sabato 23 Novembre 2024
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Pakistan, concessa la libertà su cauzione all’ex primo ministro Khan

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L’Alta Corte del Pakistan ha concesso la libertà su cauzione all’ex primo ministro del Paese Imran Khan, incarcerato per un caso di corruzione. A dare la notizia è il partito del politico, mentre il suo avvocato, Salman Safdar, ha annunciato che, secondo le informazioni in suo possesso, la Corte avrebbe garantito la libertà su cauzione o assolto Khan da tutti i casi per cui era incriminato. Il caso in cui gli è stata concessa la libertà su cauzione è noto come Toshakhana, o caso del Tesoro dello Stato, per il quale Khan avrebbe venduto beni dello Stato per un valore di oltre 140 milioni di rupie (501.000 dollari).

Selargius: sotto sgombero il presidio “Rivolta degli ulivi” contro la speculazione energetica

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Tra le 7:30 e le 8:00 di oggi, mercoledì 20 novembre, una ingente squadra di forze dell’ordine ha accerchiato il presidio di Selargius della ribattezzata “rivolta degli ulivi” contro il Tyrrhenian Link, il lungo cavo che collegherà la Sardegna alla penisola per trasportare l’energia elettrica prodotta dall’eolico sull’isola. Polizia, forestale, carabinieri, e vigili del fuoco, sostenuti da mezzi privati, ruspe e camionette con gli idranti, hanno così dato il via a sequestri, espianto degli ulivi piantati dal presidio, e identificazioni degli otto presidianti, chiudendo tutte le strade di accesso alla zona e sgomberando i manifestanti. «Il Pubblico Ministero ha emesso un decreto di sequestro e sgombero dell’intera area», ci spiega l’avvocata dei presidianti, Giulia Lai, e ha «accusato le persone presenti sul luogo di danneggiamento aggravato e occupazione di area di pubblica utilità». Intanto, gli operai e i mezzi di Terna, l’azienda incaricata di effettuare i lavori per la messa in funzione del Tyrrhenian Link, hanno già ripreso i lavori, nonostante il ricorso del proprietario del terreno sia ancora attivo.

Lo sgombero del presidio di Selargius è iniziato nelle prime ore di oggi ed è tutt’ora in corso. Da quanto ci spiega l’avvocata Lai, il tutto è partito dai due esposti presentati alla procura da Terna, nei quali la compagnia sosteneva che il presidio bloccasse il proseguimento dei lavori. Il PM, pertanto, ha emesso un decreto di sgombero e sequestro per l’intera area interessata. Sul posto sono arrivate numerose squadre delle forze dell’ordine, che hanno circondato la zona bloccando le vie di accesso e fermando chiunque tentasse di entrare, portando avanti nel frattempo sequestri e identificazioni all’interno del presidio. Presenti agenti della digos e camionette della celere, ma anche forestale, per espiantare gli alberi, e vigili del fuoco, per mettere in sicurezza l’area. Il numero di agenti dispiegato è maggiore a quello dei presidianti. Una ruspa ha già provveduto a sbancare e sradicare gli alberi, mentre gli operai di Terna hanno ripreso il controllo dell’area spostando gli alberelli, e hanno ricominciato i lavori.

I terreni del presidio di Selargius sono di proprietà di Gianluca Meis, e gli sono stati espropriati lo scorso luglio per affidarli a Terna, che ha così iniziato i lavori, sradicando gli alberi. Qui, infatti, la compagnia intende costruire una futura stazione di conversione elettrica legata al progetto dei cavi sottomarini tra la Sardegna e la penisola. Il Tyrrhenian Link, denunciano i manifestanti, è un cavidotto che permetterà alle multinazionali di fossile e rinnovabile di installare un numero enorme di impianti: secondo i suoi oppositori, esso costituisce un preludio alla devastazione del territorio sardo perché serve a dimostrare che l’energia producibile nell’isola possa effettivamente venire trasportata verso la penisola. Per fare fronte all’esproprio, Meis ha presentato ricorso, le cui procedure sono ancora attive, mentre in parallelo, a seguito dell’espianto delle piante, il presidio ha dato vita alla “rivolta degli ulivi”, occupando i terreni di Meis e piantando nuove piante.

