È di 95 l’ultimo bilancio delle vittime causate dalle forti piogge che si sono abbattute oggi sulla Spagna, colpendo prevalentemente le comunità di Valencia e Castiglia-La Mancia. Un numero ancora provvisorio, che potrebbe aumentare ulteriormente. Le autorità hanno mobilitato migliaia di operatori tra squadre di protezione civile e militari, utilizzando anche mezzi aerei e cani addestrati per rintracciare vittime e dispersi. Circa 120.000 persone risultano senza elettricità e copertura telefonica, mentre la linea ferroviaria che collega Valencia a Madrid è stata interrotta a causa dell’allagamento dei binari. Il ministro delle politiche territoriali, Ángel Víctor Torres, ha annunciato tre giorni di lutto nazionale.
La Francia stringe accordi commerciali col Marocco sulla pelle dei Saharawi
Dopo tre anni di tensioni diplomatiche, il presidente francese Emmanuel Macron si è recato ieri, 29 ottobre, in Marocco dove ha ripristinato le relazioni con il Paese dell’Africa settentrionale, firmando una serie di accordi commerciali con Rabat per un valore complessivo di più di dieci miliardi di euro. In un raro gesto di onore verso un ospite straniero, il re Mohammed VI si è recato personalmente ad accogliere il capo dell’Eliseo e la moglie Brigitte all’aeroporto, prima di trasferirsi al palazzo reale marocchino per la firma degli accordi. Il tutto a scapito dei Saharawi, la popolazione del Sahara occidentale che da anni lotta per l’autodeterminazione e l’indipendenza dalla corona marocchina, sostenuta in questo anche dall’Algeria, rivale storica del Marocco. Dopo anni in cui ha assunto un atteggiamento ambiguo per non indisporre Algeri – importante partner commerciale di Parigi – a luglio Macron ha sostenuto le rivendicazioni del Marocco sul Sahara occidentale, aprendo la strada alla riconciliazione con Rabat. «La Francia riconosce un piano per l’autonomia della regione del Sahara Occidentale sotto la sovranità del Marocco come unica soluzione per risolvere un’annosa disputa sul territorio», aveva affermato Macron in una lettera.
In cambio, l’ex potenza coloniale è stata ricompensata con una serie di accordi commerciali per un valore complessivo di oltre dieci miliardi di euro, secondo quanto riferito da alcuni funzionari francesi. Tra questi, un accordo tra l’operatore ferroviario marocchino ONCF e la francese Alstom per l’acquisto di dodici carrozze ad alta velocità, mentre Rabat cerca di espandere una linea esistente più a sud, fino a Marrakech, entro il 2030. Sono stati firmati anche importanti accordi energetici: le aziende francesi Engie e EDF hanno sottoscritto un contratto per espandersi nel settore delle energie rinnovabili, mentre Total Energies ha firmato un accordo sull’idrogeno, anche se non è stato ancora reso noto alcun importo. Inoltre, la compagnia di navigazione CMA CGM ha annunciato investimenti in un terminal portuale marocchino.
Parigi sperava anche che la visita potesse portare a risolvere alcuni problemi legati alle migrazioni, un tema sul quale il governo subisce le pressioni dei partiti di destra affinché aumenti i rimpatri in Paesi come il Marocco. A tal fine, nel 2021, la Francia aveva ridotto il numero di visti rilasciati ai visitatori nordafricani per far sì che i governi facilitassero i rimpatri, ma l’iniziativa ha danneggiato sia il Marocco che la Francia e nel 2022 l’Eliseo ha posto fine alla restrizione sui visti. Rabat è in grado di influenzare i flussi migratori e non sono mancati episodi in passato in cui ha utilizzato questa questione come arma di ricatto politico. Anche per questo, Parigi ha deciso di ripristinare le sue relazioni diplomatiche con il Paese nordafricano, calpestando però il diritto all’autodeterminazione dei Saharawi e, allo stesso tempo, danneggiando i rapporti con un altro partner strategico nella regione, l’Algeria.
