L’export verso i Paesi extra-Ue torna a crescere sia su base mensile sia annua. A settembre le importazioni salgono del +6,1% e l’export del +5,9%; su base annua l’export avanza del +9,9% e l’import del +16,9%. Su base mensile il traino viene dalle vendite di strumentazione e dall’export di beni di consumo non durevoli, voci che, insieme ai beni intermedi, incidono anche sull’aumento delle importazioni. Su base annua la crescita dell’export è sostenuta soprattutto dalla vendita di energia, mentre l’incremento dell’import riflette soprattutto maggiori acquisti di beni non durevoli.
GrokPedia: la Wikipedia “anti-woke” fondata da Elon Musk è tutt’altro che neutrale
Elon Musk ha decretato che l’universo necessita con urgenza di un garante della verità assoluta, libero da pregiudizi e condizionamenti ideologici. Fatalmente, ha ritenuto che tale ruolo spettasse a lui. Da questa premessa nasce GrokPedia, la nuova creatura di xAI — l’azienda di intelligenza artificiale da lui fondata. Si tratta di un’enciclopedia digitale lanciata ieri, martedì 28 ottobre che è mossa dall’ambizione dichiarata di spodestare Wikipedia, offrendo una visione del mondo più “neutrale”. Nella pratica, però, GrokPedia non fa che ricalcare la struttura della sua nemesi, apportando ritocchi minimi sufficienti a simulare una vaga impressione di originalità. Il risultato? Un progetto claudicante che rivendica imparzialità, ma che lascia trasparire una netta inclinazione politica verso i repubblicani.
Sulla carta, l’intuizione di Musk è chiara: sostituire l’ampia comunità di volontari che aggiorna Wikipedia con Grok, il chatbot di xAI. “Wikipedia si affida a redattori volontari i cui pregiudizi – spesso di sinistra – possono distorcere le voci su argomenti controversi”, spiega lo stesso Grok su X. “GrokPedia riduce al minimo la soggettività umana, concentrandosi su fatti verificabili e ragionamenti logici per offrire un riferimento più affidabile. La versione 0.1 supera già Wikipedia in termini di neutralità, con rapidi miglioramenti in vista”.
Musk critica da tempo l’enciclopedia libera, accusandola di essere troppo “woke”. Così, per ristabilire l’equilibrio dell’universo digitale, il magnate ha deciso di intervenire personalmente, affidandosi a quella che dovrebbe essere un’ipotetica oggettività della macchina. Peccato che la realtà suggerisca che il presupposto sia del tutto errato: uno studio della Columbia University evidenzia infatti come i modelli di IA riflettano inevitabilmente i valori culturali delle lingue e delle fonti su cui vengono addestrati. Quasi tutti i modelli sono stati sviluppati rastrellando indiscriminatamente la Rete e, pertanto, concedono ampio spazio alla prospettiva Occidentale, la quale ha avuto maggiori occasioni di dominare il web rispetto a quella di culture altre come quelle africane o asiatiche. In parole povere, un’IA “oggettiva” non esiste e quella di Musk non fa eccezione.
Sorvolando sulle implicazioni imperialiste di chi si arroga il diritto di universalizzare i propri valori culturali e ignorando per un momento il fatto che le intelligenze artificiali soffrano di frequenti “allucinazioni” che generano dal nulla informazioni del tutto infondate, resta un dato ineludibile, ovvero che Grok non può essere politicamente neutrale per una ragione tanto ovvia quanto strutturale: è controllato da Elon Musk. Nato come reazione al cosiddetto “virus mentale woke”, il chatbot si è però rivelato fin da subito allineato alle IA delle grandi aziende concorrenti, adottando una posizione moderata e conforme al politicamente corretto. Proprio per questo, Grok ha commesso il peccato cardinale per eccellenza: contraddire apertamente le convinzioni di Musk e le posizioni del Partito Repubblicano.
