mercoledì 16 Aprile 2025
Home Blog Pagina 49

Giove, il misterioso software di “polizia predittiva” promosso dal governo italiano

1

Nel corso dei primi giorni del giugno 2023, un’importante notizia pubblicata su Il Sole 24 Ore ha suscitato interesse tra coloro che seguono attentamente le tematiche legate ai diritti umani nell’era digitale. La testata ha rivelato come il Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno si sia messo in moto per distribuire su scala nazionale un programma di polizia predittiva noto come Giove, un sistema su cui il governo sta lavorando già dal 2020, ma che fino a oggi è stato circondato da un impenetrabile silenzio.
In seguito alle rivelazioni, un portavoce della Polizia di Stato...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

Il sindacato USB ha proclamato lo sciopero “immediato e a oltranza” dei camionisti

1

L’Unione Sindacale di Base (USB) ha dato il via a uno sciopero nazionale «immediato e a oltranza» di tutti i lavoratori dell’autotrasporto merci. La decisione è stata presa a margine di una grande assemblea svoltasi in provincia di Salerno, dove i camionisti hanno denunciato il persistente disinteresse delle istituzioni e l’inefficacia delle trattative sindacali sul loro contratto collettivo nazionale, oltre che sugli effetti deleteri prodotti sul comparto dall’entrata in vigore del nuovo codice della strada. Lo sciopero, che si articolerà a seconda delle adesioni territoriali, proseguirà fino a quando non sarà convocato un tavolo di confronto con i Ministeri dei Trasporti e del Lavoro. Nel frattempo, anche i sindacati del trasporto pubblico locale promettono battaglia.

Le motivazioni della protesta sono molteplici. «Da anni la categoria soffre l’abbandono da parte delle istituzioni e la noncuranza da parte delle organizzazioni sindacali firmatarie del CCNL, di cui l’ultimo rinnovo non ha garantito nessuna delle tutele richieste dei lavoratori che da decenni sono sempre le stesse», si legge nel comunicato diramato dall’Unione Sindacale di Base. Si lamentano infatti da tempo condizioni lavorative sempre più critiche, senza che le rivendicazioni sulla tutela delle patenti professionali, il miglioramento delle retribuzioni e maggiori investimenti in sicurezza e formazione trovino risposte concrete. La recente modifica del Codice della strada, voluta dal ministro Matteo Salvini, ha aggiunto nuove difficoltà: l’introduzione della «sospensione breve» della patente colpisce lavoratori spesso penalizzati da carenze infrastrutturali e organizzative del settore, aumentando il rischio di sanzioni sproporzionate. Ad esempio, il mancato rispetto delle ore di guida e riposo è spesso una conseguenza di una logistica inefficiente, di tempi di attesa lunghi ai terminal o della mancanza di aree di sosta adeguate. La sospensione della patente, anche per un periodo relativamente breve, significa impossibilità di lavorare, con conseguenze dirette sulla retribuzione, ma la protesta nasce anche per evitare un impatto negativo sulla catena logistica, che potrebbe subire rallentamenti con conseguenze per tutta l’economia.

Lo sciopero potrebbe avere ripercussioni significative sulla distribuzione delle merci, poiché una larga fetta di chi protesta proviene dal comparto alimentare, con il rischio di problemi nei rifornimenti di supermercati e negozi. «È stata inviata una prima richiesta di incontro al Ministero dei Trasporti ed al Ministero sul Lavoro, senza alcun riscontro sino ad ora: di conseguenza i lavoratori hanno deciso di entrare in sciopero, con un’articolazione in base all’adesione territoriale», si legge nel comunicato dell’USB, in cui viene confermato che «lo sciopero sarà ad oltranza» e verrà mantenuto «sino all’arrivo di una convocazione da parte dei Ministeri competenti per discutere delle problematiche dell’autotrasporto».

