venerdì 27 Dicembre 2024
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La Corte Costituzionale ha dichiarato parzialmente illegittima l’autonomia differenziata

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La Consulta ha dichiarato incostituzionali alcune norme chiave della legge sull’autonomia differenziata, accogliendo i ricorsi di quattro Regioni. Pur confermando la legittimità complessiva del provvedimento, promosso dal ministro degli Affari regionali leghista Roberto Calderoli, i giudici hanno infatti ritenuto non conforme alla Carta che i LEP (Livelli Essenziali di Prestazione) vengano stabiliti dal governo, affermando che la materia dovrà essere disciplinata dal Parlamento; incostituzionali, secondo la Corte, sono anche la modifica delle aliquote tributarie con decreto interministeriale e l’uso del criterio della spesa storica per la compartecipazione delle risorse, ritenendo che debbano essere presi come riferimento i costi e i fabbisogni standard. In una nota, la Consulta ha spiegato che spetta al Parlamento «colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali».

All’interno di un comunicato, la Corte ha chiarito che le norme concepite dalla legge Calderoli rischiano di ampliare i divari tra le Regioni, svuotando peraltro le Camere delle proprie funzioni legislative nella trattativa tra Regioni e governo. Nello specifico, sono sette i punti bocciati dai giudici. In primis, la «possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative» e debba essere giustificata alla luce del «principio di sussidiarietà», ma anche la delega che il Parlamento ha dato al governo per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) – ovvero i servizi minimi che lo Stato deve garantire uniformemente su settori fondamentali – senza «idonei criteri direttivi». Il che produrrebbe la limitazione del «ruolo costituzionale» del Parlamento. Bocciata anche «la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dPCm) a determinare l’aggiornamento dei LEP», nonché il ricorso alla procedura prevista dalla legge di bilancio per il 2023 «per la determinazione dei LEP con dPCm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP».

È stata poi cassata «la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito». Infatti, spiega la Consulta, sulla base di tale previsione «potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti», incapaci di assicurare l’adempimento di quelle funzioni attraverso tali risorse. Viene poi ritenuta illegittima «la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica». In ultimo, i giudici bocciano il fatto che la legge sia applicata alle richieste di autonomia che potrebbero arrivare dalle Regioni a statuto speciale, che hanno la possibilità di attivare la procedura seguendo il proprio statuto.

La controversa legge sull’autonomia differenziata era stata approvata in via definitiva dalla Camera lo scorso giugno. Nello specifico, l’autonomia differenziata consiste nel riconoscimento, da parte dello Stato, dell’attribuzione a una Regione di una autonomia normativa rispetto a materie di competenza concorrente (quelle su cui le Regioni esercitano la potestà legislativa nel rispetto dei principi fondamentali statali) e, in alcuni casi, su materie di competenza esclusiva dello Stato. La nuova legge era inoltre nata con l’intento di offrire alle Regioni la possibilità di trattenere il gettito fiscale, non redistribuendolo più a livello nazionale in base alle necessità collettive. Forti voci contrarie al provvedimento si sono sin da subito levate dalle opposizioni, ma anche dai sindacati del lavoro e della scuola, dalle rappresentanze dei medici e dalle associazioni ambientaliste, secondo cui l’entrata in vigore della legge avrebbe prodotto un inasprimento delle disuguaglianze fra i territori e i cittadini appartenenti a differenti fasce di reddito. Contro la legge è nata anche l’iniziativa per un referendum abrogativo, i cui promotori hanno raccolto in breve tempo le 500mila firme richieste e il cui testo è ora al vaglio della Cassazione. Gli ermellini dovranno infatti valutarlo entro il 15 dicembre. Con l’intervento della Consulta, che ha demolito aspetti fondamentali della norma, non vi è però certezza che la Cassazione dia il via libera. Anche se, secondo alcuni costituzionalisti, potrebbe farlo dopo aver riformulato il quesito.

