L’inviato speciale delle Nazioni Unite nello Yemen, Hans Grundberg, ha annunciato che il gruppo yemenita Ansar Allah, meglio noto con il nome di Houthi, e il governo riconosciuto internazionalmente hanno concordato uno scambio di 2.900 prigionieri. Di preciso, Ansar Allah consegnerà circa 1.700 prigionieri, mentre il governo ne consegnerà 1.200. L’accordo è stato mediato dall’Oman e sarà facilitato dalla Croce Rossa Internazionale. Esso arriva in un contesto di tensioni tra il governo riconosciuto e il gruppo separatista del Consiglio di Transizione Meridionale, supportato dagli Emirati Arabi, che dopo avere lanciato una offensiva contro il governo centrale è arrivato a conquistare circa il 50% del Paese.
Leonardo Maria Del Vecchio: l’ereditiere che sta cercando di costruire un impero mediatico
Dopo il tentativo di ingresso nel gruppo Gedi, editore tra gli altri di la Repubblica e La Stampa, Leonardo Maria Del Vecchio mette ora un piede nel cuore dell’editoria italiana acquisendo il 30 per cento de Il Giornale, attraverso la sua holding di investimento LMDV. L’entrata del quartogenito del fondatore di Luxottica nel giornale fondato da Indro Montanelli nel 1974 inaugura la creazione di un impero mediatico e riattiva un copione ricorrente della storia economica italiana: il passaggio dei grandi patrimoni familiari dall’industria e dalla finanza al controllo dei luoghi in cui si forma e si orienta il discorso pubblico.
In un Paese attraversato da una crisi strutturale dell’editoria, l’arrivo di un azionista “forte” non porta solo capitali, ma ridefinisce equilibri, pone interrogativi sull’indipendenza delle redazioni e riapre il tema, mai risolto, del pluralismo reale dell’informazione. Prima di virare “a destra” con l’accordo sul Giornale, Del Vecchio aveva presentato un’offerta da circa 140 milioni di euro per le testate del gruppo Gedi, rifiutata da John Elkann. Archiviata quella trattativa, l’ereditiere ha chiuso l’ingresso nel quotidiano milanese per una cifra stimata intorno ai 30 milioni, affiancando Antonio Angelucci, già proprietario di altre testate e parlamentare della Lega. Parallelamente, sono proseguono le interlocuzioni per l’acquisto della maggioranza di QN – Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione – controllata dalla famiglia Monti Riffeser. Letta nel suo insieme, la strategia appare coerente, volta a costruire una presenza trasversale nell’editoria nazionale, nonostante un comparto che non promette rendimenti elevati, ma offre prestigio, relazioni e una capacità indiretta di incidere sull’agenda pubblica e politica. Le reazioni dei media all’operazione non si sono fatte attendere: è il caso di Repubblica, che ha proposto un ritratto insolitamente severo di Del Vecchio una volta passato alla “concorrenza”, quando in passato aveva adottato per lui toni lusinghieri dalle sue stesse colonne.
Leonardo Maria Del Vecchio, già in grado di esercitare un peso significativo sulle pagine economiche dei principali quotidiani del Paese, era finito lo scorso anno al centro della cronaca giudiziaria, con l’accusa di aver fatto sorvegliare alcuni familiari, contestata dall’interessato e tuttora al vaglio della magistratura. Se la sua immagine pubblica è spesso associata a quella di un giovane ereditiere, deciso e ambizioso, un ritratto più critico emerge facendo i conti in tasca al quarto dei sei figli del fondatore di Luxottica. Negli ultimi anni, il rampollo ha adottato una strategia di espansione basata su un significativo ricorso all’indebitamento, con passivi che superano diverse centinaia di milioni di euro. Del Vecchio è capo delle strategie di EssilorLuxottica e presidente di Ray-Ban, ma gli investimenti personali passano attraverso LMDV Capital Srl, che controlla altre 17 società. Ed è proprio sulla sua holding che grava una parte consistente di questi debiti. Il bilancio 2024, approvato a fine ottobre, chiude con ricavi di 66,9 milioni di euro e il primo utile netto di appena 31.917 euro dopo le perdite di -1,855 milioni del 2023 e -1.129 euro del 2022, l’anno di avvio. Il patrimonio netto ammonta a 156,443 milioni di euro, di cui però 146,728 milioni di euro è indisponibile, accantonata a riserva di rivalutazione. I debiti della holding – saliti da 92 a 358 milioni – sono finanziati in parte con prestiti bancari e in parte tramite obbligazioni interne garantite dallo stesso Del Vecchio tramite fideiussioni personali. Il ricorso alla leva finanziaria non si limita ai soli prestiti, ma coinvolge anche garanzie personali rilasciate a favore di importanti istituti di credito, a testimonianza di una elevata esposizione individuale nel sostegno della holding. Questi debiti, sebbene coperti da asset e partecipazioni di valore, delineano un quadro in cui la liquidità “reale” e la solidità finanziaria appaiono meno scontate di quanto il patrimonio familiare possa far credere.
