Un gruppo di uomini armati ha lanciato un attacco in un collegio femminile a Maga, nello Stato nigeriano di Kebbi, uccidendo un lavoratore e rapendo 25 studentesse. La notizia è stata data dalla polizia nigeriana. L’aggressione non è stata reclamata da alcun gruppo, ma l’area è sede di diverse milizie armate, tra cui l’organizzazione islamista Boko Haram, che nel 2014 e nel 2018 ha rapito quasi 400 studentesse a Chibok, nello Stato del Borno. Dal 2014, sono state rapiti in totale 1.500 studenti. Quello di oggi, è il maggior rapimento da marzo 2024, quando oltre 200 studenti erano stati rapiti in una scuola di Kuriga, nello Stato di Kaduna.
Hebron: dentro la festa dei coloni che mostra l’apartheid costruita da Israele
AL-KHALIL, CISGIORDANIA OCCUPATA – Sono migliaia i coloni israeliani e i sionisti da tutto il mondo che si sono radunati per lo Shabbat Chayei Sarah, nel cuore della città di Hebron (Al-Khalil per i palestinesi), per un weekend di festeggiamenti in onore di Sara, la moglie di Abramo, sepolta nella famosa tomba dei patriarchi. Hebron è infatti uno dei cuori pulsanti del nazionalismo religioso di estrema destra israeliano. Nella città sacra ad ebrei, cristiani e musulmani, i palestinesi non possono muoversi liberamente e durante lo Shabbat Chayei Sarah l’apartheid si mostra in tutta la sua violenza. L’esercito ha imposto il coprifuoco da venerdì mattina in diversi quartieri della città vecchia, chiudendo numerosi check-points e impedendo ogni ingresso e uscita. Molti residenti palestinesi non hanno potuto tornare alle loro case e sono stati costretti a pernottare presso parenti in altri quartieri. Venerdì e sabato, migliaia di coloni hanno sfilato per Al-Shuhada street, la strada dei martiri, preclusa ai palestinesi ormai da 25 anni, molti intonando cori e slogan anti-arabi. Giovani sionisti hanno attaccato alcune case palestinesi con pietre, gettando oggetti e liquidi dalle colonie della città vecchia. Ma le forti piogge hanno forse impedito un aggravarsi delle violenze che in molti temevano.
Hebron, la città divisa
«La situazione qui è sempre più difficile», mi dice Qusay, un uomo sulla quarantina, pochi secondi dopo che sei soldati dell’IDF, fucili in braccio, ci passano davanti in uno dei loro quasi quotidiani raid. Siamo nel cuore della città vecchia di Hebron. La “città divisa”, la Palestina in miniatura. Spaccata a metà da muri, check-points, telecamere con armi semi-automatiche, militari. «Ho paura per mia figlia. [I militari] vengono quasi tutti i giorni. Non è più sicuro qui». È il giorno prima del Shabbat Chayei Sarah, la ricorrenza religiosa ebraica che si tiene ogni anno a Hebron per promuovere la narrazione della presenza storica ebraica nella città. Una ronda di soldati israeliani sorprende la mia colazione mattutina, ma nessun altro per strada è stupito: ormai le divise e le armi israeliane fanno parte del panorama della città vecchia.
«Vogliono mandarci via» continua un uomo, mentre chiude il suo negozio a poche decine di metri da uno dei cancelli che divide Al-Khalil e che blocca l’accesso ad Al-Shuhada, la strada che una volta era il cuore pulsante del mercato cittadino. E che dalla Seconda Intifada è preclusa ai palestinesi. «L’economia è sempre più difficile, molti negozi hanno chiuso. Vogliono prendersi tutto. Ma questa è la nostra terra. Non la lasceremo mai».
