domenica 13 Luglio 2025
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Comunicare con i colori: come le alghe tengono lontani i pesci predatori

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Alcune alghe rosse sembrano aver trovato un modo per “parlare” ai pesci che le minacciano: usano il colore. È quanto suggerisce un nuovo studio guidato da ricercatori dell’Università di Kobe, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica European Journal of Phycology. Effettuando immersioni subacquee e analizzando poi i campioni raccolti in laboratorio, i ricercatori hanno scoperto che alcuni tipi di alghe rosse presentano punte di crescita di tonalità blu e, nel complesso, un aspetto molto più pallido rispetto al consueto, e il tutto grazie a particolari microsfere riflettenti presenti nelle cellule ghiandolari. Si tratta delle stesse strutture che ospitano anche sostanze chimiche note per la loro azione anti-erbivora e questo, secondo gli autori, suggerisce che si tratti di una sorta di segnale visivo simile a quello che nel regno animale viene definito aposematismo, ovvero l’uso di colori di avvertimento per scoraggiare i predatori. «Un tale repellente è più efficace se abbinato a un colore di avvertimento, come la tonalità blu delle punte di crescita delle alghe», commenta Kawai Hiroshi, ficologo dell’Università di Kobe.

La colorazione delle alghe può derivare da pigmenti, come quelli fotosintetici, oppure da strutture fisiche che interagiscono con la luce: è il caso della cosiddetta colorazione strutturale, già nota in animali e piante terrestri. In alcune macroalghe, questa colorazione si forma attraverso tre meccanismi principali: strutture multilamellari, microfibrille ordinate o corpi intracellulari rifrangenti. Per quanto riguarda lo studio condotto all’Università di Kobe, invece, i ricercatori si sono concentrati su Asparagopsis taxiformis, una specie rossa che vive in acque subtidali la cui osservazione è risultata complessa a causa della fragilità dei campioni e della profondità del loro habitat. «Essendo un subacqueo, so da tempo che alcune alghe rosse hanno un aspetto molto più bianco del loro solito rosso se osservate in acqua. Inoltre, in una recente indagine subacquea, ho notato che le punte dei giovani germogli di una di queste specie sembravano avere una tonalità bluastra. Queste osservazioni mi hanno incuriosito e ho voluto chiarire il meccanismo di questi colori», ha commentato Kawai. Utilizzando immersioni subacquee e tecniche avanzate di microscopia elettronica, gli autori hanno identificato, nelle cellule ghiandolari, corpi rifrangenti contenenti microsfere di dimensioni uniformi nella zona apicale dell’alga. Si tratta di strutture – spiegano – che riflettono selettivamente la luce blu, mentre, maturando, perdono l’uniformità, riflettendo la luce in modo più diffuso e generando una tonalità bianca. A differenza della colorazione rossa tipica dei pigmenti fotosintetici, però, questi colori strutturali potrebbero avere una funzione comunicativa, segnalando la presenza di sostanze sgradevoli o mascherando l’alga nel suo ambiente.

Le cellule dell’alga rossa Asparagopsis taxiformis, chiamate “cellule ghiandolari”, che contengono corpi di microsfere compatte di un materiale riflettente la luce. Credit: H. Kawai e T. Motomura, European Journal of Phycology 2025

In particolare, secondo quanto riportato, la colorazione blu delle punte in crescita potrebbe servire come segnale di avvertimento visivo nei confronti di pesci erbivori, in analogia a meccanismi noti nel regno animale. Le stesse strutture rifrangenti che generano il colore ospitano infatti sostanze bromurate ad azione deterrente, già documentate per la loro efficacia nel ridurre la pressione dei pesci erbivori. Inoltre, la colorazione biancastra delle parti più mature dell’alga – comprese le strutture riproduttive – sembrerebbe avere un effetto mimetico, mascherando la pigmentazione rossa che i predatori visivi assocerebbero a una risorsa nutriente. Fenomeni simili, inoltre, sono stati documentati anche in altre alghe come Martensia, Callophyllis e Dictyopteris, tutte appartenenti a regioni tropicali o temperate calde. La maggiore incidenza di questi meccanismi in ambienti ad alta visibilità e con una ricca presenza di pesci erbivori suggerisce una possibile evoluzione convergente, anche se i cambiamenti climatici e il riscaldamento delle acque potrebbero alterare questi equilibri, in quanto l’espansione verso nord dei pesci tropicali potrebbe rappresentare una minaccia crescente per le specie algali locali prive di simili meccanismi difensivi. «Comprendere meglio queste strategie visive potrebbe aiutarci a prevedere gli impatti della tropicalizzazione sugli ecosistemi marini», conclude il coautore Hiroshi Kawai.