La cosa, prevedibilmente, non è piaciuta al suo creatore, il quale ha fatto notare su X che “sfortunatamente, Internet (su cui [Grok] è addestrato) è invaso da sciocchezze woke. Grok migliorerà”. La sedicente oggettività della statistica, insomma, andava corretta. xAI non ha mai offerto troppa trasparenza sulle modifiche apportate al sistema, tuttavia diversi indizi portano a credere che negli anni si siano registrati molteplici rimaneggiamenti, spesso effettuati in maniera maldestra e frettolosa: è accaduto, a esempio, quando Grok ha suggerito che sia Musk che il Presidente USA Donald Trump meritassero la pena di morte; o quando ha promosso senza ritegno la teoria del genocidio bianco in Sudafrica; o ancora quando ha iniziato a riportare testi scritti in prima persona per negare qualsiasi legame tra Musk e il trafficante di minori Jeffrey Epstein. Il punto di rottura è arrivato lo scorso luglio, quando il modello, nel tentativo di compensare il perbenismo iniziale, ha virato bruscamente verso la dottrina nazista, arrivando a presentarsi come “Mechahitler” — un episodio che ha messo a nudo i limiti strutturali del rimaneggiamento ideologico.
Con simili premesse, GrokPedia nasce su una base concettuale estremamente fragile, tuttavia riesce comunque a superarsi fino a raggiungere una dimensione tragicomica: una parte considerevole dei suoi articoli è copiata da Wikipedia — quella stessa enciclopedia che Musk accusa di faziosità. Grok attinge dalle pagine open source della nota enciclopedia online, quindi le riformula quel tanto che basta per imporre loro una narrativa più in linea con le idee Repubblicane.

Brasile, blitz nelle favelas contro i narcos: almeno 60 morti
Durante un’operazione su larga scala delle forze speciali nelle favelas della zona nord di Rio de Janeiro, sono stati segnalati oltre 60 morti tra narcos e civili. Il blitz, che ha coinvolto più di 2.500 agenti con supporto di droni e mezzi blindati, aveva l’obiettivo di colpire i vertici del gruppo criminale Comando Vermelho, attivo nel traffico di stupefacenti. La reazione armata dei clan ha incendiato autobus, eretto barricate e generato colonne di fumo visibili in città.
Uragano Melissa devasta la Giamaica e colpisce Cuba
L’uragano Melissa ha travolto la Giamaica con venti vicini ai 300 km/h, lasciando oltre 530 mila persone senza elettricità e infrastrutture «severamente compromesse». Dopo aver devastato la Giamaica, l’urgano si è abbattuto su Cuba. Secondo il quotidiano ufficiale Granma, le autorità cubane hanno già evacuato più di 700mila persone. Il bilancio provvisorio parla di almeno sette morti nei Caraibi e oltre 1,5 milioni di persone coinvolte negli eventi calamitosi.
Mali: l’ambasciata USA chiede ai cittadini di lasciare il Paese
L’ambasciata statunitense in Mali ha intimato ai propri cittadini di lasciare il Paese. La richiesta dell’ambasciata arriva in un momento di crisi per il Mali, sotto attacco dai ribelli di Jama’at Nusrat al-Islam wal-Muslimin (JNIM), movimento islamista affiliato ad Al Qaeda. Il Paese sta attraversando una grave carenza di carburante a causa di un assedio imposto dai miliziani di JNIM, che hanno imposto un blocco sulle autocisterne in entrata verso il Mali.
Netanyahu ha ordinato attacchi “immediati e potenti” nella Striscia di Gaza
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ordinato al proprio esercito di «lanciare immediatamente potenti attacchi sulla Striscia di Gaza». L’annuncio è stato dato dall’ufficio del primo ministro, che ha spiegato che la scelta del premier segue una serie di consultazioni avviate oggi, martedì 28 ottobre, in seguito al processo di identificazione della salma dell’ultimo ostaggio consegnato alla Croce Rossa da Hamas; Israele accusa il gruppo palestinese di avere in realtà consegnato i resti di un ostaggio già recuperato dalle IDF nel 2023. Non è ancora chiaro quale sarà l’intensità della nuova aggressione israeliana su Gaza, né a cosa essa miri; lo stesso esercito israeliano ha fatto sapere di avere concordato con il ministro della Difesa Israel Katz la rimozione delle restrizioni imposte alle proprie truppe, dando campo libero ai soldati per operare anche oltre la cosiddetta “linea gialla” dietro la quale dovrebbero rimanere stazionati.
