Durante lo sgombero di un casolare occupato a Castel d’Azzano (Verona), si è verificata un’esplosione che ha provocato la morte di tre carabinieri e il ferimento di altri 11 militari e 4 agenti delle Uopi (Unità operative di pronto intervento) della Polizia di Stato. L’edificio, un casolare di due piani satura di gas, è crollato travolgendo le forze dell’ordine al momento dell’irruzione. Secondo le prime ricostruzioni, una donna presente nell’immobile avrebbe attivato la deflagrazione. Due fratelli sarebbero stati fermati, mentre un terzo è attualmente in fuga. Si tratta di Franco, Dino e Maria Luisa Ramponi, agricoltori e allevatori con problemi finanziarie ipotecari, già noti per due episodi con la stessa dinamica avvenuti un anno fa. I carabinieri intervenuti erano stati mobilitati in forze speciali per l’elevato rischio dell’operazione. La procura di Verona parla di “esito inaspettato e tragedia incredibile”.
Amministrative: in Toscana vince il centrosinistra affluenza al-15%
Con 2667 sezioni scrutinate su 3922, il risultato delle elezioni in Toscana è ormai certo: ha vinto il centrosinistra. Le proiezioni danno il candidato Eugenio Giani, sostenuto dal campo largo, al 53,94%, contro il 40,90% del candidato governativo Alessandro Tomasi. Giani, presidente uscente della Regione, verrà riconfermato governatore della Toscana. Particolarmente alto il tasso di astensionismo, che ha toccato il picco del 52,28%. All’ultima tornata, si era fermato al 37,40%.
Tajani si appropria del bambino di Gaza che sventola il tricolore e rimedia una figuraccia
Dopo lo sciopero generale del 22 settembre e le manifestazioni per la Palestina che lo hanno seguito, la solidarietà italiana al popolo palestinese è arrivata nella stessa Gaza, dove nei giorni sono stati girati diversi video di ringraziamento ai cittadini italiani. Un’occasione ghiotta per il governo che si è rapidamente appropriato del riconoscimento del popolo palestinese: Tajani ha infatti condiviso su Instagram un video del Gaza Skate Team, progetto umanitario e sportivo attivo nella Striscia, che mostrava un bambino sventolare il tricolore come segno di gratitudine al popolo italiano. «Il Tricolore sventola anche a Gaza», ha scritto Tajani. Segno di riconoscenza e gratitudine nei confronti di quello che ha fatto e farà l’Italia». Il post del vicepremier è arrivato anche all’autore del video, che ha chiesto al ministro di rimuoverlo e sottolineato che «il mio grazie è al popolo italiano, non al governo complice dell’occupazione». Nonostante le molteplici richieste di rimozione, il post rimane ancora online.
Il Gaza Skate Team è un progetto umanitario e sportivo della Striscia gestito da un gruppo di ragazzi palestinesi che insegnano ai bambini ad andare sullo skateboard e sui pattini; il gruppo promuove una raccolta fondi per i bambini gazawi e per la riparazione di uno skate park, e sembra avere contatti con analoghi gruppi di supporto alla popolazione palestinese attivi in Italia. Dopo le manifestazioni di fine settembre e inizio ottobre, i coordinatori dell’associazione hanno diffuso diversi video di ringraziamento al popolo italiano per il suo supporto contro il genocidio palestinese. Quello condiviso da Antonio Tajani mostrava uno dei ragazzi andare sui pattini mentre teneva in braccio un bambino che sventolava le bandiere della Palestina e dell’Italia una accanto all’altra; il video originale aveva in sottofondo una canzone della Banda Bassotti, noto gruppo musicale punk di sinistra: la canzone cita i partigiani, fa i nomi di noti rivoluzionari e rivendica la lotta dal basso “contro l’oppressore”, sostenendo che siamo tutti Figli della Stessa Rabbia; “Forte il braccio che alzerà la bandiera rossa della libertà/come chi combatte sui monti con le scarpe rotte quando fischia il vento”, recitano i versi che fanno da sottofondo musicale al video. Insomma, risulta difficile cadere in equivoco sul contenuto del messaggio.