Al-Khalil è la città-apartheid: tornelli, filo spinato, muri e grate controllano e limitano gli spostamenti dei circa 35 mila palestinesi che abitano la cosiddetta zona H2, costretti a continui controlli di identità, violenze e abusi da parte dei militari israeliani e dei numerosi coloni che si sono installati nell’area. Hebron/Al-Khalil è l’unica città oltre a Gerusalemme ad avere colonie al suo interno; vere e proprie enclavi circondate da torrette di avvistamento, mura e soldati, che come nel resto della Cisgiordania occupata, stanno cercando di espandersi. Le strade palestinesi – così come molte finestre e porte – che confinano con gli insediamenti israeliani sono protette da grate, per proteggere i passanti dal lancio di immondizia e oggetti da parte dei coloni.
Più difficile è proteggersi dagli ormai famosi “tour” provocatori che i settlers organizzano sempre più spesso nella città vecchia, quando quasi settimanalmente decine di sionisti invadono la parte palestinese della città accompagnati e protetti dai soldati delle IDF.
Hebron è il simbolo delle troppe ingiustizie subite. I palestinesi si sono visti sottrarre il 20% della città dopo aver subito un massacro. Era il 25 febbraio 1994 quando Baruch Goldstein, un israeliano-statunitense residente nella colonia illegale di Kiryat Arba, entrò nella moschea di Ibrahim e aprì il fuoco sui fedeli mussulmani in preghiera. Circa 29 persone furono uccise, 129 i feriti. Altri 26 palestinesi morirono per mano dell’esercito israeliano durante le proteste scoppiate in giornata. Il massacro subito dai palestinesi fu il pretesto per dividere la città in due settori, come sancì il Protocollo di Hebron firmato (ma mai ratificato) nel 1997: Hebron 2 (quell’H2 che rappresenta circa il 20% della città), sotto controllo dell’esercito israeliano, e Hebron 1, affidata al controllo dell’Autorità palestinese.
H2 è una grande prigione a cielo aperto per i circa 35 mila residenti palestinesi, costretti ad obbedire – dietro la minaccia delle armi o della prigione – alle regole dei circa 800 coloni israeliani occupanti e degli almeno mille soldati che vi risiedono. Check-point, cancelli, tornelli, ma anche telecamere a riconoscimento facciale impediscono il libero movimento e costringono la popolazione palestinese a continui abusi e violenze.
Il Chayei Sarah dietro le grate delle case palestinesi
La casa di Mohammad è ormai un pezzo della frontiera cittadina. «Anni fa il mio ingresso era di là» ci dice, indicando una porta sprangata con sbarre di metallo. Dietro, le voci di centinaia di persone che parlano e gridano in inglese, francese, ebraico. “Di là” è Al-Shuhada street, invasa negli ultimi due giorni da migliaia di coloni e sionisti da tutto il mondo. «Tre mesi fa una dozzina di militari e coloni hanno sfondato la porta e sono entrati in casa. Ero con mio figlio; ci hanno malmenato e minacciato. Hanno anche spaccato il televisore e altri oggetti. Mio figlio è finito in ospedale». È tranquillo Mohammad, mentre osserviamo gruppi di persone armate, mezzi corazzati della polizia e dei militari passare oltre le grate del balcone. Le finestre e le porte sono chiuse da una fitta rete metallica, peggio di una prigione. «Ho dovuto metterle perché mi lanciavano sassi e bottiglie. Tutti qua ormai viviamo così».
Nella via principale della città vecchia, la rete metallica fa da tetto alla strada. I coloni infatti hanno occupato alcune case nei piani alti delle strutture, e si divertono a lanciare oggetti e immondizia ai palestinesi mentre passano. «Le cose sono peggiorate dal 7 di ottobre. Ma ogni anno è peggio di quello prima», dice. «Molte persone se ne sono andate. Non c’è più economia. Non ci sono turisti, e i palestinesi di Al-Khalil hanno paura a venire nella città vecchia a causa dei militari e dei coloni». Dal 1994 Israele si è infatti prodigato nel soffocare le attività commerciali palestinesi nella zona, emanando ordini militari per obbligare alla chiusura circa 1500 negozi.
