sabato 23 Novembre 2024
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Il Regno Unito ha ufficialmente chiuso la sua ultima centrale a carbone

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L'ultima centrale a carbone ancora in attività del Regno Unito ha i giorni contati. A stretto giro, l'impianto Ratcliffe-on-Soar, situato nel Nottinghamshire, chiuderà infatti i battenti per sempre dopo aver alimentato il paese per 57 anni. La decisione è parte di un piano di decarbonizzazione siglato dal governo britannico quasi un decennio fa e rappresenta la fine di un'era lunga 142 anni, iniziata con la prima centrale a carbone del mondo a Holborn Viaduct, Londra, nel lontano 1882.
Il Regno Unito diventa così il primo paese del G7 a dire addio a questa dibattuta fonte fossile, con un passo...

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La Bolivia travolta dagli incendi dichiara lo “stato di disastro nazionale”

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Con l’approvazione del decreto supremo 5235, il presidente della Bolivia, Luis Arce, ha dichiarato lunedì lo stato di disastro nazionale a causa degli incendi boschivi che stanno devastando in particolare la parte Est del Paese. Il governatorato di Santa Cruz – area maggiormente colpita dai roghi – ha infatti denunciato che, fino alla settimana scorsa, le fiamme hanno consumato oltre 7,2 milioni di ettari di foreste e praterie: si tratta del più grande disastro ambientale subito in questa regione, in cui risiede il 27% della popolazione nazionale e che rappresenta il motore economico e il principale centro agricolo e zootecnico del Paese. La Bolivia non è il solo Paese dell’America Latina a dover fronteggiare uno scenario che sembra sempre più incontrollabile: nel silenzio globale, infatti, in Brasile sono andati in fumo negli ultimi mesi quasi 370mila chilometri quadrati di foresta.

Il Decreto Supremo sottoscritto dal presidente della Bolivia ha la finalità di «proteggere l’ambiente, la salute e la vita delle persone, la biodiversità e le attività della popolazione boliviana a causa dell’entità degli incendi boschivi». La decisione è stata annunciata dalla ministra María Nela Prada a margine di una riunione tra il presidente Luis Arce, il governatore del dipartimento di Santa Cruz Mario Aguilera e i sindaci dei municipi maggiormente interessati al disastro. Nello specifico, il provvedimento prevede una modifica del bilancio con l’obiettivo di veicolare risorse extra alla lotta contro gli incendi, delegando ai dicasteri degli Esteri e della Pianificazione la gestione della cooperazione degli aiuti internazionali. «Ci sono responsabilità nella risposta agli incendi, in primo luogo dei governi municipali e dipartimentali e in terzo luogo del governo nazionale», ha affermato il vice ministro della Protezione civile, Juan Carlos Calvimontes. Il Centro Nacional de Monitoreo Contra Incendio ha reso noto che l’indice di qualità dell’aria (AQI) ha raggiunto quota 372, soglia considerata «estremamente negativa», che si porta dietro rischi di irritazione agli occhi e alla gola e criticità per le persone che soffrono di problemi respiratori. Oltre a quello di Santa Cruz, i dipartimenti più colpiti dagli incendi boschivi sono quelli di Beni e Pando. A detta delle autorità, l’origine di questi roghi, che hanno iniziato a propagarsi in primavera, sarebbe direttamente collegata alla deforestazione agricola per la coltivazione di soia e riso.

La gravità della situazione va però ben oltre i confini boliviani. Incendi incontrollabili stanno infatti devastando vaste aree del Brasile, comprese ampie parti della foresta Amazzonica, di quella Atlantica, della savana tropicale del Cerrado e del Pantanal, la più grande zona umida del mondo. Nel solo mese di agosto e nei primi giorni di settembre sono stati registrati oltre 45.400 incendi in Amazzonia, cifra che non si vedeva dal 2005. Nel complesso, quest’anno, gli incendi sono aumentati del 76% rispetto al 2022. Stando ai dati pubblicati dall’Istituto Nazionale di Ricerca Spaziale del Brasile, dal primo gennaio al 3 settembre si sono verificati 70.402 incendi incontrollati nella porzione di foresta Amazzonica del Paese, incendi che, complessivamente, avrebbero interessato e distrutto una superficie superiore a quella dell’Italia, ben 369mila chilometri quadrati. La gran parte degli incendi è di origine dolosa. Essi sono infatti appiccati con l’obiettivo di sottrarre nuovo spazio alla natura per far posto a business legati all’agricoltura o all’allevamento. Azioni criminali i cui nefasti esiti sono resi più gravi rispetto agli altri anni dalla combinazione di forti venti, temperature elevate e scarse precipitazioni che sta colpendo ampie aree del territorio. Enormi distese di terra sono andate in fiamme anche in Ecuador, Paraguay e Perù.

