venerdì 21 Novembre 2025
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Guida autonoma di Tesla sotto indagine per incidenti mortali e frenate fantasma

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È stata aperta un’inchiesta per esaminare casi di “frenate fantasma” e incidenti con esiti mortali che coinvolgono vetture Tesla in modalità autonoma. Nei dati raccolti emergono migliaia di reclami: oltre 2.400 segnalazioni per accelerazioni involontarie e almeno 1.500 per problemi di frenata, fra cui 139 episodi riconducibili a bruschi arresti inspiegabili. L’attenzione degli inquirenti si concentra su quasi 2,9 milioni di veicoli dotati del sistema Autopilot che, in alcuni casi, avrebbe agito in autonomia con comportamenti pericolosi. Alcuni incidenti già noti – inclusi almeno 13 morti in un triennio secondo documenti del Guardian – vengono riesaminati alla luce di queste anomalie sistemiche. Le autorità intendono chiarire se difetti tecnici, algoritmi mal progettati o gestione dei dati abbiano contribuito ai sinistri e valutare eventuali responsabilità legali verso il costruttore americano.

María Corina Machado: biografia della golpista filo-americana che ha vinto il Nobel per la Pace

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L’assegnazione del Premio Nobel per la Pace 2025 a María Corina Machado è stata accolta con favore da molte personalità di spicco e politici all’interno dell’UE, ma ha aperto un dibattito politico e mediatico. La leader dell’opposizione venezuelana, premiata per i suoi sforzi «a favore della democrazia e dei diritti umani», descritta dal Comitato norvegese come «una coraggiosa e impegnata paladina della pace», che mantiene accesa «la fiamma della democrazia in mezzo a un’oscurità crescente», viene celebrata in Occidente come simbolo della resistenza al chavismo. Lungi dall’essere pacifista, però, Machado è una golpista filo-americana, che non ha esitato a ricorrere alla violenza e a richiedere interventi esterni contro il suo Paese, collocandosi nella costellazione delle forze politiche della destra radicale che contemplano l’uso della pressione esterna come leva per il regime change venezuelano.

Un premio per “procura”

Il Nobel a Machado, più che un tributo alla pace, appare, inoltre, come un gesto politico dell’Occidente verso Caracas e, indirettamente, verso Washington, sebbene formalmente la Casa Bianca abbia criticato la decisione, con Donald Trump che sperava di ricevere il premio. Secondo alcuni osservatori, infatti, si sarebbe trattato di una vittoria “per procura” per il presidente statunitense, che lei stessa nell’aprile 2024, in un’intervista a Estadão, ha definito «un alleato costante» della causa venezuelana. Proveniente dall’ala più radicale dell’opposizione venezuelana, María Corina Machado si è distinta nel tempo per le sue posizioni estreme, arrivando in passato a sostenere anche la necessità di un intervento militare per rovesciare il governo di Nicolás Maduro.

Una golpista sotto l’ombrello di Washington

La sua figura emerse già durante il fallito colpo di Stato dell’aprile 2002 contro Hugo Chávez, quando partecipò attivamente alle proteste e fu tra i civili che firmarono il decreto di Pedro Carmona, con cui si tentò di sciogliere le istituzioni democratiche e instaurare un governo provvisorio. Quel gesto la collocò tra i protagonisti del tentativo di golpe, sostenuto da settori imprenditoriali e con l’appoggio implicito degli Stati Uniti. Da allora, Machado è rimasta un punto di riferimento della destra radicale venezuelana, filo-occidentale e apertamente contraria a ogni forma di compromesso politico, assumendo posizioni incompatibili con i princìpi di dialogo, sovranità e non interferenza che un riconoscimento dedicato alla pace dovrebbe invece rappresentare.

