mercoledì 17 Settembre 2025
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IDF rade al suolo grattacielo a Gaza City, Rubio oggi a Gerusalemme

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Nelle prime ore di oggi un raid dell’aviazione israeliana ha colpito e completamente distrutto un edificio nel cuore di Gaza City. Lo riporta il Times of Israel. Poco prima, l’IDF aveva diffuso un avviso di evacuazione per i palestinesi residenti nel quartiere Rimal. I testimoni parlano di gravi danni anche alle abitazioni circostanti. Non è ancora chiaro il numero delle vittime, ma i soccorsi sono al lavoro tra le macerie. In un altro incidente, quattro palestinesi sono stati uccisi e decine di altri sono rimasti feriti quando le forze israeliane hanno aperto il fuoco su un gruppo di civili in attesa di aiuti nel nord di Rafah, nella parte meridionale della Striscia. Nel frattempo, il segretario di Stato americano Marco Rubio è arrivato a Gerusalemme per incontrare Netanyahu. Secondo il Dipartimento di Stato americano, lo scopo del viaggio è quello di assicurare a Israele il sostegno degli Stati Uniti malgrado il raid dell’Idf contro la leadership di Hamas a Doha e di discutere della possibilità di un’annessione israeliana di parti della Cisgiordania occupata in risposta all’annunciato riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di numerosi Paesi occidentali.

La legge europea sul Chat Control è a un punto di svolta

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Il regolamento sul cosiddetto “EU Chat Control” è arrivato a una fase decisiva: l’UE si prepara a votare una norma che imporrebbe alle piattaforme di messaggistica di installare algoritmi capaci di scansionare messaggi, immagini e file privati, anche cifrati end-to-end, per scandagliare messaggi, immagini, video, note vocali alla ricerca di abusi sessuali su minori. Presentata come una misura necessaria per proteggere i bambini online, l’iniziativa comporterebbe, però, un controllo preventivo e generalizzato delle comunicazioni private. Non si tratterebbe, infatti, di indagini mirate, ma di una sorveglianza estesa a ogni cittadino, con il rischio di errori, falsi positivi e intrusioni indebite. Le istituzioni europee giustificano il progetto con l’aumento dei casi di pedofilia, pedopornografia e adescamento di minori, fenomeni in crescita in diversi Stati membri, soprattutto tra adolescenti. Esperti e attivisti avvertono, invece, che forzare la cifratura esporrebbe milioni di utenti a vulnerabilità sfruttabili non solo dalle autorità, ma anche da hacker e criminali informatici. Il pericolo è che le chat private vengano trasformate in spazi sorvegliati per definizione, dove la promessa di sicurezza si traduce in sorveglianza di massa e in un indebolimento sostanziale dei diritti fondamentali. Se approvato, il regolamento creerebbe un obbligo per le piattaforme, compreso il caricamento di contenuti sospetti su database centralizzati per confronti con materiale illecito.