Il malcontento nel settore dei trasporti non si limita agli autotrasportatori. Anche il trasporto pubblico locale è in agitazione: le sigle sindacali di categoria (Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Faisa Cisal e Ugl Fna) hanno dichiarato fallito il primo tentativo di mediazione con il governo e si preparano a nuove forme di protesta. Domani è infatti in programma una conferenza stampa in cui i sindacati del trasporto pubblico locale delineeranno le tempistiche per la proclamazione di un nuovo sciopero nel trasporto pubblico locale. «Abbiamo confermato la piena validità delle intese contrattuali sottoscritte senza ulteriori verifiche e condizioni e chiesto di procedere al pagamento di quanto previsto dall’intesa preliminare dell’11 dicembre scorso riconfermato il verbale di incontro siglato presso il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti il 18 dicembre scorso – hanno scritto i sindacati in un comunicato –. Il perdurare del mancato rispetto delle intese comporterà l’avvio di una fase di conflitto, in un contesto di mobilitazione generale, che sta già coinvolgendo l’intero Paese a fronte di eventi di rilevanza nazionale».

[di Stefano Baudino]

“La protesta debole”, i movimenti sociali in Italia dalla Pantera ai No global (recensione)

2

«In Italia la parabola discendente del movimento No global non ha lasciato eredità se non una diffusa rassegnazione che è stata variamente articolata e rappresentata, qualche anno dopo, da movimenti e da partiti ‘’populisti’’ di destra e di sinistra». Così recita la quarta di copertina del libro di Alessandro Barile, La protesta debole (ed. Mimesis Passato Prossimo), una ricerca sui movimenti sociali in Italia dalla Pantera ai No global, un arco di tempo che va dal 1990 al 2003. Barile, sociologo e storico direttore dell’area di ricerca “Territorio e società” presso l’Istituto di Studi Politici S. Pio V di Roma, conosce bene quei movimenti sociali avendoli vissuti in prima persona. «Gli anni Novanta, quelli del movimento della Pantera, sono un po’ una frontiera storiografica per leggere questo fenomeno – ci spiega Barile – ormai la ricerca storica si sta spostando sempre più verso quel decennio». 

Il libro ripercorre a ritroso quegli eventi, fino al movimento dell’85, quello delle rivolte universitarie, scoppiato dopo poco meno di un decennio di pace sociale: erano gli anni ’80, quelli del disimpegno politico, succeduto agli impegnatissimi anni ’70. Era anche il tempo del punk, dell’eroina e dell’edonismo reaganiano. Quel piccolo movimento studentesco che spezzava il silenzio di quel decennio, rimase però un episodio isolato. Fu dagli anni ’90, col movimento della Pantera (come è noto venne chiamato così perché in coincidenza con le proteste, scoppiate all’università di Palermo e poi diffusesi in mezza Italia, apparve misteriosamente una pantera nera nelle campagne intorno a Roma, notizia che catturò l’opinione pubblica per diverse settimane) che prende forma un tipo di protesta in Italia che non si vedeva da vent’anni. Ma c’è qualcosa di diverso rispetto all’operaismo di stampo essenzialmente marxista di quei vent’anni prima, spiega l’autore. 

Assemblea del Movimento Studentesco “La Pantera”, presso S.P.O.N. – Scienze Politiche Occupata Napoli, alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Napoli “Federico II”, gennaio 1990

«Nel modo di manifestarsi della protesta degli anni novanta, nelle idee che la sorreggono, si insinua una certa capacità di interagire con la società reale ma sorgono anche una serie di problemi non valutati correttamente e che impediranno alla sinistra di svolgere il suo ruolo». Quali? Innanzitutto, la mancanza di una strategia, dice: «I movimenti sociali, per loro stessa natura, vivono di picchi e di momenti bassi. Perciò se non c’è un pensiero strategico dietro capace di resistere in quei momenti di bassa, la mobilitazione alla fine disperde immediatamente anche il buono che aveva creato. Cioè non costruisce “istituzioni” dal basso, come quelle che ci furono nel Novecento. Queste rivolte e le istanze che portano con sé vanno avanti e si rafforzano non per via empirica, cioè noi partecipiamo e poi vediamo quello che viene ma si costruiscono attraverso una strategia politica. Quale strategia politica ci fu negli anni Novanta o nei primi anni Duemila? Qual era?» Non c’era, quindi. «Infatti. E lì rimaniamo al carattere utopico di quella mobilitazione. Per meglio dire e per spiegare l’aggettivo del titolo del mio libro, la ‘debolezza’, non è relativa alla forza mobilitante di quella partecipazione che in realtà era altissima però non era fondata su una strategia politica, al di là della quotidianità, al di là delle parole». 