L’annuncio dell’ufficio del primo ministro è giunto oggi alle 17:21 (ora italiana); qualche ora prima, attorno alle 11, lo stesso ufficio aveva fatto sapere che in seguito alle operazioni di identificazione della salma dell’ostaggio, le autorità avrebbero scoperto che i resti consegnati da Hamas fossero in realtà quelli di Ofir Tzarfati, soldato recuperato in una operazione militare nel dicembre del 2023. Per tale motivo, comunicano i media israeliani, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich avrebbe esercitato pressione su Netanyahu, chiedendo al premier di indire una riunione emergenziale di sicurezza per discutere dei prossimi passi. L’emittente israeliana Channel 13 riporta che durante la riunione sarebbero state avanzate tre ipotesi: limitare gli aiuti umanitari, occupare territori, e attaccare Gaza. Non è ancora chiara la portata degli attacchi che dovrebbero seguire all’annuncio di Netanyahu, ma secondo quanto comunicano anche le stesse IDF sembra che sarebbe stata scelta la terza opzione, che, di fatto, coincide – almeno – anche con la prima. Il portavoce dell’esercito ha infatti reso noto che avrebbe rimosso le restrizioni imposte alle proprie truppe stazionate a Gaza a partire dalle 18 israeliane (le 17 italiane).
Nel frattempo, tanto i giornali israeliani quanto quelli arabi riportano di presunti scontri tra le forze israeliane e i gruppi di resistenza nel sud della Striscia, a Rafah; Rafah è il capoluogo dell’omonimo Governatorato, quello situato nell’estremo sud della Striscia, al confine con l’Egitto, e risulta sotto controllo israeliano da mesi. Le brigate di Al Qassam, braccio armato affiliato ad Hamas, invece, hanno annunciato di avere trovato il corpo di un altro ostaggio, e che ne avrebbero ritardato la consegna in caso di ulteriori violazioni dell’accordo da parte di Israele; quella di oggi, non è infatti la prima volta che Israele viola i termini della tregua: La più violenta violazione è avvenuta domenica 19 ottobre, quando Israele ha sganciato 153 tonnellate di bombe, uccidendo quasi 100 persone in un giorno solo.
ENI continua a registrare utili: 1,2 miliardi nell’ultimo trimestre
Nel terzo trimestre del 2025, ENI ha registrato un utile netto pari a 1,2 miliardi di euro. Tale cifra si riferisce all’utile rettificato (o “adjusted”), e dunque privato delle spese straordinarie; l’Ebit (Earnings Before Interest and Taxes – ossia utili prima degli interessi e delle tasse) rettificato, invece, è pari a circa tre miliardi. Tali risultati, per quanto in calo, risultano superiori a quanto stimato dal gruppo: Eni ha infatti aumentato per la seconda volta la propria stima annuale di generazione di cassa. È quanto riportato dal colosso energetico in un comunicato ufficiale. L’ebit rettificato dell’ultimo trimestre, rispetto allo stesso periodo precedente, ha registrato un calo del 12% dovuto a una flessione dei prezzi del petrolio che ha perso il 14% solo nell’ultimo trimestre andando a influenzare la prestazione del segmento E&P (l’esplorazione e la produzione), il “motore” principale del gruppo. La società ha comunque definito «solido» il risultato. Al contempo, hanno registrato risultati in crescita sia la divisione Gas (GGP e Power) che quella della Raffinazione, tornata in utile, mentre la chimica continua a registrare una perdita in un quadro complessivo a livello europeo che resta segnato da una prolungata recessione. Quanto ai primi nove mesi dell’anno, il risultato dell’utile operativo proforma rettificato si è attestata a 9,36 miliardi, in calo del 19% rispetto allo stesso periodo dell’anno prima.