[di Stefano Baudino]

“Make America healthy again”: Trump nomina Kennedy Jr. capo del Dipartimento della Salute

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Robert F. Kennedy Jr. (RFK Jr.), che aveva partecipato alla campagna presidenziale come indipendente prima di ritirarsi, è stato nominato da Donald Trump come Segretario dello United States Department of Health and Human Services, ovvero il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani. Trump, già nel suo primo discorso nella notte delle elezioni del 5 novembre, si era rivolto a Kennedy Jr. cambiando il suo famoso slogan, «Make America Great Again» in «Make America Healthy Again». «Contribuirà a riportare l’America di nuovo in salute. È un uomo eccezionale, e si impegna davvero. Vuole fare alcune cose e lo lasceremo fare», aveva detto Trump durante il suo discorso, non mancando di lanciargli una frecciatina rispetto alle sue posizioni sulle questioni ambientali. Kennedy Jr., negli ultimi anni, si è dimostrato molto attento sul tema della salute, ponendo l’accento sulla cattiva alimentazione promossa dalle aziende così come sulla qualità del cibo ma anche sui conflitti d’interesse che coinvolgono Big Pharma.

«Per troppo tempo, gli americani sono stati schiacciati dal complesso alimentare industriale e dalle aziende farmaceutiche che hanno commesso inganni, disinformazione e informazioni errate quando si tratta di Salute Pubblica. La sicurezza e la salute di tutti gli americani sono il ruolo più importante di qualsiasi Amministrazione e l’HHS [il Dipartimento della Salute, ndr] svolgerà un ruolo importante nell’aiutare a garantire che tutti siano protetti da sostanze chimiche nocive, inquinanti, pesticidi, prodotti farmaceutici e additivi alimentari che hanno contribuito alla travolgente crisi sanitaria in questo Paese. Il signor Kennedy ripristinerà queste Agenzie alle tradizioni della Ricerca Scientifica Gold Standard e ai fari della Trasparenza, per porre fine all’epidemia di Malattie Croniche e per Rendere l’America di Nuovo Grande e Sana» ha dichiarato il neoeletto presidente, annunciano il nuovo ruolo di Kennedy Jr.

Nel corso di un’intervista rilasciata a NBC News pochi giorni fa, Kennedy aveva dichiarato che Trump «Vuole che io faccia tre cose: eliminare la corruzione delle agenzie, in particolare i conflitti di interesse che hanno trasformato queste agenzie in agenzie prigioniere dell’industria farmaceutica, alimentare e delle altre industrie che dovrebbero vigilare; riportare le agenzie alla scienza di base e alla medicina basata sull’evidenza; rendere l’America di nuovo sana, per porre fine all’epidemia di malattie croniche». Per dipingere il quadro entro cupo entro cui sarà chiamato a lavorare, Kennedy Jr. aveva fatto un paragone con gli anni in cui suo zio era alla presidenza degli Stati Uniti: «Quando mio zio era presidente, il 6% dei nostri figli aveva una malattia cronica. Oggi sono il 60%. Quando mio zio era Presidente, il 3% degli americani era obeso. Oggi il 70% è obeso o in sovrappeso». Kennedy Jr. definisce la situazione della salute dei cittadini statunitensi come una «questione esistenziale», riferendosi alla quantità di sostanze chimiche presenti negli alimenti che altrove sono illegali, facendo l’esempio dell’Europa.

«La guerra della FDA contro la salute pubblica sta per finire», aveva scritto Kennedy Jr. sui social media poco prima delle elezioni, riferendosi alla Food and Drug Administration, l’ente che approva gli alimenti e le sostanze al loro interno così come i farmaci e i vaccini. In merito a questi ultimi, il futuro Segretario della Salute ha detto che non è contro ogni tipo di vaccino ma che ritiene che i cittadini statunitensi debbano avere tutte le informazioni necessarie, in maniera trasparente, per poter prendere in autonomia le proprie decisioni. Durante l’emergenza pandemica, Kennedy è stato molto critico rispetto ai vaccini Covid-19, alle informazioni veicolate ad un pubblico terrorizzato e alle politiche sanitarie intraprese. «Faremo in modo che gli americani abbiano buone informazioni in questo momento. La scienza sulla sicurezza dei vaccini in particolare ha enormi deficit e faremo in modo che questi studi scientifici vengano condotti e che le persone possano fare scelte informate sulle loro vaccinazioni e sulle vaccinazioni dei loro figli», ha detto Kennedy a NPR.

Durante la medesima intervista, Kennedy Jr. ha parlato della fluorizzazione dell’acqua che negli Stati Uniti avviene da decenni – introdotta per migliorare l’igiene dentale – la quale sarebbe responsabile di disturbi dello sviluppo neurologico nei bambini, artrite, problemi alla tiroide, cancro delle ossa e maggior facilità della loro rottura. Ha quindi spiegato che la nuova amministrazione Trump agirà subito affinché i sistemi idrici degli Stati Uniti rimuovano il fluoro dalle acque pubbliche.

