trasportati da aerei, mappa il terreno penetrando la fitta vegetazione della giungla. I laser del lidar emettono impulsi di luce che, rimbalzando sulla superficie, creano un’immagine tridimensionale del paesaggio, svelando dettagli che sarebbero altrimenti invisibili. Si tratta di una tecnologia che è già stata utilizzata con successo per esplorare altri siti Maya, rivelando una rete di insediamenti e vie di comunicazione fino a pochi anni fa sconosciuti agli archeologi.

Nel caso di Valeriana, l’individuazione della città è frutto dell’analisi di vecchie scansioni realizzate per fini ecologici. Esaminando i dati, i ricercatori hanno trovato segni evidenti di una città Maya nel dettaglio delle mappature, caratterizzata da piramidi templari, complessi di palazzi e ampie piazze pubbliche, oltre che da un’imponente rete idrica con bacini e dighe. Il suo centro urbano, spiegano i ricercatori, è connesso da una strada rialzata che si sviluppa tra le colline, creando un collegamento processionale. La dolina a forma di croce inoltre, parte di un sistema di grotte, aggiunge un ulteriore elemento simbolico: la sua conformazione ricalca le rappresentazioni delle caverne nella cultura artistica mesoamericana, spesso considerate vie di accesso al mondo sotterraneo. «Quella è la rappresentazione canonica di una caverna nell’arte mesoamericana, che risale agli albori dell’arte mesoamericana. Non so davvero cos’altro farne. La descriverò, e poi non potrò azzardare un’interpretazione di cosa significhi o quando risalga. È super strana», ha commentato Auld-Thomas, lo studente di dottorato alla Tulane che ha individuato il sito nelle scansioni.

Infine, secondo l’antropologa dell’Università di Calgary Kathryn Reese-Taylor, le ricerche effettuate avvalorano l’ipotesi di un popolamento molto esteso della regione, simile alla dispersione urbana osservata nelle città nordamericane. Simon Martin, antropologo della University of Pennsylvania, aggiunge che le scoperte aumentano la complessità del quadro demografico e sollevano nuovi interrogativi sul declino dei Maya, concludendo che il fiorire e il crollo di questa civiltà, in un paesaggio ora riconosciuto come densamente popolato, restano tra i misteri più affascinanti e controversi dell’archeologia mesoamericana.

[di Roberto Demaio]

La situazione a Valencia è piuttosto diversa da come viene raccontata sui media

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Le strade della capitale, eccetto qualche danno causato dal forte vento, si presentano libere, fortunatamente soleggiate e lontane dall’essere il simbolo di una città in ginocchio [Valencia, 31 ottobre 2024]

La conta delle vittime prosegue senza sosta in Spagna, dopo l’alluvione che ha colpito la Comunità Valenciana lo scorso 29 ottobre. Il bilancio attuale parla di oltre 200 morti, ma il numero delle vittime pare destinato a crescere drammaticamente. Secondo il quotidiano El Diario, sarebbero 1.300 le persone che risultano disperse, anche se si spera che una parte significativa di queste sia semplicemente impossibilitata a comunicare a causa dell’assenza di elettricità. A questo si aggiungono i danni agli edifici, alle linee ferroviarie e alle reti di comunicazione, che complicano ulteriormente le operazioni di salvataggio. È chiaro che ci si trova di fronte a una catastrofe di proporzioni enormi, e il compito dei media deve essere quello di raccontarla. Tuttavia, resoconti e immagini inviate a L’Indipendente da Valencia mostrano una realtà profondamente diversa da quella “città in ginocchio” descritta dai titoli sensazionalistici. Perché, nonostante quanto scritto, la città di Valencia non è stata tra i territori maggiormente colpiti, un fattore che non solo rappresenta un’imprecisione, ma ha anche provocato un terrore in larga parte ingiustificato tra parenti e amici dei circa 14.000 italiani che risiedono nella città.

