giovedì 26 Dicembre 2024
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Cagliari, da giorni i cittadini sono in presidio per la legge contro la speculazione eolica

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Da giorni, i cittadini sardi sono in presidio presso il palazzo del Consiglio regionale a Cagliari, chiedendo che l’amministrazione prenda in esame la proposta di legge di iniziativa popolare Pratobello. Nonostante le oltre 210.000 firme e la manifestazione tenutasi poco più di un mese fa, i capigruppo della maggioranza hanno «stabilito che la proposta di legge “Pratobello” non potrà essere discussa direttamente in aula, senza seguire il percorso regolare», accantonando di fatto la legge. Nel frattempo, ieri, martedì 12 novembre, tra le proteste, è iniziata la discussione dell’altra proposta di legge per regolamentare la speculazione eolica nell’isola, avanzata dalla stessa amministrazione Todde. Questa intende ridefinire le aree idonee e lascia aperta la possibilità di avviare nuovi progetti, contrariamente a quanto richiesto dai promotori della Pratobello.

Il presidio davanti al palazzo del Consiglio regionale della Sardegna è iniziato martedì 5 novembre, tra tende e sacchi a pelo, accompagnati da striscioni e cartelli. Come nella precedente occasione, i cittadini sardi hanno realizzato atti dimostrativi simbolici, portando una croce in legno e una corona di spine, su cui uno dei manifestanti si è fatto “crocifiggere”, cinto dalla bandiera sarda con la Croce di San Giorgio e le quattro teste dei mori bendati. Uno dei promotori di Pratobello, l’avvocato Michele Zuddas, ha anche iniziato uno sciopero della fame. La protesta si è intensificata ieri, con l’apertura della discussione della proposta di legge di Alessandra Todde, la presidente regionale. Le modifiche di Todde al ddl “aree idonee”, tra le altre cose, puntano a individuare nuove zone per la costruzione di impianti eolici, e a stabilire se i progetti già avviati possano essere bloccati, introducendo la definizione di “Modificazione irreversibile dello stato dei luoghi”. Esse, insomma, non bloccherebbero la realizzazione degli impianti, ma cercherebbero altre aree in cui installarli. I cittadini, al contrario, chiedono che la costruzione degli impianti non ancora autorizzati o completati venga completamente fermata, e che la regione prenda in mano la gestione di questi progetti.

Malgrado le 210.000 firme raccolte e consegnate all’inizio del mese scorso, il 25 ottobre i rappresentanti della maggioranza hanno diffuso un comunicato sui quotidiani locali, annunciando che l’iniziativa popolare Pratobello non sarebbe stata discussa direttamente e avrebbe dovuto seguire il rituale iter di approvazione, «a causa della concomitante calendarizzazione del disegno di legge 45, che tratta la stessa materia e ha già concluso il proprio iter nelle commissioni». Eppure uno degli scopi delle firme era anche quello intavolare una discussione sulla proposta in tempi celeri, provando a dare priorità all’iniziativa popolare. La scelta di ritardarne la discussione sembrerebbe un atto di boicottaggio per rallentare la mobilitazione popolare, ritengono i promotori della legge, che denunciano la scarsa «volontà di dare seguito alla richiesta di 211 mila sardi». «Il Consiglio può approvare, modificare o bocciare la nostra legge», ha dichiarato Zuddas, «ma chiediamo che ciò avvenga in modo trasparente, quindi in aula e senza passaggi in commissione, per evitare ritardi volti a smorzare la protesta». Analoghe critiche sono arrivate da Forza Italia, i cui rappresentanti, in segno di protesta, hanno abbandonato le sale del Consiglio all’avvio delle discussioni di ieri.

