La Consulta ha dichiarato incostituzionali alcune norme chiave della legge sull’autonomia differenziata, accogliendo i ricorsi di quattro Regioni. Pur confermando la legittimità complessiva del provvedimento, promosso dal ministro degli Affari regionali leghista Roberto Calderoli, i giudici hanno infatti ritenuto non conforme alla Carta che i LEP (Livelli Essenziali di Prestazione) vengano stabiliti dal governo, affermando che la materia dovrà essere disciplinata dal Parlamento; incostituzionali, secondo la Corte, sono anche la modifica delle aliquote tributarie con decreto interministeriale e l’uso del criterio della spesa storica per la compartecipazione delle risorse, ritenendo che debbano essere presi come riferimento i costi e i fabbisogni standard. In una nota, la Consulta ha spiegato che spetta al Parlamento «colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali».
All’interno di un comunicato, la Corte ha chiarito che le norme concepite dalla legge Calderoli rischiano di ampliare i divari tra le Regioni, svuotando peraltro le Camere delle proprie funzioni legislative nella trattativa tra Regioni e governo. Nello specifico, sono sette i punti bocciati dai giudici. In primis, la «possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative» e debba essere giustificata alla luce del «principio di sussidiarietà», ma anche la delega che il Parlamento ha dato al governo per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) – ovvero i servizi minimi che lo Stato deve garantire uniformemente su settori fondamentali – senza «idonei criteri direttivi». Il che produrrebbe la limitazione del «ruolo costituzionale» del Parlamento. Bocciata anche «la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dPCm) a determinare l’aggiornamento dei LEP», nonché il ricorso alla procedura prevista dalla legge di bilancio per il 2023 «per la determinazione dei LEP con dPCm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP».
È stata poi cassata «la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito». Infatti, spiega la Consulta, sulla base di tale previsione «potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti», incapaci di assicurare l’adempimento di quelle funzioni attraverso tali risorse. Viene poi ritenuta illegittima «la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica». In ultimo, i giudici bocciano il fatto che la legge sia applicata alle richieste di autonomia che potrebbero arrivare dalle Regioni a statuto speciale, che hanno la possibilità di attivare la procedura seguendo il proprio statuto.
La controversa legge sull’autonomia differenziata era stata approvata in via definitiva dalla Camera lo scorso giugno. Nello specifico, l’autonomia differenziata consiste nel riconoscimento, da parte dello Stato, dell’attribuzione a una Regione di una autonomia normativa rispetto a materie di competenza concorrente (quelle su cui le Regioni esercitano la potestà legislativa nel rispetto dei principi fondamentali statali) e, in alcuni casi, su materie di competenza esclusiva dello Stato. La nuova legge era inoltre nata con l’intento di offrire alle Regioni la possibilità di trattenere il gettito fiscale, non redistribuendolo più a livello nazionale in base alle necessità collettive. Forti voci contrarie al provvedimento si sono sin da subito levate dalle opposizioni, ma anche dai sindacati del lavoro e della scuola, dalle rappresentanze dei medici e dalle associazioni ambientaliste, secondo cui l’entrata in vigore della legge avrebbe prodotto un inasprimento delle disuguaglianze fra i territori e i cittadini appartenenti a differenti fasce di reddito. Contro la legge è nata anche l’iniziativa per un referendum abrogativo, i cui promotori hanno raccolto in breve tempo le 500mila firme richieste e il cui testo è ora al vaglio della Cassazione. Gli ermellini dovranno infatti valutarlo entro il 15 dicembre. Con l’intervento della Consulta, che ha demolito aspetti fondamentali della norma, non vi è però certezza che la Cassazione dia il via libera. Anche se, secondo alcuni costituzionalisti, potrebbe farlo dopo aver riformulato il quesito.
[di Stefano Baudino]