sabato 8 Novembre 2025
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Intesa anti-concorrenza, maxi multa di Antitrust a sei compagnie petrolifere

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L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha inflitto una maxi multa da oltre 936 milioni di euro a sei colossi del petrolio – Eni, Esso, Ip, Q8, Saras e Tamoil – accusati di aver creato un cartello per coordinare il valore della componente bio nei carburanti. Secondo l’Antitrust, tra il gennaio 2020 e il giugno 2023 le compagnie si sarebbero accordate per applicare aumenti di prezzo su un elemento reso obbligatorio per legge. L’indagine, avviata da una segnalazione interna, ha portato a sanzioni differenziate: la più pesante a Eni (336 milioni). Escluse Iplom e Repsol.

Crisi dell’auto: Stellantis sospende la produzione in sei stabilimenti europei

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È arrivato un nuovo, duro colpo per il settore automotive europeo: il gruppo Stellantis, secondo costruttore del continente dopo Volkswagen, ha annunciato una serie di stop temporanei della produzione in sei stabilimenti strategici del continente. La decisione, motivata dalla necessità di adeguare la produzione a un mercato giudicato «difficile» e di gestire le scorte in un contesto di domanda stagnante, coinvolge impianti in Italia, Francia, Germania, Spagna e Polonia. L’annuncio getta un’ombra sulle prospettive dell’azienda, alle prese con un calo delle vendite dell’8,1% nei primi sette mesi del 2025 e con le difficoltà di modelli chiave come la Fiat Panda e l’Alfa Romeo Tonale.

In Italia, l’epicentro della sospensione è lo stabilimento di Pomigliano d’Arco, dove la linea della Fiat Panda – storico cavallo di battaglia che mostra segni di debolezza (-10% di immatricolazioni in Italia) – resterà ferma dal 29 settembre al 6 ottobre. In contemporanea, la produzione dell’Alfa Romeo Tonale sarà sospesa dal 29 settembre al 10 ottobre. La direzione ha annunciato il ricorso al contratto di solidarietà. Anche Torino-Mirafiori, dove si produce la Fiat 500 elettrica, è interessata da uno stop, segnale di una riflessione sulla transizione elettrica. Oltre le Alpi, la situazione è analoga. In Francia, lo stabilimento di Poissy, l’ultima fabbrica di assemblaggio nell’Île-de-France, chiuderà per 15 giorni, dal 13 al 31 ottobre, lasciando circa 2.000 dipendenti in cassa integrazione. In Germania, il sito di Eisenach, dove si produce il Suv Opel “Grandland”, si fermerà per due giorni, il 1° e 2 ottobre. La Polonia, con lo stabilimento di Tychy, registrerà sempre nel mese di ottobre nove giorni di stop, mentre in Spagna gli impianti di Saragozza e Madrid si fermeranno rispettivamente per cinque e quattordici giorni.

Un portavoce del gruppo ha affermato che si tratta di «una misura necessaria per adattare il ritmo di produzione a un mercato difficile, gestendo al contempo le scorte in modo efficiente prima della fine dell’anno». L’obiettivo dichiarato è evitare «un’ammucchiata di auto nei parcheggi delle fabbriche o dei concessionari». Tuttavia, dietro la retorica ufficiale si cela una realtà più preoccupante. Secondo le analisi, gli ordini per l’Alfa Romeo Tonale stanno crollando e si teme che per la Panda si possa passare da due a un solo turno di produzione da novembre. Questi fermi, che rappresentano 62 giorni cumulativi di produzione in meno, sottolineano le profonde difficoltà di Stellantis in Europa. La crisi non è isolata: anche Volkswagen ha rivisto al ribasso le previsioni 2025 e parla di una maxi-ristrutturazione. Il quadro è quello di un’industria sotto pressione, schiacciata tra calo della domanda interna, concorrenza cinese e incertezze sulla transizione elettrica.

