È stato firmato ieri un importante accordo di pace tra la Repubblica democratica del Congo (RDC) e il Ruanda – al centro di una cruenta guerra che solo negli ultimi tre anni ha causato circa 15.000 morti – con la mediazione del presidente statunitense Donald Trump. I presidenti dei tre Paesi hanno firmato un documento che formalizza il precedente accordo raggiunto a giugno tra le due nazioni africane sempre con la mediazione Usa e la cerimonia della firma si è svolta all’Istituto per la pace a Washington. Secondo il capo della Casa Bianca, l’intesa segna «una grande giornata per l’Africa, per il mondo e per questi due Paesi», risolvendo «una guerra che andava avanti da decenni» e che ha ucciso «milioni e milioni di persone». Il documento firmato ieri formalizza i termini dell’accordo di pace concordati lo scorso giugno che includono un cessate il fuoco permanente, il disarmo delle forze non statali, misure per consentire ai rifugiati di tornare a casa e giustizia contro chi ha commesso atrocità. La Casa Bianca ha definito l’accordo «storico» e Trump ha affermato che la sua amministrazione ha «avuto successo dove altri hanno fallito».
Entusiasti anche i due protagonisti dell’accordo di pace: secondo il Presidente della Repubblica democratica del Congo, Felix Tshisekedi, gli accordi firmati a Washington «non sono un documento come un altro, ma un punto di svolta: si tratta di un’architettura coerente per una dichiarazione di principio a favore di un accordo di pace e dell’integrazione economica regionale». Il presidente del Ruanda, Paul Kagame, invece, ha detto che i patti firmati garantiscono «tutto il necessario per mettere fine al conflitto una volta per tutte», e la presenza di diversi capi alla cerimonia organizzata nella capitale statunitense «conferma che questi sforzi godono del sostegno necessario per avere successo». Lo stesso ha asserito che in trent’anni di conflitto ci sono stati «innumerevoli sforzi di mediazione, ma nessuno ha avuto successo nel risolvere le questioni alla base» della guerra.
Nel dettaglio, il testo dell’accordo tra Congo e Ruanda comprende cinque punti principali: rispetto dell’integrità territoriale della RDC; cessazione delle ostilità; disimpegno e disarmo dei gruppi armati non statali; integrazione condizionata di tali gruppi; creazione di un quadro di cooperazione economica regionale tra Kinshasa e Kigali (rispettivamente capitali della RDC e del Ruanda). L’accordo prevede poi che entrambi i Paesi si impegnino a non fornire alcun supporto ai gruppi armati attivi nella regione, tra cui le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr) e l’Alleanza del fiume Congo (Afc)-Movimento 23 marzo (M23). Inoltre, l’intesa comprende l’istituzione di un meccanismo congiunto di coordinamento della sicurezza, che include il Concetto operativo (Conops), un quadro di condivisione di intelligence negoziato a Luanda nell’ottobre 2024.
Tuttavia, nonostante i presupposti favorevoli, le tensioni sul campo permangono e un completo cessate il fuoco potrebbe essere più lontano di quanto si possa sperare: anche dopo la firma dell’accordo, infatti, i combattimenti proseguono in diversi punti della linea del fronte nella provincia del Sud Kivu (RDC), dove l’M23 (principale gruppo armato ribelle sostenuto dal Ruanda) sta guadagnando terreno da diverse settimane. Altri combattimenti sono in corso anche nella pianura di Ruzizi (al confine meridionale tra la Repubblica Democratica del Congo ed il Ruanda), dove le parti in conflitto si contendono il controllo della città di Katogota, secondo diverse fonti locali. Migliaia di soldati burundesi sono schierati nel Sud Kivu e combattono contro l’M23 al fianco delle forze congolesi. Secondo alcuni analisti è improbabile che il patto di giovedì ponga fine immediata ai combattimenti, in quanto un accordo separato tra Congo e M23 rimane inapplicato sul campo.
Oltre agli aspetti militari e diplomatici, ci sono poi anche quelli economici: la grande ricchezza di risorse minerarie del Congo, infatti, non è solo una delle cause di uno dei conflitti più cruenti degli ultimi decenni, ma è anche uno dei motivi che ha spinto l’amministrazione statunitense a mediare la pace. L’intesa raggiunta a Washington crea «un nuovo quadro per la prosperità economica», ha affermato il presidente Usa, aggiungendo che «In questa terra bellissima, anche se macchiata da enormi quantità di sangue, c’è una ricchezza incredibile: i due Paesi hanno accettato di integrare maggiormente le rispettive economie invece di combattere, e lo faranno. Sono sicuro che avranno successo e che andranno molto d’accordo». Il capo della Casa Bianca ha quindi annunciato che gli Stati Uniti hanno firmato accordi bilaterali sia con il Congo che con il Ruanda per ampliare l’accesso americano a minerali essenziali, un interesse strategico per Washington nel tentativo di ridurre la dipendenza dalla Cina. «Manderemo alcune delle nostre più grandi e prestigiose aziende statunitensi nei due Paesi» ha detto Trump.
La crisi nel Congo orientale risale alle conseguenze del genocidio ruandese del 1994 (uno dei più sanguinosi episodi del Novecento), dovuto a conflitti etnici locali e in seguito al quale quasi due milioni di rifugiati hutu fuggirono in Congo. Il Ruanda accusa alcune milizie hutu di aver partecipato al genocidio e sostiene che elementi dell’esercito congolese abbiano offerto loro protezione. Da parte sua, il Congo insiste sul fatto che una pace duratura non è possibile se il Ruanda non ritira il suo sostegno ai ribelli dell’M23. Oltre ad aver provocato milioni di morti, il conflitto ha causato milioni di sfollati, creando una gravissima crisi umanitaria. Per questo, l’accordo raggiunto a Washington, per quanto fragile, rappresenta pur sempre un punto di svolta per l’emergenza in questa regione.