Súmate e i finanziamenti del NED

María Corina Machado Parisca è nata a Caracas il 7 ottobre 1967, da una famiglia benestante e legata all’élite venezuelana. Ha studiato ingegneria industriale e poi finanza, e si è avvicinata alla politica fondando nel 2002 insieme all’ingegnere Alejandro Plaz l’organizzazione “civica” di monitoraggio elettorale e la promozione della partecipazione democratica in Venezuela Súmate. Presentata ufficialmente come un’ONG apartitica, Súmate è in realtà divenuta presto un potente strumento politico dell’opposizione anti-chavista. L’associazione ottenne notorietà internazionale nel 2004 quando organizzò la raccolta firme per il referendum revocatorio contro Hugo Chávez. In quell’occasione, emersero i legami finanziari con il National Endowment for Democracy (NED), l’ente statunitense che da decenni finanzia progetti di “promozione della democrazia” all’estero, spesso in contesti geopoliticamente sensibili. Documenti pubblici del NED confermano un finanziamento di circa 53.400 dollari a Súmate per «programmi di educazione elettorale» e «partecipazione civica», ma il governo venezuelano denunciò l’operazione come un tentativo di ingerenza politica diretta. Rapporti d’analisi suggeriscono che il NED, oltre a finanziare Súmate, abbia sostenuto altre organizzazioni dell’opposizione venezuelana, servizi d’informazione e campagne politiche indirette, contribuendo a una rete di supporto esterno alla dissidenza.

L’accusa di cospirazione

Nel 2005, Machado e Plaz furono incriminati per “cospirazione” e “ricezione di fondi esteri illegali”, poiché la Costituzione venezuelana vieta il finanziamento straniero a iniziative di carattere politico. Il NED, da parte sua, difese l’operazione come un normale sostegno alla società civile, mentre Washington accusò Caracas di «criminalizzare l’attivismo democratico». Analisti indipendenti e inchieste giornalistiche hanno mostrato come i progetti del NED in Venezuela abbiano storicamente agito in sinergia con le strategie di destabilizzazione del Dipartimento di Stato. Súmate, pur definendosi “neutrale”, ha operato in costante opposizione al chavismo, promuovendo azioni che hanno avuto un chiaro impatto politico. Di fatto, l’associazione ha rappresentato il trampolino di lancio per l’ascesa pubblica di Machado e il suo consolidarsi come riferimento dell’ala filo-americana e neoliberale dell’opposizione venezuelana. Apertamente anticomunista, nel 2011 è stata eletta deputata nazionale, restando fino al 2014. Uno dei volti visibili dell’opposizione venezuelana nelle manifestazioni del febbraio 2014, chiamate La Salida, nel marzo dello stesso anno è stata rimossa dall’incarico di deputata, per la presunta flagrante violazione degli articoli 149 e 191 della Costituzione del Venezuela del 1999, dopo aver accettato l’incarico di “ambasciatore supplente” di Panama presso l’Organizzazione degli Stati Americani. Nel maggio 2014, un alto funzionario del governo venezuelano, Jorge Rodríguez, ha presentato accuse di un complotto da parte di politici e funzionari dell’opposizione, tra cui la stessa Machado, per rovesciare il governo di Nicolás Maduro.

L’ascesa di Machado

Con il tempo, si è affermata come una delle figure più visibili dell’opposizione anti-chavismo. Nel 2023 si è candidata alle primarie dell’opposizione e ha ottenuto l’investitura, ma poco dopo è stata esclusa dalla vita politica: Contraloría General de la República – l’organo supremo di controllo contabile e amministrativo dello Stato venezuelano – l’ha dichiarata ineleggibile per quindici anni, una misura che le ha impedito formalmente di partecipare al voto, con accuse di finanziare attività contro lo Stato e collusione con atti connessi a Juan Guaidó. Di fatto, il suo campo d’azione è diventato la mobilitazione esterna sempre sotto l’ombrello di Washington, gli appelli internazionali, la denuncia continua del governo di Maduro. Nel 2023, ha vinto le primarie dell’opposizione in vista delle presidenziali, ma le autorità elettorali le hanno impedito la candidatura. Machado ha, quindi, guidato la campagna per il candidato Edmundo Gonzalez Urrutia. Nel 2024 il Parlamento europeo ha assegnato a Machado e Urrutia il Premio Sakharov per la libertà di pensiero.