Eppure Tajani sembra avercela fatta; oppure, come ben più probabile, avere deliberatamente manipolato il contenuto del video con fini propagandistici. Il ministro ha condiviso le immagini del Gaza Skate Team sostituendo il sottofondo musicale con una musica dai toni trionfali e rivendicato la solidarietà del popolo palestinese. Il giorno dopo sono arrivati i commenti dell’autore, uno in inglese e uno in italiano: «Ciao, questo video è mio e l’avete pubblicato senza il mio permesso. Per favore rimuovetelo oppure taggatemi chiaramente come autore originale. Se non viene fatto, sarò costretto a segnalarlo per violazione del copyright. Grazie per la comprensione». Le sue parole sono finite rapidamente in alto nella sezione dei commenti di Instagram, ma la squadra social di Tajani sembra non averle viste, se non ignorate. Gaza Skate Team ha quindi pubblicato un altro video di ringraziamento in cui questa volta specifica in maniera esplicita che la solidarietà del popolo palestinese va unicamente alle mobilitazioni dal basso, e non al governo; ha poi diffuso un altro video di chiarimento in cui ribadisce tale concetto.
La sezione dei commenti del post di Tajani, intanto, è impazzata di utenti che hanno chiesto al ministro di rimuovere il contenuto dalla propria bacheca, accusandolo di «sciacallaggio». Il video, tuttavia, resta ancora visibile, ed è addirittura uno dei post del ministro con il maggior numero di interazioni. Il caso del video del Gaza Skate Team è solo l’ultimo strafalcione dell’autodefinitosi «ministro degli Esteri più sfigato della storia», specialmente quando si tratta di Palestina. Negli ultimi mesi, il ministro ha collezionato una figuraccia dopo l’altra, sostenendo che «la Palestina non esiste», che le coste gazawi sono «territorio israeliano», e che «il diritto internazionale conta fino a un certo punto».
Slovacchia, scontro tra treni: 66 feriti
Nella giornata di oggi, lunedì 13 ottobre, due treni si sono scontrati nella Slovacchia orientale, facendo deragliare una locomotiva e un vagone e ferendo almeno 66 persone. L’incidente è avvenuto nei pressi di una galleria vicino al villaggio di Jablonov nad Turnou, circa 55 km a ovest di Košice, seconda città più popolosa del Paese. I servizi medici di emergenza del Paese hanno dichiarato che 16 persone hanno riportato ferite moderate o gravi e almeno 50 sono rimaste leggermente ferite. Sui treni erano presenti circa 80 passeggeri. Ignote ancora le cause dell’incidente.
Financial Times: “Gli USA stanno già aiutando Kiev a colpire i siti energetici russi”
«Da mesi gli Stati Uniti aiutano l’Ucraina a lanciare attacchi a lungo raggio contro le strutture energetiche russe». Secondo un’inchiesta pubblicata dal Financial Times, gli Stati Uniti starebbero fornendo all’Ucraina supporto diretto d’intelligence per colpire obiettivi strategici in territorio russo, in particolare infrastrutture energetiche e raffinerie. Il quotidiano economico-finanziario britannico cita fonti anonime dell’amministrazione americana, secondo cui Washington avrebbe recentemente ampliato la condivisione di informazioni sensibili, consentendo ai missili e ai droni ucraini di eludere le difese aeree russe e di colpire in profondità, fino a 1.400 chilometri oltre la linea del fronte. L’obiettivo di questa strategia sarebbe quello di aumentare la pressione su Mosca, «per indebolire l’economia di Vladimir Putin e costringerlo al tavolo delle trattative», dopo mesi di stallo diplomatico. Le stesse fonti spiegano che gli attacchi avrebbero già ridotto le esportazioni di diesel russo fino al 20% e contribuito a un aumento dei prezzi interni del carburante.