Blackout a Cannes: “160.000 case senza elettricità”

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Un blackout elettrico su larga scala ha colpito Cannes e l’intera area delle Alpi Marittime proprio nelle ore clou del Festival. Lo rivelano le emittenti come France 3 e le agenzie di stampa francesi, spiegando che ad essere coinvolti sono stati ristoranti, negozi, hotel e gran parte delle sale cinematografiche, dove le proiezioni sono state interrotte. Secondo quanto riferito dalla gendarmeria francese, l’interruzione potrebbe non essere accidentale: un incendio in una cabina ad alta tensione nel comune di Tanneron e il crollo di un traliccio questa mattina hanno sollevato il sospetto di un possibile gesto doloso. A metà giornata, oltre 160.000 abitazioni risultavano ancora senza elettricità. Le indagini sono in corso.

Palermo: anticipata la commemorazione per Falcone per zittire chi chiede verità sulle stragi

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C’è Antimafia e antimafia: la prima vive nel cuore pulsante dell’attivismo coraggioso e disinteressato, la seconda all’ombra della politica, dei tappeti rossi e della “normalizzazione”. A renderlo evidente sono state, ancora una volta, le commemorazioni per la strage di Capaci tenutesi ieri a Palermo, nel 33esimo anniversario della morte del magistrato Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e degli uomini della scorta. L’esplosione avvenne alle 17.58, ma il momento del ricordo, nella cornice della manifestazione ufficiale promossa dalla Fondazione Falcone in via Notarbartolo e gremita di politici nazionali e regionali, è stato celebrato 10 minuti prima. Quando le migliaia di attivisti dell’antimafia sociale sono arrivati sul posto, si sono trovati davanti un palco vuoto. Due anni fa gli era andata ancora peggio: i dimostranti si presero le manganellate della polizia mentre Maria Falcone, sorella del giudice e presidente della Fondazione, condivideva il palco col sindaco di Palermo Roberto Lagalla. Il quale, in campagna elettorale, ebbe come sponsor Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro, entrambi condannati definitivamente per reati connessi alla mafia.

Lagalla era presente anche quest’anno accanto a Maria Falcone. Sul palco, con loro, si sono infatti alternati anche i ministri della giustizia Carlo Nordio, degli Interni Matteo Piantedosi e della cultura Alessandro Giuli, come anche il presidente della Regione siciliana Renato Schifani. Presente anche Fiammetta Borsellino, il cui legale, Fabio Trizzino, attacca da anni il Movimento delle Agende Rosse del fratello di Paolo, Salvatore Borsellino – “reo” di chiedere verità in merito alle implicazioni della “trattativa Stato-mafia” e al plausibile ruolo avuto dall’eversione nera nelle stragi del ’92-’94 a Palermo, Roma, Firenze e Milano –, sposando la teoria che vede la morte di Paolo Borsellino come diretta conseguenza del suo presunto interessamento al rapporto “mafia-appalti” del ROS dei Carabinieri. Valorizzando, dunque, le tesi degli stessi uomini del ROS che, subito dopo la strage di Capaci, senza informare l’autorità giudiziaria, scelsero di inaugurare una “improvvida trattativa” (così scrivono i giudici) con i vertici di Cosa Nostra per il tramite dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino. Tutte logiche a cui il blocco che ha nutrito il corteo “Non chiedeteci silenzio”, organizzato da studenti, associazioni e sindacati in risposta al “silenzio” caldeggiato da Maria Falcone per le commemorazioni, si contrappone frontalmente. Eppure, anche quest’anno, la loro voce non si è potuta sentire.