L’arma della destabilizzazione

Il Comitato norvegese ha motivato il premio «per il suo lavoro instancabile nella promozione dei diritti democratici in Venezuela e per la transizione giusta e pacifica da una dittatura a una democrazia», ma non si può ignorare il suo orientamento ideologico: Machado è di fatto una golpista che ha invocato più volte l’intervento di Washington contro il suo Paese. In Spagna, il partito Podemos ha denunciato che assegnare il Nobel della Pace a Machado equivale a premiare «golpisti e criminali di guerra». La portavoce Ione Belarra ha affermato che il riconoscimento indebolisce il prestigio dell’istituto Nobel se viene destinato a chi, secondo lei, ha una storia politica che non esclude l’uso della destabilizzazione. L’ex leader Pablo Iglesias è andato più lontano, affermando che Machado «da anni tenta un golpe di Stato in Venezuela». I suoi detrattori, infatti, accusano Machado di aver promosso, direttamente o indirettamente, strategie rivolte alla destabilizzazione del governo di Nicolás Maduro, fino a essere considerata una figura disposta a ricorrere a meccanismi esterni per ottenere il cambio di regime, compreso il ricorso ad azioni violente contro il Palacio de Miraflores, provocazioni con morti e feriti e assalti da presentare come atti legittimi di rivolta, utili a giustificare un intervento internazionale.

Le sanzioni come metodo di pressione

Machado ha anche sostenuto apertamente l’uso delle sanzioni economiche contro il regime venezuelano, convinta che esse siano uno strumento indispensabile per esercitare pressione, sebbene le sanzioni siano un’arma che danneggia la popolazione civile e una modalità d’ingerenza esterna. Secondo Caracas, le sue posizioni favoriscono da tempo la linea statunitense di isolamento del Venezuela. Nel 2024 il governo ha avviato un’indagine contro di lei per “tradimento alla patria” e “cospirazione con Paesi stranieri”, accusandola di appoggiare una legge del Congresso USA che proibisce contratti con entità venezuelane. Machado è legata al “Comando Con Venezuela” (Con Vzla), piattaforma che ha coordinato la sua candidatura e le attività elettorali (anche dall’estero) quando lei è stata inabilitata. Il governo venezuelano accusa tale struttura di operare come una cabina politica di orientamento esterno, vista come un mezzo per influenzare dall’estero il processo elettorale venezuelano.

Un piano di restaurazione neoliberista

L’attivista venezuelana sostiene, inoltre, un piano di privatizzazioni massiccio che prevede la riduzione del ruolo statale, l’apertura al libero mercato e la forte partecipazione delle sanzioni internazionali come strumento di pressione sul regime chavista. In altre parole, è una leader di destra che propone la restaurazione neoliberista come alternativa al chavismo. La sua vicinanza alle politiche statunitensi non si limita alle idee: nel 2005 visitò la Casa Bianca e venne accolta come paladina della democrazia contro il regime venezuelano, ricevendo il sostegno implicito dell’amministrazione Bush. Più recentemente, nel 2018, è circolata una lettera controversa che la vedeva chiedere a Benjamin Netanyahu, allora primo ministro israeliano, un intervento di «forza e influenza» contro il governo venezuelano. Parallelamente, Machado ha tessuto rapporti con Javier Milei, il presidente argentino ultraliberista. Nell’agosto di quest’anno lo ha ringraziato pubblicamente per il suo sostegno alla causa venezuelana. Questo tipo di alleanza è già di per sé un segnale politico: la rete internazionale di Machado è costruita sul filo della retorica antiautoritaria, ma con un’agenda economica ferocemente neoliberista.

Un Nobel per compiacere Trump

La scelta del Nobel cade in un contesto globale instabile, con scontri ideologici tra blocchi e un riemergere dell’America Latina come terreno di contesa. Molti analisti suggeriscono che il Comitato del premio abbia voluto evitare l’effetto boomerang di assegnare il premio direttamente al presidente USA, ma abbia scelto un’alternativa che potesse comunque fungere da pedina simbolica nel suo ecosistema politico. Nei media americani si è parlato apertamente di un «rimbalzo simbolico»: il riconoscimento non è andato direttamente a Trump, ma a una figura sostenuta dall’amministrazione USA attuale che, proprio di recente attraverso le parole Marco Rubio, ha ribadito di considerare “illegittimo” il governo di Maduro. La decisione del comitato norvegese ha il chiaro sapore del gesto politico: in un’epoca segnata da guerre geograficamente distanti, da pressioni statunitensi in America Latina camuffate da lotta al narcotraffico e dalla polarizzazione tra blocchi internazionali, Machado diventa l’immagine presentabile dell’opposizione golpista, il volto scelto per una manovra ideologica che intreccia Stati Uniti, destra radicale latino-americana, neoliberismo e nuove forme di ingerenza ibrida.