[di Michele Manfrin]

Libano, proseguono gli attacchi israeliani: almeno 30 morti

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Almeno 30 persone sono state uccise, mentre altre 30 sono rimaste ferite, a causa di una serie di attacchi aerei israeliani sul Libano, ha riferito l’emittente albanese Al Mayadeen. Le Forze di difesa israeliane (IDF) hanno effettuato almeno 13 attacchi aerei in varie parti della valle della Beqaa, nell’area orientale del Libano. Diversi residenti sono stati dichiarati dispersi. Dall’inizio del conflitto a Gaza, Secondo l’ultimo aggiornamento del Ministero della Salute libanese, in Libano sono state uccise 3.386 persone e 14.417 sono rimaste ferite.

Il primo trattamento al mondo con cellule staminali ha ripristinato la vista in tre persone

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Le cellule staminali si confermano per l’ennesima volta uno strumento formidabile nella lotta contro le malattie debilitanti, dimostrandosi capaci di lenire i danni causati persino agli occhi: quattro persone, tutte presentanti gravi danni alla vista, hanno ricevuto un trattamento innovativo che l’ha migliorata significativamente, e in tre casi su quattro tali progressi sono stati mantenuti per oltre un anno. È quanto dettagliato in un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet, il quale è stato sottoposto a revisione paritaria e condotto dal team di Kohji Nishida, oftalmolog...

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Commissione Europea: ok ad altri 4 miliardi all’Ucraina

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La Commissione europea ha dato il semaforo verde a un nuovo pagamento di oltre 4 miliardi di euro a Kiev dall’Ukraine Facility, strumento dell’UE atto a garantire un sostegno finanziario prevedibile all’Ucraina nel periodo 2024-2027. Una volta adottata dal Consiglio, questa decisione porterà a 16,1 miliardi di euro i fondi complessivamente erogati nel corso dell’anno a sostegno del piano per l’Ucraina. «Mentre ci avviciniamo al millesimo giorno dell’atroce guerra della Russia, aiuteremo a mantenere in funzione lo stato ucraino mentre il paese lotta per la sopravvivenza», ha dichiarato la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen.

Repressione, omicidi e brogli elettorali minacciano la democrazia in Mozambico

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Secondo quanto dichiarato da un portavoce di Human Rights Watch (HRW), in Mozambico «dal 19 ottobre al 6 novembre sono state uccise 30 persone e centinaia sono rimaste ferite durante le manifestazioni». I numeri sono destinati a salire. Già solo giovedì scorso sono stati segnalati tre morti nelle proteste a Maputo, la capitale. «Dei 66 feriti di giovedì, almeno 57 sono stati colpiti da armi da fuoco», ha riferito ai media Dino Lopes, direttore del pronto soccorso per adulti dell’ospedale centrale di Maputo. «La maggior parte delle vittime aveva un’età compresa tra i 25 e i 35 anni, ma alcuni avevano appena 15 anni», ha aggiunto. Il Paese è interessato in queste settimane da proteste che, con oltre 30 morti, centinaia di feriti e più di 500 arresti, rappresentano la più grande contestazione mai registrata contro il partito di governo.

I manifestanti, che intonavano slogan come «Potere al popolo» e «Il Frelimo deve cadere», hanno bloccato le strade bruciando pneumatici. Diverse organizzazioni per i diritti umani, sia nazionali che internazionali, hanno accusato le forze di polizia di usare munizioni vere contro i dimostranti, una pratica già emersa in passato. Il ministro degli Interni mozambicano ha difeso l’operato delle forze di polizia, dichiarandolo «necessario per ripristinare l’ordine».

Il 24 ottobre sono stati pubblicati i risultati finali delle elezioni, che hanno confermato ancora una volta la vittoria del Frelimo, al potere dal 1974, con oltre il 70% dei voti. Segue il partito di opposizione Podemos, con il 20%. Venâncio Mondlane, candidato indipendente sostenuto da Podemos, ha accusato il Frelimo di brogli, chiamando in piazza i mozambicani e indicendo uno sciopero generale che sarebbe dovuto concludersi la scorsa settimana con la marcia pacifica su Maputo. Prima del risultato ufficiale, Mondlane aveva pubblicato online i verbali originali che mostrerebbero una netta vittoria di Podemos. Alcuni osservatori internazionali, tra cui quelli dell’Unione Europea, hanno denunciato irregolarità nei verbali, come il conteggio di voti superiori al numero di elettori, oltre a intimidazioni e acquisti di voti. Il Consiglio costituzionale del Mozambico non ha ancora certificato i risultati elettorali e, martedì scorso, ha chiesto alla Commissione elettorale di chiarire le discrepanze nei numeri dei voti.