Che il periodo per gli stabilimenti italiani non fosse dei migliori lo si era già capito alla fine di agosto, quando nello storico sito produttivo di Pomigliano era stato firmato un pre-accordo tra l’azienda e le sigle sindacali che ha esteso di un ulteriore anno, fino all’8 settembre 2026, la cassa integrazione in regime di solidarietà in deroga per 3.750 lavoratori. La misura, che prevede una riduzione media dell’orario di lavoro fino al 75%, arriva dopo il biennio concesso dalla cassa integrazione ordinaria, ormai esaurito. Stellantis ha inoltre comunicato ai sindacati la necessità di prolungare la durata della solidarietà per 2.297 lavoratori dello stabilimento di Mirafiori (Torino) fino al 31 gennaio. Mentre la produttività dell’azienda è in calo in tutti gli stabilimenti italiani, con flessioni fino al 72% rispetto all’anno scorso, Stellantis sta delocalizzando la produzione in Paesi africani come in Marocco e Algeria, dove conta di aumentare gli investimenti e assumere più personale.

Gli USA ritirano il visto al presidente della Colombia

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Il Dipartimento di Stato USA ha annunciato il ritiro del visto del presidente colombiano Gustavo Petro, il quale venerdì 26 settembre ha preso parte a una protesta per la Palestina a Manhattan, New York. Petro si era infatti avvicinato alla folla di manifestanti  pro-Palestina riunitasi all’esterno del quartier generale dell’ONU e aveva chiesto ai soldati che presidiavano il palazzo di non puntare le armi contro i manifestanti e disobbedire a Trump. In seguito a quelle che il Dipartimento di Stato ha definito azioni «sconsiderate e incendiarie», il governo ha deciso di revocargli il visto.

Ieri Netanyahu ha sorvolato l’Italia, nonostante il mandato d’arresto internazionale

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Mentre la premier italiana Giorgia Meloni lancia critiche a parole contro lo Stato di Israele, e annuncia mozioni farsa per riconoscere lo Stato di Palestina, l’Italia continua a sostenere Tel Aviv. Ieri, 25 settembre, l’aereo del primo ministro Netanyahu, atteso a New York per parlare davanti alle Nazioni Unite, ha infatti sorvolato indisturbato i cieli italiani, nonostante contro di lui sia stato emesso un mandato d’arresto internazionale. L’aereo di Stato israeliano ha percorso una rotta a dir poco insolita, guardandosi bene dall’evitare lo spazio aereo francese e quello spagnolo, ma non si è fatto alcun problema a navigare su quello italiano. Per farlo, ha necessariamente ottenuto il lasciapassare dalle autorità italiane, come stabilito dalle carte internazionali che regolano il traffico aereo globale; l’Italia ha però ignorato il fatto che, secondo le regole della Corte Penale Internazionale, dovrebbe «collaborare pienamente» per far sì che i suoi mandati vengano rispettati, preferendo facilitare la vita a un criminale di guerra.

A notare l’insolita rotta dell’aereo di Netanyahu è stato il corrispondente di guerra dell’emittente israeliana Channel 11, Itay Blumental. Dopo avere sorvolato il territorio greco, l’aereo, al posto di seguire la solita rotta e passare dalla Francia, ha virato verso la Calabria, sorvolando lo spazio aereo italiano, per poi seguire un tracciato analogo a quello che avrebbe seguito una barca; ha dunque viaggiato sopra il mare, superando lo stretto di Gibilterra dall’alto delle sue acque, senza incrociare lo spazio aereo spagnolo. Evitare lo spazio aereo francese ha costretto il Wings of Zion (il nome dell’aereo di Stato israeliano) a percorrere 600 chilometri in più di viaggio. Le ragioni dietro questo insolita deviazione sono ancora ignote, ma i giornali israeliani ritengono che Netanyahu volesse evitare di attraversare lo spazio aereo francese per paura che Parigi implementasse il mandato di cattura varato dalla CPI nel caso in cui si fosse rivelato necessario effettuare un atterraggio di emergenza. A rafforzare tale ipotesi, c’è il fatto che il velivolo abbia circumnavigato anche lo spazio aereo spagnolo. Fonti diplomatiche francesi, tuttavia, avrebbero detto all’agenzia di stampa AFP che Parigi aveva precedentemente rilasciato a Netanyahu il permesso di sorvolare il proprio spazio aereo.