Mohammad non ha intenzione di andarsene. In questa casa ci è cresciuto. Ricorda molto bene quando, nonostante l’occupazione israeliana fosse presente, Al-Khalil era una città dove ci si poteva muovere liberamente. E sogna che possa tornare a esserlo. Ci offre un caffè, poi un altro. «Benvenuti. Benvenuti ad Al-Khalil».
[Nota dell’autrice: i nomi all’interno dell’articolo sono stati modificati per tutelare la sicurezza dei soggetti]
Bimbi “perfetti” in laboratorio: il progetto segreto dei magnati della Silicon Valley
Da mesi, dietro le vetrate di un laboratorio di San Francisco, un gruppo di miliardari della Silicon Valley sta tentando di riscrivere il codice della vita. Secondo un’inchiesta del Wall Street Journal, la startup Preventive, sostenuta da due nomi simbolo della rivoluzione digitale – Sam Altman, CEO di OpenAI, e Brian Armstrong, fondatore di Coinbase – lavora alla creazione di embrioni geneticamente modificati per prevenire malattie e migliorare la specie. L’obiettivo dichiarato è “eliminare la sofferenza”, ma la promessa di un’umanità senza difetti cela un progetto ben più ambizioso: fabbricare bambini “perfetti”. E così, evocando scenari fantascientifici in stile Gattaca, si riapre la porta all’eugenetica, che torna mascherata da progresso: il confine tra cura e controllo si assottiglia, mentre il sogno di prevenire le malattie cede il passo alla selezione degli embrioni e all’editing genetico.
Fondata nel maggio 2025 e nascosta dagli occhi indiscreti in un coworking di San Francisco, Preventive ha raccolto oltre 30 milioni di dollari con l’intento di creare embrioni sani e ottimizzati, sfruttando la tecnologia di editing genetico CRISPR-Cas9 e lo screening poligenico, un test genetico sugli embrioni che analizza centinaia di varianti del DNA per stimare la probabilità di sviluppare malattie o tratti complessi, come altezza o intelligenza. Il progetto prevede la selezione di gameti sintetici e la mappatura del DNA per “correggere” le mutazioni indesiderate. Fonti interne citate dal WSJ parlano di una coppia che sarebbe già stata contattata per ottenere il primo bambino “perfezionato”, ma il CEO di Preventive, Lucas Harrington, nega qualsiasi sperimentazione in corso e promette «massima trasparenza». Intorno a Preventive si sta formando un ecosistema di startup che usano algoritmi per analizzare il DNA embrionale e prevedere tratti genetici e patologie. Tra gli investitori figurano ancora Armstrong, Peter Thiel – già ossessionato come Altman dalla ricerca nel campo della longevità – e Alexis Ohanian. Siamo alle soglie di una nuova frontiera della biologia predittiva, dove la vita inizia già sotto il segno della selezione. Non si tratta più di curare patologie, ma di programmare la vita. È il sogno di una nuova élite biotecnologica che, dopo aver digitalizzato l’intelligenza, vuole ora perfezionare il codice genetico e creare esseri omologati e perfetti. La comunità scientifica, però, resta scettica: l’American College of Medical Genetics definisce lo screening poligenico privo di valore clinico.
Gli scenari che sembrano futuristici altrove sono già realtà nella Silicon Valley. Diversi esponenti delle Big Tech, tra cui lo stesso Sam Altman ed Elon Musk, avrebbero utilizzato lo screening poligenico per selezionare gli embrioni dei propri figli. Ma è Brian Armstrong a spingersi oltre: punta a usare l’editing genetico per “migliorare” la prole e ottenere meno rischi cardiaci, ossa più forti, prestazioni ottimali. Il fondatore di Coinbase avrebbe persino valutato di lanciare il progetto in segreto per forzare la normativa americana e l’accettazione pubblica, ipotesi che la sua portavoce ha, però, negato. L’editing genetico resta, infatti, vietato in gran parte del mondo per i rischi ereditari e le implicazioni etiche. L’unico precedente noto è quello del genetista cinese He Jiankui, condannato nel 2018 dopo aver creato due gemelle resistenti all’HIV.