In questo contesto, l’ingresso in un settore poco redditizio come quello dell’editoria assume una valenza ulteriore: non solo una mossa di prestigio, ma anche un tentativo di rafforzare notorietà e relazioni in una fase in cui la struttura finanziaria personale e societaria è sotto pressione. Leonardo Maria Del Vecchio potrà anche rivendicare autonomia e buone intenzioni, ma finché l’editoria resterà terreno di conquista delle grandi famiglie, ogni promessa di rinnovamento continuerà ad assomigliare a una variazione su una storia già vista.
Pakistan, attacchi nel nordovest: 5 morti
Oggi in Pakistan si è verificato un attacco ai danni di una squadra di polizia, in seguito a cui sono morti 5 agenti. Gli attentatori hanno teso una imboscata a un furgone della polizia, prendendolo di mira con esplosivi per poi spararvi contro. Gli attacchi sono stati effettuati nel distretto di Karak, nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa, vicino al confine nordoccidentale con l’Afghanistan; nessuna sigla ha rivendicato gli attacchi, ma la regione è teatro di scontri tra milizie separatiste e governo centrale.
I tessuti in poliestere riciclato potrebbero inquinare più del previsto
Spesso sponsorizzato come uno dei materiali “più sostenibili” da usare in ambito moda, il poliestere riciclato è stato messo sotto al microscopio ed analizzato: un nuovo studio condotto dal Microplastic Research Group dell’Università di Çukurova e commissionato dalla Changing Markets Foundation, ha rilevato che in realtà rilascia più microfibre rispetto al poliestere vergine. Quella che doveva essere la soluzione, in realtà, sta generando ancora più problemi. Moltissimi marchi, proprio in questi mesi, hanno concluso una sorta di “sfida” per sostituire il poliestere con la sua versione riciclata in tutte le collezioni: Adidas, H&M, Puma e Patagonia hanno terminato questo passaggio quasi al 100% per motivi legati alla sostenibilità ambientale. Eppure, il poliestere riciclato da bottiglie di plastica, ha un lato tanto invisibile quanto oscuro.
Lo studio è stato svolto su un campione relativamente piccolo, prendendo in esame 51 capi di diverse aziende (Adidas, H&M, Nike, Shein e Zara – ovvero i maggiori produttori di capi in tessuti sintetici secondo una recente indagine di Changing Markets) realizzati con poliestere riciclato (il poliestere in questione deriva prevalentemente dal riciclo di bottiglie di plastica perché ad oggi non è possibile riciclare il poliestere da tessuto a tessuto). Dalla ricerca è emerso che il poliestere riciclato crea in media il 55% in più di inquinamento da microplastiche rilasciate durante il lavaggio rispetto al poliestere vergine; ma anche che le particelle sono più piccole (di circa il 20%), quindi più facilmente disperse nell’ambiente e dannose. Questo avviene perché tutte le fibre riciclate, subendo un processo di ri-lavorazione sia esso chimico o meccanico, si indeboliscono, si accorciano e diventano a tutti gli effetti più fragili, rompendosi più facilmente (le catene polimeriche sono più corte e la struttura più debole).
Tra i vari marchi presi in esame, l’abbigliamento in poliestere Nike si conferma il più inquinante, tanto per il tessuto vergine quanto per quello riciclato. In media, il poliestere riciclato del brand ha liberato oltre 30.000 microfibre per grammo di campione, quasi quattro volte il valore medio di H&M e più di sette volte quello di Zara. Per quanto riguarda Shein, invece, il risultato ha fatto insospettire: i suoi capi in poliestere riciclato rilasciano microplastiche all’incirca alla stessa velocità dei suoi capi in poliestere vergine. Il che fa presumere che i capi etichettati come “poliestere riciclato” in realtà fossero di poliestere vergine, traendo in inganno i propri clienti (altro che greenwashing!). Una mossa che non è nuova al mondo della moda, dove etichette e diciture sono spesso utilizzate in maniera impropria per farsi belli al pubblico e celare la verità.
