mercoledì 2 Aprile 2025
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I media si scandalizzano per le bare di Hamas, ma dimenticano le fosse comuni israeliane

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Hamas ha riconsegnato i corpi dei primi quattro ostaggi defunti a Israele. Le loro bare erano esposte su un palchetto davanti a un cartellone che ritraeva un Netanyahu dall’aspetto demoniaco, attirando l’indignazione dei giornali di tutto il mondo: “Il palco dell’orrore”, “Bare esposte come trofei”, “L’ultimo macabro show di Hamas” sono solo alcuni dei titoli apparsi sulle principali testate. Come al solito, la cerimonia di Hamas rivela la doppia morale di media e istituzioni occidentali, pronti a chiedere il rispetto dei diritti umani ai movimenti di liberazione più che agli Stati democratici che su quegli stessi diritti dovrebbero fondarsi. Il 25 settembre 2024, nessuno di questi media riportava che Israele aveva inviato a Gaza i corpi in decomposizione di 88 palestinesi senza nome, ammassati nel rimorchio di un camion. A gennaio, aprile, maggio e giugno 2024, fredde cronache raccontavano la scoperta di fosse comuni con centinaia di corpi e resti umani. A maggio, pochi descrivevano con lo stesso sdegno le immagini dei civili di Rafah morti arsi vivi.

La cerimonia di consegna dei corpi degli ostaggi a Israele è avvenuta giovedì 20 febbraio e ha inaugurato lo scambio di defunti tra le parti. Per l’occasione, Hamas ha allestito il solito palco su cui ha disposto le quattro bare dei defunti, coprendolo con un grande telo nero. Alzate le tende, la scena ha rivelato un ampio cartellone che mostrava i volti dei quattro ostaggi stampati davanti a un Netanyahu-vampiro ricoperto di sangue, accusandolo apertamente della loro morte. Hamas ha spiegato le proprie intenzioni: «Il messaggio della resistenza era chiaro e unitario. Non dimenticheremo, non perdoneremo. Netanyahu è responsabile dell’uccisione di diversi prigionieri sionisti tenuti a Gaza con bombe fornite dagli Stati Uniti».

Come prevedibile, la cerimonia ha attirato numerose critiche da parte delle istituzioni e dei giornali di tutto il mondo; effettivamente, la riconsegna di quattro casse da morto davanti a una folla gremita può apparire dissacrante nei confronti di coloro che hanno perso la vita. Tuttavia, prima di esprimere giudizi, andrebbe individuato cosa avrebbe dovuto fare Hamas per non essere oggetto di critiche e, allo stesso tempo, tutelarsi da possibili accuse da parte di Israele. Senza considerare che i quattro israeliani, quanto meno, hanno avuto la dignità di essere restituiti alle loro famiglie all’interno di bare dopo aver ricevuto una sepoltura spesso negata agli stessi palestinesi. Non si può infatti dire lo stesso degli 88 palestinesi che lo scorso settembre sono stati riconsegnati nelle mani di Hamas, gettati su un camion in stato di putrefazione e privi di identificazione (ne abbiamo parlato in un articolo de L’Indipendente), fatto che i media mainstream si sono guardati bene dal menzionare. E come loro, nemmeno gli oltre 500 morti trovati in 7 distinte fosse comuni hanno avuto la stessa fortuna.

L’ONU ha definito «abominevole e spaventoso» il modo in cui sono stati trattati i defunti, mentre Israele ha promesso vendetta, accusando Hamas di non avere consegnato né i corpi indicati né le chiavi per aprire le casse. I giornali hanno colto l’occasione per affilare le proprie penne contro il movimento palestinese: “Il palco dell’orrore di Hamas: esposte le bare dei bambini israeliani”, titola Il Giornale, descrivendo la cerimonia come una «macabra messa in scena». Il 27 maggio 2024, in occasione di uno dei primi bombardamenti aerei a Rafah, in seguito a cui sono morte arse vive – con tanto di video – oltre 40 persone, lo stesso Giornale, citando le parole di Netanyahu, titolava “Un tragico incidente”. L’Avvenire, invece, scrive: “Gaza. Bare nere per i bimbi, Netanyahu vampiro: l’ultimo macabro show di Hamas”; quello stesso 27 maggio, riportava la notizia con un secco “Raid di Israele a Rafah”, scrivendo, con le dovute virgolette, che secondo le ricostruzioni della Mezzaluna palestinese alcune persone erano rimaste «bruciate vive». E ancora La Repubblica, che se giovedì ha parlato di «macabro show», l’8 giugno 2024, in occasione della strage di Nuseirat, titolava “Israele, liberati 4 ostaggi in un blitz a Gaza”, ignorando i 274 palestinesi uccisi nella cosiddetta “operazione”.

