Almeno 66 palestinesi, la maggior parte donne e bambini, sono rimaste uccise a causa di un violento attacco dell’esercito israeliano verificatosi all’alba nel nord di Gaza. I bombardamenti hanno colpito e distrutto un intero isolato nei pressi di un ospedale nella città di Beit Lahia. Lo riportano media palestinesi e al Jazeera, che parlano anche di un centinaio di feriti e di numerosi dispersi. L’agenzia Wafa ha parlato di un «orribile massacro». I media riferiscono anche di altri attacchi avvenuti nelle stesse ore a Gaza, con un bilancio complessivo che è salito ad almeno 88 morti.
UK e Moldavia firmano un accordo di difesa in ottica “antirussa”
Il Regno Unito e la Moldavia hanno siglato un accordo di cooperazione nella difesa per contrastare le “minacce provenienti dalla Russia” e “rafforzare la sovranità moldava”. A darne notizia è l’Ufficio degli Esteri britannico, che in una nota spiega come l’accordo sia stato firmato durante la visita del ministro degli Esteri britannico, David Lammy, a Chisinau. Il nuovo partenariato in materia di difesa e sicurezza prevede un finanziamento di 2 milioni di sterline al dipartimento di cybersicurezza moldavo, 5 milioni per i rifugiati ucraini in Moldavia e oltre mezzo milione destinato alla lotta alla corruzione. L’accordo include anche una collaborazione per il contrasto all’immigrazione irregolare.
Gli USA pongono il veto sulla bozza Onu per la tregua a Gaza
La bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu preparata dai 10 membri non permanenti che chiedeva un «cessate il fuoco immediato, incondizionato e permanente» ed il rilascio di tutti gli ostaggi è stata bloccata dal veto degli Stati Uniti, posto perché, da quanto si apprende, la risoluzione “non affronterebbe in modo sufficiente il rilascio degli ostaggi” in mano ad Hamas. Il veto americano è stato anche l’unico voto contrario alla risoluzione, che aveva ottenuto ben 14 voti favorevoli sui 15 totali.
Commissione Covid alla Camera: sindacato di polizia si scusa per la repressione di Trieste
C’è tanta voglia di «far emergere la verità e che venga fatta giustizia», l’esigenza «di chiedere scusa a tutti i cittadini italiani» per quanto subito nel periodo pandemico e il particolare riferimento a quanto accaduto ai portuali di Trieste il 18 ottobre 2021, quando «gli idranti della Polizia di Stato sono stati utilizzati su manifestanti inermi seduti in preghiera»: si possono riassumere così i punti salienti dell’intervento di Antonio Porto, segretario nazionale del sindacato di Polizia OSA ascoltato presso la Commissione d’inchiesta parlamentare sulla gestione Covid-19. Il portavoce ha aggiunto che durante la pandemia sarebbero emerse le prove che delineerebbero come, in alcuni casi, sia stata netta la «divergenza tra realtà e quanto comunicato attraverso i media», che mostrerebbero che alcuni vaccini inoculati erano «sperimentali e senza studi» e che le linee guida diramate non erano ottimali, aggiungendo che «le procure non hanno fatto quello che dovevano fare».