L’interpretazione ufficiale dell’articolo di FT, presentata come reportage, lascia aperte molte domande. La notizia arriva con la consueta confezione tecnica e si può leggere come una nota di servizio: fonti anonime, dati cifrati, verbali di «funzionari a conoscenza della vicenda». Dietro il linguaggio tecnico e l’apparente neutralità della ricostruzione, l’articolo del Financial Times assume un tono che va oltre il semplice resoconto e risulta difficile separarne l’informazione verificata dalla funzione propagandistica. La notizia della collaborazione diretta tra l’intelligence americana e le forze ucraine viene presentata come un passo tattico necessario, quasi fisiologico, in un contesto in cui l’Occidente deve mantenere l’iniziativa per difendere Kiev e indirizzare l’esito del conflitto. Il messaggio implicito è rassicurante per il lettore europeo e atlantista: l’Ucraina sta vincendo grazie al supporto e alla superiorità tecnologica occidentale. La sostanza non è nuova. Fin dall’inizio del conflitto, Washington ha fornito a Kiev coordinate e immagini satellitari, informazioni utili a indirizzare gli attacchi contro postazioni e depositi militari russi. Ora, questa prassi viene semplicemente riconosciuta, ma con una cornice narrativa che mira a legittimare un coinvolgimento sempre più profondo che rischia di aumentare l’escalation e a espandere il conflitto su scala globale.
La parte più politica dell’articolo riguarda la Casa Bianca. Mentre gli occhi della comunità internazionale in queste ore sono puntati sul Medio Oriente, Volodymyr Zelensky prova a tenere alta l’attenzione degli alleati anche su Kiev: il leader ucraino ha sentito per la seconda volta in due giorni Donald Trump e ha parlato con Emmanuel Macron. Per far fronte all’esigenza di nuove armi, Kiev sta lavorando con Parigi per espandere l’iniziativa Purl, con i Paesi della NATO che acquistano armi americane da girare all’Ucraina. La richiesta, pressante, è sempre quella: più sistemi di difesa antiaerea e più missili, con un’attenzione particolare ai vettori di lungo raggio, per contrastare l’offensiva russa. Il Financial Times riferisce che l’attuale amministrazione americana, pur negando un coinvolgimento operativo diretto e non avendo ancora preso una decisione sull’invio dei Tomahawk a Kiev, intende «rendere pubblica» la portata del proprio sostegno per mostrare forza e determinazione, anche nei confronti di Mosca. La mossa avverrebbe in un momento in cui, secondo le stesse fonti, Trump sarebbe “irritato” con Vladimir Putin per la mancanza di progressi diplomatici dopo l’incontro bilaterale avvenuto in Alaska. Il possibile arrivo negli arsenali ucraini dei Tomahawk è motivo di «grave preoccupazione» per il Cremlino, che tuttavia ha puntualizzato: «È un’arma importante, che può essere in configurazione convenzionale o nucleare, ma allo stesso tempo non può cambiare la situazione sui fronti», ha fatto sapere il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.
La scelta di rendere note queste informazioni non è casuale: serve a consolidare l’immagine di un’America decisa, pronta a guidare la guerra per procura e, allo stesso tempo, a gestirne la narrazione. In sostanza, la rivelazione del Financial Times funziona come una velina diplomatica: Washington fa sapere al mondo ciò che desidera far sapere, nei tempi e nei modi che ritiene opportuni. Come spesso accade negli articoli che accompagnano le svolte di politica estera americana, il Financial Times cita «funzionari a conoscenza della questione», senza fornire prove documentali o riscontri indipendenti. È il modo più efficace per trasmettere l’impressione di una notizia esclusiva, senza doversi assumere la responsabilità della sua verificabilità. In questo senso, la tradizione del giornalismo anglosassone si intreccia con quella della diplomazia: si pubblica ciò che conviene pubblicare, e si tace ciò che non serve a orientare l’opinione pubblica. Dietro questa strategia di comunicazione, però, si intravedono obiettivi più concreti. Se Zelensky e i partner europei non mostrano disponibilità a una trattativa che non preveda la resa totale di Mosca, la linea americana sembra quella di prolungare il conflitto, logorare la Russia e trarne vantaggi economici e geopolitici, scaricando le sorti di Kiev sugli alleati europei. Le aziende statunitensi continuano a fornire armamenti e tecnologia a Kiev, mentre l’Europa si è già impegnata a sostenere i costi finanziari dell’operazione. Il risultato è un equilibrio asimmetrico: Washington rafforza la propria industria militare e l’influenza internazionale, l’Ucraina resta il terreno di scontro, mentre l’Europa paga il conto.