Quello di giovedì costituisce l’ennesimo caso di doppiopesismo da parte dei media e delle istituzioni occidentali, pronti a difendere a spada tratta i diritti degli alleati senza riconoscerne i doveri. Quando per 470 giorni è stata Israele a violare la dignità e i più elementari diritti umani, nessuno ha gridato allo scandalo. Oggi, invece, si chiede a un movimento di liberazione di rispettare quei comportamenti che uno Stato che si definisce democratico ha più volte deliberatamente ignorato, davanti allo sguardo complice di quegli stessi giudici parziali.

[di Dario Lucisano]

L’invocazione di Saffo ad Afròdite (VII-VI sec.a.C.)

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Afròdite, dea dal trono screziato,
subdola tessitrice, figlia di Zeus, ti prego,
non soggiogare, eccelsa, alle ingrate
ansie il mio cuore,
ma qui vieni, tu che di lontano
un tempo davi ascolto alla mia voce
e venisti dalla casa paterna
sul carro d’oro.
Ti portavano i passeri, volando
belli e veloci sulla terra nera
e dal cielo agitavano le folte
ali nell’etere.
Rapidi giunsero. E tu, o beata,
con un sorriso sul volto immortale
mi chiedevi perché soffrivo ancora
e ti invocavo,
e che cosa volevo nel profondo
del mio animo folle. 
“Chi di nuovo 
devo persuadere a tornare al tuo amore,
Saffo, chi ancora ti fa del male?
Se fugge sarà lei a inseguirti,
se sprezza i doni li offrirà domani,
se non ti ama, anche contro voglia
t’amerá presto.”
Vieni per me anche ora, scioglimi
dai gravi affanni e ogni desiderio
del cuore esaudisci, nella mischia 
stammi vicina.
 

Vive di una contraddizione l’amore: da un lato appaga, offre pienezza di sentimenti, esalta, dall’altro provoca, non soddisfa del tutto, mette inquietudine.

Per la poesia è sempre stato così: l’amore ‘’ditta dentro’’, detta, scrive dentro di noi, ispira, come dicevano poeti e cantori nel Medioevo.

La voce della poesia, della canzone musicata sa esprimere il lato più controverso dell’innamoramento e dell’amore: l’indifferenza e poi la contesa, la rivalità.

«Ti prego Afròdite, torna ad aiutarmi», implora Saffo che invoca la dea e per lei prova amore, con quel senso religioso della trasfigurazione per cui la dea viene vista muoversi su un carro dorato, luminoso, trasportato nel cielo dal fremito delle ali di passeri.

«Ascolta la mia voce», prega Saffo con parole che tradiscono il senso della sua ode, che è una preghiera. Un’espressione questa che il mondo del melodramma e della canzone, nei secoli seguenti, hanno fatto propria, perché la voce diventi segno di forza, di eros, di appagamento.

Nell’ode scritta da Saffo la dea prende a sua volta la parola, promette a Saffo che lei verrà cercata, che l’amata alla fine saprà apprezzarla.

«Nella mischia stammi vicina»: l’amore ci espone a delle prove, ha talvolta il sapore aspro di una battaglia. Alla dea spetta allora, come un sigillo, quello speciale sorriso enigmatico, promettente ma vagamente ambiguo, che i Greci riservavano all’oracolo, a chi conosceva il sentimento e le sentenze del tempo a venire.

[di Gian Paolo Caprettini]

Hamas ha rilasciato altri due ostaggi israeliani

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Il gruppo palestinese Hamas ha rilasciato oggi altri due ostaggi israeliani. Si tratta di Tal Shoham e Avera Mengistu, che sono stati fatti salire sul palco allestito da Hamas a Rafah, per poi essere caricati sulle auto della Croce Rossa e infine consegnati ai soldati dell’esercito israeliano. Avera Menistu è stato tenuto prigioniero per oltre un decennio, mentre Tal Shoham il 7 ottobre era in visita al kibbutz Beeri con la moglie Adi e i loro due figli, che sono stati rilasciati nel novembre 2023. L’operazione prevede la liberazione di 602 detenuti palestinesi in cambio del ritorno a casa dei sei ostaggi.