Sul piano politico, il campo si sta dividendo con chiarezza, senza che vi sia ancora una maggioranza certa. Allo stato attuale, oltre la metà dei Paesi appoggia la proposta, avanzata per la prima volta nel maggio 2022 dall’allora Commissaria UE per gli Affari interni, Ylva Johansson. Attualmente, 15 Stati sostengono la proposta, 8 Stati si oppongono ufficialmente, e 4 sono indecisi, come riporta la piattaforma online Fightchatcontrol.eu. Tra quelli contrari ci sono Austria, Belgio, Germania, Lussemburgo, Repubblica Ceca, Finlandia, Paesi Bassi e Polonia. Dopo alcune titubanze, il governo tedesco guidato dal cancelliere Merz ha confermato l’opposizione espressa con forza dal precedente esecutivo Spd-Verdi-Liberali. Nei Paesi contrari emerge una crescente consapevolezza tecnica: si avverte che l’introduzione di meccanismi di scansione preventiva comprometterebbe gli standard di sicurezza, trasformando la cifratura end-to-end in un guscio fragile. Le backdoor o i bypass necessari per consentire i controlli aprirebbero inevitabilmente varchi a intrusioni, abusi e attacchi da parte di soggetti malintenzionati. Tra i sostenitori figurano Italia, Francia e Spagna. Gli indecisi comprendono Estonia, Grecia, Romania e Slovenia. Nel Parlamento Europeo la difficoltà non è solo nazionale, ma parlamentare: critiche arrivano da gruppi che normalmente non si schierano insieme – Verdi, Alleanza Libera Europea, parte dei social-liberali, alcuni eurodeputati identitari o “populisti” – tutti accomunati dalla convinzione che «proteggere i bambini online è possibile senza una sorveglianza di massa». Sul fronte dei conservatori, anche l’europarlamentare finlandese del Partito Popolare Europeo (Ppe), Aura Salla, ha affermato che il regolamento «pone un rischio enorme di esporre le nostre comunicazioni e foto private». Le opposizioni non negano la gravità del fenomeno degli abusi su minori, ma rifiutano che la risposta debba passare necessariamente attraverso un controllo generalizzato e obbligatorio delle comunicazioni private. Secondo uno studio disposto dal Parlamento Europeo e presentato alla Commissione su Libertà Civili, Giustizia e Affari Interni, il regolamento rischia, infatti, di avere un impatto negativo per l’elevato tasso di errore sul rilevamento degli abusi nei messaggi e nei file, a partire dai contenuti diffusi dagli utenti in modo consensuale.

Alla soglia del voto, la questione non è più soltanto tecnica, ma politica e culturale: se approvata, la norma introdurrebbe per la prima volta un sistema di controllo preventivo e obbligatorio sulle comunicazioni private. L’impatto sarebbe dirompente: ogni messaggio, anche tra cittadini privi di qualsiasi sospetto, verrebbe sottoposto a un filtro algoritmico, svuotando il principio stesso della riservatezza sancito dagli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Dal punto di vista della sicurezza, l’imposizione di backdoor o sistemi di scansione all’interno delle piattaforme cifrate aprirebbe vulnerabilità che potrebbero essere sfruttate non solo dalle autorità, ma anche da hacker, criminali e potenze straniere. Il monitoraggio generalizzato produrrebbe, inoltre, una mole enorme di dati sensibili da gestire e archiviare, con il rischio di abusi, fughe di informazioni e perdita di controllo da parte degli utenti. La fallibilità degli algoritmi non è un dettaglio tecnico: falsi positivi potrebbero portare a segnalazioni ingiuste (come già avviene con la “polizia predittiva”), criminalizzando conversazioni private, immagini innocue o scambi professionali tutelati dal segreto medico, legale o giornalistico. Un simile contesto favorirebbe l’autocensura e inciderebbe sulla libertà d’espressione, trasformando il diritto a comunicare in un’attività sottoposta a sorveglianza preventiva. A queste criticità si aggiunge il rischio politico: un regolamento percepito come invasivo eroderebbe la fiducia dei cittadini nelle istituzioni europee, aprendo la strada a un modello di sospetto generalizzato. Anche sul piano economico, gli operatori tecnologici si troverebbero a fronteggiare costi elevati, nuovi rischi legali e una concorrenza alterata. Senza un controllo parlamentare stringente, trasparenza assoluta e tutela effettiva della crittografia, il regolamento rischia di trasformarsi in un apparato di sorveglianza istituzionalizzato, più che in uno strumento di protezione. Dall’11 settembre a oggi, in nome della sicurezza, si stanno erodendo privacy e diritti fondamentali, legittimando norme draconiane e imponendo misure liberticide. Al di là della retorica, non tutto ciò che promette protezione garantisce sicurezza, e non tutto ciò che proclama sicurezza tutela davvero la libertà.

