sabato 23 Novembre 2024
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È stata scoperta una cripta perduta nel sito archeologico di Petra

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Ad Al-Khazneh, il famoso “Tesoro” di Petra in Giordania, è stata scoperta una nuova tomba nascosta che potrebbe colmare alcune lacune storiche ancora irrisolte. Gli scavi, effettuati con tecnologie di telerilevamento combinate a metodi tradizionali, hanno rivelato i resti di 12 scheletri e altri oggetti funerari, rappresentando così una scoperta di rilievo internazionale, dato che si tratta di una delle poche sepolture complete della popolazione araba dei Nabatei trovate a Petra. Secondo i ricercatori, un team guidato dal professor Richard Bates dell’Università di St Andrews, la tomba risale a un periodo compreso tra il I secolo e il II secolo a.C. e potrebbe appartenere al re Aretas IV Philopatris, uno dei più importanti monarchi del regno nabateo. «È fantastico che ora abbiamo la ceramica, gli ecofatti e i sedimenti fino a quando è stato costruito il tesoro. In precedenza abbiamo lavorato su ipotesi e congetture: avere una data definitiva sarà un risultato monumentale per tutti noi», ha dichiarato il dott. Tim Kinnaird della University of St Andrews.

Il sito archeologico di Petra, situato in Giordania, è famoso per le sue monumentali strutture scolpite direttamente nella roccia di arenaria. La città risale circa al VI secolo a.C., quando i Nabatei, una popolazione araba nomade, la trasformarono in un importante crocevia commerciale, sfruttando la sua posizione strategica lungo le rotte carovaniere che collegavano l’Arabia, l’Egitto, la Siria e il Mediterraneo. Petra è nota per i suoi impressionanti edifici, tra cui il celebre Al Khazneh, chiamato “Il Tesoro”, caratterizzato da un’imponente facciata scolpita nella roccia rosa, e il Monastero, più precisamente chiamato Ad-Deir. La città fu abitata fino al periodo bizantino, ma venne gradualmente abbandonata e dimenticata fino alla sua riscoperta da parte dell’esploratore svizzero Johann Ludwig Burckhardt nel 1812. Oggi, invece, è patrimonio dell’umanità dell’UNESCO e una delle Nuove Sette Meraviglie del Mondo.

Recentemente, un team di ricercatori ha fatto una scoperta definita “rivoluzionaria”, trovando una tomba segreta con i resti di 12 scheletri antichi, mantenuti ancora nelle loro posizioni originali. «Lo scopo principale dell’indagine era valutare le condizioni delle aree attorno al Tesoro, il suo cortile, la piazza, l’uscita del Siq e il wadi in cui si riversano, in previsione di potenziali lavori futuri per deviare e controllare meglio le acque alluvionali», ha commentato il professor Bates, che ha guidato la spedizione. «La tomba fu molto probabilmente costruita come mausoleo e cripta nel regno nabateo all’inizio del I secolo d.C. per Aretas IV Philopatris. Come molte tombe nella valle, sono stati trovati pochi resti a causa del loro successivo utilizzo e riutilizzo negli ultimi due millenni», ha proseguito il dott. Kinnaird, aggiungendo che nella camera è stato trovato uno scheletro che stringeva tra le mani un recipiente di ceramica. Analisi approfondite hanno poi rivelato che il recipiente era la parte superiore di una brocca rotta, risalente anch’essa al I secolo a.C. «È stato un privilegio incredibile poter effettuare un’indagine su un sito così iconico, e avere la geofisica verificata con uno scavo così presto è un’opportunità rara. L’entità della scoperta è stata così inaspettata, ma probabilmente farà luce non solo sull’edificio del Tesoro, ma anche sull’intera società nabatea», ha concluso Bates. L’archeologo Pearce Paul Creasman, direttore esecutivo dell’American Center of Research (ACOR), ha aggiunto: «C’è ancora così tanto che dobbiamo imparare sul Tesoro. Quando è stata costruita questa straordinaria struttura e perché? Non sapevamo che questo scavo avrebbe potuto cambiare completamente ciò che sappiamo sul Tesoro e aiutare a risolvere i misteri del popolo nabateo. Con il supporto del governo giordano, questo scavo ci sta portando più vicini che mai alle risposte».

