Un terremoto di magnitudo 6.7 ha colpito oggi il Giappone al largo della costa settentrionale, spingendo le autorità a diramare un allarme tsunami poi revocato. L’Agenzia meteorologica giapponese aveva previsto onde fino a un metro, ma sono stati registrati solo due piccoli tsunami di 20 centimetri in località diverse. La scossa arriva pochi giorni dopo un sisma di magnitudo 7.5 che aveva causato almeno 50 feriti nella stessa area. L’epicentro odierno è stato localizzato a 130 km da Kuji, nella prefettura di Iwate. L’Autorità per l’energia nucleare ha confermato l’assenza di anomalie negli impianti della regione.
GEDI in vendita: redazioni di Repubblica e Stampa in rivolta
Dopo l’annuncio ufficiale dell’avvio delle trattative per la vendita dell’intero gruppo Gedi, il comitato di redazione di Repubblica ha lanciato lo stato di agitazione, mentre La Stampa ha annunciato di trovarsi in assemblea permanente per decidere i prossimi passi da compiere. Ieri mattina, i siti dei due quotidiani non sono stati aggiornati per protesta contro l’azienda. Il governo, intanto, ha convocato i vertici aziendali, mentre il PD ha suggerito l’utilizzo del Golden Power per fermare la cessione. Il gruppo GEDI è di proprietà di Exor, la società della famiglia Agnelli-Elkann, e riunisce anche il sito di informazione HuffPost e le radio Deejay, Capital e M2o. La notizia di una possibile vendita del gruppo era nell’aria da tempo, ma è stata ufficializzata solo mercoledì in una mail interna. Le trattative in corso sono con il gruppo greco Antenna e si trovano ormai in fase avanzata: la vendita è prevista a gennaio.
I giornalisti delle due testate storiche hanno appreso i dettagli dai rappresentanti dei gruppi editoriali in occasione di incontri che hanno definito «sconcertanti, sconfortanti e umilianti». La trattativa in esclusiva con il gruppo Antenna, di proprietà della famiglia greca Kyriakou, è stata prolungata fino a fine gennaio. Tuttavia, è emerso che l’acquirente sarebbe interessato principalmente a Repubblica e alle radio (Deejay, Capital, m2o), mentre per La Stampa si cercano altri compratori, con la trattativa più avanzata con il gruppo veneto NEM. Questo scenario prospetta una frammentazione del gruppo, con gravi incognite operative: per La Stampa, ad esempio, significherebbe essere separata dalle infrastrutture digitali e tecniche comuni a tutto il GEDI.
Di qui la decisione della protesta. I giornalisti torinesi de La Stampa hanno proclamato lo stato di agitazione permanente e hanno già incrociato le braccia, lasciando il giornale fuori edicola. I colleghi di Repubblica hanno seguito l’esempio, proclamando lo sciopero per venerdì 11 novembre, con il sito non aggiornato per 24 ore e il giornale assente in edicola sabato. «L’obiettivo sarebbe di chiudere in parallelo le due operazioni di vendita nel giro di due mesi. Rispetto alle nostre richieste non è stata data alcuna garanzia sul futuro della testata, sui livelli occupazionali, sulla solidità del potenziale compratore, sui destini delle attività messe in comune a livello di gruppo, dalle infrastrutture digitali alla produzione dei video, e quindi senza nessuna garanzia di poter continuare a svolgere il nostro lavoro così come abbiamo fatto fino a oggi», ha commentato la rappresentanza sindacale dei giornalisti de La Stampa. L’assemblea di Repubblica si è dichiarata pronta a una «stagione di lotta dura a tutela del perimetro delle lavoratrici e dei lavoratori e dell’identità del nostro giornale a fronte della cessione ad un gruppo straniero, senza alcuna esperienza nel già difficile panorama editoriale italiano e il cui progetto industriale è al momento sconosciuto».