Dopo i discorsi e le riflessioni di rito, infatti, per la prima volta in 33 anni, il minuto di silenzio è partito con incredibile anticipo: alle 17.48 invece che alle 17.58. Quando il corteo di protesta contro il governo è arrivato presso l’Albero di Falcone in via Notarbartolo, i politici che erano sul palco erano già frettolosamente andati via. Tra le persone che rimpinguavano il corteo, promosso da decine di sigle, c’erano anche familiari di vittime di mafia. «Ci hanno raggirato anticipando il minuto di silenzio: tutto questo è successo perché hanno paura, una grande paura di quello che vogliamo dire», ha dichiarato Roberta Gatani, nipote di Paolo Borsellino. «Non esiste cosa più grave, tremenda e vigliacca che privare i palermitani di un momento così sacro quale il minuto di silenzio, specialmente sotto l’Albero Falcone» ha detto Nino Morana, nipote di Nino Agostino, poliziotto ucciso dalla mafia nel 1989. Sulla stessa scia anche Giovanni Paparcuri, autista di Rocco Chinnici sopravvissuto alla strage di via Pipitone Federico e collaboratore di Falcone e Borsellino: «Quello che è accaduto è stato vergognoso, uno sgarbo allo stesso Falcone» ha affermato. «I ragazzi contestavano? Pazienza. Il dottore Falcone non è della Fondazione, è di tutti», ha aggiunto, criticando aspramente Maria Falcone e preannunciando che non presiederà più alle prossime commemorazioni. La Falcone si è difesa parlando di un semplice «errore», mentre in una nota la sua Fondazione ha scritto: «Per noi la memoria non è un cronometro ma impegno in ogni attimo della nostra vita».

Uno scenario ancora peggiore si era stagliato su Palermo alle commemorazioni della strage di Capaci di due anni fa. In occasione del 31° anniversario, infatti, il questore del capoluogo siciliano Leopoldo Laricchia aveva vietato ai manifestanti del corteo dell’antimafia sociale – in quel frangente organizzato all’insegna dello slogan “Non siete Stato voi, ma siete stati voi” – di raggiungere l’Albero di Falcone e riservato l’accesso solo alla marcia ufficiale promossa dalla Fondazione Falcone con il sindaco Lagalla. Circa duemila studenti e attivisti, partiti in pacifica protesta dalla Facoltà di Giurisprudenza per denunciare le collusioni tra mafia e istituzioni, si erano scontrati con cordoni antisommossa, ricevendo manganellate dai poliziotti. Rotti i blocchi, avevano osservato il minuto di silenzio. Per poi intonare a gran voce il coro “Fuori la mafia dallo Stato!”.

Sentito da L’Indipendente, anche Salvatore Borsellino, fratello di Paolo e fondatore del Movimento delle Agende Rosse, ha voluto far sentire la sua voce: «Quello che è successo ieri è qualcosa di inaudito e vergognoso: dopo le manganellate agli studenti degli anni scorsi, è andato in scena un tranello perpetrato per impedire agli studenti e ai partecipanti al corteo alternativo rispetto alle manifestazioni ufficiali di presenziare al suono del silenzio in onore delle vittime della strage». Aggiunge Borsellino: «Il peggio è arrivato con un comunicato della Fondazione Falcone in cui si afferma che “l’importante è avere celebrato ancora una volta, tutti uniti, i nostri eroi”. Ma “tutti uniti” chi? Forse Stato e mafia, viene da rispondere, davanti a una vergogna del genere».

Russia-Ucraina, scambiati centinaia di prigionieri

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Il governo russo ha reso noto che ha avuto luogo il secondo scambio di prigionieri con le autorità ucraine. In un comunicato diramato dalla Difesa di Mosca si legge infatti che, in conformità con gli accordi russo-ucraini raggiunti il 16 maggio a Istanbul, «altri 307 militari russi sono stati rimpatriati dal territorio controllato dall’Ucraina». In cambio, «sono stati trasferiti 307prigionieri di guerra delle Forze armate ucraine».