Sin da subito si è cercato di proteggere quello che era rimasto delle radici delle piante di ulivo sradicate dalle ruspe e lasciate appositamente al sole, denunciano i cittadini, per causarne la morte definitiva. Nei mesi il movimento ha acquisito dimensioni sempre maggiori, con persone giunte da ogni parte dell’isola per portare il proprio contributo. Grazie all’aiuto degli agronomi, sono state selezionate una serie di piante in grado di resistere alle alte temperature estive, da piantare di fronte alla stazione di Terna in modo da rendere il luogo «il simbolo della nostra resistenza sarda». «La nostra lotta è simboleggiata dalle radici», scrivono i cittadini, «quelle sarde che non si possono estirpare».

[di Dario Lucisano]

Nuova Zelanda: migliaia di indigeni Maori assediano il Parlamento

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Dopo poco più di una settimana, la marcia lanciata dal popolo Maori in difesa dei propri diritti è arrivata a Wellington. Ieri, martedì 19 novembre, decine di migliaia di neozelandesi si sono radunati davanti al Parlamento, dando vita a una delle più grandi proteste nella storia del Paese. Una folla imponente, stimata dalla polizia in oltre 40.000 persone, ha manifestato davanti alle istituzioni della capitale, dove all’inizio del mese è stato presentato un disegno di legge sui principi del Trattato di Waitangi, firmato 184 anni fa tra la Corona britannica e il popolo indigeno Maori. La proposta, ritengono i manifestanti, minerebbe i diritti degli indigeni Maori e rischierebbe di far regredire di decenni le relazioni razziali. Il disegno di legge, di preciso, mira a reinterpretare i principi del Trattato, inserendolo di fatto nella legislazione del Paese e rendendolo modificabile dall’intero Parlamento, a scapito degli organismi indipendenti che oggi ne regolano l’interpretazione.

La hīkoi, “protesta pacifica” in lingua maori, tenutasi ieri a Wellington ha visto radunarsi fuori dal palazzo del Parlamento circa 42.000 persone. In occasione della manifestazione, molti Maori hanno deciso di vestirsi in abiti tradizionali, e la piazza del Parlamento è stata ricoperta da bandiere del popolo indigeno. Il progetto di legge, avanzato da Associazione Consumatori e Contribuenti (ACT), uno dei partiti di minoranza della coalizione di governo, era già stato discusso in Parlamento il 14 novembre; in quell’occasione, la seduta era stata interrotta da una parlamentare Maori, che ha strappato una copia del testo e messo in atto, assieme a diversi colleghi, una haka, la danza tradizionale del popolo indigeno. In occasione della prima votazione, la proposta è passata con il sostegno dell’intera coalizione governativa, ma sembra improbabile che essa venga approvata in via definitiva. In Nuova Zelanda, infatti, una legge deve passare al vaglio di tre distinte votazioni, e il Partito Nazionale della Nuova Zelanda del primo ministro Christopher Luxon ha già comunicato al leader di ACT che non voterà nuovamente a favore della legge.

La protesta del popolo Maori è iniziata all’alba di lunedì 11 novembre, in seguito a una cerimonia svoltasi a Capo Reinga, nell’estremo nord del Paese. Dopo l’inaugurazione della manifestazione, centinaia di Maori hanno iniziato una lunga marcia verso la capitale, culminata nella manifestazione di ieri. Durante la marcia, i manifestanti sono passati da Auckland, la più grande città della Nuova Zelanda, e hanno organizzato proteste in tutto il Paese. Una serie di proteste era scoppiata già lo scorso giovedì 7 novembre, quando il governo neozelandese aveva deciso di anticipare la discussione della legge di circa due settimane. In quell’occasione i manifestanti si erano concentrati proprio ad Auckland, e un piccolo gruppo di indigeni era giunto anche a Wellington, davanti al palazzo del Parlamento.