Romania denuncia sconfinamento di un drone “russo”, nuovo allarme in Polonia

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La Romania ha denunciato la violazione del proprio spazio aereo da parte di un drone russo che avrebbe violato lo spazio aereo della Romania durante un attacco sull’Ucraina occidentale, costringendo i caccia rumeni e F-16 dell’Alleanza a decollare per intercettarlo prima che sparisse dai radar vicino a Chilia Veche. Il drone sarebbe stato rilevato nella contea sudorientale di Tulcea, vicino al confine con l’Ucraina, dove era stata diffusa un’allerta alla popolazione. In contemporanea, la Polonia ha schierato i propri caccia insieme a jet NATO in un’operazione preventiva, a causa della minaccia di attacchi con droni nelle zone limitrofe dell’Ucraina, chiudendo per ore l’aeroporto di Lublino. Le autorità di Varsavia hanno confermato che la minaccia è poi rientrata e che i sistemi di difesa e ricognizione terrestri sono tornati alla normalità. L’allerta è durata circa due ore.

L’Etiopia inaugura la diga che mette a rischio la pace con Egitto e Sudan

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Ad Addis Abeba è stata inaugurata la cosiddetta Diga della Rinascita (Grand Ethiopian Renaissance Dam – GERD). La diga più grande del continente africano, posta sul corso del Nilo Azzurro che, all’altezza di Khartoum, si unisce al Nilo Bianco formando il fiume più lungo del mondo. Costata quasi 5 miliardi di dollari, misura 175 metri in altezza e 1,8 chilometri in lunghezza e, con una potenza di 5.500 megawatt, produrrà circa 15.700 gigawattora all’anno. Un’infrastruttura che diventerà la centrale idroelettrica più grande dell’intero continente, fornendo corrente a più di 6 milioni di famiglie etiopi, ma che creerà anche un surplus vendibile agli altri Paesi della regione. L’opera, tuttavia, rischia di compromettere gli equilibri geopolitici dell’Etiopia con Egitto e Sudan i quali, fortemente dipendenti dall’acqua del Nilo, accusano Addis Abeba di non tenere conto delle conseguenze che la costruzione di un’opera simile può avere su di essi.

L’inaugurazione è avvenuta in concomitanza con il Secondo vertice africano sui cambiamenti climatici, dove erano presenti diverse delegazioni di Paesi africani. All’evento di apertura della diga hanno partecipato il presidente keniano William Ruto e il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud. Il capo di Stato etiope Abiy Ahmed ha dipinto la grande opera come «un’opportunità condivisa con tutta la regione», ma che alla base ha la necessità per Addis Abeba, chiara anche nel nome, di dare una spinta alla crescita economica del Paese, che, se prima della pandemia cresceva a ritmi incredibili, con picchi del 10%, con gli anni del Covid ha rallentato la corsa, per poi riprendere dal 2022.

Le esplorazioni sul corso del Nilo Azzurro per identificare la zona in cui poter innalzare la diga iniziarono già nel 1956, ma si fermarono con il colpo di Stato del ’74. Da lì non se ne parlò più fino al 2009 e il 31 marzo del 2011 venne posta la prima pietra. Già nel 2010, a Entebbe in Uganda, venne firmato l’Accordo Cooperativo per il Bacino del Nilo, volto a gestire le risorse idriche in modo equo e sostenibile per lo sviluppo della regione. L’Accordo fu firmato da Etiopia, Kenya, Tanzania, Uganda, Ruanda e Burundi, ma forse i due Paesi più interessati, Egitto e Sudan, si rifiutarono di firmare il documento. Negli anni di costruzione della diga si sono susseguite accuse reciproche tra Addis Abeba, Il Cairo e Khartoum. Infatti Egitto e Sudan hanno sempre accusato l’Etiopia di non tenere conto delle conseguenze di un’opera del genere sul comparto agricolo e sulle riserve idriche dei due Paesi a valle, affermando che la costruzione e il riempimento del bacino, da 74 miliardi di metri cubi, sono avvenuti in maniera unilaterale senza che ci fosse un accordo tra le parti per quanto riguarda la gestione del bacino e dei conseguenti flussi d’acqua. Le tensioni tra i tre Stati sono continuate fino alla settimana scorsa, quando Egitto e Sudan hanno rilasciato una dichiarazione congiunta affermando che la diga rappresenta «una minaccia alla stabilità della regione». A luglio Abiy Ahmed ha dichiarato che «l’Etiopia resta impegnata a garantire che la nostra crescita non avvenga a spese dei nostri fratelli e sorelle egiziani e sudanesi». Parole che non convincono Il Cairo, dato che dipende per più del 50% delle risorse idriche dal grande fiume africano e che sul suo corso ha costruito il comparto agricolo fin dal tempo dei faraoni. Stessa problematica è presente in Sudan, che, a soli 15 km dalla diga, sarà il primo a subirne gli effetti, mentre la crisi umanitaria portata dalla guerra civile non fa altro che peggiorare giorno dopo giorno. Ma se da una parte è grande la preoccupazione per Khartoum di vedersi ridimensionate le scorte idriche, è anche vero che dall’altra la GERD contribuirà a limitare le inondazioni nel Sudan occidentale. Dall’avvio dei lavori nel 2011 non è stato trovato un accordo vincolante che garantisse il flusso dell’acqua, il coordinamento operativo e le misure di sicurezza, con l’Egitto che ha sempre ribadito la validità e il necessario rispetto di un protocollo risalente agli inizi del ’900, dove si afferma che il 95% della portata del fiume è di proprietà egiziana con il Sudan in seconda posizione.