L’audizione si è aperta con la dichiarazione iniziale del segretario Antonio Porto, che ha affermato: «Nasce in me, in quanto rappresentante di OSA polizia l’esigenza di dover chiedere scusa a tutti i cittadini italiani per quanto hanno subito in quel periodo per opera e volere della loro istituzione governativa, perché appare chiaro oggi che l’incontrollata emanazione di provvedimenti amministrativi governativi ha sconfinato nell’eccesso di potere e nella violazione contestuale dei diritti costituzionali inviolabili limitabili solo a date condizioni e per riserva di legge». Il crescendo di tali ordini eccentrici avrebbe generato una «vera e propria frattura» tra forze dell’ordine e popolo, che si sarebbe palesata con quanto accaduto ai portuali di Trieste: «Emblematico è ciò che è accaduto a Trieste il 18 ottobre 2021, quando gli idranti della polizia di Stato sono stati utilizzati sugli inermi manifestanti seduti in preghiera. Tale fatto costituisce l’apice di una pagina buia della storia della democrazia italiana, perché non si conosce ancora – né pare interessi a nessuno – sapere chi diede l’ordine di usare la forza contro un dissenso talmente pacifico e simbolico che avrebbe meritato di sicuro la levata dei caschi e non certamente la carica». Il tutto mentre, d’altra parte, non sarebbe stato fatto abbastanza per tutelare la salute degli agenti, in quanto sarebbero state distribuite mascherine «inadeguate, inefficaci e addirittura dannose per la salute dei poliziotti», in aggiunta alle lacune riguardanti la distribuzione dei termoscanner e alla sanificazione degli uffici. Infine, secondo quanto dichiarato esisterebbero prove che mostrerebbero come, almeno all’inizio della campagna vaccinale, alcuni agenti sarebbero stati inoculati con farmaci «sperimentali e senza studi» e, anche per questo, servirebbe indagare su quanto svolto dall’ex ministro Roberto Speranza.
In seguito, il senatore leghista Claudio Borghi ha chiesto al segretario se le perplessità riguardanti l’irragionevolezza di alcune disposizioni diramate durante il periodo pandemico siano mai state comunicate ai vertici delle forze dell’ordine, e Porto ha risposto che, «purtroppo», molti hanno dovuto obbedire: «Bisognava andare per vie gerarchiche e gli ordini erano quelli. Qualcuno è anche stato punito disciplinarmente». Successivamente, la deputata di Fratelli d’Italia Alice Buonguerrieri ha chiesto se quanto riferito fosse stato segnalato alle istituzioni governative e, se si, quale tipo di riscontro c’è stato. «È stato fatto all’interno delle procure, perché la competenza era loro, ma il problema è che le procure non hanno fatto quello che dovevano fare», ha risposto Porto, che ha continuato con un esempio: «Nel primo periodo non c’erano neanche i tamponi. Si portava in auto un fermato che magari a livello di igiene non era il massimo, non sapendo se infetto o meno, e l’auto non veniva sanificata subito dopo, ma utilizzata da altri operatori». Infine, il segretario ha concluso denunciando la confusione creata dalle linee guida e dai Dpcm diramati in quel periodo e citando alcuni dati sui contagi raccolti: «Dall’inizio della pandemia al 9 febbraio 2022 sono stati registrati 25.820 contagi, mentre dal 15 dicembre 2021 – quindi dal giorno dell’obbligo vaccinale – alla stessa data 9 febbraio 2022 abbiamo avuto 12.688 contagi. Quindi in due mesi abbiamo avuto quasi il 50% di contagiati sul totale di due anni», i quali, visto il periodo, erano vaccinati con tre dosi di vaccini anti Covid.
[di Roberto Demaio]
L’Ucraina avrebbe usato per la prima volta missili UK su territorio russo
L’Ucraina avrebbe usato per la prima volta i missili britannici Storm Shadow su territorio russo. A riportare la notizia è il quotidiano britannico The Telegraph, diffondendo le testimonianze fotografiche degli abitanti del villaggio di Marino, nella regione del Kursk. Un’ulteriore conferma arriverebbe da Bloomberg, che cita un anonimo funzionario occidentale. Il via libera all’Ucraina per utilizzare armi britanniche su territorio russo dovrebbe essere stato rilasciato lunedì 18 novembre, poco dopo l’analoga concessione rilasciata da Biden a Kiev. Nella stessa giornata, l’Ucraina sembra aver utilizzato missili statunitensi ATACMS per colpire obiettivi in territorio russo. Secondo molti, queste concessioni aumenterebbero il rischio escalation, specialmente dopo la nuova dottrina nucleare approvata dalla Russia.
