sabato 6 Dicembre 2025
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Dieta vegetariana: gli errori più frequenti (e come evitarli)

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La dieta vegetariana, e ancor di più quella vegana, devono essere gestite con grande accuratezza, attraverso una ottimale consapevolezza e conoscenza del cibo e di come funziona la nutrizione. Questo perché si tratta di diete che restringono il campo degli alimenti che si possono assumere e dunque potrebbero – se mal gestite – determinare anche degli scompensi e disequilibri nella nutrizione corretta dell’organismo. La dieta vegetariana prevede l’esclusione di carne e pesce, ma può includere prodotti di origine animale come uova, latticini e miele, al contrario della dieta vegana che esclude qualsiasi prodotto di origine animale. Quest’ultima si può considerare una dieta completamente a base di cibo vegetale, mentre quella vegetariana no.

Dieta vegetale non è sinonimo di “dimagrante”

Nel caso si segua una dieta vegetariana o vegana, occorre fare attenzione alla tipologia di alimenti che si scelgono, alle quantità e alle combinazioni. È necessario mantenere un equilibrio tra i nutrienti ed è fondamentale sottrarsi alle insidie ingrassanti. Molte persone, infatti, immaginano che una dieta vegetariana o vegana portino automaticamente a dimagrire. Di fatto, non è così: la denominazione “Veg” non è sinonimo di dimagrimento. Chi ha necessità di perdere peso o vuole seguire una dieta in tal senso dovrebbe guardarsi dalle diete vegetali improvvisate: un’alimentazione che limita i derivati animali e non li sostituisce in maniera adeguata con le alternative vegetali, infatti, può nascondere non poche trappole per la linea.

Vegetariani, insomma, non ci si improvvisa: è fondamentale mantenere un equilibrio fra i vari nutrienti, ponendo grande attenzione a non eccedere con zuccheri, farine, cibi troppo processati ed elaborati, tipici della dieta 100% vegetale proposta dall’industria alimentare. In caso contrario, senza prestare attenzioni particolari, si incorrerà in aumento di peso e carenze nutrizionali. I ritmi di vita odierni, tuttavia, rendono difficile per molti ricavare il tempo necessario alla preparazione di pasti in casa, equilibrati dal punto di vista nutrizionale, motivo per cui spesso ci si affida a prodotti pronti che si trovano in commercio (burger vegetali, salse vegane, piatti pronti, affettati e formaggi vegani ecc.). Vediamo quindi quali sono le insidie più comuni che possono rendere problematica la scelta di seguire una dieta vegetariana o vegana.

Primo errore: carboidrati e zuccheri dominano la tavola

L’eccesso di carboidrati e zuccheri è un rischio molto concreto, se si affrontano i pasti senza una pianificazione precisa – nella dieta vegetariana come in tutte le altre. Spesso, nella fretta quotidiana, i pasti principali (pranzo e cena) sono composti da soluzioni pratiche quali panini, focacce, pizzette, piatti a base di sola pasta, frutta, formaggi e dolcetti. Se è vero che questi alimenti non contengono carne, è anche vero che sono carichi di zuccheri, carboidrati e grassi, che spesso vengono inseriti tutti nello stesso pasto. E se questi pasti sono acquistati come cibi pronti al supermercato o al bar, ci può essere un’insidia aggiuntiva: ciò che è prodotto da forno dolce o salato confezionato, contiene solitamente anche conservanti, additivi, sale, amidi o zuccheri, per renderlo più buono e conservarlo. Tutte sostanze che possono avere ripercussioni negative sulla salute, specie se questo tipo di pasti viene consumato con frequenza. Un suggerimento, dunque, è quello di evitare alternative comode ma insidiose acquistate al bar o al supermercato e preferire il più possibile pasti preparati a casa con un occhio di riguardo a condimenti e bilanciamento dei nutrienti.