[di Roberto Demaio]

Il modello Albania non dura una settimana: i migranti devono già tornare in Italia

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A meno di una settimana dal primo trasferimento di migranti nell’ambito del tanto discusso progetto di esternalizzazione, il “modello Albania” sembra già fare acqua da tutte le parti. Mercoledì 16 ottobre, quattro delle sedici persone portate in Albania sono state rispedite in Italia per mancanza di requisiti, mentre nella mattinata di ieri, venerdì 18 ottobre, il tribunale di Roma non ha convalidato i decreti di trattenimento degli altri dodici, perché non provenienti da Paesi sicuri: «Troverò una soluzione anche a questo problema», ha dichiarato Giorgia Meloni, criticando la scelta della magistratura; «Non credo sia competenza della magistratura definire quali siano Paesi sicuri e quali no. È competenza del governo». Nel frattempo, gli eurodeputati delle opposizioni di Pd, M5S e AVS hanno presentato un’interrogazione scritta, promossa dalla parlamentare europea Cecilia Strada, per chiedere all’UE se sarà avviata una procedura di infrazione contro l’Italia.

La prima nave partita dall’Italia per trasportare i migranti nelle strutture albanesi è partita lunedì 14 ottobre, giorno dell’entrata in funzione dei centri, ed è arrivata nel porto albanese di Shengjin mercoledì mattina. Qui, tra analisi mediche e identificazione, le sedici persone interessate hanno ricevuto i primi controlli di accoglienza, dai quali è emerso che quattro dei presenti non soddisfacevano i requisiti necessari per essere trattenuti: due di loro perché in cattive condizioni di salute, gli altri due perché minori. Questi quattro sono stati rispediti in Italia, mentre gli altri dodici sono stati trasferiti nella struttura di Gjader. Venerdì mattina, la mancata convalida del tribunale: i dodici migranti arrivati nella struttura di Gjader provengono infatti da Egitto e Bangladesh, Paesi che, secondo la recente sentenza della Corte di Giustizia europea, in conflitto con la normativa italiana, non possono essere definiti “sicuri”.

Visto che i requisiti fondamentali dei migranti perché possano essere trattenuti sono che essi siano persone di sesso maschile, «non vulnerabili» (almeno in prima istanza), e provenienti da Paesi «sicuri», essi sono stati tutti rispediti in Italia. Il loro rientro è atteso oggi, a bordo di una nave della guardia costiera. Una volta in Italia è difficile immaginare cosa potrà loro succedere, perché la commissione territoriale ha respinto la loro richiesta di asilo, decisione contro cui i migranti potranno fare ricorso. Nel frattempo, dovrebbero venire portati in un centro di prima accoglienza a Bari. Anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha annunciato che il governo farà ricorso contro la decisione del tribunale di Roma, dichiarando di essere pronto ad arrivare in Cassazione.

I due centri per l’accoglienza in Albania sono al centro della discussione sin dal loro annuncio. L’accordo con Tirana costerà all’Italia quasi un miliardo di euro, ha la durata di cinque anni, e potrà essere tacitamente rinnovato per altri cinque. Esso presenta numerosi problemi di natura giuridica, primo fra tutti proprio quello relativo alla definizione di “Paese sicuro”, su cui Italia e UE non concordano. L’accordo non definisce inoltre in maniera chiara quali siano le procedure in caso di richiesta d’asilo respinta – quali autorità se ne faranno carico, in che modo verrà effettuato il rimpatrio verso Paese terzo o di origine e così via. Anche sui numeri non vi è chiarezza: se infatti, da un lato, la capienza complessiva dei nuovi centri è di poco più di mille posti, il protocollo definisce che «il numero totale di migranti presenti contemporaneamente nel territorio albanese non potrà essere superiore a tremila».

