sabato 23 Novembre 2024
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Valsusa: i No TAV abbattono le barriere e riconquistano il presidio di San Giuliano

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Dopo lo sgombero di due settimane fa dello storico presidio di San Giuliano, andato in scena a causa degli espropri in corso in Val di Susa per la realizzazione della TAV, il popolo valsusino prosegue la sua battaglia. Se da un lato è partita una causa legale contro gli espropri, dall’altro la lotta continua sul “campo”. Ieri, un nutrito gruppo di manifestanti ha infatti abbattuto le barriere di sicurezza che erano state messe attorno ai terreni espropriati, riprendendo di fatto il possesso del presidio. «Cedere di fronte al sopruso vorrebbe dire rinunciare alla propria dignità e alla propria libertà di autodeterminazione», aveva scritto in un comunicato il giorno prima il Movimento No Tav, esprimendo solidarietà alle persone colpite dagli espropri.

Il presidio di San Giuliano era stato sgomberato dalle forze dell’ordine nella notte tra domenica 6 e lunedì 7 ottobre, prima dell’inizio degli espropri – e quindi, secondo quanto denunciato dal Movimento, in un momento in cui le persone avevano «pieno diritto di stare nella loro proprietà». Esso sorge infatti sulla porzione di terreno dove dovrebbe sorgere la stazione internazionale dell’Alta Velocità di Susa. Con l’avvicinarsi dell’avvio della campagna di espropri, iniziata lo scorso 10 ottobre, gli attivisti avevano iniziato a presidiare in modo permanente la zona. Tuttavia, la polizia era riuscita a costringere i presenti ad andarsene e aveva delimitato la zona con i jersey e il filo spinato. Ieri, gli attivisti hanno abbattuto la recinzione in alcuni punti e appeso bandiere e striscioni No TAV. Sono gli stessi membri del Movimento a sottolineare l’importanza del presidio, spiegando che «era vissuto da mesi dai proprietari come luogo di incontro, di socialità e di discussione sul come poter far rispettare la regolarità delle procedure di esproprio ed eventualmente opporsi alle stesse, attraverso una pacifica resistenza volta a salvaguardare il territorio e la cittadinanza dalle terribili conseguenze che una eventuale cantierizzazione porterebbe a Susa e ai paesi vicini».

Le convocazioni dei 1.092 proprietari dei terreni soggetti a esproprio sono iniziate lo scorso 10 ottobre, con un ritmo di 156 al giorno. Il terreno era stato infatti acquistato collettivamente nel 2012 da attivisti provenienti da tutta Italia, quando già si ipotizzava la costruzione della stazione in quelle zone. Per realizzare le procedure riducendo al minimo la possibilità di protesta, le autorità hanno fatto installare alcune recinzioni e chiudere temporaneamente alcuni svincoli stradali al traffico. Il Movimento ha tuttavia fatto sapere di aver intenzione di ricorrere alle vie legali per reclamare la «legittima proprietà» del territorio, ritenendo «Telt autrice di furto nel caso spostasse o continuasse a rovinare le strutture mobili e le suppellettili che stanno su quel terreno», oltre a respingere «le pelose profferte di Telt di aiuto per il loro spostamento». Lo scorso 12 ottobre, centinaia di persone hanno manifestato a Susa contro la «devastazione ambientale» causata dai cantieri (che comprende «falde acquifere compromesse, disboscamento, cementificazione e annientamento di interi habitat naturali») e contro la grande opera.

[di Valeria Casolaro]

Il potere delle pause nelle attività quotidiane e in quelle fisiche

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Camminare per pochi secondi richiede più energia di quanto si pensi ed eseguire passeggiate per soli 10 o 30 secondi comporta un consumo di energia chimica per metro percorso significativamente maggiore rispetto a camminate di maggiore durata: è quanto emerge da un nuovo studio condotto da ricercatori dell’Università Statale di Milano, il quale è stato sottoposto a revisione paritaria e pubblicato all’interno della rivista scientifica Proceedings of the Royal Society. Gli autori, che hanno esaminato alcuni volontari che hanno camminato su un tapis roulant, hanno scoperto che nei primi momenti ...