Il racconto delle devastazioni che hanno colpito la Spagna ha occupato le prime pagine dei periodici di tutto il mondo, e la stampa generalista italiana non è stata da meno. Analizzando alcuni titoli, è possibile, però, notare grandi imprecisioni nella localizzazione dei danni causati dall’alluvione. Ovunque si legge che la città di Valencia, capitale della Comunitat Valenciana, sia uno dei luoghi che hanno sofferto l’impatto principale delle piogge torrenziali degli ultimi giorni: ma questo dato è errato. A salvare le infrastrutture della capitale è stato il nuovo alveo del fiume Turia, costruito negli anni Sessanta in seguito all’alluvione che colpì la città nel 1957. Grazie a queste operazioni infrastrutturali, il corso del fiume venne spostato dal centro di Valencia alla periferia sud. Da questo intervento ingegneristico, nel 1986, è nato il parco della Turia, oggi frequentato da turisti e residenti.

Nei riquadri numerati le aree travolte dall’alluvione, tutte poste al di fuori della città di Valencia, il cui territorio comincia al di sopra dell’attuale corso del fiume Turia. In alto a destra, invece, è visibile l’antico corso del fiume.

Il sensazionalismo mediatico sta presentando la città di Valencia come l’epicentro di una distruzione post-apocalittica, una città che, in realtà, non ha subito alcuna conseguenza dal passaggio della DANA. Le strade della capitale, eccetto qualche danno causato dal forte vento, sono libere, soleggiate e ben lontane dall’essere il simbolo di una città in ginocchio.

La situazione è talmente diversa da quella descritta dalla stampa italiana che, in realtà, Valencia rappresenta la luce in fondo al tunnel per quelle aree gravemente colpite dall’alluvione. È qui, infatti, che molti sfollati dei paesi vicini si stanno dirigendo, anche a piedi, per ottenere soccorso e accoglienza o, purtroppo, per riconoscere le salme situate negli obitori provvisori istituiti per l’occasione.

Approfondendo i dati comunicati dal ministro dell’Interno del governo spagnolo, i danni della DANA si concentrano principalmente in alcune aree specifiche della Comunità Valenciana, nelle comarche di Horta Sur, Hoya de Buñol, Ribera Alta, Utiel-Requeña, nelle zone attraversate dai fiumi Magro, dal barranco del Poyo e dal fiume Cérvol, oltre che nell’area del delta del fiume Ebro, nel sud della Catalogna, nelle province di Cadice, Siviglia e Huelva in Andalusia, nella zona di Cuenca e Albacete in Castiglia-La Mancia e nella comunità di Aragona, nelle province di Cuenca e Teruel.

È importante sottolineare come la città di Valencia stia subendo gli effetti collaterali della devastazione, tra cui l’inaccessibilità alle principali arterie autostradali intorno alla città, le difficoltà nel raggiungere l’aeroporto e l’interruzione della circolazione sulle linee ferroviarie. Quest’ultima, secondo il ministro dei Trasporti Óscar Puente, sarà ripristinata nei prossimi quindici giorni.

A foraggiare l’esca del sensazionalismo, i giornali nostrani hanno puntato sul pietismo delle dolorose testimonianze dei residenti dei paesi più colpiti. Le immagini delle auto accatastate, delle colonne di fango e dei detriti che riempiono le arterie urbane non rappresentano affatto la realtà della capitale valenciana, ma piuttosto contribuiscono a un’accozzaglia di informazioni imprecise che non fanno altro che aumentare la preoccupazione delle famiglie di chi vive a Valencia.

La consueta pornografia del dolore, messa in scena da questi media, non ci racconta niente di nuovo: ancora una volta è stata sprecata l’opportunità di approfondire la questione, analizzando le responsabilità politiche e presentando un quadro più completo della situazione. Il dovere del giornalismo dovrebbe essere quello di coprire la notizia nella sua interezza, con puntualità e precisione. L’allarmismo dei nostri media, finalizzato ad accaparrarsi voracemente i clic dei lettori, offre una visione distorta, che manca di rispetto a chi sta spalando il fango dalle proprie strade nella speranza di trovare persone ancora in vita.