Pakistan, scontri in una manifestazione: 5 morti
In Pakistan, durante una protesta «contro le atrocità di Israele», sono scoppiati violenti scontri con le forze di polizia del Paese, in seguito a cui sono morte cinque persone. La protesta, organizzata dal partito Tehrik-e-Labaik Pakistan, considerato islamista e di estrema destra, si è svolta sull’autostrada che collega la città di Lahore alla capitale Islamabad. Secondo la versione ufficiale, nei pressi della città di Muridke, alcuni dei partecipanti avrebbero aperto il fuoco contro la polizia, facendo scoppiare uno scontro a fuoco; in seguito alla sparatoria sarebbero morti un agente, tre manifestanti e un passante. Tehrik-e-Labaik rigetta tale versione e sostiene che ad aprire il fuoco sia stata la polizia.
Madagascar sull’orlo della rivoluzione: una parte dell’esercito è con i manifestanti
La crisi politica in Madagascar ha raggiunto un nuovo punto di tensione. Una parte dell’esercito, i membri dell’unità d’élite Capsat, si è schierata con i manifestanti che da settimane protestano contro il presidente Andry Rajoelina. Come scrive Jeune Afrique, il Capo dello Stato sarebbe stato costretto a lasciare la capitale dopo che il corpo di gestione del personale dell’esercito del Madagascar ha rifiutato di eseguire gli ordini delle autorità di aprire il fuoco sui manifestanti e ha occupato una piazza nel centro della città. Le forze ribelli sostengono di aver assunto il controllo di diverse basi militari e di aver nominato un nuovo comandante, il generale Demosthène Pikulas. Rajoelina ha denunciato un «tentativo di prendere il potere illegalmente e con la forza», ha invitato la popolazione a «difendere la democrazia» assicurando che «la situazione è sotto controllo» e ha convocato d’urgenza il Consiglio di sicurezza nazionale.
Nel 2009, il contingente militare Capsat della base militare situata alla periferia della capitale malgascia Antananarivo aveva già guidato un ammutinamento durante la rivolta popolare che portò al potere proprio l’attuale presidente, ora contestato. La catena di comando militare appare ora frammentata e la capitale è divisa tra zone controllate dal governo e aree presidiate dai reparti ribelli. Intanto, la folla continua a riempire la Place du 13 Mai, mentre cresce l’incertezza sul destino del governo e aumenta la pressione sul Capo di Stato. Le proteste, lanciate il 25 settembre dal movimento della Generazione Z per protestare contro i tagli all’acqua e all’elettricità e contro l’aumento dei prezzi, si sono progressivamente trasformate in un movimento militare e politico contro l’esecutivo. I disordini di sabato sono iniziati dopo che alcuni membri dell’unità Capsat hanno pubblicato online un discorso in cui chiedevano a tutte le forze di sicurezza di «rifiutarsi di essere pagate per sparare ai nostri amici, ai nostri fratelli, alle nostre sorelle» e hanno invitato tutte le forze di sicurezza a lasciare i loro incarichi e a disobbedire ai superiori: «Noi, come personale militare, non stiamo più svolgendo il nostro ruolo», ha dichiarato un membro dell’unità nel discorso, circondato dai suoi commilitoni. In precedenza, la polizia aveva sparato granate stordenti e gas lacrimogeni per cercare di disperdere i manifestanti.
I dimostranti accusano il presidente Raojelina di aver tradito le promesse di riforma e di mantenere un sistema di potere bloccato e inefficiente. Il ministro delle Forze Armate, recentemente nominato, ha invitato le truppe a «mantenere la calma», durante una conferenza stampa tenutasi sabato. Nonostante il rimpasto di governo annunciato il 29 settembre, la mobilitazione è proseguita in tutto il Paese. Le autorità hanno imposto coprifuoco parziale in alcune province e limitato le comunicazioni mobili in alcune aree urbane. Secondo fonti locali e organizzazioni internazionali, almeno venti persone sono morte negli scontri delle ultime settimane, mentre oltre cento risultano ferite. Il governo parla di «incidenti isolati» e accusa «agitatori esterni» di alimentare la violenza. Sabato 11 ottobre, alcuni reparti della Capsat hanno lasciato le loro caserme per unirsi ai cortei, invitando altri militari a non intervenire contro i civili. Il ministro della Difesa ha ribadito che «le forze armate devono restare neutrali» e ha chiesto ai soldati di rientrare nei ranghi, ma diversi ufficiali di medio livello si sarebbero già uniti al movimento di protesta.
