sabato 23 Novembre 2024
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Roma, diecimila per la Palestina nonostante il divieto: 1.600 identificati, arresti e feriti

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Come promesso il divieto imposto dalla questura non ha fermato il corteo nazionale in sostegno alla resistenza palestinese di Roma. Nonostante la pioggia, già dalle ore 13 migliaia di persone, tra cui moltissimi studenti, si sono ritrovati nel piazzale delle Piramide cestia. E, nonostante l’ingente schieramento di polizia, hanno deciso di muovere in corteo dietro allo striscione “Palestina e Libano uniti: fermiamo il genocidio con la resistenza”. Molti manifestanti non sono riusciti ad arrivare, diversi i casi di pullman fermati dalla celere ai caselli autostradali. Solo il prologo di una giornata dove la polizia ha effettuato centinaia di identificazioni, 19 arresti e almeno 10 feriti.

Alla fine della giornata i numeri della questura diranno 5.000 manifestanti, al solito sottostimando la presenza che era probabilmente di almeno il doppio. Tanti giovani e giovanissimi, ma anche tanti signori e signore si sono uniti con sorrisi e solidarietà per i popolo palestinese e il popolo libanese «è importante essere qui oggi per sostenere il popolo palestinese e quello libanese, io sono qua con il mio corpo anche per dire che questa non è una piazza pro Hamas» racconta Samuele di 29 anni. Anche Grazia che di anni ne ha 65, dice «io sono qua perché come cittadina mi devo schierare per la libertà e contro la guerra». Una piazza eterogenea composta anche da diversi gruppi provenienti da fuori Roma, anche se molti pullman e gruppi sono stati fermati ai caselli autostradali all’entrata della capitale. Uscito il sole la folla sembra prendere ancora più vita, ma il dispiegamento esagerato e intimidatorio delle forze dell’ordine, il questore di Roma Roberto Massucci ha schierato più di 1.500 agenti della celere, manteneva un velo di pesante tensione. Schierata con camionette e idranti su tutte le entrate alla piazza, la celere faceva fluire poche persone alla volta, Moltissimi i manifestanti identificati dalle forze dell’ordine mentre tentavano di unirsi al corteo, gli organi di stampa parlano di addirittura 1.600 persone controllate.

Una immagine degli scontri tra una parte del corteo e la polizia

Dopo una contrattazione tra gli organizzatori della manifestazione, che chiedevano la concessione del corteo su viale Aventino, e i funzionari della Digos che non hanno fatto un passo indietro rispetto alle direttive ricevute, la folla dietro gli striscioni e sventolando bandiere palestinesi e libanesi ha iniziato a muoversi in corteo nella piazza, al grido di «corteo, corteo». I giornalisti affamati di foto scottanti o video scoop sono stati i primi a indossare i caschi e a correre da una parte all’altra alzando inutilmente il già alto livello di tensione. Girata praticamente tutta la piazza, una volta che il corteo è arrivato all’altezza di via Ostiense, le cose sono degenerate.

Non sono mancati momenti di scontro con la polizia. Bottiglie, bombe carta e fumogeni lanciate dalla parte più calda del corteo; manganelli e massicci lanci di lacrimogeni alla rinfusa che, come al solito, hanno finito per intossicare centinaia di persone da parte degli agenti. Dopo qualche minuto di confronto all’altezza di via Ostiense le forze dell’ordine sono entrate nella piazza con pensati cariche e camion con gli idranti, mettendo in fuga migliaia di persone. Alle 18:15, con gli occhi gonfi dai lacrimogeni praticamente tutti i presenti hanno lasciato la piazza, con le forze dell’ordine che per diversi minuti hanno fatto passare le persone una alla volta lasciando che i lacrimogeni potessero continuare il loro lavoro. Si parla di almeno 19 arresti e decine di feriti.