Barile analizza anche quello che rappresentò quasi il simbolo della protesta degli ultimi decenni: il G8 di Genova. «Lo scontro con lo Stato che avviene a Genova in qualche modo rappresenta quel Movimento che procedeva e andava incontro alla mobilitazione e alla manifestazione – dice – caratterizzandosi su di un piano molto simbolico  e mimato dello scontro. Ecco direi che in quell’occasione invece si scontra con un apparato reale dello Stato, che appunto determina una crisi organizzativa e poi direttamente politica, perché le due questioni sono sempre legate nel modo in cui il conflitto può essere riprodotto, quando la controparte non sta più sul terreno del simbolico e della mimesis». Rapporto difficile con le lotte “ideologiche” degli anni Settanta: «Negli anni novanta si creò una cesura con quelle lotte di venti anni prima. Ma fu una cesura non ragionata perché quei movimenti, la cosiddetta sinistra extraparlamentare, funzionavano sì da modello positivo ma furono anche un fardello, con il loro carico di ‘militanza totalizzante‘. Quell’operazione di ‘’liberazione’’ non venne mai analizzata fino in fondo».

Manifestazione in Corso Italia durante il G8 di Genova [21 luglio 2001]
La situazione odierna ha visto negli ultimi anni i movimenti dei gilet gialli, dei Vaffa day (tacendo per carità di patria di fenomeni come “I forconi”). Oggi c’è un abuso del termine “populismo”, spesso usato come stigma. «Quello che non sono riusciti a fare i movimenti, le loro crisi hanno poi prodotto la forza del ‘populismo’ in Italia – è l’opinione di Barile – perciò la presenza del Movimento Cinque Stelle, ad esempio, va vista in maniera dialettica. Nel senso che da un lato è sembrata essere una percezione degli stessi obiettivi dei movimenti, dall’altro è stato il tentativo di raccogliere quelle istanze di rappresentanza dal basso che quei movimenti esprimevano. Quindi non bisogna vedere il populismo italiano, soprattutto nella sua forma ‘democratica’ come era quella del M5S, solamente dal suo lato peggiore e quindi dal suo aspetto ‘alienato’ ma va vista come il risultato della debolezza di quei movimenti in  cui si è inserito un soggetto politico ‘strano’ che comunque recuperava parecchie di quelle istanze No global. Fino a quando poi non sono andati al governo con la Lega». 

La speranza di una rinascita di un movimento ribelle forte? «Forse soltanto a livello globale, internazionale. Non è detto che poi non influisca su quello nazionale. È sempre una dialettica di posizioni».

[di Giancarlo Castelli]

Israele, aggressione in stazione dei bus a Haifa: 1 morto e 4 feriti

0

Un uomo armato di coltello ha aggredito alcune persone alla stazione centrale degli autobus di Haifa, nel nord di Israele. Lo hanno reso noto i media israeliani, che riportano un bilancio di un morto e di 4 feriti, di cui tre gravi. La vittima aveva 70 anni. La polizia israeliana ha confermato che l’aggressore è stato eliminato. L’area è stata isolata dalle forze dell’ordine, che indagano sulla vicenda. Il terrorista che ha compiuto l’attacco sarebbe un cittadino druso di Israele di circa 20 anni che possedeva anche la cittadinanza tedesca, che avrebbe vissuto all’estero per qualche tempo prima di fare ritorno in Israele circa un mese fa.

 

Bonaccini, De Pascale e la “finta emergenza” per approvare il rigassificatore di Ravenna

0

Alla fine, la BW Singapore è arrivata in porto. La mattina del 28 febbraio, la grande nave rigassificatrice acquistata da Snam per 367 milioni di euro è giunta a Ravenna ed è stata ancorata alla piattaforma situata a 8 km al largo della costa. Da lì convertirà il gas dallo stato liquido a quello gassoso e poi lo immetterà nella rete nazionale grazie a un metanodotto lungo 40 km. Grande è stata la soddisfazione dei dirigenti di Snam e del mondo della politica, dal presidente della Regione Emilia-Romagna ed ex sindaco di Ravenna, Michele De Pascale, fino al ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin, per un’opera ritenuta strategica per la transizione energetica in Italia. Di quale transizione si tratti, però, non è davvero chiaro, visto che si parla ancora una volta di gas, che invece di giungere in Italia attraverso i metanodotti ora arriverà via nave.