Italia, produzione industriale in calo: agosto segna -2,7%

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Ad agosto 2025 la produzione industriale italiana è diminuita del 2,7% rispetto allo stesso mese del 2024, segnando il ventinovesimo calo negli ultimi trentuno mesi. Su base mensile, la flessione è del 2,4% rispetto a luglio, mentre nella media del trimestre giugno-agosto la produzione registra un arretramento dello 0,6% rispetto ai tre mesi precedenti. Da inizio anno il bilancio complessivo mostra una contrazione dell’1% rispetto al 2024. Ancora più evidente è il confronto con agosto 2022, quando la produzione era su livelli più alti di circa l’11%, prima dell’avvio della lunga fase negativa che continua a caratterizzare l’industria italiana. Il calo riguarda quasi tutti i comparti: energia, beni di consumo, beni intermedi e beni strumentali mostrano andamenti in flessione. In particolare, il settore energetico subisce una delle perdite più consistenti, mentre i beni strumentali e intermedi limitano parzialmente la discesa. Resistono invece alcune nicchie di crescita, come la produzione farmaceutica di base e la fabbricazione di mezzi di trasporto, che registrano incrementi rispettivamente del 16% e del 10% su base annua.

Dal Valsusa si parte e si torna insieme, anche per la Palestina

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Un milione. Un milione di corpi in movimento, di bandiere, striscioni, messaggi a pennarello su pezzi di cartone. Un milione di voci che scandiscono slogan per la Palestina, nacchere e tamburi, canzoni (ho risentito con gioia e meraviglia canti che vengono da lontano, dagli anni ribelli della mia gioventù e dalle lotte operaie e contadine dei miei padri proletari). Milioni e milioni di passi lungo i viali della Roma imperiale, a cui sono giunti i ribelli delle periferie sociali di tutto il Paese. C’è anche la nostra Valle, anch’essa ridotta a periferia dal sistema violento e folle che sulla guerra agli esseri umani e alla natura fonda il proprio dominio e la propria esistenza.

Si cammina al fianco della Palestina e della sua resistenza, contro il massacro che, a partire dalle morti bambine, sta annientando quel popolo e la sua terra.

Si cammina contro i governi del mondo – governo italiano in primis – che o stanno dichiaratamente dalla parte di Israele o nulla di concreto stanno facendo per fermare il genocidio, perché gli interessi che li legano a Israele e al sistema USA – NATO sono più forti di ogni sia pur minimo senso di umanità.

A ribellarsi sono i popoli del mondo: una solidarietà e una lotta che si risvegliano perché si è capito che la Palestina è ovunque e che, lottando per quel popolo che il capitalismo da sempre vuole annientare, si lotta per se stessi.

Nel dolcissimo ottobre romano le tinte accese dell’autunno si mescolano al fiume di suoni e di colori che avanzano verso il centro. In tanto splendore stona il muro cupo di divise e blindati che sbarrano le vie laterali, il ronzio degli elicotteri, i droni che contendono il cielo al volo dei gabbiani.

Ed eccoci al Colosseo. Il tramonto inonda di rosso le antiche mura, le gradinate su cui i proletari dell’epoca sedevano, ammansiti con la ricetta del “panem et circenses”….Quanto sangue avrà conosciuto l’arena…sangue di gladiatori , schiavi costretti ad uccidere altri schiavi….sangue di leoni, tigri, elefanti, animali strappati alla terra natia per venire a morire al centro dell’impero.

Quando arriviamo a piazza San Giovanni, è ormai buio. Gli interventi conclusivi sono finiti da un pezzo. Mentre sta sfilando la coda del corteo, arriva la notizia di cariche poliziesche e di fermati.

Nella notte sirene di ambulanze e di cellulari. In piazza santa Maria Maggiore la polizia in assetto antisommossa fronteggia un gruppo di manifestanti accorsi a sostegno dei compagni fermati. Sono giovani e giovanissimi, ragazzini, gli stessi che in ogni città continuano la mobilitazione in nome dei diritti negati. Ragazzini come quelli di Gaza che anche in questo momento stanno morendo di bombe e di fame.

Mentre ci spostiamo verso Termini in cerca di una metropolitana , incappiamo nell’ennesima carica appoggiata da idranti e lacrimogeni.