[di Filippo Zingone]

Roma: migliaia in piazza per la Palestina sfidando il divieto

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Nonostante il divieto imposto dalla questura, diverse migliaia di persone si stanno radunando nella piazza della Piramide a Roma per manifestare in supporto alla resistenza palestinese. I manifestanti si stanno riunendo dietro allo striscione “Palestina e Libano uniti: fermiamo il genocidio con la resistenza” e hanno annunciato l’intenzione di partire in corteo per le vie della capitale, decidendo così per la prova di forza contro le autorità. Dalla manifestazione giunge già voce di numerosi fermi effettuati dalla polizia, mentre diversi pullman sarebbero stati fermati dalla celere al casello autostradale senza poter arrivare a Roma.

Chuck D, dal rap antisistema ad “ambasciatore globale” del Dipartimento di Stato USA

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Chuck D, frontman dei Public Enemy, è passato dal cantare Fight the Power a essere ambasciatore artistico nel mondo per conto del governo degli Stati Uniti. Con una piroetta, il leggendario rapper e attivista è finito per schierarsi insieme al Dipartimento di Stato USA, al servizio di Antony Blinken. Gli “ambasciatori della musica globale” di Washington sono figure direttamente modellate dal governo – e dalle sue agenzie – fin dall’epoca della Guerra Fredda, con il fine di utilizzare la musica come arma di softpower per ispirare cambi di regime nei Paesi comunisti e socialisti in giro per il mondo. I tour musicali sono stati utilizzati anche come coperture che la CIA ha utilizzato per assassinare leader stranieri considerati ostili all’impero statunitense. Chuck D è diventato oggi uno strumento nelle mani degli apparati profondi di quel sistema che tanto detestava e diceva di combattere.

Venuto alla ribalta con l’estetica e il messaggio portato dalle Black Panther, Chuck D era considerato il Malcom X dell’hip hop. Proprio il rapper, in una intervista con Historic.ly, ha spiegato le ragioni della sua scelta e di come le Pantere Nere e Malcolm X siano stati di fondamentale importanza per i suoi anni formativi di attivismo politico-musicale. Nella medesima intervista, il frontman dei Public Enemy spiega che la sua decisione ha solamente a che fare con la musica e con l’arte. Quando però gli viene fatto notare che sta veicolando l’arte nera della protesta sociale schierandosi dalla parte del Dipartimento di Stato, risponde: «Non esistono davvero Paesi e nazioni del cazzo. È la tecnologia che lo è diventata. La mia unica cosa, e il mio unico secondo fine, è la musica hip hop, il rap, la cultura artistica, tutto qui! Questa è la mia fottuta religione e la mia fottuta nazione a questo punto. Non mi fido di nessun governo. Sono tutti uguali». Un cortocircuito non semplice da poter risolvere.

Alla fine del giugno scorso, tra una folla di artisti che includeva Herbie Hancock, Armani White, Breland, Denyce Graves, Grace Bowers, Jelly Roll, Justin Tranter, Kane Brown, Lainey Wilson e Teddy Swims, Chuck D era al centro della scena accanto al Segretario di Stato Blinken. «Vorrei ringraziare tutti i membri del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e anche YouTube per avermi invitato a essere un ambasciatore della musica globale degli Stati Uniti», è ciò che il rapper ha detto di fronte ai giornalisti. Durante la conferenza stampa che annunciava l’inaugurazione del progetto, sia Blinken che Lyor Cohen, capo della musica globale di YouTube, hanno costantemente menzionato il programma segreto della CIA utilizzato durante la Guerra Fredda per usare la musica e le arti come armi per il cambio di regime. Cohen ha spiegato che YouTube sta collaborando con il Dipartimento di Stato USA per aiutarli a «sfruttare gli eventi globali», senza specificare con quale fine. «Utilizzeremo i principali raduni internazionali per ispirare l’azione» ha detto Cohen, senza riferire quale tipo di azione – anche se a questo punto è possibile immaginarlo.