Il cosiddetto “Trattato sui Principi di legge” sancirebbe un’interpretazione più ristretta delle Carte di Waitangi. Esse sono state firmate nel 1840 e sono rimaste immutate fino al 1975, quando l’allora governo laburista approvò la “legge sul Trattato di Waitangi”. Questa stabiliva che il compito di interpretare i principi del Trattato spettasse al Tribunale di Waitangi, una commissione permanente di inchiesta istituita appositamente. Da allora, il Tribunale e il servizio pubblico hanno gradualmente elaborato questi principi, in modo autonomo rispetto alle istituzioni neozelandesi, rilasciando giudizi perlopiù non vincolanti in merito al loro rispetto da parte della Corona. Al di là delle questioni di merito, il Trattato sui Principi di legge intende inserire il Trattato di Waitangi nella legislazione del Paese, dando al Parlamento il potere di cambiarne i principi e togliendo spazio al Tribunale di Waitangi.

[di Dario Lucisano]

In tutta Europa monta la protesta degli agricoltori contro l’accordo UE-Mercosur

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Continuano a crescere le proteste contro l’accordo sugli scambi di prodotti agricoli tra l’Unione Europea e il blocco commerciale del Mercosur, composto da Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay, e Bolivia. L’accordo favorirebbe maggiori importazioni agricole sudamericane, prodotte con standard ambientali meno rigorosi rispetto a quelli europei, motivo per cui ha attirato critiche da parte di varie associazioni di categoria, prima fra tutte la francese Via Campesina. La scorsa settimana, i trattori hanno raggiunto Bruxelles per una grande mobilitazione di categoria, mentre nel fine settimana gli agricoltori francesi, i più coinvolti nelle proteste, hanno bloccato infrastrutture e appiccato fuochi per le strade. Questa settimana, la Francia ha replicato le proteste, che, intanto, sembrano vicine ad approdare anche in Spagna. Nel frattempo, procede a rilento il dibattito politico interno, con il fronte del no, guidato da Parigi, sempre più popoloso, e la frattura sempre più evidente. Al G20 di Rio de Janeiro Von der Leyen cerca di accelerare le trattative, mentre l’Italia si è schierata con Macron, giudicando l’accordo «inaccettabile» nella sua forma attuale.

Le proteste contro l’accordo UE-Mercosur sono state lanciate nella settimana iniziata lunedì 11 novembre. Mercoledì 13, i trattori sono arrivati a Bruxelles. Alla manifestazione hanno partecipato Fugea (Federazione belga dei gruppi allevatori e coltivatori), esponenti degli eurogruppi The Left e Renew Europe, e gli agricoltori della Via Campesina, un movimento che si pone come scopo primario la lotta per il diritto alla sovranità alimentare di ciascun popolo, per la giustizia ecologica e ambientale e per quello alla terra e all’acqua, oltre a voler tutelare i lavoratori. La protesta ha raccolto un centinaio di agricoltori presso la rotonda Schuman, vicino alle sedi delle istituzioni europee, che hanno chiesto alla Commissione di non ratificare l’accordo con il blocco commerciale sudamericano.

Qualche giorno dopo, a muoversi sono stati i lavoratori francesi, tra i maggiori promotori dei sollevamenti e tra i più agguerriti contestatori dell’accordo. Nel fine settimana, le proteste hanno raggiunto più di cento località in tutta la Francia: durante la notte di domenica, decine di trattori sono stati parcheggiati sulla strada nazionale 118, a sud di Parigi, bloccando la viabilità fino alla mattina di lunedì; a Grenoble e nella regione Auvergne-Rhône-Alpes, i trattori hanno installato blocchi stradali, mentre a Lione gli agricoltori hanno danneggiato i cartelli stradali e bloccato un ponte a sud della città. Le proteste sono arrivate anche a Strasburgo, e nei dipartimenti meridionali del Var e della Vaucluse. Gli agricoltori spagnoli, invece, sembrano sempre più vicini a mobilitarsi, specialmente visto il posizionamento favorevole nei confronti dell’accordo assunto dal governo Sánchez.

L’accordo commerciale tra l’Unione Europea e il blocco Mercosur è sul piatto da oltre vent’anni e intende liberalizzare il commercio – non solo di natura agricola – tra i due raggruppamenti di Paesi. Un accordo preliminare è stato raggiunto nel 2019, ma i negoziati si sono arenati poco dopo a causa dell’opposizione degli agricoltori e di alcuni governi europei, in particolare quello francese. L’accordo sta venendo discusso al G20 di Rio de Janeiro, e dovrebbe eliminare la maggior parte delle tariffe sui prodotti del settore agroalimentare e su quelli industriali. Esso, inoltre, snellirebbe la burocrazia, favorirebbe i trasporti, alleggerirebbe i controlli, e incentiverebbe il settore telecomunicativo. Gli agricoltori europei temono di subire gli effetti della liberalizzazione commerciale sotto forma di aumento dei prezzi, perché ritengono che i beni sudamericani verrebbero favoriti dal mercato per i minori controlli su pesticidi e sul processo produttivo a cui sono soggetti, finendo dunque per fare concorrenza sleale ai prodotti locali.