Jacques Testart, pioniere della fecondazione assistita, aveva previsto il ritorno dell’eugenetica legittimata dal mercato e mascherata da libertà di scelta: la scienza senza limiti avrebbe generato un «eugenismo dolce, invisibile e democratico». È la selezione dei nascituri in nome dell’amore, del benessere e della perfezione, auspicata dallo scienziato che si fa demiurgo e spezza gli equilibri naturali, che sfida e altera le leggi biologiche, giocando a fare dio. Oggi, genitori e investitori chiedono figli ottimizzati come prodotti di alta gamma. L’embrione diventa un codice da riscrivere, la nascita un atto tecnico, la vita una merce su misura. Non è più la natura a selezionare, ma l’algoritmo. La promessa di libertà si rovescia in uniformità: bambini più sani, più belli, più conformi. Ma anche più fragili, perché privati dell’imperfezione che li rende umani. La corsa alla perfezione genetica s’inserisce nella visione transumanista che sogna di abolire malattia, vecchiaia e morte. È la stessa fede tecnologica che permea la Silicon Valley, dove il progresso è diventato religione e la manipolazione del DNA un nuovo culto prometeico. Questa eugenetica di ritorno rischia di trascinarci in una distopia lucida e disumanizzante, dove la tecnica prende il posto dell’etica e la fragilità viene cancellata in nome di una perfezione solo apparente.
Sono morte le gemelle Kessler
Alice ed Ellen Kessler, conosciute in Italia come le Gemelle Kessler, sono morte insieme all’età di 89 anni. I quotidiani tedeschi riportano che sono morte a Grünwald, città a sud di Monaco di Baviera, in circostanze ignote; i media riportano che sarebbe in corso una indagine. Le Gemelle Kessler erano note cantanti, attrici e personaggi della televisione, e in Italia hanno avuto un grande successo a partire dagli anni ’60. Hanno espresso il desiderio di essere sepolte insieme in un’unica urna accanto alle ceneri della madre.
UE-Mercosur, 145 eurodeputati sfidano von der Leyen: mozione per fermare l’accordo
145 eurodeputati di diversi gruppi (PPE, S&D, RE e sostenitori di Verdi/Sinistra) hanno presentato una mozione che chiede di rinviare alla Corte di giustizia dell’UE il via libera all’accordo UE-Mercosur – trattato di libero scambio tra l’Unione Europea e quattro Paesi dell’America del Sud (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) – per verifiche di compatibilità con i trattati. I firmatari temono che la scissione in un partenariato (EMPA) e un accordo interinale (ITA) violi l’articolo 218 e altri articoli del TFUE, e contestano il meccanismo di riequilibrio. La mozione potrebbe essere votata in plenaria a fine novembre: se approvata, bloccherebbe temporaneamente l’intesa e rappresenta un nuovo duro fronte politico per la presidente von der Leyen.
La mozione contesta aspetti fondamentali dell’accordo negoziato dalla Commissione. Il primo punto di frizione riguarda la decisione di scindere l’intesa originaria in due strumenti giuridici distinti: l’EU-Mercosur Partnership Agreement (EMPA), un accordo misto che richiede la ratifica unanime del Consiglio, il consenso del Parlamento Europeo e l’approvazione di tutti i 27 parlamenti nazionali, e l’Interim Trade Agreement (ITA), che ricade invece nella competenza esclusiva dell’UE e necessita solo della maggioranza qualificata in Consiglio e del voto favorevole dell’Europarlamento. I deputati sostengono che questa separazione possa essere incompatibile con l’articolo 218 del TFUE, violando il principio di attribuzione delle competenze, l’equilibrio istituzionale e la leale cooperazione sanciti dai Trattati. In particolare, si contesterebbero le direttive di negoziato del 1999 e le conclusioni del Consiglio del 2018, che prevedevano esplicitamente un Accordo di Associazione di natura mista. Questa manovra, secondo i firmatari, escluderebbe di fatto i parlamenti nazionali dal poter esprimere il loro legittimo voto sull’ITA, privandoli di un potere di veto che avrebbero invece esercitato sull’accordo unico.