Vale infatti la pena ricordare in cosa consisteva il programma segreto della CIA che ruotava attorno agli “ambasciatori della musica globale”. Nina Simone, Louis Armstrong, Dizzy Gillespie ed Ella Fitzgerald sono solo alcuni artisti utilizzati per veicolare il messaggio di una società, quella statunitense, aperta e accogliente. Le reti mediatiche statunitensi come Radio Free Europe/Radio Liberty bombardarono l’Europa orientale con musica trasformata in un’arma sovversiva e controculturale. Voice of America – un’altra rete finanziata dagli Stati Uniti – chiamò il suo programma radiofonico jazz L’ora della libertà. Da notare come in realtà, in quegli anni, gli afroamericani – compresi gli artisti famosi – dovevano fare i conti con una società profondamente e strutturalmente razzista. La CIA ha utilizzato decine di artisti per creare una propaganda favorevole al regime capitalista statunitense e avversa ai sistemi socialisti e comunisti.

Quando non bastava il soft-power, gli agenti segreti statunitensi vi aggiungevano una dose di violenza. Diversi tour degli artisti musicali sono stati utilizzati come coperture per mettere a segno o preparare uccisioni di leader stranieri invisi a Washington. Un esempio su tutti fu l’assassinio di Patrice Lumumba. La CIA si unì al tour di Louis Armstrong del 1960 in Congo, accompagnandolo in tutto il Paese per raccogliere informazioni cruciali su dove si trovasse Lumumba e sulla sua sicurezza. Il giovane primo ministro, carismatico e volenteroso di portare uguaglianza e affrancamento dal suprematismo bianco, fu ucciso pochi mesi dopo. Da allora il Congo è entrato in una spirale di violenza da cui ancora non è uscito e di cui le società occidentali hanno approfittato per continuare a controllare le vaste risorse minerarie della nazione.

[di Michele Manfrin]

Maltrattamenti e brutali uccisioni di polli in un allevamento per Lidl Italia

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Nuove immagini scioccanti mostrano le violenze e i maltrattamenti subiti dai polli all’interno di un allevamento di un fornitore di Lidl Italia. A diffondere le riprese, girate in uno stabilimento dell’Emilia-Romagna, è stata l’associazione Essere Animali, da sempre impegnata nella battaglia contro la pratica degli allevamenti intensivi. Nello specifico, i video mostrano gli animali essere brutalmente uccisi dagli operatori, schiacciati dai trattori e scaraventati a terra o nelle gabbie, dove rimangono agonizzanti in attesa della fine. È solo l’ultima delle inchieste che l’associazione ha condotto negli ultimi anni sulla gestione dei polli allevati per uso alimentare negli stabilimenti della filiera Lidl, che continua a mostrare forti criticità.

La nuova inchiesta di Essere Animali ha documentato polli che subiscono maltrattamenti nel corso di tutte le fasi della loro vita, dallo scarico dei pulcini appena arrivati in allevamento, che vengono scaraventati da un’altezza spesso superiore al metro, fino al carico per il macello. Come dimostrato dalle riprese, gli operatori – costretti a lavorare in velocità e senza alcuna cura per gli animali – lanciano violentemente i polli, in totale spregio delle corrette procedure. Inoltre, i polli scartati in quanto malati o non abbastanza sviluppati vengono presi per la testa e fatti roteare per essere uccisi, sebbene le modalità di abbattimento delineate dalla Commissione Europea prevedano che essi siano sostenuti per le zampe con una mano, mentre con l’altra gli si tira il collo. Peraltro, l’inchiesta dell’associazione ha svelato che, in diversi casi, i polli scartati a fine ciclo sono lanciati ancora vivi e coscienti nel cassonetto insieme a quelli già morti. In ultimo, nei video si vede un operatore dell’allevamento alla guida di un trattore che schiaccia con le ruote alcuni polli giovani. Da due anni, insieme ad altre organizzazioni, Essere Animali è in prima linea nella campagna internazionale #LidlChickenScandal per chiedere al colosso tedesco di mettere in atto azioni concrete al fine di migliorare le condizioni dei polli di allevamento nella sua filiera.