La catena delle responsabilità

Le responsabilità del governo della Comunità Valenciana sono significative: Carlos Mazón, governatore eletto nel 2023, a poche ore dal disastro ha pubblicato un video in cui minimizzava la questione e si è mosso in ritardo nell’invio delle allerte, quando ormai le persone vedevano le vie dei propri paesi inondarsi. L’allerta tramite il sistema ES-Alert è stata diffusa sui cellulari dei cittadini solo alle ore 20:11 del 29 ottobre, quando in molte delle zone colpite non era più possibile mettersi in salvo.

D’altra parte, le autorità della politica valenciana, dove è al governo il Partito Popolare, stanno incolpando il governo centrale della Spagna e il primo ministro Sánchez, degli avversari del Partito Socialista, di non aver informato in alcun modo le autorità locali dell’arrivo del disastro e di essere in grave ritardo nell’invio dei militari e della protezione civile per i soccorsi, che seppur annunciati in migliaia di unità non si sono ancora visti nelle zone più colpite dal disastro.

In questo contesto è la popolazione ad essersi mobilitata dal basso con maggiore rapidità per portare il proprio aiuto, con migliaia di giovani volontari che si sono diretti verso la Comunità Valenciana con mezzi di fortuna da tutto il Paese. Tuttavia, questa improvvisazione si sta rivelando non solo poco utile, ma potenzialmente dannosa. Nella giornata di ieri, 1º novembre, le autorità locali avevano accolto con favore i migliaia di volontari, creando un punto d’incontro alla Città delle Arti e delle Scienze e proponendosi di coordinarli. Ma la situazione è presto sfuggita di mano: questa mattina le autorità si sono trovate di fronte a diecimila volontari, in gran parte armati semplicemente di scope e stracci, spesso con ai piedi semplici scarpe da ginnastica. Una situazione non solo inutile ai fini degli aiuti, ma potenzialmente catastrofica sotto il profilo sanitario, visto che attualmente si sta alzando il rischio di infezioni a causa delle acque reflue e dei cadaveri in esse presenti.

[di Armando Negro]

Bombe israeliane su Gaza e Libano, oltre 60 morti

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Nuovi bombardamenti israeliani si sono abbattuti nelle ultime ore a Gaza e in oltre 25 città del Libano, provocando almeno 55 morti e 192 feriti nella Striscia e decine di decessi in Libano: è quanto rivelato dal Ministero della Salute di Gaza, dalle autorità e dai reporter locali ad Al Jazeera, aggiungendo che gli operatori della protezione civile non sono in grado di prestare i soccorsi in molte delle zone bombardate. Gli attacchi hanno colpito anche il campo profughi a Nuseirat provocando almeno 5 morti, hanno causato l’uccisione di decine di bambini e, secondo l’agenzia di stampa libanese Nna, hanno colpito anche Baalbek, città sede di uno dei siti archeologici più importanti del Medio Oriente, dichiarato anche patrimonio dell’umanità.

La Russia ha lanciato su Kiev un attacco di droni durato ore

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La Russia ha lanciato il suo ultimo attacco notturno con droni contro l’Ucraina, prendendo di mira la capitale Kiev. Il raid è durato fino alla tarda mattinata. Secondo l’amministratore militare della città, Serhiy Popko, citato da Reuters, i detriti dei droni abbattuti hanno colpito sei quartieri della capitale, ferendo un agente di polizia, danneggiando edifici residenziali e innescando incendi. Tutti i droni puntati su Kiev sono stati abbattuti, ha aggiunto. Il comandante in capo delle forze armate ucraine, Oleksandr Syrsky, ha nel frattempo dichiarato che le truppe di Kiev stanno affrontando una delle più «potenti» offensive della Russia dallo scoppio del conflitto.