Algeri, infatti, sostiene l’indipendenza del Sahara occidentale e quindi il Fronte Polisario, la formazione indipendentista nata nel 1973 che si oppone a Rabat nella disputa sulla sovranità del Sahara occidentale. Quest’ultima è una regione situata a Sud del Marocco, a Ovest dell’Algeria e a Nord della Mauritania, mentre a ovest si affaccia interamente sull’Oceano atlantico. Il territorio è stato sotto l’amministrazione della Spagna fino al 1975, quando Madrid decise di cederne il controllo a Marocco e Mauritania. Le truppe spagnole abbandonarono definitivamente la regione il 26 febbraio del 1976, permettendo così la nascita della Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi, dichiarata dal Polisario nel 1976. Tuttavia, il giorno dopo, l’esercito marocchino, appoggiato dal governo statunitense, entrò nel territorio conteso, compiendo saccheggi, stupri, violenze e omicidi e obbligando la popolazione alla fuga. Ne nacque un conflitto tra le forze armate di Rabat e il Fronte Polisario che cessò solo quando le Nazioni Unite hanno mediato un cessate il fuoco nel 1991. L’organismo internazionale propose, inoltre, un referendum per l’autodeterminazione dei Saharawi, che però non ha mai avuto luogo per la contrarietà del Marocco. Ancora oggi, dunque, si svolge una guerriglia a bassa intensità tra le due parti. Durante le fasi più cruente della guerra, negli anni Settanta, l’aviazione marocchina bombardò i civili sfollati con napalm e fosforo.
Il Marocco, che rivendica diritti su quello che è un territorio ricco di fosfati, pesca e forse petrolio, ha proposto nel 2007 quello che ha definito un piano di autonomia per il Sahara occidentale, garantendo valori democratici e un’economia liberale favorevole agli investitori. Parigi è uno dei principali sostenitori di questo piano per l’autonomia sotto la sovranità marocchina, al contrario, invece, dell’Algeria che appoggia la proposta delle Nazioni Unite per un referendum con l’indipendenza come opzione. Non a caso, quando lo scorso luglio la Francia ha appoggiato il programma del Marocco, Algeri ha ritirato il suo ambasciatore in Francia. Oltre a Parigi, anche la Spagna, gli Stati Uniti, Israele e le monarchie del Golfo sostengono la sovranità di Rabat sul Sahara occidentale. Al contrario, gli Stati africani sostengono l’indipendenza del territorio conteso, ritenendolo l’ultima colonia del Continente. La Repubblica Democratica Araba Saharawi, del resto, è riconosciuta da molti governi ed è un membro a pieno titolo dell’Unione Africana.
Parigi e gli altri Stati occidentali continuano, dunque, ad assumere un atteggiamento contrario all’indipendenza e all’autodeterminazione dei Saharawi, in nome di interessi politici e commerciali.
[di Giorgia Audiello]
Libia, si ribalta barcone: “Dodici morti, volevano raggiungere l’Italia”
Al largo delle coste libiche una imbarcazione si è capovolta e «dodici migranti egiziani hanno perso la vita». È quanto segnalato dal quotidiano online Libya Review, citando resoconti di Ong e rapporti di Reuters e di fonti di sicurezza egiziane. Il barcone è affondato a 60 chilometri ad est di Tobruk e solo una persona è riuscita a sopravvivere, salvata dalle autorità locali. I migranti erano partiti da i governatorati di Sharqiyya e Gharbiyya in Egitto e, secondo quanto riportato, avevano l’obiettivo di «raggiungere l’Italia».
La storia verrà a chiederci dove eravamo al tempo del genocidio
Nel momento in cui scriviamo i palestinesi uccisi direttamente dalle bombe e dalle pallottole dell’esercito israeliano sono 43.824, di cui 16.765 bambini. E sono numeri che non tengono conto di coloro che sono stati uccisi dalla mancanza di cibo, dalle infezioni, da malattie e ferite non curate negli ospedali distrutti. Solo nell’ultima settimana la cosiddetta “unica democrazia del Medio Oriente” ha commesso almeno cinque stragi con più di cento morti, ha messo fuori legge l’UNRWA, ossia l’unica agenzia internazionale che garantisce gli aiuti umanitari ai civili palestinesi, e continua ad assediare centinaia di migliaia di persone nel nord della Striscia di Gaza impendendo loro di ricevere ogni bene di prima necessità, cibo e acqua compresi. In un anno, l’esercito di Tel Aviv ha raso al suolo duecentomila case, l’87% delle scuole e il 68% delle strade di Gaza; 19 ospedali su 36, con i restanti che funzionano tra mille difficoltà, privi di medicinali salvavita e anestetici. Sono stati uccisi anche 304 operatori umanitari e 174 giornalisti, segno di come per Israele anche chi aiuta i civili e chi racconta la devastazione in corso sia un obiettivo.