[di Dario Lucisano]

“Il genocidio come cancellazione coloniale”: traduzione integrale del rapporto ONU su Gaza

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Ormai qualche settimana fa, la Relatrice Speciale dell’ONU per i Territori Occupati Palestinesi, Francesca Albanese, ha pubblicato un importante rapporto in cui spiega minuziosamente perché quello che si sta consumando a Gaza è un autentico genocidio. Nel documento, Albanese elenca fatti, nomi e responsabili di quello che è un vero e proprio genocidio, studiato per cancellare un popolo dal territorio e colonizzarlo, e consiglia che le Nazioni Unite sospendano Israele come Stato membro dell’ONU. Normalmente, ci si sarebbe aspettato che un simile documento rimanesse sotto i riflettori dei grandi media per giorni, col ritratto di Albanese ripetutamente stampato in grande su ogni prima pagina per presentare, discutere, e condividere il suo lavoro. Eppure, non è stato così. Il genocidio come cancellazione coloniale è stato trattato alla stregua di ogni altra notizia, come un banale fatto di cronaca, da riportare per colmare le pagine altrimenti vuote dei quotidiani del Paese. La verità è che ci aveva avvertito la stessa Francesca Albanese, nell’intervista rilasciata qualche giorno fa a L’Indipendente: quando si tratta di Palestina, «nel panorama mediatico italiano c’è pochissimo approfondimento». Noi, nella nostra attività di informazione, abbiamo ritenuto fondamentale offrire ai lettori la possibilità di leggere integralmente il rapporto in lingua italiana, e quindi abbiamo deciso di fornirne una traduzione, disponibile anche a questo link.

Nuove proteste filoeuropee in Georgia: l’Abkhazia convoca riunione di emergenza

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Non si placano le proteste in Georgia da parte dei sostenitori filoccidentali dopo che il partito considerato filorusso Sogno Georgiano ha vinto le elezioni legislative lo scorso 26 ottobre. Lunedì sera, infatti, si sono svolte ulteriori grandi proteste nella capitale Tbilisi, dove migliaia di persone si sono radunate fuori dal Parlamento per chiedere nuove elezioni sotto la supervisione internazionale. L’opposizione, capeggiata dalla Presidente della Repubblica francese naturalizzata georgiana Salome Zourabichvili, ritiene che la vittoria del partito di governo sia stata ottenuta attraverso pratiche fraudolente e accusa la Russia di avere interferito nella campagna elettorale e nelle procedure di voto. Cosa smentita dal Cremlino e di cui, attualmente, non ci sono prove. Contemporaneamente, si sono verificati disordini nella regione georgiana separatista dell’Abkhazia, dove il presidente Aslan Bzhania ha tenuto una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza, in seguito al blocco di alcuni ponti autostradali da parte dei sostenitori di alcuni attivisti detenuti.

Durante le proteste a Tbilisi, i capi dell’opposizione hanno minacciato di boicottare le sedute in parlamento e di voler proseguire le proteste a oltranza finché le loro richieste non saranno ascoltate: «Le elezioni sono state massicciamente truccate, ecco perché non riconosciamo i risultati delle elezioni», ha detto Giorgi Vashadze, capo della Coalizione del Movimento di Unità Nazionale. «Il nostro obiettivo sono nuove elezioni, il nostro obiettivo è formare un nuovo governo, che guiderà la Georgia verso l’integrazione europea», ha aggiunto. L’opposizione ha accusato il partito Sogno Georgiano, fondato dal miliardario Bidzina Ivanishvili, di essere diventato sempre più autoritario e orientato verso Mosca, mentre l’Ue mira a inglobare la Georgia nella sua sfera d’influenza in una più ampia partita geopolitica contro la Russia. Per questi motivi, Washington e Bruxelles hanno sollecitato un’indagine approfondita sulle elezioni, soffiando sul fuoco delle proteste che potrebbero sfociare in un’ennesima rivoluzione colorata.