“Alejandro vive”, una storia di resistenza nell’Amazzonia ecuadoriana

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«Alejandro vive, la lucha sigue», si legge su un cartello alla conferenza stampa indetta per lanciare la «marcia per la pace, la giustizia e la vita» in onore di Alejandro Lapo, leader sociale di Patria Nueva, e di altre tre persone uccise il 5 ottobre nell’alta Amazonia ecuadoriana. Il fatto è accaduto nel quasi totale silenzio della stampa nazionale e internazionale. Víctor Gómez Barragán, giornalista di Radio Sucumbios, mezzo di comunicazione comunitaria, quella sera è stato tra i primi ad arrivare sul luogo e con l’aiuto di alcuni testimoni ha ricostruito l’accaduto. Verso le 7 di sera due persone in moto hanno ucciso due delle vittime, sparandole mentre si trovavano in strada all’inizio del paese, per poi dirigersi verso un parco dove era in corso una riunione. Lì hanno sparato in aria creando confusione, mentre una terza persona armata, che stava partecipando all’incontro, ha ucciso altri due uomini e ha ferito una donna.

In un territorio dove le morti per sicariato sono quotidiane, legate maggiormente alla disputa territoriale tra gruppi criminali e cartelli della droga, la notizia passa quasi inosservata. I media mainstream la commentano come parte dell’ondata di violenza attraversata dal paese, arrivando a descrivere Alejandro come possibile leader di una banda criminale. Sono in pochi a domandarsi come sia possibile che in una piccola comunità contadina, in cui non erano mai state consumate violenze di questa portata, sia potuto avvenire il fatto. Etichettare l’accaduto come atto di sicariato non è sufficiente, è necessario domandarsi chi è il mandante di queste morti.

Patria Nueva è una piccola comunità nel distretto General Farfan, situata vicino a Lago Agrio e a pochi kilometri dalla frontiera con la Colombia. I suoi abitanti vivono di agricoltura e allevamento, non hanno accesso ad a un sistema di acqua potabile e fanno affidamento agli affluenti del fiume San Miguel. Nel 2020 l’impresa canadese Gran Tierra Energy si è interessata a questo territorio, il cui sottosuolo è ricco di petrolio, e ha presentato una valutazione di impatto ambientale alle comunità interessate, che per legge dovrebbe essere seguita da un processo di consulta libera, previa e informata. Gli abitanti hanno tuttavia riscontrato delle fallacie e delle omissioni nei dati presentati, volte a sottostimare l’impatto dell’apertura di nuovi pozzi petroliferi, ma, nonostante ciò, la compagnia ha ottenuto le licenze estrattive da parte dello Stato ecuadoriano. Per questo nel 2021 in tutta l’area di General Farfan è nato un movimento di resistenza contro l’ingresso della compagnia. Sono seguiti alcuni anni di resistenza, durante i quali diverse persone hanno denunciato pressioni e minacce da parte della compagnia, e in cui si sono verificati diversi episodi di violenza ai danni delle persone coinvolte nella lotta.

Come nella comunità di Santa Marianita, limitrofa a Patria Nueva, dove nel settembre del 2023, durante l’occupazione di una strada per l’impedimento dell’ingresso dei mezzi della compagnia nella stazione petrolifera, la polizia è intervenuta in difesa dell’impresa reprimendo il presidio con un fitto lancio di lacrimogeni ad altezza uomo. Nonostante ciò, dopo poco tempo la comunità di Santa Marianita ha deciso di negoziare. La resistenza a Patria Nueva è continuata per qualche mese, finché nel marzo del 2024 si è raggiunto anche qui un accordo con Gran Tierra Energy. Il presidente della comunità di quel periodo raccontava che, tenendo conto delle grosse difficoltà economiche e della mancanza di occupazione lavorativa, risultava molto duro continuare a far fronte alle pressioni che arrivavano da parte della compagnia. Sicuramente la resistenza ha contribuito al raggiungimento di una negoziazione che risultasse accettabile per la comunità, infatti nella maggior parte delle situazioni analoghe in questi territori, e in assenza di una resistenza, i benefici per la comunità sono miseri. In un articolo per Earth Journalism Network, il giornalista Francesco Torri approfondisce bene tutti i passaggi di questo processo.

