Nonostante la proliferazione di decreti sicurezza e l’inasprimento punitivo degli ultimi anni, la microcriminalità in Italia continua a crescere. I dati ufficiali del Viminale riferiti al 2024 mostrano infatti un aumento dell’1,7% delle denunce rispetto all’anno precedente, con 2,38 milioni di reati registrati. Mentre reati come contrabbando e truffe informatiche si riducono, i furti, le rapine e le violenze sessuali segnano incrementi preoccupanti. Particolarmente allarmante è il coinvolgimento dei minori, cresciuto del 16% in un solo anno. Tale scenario si sviluppa in un contesto normativo che, da decenni, moltiplica le fattispecie di reato e le misure repressive, dimostrando l’inadeguatezza di un approccio puramente punitivo di fronte a fenomeni sociali complessi.
Le statistiche della banca interforze del Dipartimento di Pubblica Sicurezza rivelano che i furti rappresentano il 44% del totale dei reati, con un aumento del 3% rispetto al 2023. Particolarmente significativi gli incrementi dei furti in abitazione (+4,9%), delle rapine (+1,8%) e delle violenze sessuali, drammaticamente cresciute del 7,5%. Le città metropolitane fanno da catalizzatori dei fenomeni criminali: Milano, Firenze e Roma da sole raccolgono il 23,5% dei reati rilevati. Il dato più eloquente riguarda i minori: ogni quattro arresti per rapina, uno coinvolge un ragazzo sotto i 18 anni, con un aumento del 30% delle segnalazioni rispetto al 2019. Queste statistiche sembrano scontare il fallimento di un approccio che privilegia la risposta repressiva rispetto alla ricetta della prevenzione. La deriva degli ultimi anni è piuttosto evidente, avendo prodotto un impianto normativo sempre più volto a criminalizzare la povertà, gli emarginati, il disagio sociale e le opposizioni politiche, rimanendo invece sfacciatamente garantista verso le istituzioni e gli organi statali autorizzati a utilizzare la forza per reprimere il dissenso. Il paradosso emerge chiaramente dal confronto tra l’evoluzione normativa e i dati sulla criminalità. Mentre si moltiplicano le fattispecie di reato e si inaspriscono le pene, la microcriminalità invece di diminuire aumenta.
Negli ultimi 20 anni si sono accumulate norme come il dl Pisanu (2005), la riformulazione dell’art. 270 c.p. e i cosiddetti «decreti sicurezza» Salvini (dl n. 113/2018 e dl n. 53/2019) che hanno inasprito pene e ampliato strumenti repressivi, perseguendo dissenso e immigrazione con lo stesso registro securitario. Il DASPO, nato per i tifosi violenti, è stato declinato in molte varianti — «DASPO di gruppo», «DASPO urbano» e ora anche un «DASPO ferroviario» — trasformando strumenti specialistici in misure di controllo sociale più vaste. Il governo Meloni ha rincarato la dose: la retorica della “tolleranza zero” ha portato all’introduzione di nuove fattispecie di reato come l’«invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l’incolumità pubblica» (art. 633bis c.p.) nel “Decreto Rave”, che prevede la reclusione da 3 a 6 anni per l’organizzazione di raduni non autorizzati. Particolarmente emblematico è l’approccio verso i minori. Il cosiddetto “decreto Caivano” (l.n. 159/23) ha notevolmente ampliato le misure repressive, estendendo l’impiego del DASPO ai maggiori di 14 anni e potenziando la facoltà di arresto in flagranza.
A giugno è stato poi approvato il nuovo Decreto Sicurezza, con l’effettiva l’introduzione di 14 nuovi reati, tra i quali quello di «occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui», di blocco stradale e di rivolta nelle carceri e nei CPR (considerata reato anche in caso di protesta pacifica). Sono state inoltre inasprite le sanzioni per altri 9 reati già esistenti. Ma non è finita qui. Negli ultimi giorni, la lega ha rilanciato l’offensiva sulla «sicurezza totale» con un nuovo pacchetto di quattordici proposte presentato alla Camera. Tra le misure più discusse, spicca l’introduzione di una cauzione preventiva per gli organizzatori di manifestazioni, uno strumento che punisce indirettamente il diritto di protesta. Il pacchetto tocca anche immigrazione, con restrizioni ai ricongiungimenti familiari e il permesso di soggiorno a punti, e ordine pubblico, con inasprimenti penali e procedure accelerate per gli sgomberi, estese a tutti gli immobili, non solo alle prime case.