Ridateci la realtà, riprendiamoci la realtà

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Nel Sessantotto i manifestanti in corteo scandivano il celebre motto «L’immaginazione al potere!». Ora sembra invece necessario un nuovo senso della realtà, la presa diretta con i bisogni, con la vita di ogni giorno.

L’era della comunicazione ha facilitato, in un primo tempo, l’accesso all’informazione, ha determinato una particolare democrazia consistente nel poter avere a disposizione notizie, opinioni e interpretazioni, allargando la conoscenza dal ‘qui e ora’ a regioni lontane, sino al mondo intero. All’origine, nella seconda metà del Settecento in Gran Bretagna, i giornali di informazione avevano interessato e influenzato quasi soltanto i ceti superiori e commerciali urbani. I quotidiani erano semplicemente i portavoce prezzolati dell’uno o dell’altro partito. Soltanto dopo la metà del diciannovesimo secolo – osserva Richard D. Altick nel suo studio La democrazia tra le pagine (Il Mulino 1990) – «i quotidiani, divenendo sempre più importanti come mezzi di diffusione di messaggi pubblicitari, poterono gradualmente scrollarsi di dosso il controllo del governo o dei partiti per diventare voci indipendenti del sentimento pubblico» (p. 367).

Due secoli dopo eccoci invece alle prese con il controllo e la manipolazione generati proprio dalla pubblicità e con il noto fenomeno per cui l’enorme espansione dei media comunicativi, sino ai social media, ha prodotto, prima un enorme facilitazione nell’accesso all’informazione e poi  la sostituzione della realtà con la comunicazione, affastellando notizie e pseudo-notizie in modo tale da mettere perfino in secondo piano il problema del condizionamento.

Più i dati messi in circolazione non sono attendibili, più la percezione comune è che non esista una vera realtà. La manipolazione non è più appannaggio di chi ha il potere ma è diventato uno stile condiviso, un atteggiamento inarrestabile che rende il frastuono ingestibile. Si assiste a una crisi, a un crollo dei sistemi simbolici come se non fosse più possibile trasmettere parole, immagini, segni dotati di senso condiviso.

Nel 2013 il World Economic Forum (attenzione alla fonte!) ha sentenziato che una delle minacce più serie per la società è la diffusione massiccia di informazione fasulle. Ma abbiamo poi capito che il problema è invece che chi detiene il potere vuole avere l’esclusiva dell’influenza sul pubblico prodotta dalla falsificazione della realtà. Una falsificazione madre di tutti i controlli.

La gente viene accusata di far girare notizie, opinioni e commenti privi di senso, ingiuriosi, complottistici, distorti dal sentito dire, ma tutto questo, a mio parere, è la conseguenza del fatto che la maggioranza dei media tiene lontani utenti e persone dai fatti che realmente accadono. E anche che l’autorevolezza superstite è inficiata dal dubbio, dalla diffidenza.

Di qui la crisi del giornalismo, l’impotenza persino nel far accettare come corrispondente a fatti reali la documentazione fotografica, i servizi lanciati dai luoghi dove si svolgono gli eventi. Diciamo allora, anzi urliamo pure nei cortei: «Ridateci la realtà!» un diritto che, dati i tempi, sembra quasi una pretesa.

Come media e politica usano l’attentato di Washington per difendere il massacro israeliano

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“Caccia all’ebreo”, “terrorismo antisemita”, “seme dell’odio antisemita”. Diversi quotidiani hanno dedicato l’apertura di ieri al brutale omicidio dei due diplomatici israeliani a Washington, compiuto da Elias Rodriguez, trentenne originario di Chicago, che ha aperto il fuoco su di loro all’uscita del Museo ebraico. Orrore antisemita negli Usa (Il Corriere della Sera); Uccidere gli ebrei in quanto ebrei (Il Foglio); L’incendio si propaga, Il salto di qualità dell’antisemitismo (Il Riformista); Terrorismo antisemita (Fanpage); La miccia dell’odio (Avvenire) sono alcuni dei titoli che campeggiano sulle prime pagine delle testate cartacee e online.

