L’America Latina è un continente di superlativi, una terra in cui la natura ha dispiegato tutta la sua potenza e creatività. Estesa tra due oceani e attraversata dall’Equatore, questa vasta regione abbraccia un mosaico di ambienti che vanno dalle cime innevate delle Ande alle profonde foreste pluviali dell’Amazzonia, passando per i deserti aridi del Cile settentrionale e le savane del Cerrado brasiliano. Questa diversità geografica è il risultato di una storia geologica complessa, un intreccio di placche tettoniche prima e di fenomeni erosivi poi che, nel corso di milioni di anni, hanno dato o...
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Un gruppo di cittadini toscani ha lanciato una campagna per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni riguardo alle recenti modifiche alla legislazione venatoria della Regione Toscana. In un’email indirizzata alla Giunta Regionale e alla Coldiretti Toscana, e inoltrata alla redazione de L’Indipendente, i promotori hanno espresso preoccupazione per la gestione della fauna selvatica, in particolare a causa delle misure recentemente adottate dall’amministrazione contro i cinghiali e altre specie, avallate e promosse dalla principale organizzazione degli imprenditori agricoli. Il fulcro della protesta è la percezione di un approccio «anacronistico» e «retrogrado» nei confronti della fauna locale, alimentato da recenti modifiche alla normativa promosse da esponenti leghisti e immediatamente recepite dalla Giunta regionale, di opposto colore politico. Esse ampliano infatti il periodo di caccia in braccata ai cinghiali, introducendo pratiche come il foraggiamento attrattivo e l’utilizzo di visori notturni. Una forma di caccia che, sottolineano i promotori, fino a poco tempo fa «era raffigurabile come “bracconaggio”».
Le recenti decisioni, tra cui spiccano le deroghe previste dal Calendario Venatorio 2024-2025, hanno sollevato critiche soprattutto per il loro impatto sulla biodiversità e sulla sicurezza dei cittadini. «Scordiamoci le categorie “destra cattivi” e “sinistra buoni”», hanno scritto i promotori, puntando il dito contro «la Giunta “rossa” (di sangue) capitanata dalla vicepresidente Saccardi», che «sta portando avanti una vera e propria politica di massacro verso gli ungulati», autorizzando «preaperture ed eccezioni sempre a discapito degli animali». Secondo gli scriventi, infatti, l’attuale Giunta Regionale, guidata dalla vicepresidente Stefania Saccardi, ha adottato una linea che favorisce gli interessi agricoli a scapito dell’ecosistema. I promotori dell’iniziativa attaccano una Giunta che, a loro dire, «partecipa i tavoli decisionali portati avanti quasi sotto dettatura di Coldiretti Toscana, che ha dato vita a “campagne d’odio” vere e proprie verso la fauna autoctona», come dimostrerebbe il fatto che «i cinghiali sono criminalizzati in modo assurdo e stanno andando incontro ad uno sterminio». Gli stessi residenti, secondo i firmatari, rischiano infatti la loro incolumità poiché la caccia viene estesa anche in orari notturni, creando situazioni potenzialmente pericolose per chi vive o possiede terreni nelle aree boschive.
Chiedendo di considerare alternative alla caccia indiscriminata, che vadano oltre gli interessi agricoli e rispettino i principi di salvaguardia della fauna previsti dalla legge, nella mail i promotori pongono due quesiti fondamentali alla presidente Saccardi ed ai dirigenti Scalacci e Ferretti: «Chi tutela le opinioni e gli interessi di tutti gli altri cittadini che non sono né iscritti a Coldiretti e né iscritti a Federcaccia, dal momento che le decisioni suoi calendari venatori (e tutte le enormi conseguenze che le stesse implicano per cittadinanza e ecosistema) seguono trattative che avvengono tra esclusive parti di categoria? Quali misure sono state prese per la sicurezza di chi, possedendo terreni e boschi privati, pagandone gli oneri dovuti ed avendo il diritto di recarvisi come e quando vuole, rischia la propria incolumità ora anche di notte?». I cittadini richiedono, dunque, «una posizione chiara della Giunta Regionale dato il proprio ruolo pubblico di rappresentanza istituzionale che si basa sul rispetto della Costituzione stessa come fonte sovraordinata».
La protesta non si limita alla sola difesa dei cinghiali. Si segnala infatti anche il rischio di declassamento del lupo, specie protetta in Italia, che potrebbe diventare oggetto di abbattimenti straordinari per ridurre la sua popolazione, come richiesto da alcune associazioni agricole. La Coldiretti Toscana ha infatti manifestato un sostegno esplicito all’apertura delle cacce al lupo, suscitando sdegno tra gli ambientalisti. Gli attivisti sostengono che una simile politica sia in palese contraddizione con la recente modifica dell’articolo 9 della Costituzione Italiana, che impone la tutela dell’ambiente e della biodiversità. La campagna di sensibilizzazione invita i cittadini a esercitare una pressione collettiva per rivedere le politiche ambientali della Regione.
Le autorità irachene hanno dichiarato di avere ucciso nove membri del gruppo dello Stato Islamico nel Paese «tra cui il cosiddetto governatore del gruppo in Iraq», individuato in Jassim al-Mazrouei Abu Abdel Qader. Secondo quanto comunicano le forze di sicurezza irachene, al-Mazrouei aveva assunto il controllo del gruppo in Iraq da meno di un anno. L’operazione si è svolta sui Monti Hamrin, un crinale montuoso nel nord-ovest del Paese che da anni viene considerato una delle roccaforti di Daesh in Iraq. Anche gli Stati Uniti hanno preso parte all’uccisione, fornendo supporto tecnico alle forze irachene.
Secondo un nuovo rapporto di Imaflora, il disboscamento illegale nell’Amazzonia brasiliana è aumentato del 19% nell’ultimo anno. Tra agosto 2022 e luglio 2023 sono stati disboscati illegalmente circa 126.000 ettari di foresta. Inoltre, le immagini satellitari analizzate mostrano che un terzo di tutto il legno abbattuto negli ultimi due o tre anni proviene da fonti illegali. La deforestazione illegale, oltre a degradare le foreste, rappresenta una grave minaccia per le popolazioni indigene, dato che il 16% del legno tagliato illegalmente in Amazzonia è in terre indigene.