Funerali delle vittime di Patria Nueva, In questa foto è in primo piano la foto della vittima Alejandro Lapo

La compagnia però non stava rispettando gli accordi presi, pertanto la comunità ha ricominciato ad organizzarsi per pretenderne l’adempimento, con grande spinta da parte di Alejandro Lapo, che viene ricordato come leader di questa resistenza. Vengono fatti scioperi e blocchi stradali, come quello del 5 ottobre, organizzato perché la compagnia stava utilizzando una strada non abilitata al traffico di mezzi pesanti per il trasporto di autocisterne piene di petrolio. In quella giornata Alejandro ebbe un ruolo fondamentale nell’incitare la comunità a prendere parte all’azione, a cui parteciparono anche altre due delle vittime. I rappresentanti di Gran Tierra Energy quella stessa giornata contattano il governatore della provincia, che decide di convocare il lunedì successivo una riunione con la compagnia per trovare una mediazione al conflitto. Nella serata del 5 ottobre il presidente di Patria Nueva organizza una riunione con la comunità per prepararsi al confronto di lunedì. È questo lo scenario in cui Alejandro e i suoi compagni vengono uccisi.

Víctor racconta come ora la comunità si trovi in uno stato di timore. Il presidente di General Farfan si è trovato obbligato ad allontanarsi dalla comunità per la propria sicurezza, ma questo non ha fermato alcune e alcuni abitanti che, appoggiati da diverse organizzazioni e collettivi, hanno organizzato la già citata marcia nella vicina cittadina di Lago Agrio. La famiglia Lapo ha inoltre depositato una denuncia presso la procura, che si troverà così obbligata a procedere con l’indagine.

In un territorio in cui la devastazione ambientale legata all’estrattivismo petrolifero va avanti dal 1967, quando la compagnia petrolifera Texaco trivellò il primo pozzo, le comunità si trovano ancora obbligate a lottare per una vita degna. La negligenza delle compagnie comporta continui sversamenti di petrolio e altre sostanze tossiche nell’ambiente – in Ecuador se ne contano 2 ogni settimana, afferma la Union De Afectados por las operaciones petroleras de Texaco – contaminando irrimediabilmente il suolo e i fiumi che sono fondamentali per la sopravvivenza delle comunità. Le azioni legali e le vittorie a favore delle comunità e della natura valgono poca cosa, in un paese con un livello molto alto di inadempienza da parte del potere esecutivo. Per questo sempre più persone, impossibilitate a continuare a lavorare di agricoltura, e non avendo più accesso all’acqua potabile, finiscono per lavorare per queste stesse compagnie. Altre invece, come Alejandro Lapo e i suoi compagni, decidono di battersi per la vita e per la terra.

[di Marta Cabras]

Antimafia, i familiari delle vittime di stragi all’attacco della presidente Colosimo

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I familiari delle vittime delle stragi terroristiche e mafiose hanno tenuto giovedì al Senato una conferenza stampa congiunta, in occasione della quale hanno sferrato forti critiche nei confronti della presidente della Commissione parlamentare Antimafia, la deputata di FDI Chiara Colosimo. La protesta nasce dal malcontento verso la direzione che la Commissione sembra aver preso, in particolare riguardo alla “parcellizzazione” dell’esame della stagione delle stragi in Italia, che secondo i familiari sarebbero da analizzare – come suggerito da numerose sentenze emerse negli ultimi anni – in ottica unitaria. A Chiara Colosimo si imputa inoltre la vicinanza amicale con l’ex NAR Luigi Ciavardini, nonché la volontà di allontanare dal raggio di inchiesta della commissione lo spettro delle «ombre nere», del ruolo esercitato dai servizi segreti deviati e del retroterra politico degli attentati. Elementi che, insieme ai depistaggi istituzionali, avrebbero costituito il comune denominatore dell’ondata di stragi che hanno insanguinato l’Italia.