Il clima non è meno teso per quanto riguarda la regione separatista dell’Abkhazia che Mosca considera indipendente, insieme all’Ossezia del Sud, dal 2008, quando le truppe russe avevano respinto il tentativo del governo georgiano di riconquistare l’Ossezia del Sud in una guerra di cinque giorni, conclusasi il 12 agosto 2008. Le due regioni separatiste si sono staccate dal dominio di Tbilisi durante le guerre degli anni Novanta che seguirono il crollo dell’Unione Sovietica, ma la maggior parte degli Stati riconosce l’Abkhazia come parte della Georgia. In questi giorni si stanno svolgendo ampie proteste in seguito alla discussione di un disegno di legge che regolamenta lo status giuridico dei complessi multifunzionali. Successivamente alla discussione parlamentare, il procuratore generale dell’Abkhazia, Adgur Agrba, ha spiegato che diversi individui hanno compiuto azioni illegali contro un legislatore. Sono stati quindi arrestati quattro residenti abkhazi: Garry Kokaya, Almaskhan Ardzinba, Omar Smur e Ramaz Dzhopya. Questo episodio ha a sua volta scatenato le proteste da parte dei sostenitori degli attivisti arrestati che hanno bloccato due ponti che conducono alla capitale dell’Abkhazia, Sukhum. I manifestanti sono sostenuti dall’opposizione, la quale ritiene che gli arresti non siano altro che una «persecuzione politica» e richiede il rilascio di tutti i detenuti. «In relazione all’attuale situazione causata dal blocco illegale della strada nazionale, il presidente dell’Abkhazia Aslan Bzhania ha tenuto una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza», ha affermato l’ufficio stampa presidenziale citato dall’agenzia TASS.

Uno dei motivi principali che ha innescato le proteste e la reazione degli attivisti sembra essere la ratifica di un accordo interparlamentare con la Russia, che consentirebbe alle entità russe di partecipare a progetti di investimento in Abkhazia. Uno dei capi dell’opposizione, Adgur Ardzimba, ha affermato che l’Abkhazia possiede già una legge sugli investimenti, adottata nel 2014, mentre le organizzazioni pubbliche critiche nei confronti del governo hanno istituito il 5 novembre una sede a Sukhumi per contestare la ratifica dell’accordo, ritenendolo dannoso per la sovranità economica dell’Abkhazia.

La Georgia, dunque, continua ad essere attraversata da turbolenze politiche che rientrano in una partita geopolitica più ampia tra Ue e USA, da un lato, e Russia dall’altro, dove non mancano accuse reciproche e tentativi d’ingerenza da parte occidentale per destabilizzare la piccola Nazione del Caucaso. Da tempo divisa tra la sua appartenenza alla cultura russa e le sue aspirazioni ad entrare a far parte dell’Ue e del “mondo” occidentale.

[di Giorgia Audiello]

Polonia, oggi aprirà una nuova base aerea statunitense

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Oggi, a Redzikowo, in Polonia, vicino alle coste del Baltico, aprirà una nuova base aerea statunitense, che era in costruzione da anni. La struttura sarà dotata del sistema di difesa statunitense “Aegis”, che consente il monitoraggio dello spazio aereo e la possibilità di una risposta militare a un eventuale attacco, intercettando missili a corto e medio raggio. La base di Redzikowo è la seconda struttura militare in Europa a utilizzare questa tecnologia, dopo quella di Deveselu, in Romania.

Yemen, Houti: “Attaccate navi statunitensi”

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Gli Houthi hanno reso noto di avere effettuato due distinte operazioni militari contro navi statunitensi che navigavano nel Mar Rosso e nel Mar Arabico. Lo ha annunciato il portavoce militare dell’organizzazione sciita yemenita, Yahya Sarea, affermando che le operazioni si sarebbero protratte per circa otto ore. La notizia è stata riportata dall’agenzia russa Tass e dal Times of Israel. Nella prima operazione è stata presa di mira la portaerei USA Abraham Lincoln nelle acque del Mare Arabico con missili e droni, mentre nella seconda sono stati attaccati due cacciatorpediniere statunitensi nel Mar Rosso.