Tutte le privatizzazioni del governo “sovranista” di Giorgia Meloni

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Nel 2018 opponendosi alle vendite dei beni nazionali, l’attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni affermava «No alla privatizzazione di Poste Italiane: per Fratelli d’Italia è un gioiello che deve rimanere in mano italiana e pubblica, è un presidio di legalità e di presenza dello Stato». Una posizione messa nero su bianco in un documento programmatico del partito: «Le reti, le infrastrutture e le aziende operanti in determinati settori sono centrali per concorrere alla crescita e allo sviluppo economico del Paese. Per questo serve che lo Stato torni a essere proprietario delle infrastrut...

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Slovacchia, proteste filo-europee in tutto il Paese

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Ieri a Bratislava e in altre 40 città slovacche, migliaia di persone si sono riunite per chiedere le dimissioni del primo ministro Robert Fico, manifestando la propria vicinanza all’Unione Europea. A Bratislava hanno partecipato circa 12.000 persone. Le proteste di ieri si collocano sulla scia di un movimento sorto all’inizio di gennaio dopo una visita del premier Fico a Mosca. Da allora si è tenuta circa una manifestazione ogni due settimane. Ieri, inoltre, ricorreva il settimo anniversario dell’uccisione del giornalista investigativo slovacco Jan Kuciak.

A 60 anni dalla sua uccisione le battaglie di Malcom X sono ancora attuali

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Il 21 febbraio 1965, a New York, veniva ucciso il famoso leader afroamericano Malcolm X. Oggi, 60 anni dopo la sua morte, le sue lotte politiche rimangono attuali, specie riguardo al razzismo all’interno della società statunitense, che è tutt’altro che scomparso e che, semmai, è stato solo nascosto dall’avvento del politically correct. Malcolm X è stato un pensatore e un attivista radicale, convertito all’Islam, che per anni ha sostenuto posizioni differenti rispetto alla lotta politica del movimento per i diritti civili di Martin Luther King.

Prima di compiere un parziale rimodellamento del suo pensiero politico, Malcolm X non intendeva portare avanti la battaglia contro la segregazione razziale, ma sosteneva, per liberarsi dal giogo dei bianchi, la fine della diaspora dei neri e il loro ritorno in Africa. Egli ha sempre respinto la strategia della non-violenza del movimento per i diritti civili, sostenendo invece che i neri avevano tutto il diritto di difendersi e di armarsi. Malcolm X credeva che il governo degli Stati Uniti dovesse pagare riparazioni ai neri per tutto il lavoro non retribuito svolto dai loro antenati durante la schiavitù.

Di Malcolm X non ci sono scritti: il suo pensiero politico è stato da lui espresso in maniera orale durante tutti i comizi tenuti. Insieme a Martin Luther King, con cui stava avvenendo un avvicinamento nell’ultimo anno della sua vita, Malcolm X è stato uno dei più grandi leader della lotta politica della comunità nera degli Stati Uniti.

Malcolm Little, meglio noto come Malcolm X, e poi come el-Hajj Malik el-Shabazz, è nato il 19 maggio 1925 a Omaha, Nebraska, quarto di sette figli. I suoi genitori erano sostenitori dell’attivista giamaicano panafricanista Marcus Garvey, fondatore dell’Universal Negro Improvement Association (UNIA), di cui facevano parte. Dunque, Malcolm è cresciuto in un contesto familiare dove l’azione politica era presente e discussa.

Per l’appartenenza dei genitori all’UNIA, la famiglia si trasferì nel 1926 a Milwaukee e poco dopo a Lansing, Michigan, a causa delle azioni del Ku Klux Klan contro la comunità nera dove vivevano. Nel 1931, il padre morì in circostanze poco chiare, probabilmente ucciso dalla Legione Nera, un’organizzazione suprematista bianca nata da un distaccamento del Ku Klux Klan.

Dopo un passaggio da Boston e Flint, nel 1943 Malcolm X, ancora noto come Malcolm Little, si trasferì nel quartiere Harlem di New York. Alla fine del 1945, Malcolm tornò a Boston, dove lui e quattro complici commisero una serie di furti ai danni di ricche famiglie bianche e, nel 1946, fu per questo arrestato.