Il dibattito sull’accordo non si sta svolgendo solo dal basso, ma coinvolge anche i piani alti della politica. Spagna e Germania ritengono che l’accordo UE-Mercosur rappresenti una grande opportunità per l’Europa, da cogliere per consolidare le politiche commerciali comunitarie. La Francia, al contrario, guida fermamente il blocco del no e da anni cerca di contrastare la ratifica dell’accordo. A margine del G20, Macron ha cercato di coinvolgere anche l’Italia, che sembra ora avvicinarsi maggiormente alle posizioni francesi. Tuttavia, la maggioranza governativa non ha espresso lo stesso grado di convinzione nel portare avanti la causa: il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida, esponente di Fratelli d’Italia, è nettamente contrario all’accordo nella sua attuale forma, e come lui gli esponenti della Lega; fino a ottobre, il leader di Forza Italia, ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani, invece, era favorevole a concludere le trattative, mentre ora sembra intenzionato a mediare, evitando però di incorrere in attriti.

[di Dario Lucisano]

Haiti, Medici senza frontiere lascia la capitale

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L’organizzazione umanitaria Medici Senza Frontiere ha cessato le attività nella capitale di Haiti, Port-au-Prince, per questioni di sicurezza. La decisione arriva dopo l’attacco subito venerdì 1 novembre, quando un gruppo di agenti delle forze dell’ordine haitiane ha assaltato un’ambulanza, sequestrando il personale medico e uccidendo due pazienti, sospettati di essere parte delle bande criminali che imperversano nel Paese. Nell’ultimo periodo, la violenza delle bande armate è cresciuta: queste hanno preso il controllo di gran parte della capitale e si stanno espandendo nelle aree vicine, causando la fame e lo sfollamento di centinaia di migliaia di persone.

Il Mali costringe una compagnia mineraria australiana a pagare le tasse

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La compagnia mineraria australiana Resolute Mining ha annunciato che pagherà 160 milioni di dollari al governo del Mali per risolvere una disputa fiscale con il Paese africano. L’annuncio segue l’arresto da parte delle autorità maliane dell’Amministratore Delegato della compagnia, Terence Holohan, e di altri due dipendenti. In una nota ufficiale, Resolute ha dichiarato di aver firmato con il Paese un memorandum d'intesa e di aver già effettuato un primo pagamento di circa 80 milioni di dollari, attingendo alle proprie riserve di liquidità. La compagnia prevede di saldare il resto nei prossimi ...

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Nuova Zelanda, decine di migliaia alla protesta per i diritti dei Maori

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Decine di migliaia di persone si sono radunate a Wellington, di fronte al Parlamento neozelandese, per opporsi a un disegno di legge che, secondo gli oppositori, minaccia i diritti dei Maori. La protesta, che avrebbe coinvolto almeno 42.000 persone, è stata una delle più grandi della storia del Paese. La manifestazione ha avuto inizio con una marcia che ha attraversato l’intero Paese, iniziata all’alba di lunedì 11 novembre. Al centro della contestazione c’è un disegno di legge che punta a modificare i contenuti del Trattato di Waitangi, che regola le relazioni politiche tra il governo della Nuova Zelanda e la popolazione indigena.