Per ora, l’impianto è fermo. Per la piena operatività bisognerà attendere la procedura concorsuale per individuare il soggetto che consegnerà il primo carico. Da quel momento in poi cominceranno ad arrivare le navi cariche di gas liquido provenienti da Algeria e Qatar, ma soprattutto dagli Stati Uniti.

Costruita nel 2015, la BW Singapore è in grado di stoccare 170 mila metri cubi di gas liquefatto per una capacità complessiva totale di 5 miliardi di metri cubi l’anno e, stando alle informazioni fornite da Snam, consentirà di portare il volume di rigassificazione a 28 miliardi di metri cubi, gli stessi importati dalla Russia fino al 2022, prima dello scoppio della guerra in Ucraina.

La stima non è fatta a caso. Furono proprio la situazione ucraina e la volontà europea di rinunciare al gas russo, l’elemento scatenante di un progetto costato miliardi alle casse pubbliche e approvato in fretta e furia dall’allora presidente della Regione, Stefano Bonaccini, e dall’ex sindaco di Ravenna, Michele De Pascale, che nel frattempo ha preso il suo posto. È stato proprio l’allora primo cittadino della città romagnola uno dei maggiori sostenitori del progetto, spingendo perché fosse autorizzato in appena 120 giorni; tempi nei quali, in Italia come in Romagna, di solito non si riesce a mettere in piedi nemmeno un chiosco della piadina.

Il progetto è stato approvato nell’autunno del 2022 con procedura d’urgenza dal governo Draghi, che aveva nominato Bonaccini Commissario Straordinario per accelerare ulteriormente i tempi. La versione unanime delle autorità era che bisognava fare il più in fretta possibile perché, con la chiusura dei rapporti con la Russia, l’Italia era a corto di gas. In quei giorni De Pascale, intervistato dai giornali, dichiarava che grazie all’impianto di Ravenna non saremmo rimasti al freddo nell’inverno 2023.

Ed eccoci al 2025. L’Italia, nel frattempo, ha diversificato le sue fonti di approvvigionamento di gas e nessuno è rimasto al freddo. Intanto, però, Stati Uniti e Russia stanno trattando la pace, tanto che il ministro Pichetto Fratin ha recentemente parlato di un possibile ritorno al metano russo. Il prezzo dell’energia, intanto, è continuato a salire proprio a causa dell’eccessiva dipendenza del nostro Paese dal gas, ed ecco quindi arrivare una nave che converte il gas in maniera molto più costosa e inquinante rispetto a tutti gli altri sistemi usati finora e che resterà in funzione per almeno 25 anni, il tutto al modico prezzo di circa un miliardo di euro.

«Il gas liquefatto può raggiungere un volume di 600 volte inferiore rispetto al metano gassoso – hanno spiegato da Snam – ecco perché il trasporto via nave diventa economicamente sostenibile». Difficile, però, stabilire in quale modo i cittadini italiani ne dovrebbero trarre vantaggio, visto che il prezzo del gas viene stabilito al mercato di Amsterdam e che l’Italia spende tantissimo in energia proprio perché ne consuma troppo. Per non parlare poi dell’impatto ambientale, incredibilmente maggiore rispetto al trasporto con i metanodotti.

È il motivo per cui, proprio pochi giorni prima dell’arrivo della BW Singapore, le associazioni ambientaliste, da sempre contrarie al progetto, si sono ritrovate sul molo Dalmazia di Marina di Ravenna per manifestare ancora una volta la loro protesta.

«Continuare a investire miliardi in fonti fossili è la cosa più sbagliata che questi governi, nazionali e regionali, potessero fare – ha detto nell’occasione Pippo Tadolini, coordinatore del comitato Per il clima fuori dal fossile – Non possiamo continuare in eterno a dire che in futuro dobbiamo realizzare la transizione energetica ma che nel frattempo siamo obbligati a restare al fossile».