Tra il 1958 e il 1964, Malcolm X ha compiuto tre viaggi in Africa, uno in Arabia Saudita, dove fece il suo pellegrinaggio alla Mecca, e uno in Palestina, in solidarietà con il popolo palestinese sotto occupazione da parte degli ebrei sionisti.

Nel corso delle visite nel continente africano, ha visitato la Repubblica Araba Unita (unione politica di breve durata tra Egitto e Siria), il Sudan, la Nigeria, il Ghana, l’Egitto, l’Etiopia, la Tanganica, la Guinea, il Senegal, la Liberia, l’Algeria e il Marocco. Durante questi viaggi, ha conosciuto i più importanti leader africani impegnati nella decolonizzazione.

Malcolm X ha sempre criticato l’imperialismo statunitense e le sue violenze, in Africa come in ogni altra parte del mondo. Malcolm X attirò verso di sé e il suo credo politico anche personaggi noti, come il campione di pugilato Cassius Clay, che nel 1964 cambiò prima il suo nome in Cassius X e poi in Muhammad Ali.

Nello stesso anno, Malcolm X cambiò ulteriormente il suo nome, chiamandosi el-Hajj Malik el-Shabazz.

L’8 marzo 1964, Malcolm X annunciò pubblicamente la sua rottura con la Nazione dell’Islam, pur dichiarando di rimanere musulmano. La motivazione fu legata ai dissidi con Elijah Muhammad sulla visione del futuro, sulle pratiche politiche e su alcuni comportamenti tenuti dal capo dell’organizzazione islamica, che Malcolm X non condivideva.

Il leader afroamericano annunciò la creazione di un’organizzazione nazionalista nera con il fine di elevare la coscienza politica della comunità nera, così come di voler lavorare con i leader dei diritti civili, spiegando che Elijah Muhammad glielo aveva sempre impedito. Così, Malcolm X fondò la Muslim Mosque Inc. (MMI) e l’Organizzazione dell’Unità Afroamericana (OAAU).

Da questo momento, Malcolm X cercò di avvicinarsi al movimento per i diritti civili, che però riteneva avrebbe dovuto concentrarsi sulla definizione della lotta politica nei termini dei diritti umani. Questa ridefinizione della lotta politica aveva implicazioni sia filosofiche che pratiche. Per quanto riguarda le seconde, come sostenuto da Malcolm X, il movimento avrebbe potuto portare le sue denunce davanti alle Nazioni Unite, dove egli era convinto che le nazioni emergenti del mondo avrebbero dato il loro sostegno.

Malcolm X ha sottolineato la connessione diretta tra la lotta interna degli afroamericani per la parità di diritti e le lotte per l’indipendenza delle nazioni del Terzo Mondo. Nei suoi discorsi al Militant Labor Forum, sponsorizzato dal Partito Socialista dei Lavoratori, Malcolm X ha criticato il capitalismo e ha detto che non era un caso se i nuovi paesi indipendenti del Terzo Mondo si stessero orientando verso il socialismo.

“È impossibile per una persona bianca credere nel capitalismo e non credere nel razzismo. Non puoi avere il capitalismo senza razzismo, ebbe a dire durante uno dei suoi discorsi.

Sulla scia di questo rimodellamento del pensiero politico, il 26 marzo 1964, Malcolm X incontrò Martin Luther King per quella che sarebbe stata la prima e unica volta in cui i due leader afroamericani si videro insieme.

l 21 febbraio 1965, Malcolm X viene assassinato sul palco della Audubon Ballroom di Manhattan, mentre si stava preparando a parlare a una riunione dell’OAAU. Il suo assassinio fu compiuto da esponenti della Nazione dell’Islam, che più volte avevano pubblicamente minacciato di morte il loro ex membro.

Alla fine degli anni Sessanta, attivisti neri sempre più radicali basarono in gran parte la loro lotta politica sugli insegnamenti di Malcolm X: il movimento Black Power, il Black Arts Movement e l’adozione diffusa dello slogan “Nero è bello”.

[di Michele Manfrin]

Nel Regno Unito è in vendita il primo cibo per animali a base di carne coltivata

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Un negozio per animali situato nel distretto di Brentford, a ovest di Londra, è diventato il primo luogo in Europa dove viene venduta carne coltivata. A darne notizia è la stessa azienda produttrice, Meatly, che specifica come il cibo umido per cani, denominato Chick Bites, sia composto da un mix di pollo coltivato e ingredienti di origine vegetale. Meatly è la prima azienda britannica ad aver ottenuto l’autorizzazione alla commercializzazione di un prodotto a base di carne coltivata, dopo che, nel luglio 2024, il Regno Unito ne ha permesso la produzione e la vendita a esclusivo uso animale. L’obiettivo dell’azienda è testare la reazione del pubblico e degli investitori, con l’intento dichiarato di rendere il prodotto realmente disponibile su larga scala entro tre anni.