Teramo-mare: la superstrada che ANAS intende costruire in piena area esondabile

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Il progetto da 170 milioni di euro per il quarto lotto della superstrada Teramo-mare, promosso dall’ANAS, ha sollevato un acceso dibattito in Abruzzo, con crescenti preoccupazioni per i rischi legati alla sicurezza idrogeologica. Infatti, sulla base delle stesse cartografie depositate da ANAS, l’infrastruttura dovrebbe attraversare un’area notoriamente esondabile. A lanciare l’allarme sono, in particolare, il Forum dei movimenti per l’acqua e il Comitato “Terra Lieta”, che hanno denunciato come il progetto ignori le specifiche criticità idrogeologiche del territorio. Gli oppositori accusano ANAS di non aver preso in considerazione soluzioni meno impattanti, trascurando lo sviluppo di un piano infrastrutturale che rispetti le fragilità dell’area.

L’intervento riguarda, nello specifico, la realizzazione di una variante alla strada statale 80 del Gran Sasso d’Italia, con l’obiettivo di completare l’itinerario tra il raccordo autostradale A14 e la strada statale 16 Adriatica. Il territorio interessato è quello dei Comuni di Giulianova, Notaresco e Roseto degli Abruzzi, tutti in Provincia di Teramo. I comitati chiedono da tempo la modifica del tracciato, dal momento che l’attuale progetto di ANAS prevede l’attraversamento di terreni agricoli con problemi idrogeologici, in un’area considerata a significativo rischio di esondazioni a causa della vicinanza del fiume Tordino. La recente alluvione, che ha causato devastazioni significative, ha rafforzato il timore che la costruzione di una superstrada possa aggravare ulteriormente i rischi per il territorio e per la popolazione. «Nel 2024 è veramente incredibile che si vada avanti con operazioni letteralmente temerarie, visto che il Tordino in pochi anni ha già danneggiato i lotti precedenti con piccole piene – ha messo nero su bianco in un comunicato il Forum Abruzzese dei Movimenti per l’Acqua –. In ogni caso crediamo che gli enti a vario titolo coinvolti, a partire dagli uffici del Genio civile, debbano far prevalere la ragione davanti a un’operazione pericolosa per l’incolumità pubblica».

A fare eco al Forum è stato il Comitato “Terra Lieta”: «La stessa commissione Via (Valutazione impatto ambientale) del ministero dell’Ambiente ha fatto propri questi dubbi chiedendo ad Anas nel 2023 di rifare i calcoli sulla base di piene più consistenti – hanno denunciato i membri del collettivo, in prima linea nella battaglia per il rifacimento dell’attuale tracciato -. Le risposte di Anas sono a dir poco surreali in quanto, rifiutandosi di fare questi approfondimenti, si rifugia in interlocuzioni fatte anni prima, prive ovviamente di questi dati tecnici. Basta leggere le non risposte date al ministero per capire il livello di azzardo che si preferisce correre pur di spendere 170 milioni di euro». Il rischio paventato dal Comitato è che la nuova strada costituisca «col suo enorme terrapieno», una «lunga barriera artificiale» e che, in caso di piena del fiume Tordino, le acque si riversino «all’indietro sul prossimo abitato di Cologna spiaggia», non potendo defluire.

Le associazioni hanno inoltre attaccato il commissario straordinario e dirigente ANAS Eutimio Mucilli, cui è stato affidato il progetto, il quale risulta attualmente sotto inchiesta nel caso tangenti che ha travolto ANAS il mese scorso. A Mucilli viene infatti contestato un rapporto economico personale con la ditta appaltatrice della “Variante Tremezzina”, il tratto di strada che costeggia il lago di Como. Proprio Mucilli ha indetto per ieri la conferenza dei servizi sul progetto, che si è poi rivelata meramente interlocutoria, «incurante – ha aggiunto il Comitato – dei numerosi rilievi mossi all’opera e della mancanza del parere della commissione di impatto ambientale».