Gli agenti braccano i manifestanti lungo le vie della movida: fa un certo effetto sentire il morso acre dei lacrimogeni arrivato fino ai tavoli delle trattorie, tra le code alla vaccinara, i tonnarelli cacio e pepe e il “vino de li castelli”, a disturbare il rito indifferente del sabato sera…

Ma ecco piazza della Repubblica, la metropolitana affollata di bandiere, kefie, saluti, richiami…

Si corre veloci in direzione Anagnina, dove ritroveremo i compagni e il pullman per il rientro a casa. Ci aspetta una lunga notte di viaggio verso la Valle, là dove la lotta continua. Come sempre, in Val di Susa, si parte e si torna insieme.

Una stella è esplosa dove, in teoria, non poteva succedere

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A oltre 6500 anni luce sopra il piano della Via Lattea, dove lo spazio sembrava vuoto e privo di fenomeni estremi, è esplosa una stella massiccia lasciando dietro di sé un guscio di gas e una pulsar in fuga: è la storia di Calvera, raccontata in un nuovo studio guidato dall’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e dall’Università di Palermo, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista Astronomy & Astrophysics. Grazie a osservazioni ai raggi X, radio e gamma, i ricercatori hanno potuto confermare l’associazione tra la pulsar Calvera e un raro resto di supernova, dimostrando che persino le regioni più periferiche della galassia possono ospitare eventi di questo tipo. «Le stelle massicce si formano quasi esclusivamente sul piano galattico, dove la densità del gas è più alta», spiega Emanuele Greco, aggiungendo che trovarne i resti a simili distanze dal piano è «estremamente raro» e che si tratta di un risultato che ribalterebbe l’idea di zone tranquille e inattive. Tutti risultati che mostrano che anche ai margini della Via Lattea possono celarsi processi energetici intensi.

Fino a oggi, le supernove – le esplosioni che segnano la fine della vita delle stelle massicce, cioè almeno otto volte più grandi del Sole – venivano osservate quasi esclusivamente nel piano galattico, la zona più densa della Via Lattea dove il gas abbondante favorisce la formazione stellare. La presenza di un resto di supernova così lontano da quella fascia ha quindi sorpreso gli astronomi. Per individuarlo, il team ha combinato diversi strumenti: il radiotelescopio europeo Lofar – che nel 2022 aveva rivelato una struttura quasi circolare a bassa frequenza – il satellite Xmm-Newton dell’Agenzia spaziale europea (Esa) – che ha fornito dati sui raggi X emessi dal gas caldo – il telescopio spaziale Fermi – sensibile ai raggi gamma – e il Telescopio nazionale Galileo, che ha permesso di rilevare filamenti di idrogeno ionizzato. Insieme, queste osservazioni hanno mostrato che anche in regioni rarefatte – cioè con poca materia – possono attivarsi processi capaci di produrre radiazioni molto energetiche, comprese quelle gamma, che di solito richiedono ambienti molto più densi. La storia evolutiva di Calvera appare quindi legata a una progenitrice che, pur nata vicino al piano galattico, è riuscita a spostarsi fino a quote elevate prima di esplodere.

Immagine nei raggi X della stella di neutroni Calvera, indicata dal cerchio giallo, e della regione di emissione diffusa oggetto di studio di questo articolo, identificata dall’ellisse bianca. Il materiale responsabile dell’emissione osservata ha una temperatura compresa tra 1 e 10 milioni di gradi Celsius. Crediti: E. Greco, Inaf

In particolare, gli autori hanno stimato che il sistema si trovi a una distanza tra 13.000 e 16.500 anni luce e che abbia un’età compresa fra 10.000 e 20.000 anni, valori compatibili sia con il guscio di supernova sia con la pulsar Calvera, che oggi mostra un moto di fuga di circa 78 milliarcosecondi all’anno. L’analisi dei raggi X ha rivelato che il gas all’interno del resto di supernova raggiunge temperature di milioni di gradi e che l’esplosione ha incontrato addensamenti locali di materia, capaci di accendere emissioni energetiche nonostante l’ambiente rarefatto. Le osservazioni ottiche hanno inoltre mostrato filamenti di idrogeno ionizzato, ulteriori tracce del passaggio dell’onda d’urto. «Abbiamo dimostrato che anche in ambienti apparentemente vuoti possono esserci condizioni sufficienti a generare emissioni X e gamma. Questa scoperta ci invita a guardare con occhi nuovi alle periferie della Via Lattea» sottolinea Greco, aggiungendo che il legame tra la pulsar e il suo resto di supernova suggerisce dunque che alcune stelle massicce riescano a sfuggire dal piano galattico e a esplodere in regioni remote, aprendo nuove prospettive sulla dinamica e sulla distribuzione delle supernove nella nostra galassia.