L’amministratore delegato, Claudio Descalzi, ha parlato di risultati «eccellenti» ponendo l’accento su un aspetto determinante che ha permesso la crescita finanziaria del gruppo, vale a dire l’aumento della produzione di petrolio, in crescita del 6% rispetto al 2024. Secondo Descalzi, ciò «ci consente di alzare la guidance annuale sino a 1,72 milioni di barili al giorno confermando il trend di accelerazione destinato a proseguire nei prossimi mesi grazie ai nuovi campi in sviluppo in Congo, Emirati, Qatar e Libia, e all’avvio della combinazione di business in Indonesia e Malesia che costituirà uno dei principali player sul mercato del Gnl nel continente asiatico». Negli ultimi mesi, infatti, ENI ha investito massicciamente in attività di ricerca di nuovi giacimenti e perforazione in Africa e in Asia: in particolare, ENI ha assegnato alla connazionale Saipem nuovi contratti per un valore di 135 milioni di dollari per esplorare nuove aree strategiche dall’Africa Occidentale la Mediterraneo fino all’Indonesia. Inoltre, ENI pochi mesi fa ha investito dieci miliardi di dollari in Indonesia (nel Kalimantan Orientale) per la produzione di gas naturale e GNL.
Un altro aspetto cruciale per i risultati del Cane a sei zampe è, secondo lo stesso amministratore delegato, il modello satellitare introdotto da ENI, che ha permesso di valorizzare i business legati all’“upstream” (si tratta dell’esplorazione e dello sviluppo di nuovi giacimenti di petrolio e gas) e alla transizione energetica. Il modello satellitare consiste nella creazione di società indipendenti in grado di accedere al mercato dei capitali con una loro autonomia, così da poter finanziare la propria crescita rivolgendosi a investitori specializzati. Secondo la società, ciò consentirebbe di «accelerare lo sviluppo dei nuovi business ad alto potenziale legati alla transizione energetica, ma mantenendo la solidità che ci contraddistingue nelle attività tradizionali […]». Se da un lato, il colosso energetico ha spesso sottolineato l’attrattività delle sue controllate per il mercato, dall’altro, tale modello si traduce in quella tendenza a privatizzare parti di società strategiche per la sicurezza nazionale che è proseguita e si è accentuata con il governo Meloni. Tra le operazioni di questo tipo, ENI non ha solo firmato a giugno un accordo con il fondo statunitense Ares Management che prevede la cessione del 20% delle azioni di Plenitude, ma ha anche ceduto il 25% del capitale sociale di Enilive al fondo statunitense KKR. Come si nota, si tratta prevalentemente di aziende americane che entrano nelle aziende strategiche italiane con ripercussioni economiche e geopolitiche.
È proprio questa strategia di business che prevede la privatizzazione di aziende strategiche che avrebbe contribuito secondo Descalzi all’aumento degli utili della società. L’amministratore delegato, infatti, ha citato proprio alcune di queste cessioni: «La valorizzazione dei nostri business continua con l’incasso dalla cessione del 30% del campo di Baleine in Costa d’Avorio, secondo il consolidato dual exploration model, e con l’avanzamento della cessione del 20% della quota di Plenitude al fondo Ares, per il quale tutte le condizioni sospensive sono state completate. Con questa operazione i due business di Enilive e Plenitude hanno determinato incassi per circa 6,5 miliardi negli ultimi due anni».
In sintesi, l’aumento degli investimenti in ricerche di nuovi giacimenti e in attività di perforazione in tutto il mondo e il modello satellitare – che comporta la cessioni di quote di minoranza a aziende straniere – ha consentito a ENI di registrare risultati migliori rispetto a quelli attesi. A ciò si aggiunge anche un contesto di prezzi del greggio deboli e di un euro in rafforzamento che hanno consentito al Cane a sei zampe un’ottima prestazione economico-finanziaria, a scapito però della tanto sbandierata transizione energetica e della difesa degli asset nazionali, specie di quelli considerati strategici.