Per quanto non sia mai successo che un aereo venisse intercettato e costretto ad atterrare perché sopra di esso viaggiava una persona incriminata dalla CPI, le interpretazioni giuridiche sulla condotta che dovrebbero assumere gli Stati in questo caso sono contrastanti. L’Articolo 86 dello Statuto di Roma, con il quale è stata istituita la Corte, prevede infatti che gli Stati collaborino «pienamente» perché gli ordini del Tribunale vengano rispettati; i mandati d’arresto, inoltre, si applicano qualora un individuo si trovi nel «territorio» di un Paese membro. Il concetto di territorio, tuttavia, non è definito esplicitamente né dalla CPI, né dalle carte internazionali (che si limitano piuttosto a fornirne una definizione funzionale, in relazione ai temi affrontati dai trattati), e lo Statuto di Roma non fa riferimento esplicito allo spazio aereo degli Stati. Lo spazio aereo rientra piuttosto nella sovranità dei Paesi. A stabilirlo è l’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile, con la sua Convenzione sull’Aviazione Civile Internazionale, nota come Convenzione di Chicago (ICAO). L’ICAO non stabilisce che lo spazio aereo di un Paese rientri all’interno del suo territorio, anche se tale accezione è comunemente accettata dal diritto consuetudinario. In generale, con “territorio” si intende quella porzione geografica nella quale uno Stato esercita la propria sovranità, e, quindi, anche lo spazio aereo; l’equiparazione tra spazio aereo e territorio non è tuttavia giuridicamente vincolante.

In ogni caso, l’Articolo 3 dell’ICAO stabilisce che «nessun aeromobile di Stato di uno Stato contraente può sorvolare il territorio di un altro Stato o atterrarvi senza autorizzazione». Questo significa che, per attraversare lo spazio aereo di un territorio, un aereo di Stato deve prima chiedere il permesso di farlo alle autorità competenti: l’Italia, dunque, glielo ha fornito. Malgrado gli obblighi di Roma in una simile situazione non siano così chiari, risulta evidente che Netanyahu ritiene l’Italia un alleato abbastanza solido da potere sorvolare il suo territorio senza temere alcuna ripercussione e che il nostro Paese non abbia intenzione di mettergli i bastoni tra le ruote, facilitandogli, piuttosto, il viaggio. L’Italia avrebbe infatti potuto impedire al Wings of Zion di attraversare il proprio spazio aereo. In passato diversi Paesi hanno negato ai voli con a bordo presidenti di altri Stati di entrare nel proprio spazio aereo per timore che essi trasportassero persone incriminate: successe all’ex presidente boliviano Evo Morales, nel 2013, mentre era di rientro dalla Russia; in quell’occasione, Francia, Spagna e Portogallo gli negarono di sorvolare il proprio territorio per timore che il velivolo trasportasse Edward Snowden, soggetto a un caso di estradizione internazionale.

Netanyahu all’ONU: no a uno Stato palestinese e minacce all’Iran

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Oggi, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha parlato presso il palazzo di vetro dell’ONU. All’inizio del suo discorso, decine di delegati hanno abbandonato la sala, e Netanyahu ha parlato davanti a un’aula semivuota. Il premier ha affermato che il suo governo continuerà a opporsi all’istituzione di uno Stato palestinese, affermando che questa sarebbe la posizione «del 90% degli israeliani». Netanyahu ha criticato duramente i Paesi che hanno scelto di riconoscere la Palestina, e celebrato l’ultimo anno di campagna bellica israeliana contro tutti i Paesi del Medio Oriente. Il premier ha inoltre lanciato un altro appello contro la presunta «minaccia nucleare dell’Iran», lanciando velate minacce alla Repubblica Islamica.

Progetto Pulfar: il controverso parco eolico che incombe sul monte Craguenza

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Entro la fine di settembre, la popolazione delle Valli del Natisone (provincia di Udine) dovrebbe sapere se il suo territorio sarà interessato dalla costruzione di un parco eolico dalla potenza di 28,8 MW. Lo scorso 7 luglio, sul sito della Regione Friuli-Venezia Giulia è stata pubblicata la documentazione relativa al progetto ‘’Pulfar’’ che la società milanese Ponente Green Power srl vorrebbe costruire sul monte Craguenza: quattro pale eoliche alte 200 metri e dal diametro di 160 metri ciascuna sarebbero installate su 1,7 km lungo il crinale della montagna. Mentre l’estate avanzava e, verosimilmente, l’attenzione delle persone calava, sono partiti i trenta giorni entro i quali era possibile presentare eventuali osservazioni sul progetto che si vede davanti tre opzioni: l’approvazione senza obbligo di Valutazione d’impatto ambientale (VIA), il rinvio della proposta alla Commissione Via, oppure la bocciatura. Ma il caldo sembrerebbe non aver distratto i valligiani che in coro – amministrazioni comunali comprese – si stanno opponendo al parco eolico anche attraverso il comitato Salviamo il Craguenza formatosi dopo la diffusione della notizia del progetto.