Secondo errore: poche fonti proteiche

Riducendo le fonti proteiche l’errore che si commette è quello di scadere nella monotonia e nella noia ed è facile ritrovarsi a consumare abitualmente legumi, che non sono una fonte proteica pura come il pesce e la carne, ma sono alimenti a prevalenza di carboidrati

Per quanto possa sembrare banale, uno dei rischi in cui si incorre una volta che si eliminano carne e pesce come fonti proteiche è la noia: spesso, infatti, ci si ritrova a consumare solamente legumi, considerati (a torto) una fonte proteica alternativa alla carne. I legumi infatti sono alimenti a prevalenza di carboidrati e non proteine pure, motivo per il quale, affinchè possano costituire un’alternativa alle fonti proteiche animali, vanno consumati in quantità adeguate. Altrimenti, si tenderà a favorire cibi più appaganti, come i carboidrati, con ripercussioni negative su metabolismo e girovita oltre che sulla salute in generale. Nemmeno eccedere nel consumo di formaggi e latticini va bene: si tratta infatti di cibi ricchi di grassi e calorie, che non possono essere assunti in eccesso pena ripercussioni anche qui negative sulla salute.

Per evitare di incorrere in questo tipo di problematiche (assunzione di una quantità non adeguata di proteine e di un eccessivo quantitativo di calorie) è bene assumere a rotazione formaggi, latte, yogurt, legumi e anche alternative come il tofu, derivato della soia, preferendo un’alimentazione varia. Ricordiamo, ancora una volta, che per un corretto bilanciamento la soluzione migliore è affidarsi a professionisti della nutrizione ed evitare il fai da te.

Terzo errore: fare pasti di sole verdure o frutta

Quanti vegetariani principianti puntano a fare pasti di sola verdura e frutta? Nei social se ne vedono tantissimi. In questo caso si tratta di scelte dietetiche del tutto sconsiderate che, se diventano una regola, possono essere molto dannose per la salute. Se nel pasto scarseggiano i carboidrati complessi, ma soprattutto le proteine e i grassi, il prezzo da pagare è fatto di carenze nutrizionali, cali di energie e attacchi di fame nervosa. Anche il metabolismo, oltre che il sistema immunitario, subisce un brusco rallentamento e perde di funzionalità.

Quarto errore: gli alimenti industriali

Il seitan è un cibo frutto dell’ingegneria alimentare dell’industra che inventa cibi adatti per chi non vuole le proteine del cibo animale

Un’attenzione particolare va prestata anche ai sostituti vegetali della carne che affollano i reparti “naturali” e “vegetali” del banco frigo al supermercato: polpette, veg burger, cotolette vegetali già pronte a base di tofu o seitan (confezionati di norma in modo molto rassicurante e “green”), prosciutti e formaggi vegetali, tanto per citarne solo alcuni, sono spesso un vero e proprio concentrato di sodio, additivi e grassi della peggiore qualità (grassi idrogenati, oli vegetali raffinati, mono e digliceridi ecc.). Il seitan, in particolare, è glutine puro concentrato, un cibo artificiale che non esiste in natura, frutto dell’ingegneria alimentare dell’industria che cerca di inventare alternative accattivanti per chi preferisce evitare le proteine animali. In natura il glutine si può trovare in una piccola quantità dentro il frumento, ma non come bistecca concentrata di glutine come il seitan. Questi non-cibi possono nuocere all’intestino: più è artefatto e stravolto un alimento, più è lontano dalla sua forma naturale, e più avrà effetti infiammatori per il nostro organismo. E spesso infatti questi sono i cibi responsabili della disbiosi intestinale, cioè del disequilibrio della flora batterica. Si tratta di alimenti da inserire nella dieta solo una volta ogni tanto, al limite. Bisogna prestare attenzione anche alle salse e maionese vegetali di condimento, come quelle di soia (Shoyu o Tamari), quelle ketchup o le maionesi e il pesto vegano, come anche i ragù vegetali (di seitan): contengono sempre molto sale, troppo, per sopperire al sapore dei grassi e delle sostanze animali. L’eccesso di sale, è noto, favorisce la pressione alta e il gonfiore in tutto il corpo (il sale trattiene liquidi). 