[di Dario Lucisano]

Russia-Ucraina, nuovo scambio prigionieri: 95 a testa

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Russia e Ucraina hanno effettuato ieri un nuovo scambio di prigionieri di guerra, riportando a casa 95 persone ciascuna. A svolgere il ruolo di mediatore negli accordi sono stati gli Emirati Arabi Uniti. Con un post pubblicato su Telegram, il Ministro della Difesa di Mosca ha affermato che i militari russi che stanno tornando in patria si sono sottoposti a controlli medici in Bielorussia, uno dei più stretti alleati del Cremlino. Il presidente ucraino Zelensky ha invece pubblicato un video in cui si vedono uomini, alcuni avvolti nella bandiera ucraina blu e gialla, scendere da un autobus e venire abbracciati dai propri familiari.

Occupare e coltivare: i nuovi guardiani della colonizzazione israeliana

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In Israele l’agricoltura è veicolo della colonizzazione. Con essa i coloni allargano gli insediamenti, dopo aver cacciato con la forza i palestinesi e aver distrutto i loro raccolti e le loro olivete. Sono varie le organizzazioni che svolgono il lavoro sporco per conto dello Stato di Israele, occupando le terre in Cisgiordania. Alcune di queste contano decine di migliaia di volontari che operano nel settore agricolo. Il governo degli Stati Uniti, recentemente, ha sanzionato alcuni di questi gruppi per le violenze commesse contro i civili palestinesi. Sebbene le autorità israeliane critichino alcune di queste organizzazioni, in realtà queste non fanno altro che cooperare per raggiungere l’obiettivo di Israele di impadronirsi di tutto il territorio palestinese. Hashomer Hachadash, che raduna circa 120.000 volontari operanti nel settore agricolo, è invece direttamente finanziata dal governo israeliano e, dallo scoppio della guerra, è diventata parte attiva delle operazioni di controllo e sorveglianza.

Il primo ottobre scorso, l’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del Dipartimento del Tesoro statunitense ha sanzionato Hilltop Youth per gli atti di violenza compiuti in Cisgiordania a danno della popolazione palestinese. Il gruppo si è reso protagonista di uccisioni, incendi dolosi di case e veicoli, aggressioni e intimidazioni, saccheggiamenti – compreso il bestiame – e sradicamento ulivi col fine di cacciare le comunità palestinesi. Hilltop Youth (letteralmente “Gioventù in cima alla collina”) è un gruppo formato da un migliaio di giovani sionisti religiosi dedito all’agricoltura e allo studio dei testi sacri che da sempre utilizza metodi violenti per portare avanti la colonizzazione. Sebbene le autorità israeliane abbiano più volte dichiarato che questa organizzazione opera al di fuori della legge, nessuna azione seria e decisa è stata mai presa nei suoi confronti. D’altronde, ciò che Hilltop Youth porta a termine è nel totale interesse di Israele. E non è l’unica. Sul finire di agosto, il Dipartimento di Stato USA ha imposto sanzioniHashomer Yosh (“Sentinella”), organizzazione non governativa israeliana che fornisce supporto materiale per l’accaparramento di terre agricole strappate ai palestinesi in Cisgiordania. Sul proprio sito, l’organizzazione scrive: «Lo staff dell’organizzazione lavora per rafforzare la sicurezza, la protezione e la presenza ebraica nelle aree agricole della Giudea e della Samaria, rispondendo in tempo reale, con l’aiuto di volontari e coordinatori sul campo e collaborando con le comunità, enti civili ed enti governativi». Tra le ultime azioni intraprese dal gruppo c’è stata quella condotta contro i 250 residenti palestinesi di Khirbet Zanuta, cacciati dal proprio villaggio, il quale è poi stato recintato dai volontari di Hashomer Yosh per impedire alle persone di tornarvi.