[di Stefano Baudino]

Il tessile italiano in tumulto: cosa sta succedendo nel distretto pratese

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Sono passate in sordina le recenti notizie che riguardano agitazioni e aggressioni avvenute nel distretto tessile di Prato, uno dei più grandi centri produttivi di abbigliamento e pelletteria presenti in Italia. Eppure merita una riflessione, perché quello che spesso vediamo accadere dall’altra parte del mondo non è poi così differente da ciò che ci circonda giornalmente: il tracollo del settore moda è sistemico, non geografico

Lo scorso 8 ottobre, davanti alla ditta Lin Weidong di Seano, un gruppo di operai pachistani in sciopero sono stati attaccati, con mazze e spranghe, da alcuni italiani. Gli operai stavano protestando contro le condizioni di lavoro inumane e gli orari insostenibili. A seguito dell’evento ci sono state due manifestazioni e la procura, al momento, sta indagando su quanto accaduto, ma pochissime sono state le parole spese dalle autorità su una situazione che non è un caso isolato. Il giorno 17 dello stesso mese, infatti, due imprenditori cinesi sono stati arrestati dopo la denuncia di un loro dipendente, il quale ha testimoniato turni di lavoro di 13 ore al giorno per 7 giorni, a fronte di una paga di 13 centesimi al pezzo (il tutto in nero e senza uno straccio di contratto). Quello che sta venendo fuori, tra Prato e dintorni, è sintomatico della crisi che sta colpendo l’intero settore.

Il distretto tessile più grande d’Europa è quello di Prato [Fonte foto, Città di Prato]
Prato, ai tempi, è stata una delle storiche capitali del settore manifatturiero italiano; il comparto tessile era uno dei più prolifici, capace di generare prodotti di altissima qualità e manifattura, noti in tutto il mondo. Dell’ascesa (e del successivo declino) ne ha scritto Edoardo Nesi nel suo Storie della mia gente, uno spaccato dell’industria pratese dai tempi d’oro fino alla crisi, identificata con la nascita del distretto parallelo cinese.

Ditte asiatiche hanno iniziato ad insediarsi in zona inserendo sul mercato il pronto moda, il fratello nostrano del fast fashion, venduto prevalentemente nei mercatini e successivamente esportato nell’Europa dell’Est. Un prodotto facile con molta richiesta, aziende impostate su ritmi di lavoro quasi a ciclo continuo, un discreto giro di soldi per gli imprenditori cinesi (e anche per i proprietari delle mura dei capannoni). Per qualche anno i produttori di tessuti italiani ed il pronto moda cinese hanno convissuto in maniera quasi civile e senza pestarsi i piedi; qualche visionario pensò addirittura di poter collaborare: da una parte tessuti, dall’altra confezioni di abbigliamento e magari qualche grande gruppo internazionale (Zara, H&M, ecc) a cui vendere un sistema produttivo completo e relativamente vicino. 

I sogni sono rimasti chiusi dentro qualche magazzino ma, se fino a qualche anno fa le cose andavano più o meno bene per tutti, oggi la filiera tessile pratese è in sofferenza, con un calo degli ordini senza precedenti. Tempi bui all’orizzonte, clima pesante, poca interazione ed un nuovo “soggetto” apparso a dare del filo da torcere: la manodopera pachistana. Negli anni, infatti, i connazionali cinesi  sfruttati  (spesso in difficoltà o con necessità di lavorare a qualsiasi costo) sono stati lentamente sostituiti da asiatici in cerca di opportunità. Con i pro ed i contro del caso. Mentre prima si parlava la stessa lingua, con il risultato che i panni sporchi si lavavano in casa (e casi di denuncia se ne vedevano pochi o nessuno), adesso i conflitti esplodono e vengono alla luce. Da qui le proteste, gli scioperi, gli interventi dei sindacati…e le mazzate!