Alla mangiatoia della mega infrastruttura però non ci sono solo i Paesi della regione. Infatti nel 2019 Pechino ha chiuso un accordo tra la compagnia energetica etiope Ethiopian Electric Power e la cinese China Gezhouba Group per 40 milioni di dollari sulle attività energetiche della diga. Ma anche l’Italia, ex potenza coloniale in Etiopia, è presente con il gruppo Webuild, che opera nel settore delle costruzioni e si è aggiudicato il contratto da 5 miliardi della mega infrastruttura. «La GERD è molto più di una diga – ha dichiarato l’amministratore delegato di Webuild Pietro Salini – è l’incarnazione dello sviluppo sostenibile per tutta l’Africa». Il CEO della compagnia di costruzioni ha anche affermato che quest’opera «è in linea con la strategia del Piano Mattei: portare acqua, energia, sanità e infrastrutture dove servono, con investimenti che generano sviluppo reale, perciò il coinvolgimento delle imprese italiane risulta strategico».

In una regione da sempre alle prese con guerre fratricide e devastanti per il controllo delle risorse naturali come petrolio e oro, l’acqua potrebbe essere l’ultima goccia.

Regno Unito, oltre 100.000 persone per la manifestazione “Unite the Kingdom”

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Nel pomeriggio di oggi, sabato 13 settembre, decine di migliaia di manifestanti – oltre centomila secondo le autorità locali – hanno marciato nel centro di Londra sventolando bandiere nazionali per un corteo critico verso l’immigrazione, organizzato dall’attivista Tommy Robinson e chiamato “Unite the Kingdom”. I partecipanti hanno scandito slogan contro il Primo Ministro Keir Starmer, indossato cappelli MAGA del Presidente statunitense Trump e mostrato cartelli tra cui alcuni con la scritta “Rimandateli a casa”. Nella capitale britannica, si è tenuta nelle vicinanze anche una contro-manifestazione chiamata “Stand Up to Racism” ma, al contrario della principale, ha visto la partecipazione di molti meno contestatori, circa 5mila secondo le autorità.