Sfruttamento e “para-schiavitù”: bufera sul marchio della moda italiana Tod’s

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La Procura di Milano ha chiesto l’amministrazione giudiziaria per il marchio italiano di calzature e abbigliamento Tod’s – di proprietà della famiglia Della Valle – perché non avrebbe controllato le condizioni lavorative in cui versano gli operai dei propri subappaltatori, favorendo lo «sfruttamento del lavoro» nella catena di produzione dei propri indumenti. Il noto marchio di lusso commissiona infatti la produzione ad aziende che subappaltano a opifici cinesi. Secondo la Procura, gli operai dei laboratori che forniscono i prodotti a Tod’s lavorerebbero in condizioni «ottocentesche», con ritmi produttivi da «para-schiavitù». Le indagini avrebbero rivelato che i lavoratori verrebbero pagati 2,75 euro l’ora, lavorando a tutte le ore, anche durante i giorni festivi, senza contratto e dormendo in dormitori abusivi. Tod’s è solo l’ultimo marchio di lusso a finire sotto il mirino della Procura meneghina. Il pm aveva già chiesto l’amministrazione giudiziaria per Alviero Martini spa, Armani Operations, Dior, Loro Piana e Valentino per analoghe questioni.

Tod’s è un marchio di lusso attivo nel settore dell’abbigliamento, delle calzature e degli accessori; l’azienda è parte di Tod’s S.p.A che controlla anche il noto marchio di calzatura Hogan, e il suo azionista maggioritario è Diego Della Valle, ex proprietario della squadra calcistica Fiorentina. La Procura accusa Tod’s di non avere effettuato i dovuti controlli sugli opifici dei propri subappaltatori, agevolando lo sfruttamento dei lavoratori. L’azienda non è attualmente sotto indagine per sfruttamento, ma solo accusata di non avere adempiuto ai propri obblighi. Tod’s ha rigettato le accuse, affermando di svolgere controlli «costanti», rispettando «la normativa vigente».

I laboratori dei subappaltatori finiti sotto indagine sono quattro: uno a Baranzate (Milano), uno a Vigevano (Pavia) e due nelle Marche, regione dove ha sede l’azienda. Essi svilupperebbero i vestiti da mettere in vendita e le divise dei commessi dei negozi. Nella richiesta di commissariamento, il pm parla di «paghe da fame, lavoro notturno e festivo, luoghi di lavoro fatiscenti, dove si lavora, si mangia e si dorme, macchinari privi di sistemi di sicurezza per aumentare la produttività». Gli operai di nazionalità cinese sarebbero costretti a «condizioni alloggiative degradanti», in un contesto esplicitamente definito di «caporalato», condizioni di lavoro «ottocentesche», e ritmi da «para-schiavitù».

La Cassazione si esprimerà sulla richiesta di commissariamento il prossimo 19 novembre. Tod’s era già finita sotto la lente della procura lo scorso luglio, ma il tribunale aveva rigettato la richiesta di amministrazione giudiziaria per questioni di incompetenza territoriale: la scorsa estate, infatti, erano finiti sotto indagine solo gli stabilimenti nelle Marche. Nello stesso periodo, era stata svolta una inchiesta anche su Loro Piana, altro marchio di lusso attivo nel settore tessile, specializzato in indumenti in cashmere. Anche nel caso di Loro Piana, il pm aveva chiesto il commissariamento ricostruendo un sistema di caporalato e sfruttamento a danno degli operai. In generale, quello di Tod’s è il sesto caso di amministrazione giudiziaria che ha investito il settore tra il 2024 e il 2025. Gli altri brand di lusso coinvolti sono Alviero Martini, Armani Operations, Manufactures Dior e Valentino Bags Lab.

È vero che Donald Trump ha fatto finire otto guerre in nove mesi?