Le vere cause

A prendere la parola per primo è stato Salvatore Borsellino, fratello del magistrato Paolo e fondatore del Movimento delle Agende Rosse. «A una vera verità e a una vera giustizia non si può arrivare circoscrivendo i lavori della Commissione soltanto alla strage di Via D’Amelio, analizzandola come un fatto isolato e tralasciando di indagare sulle altre stragi e su un disegno eversivo che le lega in maniera indissolubile e che ha le sue radici addirittura nella stessa strage di Portella della Ginestra», ha detto l’attivista, aggiungendo che «non si può avere giustizia e verità banalizzando le cause della strage di Via D’Amelio al solo dossier mafia-appalti, che non può sicuramente essere la vera causa dell’improvvisa accelerazione di una strage che ha ben altre cause, come la trattativa tra mafia e pezzi deviati dello Stato». Il riferimento è al “rapporto mafia-appalti”, depositato dai carabinieri del ROS all’inizio degli anni Novanta, che si proponeva di fare luce sulle connessioni tra Cosa nostra e le forze politico-imprenditoriali dello Stivale. E che, ai tempi, fu oggetto di aspri veleni, incredibili fughe di notizie e accuse di “insabbiamento” nei confronti dei magistrati, smentite dalla stessa storia dell’inchiesta, che negli anni successivi portò agli arresti decine di soggetti tra imprenditori collusi e politici compiacenti. Sulla tesi che la presunta attenzione sul dossier mafia-appalti da parte di Borsellino sia la principale causa della strage di Via D’Amelio – riesumata negli ultimi anni dalla Procura di Caltanissetta -, si è verificata la chiara convergenza di vedute tra Chiara Colosimo, il legale dei figli di Paolo Borsellino, Fabio Trizzino, e gli allora vertici del Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno. Questi ultimi, così come il loro capo Antonio Subranni, sono stati processati per la “Trattativa Stato-mafia”, citata da Salvatore Borsellino. Insieme all’ex senatore di FI Marcello Dell’Utri, sono stati condannati ad aspre pene in primo grado ma poi definitivamente assolti, sebbene i fatti oggetto del processo (in primis l’interlocuzione intrapresa dai ROS con l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino per arrivare a un accordo con i vertici di Cosa Nostra per bloccare le stragi) non siano mai stati messi in discussione.

Le entità esterne

Fulcro del convegno è stato il focus sui punti di contatto tra l’universo dei servizi deviati e dell’eversione di destra dietro alle stragi. Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari delle vittime della strage di Bologna, si è concentrato sul personaggio di Paolo Bellini, da poco condannato per l’attentato del 2 agosto 1980, ricordando i suoi collegamenti con i servizi ed esponenti del MSI, nonché la sua storia di killer di ‘Ndrangheta e di “suggeritore” ai mafiosi di Cosa Nostra della «strategia di attacco ai monumenti italiani» nel 1993. Una figura che, spiega Bolognesi, «collega l’eversione storica – NAR, Avanguardia Nazionale, Ordine Nuovo – e arriva alle stragi di mafia». Bolognesi lancia poi una chiara stoccata: «Se l’obiettivo è quello di arrivare alla verità, il non voler indagare su queste cose vuol dire tarparsi le ali; se uno non ha l’idea di arrivare alla verità, fa quanto dovuto». Un altro personaggio condannato per la strage di Bologna, ma anche per diversi altri omicidi, come quello del giudice Mario Amato, è Luigi Ciavardini. I familiari delle vittime da mesi attaccano Chiara Colosimo proprio per i suoi legami con Ciavardini, che sarebbero provati da una fotografia che li ritrae sorridenti e con le mani intrecciate. Sergio Amato, figlio di Mario, ha partecipato alla conferenza, parlando dell’«effetto brutale» di quella foto. «Noi familiari delle vittime delle stragi siamo stufi di sentirci dire che erano ‘spontaneisti’ – ha aggiunto –. Credo che l’Italia sia al centro di un sistema criminale che viene raccontato poco e male. Abbiamo prove di connivenza tra neo fascisti e la criminalità organizzata dagli anni ’60».