Inizia oggi, 22 ottobre, nella città russa di Kazan, l’atteso vertice dei BRICS, che si presenta come un evento chiave per dare forma a un nuovo ordine internazionale caratterizzato dal multipolarismo, in opposizione al sistema unipolare che ha finora dominato gli equilibri geopolitici globali. Il vertice promette così di configurare un nuovo ordine “post-americano”, nonostante l’eterogeneità dei membri del gruppo. Quest’ultimo, composto da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – a cui si sono aggiunti quest’anno anche Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti (BRICS+) – rappresenta il 45% della popolazione mondiale e il 23% della ricchezza globale, oltre al 16% del commercio internazionale. Al vertice di Kazan, che si svolgerà fino al 24 ottobre sotto la presidenza di turno russa, parteciperanno delegazioni di 36 nazioni. Molti i capi di Stato presenti; tra i più importanti, il presidente cinese Xi Jinping, il primo ministro indiano Narendra Modi, il presidente iraniano Masoud Pezeshkian e, in veste di osservatore, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva non sarà presente per motivi di salute. A confermare l’importanza del vertice, è prevista la partecipazione del Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres. Tra i principali temi in agenda, lo sviluppo di nuove dinamiche monetarie e finanziarie: il progressivo indebolimento del dollaro negli scambi commerciali globali è infatti, secondo i BRICS, la chiave di volta per ridimensionare l’egemonia statunitense e occidentale sul Pianeta.
Non a caso, tra i primi incontri bilaterali di Putin tenuti a margine della riunione c’è stato quello con la presidente della Nuova Banca per lo Sviluppo dei BRICS, Dilma Rousseff, durante il quale il Capo del Cremlino ha spiegato che l’aumento dei pagamenti nelle valute nazionali ridurrà i rischi geopolitici: «L’aumento dei pagamenti in valuta locale rende possibile ridurre i costi per il servizio del debito, aumentare l’indipendenza finanziaria dei paesi membri dei BRICS e minimizzare i rischi geopolitici, liberando lo sviluppo economico dalla politica, per quanto possibile nel mondo di oggi», ha affermato il presidente russo. Come anticipato anche dall’agenzia di stampa britannica Reuters, al vertice di Kazan si discuterà della creazione di un sistema di pagamento nelle valute nazionali dei BRICS, che includerebbe un nuovo sistema di messaggistica alternativo a quello occidentale SWIFT. Ma soprattutto, verrà discusso uno strumento finanziario internazionale volto a sostenere i paesi membri in periodi di crisi economica, costituendo un’alternativa ai finanziamenti del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Se il primo punto, ossia la creazione di un sistema di pagamento indipendente dal dollaro, è finalizzato a superare l’ostacolo delle sanzioni occidentali, il secondo mira a scavalcare le istituzioni di Bretton Woods, nate all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, su cui poggia l’architettura di potere internazionale dominata dall’Occidente. Questi temi riprendono quelli già affrontati nel vertice del 2023 svoltosi a Johannesburg, in Sudafrica, a conferma del fatto che si tratta di un progetto in divenire che richiederà anni per essere attuato.
Diversi osservatori occidentali hanno fatto notare che l’incontro di Kazan è utilizzato da Mosca come una vetrina per mostrare che gli sforzi occidentali di isolare la Russia non hanno avuto successo e per proporre temi di spiccato interesse per il Cremlino, che non necessariamente coincidono con quelli delle altre nazioni dell’organizzazione, ponendo così l’accento sulle divisioni interne al gruppo. Tuttavia, sebbene i membri dei BRICS e i potenziali candidati siano estremamente eterogenei, alcuni elementi comuni sono abbastanza forti da fornire il collante necessario per dare senso al gruppo: come afferma anche l’autorevole rivista statunitense Foreign Policy (FP), infatti, tutti i membri condividono, in maniera più o meno forte, la necessità di riaffermare la sovranità come principio organizzativo delle relazioni internazionali, così come il desiderio di sfuggire al dominio del dollaro. Inoltre, tutti “prevedono un mondo in cui un Occidente in declino non è più l’unico potere, rendendo necessario prepararsi, se non affrettarsi, a ciò che verrà dopo”.
Gli elementi di divergenza riguardano le posizioni di India e Brasile rispetto agli altri membri fondatori: mentre Nuova Delhi e Brasilia vedono il gruppo più come una piattaforma economica per promuovere scambi commerciali più equi, soprattutto Russia, Cina e Iran lo vedono come un’opportunità non tanto per prepararsi a ciò che verrà dopo il possibile declino dell’egemonia statunitense, quanto per accelerarlo. La posizione esplicitamente antioccidentale non sarebbe del tutto condivisa da India e Brasile. Inoltre, la storica conflittualità tra India e Cina può creare spaccature importanti all’interno del blocco. Tuttavia, proprio in questi giorni, i due Paesi hanno annunciato un importante accordo sui confini, che porrebbe fine allo stallo nel Ladakh orientale, migliorando le relazioni tra le due nazioni.
Indipendentemente dalle divergenze, il gruppo – nato nel 2006 con l’acronimo BRIC coniato dall’economista Jim O’Neill – è in rapida espansione e sempre più Paesi, dall’Azerbaigian alla Palestina, da Cuba alla Siria, stanno chiedendo di aderire al blocco, non solo per le attraenti prospettive politico-economiche, ma anche perché si propone di costruire un ordine internazionale più equo con cui bilanciare lo strapotere occidentale, che per decenni – attraverso i diktat neoliberisti – ha soffocato la crescita del Sud globale.
Di Theodore Kaczynski si è scritto tanto, eppure quasi mai si è dato spazio alla sua produzione teorica e letteraria. Troppo oltraggioso e politicamente scorretto pubblicare gli scritti del celebre “Unabomber”, l’eremita ed ex ricercatore universitario laureato ad Harvard, che per diciotto lunghi anni, dal 1978 al 1995, terrorizzò gli Stati Uniti con i suoi pacchi bomba. Un vuoto che ora colma la battagliera casa editrice “D Editore“, per i cui tipi esce oggi ‘Colpisci dove più fa male – Saggi per una rivoluzione a venire’. Una raccolta di scritti, molti dei quali inediti in Italia, per la maggior parte vergati durante la detenzione nel carcere di Florence, in Colorado, dove scontava un ergastolo a cui pose fine il 10 giugno 2023, impiccandosi con un laccio delle scarpe. Si tratta di lettere e saggi in cui analizza quello che era l’obiettivo che si prometteva di combattere con i suoi attentati: la “società tecnologico-industriale”. E se è vero che il sangue versato da Kaczynski rimarrà indelebile, lo stesso vale per la lucida attualità dei suoi scritti, capaci ancora oggi di offrire spunti di riflessione sull’intreccio tra società umana e tecnologia. Per questo accogliamo volentieri la proposta dell’editore di pubblicare, integralmente e in esclusiva per i lettori de L’Indipendente, il saggio che dà il titolo all’intera opera: Colpisci dove più fa male, scritto nel 2002. Buona lettura.