[di Stefano Baudino]

Perché l’Everest è un rarissimo caso di montagna che continua a crescere ogni anno

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Scalare il monte Everest è sempre stato impegnativo, ma sembra che l’impresa stia diventando sempre più difficile: secondo nuovi calcoli, la vetta è ancora soggetta a processi geologici che influiscono sulla sua altezza, la quale sarebbe aumentata di 15-50 metri negli ultimi 89.000 anni e sta ancora incrementando a un ritmo di 0,1-0,5 millimetri l’anno. È quanto emerge da un nuovo studio condotto da ricercatori dell’University College London e della China University of Geosciences, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla prestigiosissima rivista scientifica Nature Geoscience. Secondo gli scienziati, la causa del fenomeno sarebbe un cambiamento nel corso del fiume Arun, il quale ha messo in moto un processo geomorfologico estremamente raro che provocherebbe il continuo innalzamento. «Questo effetto non continuerà indefinitamente», avvertono però i ricercatori, che hanno aggiunto: «Il processo continuerà finché il sistema fluviale non raggiungerà un nuovo stato di equilibrio».

Il monte Everest è situato nella catena montuosa dell’Himalaya, al confine tra Nepal e Tibet, ed è la vetta più alta al mondo, con un’altezza di 8.849 metri, che attira continuamente alpinisti da tutto il mondo. Il sistema montuoso si è formato circa 50 milioni di anni fa a seguito della collisione tra il subcontinente indiano e la placca tettonica eurasiatica e, secondo la ricerca scientifica, continua a subire alterazioni dovute a movimenti tettonici, eruzioni vulcaniche e fenomeni erosivi. Tuttavia, secondo la nuova ricerca pubblicata su Nature Geoscience, a tali fenomeni si sarebbe aggiunto un evento estremamente raro, noto come “cattura del fiume”. Questo processo prevede che il corso di un fiume venga deviato a causa di erosione o spostamenti tettonici, portando a un cambiamento del suolo circostante.

Nel caso dell’Everest, lo studio suggerisce che circa 89.000 anni fa il corso superiore del fiume Arun – che si trova a nord del monte – sia fluito verso est sull’altopiano tibetano, fondendosi con il suo corso inferiore a seguito dell’erosione di quest’ultimo verso nord. Ciò, spiegano i ricercatori, avrebbe comportato che l’intera lunghezza del fiume Arun diventasse parte del sistema del fiume Kosi, situato nel Nepal orientale. Il tutto avrebbe provocato un aumento sostanziale dell’erosione fluviale nei pressi dell’Everest e il conseguente “rimbalzo isostatico”, ovvero la spinta dovuta alla rimozione del peso sulla crosta terrestre, che ha portato a un sollevamento del terreno circostante. Per comprendere meglio il processo, basta pensare a ciò che succede quando un oggetto pesante posato su un materasso viene rimosso: similmente, sarebbe avvenuto per il monte Everest con lo spostamento di materiale dovuto all’erosione causata dalla cattura del fiume. «A quel tempo, ci sarebbe stata un’enorme quantità di acqua aggiuntiva che scorreva attraverso il fiume Arun, e questo sarebbe stato in grado di trasportare più sedimenti ed erodere più roccia madre, e tagliare nel fondovalle», ha spiegato Matthew Fox, ricercatore dell’University College di Londra e coautore.

«Il nostro studio dimostra che anche la vetta più alta del mondo è soggetta a continui processi geologici che possono influenzare in modo misurabile la sua altezza in scale temporali geologiche relativamente brevi», anche se «questo effetto non continuerà indefinitamente», ha affermato il professor Jingen Dai, ricercatore della China University of Geosciences e coautore del documento. «Ciò che rende questo studio unico è la dimostrazione che l’erosione causata dalla cattura del fiume può provocare una risposta così drammatica nella superficie terrestre, con un’area grande quanto la Grande Londra che si solleva di alcune decine di metri nell’arco di decine di migliaia di anni, il che è un processo relativamente rapido», ha dichiarato il professor Mikaël Attal dell’Università di Edimburgo, non coinvolto nello studio. Ha aggiunto, però, che il fenomeno spiegherebbe solo una frazione dell’insolita altezza delle vette più alte dell’Himalaya, visto che anche altri meccanismi, come gli stress tettonici e la perdita dei ghiacciai, potrebbero causare un sollevamento. La dottoressa Elizabeth Dingle della Durham University, invece, ha affermato che i risultati della ricerca potrebbero essere «importanti» anche oltre l’Everest: «Si sa che altre catture di fiumi si sono verificate nell’Himalaya. Quindi sarebbe interessante sapere se effetti simili si sono conservati altrove o in altre catene montuose tettonicamente attive più in generale».