Honeywell Civitanavi: l’azienda marchigiana nella catena globale della guerra

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L’industria della guerra a stelle e strisce sta allungando sempre più i suoi tentacoli in Italia. Nel cuore delle Marche, nel piccolo borgo di Porto Sant’Elpidio, l’azienda Civitanavi System da un anno e mezzo è stata acquistata da Honeywell, gigante americano che produce armi nucleari, sistemi di puntamento, guida e rilevamento per missili e droni, i cui componenti sono stati ritrovati nelle macerie di una scuola di Gaza. In occasione dello sciopero generale contro la finanziaria di guerra del 28 novembre scorso, l’azienda è stata contestata dagli attivisti del Coordinamento Marche per la Palestina, in presidio dall’alba fino al primo pomeriggio, denunciando la complicità nel genocidio della casa “madre” Honeywell. In realtà, l’azienda marchigiana da anni sta investendo nel settore della difesa e l’acquisizione del 100% delle quote di Civitanavi da Honeywell Italia, (filiale italiana della compagnia statunitense) al costo di 200 milioni di euro, le permette di coronare un sogno: entrare a far parte della catena di approvvigionamento mondiale dei giganti della guerra. 

Il fiuto di Civitanavi per la guerra 

L’azienda è nata nel 2012 e si è specializzata fin da subito nella ricerca, progettazione e produzione di sistemi e sensori inerziali. Nel 2018 ha ottenuto la certificazione per produrre componenti per l’industria civile e militare (droni, carri armati, jet da combattimento) e ha via via ampliato le sue dimensioni, con sedi secondarie a Torino (in corso Francia), a Casoria (NA) e con un’unità produttiva anche nel Regno Unito, a Filton (Bristol). Conta circa 200 dipendenti e un fatturato di 40,72 milioni nel 2024.

Il quartier generale di Honeywell a Charlotte, in North Carolina

Già nel 2022 Civitanavi ha iniziato a collaborare con Honeywell, in particolare nella progettazione e creazione dei sistemi di navigazione inerziale HG2800, utilizzati nell’industria mineraria e nei velivoli militari. L’attuale presidente del CdA e co-fondatore di Civitanavi, Andrea Pizzarulli, fino al 2012 è stato direttore di ricerca in GEM Elettronica, altra azienda marchigiana controllata da Leonardo (al 65%) che produce radar e sistemi «utilizzati nel dominio navale militare e nella sorveglianza costiera». Civitanavi ben presto (2021) è diventata fornitore pluripremiato di Leonardo ed è così entrata nella supply chain del Global Combat Air Programm (GCAP), provvedendo a fornire i sistemi inerziali per i caccia da combattimento di sesta generazione (ex Tempest) prodotti dal consorzio di Bae System (Regno Unito), Leonardo (Italia) e Jaiec (Giappone). 

Nel 2023 ha acquisito una partecipazione del 30% in PV-Labs, società canadese dual use dI imaging aereo per la sicurezza e la sorveglianza, sulla quale ha investito 10 milioni di dollari anche Lockheed Martin, per sistemi di guida necessari all’aereo da trasporto militare CC-130J. Per Andrea Pizzarulli l’interesse di Lockheed Martin è stato motivo di vanto: «Apprendere che Lockheed Martin, un punto di riferimento nel settore, abbia investito in PV-Labs, mostra la valenza strategica del nostro investimento» ha dichiarato in una nota stampa.

Sistemi di puntamento inerziali e il genocidio a Gaza

Frammenti del missile che ha colpito la scuola Onu a Nuseirat il 6 giugno 2024. [Sanad/Al Jazeera]

Con l’acquisizione totale di Civitanavi da parte di Honeywell, sono state integrate la tecnologia dei giroscopi a fibre ottiche (FOG) e MEMS (Micro Electro-Mechanical Systems) di Civitanavi nel portafoglio di Honeywell, «per espandere l’offerta di sistemi di navigazione e stabilizzazione nei settori aerospaziale, della difesa e industriale».  

Honeywell Civitanavi (questo il nome attuale) attualmente produce e commercializza unità di navigazione e puntamento inerziale (ins) a scopo militare, tra cui il sistema Petra per carri armati e veicoli militari terrestri, il sistema Argo 500 per elicotteri e jet civili e militari e il sistema Argo destinato a «jet da combattimento (fighters), e adattabile a nuove produzioni di aerei militari».

Come già ricordato sopra, frammenti di tecnologie Honeywell, sono state trovate a Gaza, tra le macerie della scuola al-Sardi, distrutta da un bombardamento israeliano nel giugno 2024 che uccise 40 palestinesi, di cui la maggior parte bambini. Nello specifico, secondo le analisi di Sanad/Al Jazeera, è stato trovato un frammento di unità di misurazione inerziale di guida del missile, della categoria numero HG1930. Un tipo molto simile a quello che Honeywell e Civitanavi hanno prodotto insieme, il sistema HG 2800, fin dal 2022. Anche nel bombardamento di un’altra scuola palestinese a Gaza nel 2014 furono ritrovati frammenti di queste unità. 