Ministri europei tutti d’accordo: il debito comune va bene solo se serve ad armarsi
I ministri degli Esteri di Germania, Francia, Polonia, Italia, Spagna e Regno Unito si sono incontrati ieri 19 novembre a Varsavia, dove hanno concordato sulla necessità di istituire un debito comune per la Difesa, con l’obiettivo, precedentemente fissato, di raggiungere il 2% del PIL in spese militari. «È la prima volta, qui a Varsavia, che i cinque paesi più grandi dell’Unione europea si esprimono a favore degli obblighi europei in materia di difesa» ha affermato il ministro degli Esteri polacco Radosław Sikorski, ritenendo la concordanza sul tema «una svolta molto importante». Gli eurobond, dunque, sono ben visti solo per armare l’Europa contro la presunta minaccia russa, mentre per tutte le altre spese, i titoli di debito comune sono da sempre osteggiati dai cosiddetti rigoristi europei – i Paesi del nord, tra cui Germania, Olanda e Austria – che ritengono che ciò avvantaggi ingiustamente i Paesi considerati meno virtuosi finanziariamente, in particolare quelli dell’area mediterranea come Spagna, Italia, Grecia e Portogallo. Per la spesa militare, invece, questo problema non si porrebbe, in quanto – come dichiarato nel comunicato congiunto rilasciato ieri (19 novembre) – i capi della diplomazia UE ritengono un “imperativo rafforzare la Nato aumentando le spese per la sicurezza e la difesa, in linea con gli impegni assunti in precedenza”.
In realtà, la spesa del 2% del PIL risulta già obsoleta perché nell’incontro a Varsavia i ministri europei hanno ritenuto che sia necessaria una cifra addirittura superiore a quella del 2%, a causa dell’escalation con la Russia, che i Paesi europei considerano una minaccia. La riunione a Varsavia era un incontro del cosiddetto “triangolo di Weimar” (composto da Francia, Germania e Polonia), allargato anche a Italia, Spagna e Regno Unito, a cui era presente anche la prossima Alta rappresentante Ue per la politica estera Kaja Kallas, feroce falco antirusso e ex premier estone.
L’intenzione di emettere eurobond per la sicurezza va letta soprattutto in vista della diminuzione dell’impegno degli Stati Uniti nel conflitto europeo con l’imminente insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Commentando l’intenzione del presidente eletto di porre fine alla guerra, Sikorski ha dichiarato che “imporre all’Ucraina soluzioni pacifiche contrarie ai suoi interessi o prive di accettazione sociale avrebbe effetti negativi sulla stabilità del Paese”. I ministri hanno quindi evidenziato la necessità di rafforzare ulteriormente il sostegno militare, economico e finanziario all’Ucraina, e hanno ribadito che una pace duratura «può essere negoziata solo con l’Ucraina, con i partner europei, americani e del G7 al suo fianco». L’idea del debito comune per la Difesa appare quindi un modo per sopperire al possibile venire meno degli USA nell’appoggio a Kiev. Particolarmente entusiasta della proposta è stato il governo italiano, da sempre favorevole agli eurobond (non solo limitati alla Difesa), al contrario della Germania e altri “falchi” del nord, in quanto gli permetterebbe di usufruire di tassi d’interesse agevolati. «Oggi abbiamo elaborato una strategia. È la strategia di sostenere la difesa europea, di avere gli Eurobond […] Dobbiamo andare avanti», ha affermato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, seguito a stretto giro da quello della Difesa, Guido Crosetto, secondo il quale gli eurobond sono “un’idea da accogliere con favore”, perché “garantirebbero in modo europeo l’indebitamento delle nazioni” per raggiungere l’obiettivo Nato del 2% del Pil.