Tre italiani sono stati premiati al più importante concorso di astrofotografia al mondo

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Nonostante i vincitori assoluti siano tutti cinesi, ci sono ben tre italiani tra i protagonisti dell’edizione 2025 dello ZWO Astronomy Photographer of the Year, ritenuto il più prestigioso concorso internazionale di astrofotografia organizzato dal Royal Observatory di Greenwich con il supporto del marchio ZWO e in collaborazione con la rivista BBC Sky at Night. A vincere nella categoria Our Moon è stata l’astrofotografa siciliana Marcella Giulia Pace, che con l’immagine “La traccia della rifrazione” ha immortalato la sequenza di sottili falci lunari deformate dagli strati atmosferici durante il sorgere della Luna sul mare di Modica. «La bellezza del cielo può essere raccontata anche attraverso la scienza», ha commentato Pace, aggiungendo che la sua foto vuole essere un invito a fermarsi e osservare i fenomeni che accadono sopra di noi. Inoltre, il bergamasco Daniele Borsari è stato premiato come “Young Astronomy Photographer of the Year” con lo scatto in bianco e nero delle nebulose di Orione, mentre l’altoatesino Fabian Dalpiaz ha ottenuto una menzione speciale nella categoria Skyscapes con una foto della Luna piena sulle Dolomiti. I vincitori assoluti, invece, sono stati premiati per aver ritratto il nucleo della galassia di Andromeda.

Il concorso, nato nel 2011, raccoglie ogni anno oltre 5.000 partecipanti da decine di Paesi e, secondo numerosi esperti, rappresenta la vetrina internazionale più importante per l’astrofotografia, selezionando le immagini più spettacolari e significative dal punto di vista scientifico. È organizzato dall’Osservatorio Reale di Greenwich – istituzione storica fondata nel 1675 e sede del Meridiano di Greenwich – e mette in luce le categorie che spaziano dalla Luna al Sole, dalle galassie ai paesaggi notturni. I vincitori assoluti del 2025 sono stati i cinesi Weitang Liang, Qi Yang e Chuhong Yu con “The Andromeda Core”, ritratto del nucleo della galassia di Andromeda realizzato con il telescopio dell’AstroCamp Observatory in Spagna. Altri riconoscimenti sono andati a “Comet 12P/Pons–Brooks Taking a Final Bow” di Dan Bartlett e a” Crown of Light” di Kavan Chay, con un’aurora spettacolare. Tutte le immagini premiate, spiegano gli organizzatori, saranno al National Maritime Museum di Londra, in una mostra che ospiterà anche lo scatto Earth from orbit dell’astronauta della NASA Don Pettit realizzato a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Ecco le principali foto premiate dal concorso:

La foto dei vincitori in assoluto: il nucleo di Andromeda. Credit: Weitang Liang, Qi Yang, Chuhong Yu

Senza nuvole in vista e in condizioni impeccabili, la luce dorata del tramonto inonda le montagne italiane, creando armonia tra terra e cielo. Scattata con una fotocamera Sony Alpha 7R V in Alto Adige. Credit: Fabian Dalpiaz

La traccia della rifrazione. «Vediamo spesso immagini della Luna al tramonto, con la distorsione dell’atmosfera che gioca con i suoi contorni. Ma questa immagine mostra vividamente quanta distorsione sia possibile al limite estremo dell’orizzonte, allungando e increspando il bordo lunare come se il suolo fosse un buco nero che attira la Luna verso di sé. Un singolo frammento sarebbe bellissimo di per sé, ma quando fa parte di una sequenza ben realizzata diventa un affascinante montaggio di un evento quotidiano che non abbiamo mai modo di vedere in questo modo», commenta Steve Marsh, giudice della gara. Credit: Marcella Giulia Pace

Orione, la Testa di Cavallo e la Fiamma in H-alpha. «Non smetto mai di stupirmi di come la qualità delle immagini nella categoria Giovani possa competere con quelle della concorrenza generale, e poche lo dimostrano più chiaramente di questa. Scegliere il bianco e nero invece dei colori vivaci e concentrarsi esclusivamente sulle forme e sui contorni delle nebulose è una decisione coraggiosa che ha dato i suoi frutti. Le nebulose di Orione, Testa di Cavallo e Fiamma raramente sono apparse così dinamiche ed è facile immaginare queste vaste nubi di gas che turbinano e fluttuano nello spazio», commenta Greg Brown, giudice della gara. Credit: Daniele Borsari