Dietro al massiccio uso del poliestere nella moda c’è, prima di tutto, una questione economica. Questa fibra sintetica derivata dal petrolio sviluppata agli inizi del 900, è subito entrata a far parte del circuito fashion, per le sue proprietà ma soprattutto per il suo costo decisamente più contenuto rispetto a quello di altri materiali. La sua diffusione massiccia, unita alla sovrapproduzione, ha contribuito a moltiplicare i rifiuti e l’inquinamento. Il poliestere, come tutte le plastiche, si degrada in tempi molto lunghi e, per quanto riguarda i tessuti, ad ogni lavaggio rilascia grosse quantità di microplastiche.
Per questo il poliestere riciclato è stato accolto come il “salvatore” del sistema: la fibra magica ed ecologica che avrebbe permesso di continuare a produrre in maniera indiscriminata sotto l’etichetta verde sigillata dalle tre frecce che si rincorrono. Una soluzione rassicurante, che in realtà nasconde l’irrefrenabile dipendenza della moda dai materiali sintetici. E che nel frattempo sta aggravando il problema dell’inquinamento da microplastiche. Che si trattasse di greenwashing, prima ancora di questi nuovi test, c’è sempre stato il sospetto: adesso c’è la conferma.
L’uso di fibre sintetiche è un numero in continuo aumento, così come la sovrapproduzione, il consumo esagerato e lo spreco. Soluzioni tampone, modifiche progettuali ed interventi a fine ciclo di vita dei capi sono solo gocce in un mare di capi prodotti giornalmente. Le soluzioni concrete ed auspicabili sono rallentare, eliminare la produzione di fibre sintetiche e smettere di usare bottiglie di plastica per produrre abiti usa&getta.
Albania, si accendono le proteste: molotov contro ufficio del premier
A Tirana la protesta contro il governo albanese promossa dal Partito Democratico di opposizione è sfociata nel lancio di bombe molotov da parte di alcuni manifestanti contro l’edificio che ospita l’ufficio del primo ministro Edi Rama. Le tensioni sono esplose dopo l’incriminazione della vicepremier Belinda Balluku, accusata insieme ad altri funzionari e aziende di aver favorito soggetti privati nell’assegnazione di fondi pubblici per grandi opere infrastrutturali. I manifestanti chiedendo le dimissioni dell’esecutivo. Dopo gli scontri, sono stati arrestati quattro uomini. La polizia ha reso noto che altre sette persone sono indagate a piede libero.
Manovra, rimpasto finale: cancellate cinque norme per dubbi sulla costituzionalità
Nell’ultima fase del cammino parlamentare della legge di Bilancio è scoppiato un nuovo braccio di ferro. A poche ore dal voto in aula sulla fiducia, infatti, cinque misure considerate estranee alla manovra finanziaria e potenzialmente problematiche per gli equilibri costituzionali sono state stralciate su iniziativa della commissione Bilancio del Senato. Fonti parlamentari hanno fatto riferimento a un intervento del Quirinale, volto a evitare che disposizioni lesive di diritti e garanzie potessero essere approvate senza un adeguato dibattito. Le norme coinvolgevano diritti dei lavoratori, regole sulle incompatibilità nella pubblica amministrazione, profili della magistratura e la disciplina del personale della Covip.
La scure si è in primis abbattuta sul cosiddetto “scudo” per i datori di lavoro in caso di retribuzioni giudicate incostituzionalmente basse. La misura, inserita tramite un subemendamento di Fratelli d’Italia, stabiliva che «con il provvedimento con cui il giudice accerta, in ogni stato e grado del giudizio, la non conformità all’articolo 36 della Costituzione dello standard retributivo stabilito dal contratto collettivo di lavoro per il settore e la zona di svolgimento della prestazione, tenuto conto dei livelli di produttività del lavoro e degli indici del costo della vita, come accertati dall’Istat, il datore di lavoro non può essere condannato al pagamento di differenze retributive o contributive» per il periodo che precede «la data del deposito del ricorso introduttivo del giudizio se ha applicato lo standard retributivo previsto dal contratto collettivo stipulato» oppure «dai contratti dello stesso settore economico che garantiscono tutele equivalenti per il settore e la zona di svolgimento della prestazione». I leader delle opposizioni l’avevano definita «anticostituzionale, vergognosa, una vigliaccata».