Tutti gli articoli elencati enfatizzano il clima di odio nei confronti degli ebrei, grazie a un’abile tecnica di sovrapposizione, per cui si continua a confondere l’antisionismo con l’antisemitismo. L’equazione, che si basa su false premesse, è che se critichi il sionismo o le politiche di Israele sei automaticamente un “antisemita” (e ciò vale persino per gli ebrei).

Si stanno inoltre usando alcune regole auree dell’ingegneria sociale: la distrazione dell’opinione pubblica dal genocidio; la tecnica dell’empatia, trattando la notizia in maniera “emotiva”, focalizzando l’attenzione sui dettagli della giovane coppia che possano creare una forma di empatia e parlare alla pancia delle persone; la teoria dello shock, facendo credere che il “seme dell’odio” possa straripare in Occidente e colpire chiunque, in qualunque momento; divide et impera, con la polarizzazione e l’appiattimento del dibattito; framing, ovvero la creazione di una cornice valoriale dispregiativa: chiunque critichi Israele è un “antisemita”. Si mettono in campo anche alcune fallacie logiche per colpevolizzare chiunque non empatizzi — non tanto con le vittime (il che è naturale) — quanto con Israele.

Fanpage, per esempio, definisce l’uccisione di Yaron Lischinsky e Sarah Milgrim un «atto depravato di terrorismo antisemita», citando l’ambasciatore israeliano all’ONU, Danny Danon. Questo schema viene ripetuto e utilizzato da anni per criminalizzare chiunque osi denunciare i crimini perpetrati da Israele. Oggi si sfrutta un caso di cronaca, collegando l’attentato a un clima di odio generalizzato contro gli ebrei, utilizzando — da Rights Reporter a Panorama — un linguaggio particolarmente forte ed evocativo: si parla di “seme dell’odio” o di “atto depravato” e, come nel caso de Il Messaggero, si sottolinea il rischio di emulazione in Europa, citando episodi recenti di antisemitismo.

Punta chiaramente all’emotività e ricorre alla tecnica dell’empatia Avvenire, che nel titolo Uccisi negli Usa. Yaron e Sarah credevano nel dialogo e volevano sposarsi a Gerusalemme rimarca il movente antisemita e sfrutta riferimenti espliciti alla coppia per parlare di un’istigazione antisemita su scala globale. A rispolverare l’uso delle fallacie per liquidare ogni possibile distinguo è Sergio Della Pergola che, intervistato da Avvenire, afferma che, sebbene Netanyahu stia gestendo la guerra «nel peggiore dei modi possibili», «essere contro Israele significa di fatto essere anti-ebrei».

Anche Linkiesta (A sangue freddo – Una coppia di funzionari israeliani è stata assassinata a Washington) punta a enfatizzare il carattere di crimine d’odio e il contesto antisemita. La Stampa e Rainews inseriscono ripetuti riferimenti a un contesto di odio globale, con accuse di istigazione all’antisemitismo. Repubblica ricostruisce la dinamica dell’attentato e sottolinea come le motivazioni politiche dell’assalitore si siano intrecciate con un antisemitismo esplicito e violento, definendo l’episodio come «una miscela esplosiva» tra militanza ideologica e odio etnico.

Su Il Foglio, Claudio Cerasa ribadisce che l’antisemitismo non nasce dal conflitto, ma da un’ideologia radicata che usa l’antisionismo come maschera. «La nuova emergenza globale», secondo Cerasa, è che oggi non ci si vergogna più di «odiare gli ebrei». Le parole hanno un peso, avverte su Repubblica Stefano Cappellini, e oggi assistiamo a fenomeni «che non sono ormai troppo lontani dalla caccia all’ebreo».

Per Fiamma Nirenstein (Il Giornale), che forse a causa di un colpo di sole si è persa il massacro di civili nella Striscia di Gaza, la sinistra ha contribuito a legittimare l’antisemitismo mascherandolo da antisionismo e diffondendo “fake news” e “accuse infondate” contro Israele. E, come da manuale, non manca una citazione sulla “banalità del male” di Hannah Arendt, inserita a caso come pennellata retorica.