Le proteste non si sono fermate e si sono intensificate dopo l’omicidio dell’avvocato di Mondlane, Elvino Dias, e del rappresentante di Podemos, Paulo Guambe. I due avevano affermato di possedere prove dei brogli, che intendevano presentare alla Corte costituzionale. Il 18 ottobre sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco nelle trafficate vie del quartiere Barrio da Coop di Maputo. Due auto hanno bloccato davanti e dietro la vettura di Dias e Guambe, scesi dalle macchine degli uomini armati hanno aperto il fuoco. «Sono stati brutalmente assassinati a sangue freddo, con 10-15 proiettili», ha dichiarato Adriano Nuvunga, direttore del Centro per la Democrazia e i Diritti Umani (CDD) del Mozambico. L’Unione Europea e il Portogallo hanno condannato l’omicidio, chiedendo un’indagine «immediata, approfondita e trasparente». In un comunicato, l’UE ha ribadito che «in una democrazia non c’è spazio per omicidi politici», come riportato dal The Guardian. Il Frelimo ha respinto «con veemenza» l’atto e ha invitato le autorità a fare chiarezza. Anche Mondlane ha denunciato di essere «in pericolo di morte» dopo che un gruppo armato ha tentato di raggiungerlo nella sua casa a Johannesburg, ma non ha fornito prove delle sue affermazioni. Le autorità mozambicane non hanno ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali, mentre il governo sudafricano ha confermato che almeno sette esponenti dell’opposizione mozambicana hanno cercato rifugio in Sudafrica.

Il percorso democratico del Mozambico è iniziato nel 1992, con gli Accordi di pace di Roma che posero fine alla guerra civile tra Frelimo e Renamo (Resistenza nazionale mozambicana), conflitto che causò oltre un milione di morti. Da allora si sono svolte elezioni multipartitiche, alle quali il Frelimo ha sempre trionfato. Mondlane, ex membro della Renamo, ha rotto con il partito nel 2024 e ha ottenuto il sostegno di Podemos, guadagnando crescente popolarità tra i cittadini, stanchi delle promesse mancate e degli scandali di corruzione. Il Paese, governato da un’élite politica che ha concentrato la ricchezza nelle mani di pochi, è caratterizzato da una povertà diffusa: il 65% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Tuttavia, il Mozambico è anche il ventesimo Paese in Africa per numero di milionari. La corruzione, come nel caso dello scandalo Hidden Debt del 2015, ha visto funzionari governativi intascare mazzette milionarie mentre la popolazione vive in condizioni di estrema difficoltà. Nel nord del Paese, la guerra contro i gruppi jihadisti legati allo Stato Islamico ha causato centinaia di migliaia di sfollati dalla provincia di Capo Delgado, ricca di giacimenti di gas estratti da multinazionali come TotalEnergies, ExxonMobil ed Eni. La povertà estrema della popolazione è quindi in netto contrasto con le ricchezze che il governo centrale di Maputo e le grandi aziende straniere producono sulla pelle dei mozambicani.

[di Filippo Zingone]

Lettonia, terminata un’esercitazione NATO tra più di 13 Paesi

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Dopo due settimane, oggi è terminata una grande esercitazione NATO a guida canadese tenutasi in Lettonia, denominata “Resolute Warrior”. L’operazione è iniziata l’1 novembre, e ha visto coinvolti 3.500 soldati provenienti da tredici diversi Paesi, con l’obiettivo di migliorare il coordinamento tra reparti in una simulazione di uno sfondamento di difese nemiche per l’ipotetico recupero di un territorio. La metà dei soldati, guidati dal colonnello Cédric Aspirault, era di nazionalità canadese, Paese che si è così reso protagonista della sua più grande esercitazione NATO degli ultimi cinquant’anni. In sede di conferenza stampa, il Segretario Generale dell’Alleanza Atlantica, Mark Rutte, ha sollecitato i Paesi a spendere di più per la difesa.