Honeywell e Israel Aerospace Industries (IAI) d’altra parte hanno stretto una solida collaborazione nel settore aerospaziale, sullo sviluppo di sistemi di navigazione per droni Heron, resistenti al jamming (disturbi) del GPS. La collaborazione integra il sistema anti-jamming di IAI con i sistemi GPS/INS integrati di Honeywell. Il sistema è adatto per applicazioni di navigazione militare e ha appena ottenuto la codifica M-Code dall’autorità governativa statunitense. «L’accordo rafforza le relazioni tra le due aziende, che vedono il mercato fiorente e il potenziale di un’attività in crescita» dichiarava nel 2018 Joseph Waiss amministratore delegato di Iai. 

Honeywell e le bombe atomiche 

Un presidio di BDS (Movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) Marche a favore del boicottaggio di Civitanavi Honeywell

Come riporta il dossier At great cost: the companies building nuclear weapons and their financiers (A caro prezzo: le aziende che costruiscono armi nucleari e i loro finanziatori), del progetto Don’t Bank on the Bomb, Honeywell è anche una delle aziende statunitensi più coinvolte nella fabbricazione e sperimentazione delle armi nucleari. Recentemente, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ordinato al Dipartimento della Difesa di iniziare i test sulle armi nucleari (pratica che gli Stati Uniti non conducono dal 1992) e, secondo gli analisti della Difesa, l’investimento porterà molti profitti a Honeywell International, BWX Technologies, Chugach Alaska Corp, Jacobs Solutions, Inc., Mele Associates, General Atomic Technologies Corporation. Queste aziende infatti sono specializzate nella costruzione, gestione, supporto e servizi di ingegneria correlati ai siti di test nucleari (Kansas City National Security Campus, Nevada National Security Site e Sandia National Laboratory). Honeywell in particolare, gestisce un sito di test, conduce prove e contribuisce al monitoraggio delle scorte nucleari statunitensi. Honeywell lavora inoltre su strumenti di guida e controllo per l’LGM-35A Sentinel, (prodotto da Northrop Grumman), il nuovo missile balistico intercontinentale statunitense (ICBM), che può trasportare testate nucleari fino alla distanza di circa 11000 chilometri.  Honeywell produce anche sistemi per i missili balistici lanciati dal sottomarino Trident II, e sistemi per la nuova bomba a gravità nucleare B61-12. L’Indipendente ha chiesto ad Honeywell Civitanavi se può escludere che i loro prodotti, una volta che finiscono nelle sedi di Honeywell negli USA, non siano poi utilizzati in mezzi di guerra esportati verso Israele o altri Paesi che violano i diritti umani e come si concilia con il codice etico aziendale produrre sistemi utilizzabili in jet militari, carri armati, missili. L’azienda ha preferito non commentare.

Raid dell’Idf su Khan Yunis, almeno 6 morti, 2 bambini

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Nei nuovi raid israeliani a Khan Yunis sono morte almeno sei persone, tra cui due bambini, secondo fonti palestinesi. Fonti locali riferiscono che un drone ha anche colpito una tenda che fungeva da rifugio per gli sfollati. L’esercito israeliano ha dichiarato di aver colpito un “comandante” di Hamas in risposta a “una palese violazione del cessate il fuoco” dopo scontri a Rafah, dove quattro soldati sono rimasti feriti. Nel pomeriggio di mercoledì è stata consegnata all’Idf una bara che dovrebbe contenere i resti di uno degli ultimi due ostaggi che ancora si trovano nell’enclave palestinese.

Un raro cetaceo è stato avvistato vivo dopo 60 anni di ricerche

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Era dal 1958 che ricercatori di tutto il mondo aspettavano di vedere un esemplare vivo di Mesoplodonte di Nishiwaki, cetaceo dal caratteristico dente sporgente, noto fino ad oggi solo attraverso l'osservazione di poche carcasse spiaggiate. La conferma dell'avvistamento di un branco è avvenuta nei giorni scorsi, al culmine di un percorso di ricerca iniziato in America nel 2020, quando nell'Oceano Pacifico apparve un segnale di ecolocalizzazione. Dopo quattro anni di studi e lavoro sul campo, la nave Pacific Storm intercetta un gruppo di cetacei in superficie, da cui prelevano, attraverso un'app...