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Gaza, raid israeliano a Beit Lahiya: almeno 87 morti

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Nelle scorse ore, pesanti attacchi dell’esercito israeliano verificatisi a Beit Lahiya, città palestinese sita a nord di Jabalya, hanno provocato la morte di almeno 87 persone e il ferimento di altre 40. Lo ha reso noto il ministero della Salute di Gaza, che ha definito l’attacco l’ennesimo «massacro» e ha parlato di un bilancio ancora provvisorio. Nel suo ultimo aggiornamento, il ministero ha aggiunto che molte persone sono ancora sotto le macerie e su strade che le squadre dei soccorritori e le ambulanze non riescono a raggiungere.

 

Come ci siamo abituati alla guerra totale, un concetto che per millenni non è esistito

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«Noi diamo per scontato che la guerra moderna coinvolge tutti i cittadini e mobilita la maggioranza della popolazione; che essa è condotta con armamenti che vengono usati in quantità inimmaginabili, per la cui produzione si richiede la riconversione dell’intero apparato economico; che essa causa distruzioni indicibili e che trasforma profondamente la vita dei Paesi coinvolti. Tutti questi aspetti appartengono solo alle guerre del nostro secolo». Così Eric Hobsbawm introduce il tema della “guerra totale” nel suo monumentale Secolo Breve, opera con la quale lo storico tratta del periodo che va d...

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Criticità in tutta Italia per il maltempo: 1 morto a Bologna

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Le forti piogge hanno causato un aggravamento della situazione in diverse regioni italiane, con esondazioni e allagamenti da nord a sud, che hanno anche aumentato il rischio di frane. A Catania una strada è stata sommersa dall’acqua, mentre a Palermo l’aeroporto è stato temporaneamente chiuso. Esondazioni anche in Calabria, prevalentemente nelle zone ioniche, e smottamenti anche nelle Marche. Emessa l’allerta meteo in aree di Lombardia, Piemonte, Basilicata e Veneto. La situazione più critica, tuttavia, si registra in Emilia, sommersa da oltre 175 mm di pioggia. Molte aree del reggiano e del bolognese risultano alluvionate. A Pianoro (BO) è stato trovato morto un giovane di 20 anni.

Gaza, Israele rade al suolo un intero isolato residenziale: almeno 73 morti

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Al quindicesimo giorno di assedio totale dell’area settentrionale della Striscia di Gaza, Israele non sembra volere dare tregua al governatorato di Nord Gaza, dove continua a compiere una strage dietro l’altra. Ieri, dopo avere bombardato due scuole, continuato l’assedio di un ospedale, sparato su un’ambulanza, bersagliato tende e rifugi per sfollati, e prelevato indiscriminatamente persone da deportare a sud, è arrivato l’ennesimo massacro: nella sera, l’aviazione israeliana ha lanciato un bombardamento su un intero blocco residenziale della città di Beit Lahia, uccidendo almeno 73 persone e ferendone decine. Molti sono ancora intrappolati sotto le macerie, e il numero delle vittime sembra destinato ad aumentare. Tra feriti e dispersi, non è ancora possibile definire il numero totale delle persone coinvolte, anche perché i medici stanno riscontrando sempre più difficoltà nel prelevare i corpi di defunti e feriti: dall’inizio dell’assedio, Israele ha infatti cinto l’intera area di carri armati e soldati, impedendo l’accesso a cibo, acqua, medicine, e carburante, e ha continuato a bersagliare gli operatori medici della zona.

Il massacro di Beit Lahia è stato annunciato ieri, qualche minuto prima delle 22:30. A essere preso di mira è stato un intero isolato residenziale, raso al suolo da un’intensa serie di bombardamenti dell’aviazione israeliana. Dopo il raid aereo, avvenuto senza preavviso, i quadricotteri delle IDF hanno iniziato a prendere di mira i paramedici che tentavano di raggiungere i feriti e le persone intrappolate sotto le macerie. Vista la portata della devastazione causata dall’attacco, non si sa ancora quante persone siano state uccise o ferite da quest’ultimo massacro. Il primo bilancio delle vittime arrivava a 60 morti, ma poco dopo le fonti ufficiali lo hanno alzato a 73. Da allora, non ci sono ulteriori notizie riguardo al possibile numero di morti, feriti e dispersi, perché gli operatori sanitari non stanno riuscendo a soccorrere le persone, tra complicazioni logistiche nello spostamento dovuti alla mancanza di carburante, questioni di natura medica derivanti dalla scarsità di medicine, e non indifferenti problemi di sicurezza, visto che gli ospedali sono assediati, le ambulanze vengono colpite dal fuoco dei soldati, e i medici sono oggetto dei medesimi attacchi che colpiscono i veicoli. Secondo il giornalista palestinese Hossam Shabat, che risulta ancora attivo nell’area di Nord Gaza, il numero di morti dovrebbe essere salito a 80.