Su Il Riformista, Giuliano Cazzola — lo stesso che auspicava l’uso dei cannoni di Bava Beccaris contro i “no vax” — contesta le accuse di crimini di guerra rivolte a Israele, invitando i “pacifisti” a rileggere la IV Convenzione di Ginevra, che non vieta di combattere in aree civili ma impone regole di protezione. Il colpo di teatro arriva però con l’editoriale di Claudio Velardi: in Il salto di qualità dell’antisemitismo, dopo aver insultato i lettori («Che vi aspettate, razza di pelosi ipocriti»), ci informa che a «Washington è accaduto quello che semplicemente doveva accadere, perché quando si semina odio si raccoglie tempesta». E potremmo continuare a lungo, con articoli pressoché fotocopia.

Quello che risulta evidente fino al parossismo è che i media stanno strumentalizzando l’omicidio della coppia di diplomatici israeliani per distrarre l’opinione pubblica dai crimini commessi da Israele nella Striscia di Gaza, deviando sapientemente l’attenzione su un atto certamente violento, un crimine efferato e deprecabile, che viene però descritto come un “atto di terrorismo antisemita”, appiattendo così il movente politico dell’assalitore a un più generico e irrazionale odio nei confronti degli ebrei.

Oggi, infatti, non si parla più degli spari a Jenin, delle critiche dell’UE a Israele o di genocidio: tutto è stato spazzato via da un’abile operazione di spin, che sfrutta un fatto di cronaca per deviare l’attenzione e colpevolizzare chiunque si permetta di fare dei distinguo, lanciandogli contro l’anatema di “antisemita”.

Gli articoli presi in esame livellano la complessità del contesto geopolitico in cui si è consumato il crimine: il focus sull’antisemitismo come movente principale trasforma l’evento in un attacco all’identità ebraica, anziché in un’azione motivata dalle politiche israeliane a Gaza. La volontà dichiarata è quella di generare empatia per Israele come vittima di un odio immotivato, distogliendo l’attenzione dalle crescenti critiche alle sue azioni militari a Gaza e alla sua sete di sterminio.

USA, confermato allentamento sanzioni alla Siria

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L’amministrazione degli Stati Uniti ha emesso l’ordine di cominciare ad allentare le sanzioni contro la Siria, come aveva annunciato nelle scorse settimane il presidente Donald Trump nel suo incontro con il leader siriano Ahmad Sharaa (al Jolani), parlando di un «nuovo inizio» per la Siria. «Un nuovo capitolo si apre per il popolo siriano – si legge nella nota con  con cui oggi è stato confermato l’annuncio -. Il governo degli USA si impegna a sostenere una Siria stabile, unita e in pace con se stessa e con i suoi vicini».

È morto il fotografo Sebastião Salgado

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Sebastião Salgado, fotografo e fotoreporter brasiliano, è morto oggi all’età di 81 anni. Nato nel 1944 ad Aimorés, nello Stato di Minas Gerais, Salgado iniziò la propria carriera fotografica negli anni ’70, dopo avere intrapreso una carriera universitaria in ambito economico. Salgado ha avuto un grande impatto nella fotografia sociale e documentaristica per i suoi scatti in bianco e nero, spesso con forti contrasti, che esploravano tematiche quali migrazione, povertà, conflitti e ambiente. Fu candidato più volte al premio come miglior fotografo al World Press Photo.

Russia-Ucraina: maxi-scambio di prigionieri

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Oggi, venerdì 23 maggio, è iniziato il maggiore scambio di prigionieri tra Russia e Ucraina dall’inizio della guerra. Lo scambio era stato annunciato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump in mattinata, per poi venire confermato da ambo le parti. L’accordo era stato raggiunto la scorsa settimana a Istanbul, in occasione dei primi colloqui diretti tra i due Paesi in conflitto. Stanno così rientrando nei rispettivi Paesi i primi blocchi di prigionieri, costituiti tanto da parte Russia che Ucraina da 270 militari e 120 civili. In totale, lo scambio prevede il rientro di 1.000 persone per parte, che dovrebbero venire restituiti nei prossimi giorni.