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Un nuovo rapporto ONU accusa Israele di “torture sistematiche” contro i detenuti palestinesi

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Torture sistematiche, abusi gravi come percosse, attacchi con cani, elettroshock, waterboarding, violenze sessuali, detenzione amministrativa senza processo, morte di detenuti con totale impunità delle forze di sicurezza israeliane. È quanto emerge dal rapporto del Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura (CAT) che, dopo mesi di audizioni e analisi supportate da testimonianze oculari, rapporti medici e migliaia di documenti, accusa Israele di aver adottato «una politica statale di fatto di tortura organizzata e diffusa», descrivendo un sistema che avrebbe normalizzato abusi fisici e psicologici ai danni di prigionieri palestinesi, bambini compresi, e che si sarebbe gravemente intensificato dal 7 ottobre 2023.

Il comitato delle Nazioni Unite, composto da dieci esperti indipendenti, rileva una serie di schemi ricorrenti: percosse, privazione del sonno, minacce contro i familiari, esposizione a temperature estreme, utilizzo prolungato delle manette come strumento coercitivo, posizioni di stress e violenze sessuali. Abusi che sono già stati denunciati da precedenti indagini indipendenti e da ONG. Il rapporto dell’ONU, pubblicato venerdì nell’ambito del monitoraggio regolare del comitato sui Paesi che hanno firmato la convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, rileva anche i detenuti palestinesi sono stati umiliati «costringendoli a comportarsi come animali o a urinare loro addosso». La “detenzione amministrativa”, utilizzata senza capi d’imputazione né processo, coinvolgerebbe centinaia di palestinesi trattenuti per periodi indefiniti. Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem sarebbero ben 3.474 i palestinesi in stato detenzione amministrativa. Già in precedenti osservazioni, il Comitato aveva espresso preoccupazione per l’assenza di un reato specifico di tortura nel diritto israeliano e per la possibilità, prevista dal Codice penale, di invocare la clausola di “necessità” come giustificazione dell’uso della forza durante gli interrogatori. Per il Comitato, questa lacuna normativa apre la strada all’impunità per gli abusi commessi contro i detenuti e si contestano le decisioni della Corte Suprema israeliana «che hanno evitato l’apertura di indagini criminali contro agenti della sicurezza nonostante l’uso accertato di tecniche coercitive».

In generale, le condizioni di detenzione restano critiche: sovraffollamento, cure mediche insufficienti e uso esteso dell’isolamento, con almeno 24 detenuti in isolamento prolungato per oltre due anni consecutivi. Il Comitato denuncia, inoltre, la morte di almeno 75 prigionieri palestinesi in custodia dall’inizio del conflitto del 2023, senza che alcuna indagine abbia portato a responsabilità effettive. Il quadro delineato dalle Nazioni Unite è aggravato dalla detenzione e dai maltrattamenti sui minori palestinesi. Il rapporto rileva interrogatori condotti senza la presenza di un avvocato o dei familiari, ammissioni estorte con la coercizione e un uso crescente della detenzione come misura ordinaria e non eccezionale, osservando che l’età della responsabilità penale imposta da Israele è di 12 anni, ma che sono stati detenuti anche bambini di età inferiore. Secondo il dossier, i minori subiscono «gravi restrizioni nei contatti con la famiglia, possono essere tenuti in isolamento e non hanno accesso all’istruzione, in violazione degli standard internazionali». Il Comitato chiede a Israele di modificare la propria legislazione affinché l’isolamento non venga utilizzato contro i bambini.