A preoccupare maggiormente la popolazione dei comuni di Pulfero, Torreano, Cividale del Friuli, Moimacco e San Pietro al Natisone è la deturpazione del paesaggio e dell’equilibrio naturale del Craguenza, a partire dall’aspetto geologico e da quello legato all’avifauna. Nella documentazione relativa all’inquadramento geologico presentata dalla società proponente, la zona viene genericamente identificata come carsica senza riportare alcun riferimento alla specificità dell’ambiente ipogeo e alla sua fragilità. Eppure le Valli del Natisone sono caratterizzate da cavità, sorgenti e sprofondamenti e sono interessate da un’alta permeabilità il che significa che l’ambiente subaereo e il sottosuolo sono fortemente connessi. Simbolo del fenomeno carsico della zona è la Grotta di San Giovanni d’Antro, una cavità sotterranea naturale formata a seguito dell’erosione delle rocce solubili a opera delle acque piovane che si estende per almeno 4 km sotto il Craguenza. Anche questa grotta potrebbe risentire del parco eolico, poiché, con il consumo di una parte significativa del suolo, c’è il rischio che vengano alterati gli equilibri. Gli ambienti ipogei, infatti, risentono fortemente di ogni intervento fatto sia sotto terra sia in superficie: è sufficiente una minima modifica nel collegamento tra il mondo esterno e sotterraneo per far minare l’assetto naturale creando scompensi ambientali.

La società Ponente Green Power srl sembrerebbe essere stata particolarmente lacunosa anche nella relazione di inquadramento avifaunistico sia per quanto riguarda l’aspetto metodologico sia, di conseguenza, nei risultati riportati. Come spiegatoci da Michela Corsini, biologa che, insieme ad altri esperti italiani e sloveni, ha ultimato un’approfondita relazione sul tema messa a disposizione dei Comuni, il metodo con cui i proponenti dell’opera hanno effettuato i sopralluoghi finalizzati a valutare le specie ornitiche della zona presenta numerose criticità. Il mese dell’anno (aprile) e gli orari (la mattina e il tardo pomeriggio) in cui sono stati fatti i monitoraggi hanno fatto sì che i tecnici della Ponente Green Power srl individuassero un numero molto ridotto di specie (38) rispetto al reale status della zona (da un minimo di 85 a un massimo di 230). Inoltre, se ad aprile è difficile trovare molte specie di uccelli migratori, nelle ore più fresche della giornata raramente si osservano i rapaci caratterizzati da grandi aperture alari. È forse per questo che nella lista delle specie ornitiche della Ponente Green Power è assente il grifone, sebbene l’area individuata per il parco eolico sia regolarmente utilizzata da questi rapaci per il volo veleggiato – un tipo di volo passivo effettuato sfruttando le correnti d’aria senza ricorrere al battito delle ali –, l’alimentazione e lo sfruttamento delle correnti ascensionali. Con la messa in opera di Pulfar, il grifone sarebbe molto colpito: la quota a cui abitualmente vola nell’area di progetto si sovrappone direttamente con la fascia di rotazione delle quattro pale eoliche previste, una pericolosa sovrapposizione che rende la probabilità di collisione elevata. Che il crinale del monte Craguenza non sia un’area idonea per la pianificazione di impianti eolici è indicato anche nella mappa di sensibilità aviaria per lo sviluppo dell’energia eolica in Polonia e in Italia. Realizzata in collaborazione tra BirdLife International, OTOP (per la Polonia) e Lipu (per l’Italia), la mappa individua il crinale del Craguenza come zona a rischio molto elevato per le specie ornitiche e dunque non adatta alla costruzione di impianti.