La più importante di queste organizzazioni, non ancora toccata dalle sanzioni, è senz’altro Hashomer Hachadash (“I nuovi guardiani”). Questa no-profit rappresenta il più grande movimento di volontariato in Israele, contando 120.000 volontari diretti e una rete che collega 250.000 persone. Sul sito si legge: «Organizzazione sionista basata sul volontariato che mira a proteggere la terra di Israele e a collegare la società israeliana e il popolo ebraico alla sua eredità». Sul sito del Jewish National Fund USA, sostenitore della no-profit israeliana, è riportato: «HaShomer HaChadash è un’organizzazione di reclutamento volontario dedicata alla salvaguardia della terra e delle fattorie nel Negev e in Galilea e alla difesa degli ideali sionisti su cui è stato fondato Israele». Come riporta 972 Magazine, le romantiche scene agricole immortalate in foto e video di campagne pubblicitarie coprono la realtà di un’agenda che va oltre la raccolta di frutta e la produzione di ortaggi. L’organizzazione è infatti un importante pilastro della colonizzazione israeliana ed è spesso attiva sul pattugliamento della terra per cementare il controllo del territorio. Questo è diventato più evidente dall’inizio della guerra.

Nel luglio scorso, il ministero degli Insediamenti e delle Missioni Nazionali, guidato da Orit Strook, un leader di estrema destra che ha negato l’esistenza del popolo palestinese, ha trasferito circa 13,5 milioni di dollari a Hashomer Hachadash. Come parte dell’accordo, la no-profit si è impegnata a eseguire 15.000 turni di guardia. Non c’è stata alcuna gara d’appalto perché il ministero ha stabilito che l’organizzazione era «l’unico fornitore» nel settore. Già nel novembre scorso, l’organizzazione aveva istituito la “Guardia del Popolo” armando migliaia dei propri volontari. Il Jerusalem Post, in un articolo in cui lodava l’operato dell’organizzazione, ha detto che HaShomer HaChadash è un baluardo della sicurezza alimentare di Israele. Potremmo anche aggiungere che è un baluardo del suo colonialismo.

[di Michele Manfrin]

USA, scoperte microplastiche nel respiro dei delfini

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Le microplastiche, ovvero piccoli pezzi lunghi meno di 5 millimetri collegati ad effetti negativi sulla salute umana ed animale, non solo sono finite nei tessuti dei mammiferi marini, ma anche nel loro respiro: è quanto scoperto da una ricerca condotta al largo della costa sud-orientale degli Stati Uniti, sottoposta a revisione paritaria e pubblicata sulla rivista scientifica PLOS ONE. Gli scienziati hanno prelevato campioni da 11 tursiopi selvatici tenendo delle piastre di fronte allo sfiatatorio dei mammiferi usato per inspirare ed espirare. Dopo aver esaminato le piastre al microscopio, gli scienziati hanno scoperto che ogni delfino espirava almeno una particella di microplastica. «Si apre una miriade di indagini sulle conseguenze di tale esposizione», commentano i ricercatori.

Impact: la app progettata per “plasmare la realtà” sui social media

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telefonini smartphone durante un concerto

La consapevolezza che entità dotate di risorse economiche o umane possano inquinare il “discorso pubblico” della Rete è stata per anni al centro di vivaci dibattiti. In molti casi, si parla di manipolazione algoritmica dei social, un timore che viene perlopiù fomentato in favore di propagande politiche, ma che è radicato in fatti storici ben documentati. Anche nei casi comprovati, tuttavia, le parti coinvolte hanno sempre cercato di mantenere un profilo basso, di non farsi notare e di negare ogni malefatta. Ora le cose stanno cambiando. Dagli Stati Uniti sta emergendo Impact, un’app commerciale che si autopromuove come il prodotto definitivo con cui “plasmare la realtà”.