Un altro nodo cruciale sollevato dalla mozione è il cosiddetto “meccanismo di riequilibrio” (rebalancing mechanism), previsto dal Capitolo 21 dell’ITA. Questa clausola consentirebbe a una parte di richiedere compensazioni se una misura dell’altra parte – anche se perfettamente legale e non in violazione dell’accordo – annullasse o compromettesse sostanzialmente i benefici attesi dall’intesa, con un impatto negativo sul commercio. Il timore è che i paesi Mercosur possano utilizzare questo strumento per fare pressioni contro future normative UE in materia di clima, ambiente, sicurezza alimentare o divieti di pesticidi, minacciando costose richieste di risarcimento. Il meccanismo è ritenuto più ampio e potenzialmente più invasivo di clausole simili presenti in altri accordi commerciali o nell’OMC. Infine, i deputati esprimono forti preoccupazioni riguardo all’indebolimento del principio di precauzione, pilastro della legislazione europea in materia di salute pubblica, protezione dei consumatori e ambiente. Sia il capitolo sulle misure sanitarie e fitosanitarie (SPS) che quello sul Commercio e Sviluppo Sostenibile (TSD) contengono, a loro avviso, clausole che limitano l’applicazione di questo principio.
Il via libera all’accordo con il Mercosur era stato dato dalla Commissione lo scorso settembre. Siglato nel dicembre 2024 dopo 25 anni di negoziati, costituisce il più ampio trattato commerciale mai stretto dall’Unione. Esso prevede di eliminare i dazi sulla quasi totalità delle merci, interessando 700 milioni di consumatori, ed è stato sin da subito contestato per i possibili danni sul settore agricolo. Secondo l’UE, le esportazioni comunitarie verso i Paesi sudamericani aumenterebbero del 39%, con un incremento di 49 miliardi di euro, e nascerebbero 440mila nuovi posti di lavoro. L’accordo intende facilitare la partecipazione delle aziende europee negli appalti dei Paesi sudamericani, rendere più solide le catene di approvvigionamento per le materie prime critiche, ed eliminare i dazi sulla maggior parte dei beni industriali e su quelli agricoli.
Dopo il caso Pfizergate, a fine settembre Ursula von der Leyen è stata nuovamente coinvolta in una vicenda che solleva dubbi sulla trasparenza dell’UE proprio in relazione al Mercosur. L’Ombudsman europeo ha infatti aperto un’analisi sulla sparizione di un messaggio inviato da Emmanuel Macron nel gennaio 2024, relativo all’accordo commerciale. Il testo, intercettato da Politico, conteneva le preoccupazioni francesi sull’impatto dell’intesa per gli agricoltori, ma è stato cancellato dai dispositivi della presidente della Commissione. Bruxelles ha affermato che sui telefoni di von der Leyen era attiva la funzione di autodistruzione dei messaggi tramite Signal e che il contenuto non presentava rilevanza amministrativa o legale tale da richiederne l’archiviazione.
Apple si prepara a dire addio al CEO Tim Cook
Apple potrebbe trovarsi alle soglie di una rivoluzione copernicana: secondo indiscrezioni, l’azienda starebbe intensificando i preparativi per la successione al vertice, ipotizzando l’uscita di scena del CEO Tim Cook già entro il prossimo anno. Essendo da oltre 14 anni alla guida della Big Tech, Cook ha trasformato l’impresa, allontanandosi dalla visione product-driven di Steve Jobs per portarla verso un modello di business fortemente diversificato e orientato ai servizi, consolidando ricavi e margini, ma anche ridefinendo l’identità strategica dell’azienda.