[di Roberto Demaio]

Georgia, via libera alla legge anti-LGBT

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Il Presidente del Parlamento georgiano ha firmato una legge che limita i diritti delle persone della comunità LGBT, dando il via libera alla sua entrata in vigore, dopo che ieri la Presidente del Paese si era rifiutata di firmarla. La nuova norma vieta radicalmente i matrimoni tra persone dello stesso sesso, le adozioni da parte di omogenitoriali, e impone limiti ai trattamenti di affermazione di genere. Prevista anche la messa al bando di eventi come il Pride e il divieto di rappresentare persone LGBT nei film e nei libri.

Oltre centomila persone hanno bloccato la Francia durante l’insediamento del nuovo governo

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Dopo il tumulto politico-elettorale che ha scosso la Francia negli ultimi mesi e che ha portato alla nomina come primo ministro di Michel Barnier, esponente del partito “I Repubblicani” uscito sconfitto alle elezioni, oltre centomila persone hanno preso parte a manifestazioni e scioperi in tutta la Francia martedì primo ottobre. Lo stesso giorno in cui il neoeletto primo ministro francese ha pronunciato la sua dichiarazione politica all’Assemblea generale, annunciando consistenti tagli della spesa pubblica. Se secondo i dati del ministero dell’Interno, le manifestazioni in tutta la Francia sono state contenute con un totale di 95.000 partecipanti, il sindacato CGT ha dichiarato di aver contato 170.000 manifestanti in tutta la Francia, di cui 20.000 solo a Parigi.

I cittadini che hanno preso parte ai cortei proprio durante l’insediamento del nuovo governo hanno chiesto un miglioramento dei salari e dei servizi pubblici e l’abrogazione della riforma delle pensioni approvata lo scorso anno, su appello dei sindacati CGT, FSU e Solidaires. A Strasburgo, dove la manifestazione di protesta è iniziata nel pomeriggio, sono apparsi striscioni con la scritta “per i nostri salari, il nostro lavoro, le nostre condizioni di lavoro e di studio”. «Questa manifestazione serve a dimostrare al Primo Ministro che esistono questioni sociali, questioni relative alle pensioni, questioni relative ai servizi pubblici» ha detto Laurent Feisthauer, segretario generale della CGT del Basso Reno.

Tra le maggiori preoccupazioni dei dimostranti c’è quella inerente ai tagli alla spesa sociale, in particolare all’istruzione e alla sanità: «Sappiamo molto bene che la destra vorrà risparmiare e che ridurremo ulteriormente i mezzi dell’istruzione nazionale», ha affermato un’insegnante di scuola suoperiore che ha preso parte alle manifestazioni. Similmente, un assistente sociale in un ospedale di Seine-et-Marne ha detto con riferimento alle spese sanitarie che «Non sappiamo nemmeno cosa troveranno da tagliare. Non è rimasto niente». Inoltre, sono state bloccate anche alcune scuole superiori parigine. Un centinaio di studenti hanno marciato nel Quartiere Latino, con striscioni contro Barnier. Secondo alcuni osservatori, l’obiettivo dei sindacati era quello di esercitare pressione sul primo ministro, dopo che quest’ultimo aveva ricevuto le parti sociali la scorsa settimana. Barnier aveva dichiarato di voler restituire ai sindacati il controllo sulla garanzia contro la disoccupazione, contrariamente alle intenzioni del precedente governo Attal.