In difesa di Scarpinato

Centrale anche la difesa, da parte dei relatori, del magistrato Roberto Scarpinato – per anni impegnato sulle indagini in merito ai “mandanti esterni” delle stragi -, che la presidente Colosimo ha manifestato l’intenzione di volere estromettere da una serie di importanti lavori per «incompatibilità» dovuta a «conflitti d’interesse». «Era da tempo che notavamo da parte della presidente Colosimo e della Commissione parlamentare l’emergere di scelte e posizioni pregiudiziali e pregiudizievoli per la funzionalità della Commissione» – ha sottolineato l’avvocato Federico Sinicato, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage di piazza Fontana – critichiamo fortemente l’ipotesi che una persona come il senatore Roberto Scarpinato possa essere estromesso, con un gioco di prestigio, dal suo ruolo, perché va nel senso della parcellizzazione della conoscenza. Estromettere e allontanare il più possibile coloro che sanno, per potersi giocare le carte coperte e non dover essere costretti a tirarle fuori». «Se c’è un conflitto di interessi è ascrivibile alla stessa presidente Colosimo, per i suoi atteggiamenti confidenziali, testimoniati da prove fotografiche, con il terrorista di destra Luigi Ciavardini», ha concluso Salvatore Borsellino.

[di Stefano Baudino]

Medioriente, gli USA riorganizzano le forze e inviano nuovi aerei

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Gli Stati Uniti d’America hanno annunciato un riassetto delle proprie forze in Medio Oriente, da fare coincidere con il rientro in patria della portaerei Lincoln, alla quale subentreranno altre navi e aerei da guerra. A dare la notizia è stato il Pentagono, che ha spiegato che il rimpasto militare avverrà il prossimo mese, senza tuttavia specificare il numero di mezzi che verranno dispiegati. Nello specifico, gli USA hanno parlato di aerei da guerra B-52, jet da combattimento, aerei da rifornimento, e cacciatorpedinieri. Secondo il Times of Israel, questo riassetto delle forze dovrebbe portare gli USA ad avere meno soldati sul territorio, ma più potenza di fuoco.

Ddl Montagna, spunta la norma “ammazzalupi”: insorgono le associazioni

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Nel ddl Montagna è stato inserito un emendamento, approvato ieri in Senato, che consentirà di procedere con l’uccisione dei lupi in Italia. La norma “ammazzalupi” – come l’ha definita l’Ente Nazionale Protezione Animali – prevede che le Regioni e le Province possano uccidere ogni anno una certa quantità di esemplari. «La maggioranza – ha rincarato la dose LNDC Animal Protection – risponde alle logiche di interessi privati di alcune lobby che non hanno alcun rispetto per la vita e l’ambiente. Bisognerebbe invece adottare politiche basate su un approccio scientifico ed etico, che rispettino il diritto alla vita degli animali selvatici e il valore della biodiversità».