A questa intensa spinta repressiva, tuttavia, negli ultimi anni non è stata abbinata una maggiore capacità preventiva, mancando investimenti strutturali su politiche sociali, educative e di integrazione giovanile. Mancano, inoltre, norme sulla trasparenza e controlli rigorosi sull’uso della forza da parte delle forze dell’ordine (l’Italia è ad esempio ancora fra i pochi Paesi senza numeri identificativi sui caschi). Il risultato è paradossale: normative sempre più dure che colpiscono spesso i sintomi – occupazioni abusive, proteste, microcriminalità di strada – senza curare le cause profonde come povertà, esclusione e deficit di servizi sul territorio.
Un tribunale spagnolo ha condannato Meta, l’azienda di Mark Zuckerberg proprietaria di Facebook, Instagram e Whatsapp, a pagare 542 milioni di euro per concorrenza sleale. La somma dovrà venire versata a 89 media del Paese; con tale decisione, il tribunale dà ragione all’Associazione dei mezzi di informazione spagnola, che accusava Meta di avere ottenuto vantaggio nel mercato violando le norme sull’uso dei dati personali. Meta di preciso ha violato il Regolamento europeo sulla protezione dei dati, in vigore dal 2018, non chiedendo ai propri utenti l’autorizzazione a utilizzare i propri dati per campagne pubblicitarie personalizzate.
Una sentenza del Tribunale di Bergamo segna una svolta storica nella tutela dei lavoratori che denunciano irregolarità. Per la prima volta in Italia, un giudice ha infatti applicato pienamente le tutele previste per i cosiddetti “whistleblower”, dichiarando la nullità degli atti ritorsivi subiti da un’agente di polizia locale che aveva segnalato gravi illeciti nell’ente in cui lavorava. La donna, dopo aver denunciato anomalie nell’erogazione di buoni pasto, indennità di turno e permessi studio, oltre a irregolarità nella gestione di fondi pubblici, fu sottoposta a un vero e proprio sistema di persecuzioni e demansionamento per tre anni. Tale verdetto, sfociato anche attraverso il meccanismo dell’inversione dell’onere della prova, rappresenta un punto di riferimento fondamentale per la protezione di chi ha il coraggio di denunciare gli illeciti.
La vicenda ha origine quando l’agente, già eletta RSU, segnalò all’ANAC e alla Guardia di Finanza una serie di irregolarità concernenti «l’erogazione dei buoni pasto, delle indennità di turno e dei permessi studio a chi non ne aveva diritto» e altre anomalie nella gestione dei fondi. In seguito a queste denunce, la donna fu sottoposta a quello che il Tribunale ha definito un ambiente di lavoro «nocivo e stressogeno». Il Comandante avviò «due procedimenti disciplinari infondati», le revocò l’arma di servizio, la assegnò all’ufficio notifiche dove svolgeva mansioni inferiori come «archiviazione, scannerizzazione, fotocopiatura e sostituzione dei rotolini delle stampanti portatili», attribuendole una valutazione professionale negativa. Inoltre, dalle testimonianze è stato possibile attestare come lo stesso Comandante la denigrasse in continuazione, proferendo frasi come «è una testa di cazzo», «ha un carattere di merda», e che fu attuato un progressivo isolamento della donna da parte dei colleghi.
Il Tribunale ha applicato per la prima volta in modo efficace il meccanismo dell’inversione dell’onere della prova previsto dall’art. 54-bis del d.lgs. 165/2001, affermando che «quando intervengano atti pregiudizievoli in stretta contiguità temporale con la segnalazione, è l’amministrazione a dover dimostrare che siano determinati da ragioni estranee alla denuncia dell’illecito». I giudici hanno dunque dichiarato la nullità delle misure ritorsive, constatando che la convenuta «non ha dimostrato in modo efficace che esse erano, di contro, esclusivamente motivate da ragioni del tutto estranee alle segnalazioni».
Il Tribunale ha riconosciuto il danno morale in via presuntiva, osservando che «tre anni di umiliazioni, isolamento e ostilità non possono che tradursi in una sofferenza intensa» e che tale pregiudizio può essere accertato attraverso presunzioni semplici, richiamando le «massime di comune esperienza». La giudice ha quindi condannato l’ente al pagamento di 25mila euro a titolo di risarcimento del danno morale, liquidato in via equitativa, «cifra che tiene conto sia del demansionamento subito dal 14.9.2020 al 6.10.2022, quantificato in una somma pari a circa il 20% della retribuzione mensile percepita (cfr. cedolini in atti), sia delle ulteriori sofferenze morali conseguenti alle condotte vessatorie subite per circa 3 anni».