Le rimostranze sono andate in scena proprio mentre Barnier annunciava la necessità di nuovi tagli della spesa pubblica: il primo ministro francese, infatti, si è impegnato a ridurre il disavanzo pubblico  al 5% del Pil nel 2025, con una traiettoria che dovrebbe consentire di «tornare sotto il tetto del 3% nel 2029». «La prima cura per il debito è ridurre la spesa. Nel 2025, due terzi dello sforzo di ripresa deriveranno quindi dalla riduzione della spesa. Ridurre la spesa significa rinunciare al denaro magico, all’illusione che tutto sia gratis, alla tentazione di sovvenzionare tutto», ha dichiarato. Per indorare la pillola e fare presa soprattutto sull’elettorato di sinistra poi, il primo ministro ha annunciato una  patrimoniale per le grandi imprese e i grandi patrimoni, dicendo che sarà richiesta una «partecipazione al risanamento collettivo alle grandi imprese che realizzano profitti importanti» e «un contributo eccezionale» ai «francesi più fortunati», in nome della «richiesta di giustizia fiscale». Parallelamente, ha annunciato una rivalutazione del 2% del salario minimo a partire dal primo novembre e si è detto disponibile ad «aggiustamenti ragionevoli ed equi» alla tanto criticata riforma delle pensioni in vigore dallo scorso anno, senza però specificare una scadenza o un calendario per procedere nella direzione di una riforma.

Le ultime manifestazioni in Francia risultano, dunque, generate dal malcontento per le ormai consuete ricette economiche neoliberiste, che impongono tagli della spesa pubblica in nome dei conti pubblici in ordine, e dalla grave crisi della democrazia che si è creata Oltralpe: il vero vincitore delle elezioni, Jean-Luc Mélenchon, e il suo partito La France Insoumise, sono infatti stati estromessi dal governo insieme a Rassemblement National di Marine Le Pen che pure aveva ottenuto un ottimo risultato alle urne, con l’obiettivo di mantenere lo status quo della politica francese dominata dal “macronismo” e impedire la concretizzazione delle istanze socialiste, emerse dai risultati delle urne. Nonostante i risultati delle politiche economiche liberiste siano stati e continuino ad essere disastrosi ovunque applicati – si veda ad esempio il caso dell’Argetina ultraliberista di Milei – soprattutto i governi europei continuano a proporle come unica soluzione al presunto problema dei conti pubblici, generando però ulteriore povertà e malcontento sociale come mostrato dalle ultime manifestazioni francesi.

[di Giorgia Audiello]

Meglio tardi che mai: il Consiglio d’Europa riconosce Assange “prigioniero politico”

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L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) ha ufficialmente designato ieri Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, come «prigioniero politico». La decisione, arrivata dopo l’audizione che lo stesso Assange ha tenuto martedì scorso a Strasburgo, è stata formalizzata attraverso il via libera a una mozione che ha ottenuto 88 voti a favore, 13 contrari e 20 astenuti. La pronuncia è arrivata fuori tempo massimo, solo dopo che l’odissea giudiziaria di Assange – il quale ha dovuto, per sua stessa ammissione, dichiararsi «colpevole di giornalismo» per tornare libero – si è conclusa. Ciononostante, potrebbe avere ricadute significative, dal momento che ha espressamente richiesto ai governi di USA e Regno Unito di fare luce su alcuni punti del caso, affermando che le istituzioni debbano attivarsi concretamente affinché una simile vicenda non si ripeta in futuro.

L’Assemblea, che riunisce i parlamentari delle 46 nazioni del Consiglio d’Europa, ha accolto favorevolmente il rilascio di Assange, avvenuto lo scorso giugno in seguito a un accordo con il ministero della Giustizia statunitense, riconoscendo formalmente l’impegno del giornalista australiano nell’aver portato alla luce, attraverso il suo lavoro, importanti informazioni in merito a potenziali violazioni dei diritti umani e crimini di guerra. La risoluzione che ha ottenuto il semaforo verde, basata su un rapporto della socialista islandese Thorhildur Sunna Aevarsdottir, afferma testualmente che, secondo una  definizione  concordata nel 2012, il trattamento riservato ad Assange giustifica la sua designazione come «prigioniero politico». L’organo deliberativo del Consiglio d’Europa ha in particolare evidenziato le gravi accuse mosse contro il fondatore di WikiLeaks dagli Stati Uniti d’America, che lo esponevano a un possibile ergastolo: una pena che l’Assemblea ha definito «sproporzionata», dal momento che le azioni di Assange si erano concretizzate, in sostanza, sulla «raccolta e pubblicazione di notizie». Il Consiglio d’Europa ha inoltre chiesto agli USA di indagare sui presunti crimini di guerra e violazioni dei diritti umani che sarebbero emersi dalle pubblicazioni di Assange e Wikileaks. Infatti, ha aggiunto l’Assemblea, la mancata indagine, unita al duro trattamento riservato ad Assange e alla whistleblower Chelsea Manning, ha generato la percezione che la finalità del governo americano fosse quella di «nascondere le irregolarità commesse dagli agenti di Stato anziché proteggere la sicurezza nazionale».