La carne contenuta in Chick Bites, secondo i dettagli diffusi dall’azienda, è stata coltivata a partire da una singola cellula animale prelevata da un uovo di gallina, alla quale vengono poi aggiunti vitamine, minerali e amminoacidi per conferirle valori nutrizionali e un sapore analoghi a quelli della carne tradizionale. La coltivazione avviene in contenitori a temperatura e acidità controllate, attraverso un processo di fermentazione definito analogo a quello utilizzato per produrre yogurt o birra. A partire da una singola cellula, sarebbe possibile produrre «abbastanza carne coltivata per nutrire gli animali domestici per sempre», senza l’uccisione di alcun animale.

Il prezzo al dettaglio, secondo quanto riportato dal quotidiano britannico Daily Mail, è di 3,49 sterline per una busta da 50 grammi. Sebbene sia probabile che il prezzo di vendita, appena il doppio rispetto a quello del normale cibo per animali, sia stato mantenuto artificiosamente basso per ragioni pubblicitarie. Infatti, le stime attuali parlano ancora di costi di almeno 63 euro al chilogrammo per la produzione su larga scala, almeno dieci volte superiori al costo di produzione della carne di pollo da allevamento.

Al di fuori del Regno Unito, attualmente nessun altro Paese europeo ha autorizzato la produzione o la commercializzazione di carne coltivata, né per il consumo umano né per l’alimentazione animale. Nell’Unione Europea, la carne coltivata è considerata un novel food e, per essere immessa sul mercato, deve ottenere l’approvazione dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) e della Commissione Europea. Al momento, alcune richieste di autorizzazione sono in fase di valutazione, come quella della startup francese Gourmey, che nel luglio 2024 ha presentato domanda per un foie gras coltivato, e quella dell’azienda olandese Mosa Meat, che nel gennaio 2025 ha richiesto l’approvazione per il grasso bovino coltivato. Gli unici tre Paesi al mondo in cui la carne coltivata è attualmente autorizzata sono Singapore (dove i bocconcini di pollo coltivato prodotti dalla startup statunitense Eat Just sono stati approvati già nel dicembre 2020), gli Stati Uniti (con le prime autorizzazioni rilasciate nel giugno 2023 alle aziende Upside Foods e Good Meat) e Israele (dove, nel gennaio 2024, è stata autorizzata la produzione e la vendita di carne coltivata da cellule bovine).

 

Ancora attacchi del governo USA contro Zelensky: ipotesi esilio

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Non si fermano gli attacchi del governo USA al presidente ucraino Zelensky. Dopo che Trump lo aveva definito un «comico dal successo modesto» e un «dittatore senza elezioni», a rincarare la dose arriva Elon Musk che lo ha accusato di essere a capo «di una gigantesca macchina della corruzione che si nutre dei cadaveri dei soldati ucraini». Mentre un articolo pubblicato sul quotidiano conservatore New York Post ha riportato il commendo di una fonte, definita vicina a Donald Trump, che ipotizza per Zelensky la possibilità di un esilio in Francia. Rimane col cerino in mano l’Unione Europea, che prova a tenere la linea della solidarietà a Kiev annunciando l’esposizione della bandiera ucraina nelle sedi dell’europarlamento.

150 mila tonnellate di fanghi tossici nei campi: se la cava con 16 mesi di condanna

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Solo un anno e quattro mesi di carcere, peraltro con il beneficio della sospensione della pena. È questa l’entità della condanna inflitta dal GUP di Brescia Angela Corvi a Giuseppe Giustacchini, amministratore dell’azienda WTE, per aver riversato tra il 2018 e il 2019 circa 150mila tonnellate di fanghi tossici su 3mila ettari di terreni agricoli sparsi tra Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna. Una quantità impressionante di rifiuti inquinanti, spacciati per fertilizzanti, finiti nei campi di ignari agricoltori. Eppure, a Giustacchi è arrivato poco più di un buffetto, con soli sedici mesi di condanna. Più impattanti i provvedimenti presi contro l’azienda, condannata a pagare una sanzione amministrativa di oltre 77mila euro, cui è stata confermato il sequestro di conti correnti e i beni ai fini della confisca e che dovrà impegnarsi nel ripristino dello stato dei luoghi contaminati.