Gli eurobond sono strumenti finanziari che permetterebbero ai Ventisette Stati membri dell’Unione di emettere titoli di debito comune sui mercati internazionali per sostenere spese e investimenti nel settore della difesa. La proposta era già in discussione dalla scorsa estate, ma i capi Ue avevano rimandato la decisione sui finanziamenti congiunti al 2025, sotto l’egida del nuovo esecutivo comunitario, soprattutto a causa della contrarietà di Paesi quali Danimarca, Svezia, Paesi Bassi e Germania. Considerata però la scarsità di risorse europee e il probabile abbandono della causa ucraina da parte degli USA, gli Stati europei hanno ora deciso di seguire quella che è anche una raccomandazione del rapporto Draghi, in cui la sicurezza, insieme a digitalizzazione e passaggio alle rinnovabili, ha un ruolo centrale. Per rendere competitiva l’Ue, secondo l’ex presidente della BCE, occorre una cifra pari al doppio del Piano Marshall, vale a dire investimenti annuali fino a 800 miliardi di euro. Per ricavare queste risorse, Draghi invita esplicitamente a istituire un debito comune. Fino ad ora però le raccomandazioni dell’ex banchiere e ex presidente del Consiglio italiano pare siano state recepite solo per quanto riguarda il settore della difesa, un ambito su cui l’ex uomo di Goldman Sachs ha molto insistito.
Ciò mette in luce come l’UE sia governata da ben precisi interessi e come alcune nazioni abbiano maggior peso decisionale di altre: si è trovata una provvisoria intesa sugli Eurobond per la difesa, infatti, perché i falchi del Nord, tra cui Svezia, Polonia e Germania, sono anche alcuni tra i più accaniti “russofobi”. Tuttavia, non c’è la stessa unanimità per altri settori di spesa. Pare, dunque, che l’Ue abbia intrapreso la corsa al riarmo, anche in considerazione dell’imminente arrivo di Donald Trump. In seguito alle intenzioni di investire maggiormente in questo campo, nelle ultime settimane, i titoli europei del settore si sono impennati: il titolo dell’italiana Leonardo SpA è balzato del 17%, mentre il produttore tedesco di armi Rheinmetall AG è salito del 22%. Se da un lato una maggiore indipendenza dagli Stati Uniti per quanto riguarda la sicurezza rappresenta un elemento positivo, dall’altro, l’intesa sui bond europei solo per le spese militari evidenzia le storture del sistema europeo, ma anche la potenziale ulteriore perdita di sovranità delle singole nazioni del Vecchio continente.
[di Giorgia Audiello]
Sciopero di medici ed infermieri: “Adesioni fino all’85%”
I sindacati di medici ed infermieri Anaao-Assomed, Cimo-Fesmed e Nursing up hanno indetto uno sciopero nazionale di 24 ore previsto per oggi, mercoledì 20 novembre. Sarebbero circa 1,2 milioni le prestazioni sanitarie a rischio a causa delle proteste anche in quanto, riferiscono i sindacati, sarebbero state rivelate adesioni «molto alte, fino a punte dell’85% compresi gli esoneri previsti per legge. Un segnale importante che dovrebbe far riflettere sulle condizioni di lavoro inaccettabili negli ospedali e sulla condivisione delle ragioni della protesta». Erano più di mille i manifestanti a Roma che, sotto la pioggia, hanno chiesto «rispetto e dignità» e rimedi a «stipendi bassi, strutture fatiscenti, violenza e assenza di medicina sul territorio».
Un gigante della letteratura e dello spirito: 114 anni senza Lev Tolstoj
114 anni fa nella stazione ferroviaria di Astapovo, nel cuore della taiga russa, moriva Lev Tolstoj. Dieci giorni prima lo scrittore ottantaduenne aveva lasciato la propria casa, in una fuga disperata malgrado il gelido inverno russo. La notizia della fuga rocambolesca di Tolstoj aveva subito raggiunto le orecchie della stampa: cronisti e giornalisti si erano messi sulle sue orme, pubblicando cronache dettagliate dei suoi spostamenti. La polmonite, sopraggiunta all’improvviso, lo costrinse a porre fine a quell’ultimo viaggio. Lev Tolstoj si spense ad Astapovo, e a rendergli omaggio accorsero ricchi e poveri, nobili e contadini, la Russia intera. Per noi occidentali non è sempre facile comprendere il ruolo e il peso che ebbe Tolstoj nella società russa e che ha tutt’ora. E non solo nel mondo russo.