Tuttavia, il limite di questo verdetto storico è rappresentato proprio dalla quantificazione del risarcimento: l’importo di 25.000 euro appare infatti sproporzionatamente basso rispetto alla gravità delle condotte accertate e alla durata delle persecuzioni subite dalla lavoratrice. Come evidenziato nella dottrina, questa moderazione risarcitoria rischia di non esercitare un reale effetto di deterrenza e si pone in contrasto con la Direttiva UE 2019/1937, che assegna esplicitamente alla tutela dei whistleblower una funzione dissuasiva.
Dopo tanto tempo in cui a livello internazionale si parla di Rinascimento psichedelico, anche l’Italia sembra aver trovato la strada per realizzare il suo. Ultimamente, infatti, anche nel nostro Paese, sono state messe in moto diverse iniziative che potrebbero portare al traguardo finale: quello di permettere anche a medici, psichiatri e psicoterapeuti di espandere gli strumenti di cura per i pazienti con sostanze come LSD, psilocibina, MDMA e DMT. La novità più importante è il fatto che di recente nel nostro Paese è stato autorizzato il primo studio clinico, che sarà quindi eseguito su pazienti, per indagare le potenzialità della psilocibina, il principio attivo dei funghetti magici, nel trattamento della depressione resistente, che non risponde cioè ai farmaci tradizionalmente impiegati in questo tipo di cure.
«Anzitutto va detto che il nostro è uno studio multicentrico, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e condotto presso l’Ospedale di Chieti – con il contributo dell’Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara (Prof. Martinotti, Dr. Pettorruso) – la ASL Roma 5 (Dr. Nicolò, Dr.ssa De Risio) e il Policlinico Riuniti di Foggia (Prof. Bellomo, Dr. Ventriglio)», racconta a L’Indipendente Francesca Zoratto, ricercatrice dell’Istituto Superiore di Sanità e Principal Investigator del progetto.
«Lo studio coinvolge pazienti con depressione resistente e confronta due trattamenti attivi: la psilocibina, somministrata in ambiente clinico controllato, e la neuromodulazione accelerata (rTMS). Vogliamo capire quanto e per chi ciascun trattamento funzioni meglio e attraverso quali circuiti cerebrali. Ogni partecipante viene valutato prima del trattamento, assegnato in modo casuale a uno dei due bracci e seguito per circa due mesi con visite cliniche e misure strumentali (EEG e risonanza magnetica funzionale). L’obiettivo finale è personalizzare la cura, identificando biomarcatori che orientino la scelta terapeutica. Per ragioni etiche, non usiamo placebo: entrambi i bracci offrono un trattamento con efficacia già documentata». Sul come avverrà, nella pratica, la ricercatrice ci racconta i diversi passaggi. Il punto di partenza è la selezione con il consenso informato di persone con diagnosi di depressione resistente e la loro valutazione basale, quella delle caratteristiche di partenza tramite esami che comprendono scale cliniche, EEG e risonanza magnetica funzionale. Poi sarà assegnato casualmente a uno dei due percorsi: quello con la psilocibina e quindi «somministrazione unica in setting clinico, con monitoraggio medico e supporto durante e dopo la sessione». In alternativa la «rTMS accelerata: ciclo intensivo di stimolazione magnetica transcranica secondo protocolli clinici consolidati». I pazienti vengono poi seguiti con un follow-up che durerà fino a 60 giorni con visite, scale dei sintomi, monitoraggio sicurezza e ripetizione di EEG/fMRI. Infine, è prevista «l’analisi comparativa degli esiti e delle modifiche dei network cerebrali per individuare predittori di risposta e guidare una psichiatria di precisione».
Psichedelici: per quali patologie?