Accanto a questa disposizione, giudicata da più parti un intervento che poteva incidere direttamente sui rapporti di lavoro e sul contenzioso sociale, sono state rimosse altre quattro misure entrate nel testo durante l’iter in Commissione. Tra queste, una norma sulla inconferibilità di incarichi nelle amministrazioni statali, regionali e locali a soggetti provenienti da enti privati regolati o finanziati dalle stesse amministrazioni: la disciplina prevedeva ampia deroga per incarichi straordinari e commissariali, suscitando timori concreti di conflitto d’interessi. Un secondo stralcio riguarda la riduzione del cosiddetto periodo di “raffreddamento”: il divieto di svolgere, alla cessazione del rapporto di lavoro, attività professionale presso soggetti privati destinatari dell’attività amministrativa è passato in emendamento da tre anni a un solo anno, una compressione ritenuta eccessiva dagli oppositori e da tecnici parlamentari. Analogo stop è stato applicato a una norma che avrebbe ridotto da dieci a quattro anni l’anzianità necessaria affinché i magistrati possano essere autorizzati al collocamento fuori ruolo; infine è stata cancellata la revisione della disciplina del personale della Covip, l’autorità di vigilanza sui fondi pensione.
La coincidenza temporale dell’inserimento di queste norme all’interno di un maxi-emendamento di oltre 900 commi — definito in aula «interamente sostitutivo» del testo originario — e la richiesta di fiducia sul pacchetto hanno reso la questione particolarmente critica, aumentando le accuse di “colpi di mano” e la mobilitazione delle opposizioni e delle organizzazioni sindacali. L’intervento correttivo ha reso ancor più accidentato il percorso della manovra, descritto dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti come già «tortuoso». In aula, Giorgetti aveva difeso l’operato del governo, rigettando le accuse di austerità: «Politica di austerità? Io la traduco con il termine prudenza visto il livello del debito pubblico di questo Paese».
Negli scorsi giorni, erano arrivati importanti dietrofront in tema di norme sulle pensioni, in particolare con la cancellazione da parte del governo della misura che depotenziava il riscatto della laurea breve. L’esecutivo non ha invece bloccato l’adeguamento automatico alla speranza di vita, con lo scatto di un mese in più sui requisiti dal 2027 e di due mesi dal 2028. Nella manovra non vengono rinnovati i canali di pensione anticipata “speciali”, con l’uscita di scena di Quota 103 e di Opzione Donna. Dal 1° luglio 2026 entra il silenzio-assenso per la previdenza complementare dei neoassunti, con rinuncia entro 60 giorni. Da gennaio scatta l’obbligo Tfr al Fondo Inps per aziende con 50 dipendenti; dal 2032 l’obbligo riguarda chi ha almeno 40.
Dark Winds: la serie sul colonialismo americano che merita di essere vista
Di fronte alle distese aride della Monument Valley, un panorama classico delle pellicole americane, il cinema ci ha abituati per decenni a uno sguardo univoco: quello del cowboy, del pioniere o dello sceriffo bianco. Con Dark Winds, la serie prodotta da AMC, questo paradigma viene ribaltato radicalmente. Basata sulla celebre saga letteraria Leaphorn & Chee di Tony Hillerman, la serie si muove sulle coordinate del noir classico, ma lo fa dall’interno della nazione Navajo, o più correttamente Diné, e dalla riserva in cui sono stati confinati, trasformando il paesaggio da sfondo estetico a protagonista politico e spirituale. Una storia non più raccontata dal punto di vista dell’uomo bianco, con l’indiano al massimo nel ruolo di co-protagonista, ma dagli occhi di chi vive un dramma personale e che porta con sé un trauma collettivo, intergenerazionale, storico. Sotto la tinta del racconto thriller/giallo, Dark Winds parla della colonizzazione, della sua brutalità e delle sue ferite, quelle passate e quelle attuali.