Il programma in questione è ancora a uno stadio infantile, esiste a malapena, tuttavia la testata 404 Media è riuscita a consultare un documento di testo e un video dimostrativo destinati a coloro che desiderano collaudarne le potenzialità. Nella sua presentazione ufficiale, Impact si disegna come “un’infrastruttura alimentata dall’IA attraverso cui plasmare e gestire le narrazioni nel mondo moderno”. Si tratta di un processo pensato in chiave cooperativa che coinvolgerebbe “masse di ‘brave persone’” pronte a vestire i panni di “volontari pompieri per il mondo digitale”. “Combattere i fuochi vivi, debellare gli incendi boschivi minori e addirittura compiere attività preventive (prebunking) per bloccare le fiamme prima che possano scaturire”, sostiene la demo.

I creatori del progetto, Sean Thielen e Dimitry Shapiro, sostengono di essere mossi da buoni intenti, di voler intervenire per controbilanciare tutti quegli abusi dell’informazione online che causano odio e xenofobia. “I ‘cattivi’ stanno imbastendo comportamenti coordinati inautentici.. Impact permette di organizzare comportamenti coordinati autentici”, spiegano nel comunicato. Ammesso e non concesso che le loro intenzioni siano genuine, è però facile notare che il concetto di “buoni” e “cattivi” sia necessariamente condizionato dalla visione che si ha del mondo e degli obiettivi politici che si perseguono. In tal senso, Impact offre un case study estremamente trasparente.

Il 19 luglio 2024, la commentatrice e influencer libanese Sarah Abdallah ha postato su X il video in cui la Corte internazionale di giustizia (ICJ) ha definito come illegali gli insediamenti israeliani in Palestina. Il contenuto non è accompagnato da commenti opinionistici, riporta in maniera lapidaria un parere consultivo di natura giuridica. Thielen ha però identificato proprio in quel post un bersaglio ideale per l’“iniziativa” Stop Anti-Semitism. L’uomo ha istruito gli utilizzatori dell’app a scrivere commenti che “forniscano un contesto aggiuntivo e mettano le cose in chiaro”. Nello specifico, Impact suggeriva di commentare il contenuto di Abdallah riportando che l’ICJ sia macchiato da pregressi antisemiti, che molte delle accuse mosse dalla Corte siano radicate nella disinformazione, che i giudici non si siano espressi esplicitamente contro Hamas e che la loro opinione non abbia comunque un valore effettivo per le politiche statunitensi e israeliane.

Questi “contesti aggiuntivi” dovrebbero gettare un “seme” in direzione di quelle “persone che sono state sottoposte a molta disinformazione online su Israele e sulla guerra, con il risultato che stanno diventando sempre più simpatizzanti nei confronti di Gaza”. Impact, insomma, propone di sfruttare quello stesso genere di atteggiamento che sostiene invece di voler contrastare. Di addestrare i “pompieri” a combatte il fuoco con il fuoco, intavolando dimensioni (anti)propagandistiche che siano allineate alla visione del mondo sviluppata da Thielen. “Non pensiamo che il coordinamento [dei gruppi di persone] sia in alcun modo una cosa cattiva”, sostiene Shapiro. “Pensiamo sia una cosa strepitosa, perché permette di ottenere risultati e se lo fai per fare del bene, per fare delle cose vere, non vedo dove sia il problema”.

La creazione di Impact solleva peraltro un dilemma tecnico-amministrativo non indifferente, complicando non poco il concetto di “autenticità” dei contenuti immessi sulla Rete. A oggi, è prassi comune considerare come falsi e manipolatori quei messaggi caricati da profili artefatti, da bot automatizzati che esistono solamente per trasmettere contenuti pregni di doppi fini e simulare interazioni sociali. L’app pensata da Thielen opererebbe però in maniera profondamente diversa: il fattore IA sarebbe impiegato solamente per coordinare persone vere e suggerire loro cosa diffondere online. Non solo questi contenuti sarebbero più ostici da identificare come messaggi politici prefabbricati, ma è addirittura opinabile che sia opportuno tacitarli. Applicare politiche di contrasto rischierebbe infatti di essere estremamente controproducente, intaccando l’esistenza stessa di qualsiasi forma di pensiero coordinato o attivismo politico che opera sul web. 