Per l’imputato la Procura aveva chiesto 4 anni di carcere, già scontati di un terzo per via del rito abbreviato. La sentenza è arrivata al termine dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Brescia, quando il giudice ha ritenuto Giustacchini colpevole di traffico illecito di rifiuti. Contestualmente, però, l’uomo è stato assolto dalle accuse di traffico di influenze illecite – reato depotenziato dalle recenti modifiche normative promosse dal governo -, mentre sono stati dichiarati prescritti i reati di discarica abusiva ed esalazioni moleste. Avendo tempi di prescrizione più breve, tali reati sono decaduti prima che il processo si concludesse: si tratta di una dinamica tipica nei processi ambientali, dove il tempo necessario per le indagini e il procedimento porta spesso alla prescrizione di reati minori. La WTE è stata riconosciuta responsabile civile e condannata al pagamento di una sanzione amministrativa di 77.400 euro, al sequestro dei conti correnti e alla revoca definitiva dell’autorizzazione a operare. La società dovrà anche provvedere, nei limiti del possibile, al ripristino delle aree inquinate. I suoi legali hanno già annunciato ricorso in appello. Sul banco degli imputati erano finiti in tutto 24 soggetti, tra persone fisiche e aziende. La sentenza ha portato a una sola condanna, due assoluzioni e cinque proscioglimenti, ma il percorso giudiziario è ancora lungo: dopo questo verdetto, il processo ordinario vedrà altri dodici imputati affrontare l’aula di tribunale per chiarire le proprie responsabilità. Nei procedimenti si sono costituiti parte civile per chiedere il risarcimento danni alla WTE la Provincia di Brescia e Cremona, i Comuni di Lonato, Visano e Calvisano, il comitato Cittadini di Calcinato, il comitato referendario per l’acqua pubblica e due residenti di Calcinato.

Le indagini hanno dimostrato che i fanghi tossici, derivanti dalla depurazione di acque reflue urbane e industriali, erano contaminati da metalli pesanti e idrocarburi. Secondo l’accusa, l’azienda WTE li avrebbe trattati e poi venduti agli agricoltori come fertilizzanti, sfruttando una normativa poco chiara che ha consentito di spacciarli per prodotti agricoli. A chiarire il quadro saranno le motivazioni del verdetto. La pronuncia ha sollevato reazioni contrastanti. La sindaca di Calcinato, Vincenza Corsini, ha espresso forte amarezza: «Le sentenze si rispettano ma faccio davvero fatica a sentirmi soddisfatta, visto quello che per anni il mio paese e i suoi abitanti hanno patito». Sulla stessa scia il sindaco di Calvisano Angelo Formentini: «Non sta a me giudicare la coerenza della pena. Mi limito a ricordare che con l’abuso d’ufficio un sindaco rischiava una condanna più corposa. E se un commercialista sbaglia una dichiarazione dei redditi si becca un anno e un mese». Anche Emanuele Moraschini, presidente della Provincia di Brescia, ha sottolineato la gravità della vicenda, ricordando però che grazie a questo scandalo sono stati «infittiti i paletti normativi per la tutela dei terreni agricoli».

[di Stefano Baudino]

Parigi sempre più fuori dall’Africa: anche la Costa d’Avorio caccia i soldati francesi

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Dopo Mali, Niger, Burkina Faso e Senegal, anche la Costa d’Avorio ha avviato la progressiva espulsione dei militari francesi dalle sue basi militari. In particolare, ieri si è tenuta una cerimonia ufficiale con cui la Francia ha restituito alle forze armate della Costa d’Avorio la gestione della base militare di Port-Bouet, ad Abidjan, che utilizzava dal 1978. La riduzione del personale militare francese nel Paese dell’Africa occidentale è in corso dal 2023, quando i militari di Parigi erano circa mille. Oggi sono rimasti circa 300 uomini del quarantatreesimo Battaglione di fanteria della Marina francese, i reparti anfibi delle forze armate, ed è previsto che la loro presenza verrà ulteriormente ridotta, lasciando nel Paese solo una ottantina di militari per addestrare i soldati ivoriani. Tuttavia, come preannunciato dal ministro della Difesa ivoriano, Tene Birahima Ouattara, i due Paesi hanno concordato di non interrompere completamente i loro rapporti militari, stabilendo, invece, un’intesa più flessibile per quanto riguarda l’impegno francese, in linea con gli interessi della Costa d’Avorio. Come anche il Senegal, la Costa d’Avorio intende riequilibrare le relazioni con Parigi senza interrompere bruscamente del tutto le relazioni con le forze francesi. «Il mondo cambia ed è evidente che la nostra relazione di difesa doveva evolvere», ha commentato il ministro della Difesa francese Sebastien Lecornu durante la cerimonia, aggiungendo che la Francia «non sta scomparendo».