Il legame nascosto tra degrado del suolo ed effetti devastanti delle alluvioni

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Mentre da Valencia le immagini dell’ultimo disastro legato agli eventi meteorologici estremi scorrono in tutto il mondo, un rapporto è passato quasi inosservato. Si intitola State of Soils in Europe 2024 ed è il risultato di una ricerca congiunta del Centro Comune di Ricerca (JRC) e dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA). Il rapporto mostra come in tutta Europa prosegua senza sosta il degrado del suolo. A causa di vari fattori – come l’agricoltura intensiva, le monoculture e l’utilizzo di nutrienti che mirano esclusivamente a incrementare la produttività senza rigenerare la terra – il suolo continentale è sempre più impoverito e impermeabile. Eppure, le due questioni sono strettamente correlate: se è vero che gli eventi estremi come le alluvioni stanno aumentando di frequenza a causa dei cambiamenti climatici (da 3 a 5 volte in più rispetto a mezzo secolo fa, secondo le statistiche), i risvolti tragici in termini di vittime e distruzione che provocano potrebbero essere fortemente ridotti attraverso strategie di mitigazione. Tra queste, il mantenimento della capacità del suolo di assorbire l’acqua è un fattore determinante.

Ma la situazione continua a deteriorarsi e, in prospettiva, non si intravede un’inversione di tendenza. Secondo il rapporto, un quarto del suolo europeo è a rischio di erosione idrica e circa un terzo dei terreni agricoli è improduttivo o quasi. Dati che, come sottolineato dal documento, mostrano uno «stato e tendenze allarmanti, con il degrado del suolo che è peggiorato significativamente negli ultimi anni» e che evidenziano la necessità di un’azione immediata per invertire tale tendenza. Secondo le recenti stime, l’erosione del suolo ammonterebbe a circa un miliardo di tonnellate l’anno (colpendo circa il 24% del totale), con un impatto diretto sulla produzione agricola e sugli squilibri ecologici. Inoltre, viene sottolineato come una delle pratiche più diffuse che contribuisce significativamente al fenomeno sia la lavorazione meccanica del terreno che, insieme all’erosione eolica causata dai venti e ad altre pratiche dannose – come la raccolta intensiva delle colture – potrebbe aggravare ulteriormente la situazione, portando l’erosione complessiva ad aumentare anche del 25% entro il 2050. Ciò si aggiungerebbe agli squilibri nutrizionali, anch’essi in aumento: il 74% dei terreni agricoli europei presenta carenze o eccessi di nutrienti che compromettono la fertilità e possono avere impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana. Un esempio è l’aumento eccessivo di azoto nei suoli, mentre al contrario il carbonio organico – essenziale per mantenere il terreno fertile e produttivo – è in costante diminuzione: dal 2009 al 2018 se ne sarebbero perse circa 70 milioni di tonnellate. Anche le torbiere europee, che fungono da veri e propri “pozzi” di carbonio, stanno perdendo la loro funzione naturale: mentre in condizioni normali assorbono e immagazzinano grandi quantità di carbonio dall’atmosfera, se degradate possono trasformarsi da serbatoi in fonti di emissioni, ed è proprio quello che sta accadendo. Secondo i dati presentati, sono responsabili di circa il 5% delle emissioni totali di gas serra e il 50% di queste aree è gravemente compromesso.

Ma il rapporto non si è limitato ad analizzare solo i territori UE: anche in Ucraina, in Turchia e nei Balcani la situazione non risulta meno drammatica. In Ucraina, il conflitto ha provocato la degradazione di oltre 10 milioni di ettari di suolo, e il ripristino di questi territori potrebbe richiedere decenni o addirittura secoli. In Turchia, circa 1,5 milioni di ettari sono afflitti da problemi di salinità, i quali rendono il terreno meno produttivo e più vulnerabile all’erosione. Nei Balcani occidentali, invece, sono stati segnalati oltre 100 siti contaminati a causa di attività industriali e minerarie, sebbene la reale portata dell’inquinamento non sia ancora del tutto nota.

In conclusione, il rapporto denuncia che il suolo europeo – e non solo – sta peggiorando, e che quindi le azioni dovrebbero essere immediate, coordinate ed ambiziose per evitare che la situazione peggiori ulteriormente e per «garantire un futuro sostenibile per le generazioni a venire».

[di Roberto Demaio]