[di Walter Ferri]

Hamas conferma la morte del leader Yahya Sinwar

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Hamas ha dichiarato ufficialmente che il suo leader Yahya Sinwar è morto in combattimento. Lo ha rivelato alla stampa l’alto funzionario Khalil Al-Hayya, aggiungendo che la sua morte non farà che rafforzare il gruppo e si trasformerà in una maledizione «per gli occupanti». Ha riferito inoltre che i 101 ostaggi ancora detenuti non saranno rilasciati finché «l’aggressione» non cesserà. La dichiarazione segue quella del funzionario Basem Naim, che aveva affermato che il gruppo «non può essere eliminato» con l’uccisione dei suoi leader e aggiungendo: «Hamas è un movimento di liberazione guidato da persone che cercano libertà e dignità, e questo non può essere eliminato».

Minacce reciproche e sabotaggio delle strade: riesplode la tensione tra le due Coree

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Negli ultimi giorni, si è assistito a un intensificarsi delle tensioni tra le due Coree, in un contesto in cui da mesi i governi di Seul e Pyongyang si scontrano lanciandosi avvertimenti reciproci e esibendosi in dimostrazioni di forza militare. Questa settimana il confronto si è ulteriormente esacerbato: la Corea del Nord (Repubblica popolare democratica di Corea, RPDC) ha fatto saltare i collegamenti stradali lungo il confine ed è arrivata a indicare ufficialmente la Corea del Sud (Repubblica di Corea) come “Stato ostile”, confermando la modifica costituzionale apportata dalla recente sessione dell’Assemblea suprema del popolo, il parlamento locale, coerentemente con l’intenzione del capo Kim Jong-un di abbandonare l’unificazione come obiettivo nazionale. I contrasti tra i due Stati della penisola coreana si sono acuiti, in particolare, dopo che la Corea del Nord ha denunciato, lunedì 14 ottobre, la violazione dello spazio aereo nazionale per ben tre volte da parte di droni senza pilota sudcoreani carichi di volantini con un chiaro messaggio di propaganda anti-Corea del Nord. Secondo l’agenzia di stampa sudcoreana Yonhap News Agency, l’esercito sudcoreano ha dichiarato di non poter confermare se le affermazioni del Nord sui droni siano vere. Ciò ha innescato una serie di minacce e reazioni allarmanti da parte di Pyongyang causando la preoccupazione della Cina, che nell’area ha importanti interessi strategici. La Russia, invece, ha garantito il suo aiuto militare nel caso in cui il Nord fosse attaccato.

La potente sorella del leader nordcoreano Kim Jong-un, Kim Yo-jong, ha avvertito che la Corea del Sud andrà incontro a un «terribile disastro» nel caso in cui i droni sudcoreani venissero nuovamente lanciati verso il Nord. Allo stesso tempo, l’esercito ha ordinato alle unità di artiglieria lungo il confine con la Corea del Sud di tenersi pronte ad aprire il fuoco. Secondo fonti di intelligence, sarebbero otto le brigate di artiglieria spostate verso la DMZ, la zona smilitarizzata che rappresenta il confine tra le due coree. In risposta agli avvertimenti di Pyongyang, il Ministero della Difesa di Seul ha avvertito che il Nord affronterà “la fine del suo regime” se causerà danni al popolo sudcoreano. Il che ha innescato ulteriori azioni ostili da parte del Nord che ha fatto esplodere i collegamenti stradali e ferroviari a nord del confine che collegavano le due parti della penisola. Un gesto più simbolico che pratico che conferma la volontà di voler interrompere le relazioni con il Sud. In risposta, la Repubblica di Corea ha dato ordine di sparare alcuni colpi lungo la linea di demarcazione.