Già nel 2022, Essere Animali aveva svolto un’inchiesta in due allevamenti intensivi del nord Italia appartenenti ad un fornitore della Lidl che aveva fatto emergere risultati inquietanti, testimoniando la sofferenza a cui sono destinati i polli d’allevamento. Le riprese avevano documentato deformazioni ossee provocate dalla crescita rapida cui i polli sono sottoposti, disturbi neurologici dovuti a infezioni o carenza di vitamine, bruciature sul petto dovute allo sfregamento con la lettiera piena di ammoniaca per le deiezioni, nonché le morti degli animali dovute alle condizioni di allevamento estreme, ai maltrattamenti e agli abbattimenti cruenti effettuati dagli operatori. Indagini sotto copertura di questo tipo, che hanno documentato le sistematiche crudeltà sui polli di allevamento, sono state condotte negli ultimi anni anche in altri Paesi europei. L’ondata di indignazione è stata talmente uniforme da condurre all’organizzazione di una forte azione di protesta contro la Lidl che, nella settimana dal 30 ottobre al 5 novembre del 2023, ha riunito migliaia di attivisti in Italia, Regno Unito, Germania, Portogallo, Austria, Polonia e Svezia. Lo scorso febbraio, poi, una nuova indagine di Essere Animali ha attestato che il 90% dei petti di pollo venduti sugli scaffali dei supermercati Lidl è affetto da white striping, malattia indice dello scarso benessere degli animali, che colpisce tra il 50 e il 90% dei polli appartenenti a razze a crescita rapida, largamente utilizzati negli allevamenti intensivi.

[di Stefano Baudino]

CEDU: la Grecia ha violato i diritti umani di sette minori

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La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato il governo greco per avere violato i diritti umani di sette minori non accompagnati, sottoponendoli a trattamenti inumani e degradanti nell’hotspot di Samos nel 2019 e 2020. I ragazzi, richiedenti asilo provenienti da Siria, Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo e Camerun, erano stati abbandonati senza supporto dalle autorità greche in un centro sovraffollato, tanto che l’ex Commissario per i Diritti Umani, Dunja Mijatović, ha descritto le loro condizioni come una «lotta per la sopravvivenza». La Grecia dovrà ora risarcirli con 41.500 euro. Il caso è stato portato avanti dalle organizzazioni I Have Rights e Still I Rise.

Inondazioni in Bosnia: 21 morti e decine di dispersi

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Violente inondazioni hanno colpito la Bosnia nella giornata di ieri. La zona più colpita è stata quella della zona di Jablanica, sita a 70 chilometri a sud-ovest di Sarajevo, dove sono morte 21 persone. Al momento si contano decine di dispersi e molte abitazioni si trovano sotto le macerie. «Ci sono alcuni villaggi nella zona che ancora non sono raggiungibili e non sappiamo cosa troveremo lì», ha affermato un portavoce del Mountain Rescue Service, le cui squadre sono impegnate nelle ricerche, arenatesi nelle ore notturne a causa delle forti piogge e riprese stamane.

 

Ciao Alberto!

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Anche tu ti sei messo in viaggio, Alberto e ora, senza più sofferenza, ma con la invincibile forza di volontà e la franchezza di sempre, affettuoso verso gli amici ma implacabile con i prepotenti, stai camminando nell’”oltre”. È la nostra generazione che se ne va, quella nata nella seconda metà degli anni quaranta, quando il paese ricominciava faticosamente a vivere, stretto tra le macerie del passato e la costruzione faticosa del futuro. Di quel mondo povero ma solidale ci portiamo dentro i ricordi e, insieme, la meraviglia di sentire nelle nostre mani la possibilità e l’urgenza di realizzare un mondo più giusto e più vivibile per tutti.

Questa nostra Valle di Susa rappresentava uno spaccato speciale di quel mondo: ecco la ragione per cui, nei primi anni settanta, scelsi di iniziare qui il mio lavoro di insegnante, in questo territorio dove le lotte operaie e contadine , la resistenza antifascista, l’internazionalismo, l’opposizione alla guerra e al militarismo non erano solo memoria di un glorioso passato, ma istanze più che mai vive e indispensabili alle lotte presenti: le mobilitazioni contro la chiusura dei cotonifici , l’opposizione alle prime delocalizzazioni industriali; il NO all’industria della guerra (memorabile, alla Moncenisio di Condove, il rifiuto unanime dei lavoratori alla fabbricazione di armi) .