Attraverso il via libera alla mozione, il Consiglio d’Europa ha inoltre accusato le autorità del Regno Unito di non essere state capaci di proteggere la libertà di espressione di Assange, chiedendo allo Stato britannico di condurre un’inchiesta per stabilire se il giornalista sia stato sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti nel corso della detenzione nel carcere britannico di massima sicurezza di Belmarsh. L’Assemblea ha poi sollecitato gli Stati Uniti a riformare «con urgenza» le proprie norme sullo spionaggio ed «escludere la possibilità che possa essere usata nei confronti di editori, giornalisti e whistleblower che divulgano informazioni classificate con l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica e informare su crimini gravi, come l’omicidio, la tortura, la corruzione o la sorveglianza illegale». Tra i 13 rappresentanti italiani al voto, 10 hanno detto sì alla mozione, mentre 3 si sono astenuti.

Martedì, davanti alla Commissione per gli affari giuridici dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, Julian Assange ha preso la parola  pubblicamente per la prima volta da quando, nel mese di aprile 2019, è stato arrestato dalla polizia britannica – dopo sette anni di confinamento forzato nell’Ambasciata ecuadoriana di Londra – e poi rinchiuso, per altri cinque, in una cella d’isolamento nel carcere di Belmarsh. «Ho scelto la libertà sull’impossibilità di ottenere giustizia – ha affermato Assange nel corso dell’audizione -. Voglio essere totalmente chiaro: non sono libero oggi perché il sistema ha funzionato, sono libero perché dopo anni di carcere mi sono dichiarato colpevole di giornalismo». Il fondatore di Wikileaks ha poi aggiunto: «Se l’Europa vuole avere un futuro in cui la libertà di parola e la libertà di pubblicare la verità non siano privilegi riservati a pochi ma diritti garantiti a tutti, allora deve agire in modo che ciò che è accaduto nel mio caso non accada mai a nessun altro».

[di Stefano Baudino]

Napoli, maxi-blitz contro la Camorra: 60 arresti

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Stamane, nel centro di Napoli, ha avuto luogo una maxi-operazione anti Camorra, che ha portato all’arresto di 60 persone. Nelle operazioni, scaturite da un’ordinanza del GIP di Napoli, che ha accolto una richiesta della DDA, sono stati impiegati 350 agenti di Polizia. Nel mirino della Procura ci sono, in particolare, esponenti del clan De Micco e De Martino. I soggetti arrestati risultano gravemente indiziati, a vario titolo, di associazione di stampo mafioso, associazione a delinquere finalizzata al furto, concorso esterno in associazione mafiosa, tentato omicidio, possesso di armi e ordigni esplosivi, traffico, spaccio di droghe, furto ed estorsione.

Naufragio in Nigeria: almeno 60 morti

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È di almeno 60 il bilancio delle vittime di un naufragio avvenuto martedì notte sul fiume Niger, nei pressi della città nigeriana di Gbajibo. L’annuncio è arrivato ieri dalle autorità locali, le quali hanno comunicato che le persone coinvolte, principalmente donne e bambini, stavano rientrando da una festa religiosa. Sull’imbarcazione erano presenti circa 300 persone, di cui 160 sono state salvate. Le operazioni di salvataggio sono ancora in corso; ignota, invece, la dinamica dell’incidente.

Il fondo americano Blackrock incontra Meloni e si prepara a far spesa in Italia

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Lo scorso 30 settembre, a Palazzo Chigi si è svolto un incontro di alto livello tra la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e Larry Fink, amministratore delegato del più grande e potente fondo d’investimenti al mondo, l’americano BlackRock. Secondo quanto dichiarato nella nota rilasciata dalla presidenza del Consiglio, al centro del colloquio c’era «un approfondito scambio di vedute su possibili investimenti del fondo USA in Italia». Si è parlato cioè della possibilità che il fondo acquisisca quote di alcuni asset strategici di proprietà dello Stato che il governo ha deciso di privatizzare. Al centro degli interessi del fondo americano ci sarebbero infrastrutture, aziende energetiche e le Poste. Dopo aver incontrato altri personaggi di spicco della finanza e della Silicon Valley, tra cui Elon Musk e i vertici di Google e OpenAI, prosegue, dunque, la luna di miele tra il governo “sovranista” italiano e la finanza americana.