Le ostilità tra le due Coree, oltre ad affondare le loro origini lontano nel tempo, si inseriscono nel contesto più ampio di alleanze internazionali che caratterizzano l’attuale scenario geopolitico. Una delle cause degli scontri, infatti, è la stretta e storica vicinanza di Seul agli Stati Uniti, che rende sempre più pervasiva la presenza statunitense nell’area. Tanto che lo scorso giugno la Corea del Nord ha espresso la necessità di un’alleanza formale anti-Occidentale e anti-Americana con il fine di contrastare quella che secondo Pyongyang è la strategia egemonica di Washington per accerchiare e sopprimere Stati sovrani indipendenti attraverso l’istituzione di una versione asiatica della NATO. La proposta era arrivata in seguito a un’esercitazione militare congiunta – denominata “Freedom Edge” – tra la Corea del Sud, gli Stati Uniti e il Giappone, vicino alla RPDC. Secondo il governo nordcoreano, l’intenzione strategica degli Stati Uniti è quella di utilizzare «il blocco militare triangolare USA-Giappone-Corea del Sud come una carrozza a tre cavalli per guidare la loro strategia egemonica non solo nel nord-est asiatico, ma anche su scala globale».

In risposta a quella che il Nord ha definito Nato asiatica, Pyongyang ha stretto i suoi legami con la Russia arrivando a siglare, il 20 giugno scorso, un patto storico con Mosca, in base al quale i due Stati si forniranno assistenza militare reciproca e altri generi di aiuti nel caso uno dei due Paesi venisse attaccato da uno o più Stati ostili. Non a caso, il 15 ottobre scorso, il viceministro degli Esteri russo Andrey Rudenko ha dichiarato che la Russia fornirà assistenza militare alla Corea del Nord se il paese verrà attaccato. In tale quadro internazionale, il confronto acceso tra le due Coree rischia di trasformarsi in un ulteriore tassello di quella che è stata definita “guerra mondiale a pezzi”, aggiungendosi alla crisi ucraina, a quella mediorientale e alla questione di Taiwan.

La tensione tra i due governi della penisola non si è mai davvero risolta dal 1945, quando URSS e Stati Uniti la liberarono dall’occupazione giapponese, occupando temporaneamente rispettivamente la parte nord e la parte sud. Allora l’idea era quella di riunificare il Paese con l’intenzione di renderlo neutrale. Tuttavia, con l’inizio della Guerra Fredda, le due parti della Corea dichiararono la propria sovranità fondando di fatto due Stati. Nel 1951, il governo comunista di Kim Il-Sung decise di invadere il Sud arrivando a conquistare Seul. Solo l’intervento di Washington riuscì a respingere l’esercito nordcoreano, mentre la Cina di Mao Zedong dovette intervenire in favore di Pyongyang. Le ostilità cessarono solo nel 1953, quando i due Stati accettarono di rispettare una linea di confine che corre nei pressi del 38° parallelo.

I recenti avvenimenti hanno suscitato la reazione della Cina che ha invitato le due parti alla calma. Colpisce invece l’assenza di Washington nella gestione della crisi tra i due Stati, proprio mentre la possibilità che le tensioni sfocino in una guerra aperta preoccupano sempre di più i principali attori della regione.

[di Giorgia Audiello]

Maltempo, allagamenti ed evacuazioni in almeno 4 regioni

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Una violenta ondata di maltempo ha colpito l’Italia, causando forti piogge, allagamenti e numerosi interventi dei Vigili del Fuoco, che hanno risposto a oltre 350 chiamate di emergenza. Le regioni maggiormente interessate sono la Liguria, l’Emilia-Romagna, la Campania e la Toscana, quest’ultima particolarmente provata dai disagi a Livorno. «A Campiglia Marittima è caduta in un’ora una quantità di pioggia pari a quella di un intero mese», ha dichiarato il presidente della Regione, Eugenio Giani. In Liguria, sono stati effettuati circa cento interventi, soprattutto nella provincia di Genova, mentre in Emilia-Romagna i soccorsi si sono concentrati tra Bologna e Savigno. In Campania, infine, la zona più colpita è stata la penisola sorrentina.