Tolstoj, infatti, non fu soltanto uno dei più grandi scrittori russi mai esistiti. Le sue idee sulla disobbedienza civile e il principio della «resistenza tramite la non violenza» ispirarono Gandhi. Tolstoj fu anche uno dei primi animalisti ante litteram e un convinto anti militarista. «Fino a quando ci saranno i macelli, ci saranno anche i campi di battaglia. La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali.» Nel 1851 sì era unito come volontario nelle truppe russe impegnate nella conquista del Caucaso. Fu allora che diede alla stampe i Racconti di Sebastopoli, un resoconto di quell’inutile sofferenza che gli uomini s’infliggono gli uni contro gli altri e che prende il nome di “guerra”. Memorabili in tal senso le riflessioni del principe Andrej sotto il cielo di Austerlitz in uno dei passi più celebri di Guerra e pace, dove la condanna e il rifiuto della guerra diventano radicali.
Poi a partire dagli anni ‘80 del XIX, quando aveva da poco compiuto cinquant’anni, visse una radicale trasformazione. Si liberò delle sue ricchezze, vendendo il superfluo per darne il ricavato ai poveri, iniziò a indossare la sua caratteristica camicia da contadino con la quale sarebbe stato immortalato in decine di fotografie e di ritratti e si dedicò al lavoro nei campi e a vaste opere di riforme sociali. Nel XIX secolo chi aveva la fortuna di essere ospite a Jasnaja Poljana, non poteva non imbattersi nel padrone di casa con indosso una camicia da contadino e una falce in mano. C’è una scena in Anna Karenina in cui Levin, uno dei personaggi principali, falcia l’erba assieme ai contadini. Anche Tolstoj lo faceva: non disprezzava la fatica fisica o i lavori umili. Discendeva da un’antica famiglia nobiliare, i Volkonskij, ma si rifiutava di avere la servitù. Non sopportava le contraddizioni della sua esistenza, che erano poi le contraddizioni della sua epoca: il divario tra la ricchezza sfrenata dell’aristocrazia e la povertà assoluta del popolo. Le sue idee ispirate ai principi della carità cristiana e della fratellanza dei popoli diedero vita a un vero e proprio movimento spirituale.
Nel corso della sua vita scrisse migliaia di pagine tra romanzi, racconti, opuscoli e pamphlet, visitò le capitali di mezza Europa, costruì ospedali e scuole per i poveri, si sposò, ebbe tredici figli, fondò una casa editrice; fu uno scrittore, un editore, un marito, un padre e un profeta. Alcuni lettori provano un senso di disorientamento leggendo opere tanto diverse tra loro come Anna Karenina e La morte di Ivan Illich. Altri non riescono a spiegarsi il brusco cambiamento vissuto da Tolstoj negli ultimi anni della sua vita. Altri ancora, affascinati dalla straordinaria potenza espressiva di Tolstoj, vorrebbero soltanto mettere assieme i vari ritratti che la storia ci ha consegnato per capire quale dei tanti fosse il vero Tolstoj. Chi era davvero Tolstoj allora?
È il sofisticato uomo di mondo che conversa nei salotti e affascina i suoi ascoltatori. Non appena la conversazione si fa seria, i suoi occhi si animano di un sincero entusiasmo, preso dal puro piacere intellettuale di discutere, dialogare, argomentare. Tolstoj possedeva la capacità d’intessere una sinfonia di parole tanto seducente da affabulare anche gli spiriti più tiepidi.
Quando, stanco dalle chiacchiere mondane, si rifugia a Jasnaja Poljana, torna a essere il patriarca della famiglia che sorveglia i campi, organizza la vita della tenuta e dirige con sguardo paziente la costruzione delle scuole dei contadini, mentre si tiene in contatto con «persone versate in tutti i rami del sapere». Niente lo stimola, lo affascina di più di una conversazione brillante e di un intelletto acuto. Tra i suoi più cari amici annovera il compositore Serjej Tanejev con il quale ama giocare a scacchi e l’impetuoso Maksim Gork’ji, un vero «uomo del popolo», con il quale condivide la consapevolezza che la povertà e la sofferenza vanno combattute. Era solito dire: «se senti dolore sei vivo, ma se senti il dolore degli altri sei umano.» Lev ha sempre avuto il dono – scriveva sua cugina Aleksandra – di sentire tutto con una forza sconvolgente.