Il vento portava in Valle l’eco delle lotte studentesche, la voce e l’aria pulita dell’internazionalismo terzomondista, le istanze della teologia della liberazione, una nuova sensibilità per la difesa della salute e dell’ambiente.

I giovani si organizzavano: il collettivo operai-studenti , il movimento degli obiettori di coscienza al servizio militare, il movimento per la laicità della scuola.

In questo clima nacque Dialogo in Valle, un periodico mensile autoprodotto e senza pubblicità: un dialogo, appunto, tra storie diverse, una ricerca coraggiosa e rigorosa, una strada percorsa insieme verso l’obiettivo comune della giustizia sociale e ambientale. La redazione di Dialogo in Valle si riuniva a casa di Bianca e Alberto: fu quella l’occasione che mi fece conoscere loro, le due piccole figlie e i gatti già allora fedeli compagni della loro vita.

Nella lotta NO TAV ho ritrovato Alberto, Bianca e, insieme, lo spirito di quegli anni lontani, le istanze di liberazione, il rigore della ricerca e la molteplicità delle storie e delle esperienze, risorsa preziosa per la lotta comune.

Rispetto reciproco, spirito critico, bisogno di confronto e, soprattutto, affetto.

Così abbiamo collettivamente resistito e abbiamo visto crescere, al nostro fianco, una nuova generazione forte e gentile, capace di sacrificio e di allegria: tenace e imprescindibile come te, Alberto.

Senza di te, è già più dura, ma il tuo ricordo non muore e ci sosterrà ancora, sempre!

A Bianca un grande, abbraccio, da sorella a sorella.

[di Nicoletta Dosio, – storica militante del Movimento No TAV, condannata ai domiciliari per aver partecipato a una manifestazione pacifica del Movimento, ma rifiutandosi di sottostarvi per protesta, Nicoletta è stata imputata di almeno 130 evasioni, che le sono valse la condanna a oltre un anno di carcere]

Strage Borsellino: lo Stato sarà processato come responsabile civile per i depistaggi

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Gli effetti della strage di via D'Amelio, consumata il 19 luglio 1992

Si è ufficialmente aperto l’ennesimo processo sul più grande depistaggio della storia repubblicana: quello sull’inchiesta in merito alla strage di Via D’Amelio, in cui morì il giudice Paolo Borsellino, che vede sul banco degli imputati quattro poliziotti. Eppure, questa volta, in sede processuale sono stati tirati in ballo direttamente i vertici delle istituzioni. Infatti, accogliendo le richieste degli avvocati di varie parti civili, il giudice dell’udienza preliminare David Salvucci ha citato la presidenza del Consiglio e il ministero dell’Interno quali responsabili civili del processo sui depistaggi delle indagini sull’omicidio Borsellino. Si tratta della nuova tappa di un iter giudiziario lungo ed estenuante, spesso sfociato in risultanze fumose e contraddittorie, che dopo 32 anni sembra ancora ben lontano dalla sua definitiva conclusione.

In questo processo sono imputati i poliziotti palermitani Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi e Angelo Tedesco, tutti ex appartenenti del gruppo investigativo Falcone-Borsellino guidato dal “superpoliziotto” Arnaldo La Barbera, giudicato il “perno” del depistaggio nell’ambito del processo Borsellino-Quater. Secondo la Procura, avrebbero mentito nella cornice del procedimento incentrato sul ruolo avuto dal falso pentito Vincenzo Scarantino, che sarebbe stato costretto dalla Polizia a raccontare falsità ai magistrati sull’organizzazione ed esecuzione della strage del 19 luglio 1992. Eppure, con l’accoglimento della richiesta della citazione del Viminale e di Palazzo Chigi come responsabili civili, lo scenario si apre ulteriormente. In sostanza, infatti, si mettono alla sbarra anche le istituzioni, che avrebbero coperto gli autori del depistaggio (o comunque, non avrebbero vigilato adeguatamente sulle loro condotte). Ove i poliziotti a processo incorreranno in condanne, dunque, a rispondere saranno anche il ministero dell’Interno, da cui dipende la Polizia, e la presidenza del Consiglio dei ministri, da cui dipendono invece i servizi segreti. In questa storia aleggia anche l’ombra dello 007 Bruno Contrada, uomo su cui Paolo Borsellino aveva posto la sua attenzione investigativa dopo una serie di rivelazioni offertegli dal collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo nel luglio del 1992. All’indomani della strage, in totale spregio delle norme che vietano ogni rapporto diretto tra magistratura inquirente e servizi segreti, il procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra chiese proprio a Contrada – allora numero due del SISDE – di contribuire alle indagini sull’eccidio.