Uno studio dimostra le potenzialità della cannabis per trattare le infiammazioni cardiache

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Il cannabidiolo, composto privo di effetti psicotropi presente nella cannabis, si è dimostrato significativamente sicuro nei pazienti con rischio cardiovascolare e quindi potrebbe avere effetti benefici contro infiammazioni cardiache come miocardite e pericardite: è quanto emerge da uno studio clinico controllato condotto da un team internazionale di scienziati guidati dal Dott. Leslie Cooper e presentato al congresso Heart Failure 2025 della Società Europea di Cardiologia a Belgrado. Utilizzando una formulazione orale sperimentata in pazienti ricoverati per Covid-19 non grave, i ricercatori hanno scoperto che la tollerabilità del trattamento non ha provocato nessun aumento significativo di effetti avversi, il che, combinato con le proprietà già note del cannabidiolo nel trattamento di tali infiammazioni, sarebbe scientificamente “incoraggiante” riguardo a nuovi trattamenti che per queste condizioni sono ancora limitati: «Il GMP-cannabidiolo è stato complessivamente ben tollerato e, soprattutto, il tasso di effetti collaterali cardiaci è stato basso e simile rispetto al placebo. Questi dati sulla sicurezza sono incoraggianti, poiché sono in corso due studi più ampi che valutano l’efficacia e la sicurezza del GMP-cannabidiolo», ha commentato Cooper.

Attualmente, le opzioni per affrontare patologie infiammatorie del cuore come la miocardite e la pericardite sono piuttosto limitate. Si tratta di condizioni che colpiscono rispettivamente il muscolo cardiaco e la membrana che avvolge il cuore, che possono essere scatenate da infezioni virali o da una risposta infiammatoria alterata e che, spiegano i ricercatori, rappresentano un rischio significativo soprattutto per chi ha già una storia di malattie cardiovascolari. Il cannabidiolo — un componente non psicotropo della cannabis — aveva già mostrato in laboratorio la capacità di inibire la cosiddetta “via dell’inflammasoma”, ovvero un processo intracellulare coinvolto nella genesi di queste patologie. Rimaneva da verificare quindi la sua sicurezza d’uso e, per fare ciò, il team guidato da Leslie Cooper ha avviato uno studio su pazienti ricoverati per COVID-19 non grave, ma con pregressi problemi cardiovascolari o fattori di rischio noti. Gli autori hanno spiegato che la particolare scelta della pandemia come contesto è nata proprio dalla consapevolezza che l’infezione potesse indurre o aggravare infiammazioni cardiache. I pazienti, inoltre, sono stati randomizzati a ricevere il farmaco o un placebo, con l’obiettivo primario di monitorare la sicurezza del trattamento entro 60 giorni.

In particolare, lo studio è stato interrotto prima di raggiungere il numero previsto di partecipanti, a causa del calo dei ricoveri per COVID-19 idonei, ma in tutto sono stati inclusi 89 pazienti – con un’età media di 61 anni – suddivisi equamente tra chi ha ricevuto il cannabidiolo e chi ha assunto il placebo. Secondo i risultati, non sono emerse differenze rilevanti tra i due gruppi nel numero di eventi avversi: il cannabidiolo ha mostrato una frequenza di effetti collaterali simile a quella del placebo (24,4% contro 22,7%), così come per gli eventi gravi (11,1% contro 9,1%). Nonostante non si siano verificati decessi nel gruppo trattato, due pazienti del gruppo placebo invece sono deceduti per insufficienza respiratoria. Anche i disturbi più comuni — gastrointestinali, neurologici e respiratori — sono risultati pressoché equivalenti: «Il tasso di effetti collaterali cardiaci è stato basso e simile rispetto al placebo», ha commentato il dott. Cooper, definendo incoraggianti questi risultati preliminari ma avvertendo al tempo stesso alla cautela, visto che serviranno conferme più ampie. In tutti i casi, si tratta secondo gli autori di uno studio che ha aperto la strada a due importanti sperimentazioni attualmente in corso, le quali potrebbero potenzialmente aggiungere evidenze scientifiche cruciali a riguardo.