Nel silenzio generale della maggior parte dei media occidentali, Israele ha compiuto un nuovo massacro nella Cisgiordania occupata, sferrando uno dei più gravi e letali attacchi aerei degli ultimi decenni sul campo profughi di Tulkarem. Allo stesso tempo proseguono i bombardamenti sulla capitale libanese Beirut e in altre zone del Paese, dove le forze israeliane hanno ordinato l’evacuazione di 35 villaggi nell’area meridionale, allargando così il fronte delle operazioni. In Cisgiordania, sono diciotto i palestinesi uccisi ieri sera da una bomba che ha preso di mira un caffè dove, secondo le informazioni, erano riuniti numerosi giovani. L’esercito dello Stato ebraico non ha utilizzato un drone, ma un cacciabombardiere F -16 per compiere un attacco aereo considerato di eccezionale potenza: un’intera famiglia palestinese, la Khairoush, è stata uccisa dall’aggressione israeliana e i medici dell’ospedale Thabet Thabet hanno fatto sapere che decine di feriti sono arrivati in condizioni molto gravi presso la struttura sanitaria, testimoniando di aver ricevuto anche i corpi smembrati delle vittime.
Secondo quanto dichiarato dall’IDF, l’attacco avrebbe permesso l’uccisione del capo locale della rete di Hamas, Zahi Yaser Abd al-Razeq Oufi. Non ci sono, tuttavia, conferme a riguardo. Dallo scorso ottobre sono 716 i palestinesi ad essere stati uccisi dai coloni israeliani, secondo le autorità locali, nonostante in Cisgiordania il gruppo di resistenza palestinese Hamas non sia presente né politicamente né militarmente. L’orrore prosegue, dunque, non solo a Gaza, ma anche in Cisgiordania, confinata nel cono d’ombra dell’informazione e dell’opinione pubblica internazionale, sebbene sia nel mirino dell’esercito e dei coloni israeliani che ambiscono a occupare porzioni sempre più ampie di territorio, costruendo nuovi insediamenti e violando così la risoluzione 2334 dell’ONU.
Parallelamente, Tel Aviv prosegue la sua offensiva contro il Libano, dove questa mattina ha ordinato l’evacuazione di ben 35 villaggi. Il portavoce in lingua araba dell’IDF ha scritto un avviso su X per la popolazione libanese: «Le Forze di Difesa non hanno intenzione di farvi del male; quindi, per la vostra sicurezza dovete evacuare immediatamente le vostre case e dirigervi a nord del fiume Awli. Salvate le vostre vite». Finora è stato intimato a quasi 90 villaggi nel sud di evacuare, così come a parti della periferia meridionale di Beirut. Tra la tarda serata di ieri e le prime ore del 4 ottobre, Israele ha poi portato avanti altre due offensive: una sul principale valico di frontiera tra Libano e Siria che, secondo quanto dichiarato dal ministro dei Trasporti libanese, Ali Hamieh, ha colpito l’interno del territorio libanese, creando un cratere largo quattro metri; l’altra nel sobborgo meridionale di Dahiye, a Beirut, roccaforte di Hezbollah. I bombardamenti sarebbero stati finalizzati ad eliminare Hashem Safieddine, il possibile successore dell’ex segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ucciso lo scorso 27 settembre. Non è ancora chiaro, tuttavia, se Safieddine abbia perso la vita o sia sopravvissuto: né l’esercito israeliano né Hezbollah hanno rilasciato dichiarazioni. Secondo le autorità libanesi, sono 1,2 milioni i libanesi sfollati a causa dell’incursione israeliana, mentre circa 2.000 persone sono state uccise dall’inizio degli attacchi israeliani in Libano nell’ultimo anno, la maggior parte dei quali nelle ultime due settimane.
Da parte loro, gli Stati Uniti hanno fatto sapere di appoggiare le operazioni di Israele contro Hezbollah, pur essendo consapevoli che ciò significa la possibilità di un conflitto allargato nella regione. «In definitiva, vogliamo vedere un cessate il fuoco e una risoluzione diplomatica, ma pensiamo che sia appropriato che Israele, a questo punto, assicuri alla giustizia i terroristi», ha affermato il portavoce del Dipartimento di Stato americano Matthew Miller. Similmente, il presidente americano Joe Biden ha detto che Washington sta discutendo con Israele le opzioni per rispondere all’attacco di Teheran avvenuto lo scorso martedì e ha avventatamente asserito che una di queste opzioni potrebbe includere l’attacco da parte di Tel Aviv alle strutture petrolifere dell’Iran, facendo così impennare i prezzi globali del petrolio. Dopo l’offensiva dello Stato ebraico su Beirut, la guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, ha dichiarato che Teheran non farà marcia indietro e che risponderà risolutamente a eventuali ritorsioni israeliane: «La brillante azione delle nostre forze armate di un paio di notti fa è stata del tutto legale e legittima» ha affermato mentre celebrava nella capitale iraniana la cerimonia di commemorazione del defunto capo libanese di Hezbollah, Hassan Nasrallah.
Gli ultimi avvenimenti rischiano di scatenare una guerra totale nell’infuocato scenario mediorientale che con ogni probabilità converrebbe a Israele: Tel Aviv, infatti, otterrebbe l’appoggio e la difesa degli Stati Uniti, consolidando, da un lato, l’occupazione dei territori palestinesi e garantendosi, dall’altro, una nuova ondata di sanzioni contro l’Iran da parte dei suoi alleati occidentali. Allo stesso tempo, il massacro della popolazione di Gaza – che ad oggi conta più di 40.000 vittime – e l’eventuale occupazione dell’enclave palestinese finirebbero in secondo piano, coperti dalla guerra contro il cosiddetto Asse della Resistenza, definito da Netanyahu l’Asse del male.
[di Giorgia Audiello]