Ambientata negli anni ’70, quando la popolazione Diné affrontò il dramma degli effetti dell’estrazione di uranio, la narrazione segue il veterano Joe Leaphorn (Zahn McClarnon) e la giovane recluta Jim Chee (Kiowa Gordon). La trama gialla è il motore che permette di esplorare una realtà stratificata. Dark Winds, che tra i produttori ha personaggi del calibro di George R. R. Martin e Robert Redford, tra i suoi punti di forza ha il coinvolgimento massiccio di talenti nativi, da Graham Roland alla sceneggiatura fino alla regia e al cast. Questo garantisce un’autenticità che rifugge il “turismo culturale”.
Sotto la “patina” del thriller, la serie affronta temi brucianti della storia americana. Uno dei più potenti è quello della sterilizzazione forzata delle donne native, una pratica documentata che il governo statunitense ha attuato per decenni attraverso l’Indian Health Service e caduta via via in disuso dopo alcune riforme apportate in quel decennio. Nella serie, questo trauma non è un semplice espediente narrativo, ma una ferita aperta che definisce il rapporto di sfiducia tra la popolazione locale e le autorità federali (FBI), rappresentate come un corpo estraneo, spesso arrogante, sistematicamente cieco di fronte alle dinamiche della riserva e spiccatamente razzista.
Il thriller diventa quindi uno strumento per parlare di giustizia negata. Se nel noir tradizionale il detective è una sorta di eroe che cerca di ristabilire l’ordine in un mondo corrotto, in Dark Winds l’ordine non è mai esistito per i Diné. La legge stessa è lo strumento con cui l’oppressore commette e giustifica i propri crimini. Questi elementi, insieme alla sterilizzazione e all’estrattivismo, sono tutti parte del grande mosaico di ingiustizie che ha rappresentato la scenografia della storia del Nordamerica.
Un altro asse critico fondamentale è lo scontro generazionale e identitario tra i due protagonisti. Leaphorn rappresenta l’equilibrio pragmatico, un uomo disilluso che ha imparato a navigare nel sistema dei bianchi senza dimenticare le proprie radici, mentre Chee incarna la tensione di chi è stato istruito fuori dalla riserva e deve “reimparare” a vedere il mondo attraverso la lente della propria cultura.
La serie affronta con rispetto il tema del “sovrannaturale” e della spiritualità Navajo. Il “vento oscuro” del titolo non è solo un riferimento atmosferico, ma un concetto metafisico legato al male che corrompe l’armonia (Hózhó). Tuttavia, la serie evita sapientemente di cadere nel misticismo stereotipato: le credenze tradizionali sono trattate con la stessa dignità e concretezza con cui un noir urbano tratterebbe questioni differenti.
Visivamente, la serie utilizza il territorio non come una cartolina turistica, ma come un labirinto emotivo. La vastità degli spazi, anziché suggerire libertà, accentua l’isolamento della riserva, una terra confinata dove il tempo sembra essersi fermato. È qui che il genere “Western” muore per rinascere come “Native Noir”. Come sottolineato da diverse critiche, la serie riesce a restituire ai nativi la facoltà di raccontare il proprio trauma senza mediazioni esterne.
Dark Winds non è solo un’ottima serie di genere, ma è un atto di riappropriazione culturale. Il crimine, in questa narrazione, non è solo l’omicidio su cui indagano Leaphorn e Chee, ma l’oblio sistematico a cui un intero popolo è stato condannato per secoli. Affrontando la violenza del passato attraverso i codici del giallo, la serie riesce nell’impresa più difficile: intrattenere il pubblico mentre lo costringe a guardare nelle ombre più profonde e meno esplorate della storia americana. È una serie necessaria, capace di dimostrare che il vero mistero da risolvere non è “chi è stato”, ma “come siamo arrivati fin qui”.
Antitrust, multa da 255 milioni a Ryanair: “Abuso di posizione dominante”
L’Antitrust ha inflitto a Ryanair una sanzione di oltre 255 milioni di euro per abuso di posizione dominante nel mercato dei voli nazionali ed europei da e per l’Italia. Al centro del provvedimento, che riguarda il periodo tra aprile 2023 e aprile 2025, la strategia adottata dal vettore per ostacolare le agenzie di viaggio online e fisiche nella vendita di biglietti combinati con voli di altre compagnie o con servizi turistici e assicurativi. Secondo l’Autorità, la compagnia ha raggiunto una quota di mercato del 38-40%, tale da garantirle un potere significativo e un’azione indipendente da concorrenti e consumatori.