Il pronto moda forse non garantisce gli introiti di un tempo, vuoi per l’incremento dei costi di logistica, vuoi per l’aumento del prezzo delle materie prime. Di tessuti se ne vendono pochi e sulle innovazioni gli investimenti scarseggiano. I settori della pelle, concia, tessile, accessori e minuterie metalliche subiscono consistenti cali annui, con aziende storiche costrette a chiudere e moltissime che ricorrono alla cassa integrazione. A tutto ciò si aggiungono le richieste dei brand del settore moda: sempre più esigenti e pressanti, ma che giocano al ribasso con i prezzi. Un circolo vizioso che rischia di far sparire un intero compartimento produttivo, compresa la ricchezza di maestranze e competenze. Il tavolo di crisi del distretto è stato convocato più volte, ma c’è bisogno di un intervento più massiccio e con aiuti concreti da parte del governo.

A questo scopo è stato indetto uno sciopero di 8 ore il prossimo martedì 12 novembre, a Firenze, che vedrà coinvolti i lavoratori del tessile/pelletteria della Toscana. Sotto la bandiera de «Il lavoro non è fuori moda – Per la qualificazione delle filiere e la tutela dell’occupazione», si chiederanno salvaguardia dei livelli occupazionali e aiuti per affrontare questo periodo di difficoltà, insieme a politiche in grado di valorizzare la filiera e tutelare il  lavoro (basta sfruttamenti, di qualsiasi nazionalità siano i lavoratori).

Picchetto davanti a una delle aziende del distretto tessile di prato lo scorso 6 ottobre. Lo sciopero è stato indetto dal sindacato Sudd Cobas Prato-Firenze che si occupa della situazione dei lavoratori di aziende di questo tipo e di promuovere al loro interno le 40 ore di lavoro settimanali

Accendere i riflettori su quello che sta accadendo a Prato vuol dire rendersi conto della crisi di un intero settore, quello della moda (dal “pronto”-  al – lusso), che era un fiore all’occhiello di quel Made in Italy che tutto il mondo ci ha sempre invidiato, ma per il quale nessuno, al momento, sembra intenzionato a fare niente per proteggerlo, ri-lanciarlo e valorizzarlo (che in mezzo a tanto delirio, ci sono ancora aziende virtuose e che operano in maniera responsabile). Ci vuole un ripensamento generale, dove tutti gli attori di questa frammentata industria inizino a lavorare insieme, progettando un nuovo sistema. In sinergia.

[di Marina Savarese]

Cina, sospetto attentato: 35 morti

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Attorno alle 19.48 di ieri, lunedì 11 novembre, un uomo ha investito una folla a Zhuhai, nel sudest della Cina, uccidendo 35 persone e ferendone 43. Il primo bilancio sui morti è stato fornito oggi dall’agenzia di stampa governativa cinese Xinhua, che ha spiegato che il colpevole, identificato in un uomo divorziato di 62 anni di nome Fan, è stato trovato nella sua auto mentre si autoinfliggeva ferite con un coltello. Ora si trova in ospedale. Non è ancora chiaro se si sia trattato di un incidente o di un atto volontario. La polizia ipotizza che il gesto sia legato all’insoddisfazione per la divisione dei beni dopo il divorzio.

Arabia Saudita e Iran proseguono sulla strada del disgelo e della normalizzazione

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Continua il processo di distensione delle relazioni tra Iran e Arabia Saudita, rivali storici nella regione del Medio Oriente, dai quali dipendono i futuri equilibri geopolitici della regione. Nell’ultimo mese sono stati numerosi gli incontri che si sono svolti a vari livelli tra delegazioni dei due Paesi, l’ultimo dei quali ha avuto luogo a Teheran lo scorso 10 novembre. In occasione del vertice dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC) svoltosi a Riyadh, lunedì 11 novembre, il presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha inoltre avuto un colloquio telefonico con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. All’evento ha preso parte anche il vicepresidente dell’Iran, Mohammad Reza Aref. Recentemente si è inoltre svolta un’esercitazione navale di importanza storica, che ha coinvolto i due Paesi insieme a Oman e Russia.