A testimoniare come questa immane tragedia umanitaria sia il deliberato frutto di un disegno che si nutre di odio etnico e razziale sono le stesse parole dei vertici politici israeliani. Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha affermato che Gaza è abitata da «animali umani», precisando che sia giusto lasciarli «senza elettricità, cibo, benzina e acqua». Il ministro per gli Affari di Gerusalemme, Amihai Eliyahu, ha dichiarato che userebbe una bomba atomica su Gaza. Il primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha più volte definito i palestinesi «bestie». L’ex generale dell’esercito israeliano, Giora Eiland, ha rivendicato che l’obiettivo deve essere quello di «creare un disastro umanitario senza precedenti a Gaza».
Verrà un giorno in cui le generazioni che prenderanno il nostro posto su questo pianeta collocheranno la tragedia palestinese nella sua ovvia cornice: quella che ricorda, a eterna memoria, i tremendi genocidi del passato di cui l’umanità si deve vergognare, impegnandosi affinché non accadano mai più.
Le prossime generazioni studieranno il genocidio palestinese sui libri di scuola e, così come noi abbiamo fatto con l’Olocausto, si chiederanno non solo perché i governi lo abbiano permesso, ma anche perché così pochi abbiano mosso un dito per impedirlo. Cosa risponderemo loro? Chi visse durante i grandi genocidi del passato ha abitato tempi in cui si poteva sempre dire di non essere al corrente di quanto stava accadendo o che, comunque, non si riusciva a percepire in tutta la sua gravità la portata della tragedia. Ma noi sappiamo tutto: conosciamo i numeri di questa carneficina; abbiamo visto in tv e sui social i volti di migliaia di bambini uccisi o traumatizzati; abbiamo visto i soldati dell’esercito carnefice giocare tra le case e le scuole distrutte, ridendo dei sogni spezzati di migliaia di bambini.
Sembra che il perdurare di questo massacro renda molte persone più indifferenti: «Anche oggi 40 morti in una scuola bombardata? Non se ne può più di queste immagini, cambio canale». Se, quando la Storia verrà a chiederci dove eravamo durante il genocidio palestinese, vorremo avere una risposta degna, da esseri umani, è ora di rimboccarsi le maniche. Le cose che si possono fare sono tante, basta superare la solita passività da social network.
In tutte le città sono attivi gruppi per la Palestina, è tempo di unirsi a loro. A Gaza sono ancora attive, tra mille difficoltà e rischi, organizzazioni dal basso che aiutano i civili, come l’italiana SOS Gaza: una piccola donazione mensile può servire a tanto. E poi c’è il boicottaggio economico: il governo israeliano ne è terrorizzato al punto da aver inserito, da anni, i gruppi che lo promuovono nella lista delle organizzazioni terroristiche. È ora di andare a fare la spesa con in tasca l’elenco dei prodotti da non acquistare, quelli dei marchi che collaborano attivamente con le politiche israeliane. Non è difficile: all’inizio richiede un minimo sforzo di organizzazione e memoria, poi quella ventina di loghi ti si fissa nella mente ed evitarli diventa naturale. La lista completa è disponibile sul sito bdsitalia.org (ma anche, in versione ridotta ma piuttosto esaustiva, in questo articolo pubblicato su L’Indipendente) e osservarla può cambiare molto, perché nessuna politica di prepotenza può continuare se si prosciugano i fondi economici che la tengono in vita.
[di Andrea Legni – direttore de L’Indipendente]
Questo editoriale apre il Monthly Report di ottobre 2024, il mensile de L’Indipendente, che è disponibile per gli abbonati e in vendita a questo link.
Nuovi attacchi a Gaza, 20 morti, USA: “Incidente orribile”
Nuovi bombardamenti israeliani si sono abbattuti sulla Striscia di Gaza uccidendo almeno 20 persone, di cui 8 a Beit Lahiya. Lo riferiscono i medici palestinesi alle agenzie di stampa internazionali, aggiungendo che il bilancio delle vittime dei raid di martedì a Beit Lahiya è salito oltre i 93 decessi. L’attacco ha suscitato anche la reazione di Washington: il portavoce Matt Miller ha definito l’attacco «un incidente orribile con un risultato orribile», aggiungendo che l’amministrazione Biden ha contattato il governo israeliano per chiedere spiegazioni. L’operazione è stata commentata anche dalla Francia, che ha «fermamente condannato» l’attacco in cui «sono morte quasi 100 persone, tra cui donne e bambini».