Il rapporto è stato pubblicato il giorno in cui tre agenti della polizia di frontiera israeliana sono stati rilasciati dopo essere stati interrogati in merito all’esecuzione a sangue freddo di due palestinesi a Jenin. La reazione di Israele, riportata dai media internazionali, contesta le conclusioni dell’ONU, definendole «parziali e prive di fondamento». Tuttavia, il Comitato ribadisce che le prove raccolte sono «coerenti, credibili e convergenti» e che l’impunità resta la norma. La pubblicazione del rapporto accresce le pressioni internazionali e riapre il dibattito sulla compatibilità tra le pratiche di “sicurezza” di Tel Aviv e gli obblighi derivanti dalle Convenzioni internazionali. Per ora, le raccomandazioni restano lettera morta, mentre le carceri e le strutture militari israeliane continuano a essere dei veri e propri centri di tortura.

 

Senegal, proteste degli studenti: scontri con la polizia

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Gli studenti senegalesi sono scesi in piazza nella capitale Dakar per chiedere maggiori aiuti finanziari e sussidi universitari. Per far fronte alle proteste, i vertici dell’Università Cheikh Anta Diop hanno chiesto l’intervento delle forze dell’ordine, e sono scoppiati degli scontri tra manifestanti e polizia. Gli studenti hanno lanciato pietre verso gli agenti, che hanno a loro volto scagliato gas lacrimogeni contro la folla. I disordini in Senegal arrivano in una situazione finanziariamente precaria per il Paese, che secondo dati del Fondo Monetario Internazionale avrebbe un debito pari al 132% del proprio PIL.

Dieci banche europee lanciano Qivalis, la prima stablecoin in euro

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Un consorzio di dieci banche europee ha annunciato la nascita della prima stablecoin in euro che si chiamerà Qivalis (acronimo di “la chiave per il valore”) e sarà lanciata a metà 2026. Tra le banche che hanno dato il via all’iniziativa ci sono anche le italiane Unicredit e Banca Sella. Gli altri istituti sono l’olandese Ing, la belga Kbc, la danese Danske Bank, la tedesca DeKa Bank, la svedese Seb, la spagnola Caixa e l’austriaca Raffeisen Bank International. Oltre a questo nucleo originario si è già aggiunta la francese Bnp Paribas ed i promotori dell’iniziativa hanno aperto l’ingresso a ulteriori banche. La creazione della prima stablecoin in euro si inserisce in un contesto internazionale in cui i cosiddetti token digitali stanno acquisendo sempre più centralità promettendo di trasformare il sistema monetario e di pagamenti mondiale. Il mondo finanziario statunitense, così come quello cinese, già da tempo possiede le sue stablecoin, tra cui la più famosa è Tether, e Trump ha lanciato una sfida in quest’ambito attraverso l’emanazione del cosiddetto Genius Act, il cui obiettivo è mantenere il dominio USA nei sistemi di pagamento. Ancora una volta, dunque, l’Europa si ritrova a inseguire gli Stati Uniti in quella che si prospetta essere una svolta cruciale nel sistema finanziario internazionale. Non a caso i promotori della prima stablecoin ancorata all’euro hanno sottolineato che «L’iniziativa fornirà una vera alternativa europea al mercato delle stablecoin dominato dagli Stati Uniti, contribuendo all’autonomia strategica dell’Europa nei pagamenti».

Dal punto di vista legale-organizzativo, le dieci banche hanno costituito una nuova società con sede nei Paesi Bassi al fine di ottenere la licenza di moneta elettronica, sotto la supervisione della banca centrale olandese. Per quanto riguarda la governance, l’amministratore delegato sarà il manager tedesco Jean-Oliver Sell che di recente ha ricoperto il ruolo di consigliere delegato in Coinbase Germany. Mentre il direttore finanziario sarà Floris Lugt, che guidava il settore dei servizi bancari di risorse digitali del gruppo olandese Ing. A capo del consiglio di vigilanza, invece, è stato chiamato sir Howard Davies, già presidente della britannica Financial Services Authority. I vertici di Qivalis hanno spiegato che l’obiettivo di questo strumento di pagamento digitale, che sfrutta la tecnologia blockchain, è «diventare uno standard europeo di pagamento affidabile nell’ecosistema digitale». Per definizione, infatti, la stablecoin è una valuta pensata per mantenere stabile il suo valore nel tempo, grazie al possesso di riserve equivalenti in asset sicuri come dollari, euro, titoli di stato a breve termine o oro (ad esempio 1 stablecoin = 1 USD). Questa è la differenza principale con altre criptovalute come Bitcoin, con cui le stablecoin condividono solo l’uso della tecnologia blockchain. I loro prezzi sono dunque più stabili rispetto a altri tipi di criptovalute e ciò le rende più adatte a essere usate come strumento di pagamento.