Danneggiati due cavi internet sottomarini nel mar Baltico: probabile atto di sabotaggio

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Due cavi internet sottomarini nel Mar Baltico sono stati improvvisamente danneggiati. Il primo a subire un’interruzione è stato il cavo che collega Finlandia e Germania. Poche ore dopo, è giunta la notizia di un secondo danneggiamento, questa volta al cavo sottomarino tra Svezia e Lituania. Se inizialmente, dopo il primo annuncio, si era ipotizzato un possibile incidente, l’interruzione del secondo cavo ha reso più plausibile l’ipotesi di un atto deliberato. Le indagini, ancora alle fasi iniziali, hanno già alimentato speculazioni su un possibile sabotaggio russo, ritenuto parte di una strategia di guerra ibrida volta a colpire, in particolare, Svezia e Finlandia. Questi due Paesi, recentemente entrati nell’Alleanza Atlantica, accusano da tempo la Russia di attacchi informali che, secondo i governi scandinavi, comprenderebbero anche l’uso dell’immigrazione come arma di destabilizzazione sociale e politica. L’episodio evidenzia l’importanza strategica e geopolitica delle infrastrutture sottomarine di telecomunicazione, mostrando come possano diventare obiettivi militari. Sebbene attacchi di questo tipo non causino vittime, i danni inflitti ai Paesi coinvolti possono essere enormi.

Secondo quanto comunicato da Cinia, società statale finlandese specializzata nella costruzione di reti in fibra ottica e nella fornitura di servizi IT, poco dopo le 4 del mattino di lunedì 18 novembre è stato rilevato un guasto al cavo sottomarino Cinia Oy C-Lion1, che collega la Finlandia alla Germania, rendendolo inattivo. La società ha spiegato che i dettagli del guasto sono ancora sconosciuti, attualmente oggetto di indagine, e che una nave di riparazione è già in rotta verso il luogo dell’incidente. L’interruzione è stata localizzata nel Mar Baltico, all’interno della Zona Economica Esclusiva svedese, a est della punta meridionale di Öland, circa 700 km da Helsinki. C-Lion1 è un cavo sottomarino per telecomunicazioni lungo 1173 chilometri, inaugurato nel 2016, che collega le reti di telecomunicazione dell’Europa centrale alla Finlandia e agli altri Paesi nordici. L’ipotesi iniziale, di un incidente causato dall’attività di pesca o dall’urto di un’ancora, è durato poche ore, fino all’annuncio del secondo danneggiamento al cavo tra Svezia e Lituania.

Dopo che i media finlandesi hanno riportato l’interruzione dei servizi di comunicazione tra Finlandia e Germania a causa di un inspiegabile guasto a un cavo sottomarino, Andrius Šemeškevičius, responsabile tecnologico di Telia Lithuania, ha annunciato che anche il cavo di comunicazione tra Lituania e Svezia ha subito danni. Šemeškevičius ha spiegato che il cavo, gestito dalla società svedese Arelion, garantiva circa un terzo della capacità internet della Lituania. Questo collegamento sottomarino unisce Gotland, in Svezia, a Šventoji, in Lituania. Martin Sjögren, portavoce di Arelion, ha confermato i danni al collegamento BCS Est-Ovest, aggiungendo che la società è in contatto con le autorità militari e civili svedesi per approfondire l’incidente. «Il governo sta monitorando gli eventi con grande attenzione, considerando la delicata situazione della sicurezza, e resterà in stretto contatto con le autorità. È essenziale comprendere le cause che hanno portato due cavi del Mar Baltico a essere contemporaneamente fuori servizio», ha dichiarato Carl-Oskar Bohlin, ministro svedese della Difesa civile.

Anche i ministri degli Esteri tedesco e finlandese hanno espresso preoccupazione in una dichiarazione congiunta: «Siamo profondamente allarmati per il taglio del cavo sottomarino che collega la Finlandia alla Germania nel Mar Baltico. Il fatto che un simile incidente susciti immediatamente sospetti di danni intenzionali evidenzia la volatilità della nostra epoca. Un’indagine approfondita è già in corso. La sicurezza europea è minacciata non solo dalla guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, ma anche da forme di guerra ibrida perpetrate da attori malintenzionati. La protezione delle nostre infrastrutture critiche condivise è essenziale per la sicurezza e la resilienza delle nostre società».

Nel frattempo, diversi media hanno iniziato a speculare sull’ipotesi di un sabotaggio orchestrato dalla Russia.

Indipendentemente dalle possibili cause o dai potenziali responsabili, qualora si trattasse di un atto di sabotaggio, questo evento sottolinea l’importanza strategica e geopolitica delle infrastrutture sottomarine di telecomunicazione. Se potenziali attacchi colpissero snodi cruciali dell’intera rete globale, le conseguenze potrebbero essere catastrofiche, causando paralisi operative con ripercussioni enormi a livello internazionale.