La strage di ieri si inserisce nel più ampio piano di assedio totale del nord della Striscia, dove da 15 giorni le forze israeliane hanno intrappolato circa 400.000 persone, bloccando sin dall’1 ottobre l’accesso a cibo, acqua, medicine e carburante. Dal 6 ottobre, invece, le città di Jabaliya, Beit Hanun, e Beit Lahia risultano completamente accerchiate e isolate dal cordone di soldati e carri armati. In questi 15 giorni, l’esercito israeliano ha emesso vari ordini di evacuazione, prendendo tuttavia di mira gli stessi civili in fuga, e non fornendo ai cittadini il tempo sufficiente per andarsene. Nel frattempo, ha iniziato ad assediare gli ospedali e le strutture mediche dell’area, senza risparmiare dai propri colpi medici e giornalisti. Venerdì 18 ottobre è stata infine interrotta la copertura internet della zona, rendendo ancora più difficile a civili e giornalisti comunicare verso l’esterno e documentare quanto accade. Dall’inizio dell’assedio, Israele ha ucciso oltre 500 persone. In generale, in tutta la Striscia di Gaza, dall’escalation del 7 ottobre, l’esercito israeliano ha ucciso direttamente almeno 42.519 persone, anche se il numero di morti totale potrebbe superare le centinaia di migliaia di persone, come sostenuto da un articolo della rivista scientifica The Lancet, e dalla recente lettera di medici volontari nella Striscia.

[di Dario Lucisano]

Napoli, scontri alla manifestazione per il G7 Difesa

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Ieri a Napoli si è tenuta una manifestazione in occasione del G7 Difesa, durante la quale si sono verificati scontri tra polizia e manifestanti. A un certo punto del corteo, i manifestanti hanno deviato su Via Mezzocannone, in direzione di Palazzo Reale, dove era ancora in corso l’incontro dei vertici della Difesa, e hanno provato a sfondare il cordone di forze dell’ordine. Dal corteo sono stati lanciati fumogeni e sanpietrini, a cui la polizia ha risposto con manganellate e lacrimogeni. Gli scontri sono durati qualche minuto, dopo cui i dimostranti hanno ripreso la via verso il centro antico, arrivando in piazza del Gesù Nuovo, dove la manifestazione si è conclusa.

Drone su abitazione Netanyahu, per il premier si tratta di “agenti dell’Iran”

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“Gli agenti dell’Iran che oggi hanno cercato di assassinare me e mia moglie hanno commesso un amaro errore. Questo non scoraggerà me e lo Stato di Israele dal continuare la guerra di rinascita contro i nostri nemici per garantire la nostra sicurezza per generazioni”: lo ha dichiarato il premier israeliano Netanyahu in un post su X, poche ore dopo che un drone si è abbattuto sulla sua abitazione a Cesarea, senza causare vittime. Il primo ministro non era in casa al momento dell’attacco, che per il momento non è stato rivendicato da nessun gruppo (compreso Hezbollah).

Ghana: le proteste costringono il governo ad abrogare la legge sulle miniere

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Dopo settimane di proteste da parte della popolazione, il governo ghanese ha annunciato il ritiro della legge che consentiva l’estrazione mineraria nelle riserve forestali. Secondo il Ghana Institute of Foresters, nell’anno successivo all’approvazione della norma, sono stati concessi contratti di locazione mineraria su un quinto delle aree forestali del Paese. All’inizio di questo mese, una coalizione di cittadini ha organizzato una manifestazione di tre giorni contro l’attività mineraria, denunciando che la legge stava, tra l’altro, favorendo le estrazioni illegali su larga scala.