La protesta, andata in scena il 23 febbraio, ha visto tra i partecipanti anche due partiti che fanno parte della maggioranza in Regione e in Consiglio comunale: Alleanza Verdi Sinistra (AVS) e Movimento 5 Stelle. Una partecipazione che molti hanno guardato con un certo sospetto. Se da una parte AVS, pur dicendosi contraria, non si è certo distinta in questi anni per una forte opposizione al progetto tra i banchi della maggioranza, il Movimento 5 Stelle, quando interpellato, ha addirittura votato a favore. Il capogruppo dei pentastellati in consiglio comunale Gianfranco Schiano, ripensando a quei giorni dell’autunno 2022, ha parlato di una decisione calata dall’alto da parte di Bonaccini, alla quale era impossibile opporsi. «Era una vera emergenza o era fittizia?» si chiede Pippo Tadolini nella sua intervista al Corriere Romagna. La risposta a questa domanda arriverà comunque troppo tardi.

[di Fulvio Zappatore]

Scontri al confine tra le forze pakistane e afghane

0

Nella notte tra ieri e oggi, lunedì 3 marzo, le forze pakistane e afghane si sono scontrate nel valico di frontiera nordoccidentale di Torkham. Non sembrano esserci state vittime. Il valico di Torkham era stato chiuso dal Pakistan undici giorni fa, dopo una disputa sorta per l’avvio delle costruzioni di un nuovo punto di controllo da parte delle forze afghane. Un funzionario pakistano ha accusato le forze talebane di aver aperto il fuoco senza essere state provocate, causando una risposta da parte dei soldati pakistani; le autorità talebane non hanno commentato l’accaduto.

Gaza: Israele non vuole avviare la seconda fase della tregua e blocca gli aiuti umanitari

3

Il governo israeliano ha bloccato l’ingresso degli aiuti a Gaza: una mossa contraria al diritto internazionale umanitario e in aperta violazione degli accordi di cessate il fuoco stipulati con Hamas, nell’evidente tentativo di forzare il movimento palestinese ad accettare la prosecuzione degli scambi di prigionieri senza attuare la fase II dell’accordo, che prevederebbe la fine totale delle ostilità e il ritiro israeliano dalla Striscia. Netanyahu, con il supporto dell’amministrazione Trump, sta infatti cercando di cambiare le carte in tavola e ha proposto una prosecuzione del cessate il fuoco limitata al Ramadan e alla Pasqua, chiedendo che Hamas rilasci la metà degli ostaggi, vivi e morti, già nel primo giorno della tregua. Il movimento palestinese, però, denuncia come questo accordo sia contrario a quanto stabilito e non assicuri la fine del genocidio in corso.

La decisione di interrompere il flusso in entrata di aiuti umanitari nella Striscia è stata annunciata ieri, domenica 3 marzo, in occasione della fine della prima fase del cessate il fuoco. Questa prevedeva un primo ritiro dell’esercito israeliano da Gaza, diversi scambi di ostaggi e prigionieri e un cessate il fuoco temporaneo, da adottare mentre intanto proseguivano le trattative per arrivare a una tregua permanente, il rientro degli ostaggi rimanenti e il ritiro completo delle truppe, da attuarsi nella fase II. L’annuncio di ieri è arrivato dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il quale ha affermato che Hamas avrebbe rifiutato un piano presentato dall’inviato speciale degli Stati Uniti per il Medioriente, Steve Witkoff, che prevedeva un’estensione della prima fase della tregua. Il piano di Witkoff non è stato reso pubblico, ma, da quanto comunica Netanyahu, esso prevederebbe altri cinquanta giorni di cessate il fuoco temporaneo e il rientro immediato della metà degli ostaggi ancora nelle mani dei gruppi palestinesi; ad oggi, ne resterebbero ancora 59: 24 vivi e 35 morti.