Domenica 10 novembre, il capo di stato maggiore delle forze armate dell’Arabia Saudita, Fayyad al-Ruwaili, ha guidato una delegazione militare di alto livello in visita a Teheran per incontrare il suo omologo iraniano, il maggiore generale Mohammad Bagheri, per discutere dei legami in materia di difesa. Nella stessa giornata, il presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, ha parlato al telefono con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Nel corso della conversazione, i due leader hanno espresso la speranza e l’impegno affinché la distensione e la cooperazione tra i due Paesi continui ad espandersi in tutti i settori. «Le relazioni tra Iran e Arabia Saudita sono a un punto di svolta storico e spero che saranno elevate ai massimi livelli in tutti i settori. Apprezzo l’opportunità della presenza del vostro primo vicepresidente a Riyadh e discuterò con lui a questo proposito», ha detto bin Salman. La telefonata ha preceduto di un giorno il vertice dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC) svoltosi a Riyadh, al quale ha partecipato il vicepresidente iraniano Mohammad Reza Aref. In merito al vertice, Pezeshkian ha detto a bin Salman: «Non ho dubbi che questo vertice produrrà risultati efficaci e tangibili nel fermare i crimini del regime israeliano e la guerra e lo spargimento di sangue a Gaza e in Libano». Come annunciato dal Segretario Generale dell’OIC Hissein Brahim Taha durante la riunione ministeriale preparatoria, l’allargamento del conflitto in Medio Oriente e il genocidio a Gaza sono stati temi centrali della riunione.

La visita della delegazione militare saudita a Teheran, così come la telefonata tra i leader dei due Paesi, segue una recente e storica esercitazione navale che ha coinvolto Arabia Saudita e Iran, oltre all’Oman e alla Russia, nel Mare di Oman. Il 10 ottobre scorso, Il Ministro degli Esteri iraniano, Seyed Abbas Araghchi, si era recato in Arabia Saudita nell’ambito delle continue consultazioni diplomatiche sugli sviluppi regionali, incontrando il suo omologo saudita, il principe Faisal bin Farhan. In quell’occasione, il Ministro degli Esteri saudita aveva ribadito la determinazione del suo Paese a continuare il percorso segnato nel rafforzamento delle relazioni bilaterali e sottolineato l’importanza di mantenere la cooperazione e il coordinamento su varie questioni. Araghchi si è soffermato sulla necessità di fermare immediatamente gli attacchi militari israeliani a Gaza e in Libano, col fine di prevenire un’ulteriore escalation e un conflitto diffuso e duraturo nella regione. Qualche giorno prima, durante un incontro nella capitale del Qatar, Doha, il Presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, e il ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, Faisal bin Farhan Al Saud, avevano discusso in merito alla promozione dei legami bilaterali tra i due Paesi.

Il processo di normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi è iniziato nel marzo dello scorso anno su iniziativa e intermediazione della Cina, sbaragliando la strategia statunitense e israeliana basata sugli Accordi di Abramo con cui si tentava di favorire la normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele e l’isolamento dell’Iran. Per il momento, tale processo sembra procedere speditamente in un riavvicinamento tra i due Paesi che potrebbe segnare in maniera netta il futuro strategico e geopolitico del Medio Oriente.

[di Michele Manfrin]

Boicottaggio per la Palestina: bruciate 23 auto elettriche di ENI

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Nella notte tra il 30 e il 31 ottobre un gruppo di attivisti ha incendiato 23 auto elettriche e un furgone di proprietà di Eniplenitude, società che appartiene al gruppo Eni. L’episodio è avvenuto all’interno del complesso Milanofiori, a Rozzano, e ha causato un incendio durato circa quattro ore, che era stato inizialmente attribuito a un cortocircuito. “Mentre il massacro a Gaza prosegue da oltre un anno, Eni continua ad arricchirsi facendo affari con Israele”, hanno scritto gli anonimi attivisti per motivare l’azione, facendo riferimento alle acquisizioni di giacimenti di gas naturale al largo delle coste di Gaza effettuate dalla multinazionale italiana subito dopo il 7 ottobre 2023.