Parlando alla televisione di Stato sabato sera, il primo ministro, Ruphin Fortunat Zafisambo ha chiesto un cessate il fuoco immediato e l’apertura di un tavolo di mediazione, affermando che il governo è «pienamente pronto ad ascoltare e ad avviare un dialogo con tutte le fazioni: giovani, sindacati o militari». Rajoelina ha nominato Zafisambo e un nuovo ministro della Difesa e della Sicurezza dopo aver sciolto il precedente governo la scorsa settimana in risposta alle proteste. Intanto, gruppi civici e religiosi tentano di favorire un dialogo tra governo, opposizione e forze armate. La comunità internazionale osserva con preoccupazione l’evolversi della situazione in Madagascar: l’Unione Africana ha invitato «tutte le parti alla calma» e ha chiesto il rispetto dell’ordine costituzionale. Le Nazioni Unite monitorano la situazione, mentre alcuni Paesi europei hanno raccomandato ai propri cittadini di evitare viaggi verso l’isola. Le forze ribelli dichiarano di voler garantire la sicurezza dei civili e di non voler «prendere il potere», ma solo «ripristinare la legalità». Secondo la Banca Mondiale, circa il 75,2% della popolazione del Madagascar vive al di sotto della soglia di povertà nazionale. La pandemia di COVID-19, gli elevati prezzi dei prodotti alimentari di base e le condizioni metereologiche hanno messo a dura prova la produzione agricola, uno dei principali motori economici del Paese. Si teme, inoltre, che i dazi del presidente Trump possano danneggiare le esportazioni di vaniglia e di altre materie prime da cui l’isola dipende fortemente. Le prossime ore saranno decisive per capire se il Madagascar riuscirà a evitare un nuovo colpo di Stato o se la crisi evolverà in un conflitto interno destinato a cambiare ancora una volta il corso della sua fragile democrazia.
Nobel per l’Economia 2025 a Mokyr, Aghion e Howitt
Il Premio Nobel per l’Economia 2025 è stato assegnato a Joel Mokyr, Philippe Aghion e Peter Howitt, «per aver spiegato la crescita economica guidata dall’innovazione». Il comitato nominato dall’Accademia reale svedese delle scienze ha scelto di premiare questi tre studiosi per aver chiarito come le nuove idee e i progressi tecnici siano motori essenziali nella dinamica di sviluppo dei sistemi economici. Mokyr, Aghion e Howitt sono tra i principali esponenti della moderna teoria della crescita: hanno dimostrato che non è solo l’accumulazione di capitale o lavoro a guidare la prosperità, ma la capacità di introdurre innovazioni che rompano equilibri esistenti e aprano nuove possibilità produttive. Questa visione influenza oggi politiche industriali, strategie di ricerca e investimenti pubblici e privati.
Aosta: Raffaele Rocco eletto sindaco per 15 voti
Raffaele Rocco è il nuovo sindaco di Aosta. Il candidato sostenuto dall’alleanza autonomisti-PD ha vinto il ballottaggio con appena 15 voti di scarto sullo sfidante di centrodestra Giovanni Girardini. Rocco ha ottenuto il 50,06 % dei consensi (6.420 voti) contro il 49,94 % (6.405 voti) del rivale. Lo spoglio, durato fino a notte fonda, si è risolto solo all’ultimo seggio. L’affluenza al secondo turno si è fermata al 45,7 %. Valeria Fadda, compagna di lista di Rocco, sarà la nuova vicesindaca. Il risultato, tra i più risicati nella storia della città, segna la riconferma del centrosinistra e apre una fase politica segnata da equilibri delicati e opposizione agguerrita.