“Colpisci dove più fa male”, di Theodore Kaczynski, 2002:
“Lo scopo di questo è di sottolineare un principio molto semplice del conflitto umano, un principio che gli avversari del Sistema tecnologico-industriale sembrano aver trascurato. Il principio di cui sto parlando è che in ogni forma di conflitto, se punti alla vittoria, devi colpire dove più fa male. Mi sento in dovere di spiegare che quando parlo di “colpire dove più fa male”, non mi sto riferendo necessariamente a un’esplosione fisica, o a un’altra forma di violenza fisica. Ad esempio, in un dibattito, “colpire dove più fa male” significa affrontare gli argomenti in cui il tuo avversario è più vulnerabile. In un’elezione presidenziale, “colpire dove più fa male” significa vincere nello Stato dove il tuo avversario avrebbe potenzialmente più elettori. Nonostante ciò, per amore di chiarezza, per parlare di questo principio mi riferirò a delle analogie provenienti dal combattimento, così da offrire metafore il più vivide e chiare possibile. Se un uomo ti colpisce con un pugno, non puoi difenderti colpendo la sua mano, perché non riusciresti ad arrecargli danni significativi in quel modo. Per poter vincere la battaglia, devi colpire dove gli farà più male.
Il che vuol dire che devi andare oltre il suo pugno, colpendo le parti più sensibili e vulnerabili del corpo del tuo aggressore. Supponiamo, per puro caso, che un bulldozer di una compagnia di legname stia abbattendo gli alberi di un bosco vicino a dove vivi, e che tu voglia legittimamente fermarlo. È la lama del bulldozer a squarciare la terra e ad abbattere gli alberi, ma se volessimo fermare il bulldozer sarebbe una perdita di tempo colpire quello specifico componente. Certo, se passassi una lunga e faticosa giornata a colpire la lama con un martello, potresti riuscire a danneggiarla abbastanza da renderla inutilizzabile. Ma, se la paragoniamo al resto del bulldozer, la lama è relativamente economica e facile da sostituire.
La lama è nient’altro che il “pugno” con cui il bulldozer colpisce la terra e gli alberi. Per sconfiggere la macchina devi andare oltre il “pugno”, devi colpire le parti vitali del bulldozer. Il motore, per esempio, può essere danneggiato con un piccolo investimento di tempo e fatica, attraverso semplici strumenti ben noti a molti movimenti radicali. A questo punto, devo essere chiaro sul fatto che non sto raccomandando a nessuno di danneggiare un bulldozer (a meno che non sia di sua proprietà). Né alcuna parte di questo articolo dovrebbe essere interpretata come un suggerimento per attività illegali di ogni tipo. In questo momento sono un prigioniero, e se questo articolo suggerisse di compiere qualsiasi tipo di attività illegali chiaramente non mi sarebbe permesso di inviarlo al di fuori della mia cella. Sto usando i bulldozer solo e semplicemente come analogia, perché è un’immagine chiara e vivida, e perché so che verrà apprezzata dai movimenti radicali.
La tecnologia è l’obiettivo
È da più parti riconosciuto che una delle «variabili fondamentali in grado di determinare il processo storico contemporaneo è rappresentata dallo sviluppo tecnologico». La tecnologia, sopra ogni cosa, è responsabile per l’attuale condizione del mondo ed è in grado di controllare il suo sviluppo futuro. Quindi, il “bulldozer” che abbiamo distrutto rappresenta la tecnologia moderna. Molti radicali sono coscienti di ciò, e forse hanno realizzato che l’obiettivo finale è l’eliminazione totale dell’intero Sistema tecnologico-industriale. Ma sfortunatamente non hanno compreso appieno il bisogno di colpire il Sistema dove più potrà fargli male.
Distruggere un ristorante McDonalds o un punto vendita Starbucks è inutile. Non che mi dispiaccia se qualcosa del genere accada a un McDonalds o a uno Starbucks. Non mi rattristerò se qualcuno vorrà distruggere un loro punto vendita. Ma colpire un semplice negozio non è un’azione rivoluzionaria. Anche se ogni singolo punto vendita di ogni singola catena di fast food del mondo venisse spazzata via, il Sistema tecnologico-industriale verrebbe danneggiato solo in minima parte, dato che potrebbe facilmente sopravvivere senza catene di fast food. Quando attacchi McDonalds o Starbucks, non stai colpendo dove più fa male.
Alcuni mesi fa, ho ricevuto una lettera da un ragazzo dalla Danimarca convinto che il Sistema tecnologico-industriale debba essere eliminato. Questo giovane uomo era infatti preoccupato, per usare le sue stesse parole, di «Cosa accadrà se andiamo avanti in questo modo». A quanto pare, tuttavia, la sua forma di attività “rivoluzionaria” consisteva nel liberare gli animali negli allevamenti di animali da pelliccia. Come mezzo per indebolire il Sistema tecnologico-industriale questa attività è assolutamente inutile. Anche se gli attivisti per i diritti degli animali riuscissero a eliminare completamente l’industria delle pellicce, non farebbero alcun danno serio al Sistema, perché il Sistema può andare avanti molto bene anche senza pellicce.
Concordo ovviamente con il fatto che tenere animali selvaggi in gabbia sia intollerabile, e che rischiare in prima persone con questo tipo di pratiche sia una nobile. Ma vi sono moltissime altre cause altrettanto nobili, come prevenire gli incidenti stradali, provvedere a dei rifugi per i senzatetto, la promozione del riciclaggio, aiutare le persone anziane ad attraversare la strada. Eppure nessuno è così sciocco da pensare che queste attività siano rivoluzionarie, o da illudersi che stiano facendo qualcosa per indebolire il Sistema.
L’industria del legname è una questione secondaria
Per fare un altro esempio, nessuno sano di mente potrebbe credere che qualcosa che possa anche vagamente avvicinarsi alla natura selvaggia possa sopravvivere a lungo se il Sistema tecnologico-industriale continuerà a esistere. Molti ambientalisti radicali concordano che questo sia un motivo sufficiente per desiderare il collasso del Sistema. Ma le loro attività pratiche si limitano ad attacchi verso le industrie di legname.
Ovvio, non ho di certo obiezioni ai loro attacchi a queste e ad altre industrie. Anzi, questa è una causa che occupa uno spazio importante nel mio cuore, e sono felice per ogni successo che gli ambientalisti radicali riescono a portare a segno contro l’industria del legname. Inoltre, per ragioni che non ho bisogno di spiegare, l’industria del legno dovrebbe essere uno degli obiettivi da colpire nella strategia di rovesciare il Sistema. Ma, da solo, l’attacco all’industria del legno non è particolarmente efficace nella lotta al Sistema, perché anche nell’improbabile ipotesi in cui gli ambientalisti radicali riuscissero a fermare l’intera catena legata al disboscamento, in ogni parte del mondo, questo non fermerebbe il Sistema. E neppure salverebbe una volta per tutte la natura selvaggia. Prima o tardi, la politica climatica cambierà, e nascerebbe un’industria del legno basata su altri sistemi produttivi. Anche se il disboscamento non riprendesse mai, ci sarebbero altri modi con cui la natura selvaggia verrebbe distrutta o quantomeno domata e addomesticata. L’esplorazione mineraria, le trivellazioni e i carotaggi, le piogge acide, il cambiamento climatico e l’estinzione di miriadi di specie animali e vegetali sono tutte cause di distruzione della natura selvaggia; la natura selvaggia viene domata e addomesticata attraverso attività ricreative, studi scientifici e gestione delle risorse, compreso, tra le altre cose, il monitoraggio elettronico degli animali, il rifornimento dei corsi d’acqua con pesci allevati in vivaio e la piantumazione di alberi geneticamente modificati.