La psilocibina si sta rivelando promettente soprattutto nella cura della depressione e anche nei disturbi da uso di alcol e nella cessazione del fumo
La depressione è una delle principali patologie per cui gli psichedelici sono stati studiati in passato e oggi sono tornati al centro della ricerca. In particolare, la depressione maggiore e la depressione resistente ai farmaci tradizionali. Ma le patologie su cui potrebbero agire, e su cui la scienza da tempo sta fornendo dati utili, sono diverse. «In base alle evidenze più solide, la psilocibina si sta rivelando promettente soprattutto nella depressione resistente e nella depressione maggiore. Dati emergenti indicano utilità anche nei disturbi da uso di alcol e nella cessazione del fumo; risultati ancora preliminari riguardano il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), l’emicrania/cefalea a grappolo e l’anoressia», sottolinea la ricercatrice, che puntualizza: «L’interesse clinico nasce dalla capacità della molecola di modulare la plasticità neurale e i circuiti cerebrali; ciò può aiutare ad esempio a “sbloccare” schemi di pensiero rigidi».
Ma i campi di applicazione potrebbero essere davvero tanti. Secondo Nicholas Barnes, professore di Neurofarmacologia dell’Università di Birmingham, «sempre più prove dimostrano che le sostanze psichedeliche potrebbero essere la chiave per gestire l’infiammazione, uno dei principali fattori scatenanti di molte malattie croniche, tra cui depressione, artrite e malattie cardiache». E le prove le ha di recente messe in fila in un articolo che ripercorre le recenti scoperte che vanno in questa direzione per ipotizzare che «la prossima generazione di trattamenti antinfiammatori potrebbe derivare da quelli che chiamo farmaci Pipi, composti psichedelici ma inattivi. Si tratta di farmaci progettati per imitare i benefici terapeutici delle sostanze psichedeliche senza causare allucinazioni». Secondo un recente studio pubblicato su Npj Aging, rivista scientifica che fa parte del network di Nature, la psilocibina potrebbe essere considerata come l’elisir di lunga vita. «Forniamo la prima prova sperimentale che il trattamento con psilocina (il metabolita attivo della psilocibina) prolunga la durata della vita cellulare e che il trattamento con psilocibina favorisce una maggiore longevità nei topi anziani, suggerendo che potrebbe essere un potente agente geroprotettivo».
Dallo studio del cervello alla formazione della coscienza
Le sostanze psichedeliche, però, sono importanti anche per altri aspetti. Uno dei principali è che sono state fondamentali nell’aiutare i neuroscienziati a capire come funzioni il nostro cervello, con scoperte costanti nel tempo, e probabilmente non ancora esaurite. Ad esempio, molte scoperte sul sistema serotoninergico e sui suoi diversi sottotipi recettoriali sono state possibili grazie alla LSD, altre grazie alle anfetamine. In fondo è logico: una molecola capace di agire sul sistema nervoso può rivelarne molti dei meccanismi interni.
I temi più affascinanti della ricerca sono anche quelli che ci riguardano più da vicino: secondo branche della ricerca gli psichedelici potrebbero essere alla base della formazione della nostra coscienza. «Da una prospettiva evolutiva, si ipotizza che l’ingestione di psilocibina possa aver contribuito al miglioramento delle capacità visive e del successo riproduttivo delle comunità che facevano uso di questi funghi», scrivono ad esempio nelle conclusioni di un interessante studio scientifico pubblicato su Lilloa da ricercatori peruviani che hanno condotto una revisione della letteratura scientifica a oggi disponibile per sondare questa complessa tematica. L’idea che sottende a questa ricerca è che: «L’origine della coscienza umana è una delle grandi domande che l’uomo deve affrontare e il materiale raccolto indica che la psilocibina potrebbe aver contribuito al suo sviluppo iniziale». Come? «L’ipotesi che i funghi psilocibina possano essere intervenuti come fattore nell’evoluzione della coscienza umana, sia come catalizzatori di esperienze mistiche sia come motori di processi cognitivi, solleva profonde riflessioni sull’interazione ancestrale tra gli esseri umani e il loro ambiente naturale».