A rilanciare l’indiscrezione è stato il Financial Times, secondo cui il consiglio di amministrazione starebbe valutando un ritiro del dirigente “il prima possibile”. Un’accelerazione che non sembrerebbe però legata a problemi di performance – il lancio dell’iPhone 17 fa presagire un Natale più che positivo per casa Cupertino –, bensì a una necessità strategica: dotarsi di una leadership capace di affrontare le nuove sfide globali, dall’intensificarsi della concorrenza alle tensioni nella catena del valore, passando ovviamente dall’ascesa dell’intelligenza artificiale.
Volendo essere maliziosi, è proprio l’IA a sembrare l’elemento che ha spinto il CdA a stringere i tempi su di un passaggio di testimone che, con ogni probabilità, era già discusso da tempo. Apple è arrivata in ritardo nella corsa commerciale alla nuova generazione di intelligenze artificiali, una carenza che Cook ha cercato di contestualizzare sostenendo che l’azienda stesse seguendo percorsi di ricerca e sviluppo più ponderati, perseguendo un’ipotetica “Apple Intelligence”. Presentata il 10 giugno al Worldwide Developers Conference 2024, la Apple Intelligence avrebbe dovuto accompagnare il lancio dei nuovi prodotti del brand, tuttavia la sua reale implementazione si è rivelata graduale, parziale e, per molti, deludente.
Non solo l’arrivo dell’IA sui dispositivi Apple non ha generato quel genere di rivoluzione che il pubblico si aspetta ormai dal marchio, ma l’azienda è finita anzi con l’essere messa sotto accusa in tribunale per presunte pratiche pubblicitarie ingannevoli, venendo additata per aver promesso servizi non ancora maturi, né disponibili nei tempi comunicati. A complicare il quadro c’è il fatto che la Big Tech si sta preparando a lanciare una nuova versione della sua assistente vocale, Siri, tuttavia, secondo indiscrezioni raccolte da Bloomberg, questa non verrà alimentata dai sistemi di intelligenza artificiale autonomi, ma da Gemini, servizio prodotto e gestito da Google, storico rivale di Apple.
Il nome più accreditato per la successione di Cook è quello di John Ternus, vicepresidente anziano e responsabile dell’ingegneria hardware, in Apple sin dal lontano 2001. Non esattamente una ventata d’aria fresca, dunque, ma comunque un cambio significativo, denota un possibile passaggio da un CEO fortemente orientato ai risultati finanziari a una figura con un profilo più tecnico e ingegneristico, suggerendo il desiderio di voler far tornare il prodotto al centro delle prospettive manageriali.
Il Bangladesh condanna a morte l’ex premier
L’ex prima ministra del Bangladesh Sheikh Hasina è stata condannata a morte. La sentenza è arrivata oggi e segue un processo durato mesi, che l’ha giudicata colpevole di crimini contro l’umanità. Hasina è stata condannata per avere represso violentemente le proteste degli studenti dell’anno scorso, nelle quali sono morte circa 1.400 persone. In questo momento, Hasina si trova in esilio in India, dove si è rifugiata dopo le proteste dell’anno scorso; la sentenza del Tribunale potrà essere impugnata presso la corte suprema.
Affari e politica, la Cassazione conferma l’egemonia della ‘Ndrangheta in Emilia
La Corte di Cassazione ha ufficialmente chiuso l’importante processo “Grimilde”, confermando l’egemonia della cosca ‘ndranghetista Grande Aracri a Brescello, in Emilia-Romagna. Dichiarato inammissibile il ricorso di Francesco Grande Aracri, condannato a 19 anni e 6 mesi e inasprito a 24 anni in appello nel 2024, riconosciuto come vertice del sodalizio. La Corte ha ritenuto provato, con un «imponente quadro probatorio», il radicamento della famiglia nel tessuto socio-politico ed economico emiliano: appalti affidati a società di comodo, frodi fiscali, riciclaggio e relazioni con amministratori locali che portarono allo scioglimento del consiglio comunale nel 2015.