La proposta israelo-statunitense di allungare la fase I dell’accordo era già trapelata sabato 1° marzo. Il portavoce di Hamas, Hazem Qassem, aveva risposto che dietro alla sua formulazione Israele celava la volontà di recuperare gli ostaggi rimanenti mantenendo la possibilità di riaccendere il conflitto. Ed effettivamente è quello che sembra stare accadendo. Dopo l’annuncio di Netanyahu, il ministro delle Finanze israeliano Belazel Smotrich ha appoggiato la presa di posizione del proprio premier; Smotrich ha parlato esplicitamente di interrompere il flusso degli aiuti «finché Hamas non sarà distrutto o si arrenderà completamente e tutti i nostri ostaggi non saranno restituiti». Ha poi aggiunto che è il momento di «aprire le porte dell’Inferno al crudele nemico il più rapidamente e mortalmente possibile, fino alla completa vittoria». Poco prima dell’annuncio di Netanyahu, inoltre, il Segretario di Stato statunitense Marco Rubio ha approvato la consegna rapida di circa 4 miliardi di dollari in assistenza militare a Israele, facendo ricorso a misure di emergenza per accelerare la spedizione.

L’interruzione degli aiuti umanitari arriva in concomitanza con l’avvio del mese di Ramadan. Nel suo annuncio, Netanyahu ha ripetuto l’ormai consueta accusa per cui «Hamas ruba le forniture e impedisce alla popolazione di Gaza di ottenerle». Hamas, invece, ha parlato di aperta violazione degli accordi, accusando inoltre Israele di aver ritardato i colloqui per stabilire i termini della fase II. Effettivamente, tra polemiche, attese diplomatiche e violazioni (Hamas ne denuncia 350), sembra che Israele abbia fatto di tutto per ritardare le discussioni per quella che risulta la fase più sensibile della tregua, iniziate, malgrado i diversi solleciti, solo giovedì scorso. Il punto di attrito su cui sembra esserci uno spazio limitato per le trattative è lo stesso per cui sono falliti anche i precedenti negoziati di cessate il fuoco: le aree sensibili della Striscia. La scorsa settimana un ufficiale israeliano, che ha parlato in condizioni di anonimato, ha confermato a diversi media che Tel Aviv non ha intenzione di abbandonare il corridoio di Philadelphi, che divide il sud della Striscia dall’Egitto. Nel frattempo, sembrano ripartire le aggressioni mai davvero terminate: i media palestinesi riportano di due civili uccisi a Rafah da colpi di arma da fuoco.

[di Dario Lucisano]

In un fiume della California sono tornati i salmoni dopo oltre un secolo

1

Per la prima volta in quasi un secolo, il salmone Chinook è tornato a nuotare nelle acque del North Yuba River, in California. La notizia è stata annunciata dal Dipartimento della Pesca e della Fauna Selvatica della California (CDFW), che ha avviato un progetto pilota per reintrodurre questa specie nel suo habitat naturale in Sierra Nevada. Le uova di salmone sono state depositate lo scorso ottobre lungo un tratto lungo quasi 20 chilometri del fiume, a est di Downieville, per simulare la riproduzione naturale. I primi giovani esemplari sono stati avvistati l'11 febbraio. Per completare il loro...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

Somalia, operazione contro Al Qaeda: almeno 44 morti

0

Il governo somalo ha riportato di avere condotto due attacchi aerei nelle vicinanze di Biyo Cadde ed El Baraf nella regione del Medio Scebeli, uccidendo almeno 44 militanti di Al-Shabaab, gruppo islamista affiliato ad Al Qaeda. L’attacco nell’area di Biyo Cadde condotto con i partner è stato condotto contro i militanti di Al-Shabaab; mentre l’offensiva aerea nell’area di Ceel Baraf è stata condotta in collaborazione con il Comando USA africano, e ha distrutto dei veicoli con a bordo un numero imprecisato di miliziani.

Elezioni in Abkhazia: vince il presidente ad interim

0

Il presidente ad interim dell’Abkhazia, Badra Gunba, ha vinto le elezioni presidenziali della regione separatista della Georgia, considerata indipendente da Mosca. Gunba ha posizioni indipendentiste ed era il candidato più vicino a Mosca. Ha vinto con circa il 55% dei voti nelle elezioni che si sono tenute ieri, sabato 1° marzo. Le elezioni erano state indette a causa delle dimissioni del presidente Aslan Bzhania, rassegnate lo scorso novembre dopo una serie di proteste scoppiate in seguito alla ratifica di un accordo interparlamentare con la Russia. Secondo i dimostranti, l’accordo avrebbe consentito alle entità russe di partecipare a progetti di investimento in Abkhazia.