La natura selvaggia può essere salvata permanentemente solo eliminando il Sistema tecnologico-industriale, e non puoi eliminare il Sistema tecnologico-industriale limitandoti ad attaccare l’industria del legno. Il Sistema sopravviverebbe facilmente alla morte di quella particolare industria, perché i prodotti derivati dal legno, sebbene utili al Sistema, possono essere rimpiazzati da altri materiali. Di conseguenza, se si attacca l’industria del legname, non stai colpendo il Sistema dove più fa male. L’industria del legno è, ancora una volta, solo il “pugno” (o meglio: uno dei pugni) con cui il Sistema distrugge la natura selvaggia e, proprio come in una scazzottata, non puoi vincere se ti limitassi a colpire le mani dell’avversario. Devi andare oltre i pugni, e colpire i più sensibili organi vitali del Sistema. Con mezzi legali, ovviamente, come proteste pacifiche.
Perché il Sistema è così difficile da distruggere?
Il Sistema tecnologico-industriale è eccezionalmente difficile da distruggere grazie alla sua struttura (per così dire) “democratica” e alla flessibilità che ne consegue. Essendo che i sistemi dittatoriali tendono a essere più rigidi, le tensioni sociali e le resistenze possono crescere al punto di danneggiare o indebolire il Sistema, portando addirittura alla rivoluzione. Ma nei sistemi “democratici”, quando le tensioni sociali e le resistenze crescono a livelli pericolosi, il Sistema ha la possibilità di indietreggiare e scendere a compromessi quel tanto che basta a far scendere le tensioni a un livello di sicurezza. Negli anni Sessanta, le persone per la prima volta iniziarono a prendere coscienza che l’inquinamento ambientale era diventato un problema serio, e questo perché stava diventando possibile vedere a occhio nudo l’inquinamento ed era sentirne l’odore nell’aria nelle città più grandi, che iniziava a compromettere il benessere della gente. Ci furono alcune proteste, sufficienti a convincere il Sistema a creare un ente, l’Environmental Protection Agency, e a prendere altre misure per alleviare il problema. Certo, sappiamo tutti che la questione dell’inquinamento è davvero molto, molto lontana dall’essere risolta. Ma è stato fatto quel poco che bastava per far sì che le proteste di alcuni gruppi persone si calmassero, riducendo la pressione sul Sistema per un buon numero di anni.
Attaccare il Sistema è come colpire un muro di gomma. Una martellata può frantumare una lastra di ghisa, perché la ghisa è rigida e fragile. Ma si può colpire un muro di gomma all’infinito senza apportare danni, perché la gomma è flessibile: prima che quei colpi abbiano effetto, sarà la protesta a cedere, e cederà quel tanto che basta affinché la protesta perda forza e slancio. Poi, il Sistema tornerà ad agire come sempre ha fatto. Dunque, affinché noi possiamo colpire il Sistema dove più fa male, dobbiamo selezionare questioni e problemi su cui il Sistema non può arretrare, per cui lotterà fino alla fine. Per questo è necessario non scendere a compromessi con il Sistema, ma lottare fino alla morte.
È inutile attaccare il Sistema con il filtro dei suoi valori
È assolutamente essenziale attaccare il Sistema evitando di assecondare i suoi valori, quindi assecondando quei valori legati alle questioni tecnologiche, ma usando una griglia di valori non coerente quelli del Sistema. Finché si continuerà ad attaccare il Sistema restando nella sua griglia di valori, non si riuscirà a colpire dove più fa male, e il Sistema avrà ancora le opportunità di indebolire la protesta semplicemente facendo concessioni su qualche punto, semplicemente concedendo qualcosa. Ad esempio, se si attaccasse l’industria del legname principalmente sulla base del fatto che è importante salvare le foreste per preservare le risorse idriche e le opportunità ricreative, allora il Sistema potrebbe facilmente reagire trovando un compromesso per disinnescare la protesta senza compromettere i propri valori: le risorse idriche e le attività ricreative sono pienamente coerenti con i valori del Sistema, e se il Sistema fa marcia indietro, se limita il disboscamento in nome delle risorse idriche e delle attività ricreative, allora farà solo una ritirata tattica e non subirà una sconfitta strategica per il suo codice di valori.
Se poi affrontassimo punti e lotte legati alle discriminazioni (come razzismo, sessismo, omofobia o povertà) non staremmo sfidando i valori del Sistema, e non staremmo neppure forzando il Sistema a retrocedere o a scendere a compromessi. Anzi, staremo aiutando direttamente il Sistema. Tutti i più saggi sostenitori del Sistema riconoscono che razzismo, sessismo, omofobia e povertà sono dannosi per il Sistema, ed è per questo che il Sistema stesso lavora per combattere queste e altre forme di discriminazione. Lo sfruttamento e il caporalato, con i loro bassi salari e le miserevoli condizioni di lavoro, possono portare profitto a certe aziende, ma i più saggi sostenitori del Sistema sanno bene che il Sistema nel suo complesso funziona meglio quando i lavoratori sono trattati in modo decente. Se ti focalizzi unicamente sul tema dello sfruttamento lavorativo, stai facendo il gioco del sistema, non lo stai indebolendo.
Molti movimenti radicali cadono nella tentazione di focalizzarsi su singole questioni che da sole sono inessenziali come razzismo, sessismo, sfruttamento del lavoro, perché ognuno di questi, presi da soli, sono problemi relativamente facili da analizzare e comprendere. Si prende una questione su cui il Sistema può permettersi un compromesso di tanto in tanto, e su cui si può godere del supporto di persone come Ralph Nader, Winona La Duke, di sindacati e da vari “riformisti rosa”. Forse il Sistema, sotto pressione, potrebbe anche cedere rispetto alle sue posizioni iniziali, facendo sì che gli attivisti e le attiviste, raggiungendo almeno alcuni risultati, si sentirebbero soddisfatti e soddisfatte dell’illusione di aver combinato qualcosa. Ma in realtà, non hanno ottenuto nessun passo verso l’eliminazione del Sistema tecnologico-industriale.