La norma, risalente al novembre 2022, consentiva l’estrazione nelle riserve forestali, compresi gli hotspot di biodiversità, delle zone particolarmente ricche di diversità biologica già considerata a rischio. Di fatto, un colpo di grazia per numerose specie animali e vegetali, nonché per gran parte delle comunità esposte agli impatti delle miniere. Per queste ragioni, diverse coalizioni di cittadini, prima fra tutte la Coalizione dei cittadini preoccupati per il galamsey, hanno iniziato a protestare duramente. Il galamsey – termine locale derivante dall’espressione “raccogliere e vendere” – consiste nell’estrazione mineraria illegale su piccola scala, la stessa pratica illecita che i cittadini ritengono stia ampliando il suo raggio d’azione proprio per colpa della suddetta legge. I manifestanti, guidati dal gruppo che rappresenta tutti i sindacati del Ghana, hanno così minacciato un blocco nazionale per lo scorso 10 ottobre e richiesto il ritiro della dibattuta norma, lo stato di emergenza per affrontare l’estrazione mineraria illegale e l’applicazione di misure più severe per eliminare il fenomeno dalle riserve forestali. La sola intimidazione sembra sia stata sufficiente. I leader sindacali hanno infatti revocato lo sciopero dopo essere stati ricevuti dai vertici del governo. Contestualmente, il presidente Nana Akufo-Addo ha accolto parte delle richieste, tra cui la revoca della legge pro-miniere.

Le dichiarazioni del presidente hanno ribadito che i corpi idrici e le riserve forestali sono “zone rosse” per l’estrazione mineraria e che le attività di rilevamento, prospezione ed esplorazione sono vietate in esse. Inoltre, il presidente ha approvato una direttiva per rafforzare la cosiddetta Operazione Halt, uno sforzo contro l’estrazione mineraria illegale che include il dispiegamento di imbarcazioni militari sui fiumi. Il governo ha poi affermato che sta lavorando con la magistratura per aumentare il numero di tribunali competenti in reati legati all’estrazione mineraria. Ciononostante, alcuni promotori della campagna di opposizione alla legge si sono detti delusi sia dalla risposta del governo che dalla decisione dei sindacati di revocare lo sciopero. «Le misure delineate dal governo per reprimere l’attività mineraria illegale non sono nuove» – ha dichiarato un attivista secondo cui i sindacati avrebbero dovuto rimanere uniti per far valere le loro richieste attraverso lo sciopero nazionale. Nel complesso, la questione è dirimente a livello politico, dal momento che il Ghana andrà alle urne il prossimo 7 dicembre per le elezioni presidenziali.

Il Ghana è il principale produttore africano di oro, un primato che sta tuttavia costando caro all’ambiente e alla popolazione del paese. L’estrazione illegale di oro in Ghana ha subito tra l’altro un’impennata dopo che, quest’anno, il prezzo del metallo prezioso è aumentato di quasi del 30% in tutto il mondo. L’estrazione d’oro comporta gravi danni per la salute degli operai, nonché l’inquinamento dei fiumi e la distruzione delle foreste. Le pratiche di galamsey in Ghana hanno già inquinato molti corsi d’acqua con sostanze chimiche nocive come il mercurio. A dirla tutta, l’estrazione su piccola scala dell’oro è la principale fonte di inquinamento da mercurio sulla Terra. In questa pratica, il mercurio metallico, utilizzato per separare l’oro dal resto del minerale, viene prima aggiunto e poi fatto evaporare, ma se inalato provoca gravi danni neurologici e altre patologie. I minatori sono quindi i soggetti più a rischio, ma anche le comunità vicine alle miniere sono colpite dalla contaminazione da mercurio, il quale si accumula nel suolo, nelle acque potabili e nei prodotti alimentari di base, come il pesce, una delle principali fonti di proteine in molte regioni in cui tali attività sono diffuse. Ad oggi, sono almeno 10 milioni le persone che usano il mercurio per estrarre l’oro in più di 70 paesi. In Ghana, la contaminazione da mercurio è così diffusa che la Ghana Water Company Limited, la principale azienda idrica del Paese, si è vista costretta a tagliare le forniture idriche a migliaia di famiglie perché molte fonti d’acqua sono state compromesse. Secondo alcuni esperti, il Ghana potrebbe persino dover iniziare a importare acqua potabile dato che almeno il 75% delle forniture è stato reso inutilizzabile.

[di Simone Valeri]

Emilia Romagna, mobilitazione straordinaria protezione civile per maltempo

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A causa dell’imperversare della pioggia e del maltempo in Emilia Romagna, dove è tornata l’allerta rossa ad appena un mese dall’ultima alluvione, il ministro Nello Musumeci ha firmato un decreto per la mobilitazione straordinaria della Protezione Civile. Il provvedimento era stato richiesto nelle scorse ore dal governo della Regione. “Il decreto consente al nostro Dipartimento nazionale di assicurare il coordinamento dell’intervento del Servizio nazionale della protezione civile a supporto delle autorità regionali, per collaborare nel contrastare gli eventi estremi” ha dichiarato il ministro.