La cometa 12P-Pons-Brooks fa un inchino finale. «Questa splendida immagine di una cometa è composta in modo spettacolare ed eccezionalmente nitida e dettagliata. Le sue tonalità blu contrastano magnificamente con la brillante stella arancione vicina. La coda ondulata evoca la sensazione della cometa che ruggisce nel cielo notturno, ricordando la scia infuocata del razzo spaziale nel film Flash Gordon del 1936», commenta Martin Lewis, giudice della gara. Credit: Dan Bartlett

Earth From Orbit. Questa è una delle numerose esposizioni catturate dalla Stazione Spaziale Internazionale utilizzando un inseguitore stellare artigianale. Ruotando una volta ogni 90 minuti, l’inseguitore contrasta il moto della ISS, consentendo di fotografare stelle lontane come punti fissi mentre la Terra continua a ruotare sotto di essa, cosa finora impossibile nella fotografia orbitale. Credit: Don Pettit

Tutte le immagini premiate possono essere consultate visitando questo link o questo.

La Global Sumud Flotilla è partita dal porto di Augusta

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Dopo giorni di attesa è finalmente partito il convoglio italiano della Global Sumud Flotilla, la flotta navale che intende rompere l’assedio israeliano su Gaza portando aiuti umanitari alla popolazione palestinese. Le navi della coalizione sono partite oggi, sabato 13 settembre, alle 15 dal porto di Augusta, in Sicilia. Dall’isola sono salpate di 18 navi, contenenti decine di attivisti da tutto il mondo e un totale di 45 tonnellate di aiuti umanitari. Le imbarcazioni si uniranno alle navi provenienti da Spagna, Grecia e Tunisia in un punto del Mediterraneo non ancora reso noto, per poi salpare tutte insieme alla volta di Gaza.

Il convoglio italiano della Global Sumud Flotilla doveva salpare dalla Sicilia lo scorso 4 settembre, ma la partenza è stata posticipata diverse volte a causa di problemi logistici e meteorologici. La missione italiana, come quelle degli altri Paesi, è infatti coordinata con quella della flotta appena salpata dalle coste della Tunisia, dove si trovano, tra gli altri, gli attivisti Thiago Avila e Greta Thunberg. In Tunisia, le imbarcazioni della coalizione umanitaria ha avuto non pochi problemi: lo scorso 8 settembre, la Family Boat, nave degli stessi Avila e Thunberg, è infatti stata attaccata da un drone che ha lanciato una granata incendiaria; il giorno dopo, la medesima sorte è toccata a una seconda nave della flotta.

La Global Sumud Flotilla è una iniziativa umanitaria nata dall’unione di tre gruppi, Freedom Flotilla Coalition, Global Movement to Gaza, e Sumud Convoy. Essa costituisce il più grande sforzo umanitario di sempre per raggiungere la Palestina via mare, per arrivare là dove i governi non vogliono arrivare. In totale, essa mobilita cinquanta imbarcazioni, settecento attivisti (contando solo quelli in viaggio) e centinaia di tonnellate di aiuti umanitari. Lo scopo è quello di rompere l’assedio israeliano su Gaza e di convincere i governi a mobilitarsi per fermare il genocidio palestinese.

Istat: cresce occupazione, oltre il 50% al sud dopo ventanni

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In Italia cresce l’occupazione ad un ritmo di 226mila unità l’anno, con particolare attenzione al Mezzogiorno che dopo vent’anni supera il tasso del 50%: la prima volta dall’inizio delle serie storiche nel 2004. Lo rivelano gli ultimi dati Istat, commentati dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni come indicatori del fatto che «siamo sulla strada giusta». Istat, inoltre, segnala un record di over 50 al lavoro, oltre 10 milioni, pari al 42% del totale, mentre calano gli under 35, oggi solo 5,3 milioni con un tasso di occupazione sceso al 44,3%. Cresce l’industria, bene il Sud con il maggior incremento territoriale. Il tasso di disoccupazione resta al 6,3%, cala quello di inattività.