Australia, annunciata una “nuova età missilistica”
Il ministro dell’Industria della Difesa australiano, Pat Conroy, ha annunciato un piano per potenziare la capacità missilistica di difesa del Paese, accompagnato da un incremento nello stoccaggio di armi e nelle esportazioni verso Paesi alleati. L’annuncio di una nuova «età missilistica» per l’Australia arriva dopo una serie di test balistici condotti dalla Cina nel Pacifico, rispetto ai quali Conroy ha «espresso notevole preoccupazione». Il ministro ha spiegato che la decisione di avviare il nuovo programma deriva proprio da preoccupazioni legate alla Cina: «Perché abbiamo bisogno di più missili? La competizione strategica tra Stati Uniti e Cina è una caratteristica primaria del contesto di sicurezza australiano», ha detto in conferenza stampa.
Studente morto durante lo stage: arrivano le condanne in primo grado
Sono state emesse le condanne di primo grado per la morte di Lorenzo Parelli, 18enne deceduto in azienda a Lauzacco (Udine) nel gennaio 2022 durante il suo ultimo giorno di stage PCTO (percorso di alternanza scuola-lavoro), schiacciato da una putrella. Claudio Morandini, l’operaio affiancato a Lorenzo che si era allontanato dalla sua postazione, è stato condannato a tre anni di reclusione, mentre Emanuele De Cillia, tutor aziendale, ha ricevuto due anni e quattro mesi. L’imprenditore Pietro Schneider ha patteggiato tre anni, mentre la sua azienda ha ricevuto una sanzione di 23.000 euro. Nel 2022 ebbero luogo numerose proteste studentesche contro l’alternanza scuola-lavoro, culminate in occupazioni, manifestazioni e interventi delle forze dell’ordine.
Spagna, Comunità Valenciana in ginocchio per l’alluvione: almeno 200 morti, centinaia i dispersi
Secondo i dati aggiornati alla mattina del due ottobre sono almeno 205 i morti accertati dopo che le violente piogge si sono abbattute il 29 ottobre lungo la costa orientale della Spagna, colpendo in particolare la città di Valencia e i dintorni. I numerosi video circolati sui social mostrano i fiumi d’acqua che hanno inondato la città, trascinando via veicoli e persone. Molte di queste hanno cercato di arrampicarsi sugli alberi per mettersi in salvo. I piani inferiori delle attività commerciali sono stati completamente allagati e decine di clienti e dipendenti sono rimasti intrappolati al loro interno, cercando rifugio ai piani superiori degli edifici. Le persone attualmente disperse sarebbero circa 1.300, il bilancio è quindi destinato ad aggravarsi drasticamente. Alcuni Comuni, come quello di Utiel, sono stati completamente sommersi dall’acqua. I vigili del fuoco e la polizia nazionale sono dovute intervenire anche per aiutare le persone intrappolate nei loro veicoli lungo l’autostrada V-31 a mettersi in salvo. Le autorità hanno esortato i cittadini a non intraprendere alcun tipo di viaggio su strada e ad attendere gli aggiornamenti ufficiali.
Le piogge si sono intensificate nella serata di martedì intorno alle 22, quando i mezzi di trasporto locali hanno interrotto il servizio fino a nuovo avviso e alcuni alloggi hanno iniziato ad essere invasi dall’acqua. La causa è un DANA (Depressione Isolata ad Alti Livelli), ovvero un fenomeno atmosferico che si verifica quando una massa d’aria fredda in quota si isola dal flusso principale, formando una depressione chiusa che genera un contrasto con l’aria calda e umida presente a basse quote, dando il via a piogge abbondanti. Si tratta di un fenomeno tipico della Spagna e della zona del Mediterraneo Occidentale. Sono almeno 400 i mm di pioggia caduti nel corso della nottata. Il governo spagnolo ha istituito un comitato di crisi urgente, mentre messaggi di solidarietà sono arrivati anche dalla famiglia reale. Carlos Mazon, presidente della Regione, ha cercato di rassicurare la popolazione e riferito l’attivazione di un numero di emergenza per denunciare la scomparsa di persone o familiari. In molti, tra coloro che si trovavano in situazione di emergenza, hanno lanciato richieste di aiuto su X, dopo non essere riusciti a contattare le linee di emergenza. Interventi di salvataggio sono stati necessari anche a Cartama, nei pressi di Malaga, dove le piogge hanno fatto salire pericolosamente il livello del Rio Guadalhorce.