Oltre a queste lacune, Corsini e colleghi hanno sottolineato grandi limiti anche nella metodologia usata per il rilievo dei chirotteri (pipistrelli). Nella relazione della società milanese sono considerate come autoctone tre specie di pipistrelli la cui presenza, seppur possibile, a oggi non è ancora stata verificata in Friuli-Venezia Giulia e invece ne mancano due tipiche della zona. Sorge dunque il dubbio che alcune parti della documentazione siano dei copia incolla di studi forniti dalla stessa società per progetti da realizzarsi nel centro e sud Italia. Cosa non impossibile da immaginare visto che tra il 2024 e il 2025 l’ingegnere firmatario del Pulfar, Leonardo Sblendido, ha posto la sua firma su almeno altri tre progetti analoghi: l’impianto “Parco eolico Campanaro” in provincia di Crotone, l’impianto eolico da realizzarsi nei comuni di Campomarino e San Martino in Pensilis (Campobasso), l’impianto eolico “Bonifati” in provincia di Cosenza. La corsa all’eolico sembrerebbe andare al ritmo delle scadenze del PNRR le cui opere finanziate devono essere ultimate entro il 2026. Nel caso del Pulfar, la Ponente Green Power srl, società fantasma con zero dipendenti e un capitale sociale di 5mila euro, ha stimato un investimento complessivo di circa 65 milioni di euro che potrebbe contare sui fondi PNRR. Inoltre, laddove il progetto passasse con la regola di assoggettamento alla VIA, grazie al decreto semplificazioni il rilascio della valutazione di impatto ambientale arriverebbe dopo 175 giorni: nel rispetto del cronoprogramma indicato nel PNRR, per le opere che coinvolgono la cosiddetta “rivoluzione verde” le tempistiche per il rilascio della VIA sono più che dimezzate. Facendo un rapido conto, laddove i cantieri dovessero cominciare, il loro inizio non sarebbe anteriore a marzo 2026 e, come dichiarato dalla società proponente, richiederebbero circa un anno di tempo. I guadagni in gioco appaiono però troppo alti per non tentare la fortuna e seguire uno schema che prevede la presentazione diffusa e superficiale di progetti e la fiducia in future proroghe delle scadenze del PNRR.

Microsoft, al centro del boicottaggio per Gaza, interrompe alcuni servizi a Israele

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Dopo un’attenta analisi, Microsoft ha annunciato di aver sospeso l’accesso ad alcuni servizi di cloud e intelligenza artificiale precedentemente messi a disposizione dell’Unità 8200, il reparto d’élite delle forze armate israeliane specializzato in spionaggio e guerra cibernetica. Ufficialmente, la decisione della Big Tech è il risultato di una revisione interna tuttora in corso, la quale suggerisce che le truppe di Tel Aviv stiano adoperando gli strumenti tech per imbastire una sorveglianza di massa del popolo palestinese, un utilizzo che viola gli accordi contrattuali siglati con l’azienda. Anche se è ovvio ipotizzare che la decisione sia il frutto della pressione che da tempo ha colpito la multinazionale americana, al centro della campagna di boicottaggio internazionale. Che la piattaforma Azure fosse impiegata in ambito militare era tema di contestazione già da tempo; la svolta annunciata oggi appare dunque tardiva e la precedente inerzia dell’azienda ha contribuito a trasformare il caso in un incidente politico che coinvolge per vie traverse anche l’Unione Europea.

“Non forniamo tecnologia che possa facilitare la sorveglianza di massa dei civili”, ha scritto  questo giovedì Brad Smith, in una lettera ai dipendenti. “Abbiamo applicato questo principio a ogni nazione del mondo e abbiamo mantenuto questa posizione ripetutamente, per più di due decenni”. Lo sdegno del dirigente suona però artefatto, considerando che già da mesi fughe di informazioni, documenti trapelati e testimonianze dirette avevano mostrato come Azure fosse utilizzato in contesti repressivi. 