Meta multato dall’UE per 798 milioni: “Abuso di posizione dominante”

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La Commissione Europea ha multato Meta per 797,72 milioni di euro per violazioni antitrust, accusandola di abusare della sua posizione dominante collegando Facebook Marketplace al social network Facebook. Questa pratica, secondo la nota, dà agli utenti un accesso automatico al Marketplace, conferendo a Meta un “vantaggio competitivo che i concorrenti non possono eguagliare”. Inoltre, Meta avrebbe imposto condizioni commerciali sleali agli altri fornitori di annunci online, sfruttando i dati per favorire il proprio Marketplace. Bruxelles ha ordinato a Meta di interrompere tali pratiche e di evitarne in futuro di simili. L’indagine, spiega la Commissione, era iniziata nel 2021 e ha visto la formalizzazione delle accuse a dicembre 2022.

Dalle carte della magistratura emergono le torture sistematiche nel carcere di Cuneo

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Non si trattava di situazioni «eccezionali ed episodiche», ma di «una prassi fuorviante improntata alla violenza». Così i giudici del tribunale del Riesame di Torino hanno definito le «crudeli, brutali e degradanti» condotte della polizia penitenziaria sui detenuti del carcere di Cuneo, nell’ambito di un’inchiesta, riferita al periodo compreso tra il 2021 e il 2023, che coinvolge 33 indagati. Il tribunale ha confermato la sospensione dal servizio, rispettivamente per 10 e 12 mesi, di due agenti di polizia penitenziaria accusati di ripetute violenze. Dalle indagini emerge che i detenuti venivano sistematicamente picchiati, umiliati e gettati in isolamento senza che la struttura prendesse alcuna misura disciplinare nei confronti dei responsabili. Si è inoltre evidenziato che uno degli indagati, l’ispettore Giovanni Viviani, «sia stato addirittura promosso, dopo i fatti, al grado di vice comandante della polizia penitenziaria».

Il Tribunale del Riesame non ha dubbi: il reato contestato dalla Procura, quello di tortura, sussiste. I giudici hanno spiegato che le condotte perpetrate dagli agenti all’interno della casa circondariale piemontese sarebbero state «frutto non già di una situazione eccezionale ed episodica, ma conseguenza di una prassi fuorviante improntata alla violenza» e «tenute in spregio ai principi costituzionali e che devono informare l’operato degli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria, funzione altamente delicata, in cui le funzioni di custodia devono accompagnarsi a doti di umanità e rispetto per chi è privato della libertà personale». Nello specifico, l’inchiesta si è focalizzata sulle violenze subite da un gruppo di detenuti, nel quale figuravano numerose persone di nazionalità pakistana, che sarebbero sfociate negli atti più gravi nella notte tra il 20 e il 21 giugno del 2023. Dopo avere effettuato una perquisizione non autorizzata, i poliziotti – con la partecipazione anche di agenti liberi dal servizio – avrebbero in quel frangente brutalmente picchiato almeno cinque detenuti, nudi e scalzi, trascinandoli dalla cella all’infermeria e poi in isolamento. Dove, secondo quanto ricostruito dai pm, sarebbero rimasti «senza cibo né acqua, senza vestiti né coperte» fino al giorno seguente. Secondo i giudici, gli agenti avrebbero agito con tali modalità al fine di «impartire ai detenuti una lezione su come ci si doveva comportare» tra le mura carcerarie. Per i poliziotti sospesi dal servizio, secondo la Procura, sussisterebbe «un concreto e attuale pericolo di reiterazione», trattandosi «di soggetti attualmente in servizio presso lo stesso carcere e stabilmente a contatto con i detenuti».

Il reato di tortura, insieme alla previsione di un’aggravante nel caso in cui a commetterlo siano agenti delle forze dell’ordine, è stato introdotto nel nostro ordinamento, con grande ritardo, solo nel 2017. Contro tale fattispecie di reato, presente in più di 100 Paesi del mondo, è però corso all’attacco Fratelli d’Italia, partito della premier Giorgia Meloni e principale azionista di governo, che ne ha proposto l’abrogazione e la derubricazione ad aggravante comune. Preoccupati dalle mosse dei partiti di maggioranza sul tema, lo scorso dicembre i membri del Consiglio d’Europa hanno invitato «caldamente» il governo Meloni a «garantire che qualsiasi eventuale modifica al reato di tortura sia conforme ai requisiti della Convenzione europea dei diritti umani e alla giurisprudenza della CEDU». Messo alle strette, l’esecutivo italiano ha riferito all’Ue di «non avere alcuna intenzione» di abrogare il reato, in una comunicazione che va a smentire mesi di dichiarazioni e proposte in senso contrario di molti esponenti di maggioranza.