Sulle decisioni del Gip non mancano, però, alcuni punti di non ritorno. Infatti, a differenza dei figli di Paolo Borsellino, il fratello Salvatore – fondatore del Movimento delle Agende Rosse – e i familiari degli agenti di scorta rimasti uccisi in Via D’Amelio, non sono stati ammessi come parte civile. Ufficialmente, come scritto nell’ordinanza, per «difetto dei requisiti». «Da quanto ho appreso, all’interno dell’ordinanza si fa riferimento a una carenza di requisiti, ma questi non vengono esplicitati – dice a L’Indipendente Salvatore Borsellino -. A ogni modo, dopo il rinvio a giudizio faremo un altro tentativo. Abbiamo diritto di partecipare attivamente alla ricerca della verità su questi fatti gravissimi». Negli ultimi anni, in merito alla lettura dei retroscena della strage, sono emerse incolmabili divergenze tra la parte della famiglia Borsellino rappresentata dai figli del giudice e quella rappresentata dal fratello. Se i primi potranno far valere in Aula le proprie istanze, Salvatore Borsellino non avrà la possibilità di farlo.

Lo scorso giugno, in un processo parallelo che vede alla sbarra altri tre poliziotti per il depistaggio Borsellino, la Corte d’Appello di Caltanissetta aveva dichiarato prescritto il reato di calunnia per il funzionario di polizia Mario Bo e gli ispettori Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, essendo per loro caduta l’aggravante di aver favorito Cosa Nostra. I poliziotti, che dopo gli attentati in cui persero la vita i magistrati simbolo della lotta alla mafia in Italia fecero parte del gruppo investigativo Falcone-Borsellino, erano stati accusati dai pm di avere imbeccato il falso pentito Vincenzo Scarantino, che si auto-accusò di avere portato a compimento la strage di via D’Amelio. Ma che, in realtà, non era nemmeno un mafioso e non aveva avuto alcun ruolo nell’organizzazione e nell’esecuzione del massacro. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado, il Tribunale aveva precedentemente sancito che non fu soltanto Cosa Nostra a concepire ed eseguire la strage di Via D’Amelio e che la mafia non ebbe nessun ruolo nel furto dell’agenda rossa del magistrato, avvenuto nelle ore subito successive allo scoppio della bomba. «L’istruttoria dibattimentale – hanno messo nero su bianco i giudici – ha consentito di apprezzare una serie di elementi utili a dare concretezza alla tesi della partecipazione (morale e materiale) alla strage di Via D’Amelio di altri soggetti (diversi da Cosa nostra) e/o di gruppi di potere interessati all’eliminazione di Paolo Borsellino».

[di Stefano Baudino]

Haiti, attacco di una gang: almeno 70 persone uccise

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Ieri, un gruppo di membri della gang haitiana Gran Grif ha effettuato un attacco nella località di Pont Sondé, situata sulla strada che collega la capitale Port-au-Prince a Cap-Haïtien, uccidendo almeno 70 persone. A comunicarlo è l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari, che in una nota aggiunge che «mentre si svolgevano gli attacchi, i membri delle bande avrebbero appiccato il fuoco ad almeno 45 case e 34 veicoli, costringendo diversi residenti a fuggire». Gli attacchi di ieri si collocano in un contesto di grave crisi interna, iniziata quando bande violente hanno preso il controllo di gran parte della capitale, Port-au-Prince, per poi espandersi nelle regioni limitrofe.