L’evoluzione italiana
Era il 2017 quando l’Università di Torino ospitò il convegno della SISSC, Società Italiana per lo Studio degli Stati di Coscienza, fondata nel 1990 dall’etnopsicologo e psicoterapeuta Gilberto Camilla, decano degli studiosi italiani, con un invito aperto a ricercatori stranieri che raccontassero la loro esperienza all’estero. «Da quell’esperienza», ricostruisce la dottoressa Tania Re, antropologa, psicoterapeuta, nonché socia fondatrice della prima Cattedra Unesco Salute, Antropologia, Biosfera e sistemi di cura, «derivarono un altro convegno all’Università di Milano e un incontro al Parlamento Europeo, con una prima richiesta di finanziamenti che coinvolgessero anche la ricerca sugli psichedelici». L’interesse a livello europeo e internazionale continua a crescere come testimoniato dall’aumento delle pubblicazioni scientifiche e anche dall’uso clinico degli psichedelici. Se l’uso compassionevole, e quindi limitato e sperimentale, è permesso in Paesi come il Canada, la Svizzera, USA e Israele, il 2023 è l’anno in cui tutto cambia, perché l’Australia diventa il primo Paese al mondo a permettere agli psichiatri di prescrivere psilocibina e MDMA per una serie di patologie. Oggi in Europa anche la Repubblica Ceca ha autorizzato una legge per l’uso della psilocibina in medicina, che sarà effettiva dal 2026. Altro Paese europeo che di recente ha legiferato per permettere l’uso compassionevole degli psichedelici è la Germania, che, a certe condizioni, permette ai pazienti di accedere a questi trattamenti. In realtà, secondo l’Associazione Luca Coscioni, che in Italia tiene viva da anni la battaglia per gli psichedelici, sarebbe possibile utilizzarli già oggi anche nel nostro Paese, perché, anche in assenza di una legge esplicita, l’uso compassionevole di farmaci sperimentali – psichedelici compresi – è già previsto dalla normativa vigente (Regolamento UE 726/2004, DM 2017).
«In Italia in questi anni è stata usata l’esketamina in alcuni ospedali, perché è l’unico psichedelico che è classificato come un farmaco, sulle altre sostanze l’Italia è mancante, seriamo che lo studio avviato possa aiutare a colmare il divario», ricorda la dottoressa Re. «Nel frattempo sono nate due nuove società scientifiche. Una è Maps Italia, filiale italiana dell’associazione statunitense fondata dal celeberrimo Rick Doblin, nata mentre negli Stati Uniti sperimentavano l’MDMA in studi di fase III, ed è nata Simepsi, società scientifica italiana. Mentre nel 2024 Rovereto ha ospitato un convegno organizzato dall’Università di Trento, dove è tornata a lavorare da Londra l’esperta e premiata ricercatrice Ornella Corazza».
Simepsi nasce a febbraio del 2024, «con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo armonico e scientificamente fondato e eticamente orientato della medicina psichedelica in Italia e non solo», racconta il cofondatore Matteo Buonarroti, terapeuta certificato in terapia assistita con gli psichedelici. «Mancava un’organizzazione scientifica specializzata in medicina psichedelica, e quindi abbiamo colmato il gap, con l’idea di coinvolgere diverse professionalità e organizzazioni che si vogliono avvicinare alla tematica. È rivolta solo a professionisti come medici, psicologi e ricercatori e le attività sono diverse: da quelle formative a quelle divulgative, in attesa di contribuire con le istituzioni per creare linee guida sulla base delle competenze di Simepsi e quelle presenti a livello internazionale, dove siamo in contatto con diverse associazioni».
Insomma, dopo tanti anni passati in sordina, anche l’Italia cerca di riprendersi il posto che merita nello studio di queste sostanze, come testimonia anche l’ultima iniziativa in ordine di tempo, che vede Illuminismo psichedelico, podcast prodotto dall’associazione Coscioni e condotto dallo scrittore Federico Di Vita, trasformarsi in una academy per proporre un corso di formazione ai professionisti di domani.
Nella prima mattinata di oggi, giovedì 20 novembre, un treno espresso si è scontrato con un convoglio passeggeri vicino a Ceske Budejovice, nel sud della Repubblica Ceca. Nell’incidente sarebbero rimaste ferite in tutto 57 persone. Secondo l’ospedale locale, inizialmente due e poi cinque passeggeri sono stati ricoverati in condizioni gravi. La collisione ha interrotto il traffico ferroviario sulla linea tra Ceske Budejovice e Plzen, che non dovrebbe essere ripristinato prima del pomeriggio. Le autorità hanno avviato un’indagine per chiarire le cause dell’incidente.