[di Stefano Baudino]

Le proteste contro il turismo si diffondono in tutta Italia (e ottengono i primi risultati)

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Le proteste contro il turismo di massa stanno ormai raggiungendo tutto il Paese. A Milano, da mesi i cittadini hanno creato una mappatura dal basso delle keybox, le scatole contenenti le chiavi degli appartamenti dedicati ai turisti, marcandole con adesivi lilla e gialli. A Napoli, due mesi fa è stato organizzato un presidio contro il numero eccessivo di case destinate agli affitti brevi, e recentemente si sono mobilitate anche Roma, Firenze e Bologna. Da nord a sud, insomma, le proteste contro il turismo di massa stanno crescendo sempre di più, mentre nel frattempo arrivano i primi risultati: a Firenze, la sindaca, Sara Funaro, ha annunciato che nel 2025 entrerà in vigore il divieto di installare le cassette portachiavi fuori dalle case per turisti, e anche il Comune di Milano ha dichiarato che verranno rimossi i lock-box dallo spazio pubblico urbano.

Il movimento contro il fenomeno dell’overtourism in Italia è sempre più ampio e coeso. Ormai ha raggiunto gran parte delle maggiori città del Belpaese, diffondendosi da nord a sud tra cortei e atti di sabotaggio. Oggetto principale del boicottaggio turistico sono le cosiddette keybox (anche dette lockbox, o smartlock), piccole scatole chiuse contenenti le chiavi di un appartamento, sbloccabili unicamente attraverso un codice di verifica fornito dal proprietario dell’alloggio. Negli ultimi mesi, questo genere di “lucchetto intelligente” ha iniziato a comparire in grandi quantità in tutte le maggiori destinazioni turistiche del Paese, venendo affisso fuori dalle case o nelle aree a esse circostanti; a Roma, addirittura, ne sono stati messi alcuni sopra i pali della segnaletica stradale.

Tra chi si limita a segnalare i lucchetti con adesivi, come a Milano e a Firenze, e chi li rimuove con le tronchesi, come a Roma e a Bologna, il sabotaggio dei lockbox sembra ormai diventare strutturale. Gli attivisti cittadini, tuttavia, non si limitano a colpire gli smartlock, ma si stanno mobilitando anche attraverso cortei e altre azioni dimostrative. A Napoli, due mesi fa, un gruppo di attivisti mascherati ha affisso manifesti sulle serrande di un’edicola dismessa come segno di protesta contro i troppi b&b in città, lanciando una campagna di mobilitazione cittadina. Nello stesso periodo, a Bologna, i cittadini hanno bloccato un autobus per turisti «per denunciare la turistificazione e le contraddizioni dello sviluppo» della città. A Roma, al posto degli smartlock, sono comparsi dei cappelli di Robin Hood, per costruire un «Giubileo dei poveri» con cui soppiantare il «Giubileo dei ricchi», iniziativa poi ripresa anche a Bologna, «perché non diventi solo una città per ricchi». A Milano, invece, lo scorso sabato il comitato dei Navigli, lo stesso che ha promosso la mappatura dei lucchetti intelligenti, ha organizzato un corteo per ricordare a tutti che «questa città non è un albergo».

Mentre le proteste crescono e giungono in tutta Italia, la lotta all’overtourism inizia a ottenere i primi risultati. A Firenze, la sindaca, Sara Funaro, ha presentato un piano di dieci punti per contrastare il turismo di massa nel centro della città: questo prevede misure che vanno dal divieto di utilizzo delle keybox in area Unesco, alla limitazione dei veicoli atipici, fino al divieto di utilizzo di amplificatori e altoparlanti. Nella stessa Firenze, come a Genova e a Bologna, sono stati introdotti regolamenti per limitare le affittanze brevi. A Milano, invece, come nel capoluogo toscano, verrà vietata l’installazione di lucchetti intelligenti nello spazio pubblico urbano; una prima piccola vittoria, che però gli attivisti intendono fare seguire ad altre: «Ora, come Chiediamo Casa, ci aspettiamo di andare avanti nei lavori sul tema degli affitti brevi attraverso la sperimentazione di una normativa locale che sappia immaginare, come già avvenuto nei comuni di Firenze, Genova e Bologna, l’approvazione di provvedimenti innovativi che mettano dei limiti all’esplosione degli alloggi turistici», hanno rivendicato gli attivisti.

[di Dario Lucisano]