Il gruppo “No Azure for Apartheid”, formato da attivisti, ma anche dipendenti ed ex dipendenti di Microsoft, porta avanti le sue proteste pubblicamente almeno dal 2024, denunciando la complicità dell’azienda con il sistema di controllo israeliano. Nel gennaio 2025, la testata inglese The Guardian, la pubblicazione israelo-palestinese +972 Magazine e il giornale in lingua ebraica Local Call avevano invece documentato nei dettagli le applicazioni oppressive di Azure e delle IA da parte di Israele, citando documenti interni che suggerivano come Microsoft, in competizione con i giganti coinvolti nel “Progetto Nimbus”, avrebbe deliberatamente evitato di approfondire le reali intenzioni dei militari israeliani. All’epoca, l’azienda aveva dichiarato di “non aver trovato prove” che i propri strumenti venissero usati “per colpire o danneggiare civili” nelle aree controllate e bombardate dalle Forze di difesa israeliane (IDF).

Le stesse testate sono tornate sul tema lo scorso agosto, rivelando l’esistenza di un sistema capace di intercettare e registrare “un milione di chiamate all’ora”. Un volume di dati tale da eccedere il potenziale di conservazione dei server israeliani, con il risultato che una parte consistente di queste informazioni è finita sui server europei dei Paesi Bassi e, possibilmente, dell’Irlanda, ambo nazioni in cui vigono le leggi sulla privacy dettate dal GDPR. Nella sua lettera, Smith ha sostenuto che il rispetto della privacy dei clienti ha limitato la possibilità di accorgersi per tempo degli abusi e che solo le ultime rivelazioni giornalistiche sono state in grado di portare alla luce il problema.

Resta da capire se la mossa di Microsoft rappresenti un cambio di rotta sostanziale o se il tutto sia un’operazione di facciata. Secondo indiscrezioni, l’Unità 8200 avrebbe già trasferito in estate i circa 8.000 terabyte di dati che erano conservati nei Paesi Bassi, quindi è facile credere che le informazioni trafugate ai palestinesi siano già state messe al sicuro altrove. Secondo indiscrezioni, sulla piattaforma di Amazon Web Services (AWS), sussidiaria della multinazionale del commercio online Amazon. Inoltre, la recente sospensione è circoscritta a solamente una manciata di casi specifici: l’azienda ha “disabilitato” l’accesso ai servizi che supportavano il progetto di sorveglianza e ha congelato “alcune” forme di accesso alla sua IA, tuttavia la decisione non ha impattato sul più ampio rapporto commerciale che lega Microsoft all’IDF.

Moldavia: escluso dalle elezioni un partito perché “filorusso”

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Il comitato elettorale centrale della Moldavia ha escluso il partito Cuore di Moldavia dalle elezioni parlamentari previste per la prossima domenica perché considerato filorusso. Cuore di Moldavia fa parte del Blocco Elettorale Patriottico, una coalizione di partiti accusati di essere troppo vicini alla Russia di Putin; il partito è stato fondato l’anno scorso da Irina Vlah, ex governatrice della regione della Gagauzia già in passato protagonista di scontri politici con l’amministrazione della presidente Maia Sandu. L’esclusione del partito alle elezioni fa seguito a una sentenza del tribunale che ne ha limitato l’attività per un anno.

GLADIO: l’organizzazione segreta americana che per 40 anni ha sorvegliato l’Italia

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È forse di Vincenzo Vinciguerra, militante di Ordine Nuovo e reo confesso per l’eccidio di Peteano, la migliore sintesi di quello che è successo in Italia durante trent’anni di Guerra fredda, tra la Liberazione dai tedeschi e la vittoria della Germania Ovest ai mondiali di calcio, qualche mese prima di riunificarsi con quella Est (per misurare il tempo come se Berlino fosse un metronomo): «Destabilizzare l’ordine pubblico per stabilizzare l’ordine politico». Una lunga forbice nella quale in Europa si aggirava lo spettro comunista, nel senso che i Paesi occidentali si aspettavano da un momento ...