L’amministrazione Trump starebbe lavorando in segreto con Mosca a un piano in 28 punti per chiudere la guerra in Ucraina, secondo fonti statunitensi e russe citate da Axios. Il documento, modellato sull’impianto diplomatico statunitense che ha portato a un accordo per Gaza, ridisegnerebbe le garanzie di sicurezza per Kiev, riaprirebbe il dossier dei territori contesi e tenterebbe di fissare nuovi equilibri nei rapporti tra Washington, Mosca e Kiev. Dopo le rivelazioni filtrate sui media, il Cremlino ha negato di aver ricevuto proposte ufficiali dagli Stati Uniti, mentre da Bruxelles arriva un monito: senza il coinvolgimento diretto di Kiev e dei partner europei, qualsiasi ipotesi di accordo rischia di restare un esercizio teorico.
Stando alla ricostruzione esclusiva di Axios, i 28 punti del piano rientrano in quattro categorie generali: pace in Ucraina, garanzie di sicurezza, sicurezza in Europa e future relazioni degli Stati Uniti con Russia e Ucraina. Nel dettaglio, si prevede che Kiev accolga le garanzie fornite da Washington, limiti la propria adesione alla NATO e accetti la smilitarizzazione,con la riduzione del numero delle forze armate ucraine e la rinuncia formale all’uso o allo schieramento di armi a lungo raggio. Secondo un articolo del Financial Times, il piano costringerebbe l’Ucraina a cedere il controllo su territori attualmente contesi, tra cui Donbass e Crimea. Il documento rappresenterebbe la base per un possibile accordo scritto prima di un vertice tra il presidente statunitense e quello russo. Il summit programmato a Budapest, però, resta sospeso. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha smentito in un’intervista a Tass la ricostruzione dei mezzi di informazione, sostenendo che la Russia non ha ricevuto alcuna proposta ufficiale dagli Stati Uniti attraverso i canali diplomatici, mettendo in discussione la trasparenza del piano. La presidente della Commissione europea Kaja Kallas ha invece puntualizzato che, affinché l’iniziativa abbia senso, «serve che l’Europa e l’Ucraina siano a bordo», precisando di non essere a conoscenza di un coinvolgimento degli europei alla costruzione del piano di pace USA. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è limitato a ribadire da Ankara che solo gli Stati Uniti hanno la forza per porre fine alla guerra e che l’Ucraina è pronta a negoziare, sottolineando al contempo che ogni decisione deve avvenire in coordinamento con i partner internazionali.
Dietro al piano, ci sarebbe il lavoro riservato dell’inviato di Trump Steve Witkoff, che avrebbe discusso a lungo la bozza con il diplomatico russo Kirill Dmitriev. Quest’ultimo, a capo del fondo sovrano di Mosca e figura chiave nei negoziati sull’Ucraina, ha raccontato di aver trascorso tre giorni a Miami con Witkoff e altri membri dell’amministrazione di Trump dal 24 al 26 ottobre. Secondo Dmitriev, gli Stati Uniti stanno illustrando a ucraini ed europei i vantaggi del loro approccio, in un contesto in cui la Russia ritiene di avere consolidato la propria posizione militare e di godere di una crescente influenza sul campo. Witkoff avrebbe dovuto incontrare Zelensky ieri in Turchia, salvo rinviare la visita. Fonti ucraine confermano tuttavia che il piano è stato discusso a Miami con Rustem Umerov, consigliere per la sicurezza nazionale.
Secondo Politico, che cita un alto funzionario della Casa Bianca, un quadro per la fine del conflitto dovrebbe essere concordato entro la fine del mese e, possibilmente, «già questa settimana». Secondo le fonti, Washington ritiene concreta la possibilità di ottenere il sostegno sia degli ucraini sia degli alleati europei, adattando la proposta ai contributi delle diverse parti. Se l’accordo in 28 punti venisse formalizzato, rappresenterebbe una svolta significativa nel conflitto ucraino, spostando il fulcro dall’offensiva militare a un quadro diplomatico di lungo termine. In assenza di un impegno condiviso, il piano rischia di restare al livello delle intenzioni, mentre sul terreno la guerra prosegue. L’intensificazione dei raid russi, incluso quello su Ternopil, non sarebbe una smentita della volontà di negoziare da parte del Cremlino, ma il tentativo di presentarsi al tavolo con una posizione di forza. Resta da vedere se le parti riusciranno a trovare un accordo scritto e trasparente, e se questo potrà effettivamente tradursi in misure concrete di pace e sicurezza.