La questione della globalizzazione non è di certo irrilevante rispetto al problema della tecnologia. L’insieme delle misure economiche e politiche che noi chiamiamo “globalizzazione” ha lo scopo di promuovere la crescita economica e, conseguenzialmente, il progresso tecnologico. Ma allo stesso tempo, quello della globalizzazione è un problema di marginale importanza e non è un obiettivo saggio da prendere in considerazione per un’azione rivoluzionaria. Senza cedere troppo sul tema della globalizzazione in sé, il Sistema può però fare compromessi per mitigare gli effetti negativi della globalizzazione, come quelli legati alla distribuzione delle risorse e all’ambiente, così da disperdere almeno parte delle proteste. Addirittura, in casi limite, il Sistema potrebbe anche permettersi di rinunciare del tutto alla globalizzazione.
Crescita e progresso potrebbero proseguire ugualmente il loro percorso. Lo farebbero semplicemente a un ritmo leggermente inferiore. Dunque, quando lotti contro la globalizzazione, non stai lottando contro i valori fondanti del Sistema (il Sistema, per la sua sopravvivenza, non può permettersi di lasciare che l’ambiente si degradi eccessivamente). Di conseguenza, se lotti contro la globalizzazione, non è detto che tu stia colpendo il Sistema dove più fa male. I tuoi sforzi potrebbero promuovere riforme, ma sarebbero inutili per lo scopo di rovesciare il Sistema tecnologico-industriale.
I movimenti radicali devono attaccare il Sistema nei suoi punti decisivi
Per far sì che gli sforzi per eliminare il Sistema industriale-tecnologico siano efficienti, i movimenti rivoluzionari devono attaccare il Sistema nei punti in cui non può cedere neppure un centimetro. Gli attacchi devono essere portati agli organi vitali del Sistema. Certo, quando uso la parola “attacco” non mi sto riferendo ad azioni fisiche e violente, che sarebbero illegali, ma solo a forme assolutamente legali di azione come proteste e azioni di resistenza.
Alcuni esempi di obiettivi vitali per il Sistema sono:
L’industria dell’energia elettrica. Il Sistema è strettamente dipendente dalla rete dell’energia elettrica;
L’industria delle comunicazioni. Senza rapide comunicazioni, senza il telefono, la radio, la televisione, le email, e via dicendo, il Sistema non può sopravvivere;
L’industria dei computer. Sappiamo tutti che senza computer il Sistema molto probabilmente collasserebbe;
L’industria della propaganda. L’industria della propaganda comprende l’industria dell’intrattenimento, il sistema educativo, il giornalismo, la pubblicità, le pubbliche relazioni e gran parte della politica e dell’industria della salute mentale. Il Sistema non può funzionare senza che le persone siano sufficientemente docili, conformi e che abbiano accortezza di ciò che chiede loro il Sistema. È l’industria della propaganda che insegna alle persone quali sono i pensieri e i comportamenti che devono avere.
L’industria biotecnologica. Il Sistema non è ancora (per quanto ne sappia) eccessivamente dipendente dagli sviluppo della biotecnologia. Eppure, il Sistema non può permettersi di rinunciare allo sviluppo della biotecnologia, che sarà strategicamente e criticamente importante per il futuro del Sistema, come spiegherò a breve.
Devo ripetermi: quando attacchi uno o più di questi organi vitali del Sistema, è essenziale farlo senza ricadere nel suo spettro di valori, ma nei termini che sono incompatibili con quelli del Sistema. Per esempio, se si attacca il l’industria dell’energia elettrica focalizzandosi sulla questione dell’inquinamento ambientale, il Sistema può far sì che la protesta si dissolva semplicemente sviluppando metodi più puliti di creare energia elettrica. In casi estremi, il Sistema potrebbe addirittura convertirsi completamente all’energia solare o eolica. Questo potrebbe ridurre enormemente i danni all’ambiente, ma non metterebbe fine al Sistema tecnologico-industriale. E neppure rappresenterebbe una sconfitta dei valori fondamentali per il Sistema. Per avere dei reali risultati nella lotta al Sistema, è necessario attaccare il principio stesso della produzione di energia elettrica, in quanto la dipendenza dall’elettricità rende le persone dipendenti dal Sistema. Questo è un campo di battaglia incompatibile con i valori del Sistema.
La biotecnologia potrebbe essere il miglior obiettivo politico per un attacco
Probabilmente, il più promettente obiettivo politico per un attacco mirato è l’industria biotecnologica. Sebbene le rivoluzioni siano generalmente portate avanti da minoranze, è molto utile avere un certo grado di sostegno, simpatia o almeno condiscendenza da parte della popolazione generale. Ricevere questo tipo di aiuto o sostegno è uno degli obiettivi dell’azione politica. Se ci si concentra sugli attacchi all’industria dell’energia elettrica, per esempio, sarebbe estremamente difficile riuscire ad avere il sostegno di altri gruppi radicali o dalle minoranze, perché la maggior parte delle persone resiste al cambiamento del loro stile di vita, specialmente ai cambiamenti che riducono il livello del nostro comfort. Per questa ragione, in pochi sarebbero disposti a rinunciare all’energia elettrica.
Ma le persone comuni non sentono ancora di essere dipendenti dagli sviluppi della biotecnologia così come lo sono dall’elettricità. Eliminare l’industria biotecnologica non cambierà radicalmente le loro vite. Al contrario, renderà possibile mostrare alle persone che il continuo sviluppo della biotecnologia trasformerà il loro stile di vita e minaccerà i cari e vecchi valori umani. Dunque, per sfidare la biotecnologia, i movimenti radicali dovrebbero essere in grado di mobilizzare in loro favore la naturale tendenza degli esseri umani di resistere al cambiamento.
E la biotecnologia è un punto su cui il Sistema non può permettersi di perdere. Si tratta di un punto in cui il Sistema dovrà lottare fino alla fine, il che è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno. Ma – per ripetermi ancora una volta – è essenziale attaccare l’industria biotecnologica non sul campo di valori del Sistema, ma sul campo di battaglia di valori incompatibili con quelli del Sistema. Per esempio, se si attacca l’industria tecnologica principalmente sul tema della sostenibilità ambientale, o sulle conseguenze sulla salute del cibo geneticamente modificato, allora il Sistema potrebbe facilmente schivare l’attacco cedendo terreno o scendendo a compromessi – per esempio, introducendo una maggiore supervisione sulla ricerca genetica e regolamentazioni e test più severi sulle sementi geneticamente modificati. L’ansia delle persone scemerebbe, e le proteste perderebbero intensità.