Fu così che conobbe Anton Cechov che poi diverrà il più celebre scrittore teatrale russo del XIX secolo. Si incontrarono in Crimea; dove Cechov tentava invano di curare la tubercolosi che lo affliggeva dall’età di vent’anni. Tolstoj prende sotto la sua ala questo giovane agile, snello, immancabilmente gentile, dallo sguardo triste, capace, però, di animarsi all’improvviso con un lampo d’ironia dietro le lenti del pince-nez; ama leggerne i racconti e fargli da padrino negli ambienti letterari.
Scrittori, compositori, musicisti, pittori, filosofi si uniscono alla comitiva di figli, nipoti, amici che pranzano a Jasnaja Poljana. Tolstoj è il generoso anfitrione, maestoso nella comoda blusa stretta in vita da una corda e le calosce ai piedi, che dà il benvenuto ai viaggiatori che si spingono fino alle porte di Jasnaja Poljana. Presiede i pranzi, le cene, consapevole di essere il perno di questo grande movimento di intelletti che non possono fare a meno di gravitargli attorno.
Alle volte però questa sovrabbondanza d’idee, quest’intensa vitalità dello spirito gli si rivoltava contro. «Mi capitava dapprima di avere dei momenti di perplessità, come se la vita si arrestasse e io non sapessi più come vivere né cosa fare e così mi smarrivo e cadevo preda dello sconforto. (…) Questi arresti della vita si manifestavano sempre sotto l’aspetto delle medesime domande: perché? E poi?»
La sera s’immerge nei libri e torna ad essere il pensatore solitario. Legge avidamente, spinto dall’urgenza di quelle domande che gli battono le tempie «e bisognava rispondervi subito, e se non vi rispondevo, non avrei più potuto nemmeno vivere». I personaggi di Tolstoj si domandano continuamente cosa sia il bene e cosa sia il male perché Tolstoj si poneva continuamente queste domande. Il credente appena nato, il pensatore pieno di dubbi e il riformatore spirituale si battagliano nella sua anima ed è a questo periodo che risalgono le sue opere più cupe e tormentate come La morte di Ivan Illich, Padre Sergej e La confessione.
Ma la vera felicità Tolstoj la assapora soltanto quando contempla la natura ed è immerso nella natura: «la bellezza mi accecava e mi prendeva d’improvviso con forza inaspettata. (…) e mi diventava gioioso vivere.» Ecco perché le pagine più belle delle sue opere sono dedicate proprio alla descrizione di un boschetto o di una foresta innevata, ed ecco anche perché divenne il portavoce di un ideale di vita non antropocentrico e rispettoso di ogni essere vivente.
Tuttavia non ci si può fare a meno di domandarsi quale dei tanti Tolstoj sia quello autentico. La risposta a questa domanda è molto semplice e molto complessa: era tutti e nessuno. Il sofisticato uomo di mondo, il generoso anfitrione dalla voce suadente e garbata, il pensatore solitario dominato da un’insaziabile curiosità, l’artista visionario, e il riformatore spirituale si fondono nell’immagine di questo vecchio dalla fluente chioma bianca, che sfoggia una virilità ascetica, senza un filo di grasso addosso, come se qualsiasi mollezza fosse stata consumata per alimentare quella fornace di passione che aveva messo in ogni cosa.
Tolstoj cioè è l’uomo che ha fatto esperienza di tutto, che ha vissuto ogni cosa, che non ha tralasciato d’indagare e assaporare ogni aspetto della vita, materiale, morale, emotiva, spirituale. Un intellettuale insomma che merita di essere definito un gigante, davanti al quale la nostra contemporaneità non può non impallidire ma anche cercare di trarre uno stimolo per sollevarsi dalla sua inerzia.
[di Guendalina Middei, in arte Professor X]