Il problema dell’iniziativa si pone nel suo rapporto con l’euro digitale, evidenziando anche alcune differenze significative con l’impostazione statunitense di regolamentazione delle stablecoin: mentre, infatti, il Genius Act, firmato dal presidente Donald Trump nel 2025 per normare l’emissione e l’utilizzo delle stablecoin, punta all’autonomia del mercato favorendo le stablecoin emesse da privati ancorate al dollaro, l’Ue privilegia un controllo centralizzato per mitigare i rischi sistemici. Con l’adozione del Regolamento MiCA, Bruxelles ha adottato un quadro normativo molto stringente e armonizzato per le criptovalute e, in particolare per le stablecoin, mentre parallelamente la BCE ha sviluppato l’euro digitale, una valuta digitale di banca centrale (CBDC) pensata per mantenere la sovranità monetaria dell’euro e che potrebbe competere direttamente con le stablecoin private, ridefinendo l’impalcatura monetaria dell’eurozona. Al contrario, negli Stati Uniti, Donald Trump ha emanato un ordine esecutivo con cui, all’articolo 5, si vieta l’emissione di una valuta digitale della banca centrale. L’idea è di istituire un sistema di valute e pagamenti non in mano a istituzioni pubbliche, con l’obiettivo di erodere l’illimitato potere monetario della Federal Reserve, avversario numero uno di una parte consistente del partito repubblicano statunitense.

Nell’UE, invece, proprio la volontà di limitare – attraverso la CBDC e una stringente regolamentazione –  le stablecoin ha portato a un contrasto con l’euro digitale, per cui i promotori di Qivalis hanno dovuto spiegare che «la stablecoin non sarà concorrente dell’euro digitale promosso dalla Bce poiché quest’ultimo è un’alternativa al contante e dunque è destinato soprattutto al retail». Hanno quindi sottolineato che questo strumento «Permetterà l’accesso 24 ore su 24, 7 giorni su 7, a pagamenti internazionali efficienti, a pagamenti programmabili e a miglioramenti nella gestione della supply chain […]».

L’istituzione della prima stablecoin ancorata all’euro, come anticipato, va nella direzione di colmare il divario in questo ambito con Stati Uniti, Cina e altri Paesi all’avanguardia. Tuttavia, proprio la pretesa di Bruxelles di una regolamentazione eccessiva alle stablecoin potrebbe essere un ostacolo all’obiettivo di fare di Qivalis una vera alternativa europea non solo al mercato delle stablecoin dominato dagli Stati Uniti, ma anche dalla Cina. Questo potrebbe lasciare l’Ue indietro in quella che si configura come una progressiva trasformazione dei sistemi finanziari e di pagamento in grado di ridefinire la sovranità e il potere monetario delle nazioni, anche in una prospettiva dei rapporti di forza geopolitici.

Sud-est asiatico: oltre 1.300 morti e un milione di sfollati per le alluvioni

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Da giorni i Paesi del sudest asiatico sono colpiti da una ondata di tempeste tropicali e piogge torrenziali che stanno devastando le aree interessate, causando alluvioni e smottamenti. I Paesi più colpiti sono Indonesia e Sri Lanka, dove la conta dei morti complessivi ha superato le 1.200 persone, e quella dei dispersi si aggira ormai attorno a 800 persone. Solo in questi due Paesi, poco meno di un milione di cittadini risultano sfollati, ma le persone coinvolte dai disastri sono quasi 5 milioni. Nei giorni le piogge sono arrivate anche in Thailandia e in misura minore in Malesia, i cui dati sommati a quelli dei Paesi più colpiti, portano il numero dei morti ufficiali almeno a 1.390 persone.