Al centro degli interessi del fondo americano anche le nuove tecnologie. Nello specifico, gli appetiti di Blackrock mirano allo sviluppo di data center e alle infrastrutture energetiche di supporto, tra cui quelle nucleari, necessarie per alimentare i centri di elaborazione dati.

Come si legge nel comunicato ufficiale del governo, durante l’incontro è stata concordata “la costituzione di un ristretto gruppo di lavoro, coordinato da Palazzo Chigi, dedicato all’attuazione dei progetti da sviluppare in collaborazione”. Tra i progetti al centro dell’interesse di Fink c’è sicuramente quello di investire nelle infrastrutture di trasporto di merci, persone e materie prime attraverso il fondo GIP (Global Infrastructures Partners) acquisito dalla Roccia Nera a inizio anno per ben 12,5 miliardi di dollari. Si tratta di un fondo specializzato negli investimenti in infrastrutture: nel suo portafoglio – dal valore di oltre cento miliardi di dollari – figurano l’aeroporto di Londra-Gatwick, il porto di Melbourne in Australia e la società ferroviaria italiana Italo – Nuovo Trasporto Viaggiatori. Il fondo ha ceduto nel 2023 il 50% di Italo a Mediterranean Shipping Company (MSC), una delle compagnie di trasporto marittimo più grandi al mondo, fondata dal napoletano Gianluigi Aponte. Ma gli interessi del colosso finanziario non si limitano alle infrastrutture di trasporto, estendendosi anche agli investimenti in nuovi data center per lo sviluppo dell’IA. E qui entra in gioco Enel: il numero uno di BlackRock, infatti, prima dell’incontro con la premier italiana, avrebbe incontrato l’ad della società energetica italiana, Flavio Cattaneo, per sondare l’interesse dell’azienda nell’investimento in nuovi centri di elaborazione dati. Il colosso finanziario USA è già il secondo azionista di Enel dopo lo Stato con il 5,023% del capitale sociale, posseduto a titolo di gestione del risparmio e sembra ora intenzionato ad espandere il suo controllo nell’azienda. Enel, infatti, ha siti in 28 Paesi, alcuni dei quali potrebbero essere dismessi per far spazio ai data center.

D’altro canto, per funzionare, i centri di elaborazione dati hanno bisogno di un’immensa quantità di energia e le grandi multinazionali guardano sempre di più all’uso dell’energia nucleare per alimentarli. Da qui le mire del gigante della finanza americana anche sullo sviluppo di infrastrutture nucleari, in particolare degli “small modular reactor” (Smr), piccoli reattori a fissione nucleare. In Italia, l’azienda di Stato che potrebbe investire nel loro sviluppo è Leonardo S.p.A., società attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza. Lo stesso ad dell’azienda Roberto Cingolani, del resto, aveva espresso il suo favore allo sviluppo e all’impiego della nuova tecnologia. Non sembra un caso, dunque, che il governo Meloni abbia recentemente dato il suo benestare al fondo di Larry Fink per aumentare di oltre il 3% le sue partecipazioni in Leonardo.

I big del capitalismo e della finanza americana sembrano particolarmente interessati ad acquisire le azioni delle principali aziende italiane, anche e soprattutto quelle protette dal Golden Power, vale a dire quella normativa che permette allo Stato di frenare le acquisizioni straniere nei settori strategici per la sicurezza nazionale. Del resto, già lo scorso gennaio l’esecutivo di Roma aveva autorizzato la cessione da parte di Tim della sua rete primaria e secondaria delle telecomunicazioni al fondo statunitense KKR, ritenendola idonea alla tutela degli interessi nazionali. Ora Blackrock acquisisce così un controllo sempre più pervasivo dei gangli dell’economia italiana, grazie all’aiuto della premier “sovranista”.

[di Giorgia Audiello]

Libano, raid israeliano a Beirut: almeno sei morti

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Nella notte tra ieri e oggi, giovedì 3 ottobre, l’aviazione israeliana ha lanciato un attacco nel centro di Beirut uccidendo almeno 6 persone e ferendone altre 8. Secondo quanto riportano media libanesi, l’attacco sarebbe avvenuto vicino al parlamento libanese e all’ufficio del primo ministro, e si sarebbe abbattuto su un edificio lì vicino. Intanto continuano anche i bombardamenti sulla periferia meridionale della città. Proseguono inoltre gli scontri sul confine, dove solo nell’ultimo giorno sono state uccise 46 persone. Dall’8 ottobre, le vittime in Libano sono oltre 1.900, e i feriti oltre 9.000.