Palestina: l’Assemblea ONU ha votato una risoluzione a favore della soluzione a due Stati

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Con 142 voti a favore, 10 contrari e 12 astenuti, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha voltato una risoluzione a favore di una soluzione che riconosce la Dichiarazione di New York e dunque una soluzione a due Stati per il conflitto israelo-palestinese (e, implicitamente, l’esistenza di uno Stato di Palestina). Sono già 147 gli Stati che riconoscono la Palestina, mentre numerosi hanno dichiarato l’intenzione di farlo entro l’anno – tra questi, la Francia, il Regno Unito e il Canada. Tuttavia, gli annunci non sono stati seguiti da alcun provvedimento concreto. Di fatto, l’Italia, che ha votato a favore di questa risoluzione, negli scorsi mesi si è sempre categoricamente rifiutata di riconoscere l’esistenza di uno Stato paletinese. Assenti dall’assemblea delegati palestinesi, in quanto due settimane fa gli Stati Uniti hanno bloccato loro tutti i visti proprio con l’intento di impedirne la partecipazione all’Assemblea.

Dall’inizio dell’aggressione israeliana a Gaza, l’Assemblea ha votato diverse risoluzioni per la pace in Medioriente: pur non essendo vincolanti, queste hanno tuttavia una valenza politica, che indica come si distribuiscono gli Stati sullo scacchiere geopolitico mondiale in relazione a questo conflitto. Tra i Paesi che hanno votato contro vi sono, oltre a Israele e USA, anche Argentina, Ungheria, Micronesia, Nauru, Palau, Papua Nuova Guinea, Paraguay e Tonga. Nella cerimonia di apertura, il segretario dell’ONU Antonio Guterres ha dichiarato che «la questione centrale per la pace in Medioriente è l’attuazione della soluzione a due Stati, in cui due Stati indipendenti, sovrani e democratici – Israele e la Palestina – vivono a fianco a fianco in pace e sicurezza». La Dichiarazione di New York, adottata con la votazione, è il documento finale emerso dalla conferenza internazionale svoltasi a luglio, organizzata da Francia e Arabia Saudita. Tra i suoi punti prevede un cessate il fuoco a Gaza, il rilascio di tutti gli ostaggi e la creazione di uno Stato palestinese sovrano, insieme al disarmo di Hamas e la sua sua esclusione da qualunque forma di governo futura. L’ambasciatore israeliano all’ONU Danny Danon ha dichiarato che questo voto sarà ricordato come «un altro gesto vuoto che indebolisce la credibilità di questa Assemblea» e che «Hamas è il grande vincitore di qualsiasi approvazione odierna».

Proprio a margine della conferenza dalla quale è scaturita la Dichiarazione, la Francia e altri 15 Paesi avevano firmato una lettera nella quale annunciavano di prendere in considerazione l’idea di un riconoscimento dello Stato di Palestina. Tuttavia, ad oggi nessun passo concreto in questa direzione è stato fatto. Il premier inglese Starmer si era persino spinto a dire che riconoscerà la Palestina «a meno che il governo israeliano non compia passi sostanziali per far sì che la terribile situazione a Gaza finisca, accetti un cessate il fuoco, e si impegni a implementare una pace duratura». Tradotto: il Regno Unito compierà questo passo solo se Israele continuerà a massacrare gente, una condizione che evidenzia la natura prettamente politica dell’annuncio.

Congo, almeno 193 morti in due incidenti in barca in 24 ore

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In due distinti naufragi nel nord-ovest della Repubblica Democratica del Congo sono morte negli ultimi giorni almeno 193 persone. Lo ha reso noto il ministero degli Affari umanitari del Paese. Giovedì, un’imbarcazione con a bordo quasi 500 passeggeri ha preso fuoco e si è capovolta sul fiume Congo, con 209 sopravvissuti tratti in salvo. Solo il giorno prima, un’altra barca si è rovesciata uccidendo 86 persone, per lo più studenti. L’incidente è stato attribuito a «carico improprio e la navigazione notturna». Un gruppo della società civile contesta il bilancio ufficiale del secondo incidente, sostenendo ci siano più vittime, attribuendone la colpa al governo.