Il presidente Usa Donald Trump ha firmato la legge che impone la divulgazione completa dei documenti legati al caso Epstein da parte del Dipartimento di Giustizia. In un post sul suo social “Truth”, Trump accusa i Democratici di aver occultato informazioni sui legami di Epstein, sostenendo che le donazioni e i rapporti con numerosi esponenti del partito siano state taciute. La legge impone al procuratore generale Pam Bondi di divulgare tutti i documenti non classificati relativi a Epstein entro 30 giorni. La legge consente a Bondi di nascondere o censurare informazioni che potrebbero compromettere un’indagine federale.
Sono iniziati ufficialmente ieri, 19 novembre, gli sfratti degli inquilini della Val di Susa le cui abitazioni dovranno essere abbattute per far posto ai cantieri dell’Alta Velocità. A San Giuliano, infatti, vedrà la luce la stazione internazionale della TAV Torino-Lione, costruita da TELT – la società incaricata di portare a termine la grande opera. Nella giornata di ieri, quindi, funzionari dell’azienda, accompagnati da agenti della Digos e delle forze dell’ordine, hanno iniziato a prendere possesso degli immobili, che nei prossimi giorni verranno abbattuti. «Oggi si è scritta una delle pagine più buie della storia del popolo valsusino», ha commentato il Movimento in un comunicato.
Il decreto di esproprio era stato emesso nel 2023. Il 9 ottobre 2024, quindi, erano iniziate le convocazioni dei proprietari dei terreni. Come spiegato da TELT, infatti, nei prossimi anni l’area servirà prima per la logistica dei cantieri di «valorizzazione dei materiali del tunnel di base» e, successivamente, vedrà il sorgere della stazione internazionale di interscambio tra l’alta velcità verso Parigi, le linee ferroviarie regionali e la mobilità verso l’alta Val di Susa e le stazioni sciistiche. E ieri come un anno fa, le operazioni sono avvenute nell’usuale contesto di militarizzazione della valle, alla presenza di un nutrito gruppo di agenti delle forze dell’ordine, riferisce il Movimento. Sono tre le abitazioni che verranno abbattute, dodici le persone che hanno dovuto trovare altrove un luogo dove andare a vivere. L’estensione complessiva dei terreni espropriati è di circa quattromila metri quadrati, per un totale di oltre un migliaio di proprietari. Tanti erano stati, infatti, gli attivisti che nel 2012 avevano comprato una porzione di territorio a testa. L’iniziativa era stata denominata Compra un posto in prima fila: allora la costruzione della stazione internazionale era soltanto un’ipotesi, ma i cittadini della Valle avevano scelto di muoversi per tempo, per rendere più difficoltosa per le aziende l’appropriazione dei terreni.
«Perdere una casa non è solo una questione economica: significa vedere cancellata una parte della propria vita. Quello di stamattina è stato l’ennesimo atto imposto con la forza in un territorio che da oltre trent’anni resiste a un’opera inutile, costosa e distruttiva, già obsoleta ancora prima di essere completata», scrive il Movimento, che aggiunge: «il “progresso” che TELT e le istituzioni cercano di imporci si traduce da anni in espropri forzati, abbattimento di case e violazione dei nosrti legami affettivi e comunitari. Il loro “progresso sostenibile” è solo retorica e propaganda, è distruzione e violenza cammuffate da sviluppo».
In Brasile, dieci nuovi territori saranno ufficialmente riconosciuti come terre indigene. La firma è arrivata pochi giorni dopo le proteste organizzate a Belém, dove si sta tenendo la COP30, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima che quest’anno conta il numero più alto di delegati indigeni mai registrato. Migliaia di attivisti, molti dei quali appartenenti a comunità native, hanno marciato fuori dalla sede del summit chiedendo la demarcazione immediata degli ambienti abitati e protetti dalle comunità ancestrali.
Le richieste sono state ascoltate. Con la nuova misura, i territori ufficial...
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La Polonia ha annunciato la chiusura del consolato russo di Danzica, l’ultimo operativo nel proprio territorio. La scelta della Polonia arriva dopo i presunti «atti di sabotaggio» sulle proprie ferrovie, che il Paese attribuisce alla Russia. L’annuncio è stato dato dal ministro degli Esteri polacco alla stampa; il ministro ha precisato che la chiusura del consolato di Danzica verrà formalizzata alla Russia nelle prossime ore, sottolineando che essa non comporta una rottura delle relazioni diplomatiche con Mosca e che l’ambasciata a Varsavia continuerà a lavorare regolarmente.
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