L’intera industria biotecnologica deve essere attaccata come questione di principio
Dunque, invece di protestare contro una qualsiasi delle conseguenze della biotecnologia, è necessario attaccare la moderna industria biotecnologia nel suo insieme come questione di principio, restando fermi sul fatto che:
è un insulto a ogni essere vivente;
mette troppo potere nelle mani del Sistema;
cambierà radicalmente i valori umani fondamentali che sono esistiti per migliaia di anni…
E altri simili temi, incompatibili con la rosa di valori del Sistema. In risposta a questo tipo di attacco, il Sistema non può far altro che mantenere la posizione e combattere. Il Sistema non può permettersi di attutire gli attacchi semplicemente arretrando su alcune posizioni, e questo perché la biotecnologia è troppo centrale per l’intera missione del progresso tecnologico. Arretrando su uno di questi punti, il sistema non starebbe solo arretrando tatticamente, ma subirebbe una grande sconfitta strategica proprio sul suo codice di valori.
Ora, è vero che la U.S. House of Representatives ha recentemente votato per vietare la clonazione degli esseri umani, e che almeno alcuni membri del Congresso hanno fornito le giuste motivazioni per la loro scelta. Ossia, per ciò che ho letto, il motivo per cui si è optato per questo voto ricadeva all’interno di un frame di stampo religioso. Ma checché se ne pensi riguardo la sensibilità religiosa e nel suo rapporto con la politica, non dobbiamo dimenticarci che questo è proprio quel tipo di campo di battaglia che è incompatibile con le istanze e lo spettro di valori del Sistema. Ed è questo ciò che davvero conta. Il voto dei membri del Congresso sulla clonazione umana fu una sconfitta per il Sistema, e fu una sconfitta emersa in modo spontaneo. Ma si trattò di una sola, piccola, davvero piccola, sconfitta, a causa della portata limitata di questo divieto – che infatti colpisce solo una parte minore dell’industria biotecnologica – e perché nel prossimo futuro la clonazione umana sarebbe comunque di poco uso pratico per il Sistema. Ma l’azione della House of Representatives suggerisce comunque che questo può essere un punto su cui il Sistema è vulnerabile e che un vasto attacco sull’intera industria biotecnologica potrebbe infliggere un serio danno al Sistema e ai suoi valori.
I movimenti radicali non hanno ancora mai attaccato l’industria biotecnologica in modo efficace
Alcuni movimenti radicali hanno compiuto attacchi contro l’industria biotecnologica, sia in modo politico che in modo pratico, ma per quanto ne ho coscienza, i loro attacchi continuano a ruotare attorno a uno spettro di valori che è compatibile a quello del Sistema. Ossia, per lo più, i valori dei rischi ambientali o per la salute umana. Così facendo, non hanno colpito l’industria biotecnologica dove più fa male. Per usare un’altra analogia con il combattimento corpo a corpo, immagina di doverti difendere da una piovra gigante. Non riusciresti a difenderti in modo efficace se cercassi di colpire le estremità dei suoi tentacoli. Devi colpire la testa! Per quanto ne so e per quanto ho letto, i movimenti radicali attivi contro l’industria biotecnologica non stanno riuscendo a colpire la testa della piovra. Ad esempio, cercano di persuadere gli agricoltori, uno per uno, a non usare sementi geneticamente modificati. Ma solo negli Stati Uniti esistono migliaia di fattorie, e cercare di convincere ogni singolo agricoltore, individualmente, è un modo estremamente inefficiente di combattere l’ingegneria genetica. Sarebbe molto più efficace cercare di persuadere i ricercatori, coinvolti nell’industria biotecnologica, o i manager esecutivi delle aziende direttamente coinvolte come la Monsanto, di lasciare quel segmento di industria. I bravi ricercatori e le brave ricercatrici sono persone che hanno dei talenti speciali e si sono sottoposti a un’istruzione di altissimo profilo, e dunque sono elementi difficili da rimpiazzare.
Lo stesso vale per i manager esecutivi. Se si riuscisse a convincere solo alcune di queste persone a uscire dal settore si apporterebbero più danni all’industria biotecnologica di quanti ne riusciremmo a ottenere persuadendo mille agricoltori a smettere di usare sementi geneticamente modificate.
Colpisci dove più fa male
Resta aperto il discorso se ho ragione o meno nel pensare che l’industria biotecnologica sia il punto migliore da colpire politicamente per indebolire il Sistema. Ma è oltre ogni argomentazione che i movimenti radicali oggi stanno sprecando moltissime energie su questioni che hanno poca o nessuna rilevanza per la sopravvivenza del Sistema tecnologico-industriale. E anche se e quando indirizzeranno le loro energie verso i giusti bersagli, i movimenti radicali non riusciranno a colpire dove più fa male. Così, invece di presenziare al prossimo summit del commercio globale per protestare in modo isterico contro la globalizzazione, i movimenti radicali dovrebbero investire un po’ di tempo per cercare di pensare a come colpire il Sistema dove davvero potrebbe far più male. Restando nei limiti della legalità, ovviamente”.
La società Cogefa, colosso dei grandi cantieri e delle infrastrutture autostradali, è stata colpita da un’interdittiva antimafia per i suoi presunti legami con la criminalità organizzata. Questa decisione segue un’indagine della DDA di Torino che ha rivelato connessioni tra la ‘Ndrangheta e i cantieri della A32 Torino-Bardonecchia. La società partecipa al consorzio che ha da poco vinto un appalto da 650 milioni di euro per il riuso circolare dei materiali di rimessa del cantiere TAV. Secondo il provvedimento della Prefettura, i rapporti tra esponenti della mafia calabrese e la famiglia Fantini, proprietaria della Cogefa, sarebbero storici e ancora effettivi. Questa misura comporta la sospensione immediata di tutte le attività della società. L’azienda, che impiega circa 400 dipendenti diretti e 1200 lavoratori negli appalti, rischia dunque di veder bloccata una lunga serie progetti strategici.
Secondo quanto ricostruito dalle indagini, Teresio Fantini e i suoi figli, Roberto e Massimo, risultano essere legati a figure come Antonio Esposito, condannato per associazione a delinquere con Rocco Lo Presti, storico boss operativo in Val di Susa, e Luciano Ursino, affiliato alla cosca Mazzaferro-Ursino. Teresio, nello specifico, avrebbe concesso incarichi nei cantieri a Esposito. Inoltre, i legami con l’imprenditore Gian Carlo Bellavia, coinvolto nell’inchiesta Echidna, rafforzano i sospetti di collegamenti con la mafia. Roberto Fantini, in particolare, è considerato vicino ai membri della famiglia Pasqua, presunti affiliati alla ‘Ndrangheta. I rapporti commerciali di Cogefa con imprese già segnalate dalla Prefettura per il loro coinvolgimento criminale rappresentano un ulteriore elemento di rischio. L’azienda, dal canto suo, ha immediatamente avviato azioni legali contro il provvedimento della Prefettura, presentando un ricorso al TAR e chiedendo una sospensiva al fine di «difendere con fermezza il proprio operato, la propria reputazione e il futuro dei propri dipendenti e collaboratori, nonché di garantire la piena continuità delle attività aziendali e la corretta esecuzione delle commesse in corso». L’avvocato della società, Carlo Merani, ha dichiarato che Cogefa si considera una vittima, sostenendo che la Prefettura stessa riconosce come l’azienda «potrebbe subire tentativi di infiltrazione mafiosa», invece di esservi direttamente coinvolta.