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«In nove mesi alla Casa Bianca ho risolto sette guerre» aveva dichiarato il presidente USA Donald Trump parlando ai vertici militari americani riuniti a Quantico, in Virginia, per poi ripeterlo in occasione del suo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Ora diventerebbero otto, alla luce della tregua a Gaza dove, secondo sé stesso, Trump ha posto fine a un conflitto «vecchio di tremila anni». Ma, mentre il nobel per la Pace gli è sfuggito di mano (è andato alla golpista venezuelana Maria Corina Machado, per capire la serietà del premio), resta da capire un punto. È vero che Donal...

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Nobel per la pace alla leader dell’opposizione venezuelana

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Il comitato norvegese per il Nobel ha dato il premio Nobel per la pace a Maria Corina Machado, la leader dell’opposizione in Venezuela. Tra le motivazioni, il suo presunto «instancabile lavoro nella promozione dei diritti democratici per il popolo venezuelano» e «la sua lotta per una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia». Maria Corina Machado è la principale esponente dell’opposizione venezuelana al presidente Maduro. In occasione delle ultime elezioni, Corina Machado, sostenuta dagli USA e dall’UE, ha denunciato presunti brogli e rivendicato la vittoria delle elezioni da parte del suo partito; dopo le sue accuse erano scoppiati violenti scontri nel Paese.

Perù: destituita la presidente Boluarte

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Il parlamento peruviano ha destituito la presidente Dina Boluarte. La rimozione della presidente è avvenuta tramite un voto di impeachment che ha ricevuto un sostegno trasversale. Contro Boluarte erano state presentate 4 diverse mozioni di censura, ognuna delle quali accusava la presidente di non essere in grado di gestire la crescita delle violenze da parte della criminalità organizzata peruviana. Non è la prima volta che il parlamento peruviano prova a destituire la presidente; in generale, Boluarte risulta sotto inchiesta da mesi, accusata di corruzione e di reprimere il dissenso nel Paese. Non essendoci un vicepresidente, al suo posto è subentrato il presidente del Congresso Jose Jeri.

Il governo israeliano ha ratificato il cessate il fuoco a Gaza

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Il governo israeliano ha ratificato l’accordo siglato con Hamas per dare avvio alla prima fase del piano di pace di Trump per Gaza. Con l’approvazione formale da parte di Israele, l’accordo dovrebbe entrare in vigore entro 24 ore. La prima fase del piano istituisce un cessate il fuoco permanente e prevede l’apertura dei corridoi umanitari a Gaza; lunedì tutti gli ostaggi israeliani verrebbero riconsegnati alle famiglie, mentre Israele rilascerebbe dalle carceri 1.950 palestinesi, di cui 250 ergastolani. Le truppe israeliane, intanto, hanno iniziato a ritirarsi dalle proprie posizioni, ma durante questa prima fase manterrebbero il controllo di oltre la metà della Striscia. Non è ancora chiaro se e quanto questo accordo reggerà: i punti più delicati del piano Trump devono infatti venire ancora discussi, ma i leader di Hamas hanno dichiarato che gli Stati Uniti e i negoziatori avrebbero fornito garanzie che Israele non riprenderà i bombardamenti.

L’approvazione della prima fase del piano Trump per Gaza è arrivata nella tarda serata di ieri, e dà alle parti 24 ore di tempo per abbassare le armi; questo implica che il cessate il fuoco dovrebbe entrare ufficialmente in vigore entro le 22 circa di oggi. Dall’annuncio dell’approvazione da parte del governo israeliano, Israele ha continuato i bombardamenti nella Striscia, ma si è registrato un calo nell’intensità degli attacchi; intanto, testimonianze e fonti locali riportano che l’esercito israeliano starebbe iniziando a ritirarsi dietro la cosiddetta “linea gialla”, il primo perimetro di controllo entro cui è previsto che le truppe dello Stato ebraico retrocedano per dare spazio ai civili palestinesi. Secondo i media israeliani, in questa prima fase l’esercito manterrebbe il controllo del 53% della Striscia, mentre alcuni media arabi sostengono che i soldati occuperebbero il 58% del territorio.