La vicenda ha immediatamente travalicato i confini aziendali, investendo il mondo politico in maniera trasversale. Il presidente dei senatori del PD, Francesco Boccia, ha lanciato un appello forte al governo, evocando persino lo strumento del Golden Power. Anche la segretaria dem, Elly Schlein, ha espresso forte allarme, chiedendo «garanzie occupazionali per il futuro dei dipendenti del gruppo» e affermando la necessità di assicurare «principi costituzionali di pluralismo dell’informazione e di libertà di stampa». Ribadendo vicinanza ai giornalisti coinvolti, il M5S, AVS, Azione e il PD hanno chiesto un’informativa urgente al governo sulla vendita del gruppo, mentre rappresentanti sindacali e delegazioni interne chiedono l’inserimento di clausole vincolanti che garantiscano posti di lavoro e la continuità produttiva. La palla passa ora all’esecutivo. L’incontro convocato dal sottosegretario Barachini con i vertici GEDI e i Cdr, che andrà in scena la prossima settimana, sarà il primo banco di prova per capire che piega potrà assumere la vicenda.
A spingere verso la cessione sono i conti in rosso del gruppo. I dati sono infatti eloquenti: Repubblica, il giornale fondato da Eugenio Scalfari, ha perso, solo nel 2024, oltre 191.000 lettori (-6 per cento), scendendo a 98.400 copie cartacee con una perdita del 10,7 per cento. La Stampa ne ha salutati quasi 313.000 (-15,8 per cento), precipitando a 60.300 copie. Il digitale non offre sollievo: Repubblica ha quasi dimezzato le copie (da 36.975 a poco più di 20.000). Il gruppo Gedi nel 2024 ha chiuso con 224 milioni di fatturato e 15 milioni di perdite.
Thailandia, sciolto il parlamento; ancora attacchi con la Cambogia
Il primo ministro thailandese Anutin Charnvirakul ha sciolto il parlamento del Paese. La decisione di sciogliere il Parlamento arriva in un clima politico di sfiducia per il premier, a causa di una serie di discussioni sul cambio della Costituzione in corso da tempo; i cittadini saranno chiamati a votare nei prossimi 45-60 giorni. L’annuncio di dimissioni da parte di Anutin va in parallelo con i continui scambi di attacchi con la Cambogia; dal nuovo scoppio del conflitto, la scorsa settimana, almeno 20 persone sono state uccise e 200 ferite.
Palestina occupata: Israele approva altre 800 case negli insediamenti illegali
Israele ha dato l’approvazione definitiva a un piano che prevede la costruzione di 764 nuove unità abitative in tre distinti insediamenti nella Cisgiordania occupata. A dare la notizia è il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, uno dei più arditi sostenitori del piano coloniale di Israele (oltre a essere colono egli stesso). «Israele continua la rivoluzione», ha commentato con tono trionfale il ministro. Di preciso, le nuove unità saranno distribuite tra Hashmonaim, situata oltre la Linea Verde (il confine pre-1967), nel centro di Israele, e Givat Zeev e Beitar Illit vicino a Gerusalemme. Esse andranno ad aggiungersi ai diversi progetti approvati nel corso di quest’anno, nell’ambito di quella che lo stesso Smotrich ha definito una «mossa strategica» per rafforzare le unità coloniali. Smotrich ha inoltre ricordato che dall’inizio del mandato dell’ultimo governo Netanyahu, a fine 2022, lo Stato ebraico ha approvato la costruzione di oltre 51mila unità abitative nei territori palestinesi occupati.