In questo contesto di riformulazione delle relazioni tra Parigi e Yamoussoukro, i due ministri della Difesa – Ouattara e Lecornu – hanno siglato un nuovo accordo di partenariato militare volto prevalentemente all’addestramento dei soldati ivoriani: in particolare, una scuola ivoriana per i sistemi di informazione e comunicazione, sostenuta dalla Francia, continuerà le sue attività in questa sede, mentre Parigi rimarrà impegnata anche nelle attività dell’Accademia internazionale antiterrorismo di Jacqueville, alla periferia di Abidjan, e in quelle dell’Istituto interregionale per la sicurezza marittima. Gli ottanta militari francesi rimanenti formerebbero «la base di un distaccamento congiunto a seconda delle esigenze da voi manifestate, esigenze che saranno costantemente rivalutate, in particolare in termini di addestramento», ha affermato il ministro della Difesa francese. Nonostante ciò, il cambio di paradigma dello Stato africano e la ricerca di indipendenza e sovranità traspare chiaramente dal fatto che la base di di Port-Bouet prenderà il nome del generale Thomas d’Aquin Ouattara, il primo capo di Stato maggiore dell’esercito ivoriano. Il presidente della Costa d’Avorio, Alassane Ouattara, aveva già dichiarato a dicembre che le truppe francesi si sarebbero dovute ritirare dal Paese a partire da gennaio, con un approccio cauto nei modi, ma determinato nella sostanza: il presidente ivoriano aveva affermato, infatti, che l’ex padrone coloniale sarebbe rimasto un «importante alleato».

La Costa d’Avorio è l’ultimo Stato dell’Africa occidentale che ha deciso di espellere le forze francesi dal suo territorio dopo Mali, Burkina Faso e Niger, tutte nazioni in cui, tra il 2020 e il 2023, si sono verificati colpi di Stato che hanno portato al governo giunte militari antioccidentali. Ma anche in Ciad e in Senegal i rispettivi governi hanno deciso che le truppe francesi non sono più utili alla sicurezza del territorio invitando i contingenti a lasciare le basi del Paese. Nello specifico, il Mali ha decretato l’espulsione delle truppe francesi nel 2022, seguito dal Burkina Faso e dal Niger nel 2023. Nel dicembre del 2024, invece, ministro degli Esteri del Ciad, Abderaman Koulamallah, aveva annunciato la fine dell’accordo di cooperazione in materia di difesa con la Francia, spiegando che la decisione «fa parte dell’impegno del Capo di Stato davanti al popolo sovrano» ed è un modo per «affermare la nostra sovranità». Anche il presidente senegalese, Bassirou Diomaye Faye, durante il discorso di fine anno, aveva ribadito «la chiusura di tutte le basi francesi nel Paese», dopo la richiesta formale, di fine novembre, da parte di Dakar. Parallelamente all’indebolimento della presenza francese in Africa, si assiste all’ascesa nel continente delle nazioni rivali dell’Occidente, tra cui Russia e Cina. Mosca, in particolare, è vista particolarmente con favore dai popoli e dai governi africani per via del suo approccio considerato anticolonialista e paritario.

Tutto ciò si è tradotto in un rapido mutamento politico nei Paesi dell’Africa Subsahariana, il cui obiettivo è quello di riacquisire la sovranità sul sistema economico, monetario e sulle risorse naturali. Proprio a tal fine, Niger, Mali e Burkina Faso hanno firmato un trattato con il quale hanno dato vita alla Confederazione degli Stati del Sahel, volta a creare una comunità libera dal controllo di potenze straniere. In questo quadro, la Francia è sempre più fuori dall’Africa: a partire dalla prossima estate, infatti, le forze francesi manterranno basi militari permanenti solo in Gabon e a Gibuti.

[di Giorgia Audiello]