Il Paese più colpito in assoluto dalle alluvioni è l’Indonesia. Le piogge si sono concentrate prevalentemente nelle province di Sumatra, Aceh e Nilas, ma sono arrivate in totale in 50 distretti diversi. Secondo il centro per le emergenze indonesiano, in totale, sono morte almeno 770 persone, 463 risultano disperse, e 2.600 ferite; in tutto il Paese sono state evacuati 746.000 cittadini, ma sono 3,2 milioni i residenti nelle aree colpite dal disastro. Oltre 10.000 abitazioni risultano danneggiate, 3.300 delle quali gravemente; danni anche a quasi 300 ponti, 132 luoghi di culto, 9 strutture sanitarie e 215 scuole e strutture educative. Il presidente Prabowo Subianto ha ordinato lo stato di emergenza e ha promosso un piano per orientare tutti gli sforzi all’aiuto delle persone colpite dalle alluvioni, mobilitando esercito e polizia. Le autorità si sono mosse per installare cucine temporanee e per consegnare cibo, coperte, tende e medicine alla popolazione sfollata. A causa della distruzione delle infrastrutture di connessione come i ponti, gli aiuti stanno venendo consegnati via aria e via mare e l’esercito sta costruendo ponti temporanei per ristabilire le vie di comunicazione terrestri.

Anche in Sri Lanka la situazione risulta critica. A venire colpiti sono 20 dei 25 distretti del Paese. Qui si contano 479 morti, 350 dispersi, e almeno 209.000 sfollati; in tutto sono state colpite almeno un milione e mezzo di persone. In totale sono state distrutte 1.289 case e altre 44.556 abitazioni risultano almeno danneggiate. I media descrivono lo scenario come il peggiore disastro naturale dallo tsunami del 2004, quando un terremoto ha interessato tutto il sudest asiatico uccidendo oltre 200.000 persone di cui almeno 40.000 nel solo Sri Lanka. Anche qui, il presidente Anura Kumara Dissanayake ha diramato lo stato di emergenza e il governo ha semplificato le procedure burocratiche per facilitare l’importazione di beni: sono infatti diversi i Paesi che stanno inviando cibo, medicine e attrezzature allo Sri Lanka; tra questi si contano Emirati Arabi Uniti, Bangladesh e India.

La situazione in Tailandia e Malesia sembra maggiormente sotto controllo, ma resta critica. Le autorità tailandesi hanno lanciato un piano per assistere la popolazione strutturato in tre fasi: la prima si concentra sull’assistenza immediata, come l’allestimento di rifugi temporanei e la consegna di aiuti umanitari; la seconda introdurrà programmi di sostegno economico per le imprese e le famiglie colpite, e la terza punterà al ripristino e alla ricostruzione dei servizi attraverso prestiti. Il governo ha inoltre aperto una campagna di finanziamento privato per supportare le persone interessate dalle piogge e semplificato le procedure per la consegna di aiuti. Nel Paese sono state coinvolte almeno 1,4 milioni di persone in 16 distretti, e si contano 138 morti, 43.000 evacuati e 582.000 case danneggiate. In Malesia, invece, i danni sono ancora marginali, e si concentrano nell’area settentrionale del Paese. Sono stati registrati danni ad alcune infrastrutture, e sono morte almeno 2 persone.

Gli USA fermano le domande di immigrazione per i cittadini di 19 Paesi

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Il governo degli Stati Uniti ha bloccato le domande di immigrazione per i cittadini di 19 Paesi. La decisione arriva dopo il caso di una sparatoria che ha coinvolto due membri della Guardia Nazionale, uno dei quali morto dopo le ferite riportate, in cui il principale sospettato risulta un cittadino afghano. In precedenza, Trump aveva chiesto la revisione dei visti per i cittadini provenienti da Paesi «del terzo mondo». A essere colpiti dalla misura sono i cittadini di Afghanistan, Birmania, Burundi, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Cuba, Guinea Equatoriale, Eritrea, Haiti, Iran, Laos, Libia, Sierra Leone, Somalia, Sudan, Togo, Turkmenistan, Venezuela, Yemen.

Dio e dollari: il Vangelo del potere americano visto dal Texas

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C’è un vecchio adagio nella politica americana che recita: «In Texas, il football è religione e la politica è uno sport di contatto». Ma oggi, nello Stato della Stella Solitaria, i confini tra pulpito, urna elettorale e consiglio di amministrazione si stanno confondendo in un intreccio inestricabile. In Texas si sta infatti consumando un paradosso politico che sfida le categorie tradizionali e si compone di tre elementi: un democratico che predica come un pastore, una miliardaria trumpiana che finanzia la sua ascesa e il tentativo di scardinare il monopolio del partito repubblicano sulla fede....

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