Nuovo sequestro all’ex Ilva per “evidente utilizzo criminale”, ma l’acciaieria non si ferma

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Un nuovo decreto di sequestro ha colpito l’area a caldo dell’ex Ilva di Taranto. Lo ha emesso il gip di Potenza Ida Iura, la quale ha sancito che lo stabilimento è stato utilizzato in modo «criminale» e «a fini di profitto», ignorando gli accordi per ridurre l’impatto sulla salute e l’ambiente. Il provvedimento segue l’annullamento della sentenza nel maxi processo “Ambiente Svenduto”, legato alle attività inquinanti dell’Ilva tra il 1995 e il 2012, nella cui cornice è stato decretato l’invio di tutti gli atti a Potenza. Tuttavia, nonostante il nuovo provvedimento del gip, come accaduto in precedenza grazie ai decreti “salva Ilva”, le attività industriali non si fermeranno. La città rimane divisa: mentre governo e azienda puntano a rilanciare la produzione, ambientalisti e cittadini chiedono la chiusura definitiva dello stabilimento, evidenziando i rischi per la salute pubblica.

«È evidente – ha messo nero su bianco la giudice potentina – che l’utilizzo criminale dello stabilimento a fini di profitto in spregio persino agli accordi presi per ridurre l’impatto mortale delle lavorazioni non può che essere arrestato sottraendo la disponibilità delle aree in cui avvengono le lavorazioni che hanno determinato la compromissione dell’ambiente, della salute dei lavoratori e della popolazione residente». L’atto, con cui è stata scongiurata l’eventualità di un dissequestro, è stato notificato ai commissari straordinari di Acciaierie d’Italia e Ilva in Amministrazione Straordinaria. «È stato accertato il gravissimo quadro sanitario della popolazione di Taranto – si legge ancora all’interno del provvedimento scritto dal gip – in ragione della esposizione alle emissioni industriali e dell’impiego in diversi comparti lavorativi, quadro destinato inesorabilmente a peggiorare nel tempo per la latenza tra esposizione ed esiti». Eppure, grazie ai diversi decreti salva-Ilva che si sono succeduti negli anni e alla facoltà d’uso, lo stabilimento potrà continuare la sua attività. Il primo provvedimento di sequestro, sottoscritto dalla gip di Taranto Patrizia Todisco, era stato emesso nell’estate del 2012: concerneva l’area dei parchi minerali, le cokerie, l’agglomerato, gli altiforni, le acciaierie e l’area di gestione dei rottami ferrosi.

Per la conferma del sequestro, la pronuncia del gip di Potenza era necessaria in seguito all’annullamento del verdetto di primo grado con cui, nel maggio del 2021, erano state comminate significative condanne a 26 dei 37 imputati al processo denominato “Ambiente svenduto”, incentrato sul disastro ambientale contestato all’Ilva dal 1995 al 2012, sotto la gestione dei Riva. La Corte d’Assise d’Appello di Taranto, a settembre, ha infatti accolto la richiesta avanzata dalla difesa della famiglia Riva di spostare il processo a Potenza, dal momento che i giudici di primo grado, residenti a Taranto, sarebbero stati a loro volta «parti offese» nel procedimento, ovvero vittime dello stesso potenziale reato che avevano il compito di giudicare, non potendo dunque avere la «giusta serenità» per pronunciarsi. Il nuovo provvedimento del giudice arriva a pochi giorni dalla riaccensione dell’altoforno 1, avvenuta martedì scorso alla presenza del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. I comitati e le associazioni ambientaliste avevano protestato, denunciando l’incompatibilità dell’impianto con le normative europee in materia ambientale, criticato la cerimonia come un «affronto alla dignità» del territorio e consegnando al ministro un simbolico “daspo urbano”.

[di Stefano Baudino]