Nel mondo esistono oltre 450 cavi internet sottomarini, che coprono una lunghezza complessiva di circa 1,4 milioni di chilometri. Questi cavi, fondamentali per il funzionamento di internet, trasportano circa il 99% del traffico dati globale, collegando continenti, Paesi e regioni con velocità e affidabilità superiori rispetto ai satelliti. Sono composti da un nucleo in fibra ottica, protetto da strati di materiali isolanti, acciaio e polietilene, progettati per resistere alle pressioni oceaniche e ai potenziali danni causati da ancore, attività di pesca o fauna marina. La storia dei cavi sottomarini inizia nel 1858, con il primo collegamento telegrafico tra Europa e Nord America, un’impresa rivoluzionaria che segnò l’inizio delle comunicazioni globali. Con l’avvento della fibra ottica negli anni ’80, questi cavi sono diventati il cuore pulsante delle telecomunicazioni moderne. Oggi, sono gestiti principalmente da consorzi internazionali di operatori e aziende tecnologiche, rappresentando infrastrutture strategiche per economia, politica e sicurezza globale.

[di Michele Manfrin]

Nel Trump 2.0 i petrolieri mettono le mani su politiche energetiche e parchi pubblici

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Con l’arrivo delle nuove nomine, il prossimo governo Trump inizia a prendere forma, preannunciando gli obiettivi del prossimo quadriennio statunitense. L’ultima grande investitura è stata quella del dirigente petrolifero Chris Wright a segretario per l’Energia e membro del neoistituito Consiglio Nazionale per l’Energia, che dovrebbe gestire i parchi energetici del Paese. La nomina di Wright segue quella di Doug Burgum, politico vicino ai petrolieri statunitensi, allo stesso Consiglio per l’Energia e quella di Lee Zeldin, particolarmente critico verso le politiche di contrasto all’emergenza climatica, all’Agenzia per la protezione ambientale. Guidato dal fido Harold Hamm, uno dei pionieri della devastante pratica del fracking, la trivellazione tramite frattura delle rocce con getti di acqua e sostanze chimiche, complice di gravi contaminazioni ambientali e di rischi sismici. Trump sta gettando le basi per le prossime politiche ambientali, climatiche ed energetiche degli Stati Uniti, dandone l’intero impianto amministrativo in mano ai giganti del fossile.

La nomina di Chris Wright è stata annunciata sabato 16 novembre e completa la triade di alcune delle maggiori figure che gestiranno le politiche ambientali ed energetiche del Paese. Fondatore di Liberty Energy, una società di servizi per i giacimenti petroliferi, Wright è nuovo nella scena politica statunitense, ma è anch’esso noto per le sue posizioni particolarmente vicine alle pratiche del fracking (o fratturazione idraulica) e per esprimere posizioni che negano l’esistenza di una crisi climatica. Un anno fa aveva pubblicato un video in cui sosteneva che «non esiste una crisi climatica e non siamo nemmeno nel mezzo di una transizione energetica», una posizione che cela un evidente conflitto d’interessi. Il suo compito sarà quello di incentivare gli investimenti attraverso tagli alla burocrazia. Wright guiderà il dipartimento dell’Energia e affiancherà Doug Burgum al neonato Consiglio Nazionale per l’Energia.

Burgum è un noto imprenditore Governatore del Dakota del Nord. Nel corso delle primarie repubblicane, ha sospeso la sua candidatura presidenziale per appoggiare Trump, sviluppando un forte rapporto personale e politico con il presidente eletto. Dopo che Trump ha chiesto ai dirigenti dell’industria petrolifera di finanziare la sua campagna, Burgum ha gestito i dialoghi con i donatori a capo delle multinazionali del petrolio, e ha contribuito a guidare lo sviluppo della politica energetica della campagna del tycoon. Da quanto comunica Trump, il nuovo Consiglio Nazionale per l’Energia dovrebbe gestire l’intero parco energetico del Paese, amministrando «autorizzazione, produzione, generazione, distribuzione, regolamentazione, e trasporto di tutte le forme di energia del Paese», ed esercitando «tagli alla burocrazia e incentivando gli investimenti privati». Secondo il Washington Post, tale ufficio supervisionerà circa 500 milioni di acri di territorio federale (circa un quarto dell’intero territorio statunitense) e più di un miliardo di acri offshore.