Quando la prima fase prenderà formalmente piede, Israele dovrebbe riaprire i corridoi umanitari. Non è ancora chiaro quanti aiuti dovrebbero entrare nella Striscia, ma in una intervista all’emittente Al Araby TV, il diplomatico palestinese Osama Hamdan ha parlato di 400 camion di aiuti al giorno nei primi due giorni e di un minimo di 600 camion al giorno a partire dal terzo. Sempre nella prima fase, avverrebbe lo scambio degli ostaggi: lunedì, i gruppi palestinesi consegnerebbero tanto le persone ancora in vita quanto i corpi dei defunti, mentre lo Stato ebraico consegnerebbe 1.950 persone, di cui 250 ergastolani. Non sono ancora noti i nomi dei palestinesi che dovrebbero rientrare in questa prima fase: sui media israeliani iniziano a circolare delle liste, e pare certo che Israele abbia negato il rientro di alcune tra le più eminenti figure politiche palestinesi, tra cui il leader Marwan Barghouti e i corpi dei defunti fratelli Sinwar. Secondo fonti non ufficiali, se i gruppi palestinesi non dovessero trovare i corpi degli ostaggi israeliani defunti, entrerebbero in scena attori internazionali.

Non è noto cosa succederebbe una volta effettuato lo scambio degli ostaggi. La ratifica da parte del governo israeliano è avvenuta in presenza del braccio destro diplomatico di Trump Steve Witkoff e del suo genero ed inviato speciale durante la sua vecchia amministrazione Jared Kushner; entrambi hanno giocato un ruolo importante durante la fase di negoziati e sembra siano coinvolti nei dialoghi per le successive fasi del piano. Netanyahu ha chiesto a Trump di parlare alla Knesset, il parlamento monocamerale israeliano, e sembrerebbe che il presidente degli USA stia valutando di accettare l’invito. Mentre Israele continua le discussioni con il proprio principale alleato, da parte palestinese, tanto Hamdan, quanto il leader politico di Hamas Khalil al-Hayya hanno affermato che l’accordo così come siglato includerebbe un «cessate il fuoco permanente»; le loro affermazioni fanno eco al comunicato rilasciato ieri notte, dopo la prima firma tra i mediatori avvenuta a Sharm el-Sheikh. Sembra insomma che, secondo i piani, i dialoghi continuerebbero sullo sfondo di una tregua.

A tal proposito, i vertici politici del gruppo hanno affermato di avere ricevuto garanzie da parte dell’amministrazione statunitense e delle squadre di mediatori che Israele non riprenderà gli attacchi. Secondo indiscrezioni apparse sull’agenzia di stampa Reuters gli Stati Uniti dovrebbero inviare 200 soldati come forze di pace per assicurarsi che le parti rispettino il cessate il fuoco; altre fonti avrebbero confermato tale indiscrezione all’emittente Al Jazeera, aggiungendo che le truppe statunitensi stazionerebbero all’esterno della Striscia. Con la presenza statunitense sul posto, continuerebbero i dialoghi per le successive fasi del piano Trump: la seconda fase prevede l’istituzione di un «corpo di pace» internazionale con a guida lo stesso Trump e la partecipazione dell’ex premier britannico Tony Blair. Hamdan ha affermato che tale condizione non può venire imposta dall’alto né essere accettata dalla sola Hamas, rivendicando il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese. In Palestina, ha spiegato Hamdan, ci sono diversi attori: «Hamas non ha il diritto di esprimersi per tutti su queste questioni».

La terza fase, invece, prevedrebbe la consegna di Gaza a una amministrazione politica palestinese: se il piano della Casa Bianca fa esplicito riferimento a un’ANP riformata, Trump e Netanyahu sono stati ben più vaghi, affermando che nessun gruppo palestinese attualmente attivo, ANP compreso, governerebbe Gaza. In ogni caso, al termine del processo, il piano vedrebbe una Gaza completamente smilitarizzata, mentre la gestione della sicurezza verrebbe affidata nelle mani dell’esercito israeliano, che nel frattempo istituirebbe una zona di controllo interna alla Striscia. Solo allora si potrebbe parlare a tutti gli effetti di pace. Tutti i punti della seconda e della terza fase devono ancora essere discussi: Hamas ha già affermato di essere pronta a cedere il controllo di Gaza a un gruppo di palestinesi eletti dalla popolazione, ma sembra riservare maggiori dubbi sul tema del disarmo della Striscia e chiede il ritiro completo di Israele dal territorio palestinese.