Cogefa, con un fatturato di oltre 214 milioni di euro nel 2023, è attiva in progetti di grande rilievo, come il tunnel del Col di Tenda e i cantieri complementari al TAV Torino-Lione, dovendosi occupare, insieme ad altre imprese, della gestione e del riutilizzo delle rocce estratte nello scavo del tunnel di base del Moncenisio in Italia. Il progetto è stato fortemente pubblicizzato da TELT, ente responsabile dei lavori e partecipato da Italia e Francia. Cogefa ha inoltre partecipazioni importanti, tra cui il 50% nel Consorzio Edilmaco e progetti di lusso a Monaco e Torino. Secondo la normativa vigente, l’interdittiva antimafia colpisce l’affidabilità dell’impresa e la sua capacità di partecipare a lavori pubblici. Se l’azienda in questione fa parte di un consorzio, ciò può determinare la revoca dell’intero appalto, o in alternativa, l’esclusione dell’azienda colpita dall’interdittiva, con l’obbligo per il consorzio di riorganizzarsi senza di essa. La decisione spetta principalmente all’autorità che ha emanato l’appalto o che gestisce il contratto, che valuta la situazione alla luce della normativa antimafia e delle clausole contrattuali.
Lo scorso aprile, i carabinieri del ROS della compagnia di Venaria Reale e della stazione di Leinì avevano arrestato nove persone accusate di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, riciclaggio, estorsione, ricettazione e detenzione illegale di armi, nell’ambito dell’inchiesta sulle pesanti infiltrazioni mafiose nell’economia legale del territorio di Torino e provincia. Esse avrebbero riguardato una serie di lavori e appalti dell’A32 Torino-Bardonecchia e lavori collegati al Tav Torino-Lione. Nel mirino della magistratura è finito il sodalizio di ‘Ndrangheta guidato dalla famiglia Pasqua, che avrebbe controllato aziende di edilizia e trasporti che hanno ottenuto commesse da appaltatori operanti nel settore autostradale e nella realizzazione delle grandi opere, al fine di effettuare lavori di manutenzione del manto autostradale e movimento terra nella provincia del capoluogo piemontese. In tale frangente, erano stati ristretti ai domiciliari anche Roberto Fantini e il presunto boss Giuseppe Pasqua, già detenuto per diversi anni per omicidio e traffico di stupefacenti e considerato al vertice della locale di ‘Ndrangheta a Brandizzo (Torino). I legali di Fantini e Pasqua avevano presentato ricorso al Tribunale del Riesame per chiedere la revoca degli arresti, accolta solo nei confronti del manager. «Senza Roberto Fantini non vivo più», confidava Pasqua alla sua segretaria in una conversazione captata dagli inquirenti.
L’aeroporto di Charleroi, Belgio, ha cancellato tutti i voli di oggi a causa di uno sciopero del personale della sicurezza. L’annuncio è arrivato dallo stesso aeroporto, che ha spiegato che «la mancanza di staff» non permette di «garantire le misure di sicurezza per i passeggeri». I passeggeri coinvolti potranno richiedere un rimborso o prenotare un altro volo. Gli arrivi non sono stati cancellati. Lo sciopero dei lavoratori si colloca sulla scia di un’ampia protesta, che va avanti da mesi. L’ultimo sciopero, l’1 ottobre, aveva coinvolto anche il personale delle pulizie e dell’accoglienza. I lavoratori chiedono che vengano migliorate le condizioni lavorative, diminuito il carico di lavoro e aumentati gli stipendi.
Torna ad allungarsi la lista di sostanze che contengono Lilial, sostanza vietata dalla Commissione Europea nel 2022 in quanto dannosa per il sistema riproduttivo (per questo definita «reprotossica») e lo sviluppo del feto, che potrebbe causare anche irritazioni cutanee. Si tratta, come negli altri casi, di prodotti con vecchie formulazioni ma ancora in circolazione, che la Guardia di Finanza sta procedendo a sequestrare in tutta Italia. Va segnalato che gli stessi prodotti della lista sono stati oggetto di nuove formulazioni e potrebbero non contenere il Lilial nella lista degli ingredienti; in tal caso, essi possono essere utilizzati tranquillamente. I nuovi prodotti ritirati e segnalati al Rapex (il sistema di allerta europeo per i prodotti dannosi per la salute) sono:
Nivea Reafirmante body lotion (lotto: 81860.9.7460.01 codice a barre: 4005900022318)
Omerta & Body Survival For Woman Perfume (lotto: n.d codice a barre: n.d.)
Orchidea Profumi Y’ugo Bosse eau de toilette (lotto: 133 codice a barre: 8033993410336)
Dove Intimo Freshcare (lotto: n.d codice a barre: n.d.)
Real Time ® & Fashion Fever Fashion Lover Perfume (lotto: n.d codice a barre: n.d.)
Dream by Allure pour femme eau de parfum Scentric (lotto: 06082024 codice a barre: 5060463480066 )
TotalFamily Face treatment – Tonico rinfrescante Facial toner (lotto: 328304 codice a barre: 8029241109251)
Bulgari Aqva Perfume (lotto: 10038966 codice a barre: 78332091122)
DIESEL Fuel For Life Perfume (lotto: n.d. codice a barre: n.d.)
Orchidea Profumi Inviqutus Eau de toilette (lotto: 153 codice a barre: 8033993411531)
Roberto Capucci BLU Water Perfume (lotto: 1600 codice a barre: 8054956591367)
Tesori d´Oriente Jasmin di Giava shower cream (lotto: 21014125680 codice a barre: 8008970003535).
Solamente dall’inizio di luglio di quest’anno, sonoquasi duecento i prodotti ritirati in quanto contengono questa sostanza, ovvero:
Adidas Ice dive (lotto: Nd codice a barre: 3614224620332);
Alyssa Ashley Vanilla gel per bagno e doccia (lotto: 77566-87 codice a barre: 3 434730 775667);
Antica Erboristeria Shampoo addolcente (lotto: 0817Y71545 codice a barre: 8011319640087);
Arrogance Blue Deodorant (lotto: 25471 codice a barre: 8002747051200);
Axe Anti-transpirant Deodorant (lotto: 608031..0 04:46 codice a barre: 8712561195218);
Badedas Oxygel Shower foam (lotto: 718413 B 13:07 codice a barre: 8004020763503).