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La CEDU ha stabilito che l’anarchico Alfredo Cospito può restare al 41-bis

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La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha dichiarato «manifestamente infondato» il ricorso di Alfredo Cospito contro il regime carcerario del 41-bis. I giudici hanno stabilito che le autorità italiane hanno fornito prove sufficienti per giustificare la misura detentiva, anche considerando il peggioramento delle sue condizioni di salute, causato dallo sciopero della fame che l’anarchico ha portato avanti per mesi per protestare contro un regime carcerario definito “di tortura” non solo dal legale di Cospito, Flavio Rossi Albertini, ma anche da un rapporto di Amnesty International e, in alcuni suoi aspetti, in passato proprio dalla stessa CEDU. Il 41-bis è un regime carcerario di totale isolamento pensato originariamente per i boss mafiosi, tuttavia Cospito ci si trova dal maggio 2022 in quanto accusato di aver pubblicato proclami giudicati “sovversivi” su riviste anarchiche mentre si trovava in carcere. Il ricordo era stato presentato alla CEDU il 15 marzo 2023. Per quasi sei mesi Cospito non ha mangiato, mettendo a rischio la propria vita per denunciare le proprie condizioni carcerarie e dei quasi 750 detenuti che vivono nelle stesse sezioni. Davanti alla corte Cospito ha ribadito che il 41-bis gli era stato applicato arbitrariamente, denunciando la natura invasiva delle restrizioni subite in quel regime nonché la mancanza di un’adeguata motivazione per la quali era lì recluso. Ha anche ribadito che le sue condizioni di salute erano incompatibili con la detenzione e che temeva di essere obbligato a cure mediche forzate, dato il lungo sciopero della fame a cui si stava sottoponendo, iniziato il 20 ottobre 2022 e finito il 9 aprile 2023. La Corte Europea in passato aveva evidenziato criticità tra il regime del 41-bis e tre articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: il numero 3 (che vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti), il numero 8 (che stabilisce il diritto inviolabile alla vita privata e familiare) e il numero 13 (che prescrive il diritto a un ricorso effettivo da parte dei detenuti). Nonostante questo, la CEDU ha rigettato il ricorso sentenziando che: “l’ordinanza ministeriale dà una descrizione dettagliata e personalizzata, basata su prove fornite da diversi organismi e agenzie statali, tra cui, tra l’altro, i precedenti penali, le sue condanne penali, il suo ruolo all’interno di quelle che sono definite associazioni sovversive e, in particolare, alcuni movimenti anarchici”, evidenziando come le comunicazioni dalla prigione del detenuto “incitassero alla violenza”. Sulle condizioni di salute, la CEDU sostiene che Cospito fosse informato sugli effetti e sulle conseguenze dello sciopero della fame e anche del tipo di trattamento medico gli sarebbe stato somministrato a causa del deterioramento delle sue condizioni di salute. Alfredo Cospito è stato condannato a 23 anni per “strage”, nonostante “l’attentato” di cui è stato giudicato responsabile è stato il collocamento di un ordigno esplosivo a basso potenziale e collocato appositamente di notte, quando non vi era nessuno che potesse rimanere ferito, fuori da una caserma dei carabinieri. Da maggio 2022 è sottoposto al regime di 41-bis nel carcere di Bancali, a Sassari, in Sardegna, rinchiuso per 23 ore al giorno in una cella posta in parte sotto al livello del mare. Dopo lo sciopero della fame è stato inoltre sottoposto ad aggiuntive forme di controllo e pena, giudicate punitive e di vendetta dall’avvocato, come il divieto di acquistare libri e il sequestro della foto dei genitori morti che teneva appesa dentro la cella. Vari processi per la quale è stato accusato sono caduti in un nulla di fatto, come l’inchiesta Sibilla, una delle ragioni per la quale è stato mandato in 41-bis. Un’inchiesta che accusava 12 persone tra cui Cospito di istigazione a delinquere e di istigazione all’eversione, aggravate dalla finalità di terrorismo semplicemente per la pubblicazione di una rivista anarchica denominata Vetriolo. «Prendiamo amaramente atto della decisione, tutto sommato scontata, la giurisprudenza della Cedu è nota e non lasciava grandi speranze di successo», ha dichiarato l’avvocato difensore, Flavio Rossi Albertini. «Tra pochi mesi scadrà il termine di quattro anni del provvedimento applicativo e vedremo quali saranno i pareri che giungeranno al Ministro Nordio sulla necessità o meno del rinnovo. Già nel 2022 la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo aveva rivisto il proprio parere sulla necessità del 41 bis per Cospito associandosi alla difesa nel richiedere una revoca anticipata del l’afflittivo regime detentivo. Nonostante l’attuale fase politica sia improntata al populismo penale e alla repressione del dissenso, speriamo che la direzione nazionale confermi il convincimento espresso».