[di Valeria Casolaro]
Nelle carceri italiane ci sono 62mila detenuti, il numero più alto da oltre dieci anni
Il numero di detenuti all’interno delle carceri italiane ha superato le 62mila unità, facendo segnare il dato più alto da quando, nel 2013, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato il nostro Paese per i trattamenti inumani e degradanti generalizzati all’interno delle case circondariali dello Stivale. È quanto ha reso noto in un comunicato l’associazione Antigone, aggiungendo che, nonostante i posti disponibili conteggiati dal Ministero della Giustizia siano 51.196, soltanto nell’ultimo anno la popolazione carceraria è cresciuta di quasi 3mila unità. Mentre la situazione, dati e cronache alla mano, appare su vari fronti sempre più insostenibile, con il recente suicidio di un uomo nel carcere di Prato è salito a 77 il numero dei detenuti che si sono tolti la vita all’interno delle prigioni italiane dall’inizio dell’anno.
Nella sua nota, l’associazione Antigone – impegnata da decenni nella battaglia per la tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario italiano -, denuncia che «le politiche governative, a partire dal ddl sicurezza, non fanno altro che spingere il sovraffollamento carcerario», chiedendo dunque «di bloccarne l’approvazione» e di «prendere immediati provvedimenti al fine di ridurre il numero di persone detenute e garantire la legalità del sistema penitenziario, dove oggi ci sono 15.000 persone che non hanno un posto regolamentare», nonché «condizioni di lavoro dignitose per gli operatori». L’associazione ha poi evidenziato come in 23 delle 73 carceri visitate nell’ultimo anno «sono state trovate celle che non rispettavano il parametro minimo dei 3mq», condizione «riconosciuta dagli stessi Tribunali di Sorveglianza italiani che sistematicamente condannano l’Italia». Nell’arco dello scorso anno, infatti, su 9.574 istanze per sconti di pena ne sono state decise 8.234 e, di queste, 4.731 (il 57,5%) sono state accolte. La situazione interna alle carceri rimane allarmante anche per il numero di suicidi. Negli scorsi giorni, nel carcere della Dogaia di Prato si è infatti verificato l’ennesimo suicidio – il quarto dall’inizio dell’anno all’interno della struttura –, portando a 77 il numero di detenuti che hanno scelto di mettere fine alla propria vita nel 2024. L’uomo, un cinquantenne italiano con fine pena fissata al 2030, si è impiccato nella sua cella e a nulla sono valsi i soccorsi degli operatori della polizia penitenziaria e dei medici. Nel 2023 erano stati almeno 70 i suicidi all’interno delle mura carcerarie, il numero più elevato mai registrato dopo quello del 2022. Il 2024 si chiuderà dunque registrando una situazione ancora più allarmante.
Nel 2013, con la cosiddetta “sentenza Torreggiani”, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) – organo giurisdizionale internazionale – aveva condannato il nostro Paese proprio a causa del sovraffollamento delle carceri. La pronuncia, arrivata in seguito a sette ricorsi depositati da altrettanti detenuti dei penitenziari di Busto Arsizio e di Piacenza e aventi ad oggetto le pessime condizioni con cui lamentavano di aver fatto i conti in carcere, aveva infatti non solo riconosciuto loro il diritto al risarcimento per i danni morali, ma anche giudicato incompatibile la situazione carceraria italiana con l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (che vieta la tortura e le pene o i trattamenti inumani o degradanti). Oltre a ritenere sostanzialmente inaccettabili le condizioni carcerarie dei ricorrenti, la Corte aveva infatti constatato che il sovraffollamento carcerario in Italia non riguardasse «esclusivamente i casi dei ricorrenti», definendolo come un problema di carattere «strutturale e sistemico». A quanto pare, però, a distanza oltre un decennio dalla sentenza le condizioni carcerarie continuano ad essere estremamente critiche. A riprova basta consultare il rapporto pubblicato lo scorso aprile da Antigone, dal titolo “Nodo alla gola”, che ha attestato il netto peggioramento della situazione legata al tasso di sovraffollamento carcerario, che risultava vicino a una media del 120% a livello nazionale, con picchi di oltre il 200% in due strutture della Lombardia.
[di Stefano Baudino]