Vidal Premium extra idratante doccia crema (lotto: 50370 codice a barre: 8008970008356).
Vidal Rosa Tea Shower foam (lotto: 17104 020754 codice a barre: 8008970041452);
Vitalcare Anti Arancio Shampoo (lotto: 435055 codice a barre: 8029241133140);
Yves Saint Laurent BLACK OPIUM Perfume (lotto: 38N503 codice a barre: 3365440787971).
La lista si allunga notevolmente considerando tutti i prodotti ritirati a partire dal settembre 2023. Il Lilial era già stato inserito in una lista di 26 sostanze allergizzanti potenzialmente cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione attraverso il regolamento 2021/1902. Le aziende avevano tempo fino al 1° marzo 2023 per ritirare dal commercio i prodotti contenenti questa sostanza ma, nonostante ciò, molti di questi si trovano ancora in commercio. Secondo Cosmetica Italia, l’associazione di categoria di Confindustria che rappresenta i produttori di settore, «i produttori non sono responsabili né obbligati a ritirare dal commercio i prodotti immessi prima che scattasse il divieto» e «sono quindi i distributori che devono preoccuparsi di togliere dal commercio e stoccare in un deposito ad hoc i prodotti contenenti la sostanza tossica per avviarli poi alla distruzione». Appare dunque piuttosto evidente che il continuo incremento della lista di prodotti tossici ritirati sia la conseguenza di uno scarico di responsabilità tra produttori e distributori in cui, a rimetterci, sono i consumatori.
Trasformare il sud del Libano in una nuova Cisgiordania. Sembra questo il succo del piano di pace con Hezbollah elaborato dallo Stato ebraico, presentato ieri da Washington agli intermediari libanesi. Il cessate il fuoco prevederebbe una piena demilitarizzazione del sud del Paese, la cui sicurezza finirebbe attivamente nelle mani di Tel Aviv, e fornirebbe alle forze di aviazione israeliane l’assoluta libertà di operare all’interno dello spazio aereo libanese. Un piano che sembra concepito per essere respinto, e che cozzerebbe con la tanto citata risoluzione 1701 dell’ONU, che prevede la costituzione di una “zona cuscinetto” a sud del fiume Litani, da attuarsi con un allontanamento sia delle milizie di Hezbollah sia delle truppe dell’esercito israeliano. Hezbollah, come prevedibile, ha già rifiutato la proposta: «Il nemico non è nella posizione di imporre condizioni». Nel frattempo, continuano gli scontri nel territorio libanese, dove ieri Israele ha colpito le filiali della banca Al-Qard al-Hassan a Beirut, per poi prendere di mira un ospedale.
Il piano elaborato da Israele è stato condiviso nella mattina di ieri dal sito di informazione Axios. Esso sembra essere stato elaborato dallo Stato ebraico, che giovedì avrebbe affidato il compito di presentarlo a Washington al ministro per gli Affari Strategici Ron Dermer, molto vicino al premier Netanyahu. Ieri il testo è arrivato nelle mani del diplomatico statunitense Amos Hochstein, che, partito per il Libano, ne ha esposto i punti fondamentali al Presidente del parlamento libanese, Nabih Berri. L’idea è semplice: il sud del Libano dovrebbe essere completamente smilitarizzato, mentre all’esercito israeliano dovrebbe essere permesso di svolgere «attività di controllo attivo» sul territorio, finalizzate ad assicurarsi che Hezbollah non ricostruisca le proprie infrastrutture militari al confine; oltre a ciò, Israele chiede che venga fornita alla propria aviazione la piena concessione di operare all’interno dello spazio aereo libanese.
Le richieste di Israele riguardanti il sud del Libano sembrano ricordare in tutto e per tutto il modello di gestione dell’area B della Cisgiordania così come pensata negli accordi di Oslo, in cui la sicurezza è nelle mani di Tel Aviv e l’amministrazione sotto controllo locale. Esse, inoltre, violano completamente quella stessa risoluzione 1701 dell’ONU a cui ultimamente tutti i politici stanno facendo riferimento come “unica soluzione possibile” all’abbassamento della tensione. Essa prevede l’istituzione di una fascia di sicurezza priva di “personale armato, assetti e armamenti che non siano quelli del Governo libanese e di UNIFIL” lungo la Blue Line – la linea di confine che separa Israele e Libano – con il conseguente ritiro di Hezbollah dietro il fiume Litani e dell’esercito israeliano dal territorio libanese. L’accordo israeliano, avanzato peraltro in una fase del conflitto in cui la guerra sembra tutt’altro che finita, risulta, quindi, inaccettabile secondo Hezbollah, e in tal senso (come anche contenutisticamente) rassomiglia agli analoghi patti di pace promossi da USA e Tel Aviv ad Hamas nel corso dell’ultimo anno. Hezbollah non ha tardato a rilasciare un comunicato in cui annuncia il suo rifiuto del piano: «Ciò che trapela riguardo alle condizioni “israeliane” suggerisce che “Israele” crede di aver vinto», ha scritto il gruppo; tuttavia «siamo ancora all’inizio della battaglia e il nemico non è in posizione di vittoria». «Non permetteremo che “Israele” si metta nella posizione di imporre condizioni a noi o al nostro Paese». Insomma, quello che Hezbollah sembra stare dicendo è che, Israele, prima di arrogarsi il diritto di imporre qualcosa, dovrebbe riuscire a sconfiggere il proprio nemico.
Effettivamente, gli scambi di attacchi tra Israele ed Hezbollah stanno continuando senza interruzione. Ieri le milizie libanesi hanno scagliato oltre trenta distinti attacchi, colpendo zone di confine, aree vicine a Tel Aviv, siti posti sulle alture del Golan, e, ancora, località nei pressi di Haifa. Stamattina, invece, è arrivato un ulteriore attacco a Tel Aviv, nell’area a sud della città, dove Hezbollah afferma di avere colpito una base militare. Israele, dal canto suo, ha scagliato un attacco sulle filiali di Al-Qard al-Hassan a Beirut, considerato l’istituto finanziario di Hezbollah, per poi colpire le aree attorno all’ospedale Rafic Hariri, uccidendo 4 persone. Israele ha inoltre accusato Hezbollah di nascondere una somma pari a circa mezzo miliardo di dollari sotto forma di oro e contanti in un tunnel posto sotto l’ospedale di Al-Sahel, giustificando così un possibile attacco futuro. Tra la richiesta di pace dalle condizioni inaccettabili e le accuse di utilizzare le infrastrutture civili come scudo, insomma, il sentiero che sta seguendo Israele sembrerebbe lo stesso già percorso nell’ultimo anno a Gaza: giustificare i propri attacchi indiscriminati e attribuire a Hezbollah il mancato raggiungimento di una tregua.
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