Nel respingere i motivi di appello della difesa, gli ermellini hanno ribadito la differenza chiave tra una comune associazione a delinquere – motivata dal profitto – e un’organizzazione mafiosa, che usa il reato come mezzo per imporre controllo sociale, consolidare potere e trarre vantaggi economici parassitari. È proprio la forza intimidatoria, evidenzia la pronuncia della Suprema Corte, che permette l’assoggettamento del territorio. Questo modello operativo, già emerso in altri processi come Edilpiovra e Aemilia, si ritrova pienamente anche nel contesto emiliano: la Cassazione parla di un corpus probatorio «imponente» che individua l’attività del gruppo fin dai primi anni Duemila, con Francesco Grande Aracri a rappresentare il fulcro di una rete di imprese, prestanome e influenze politico-amministrative capaci di profonde infiltrazioni nel tessuto locale. A lui vengono ricondotte iniziative economiche e immobiliari nel Reggiano, appalti ottenuti tramite canali privilegiati, la realizzazione del quartiere “Cutrello” e l’ingresso in locali simbolici come la discoteca Italghisa, ritenuta luogo di incontri e affari. Il quadro, arricchito da false fatturazioni, società cartiere e meccanismi di riciclaggio, ha dipinto una criminalità moderna e insidiosa, meno appariscente ma molto penetrante.
L’infiltrazione era tale da aver provocato lo scioglimento del Comune di Brescello nel 2015. Coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Bologna, “Grimilde” era nata da un’operazione effettuata il 25 giugno 2019, con 16 arresti eseguiti dalla Polizia ai danni degli uomini della cellula dei Grande Aracri, attiva nei territori di Brescello, Parma e Piacenza. Da lì si era dipanata una lunga vicenda giudiziaria che aveva portato la stessa Cassazione ad attestare, nel 2023, l’egida della famiglia Grande Aracri in Emilia come struttura autonoma dalla Calabria, potendo contare su importanti radicamenti in tutta la provincia reggiana. La Suprema Corte aveva pronunciato diciotto condanne divenute definitive, mandando sei imputati ad affrontare un nuovo processo d’Appello.
Un capitolo rilevante del processo ha riguardato l’ex presidente del consiglio comunale di Piacenza ed ex funzionario dell’Agenzia delle Dogane, Giuseppe Caruso, per il quale era stata confermata una pena a 12 anni e 2 mesi di carcere: 8 anni e 2 mesi per mafia – era stata ufficialmente attestata la sua appartenenza alla cosca dei Grande Aracri –, più 4 anni per un’ulteriore truffa all’Agea. L’uomo era stato inoltre condannato a risarcire il comune di Piacenza con un milione di euro. Ai tempi, Caruso era membro di Fratelli D’Italia, ma il partito provvide subito ad espellerlo. Insieme a lui era alla sbarra anche il fratello Albino Caruso, condannato a sei anni e dieci mesi di carcere per associazione mafiosa.
Con “Grimilde” si è dunque pervenuti alla piena conferma della pervasività con cui la ‘ndrangheta si è insediata nel contesto politico, economico e sociale dell’Emilia-Romagna, già descritta in maniera perentoria negli anni precedenti dalle risultanze giudiziarie del Maxiprocesso Aemilia, in cui piovvero ingenti condanne e si comprovò l’«articolato e differenziato programma associativo» di un’organizzazione dotata di propri uomini e mezzi, autonoma rispetto alla “cosca madre” calabrese.
Maltempo al centro-Nord: due dispersi in Friuli, esonda il Torre
La settimana si apre con nuove allerte gialle per maltempo in sei regioni del Centro-Nord: Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Toscana e Umbria. Nel Goriziano una frana ha investito un’abitazione a Brazzano di Cormons: salvata una persona, si cercano due dispersi. I vigili del fuoco stanno intervenendo con natanti leggeri e l’elicottero del reparto volo di Venezia a Versa, nel Goriziano: a seguito dell’esondazione del fiume Torre, alcune persone si sono rifugiate sui tetti delle abitazioni. Sono in corso le operazioni di soccorso. In Toscana è attiva una linea temporalesca in varie province. In Liguria migliora la situazione, ma Genova resta vulnerabile.