In Italia lo spreco alimentare è cresciuto del 45% solo nell’ultimo anno

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Nel 2024, l’Italia ha registrato un preoccupante aumento dello spreco alimentare, cresciuto del 45,6% rispetto al 2023. Ogni cittadino, infatti, butta via in media 683,3 grammi di cibo a settimana, un dato nettamente superiore ai 469,4 grammi registrati l’anno precedente. Lo spreco alimentare ha conseguenze economiche, sociali e ambientali rilevanti, poiché il cibo scartato rappresenta una perdita di risorse utilizzate per la sua produzione, distribuzione e lavorazione, oltre a contribuire alle emissioni di gas serra. In particolare, le grandi città – caratterizzate da una gestione frenetica della spesa alimentare – mostrano un netto incremento del fenomeno. La crescita dello spreco alimentare, nel nostro Paese, va di pari passo con la crescita della povertà. Un apparente controsenso che, in realtà, trova spiegazione in diversi rapporti che dimostrano come siano proprio le persone in difficoltà economica a sprecare di più, poiché costrette ad acquistare cibo di qualità inferiore e più facilmente deperibile rispetto ai più abbienti.

Il 2024, nello specifico, è stato segnato nel nostro Paese da una crescita senza precedenti dello spreco alimentare pro capite, vedendo un continuo aumento su base mensile che ha condotto alla drastica differenza rispetto ai dati dell’anno precedente. Molte le cause dietro al fenomeno, tra cui il ritorno alla normalità dopo gli anni della pandemia, che hanno spinto molti individui a tornare a frequentare ristoranti e bar, luoghi in cui il controllo dello spreco è più complesso rispetto alla gestione domestica, nonché la disponibilità maggiore rispetto al passato di cibi pronti e confezionati, che hanno una durata limitata rispetto ad altri prodotti. Di fronte a numeri sempre più preoccupanti, sono sempre più le associazioni che promuovono campagne di sensibilizzazione per informare ed educare la cittadinanza a consumi più responsabili e sostenibili, che sono arrivate a istituire la “Giornata Nazionale contro lo Spreco Alimentare” per pubblicizzare le buone pratiche della gestione delle risorse alimentari. Una spinta in questa direzione è arrivata anche da una serie di catene di supermercati, che hanno iniziato a vendere prodotti con data di scadenza ravvicinata a prezzi scontati o a promuovere campagne per incentivare i consumatori ad acquistare frutta e verdura che, pur recando imperfezioni estetiche, sono perfettamente commestibili.

Secondo il Food Waste Index Report del 2024 a cura delle Nazioni Unite, durante il corso del 2022 nel mondo sono andate sprecate 1.050 milioni di tonnellate di cibo, delle quali il 19% di questo ancora edibile. Il 13%, inoltre, non è arrivato negli scaffali dei punti vendita, venendo scartato nella fase antecedente, quella del commercio all’ingrosso. Secondo l’Osservatorio internazionale Waste Watcher dell’Ipsos, nel 2022 lo spreco settimanale di cibo vede in testa alle classifiche i nuclei familiari statunitensi, con una cifra che rasenta il chilo e 400 grammi a persona in una settimana, seguiti dalle famiglie cinesi e canadesi. Seppur lontani da questi numeri, in Italia il dato ammonta a circa 30 chili di cibo all’anno. È tra le mura di casa che avviene lo spreco maggiore: nel 2022 la percentuale media annua ha raggiunto il 60% dello spreco totale in Italia e, tra gli alimenti che settimanalmente finiscono nella pattumiera, 100 grammi sono frutta e verdura. Secondo il rapporto della FAO del 2023 The State of Food Security and Nutrition in the World, nel 2022 735 milioni di persone nel mondo hanno sofferto la fame, mentre 2,4 miliardi di persone vivono in uno stato di insicurezza alimentare; questi dati aumentano a causa della crisi climatica che sta drasticamente intervenendo su numerose zone del mondo, obbligando la popolazione a vivere sempre più frequenti carestie o a migrare verso luoghi ad alto tasso di concentrazione umana, dove la possibilità di accedere al diritto all’alimentazione appare ulteriormente ridotta.

[di Stefano Baudino]