Delle 764 unità abitative previste dal nuovo piano di insediamento annunciato da Smotrich, 478 saranno costruite a Hashmonaim, 230 nella colonia ultra-ortodossa di Betar Illit e 56 a Givat Ze’ev. La decisione è stata presa dal Consiglio Superiore di pianificazione, l’organismo del Ministero della Difesa responsabile dei piani di costruzione degli insediamenti in Cisgiordania, ed è stata promossa dallo stesso Smotrich, colono residente nell’insediamento di Kedumim, riconosciuto come illegale dalla comunità internazionale. Lo scopo del nuovo piano è esplicito: «Rafforzare gli insediamenti e garantire la continuità della vita, della sicurezza e della crescita» nelle colonie. Lo stesso Smotrich ha spesso definito la politica della colonizzazione, di cui risulta uno dei più arditi promotori, una tattica efficace per avvicinare Israele all’annessione totale della Cisgiordania; è anche per tale motivo che la scelta di aumentare ulteriormente le unità abitative attorno a Gerusalemme e nella Cisgiordania centrale è stato criticato dall’Autorità Palestinese, che ha chiesto l’intervento di Trump per garantire che la legge internazionale venga rispettata.
L’iniziativa annunciata ieri, spiegano i giornali israeliani, è parte di un più ampio piano di espansione nelle aree designate. Il riferimento è al piano di insediamento E1, che interesserà una vasta area nei pressi di Gerusalemme con lo scopo dichiarato di spaccare a metà la Cisgiordania. Esso di preciso prevede la costruzione di oltre 3.000 unità abitative tra Gerusalemme Est e Maale Adumim, che isolerebbero i quartieri palestinesi di Gerusalemme Est dalle aree della Cisgiordania non occupate, e separerebbero di fatto Betlemme, la stessa Gerusalemme Est e Ramallah. Il piano è stato pensato oltre trent’anni fa, ed è stato duramente criticato da diversi Paesi e istituzioni internazionali; nonostante ciò, questa estate Israele ha fatto ripartire l’iter per la sua approvazione, congelato proprio a causa della generale opposizione internazionale.
Il piano di espansione E1 è solo uno dei tanti progetti di allargamento delle colonie israeliane in Cisgiordania. I vari schemi, inoltre, non si limitano a costruire nuove unità abitative, ma spesso riguardano l’implementazione di servizi, se non direttamente la costruzione di insediamenti nuovi. L’ultimo è stato annunciato qualche giorno fa dallo stesso ministro Smotrich, e prevede lo stanziamento di 2,7 miliardi di shekel – circa 720 milioni di euro – per la creazione di 17 nuove colonie in Cisgiordania nei prossimi cinque anni e lo sviluppo di infrastrutture coloniali in diverse aree dei territori occupati.
Truffa da 30 milioni: arrestate 9 persone
Nove persone sono state arrestate nell’ambito di una indagine della procura di Brescia riguardante un sistema di frodi e truffe informatiche dal valore di 30 milioni di euro. L’indagine è iniziata su segnalazione della onlus Opera di Santa Maria del Fiore, che gestisce il Duomo di Firenze, il campanile di Giotto e il battistero di San Giovanni, che nell’agosto del 2024 aveva subito una truffa da 1,5 milioni di euro. Secondo l’inchiesta, il sistema avrebbe funzionato tramite l’emissione di fatture da società false, che avrebbero poi trasferito il denaro su conti esteri.
Sciopero generale in Portogallo: treni e voli bloccati
Oggi in Portogallo c’è stato il primo sciopero generale degli ultimi dodici anni. Le proteste hanno interessato diverse città, bloccando i trasporti locali, i servizi ferroviari e gli aeroporti; centinaia di voli sono stati cancellati, le scuole sono rimaste chiuse, i siti di produzione metalmeccanici sono rimasti fermi e gli ospedali hanno assicurato solo il minimo dei servizi da garantire per legge. Lo sciopero intendeva contestare le nuove norme in tema di politiche di lavoro proposte dal governo di Luís Montenegro. Tra le proposte, denunciano i sindacati, norme che faciliterebbero i licenziamenti e renderebbero più precari i contratti di lavoro, e altre che diminuiscono i diritti delle lavoratrici incinte.