Altra figura di spicco nella prossima agenda energetica e ambientale statunitense è quella di Lee Zeldin, che sarà a capo dell’Agenzia per la protezione ambientale. Zeldin è un politico repubblicano di stampo conservatore che si è sempre battuto contro le limitazioni all’impiego di fonti fossili. Nel 2019 ha votato contro l’estensione della moratoria sulle trivellazioni offshore sulla costa del Golfo della Florida, e si è opposto al disegno di legge che avrebbe protetto il rifugio nazionale dell’Artico da nuove locazioni di petrolio e gas. Zeldin è sempre stato vicino a Trump, sostenendolo nelle varie cause che lo hanno visto coinvolto negli ultimi anni; tra l’essere una figura di fiducia e uno strenuo oppositore delle politiche anti-petrolio, egli rappresenta la guida perfetta del gabinetto dedicato all’ambiente. Nel comunicato di Trump si legge che Zeldin avrà il ruolo di tagliare le regolamentazioni sulle imprese energetiche del Paese, «mantenendo i più alti standard ambientali».

A guidare le scelte del tycoon, tra cui la nomina di Wright, in materia di politica energetica è stato uno dei suoi più fidati consiglieri: il magnate del petrolio Harold Hamm, uno dei pionieri del fracking. La fratturazione idraulica è un’attività estrattiva, promossa dagli Stati Uniti fin dai primi anni 2000, finalizzata a ricavare petrolio e gas di scisto da rocce argillose nel sottosuolo. La tecnica consiste in una prima perforazione finalizzata a raggiungere i giacimenti nei quali, successivamente, si inietta ad alta pressione una miscela di acqua, sabbia e prodotti chimici di sintesi allo scopo di facilitare la fuoriuscita degli idrocarburi. Ad oggi, le criticità legate a questa pratica, oltre all’appurato aumentato rischio sismico, sono diverse, e vanno dall’enorme spreco idrico, alla potenziale contaminazione delle falde acquifere, senza contare poi le conseguenze climatiche e l’inevitabile rilascio di gas ad effetto serra.

Come già preannunciato dagli ingenti finanziamenti alla campagna elettorale da parte di colossi del fossile, l’agenda di Trump su energia e ambiente sembra ormai avere preso forma: il prossimo quadriennio degli Stati Uniti vedrà probabilmente degli USA impegnati a investire in maggiore misura sulle fonti fossili, puntando su una deregolamentazione e incentivando gli investimenti dei grandi colossi degli idrocarburi. Nel frattempo, il presidente uscente Joe Biden sembra provare a mettere i bastoni tra le ruote a Trump, similmente a come sembrerebbe voler fare concedendo all’Ucraina di colpire il territorio russo usando missili ATACMS. Nella prima storica visita di un presidente degli Stati Uniti in carica alla foresta amazzonica, egli ha firmato un proclama che designa simbolicamente il 17 novembre come Giornata internazionale della conservazione, e ha annunciato ulteriori finanziamenti statunitensi fino a 83,4 milioni di dollari per il fondo Amazzonia; questi ultimi investimenti, tuttavia, richiederanno un’azione del Congresso, ed è improbabile che vengano rilasciati con i repubblicani al controllo.

[di Dario Lucisano]

UNICEF: in soli due mesi in Libano uccisi oltre 200 bambini

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Negli ultimi due mesi, in Libano sono stati uccisi più di 200 bambini e 1.100 sono rimasti feriti, ha dichiarato oggi l’agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF).
Il conflitto in Libano si protrae da oltre un anno ed è sfociato in una guerra totale a fine settembre, quando Israele ha lanciato un’intensa offensiva. «Nonostante oltre 200 bambini siano stati uccisi in Libano in meno di due mesi, le loro morti sono accolte con inerzia da coloro che sono in grado di fermare questa violenza», ha affermato il portavoce dell’UNICEF James Elder in conferenza stampa a Ginevra. «Per i bambini del Libano, è diventata una silenziosa normalizzazione dell’orrore».