mercoledì 2 Aprile 2025
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Baltico, media russi: petroliera affonda nel Golfo di Finlandia

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L’enorme petroliera Koala, battente bandiera di Antigua e Barbuda, con 130mila tonnellate di petrolio, sta affondando nel porto russo di Ust-Luga, nel Golfo di Finlandia. Lo riportano i media russi Tass e Fontanka (locale), secondo cui si sarebbero udite alcune esplosioni nella sala macchine. Tutto l’equipaggio, composto da 24 persone, è stato evacuato e il personale del Ministero delle Emergenze russo ha installato delle barriere attorno al mezzo. Secondo le prime notizie, non si sarebbero ad ora verificate perdite di materiale petrolifero in acqua. Il Comando della Guardia costiera finlandese del Golfo di Finlandia ha comunicato che non dispone ancora di informazioni verificate sull’incidente.

Sud del Messico, grave incidente stradale: almeno 41 morti

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Almeno 41 persone sono morte in un incidente stradale che ieri ha coinvolto un autobus e un camion nel sud del Messico. Lo ha reso noto nelle ultime ore il governo dello Stato di Tabasco. L’incidente è avvenuto nei pressi del piccolo centro di Escárcega mentre il bus, proveniente da Cancun, viaggiava in direzione di Tabasco. Le vittime accertate sono, oltre al camionista, 38 passeggeri e l’autista del bus. Nel dare la notizia, l’emittente britannica Bbc ha pubblicato un’immagine dell’autobus completamente distrutto dalle fiamme. L’operatore del bus, la Tour’s Acosta, ha affermato che a bordo del mezzo c’erano in tutto 48 passeggeri.

 

La nuova vita di Julian Assange: intervista esclusiva al fratello

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All’alba del 25 giugno scorso, dopo 14 anni, è finito l’incubo per Julian Assange, giornalista d’inchiesta e fondatore di WikiLeaks, il portale che più di ogni altro permise ai cittadini del mondo di conoscere alcuni dei segreti inconfessabili del potere americano, come le stragi deliberate di civili in Iraq o l’opera di spionaggio ai danni degli alleati occidentali. Assange, dopo la persecuzione, culminata nella detenzione per cinque anni in regime di isolamento nella prigione di Belmarsh, nel Regno Unito, ha parlato una volta sola, al Consiglio d’Europa. Lui e la sua famiglia hanno schivato ogni intervista, un veto che il fratello di Julian, Gabriel Shipton, ha fatto cadere nei confronti de L’Indipendente. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente, grazie alla collaborazione di Patrick Boylan, cofondatore del gruppo Free Assange Italia, per una chiacchierata sul presente e il futuro di Julian.

Assange sta «ripartendo da zero», dalle cose che diamo più scontate nella nostra quotidianità: l’ottenimento di documenti, le passeggiate in spiaggia, la scoperta delle “nuove” tecnologie. L’editore passa il tempo nella sua Australia con la propria famiglia, recuperando gli anni persi e le energie che gli sono state drenate, all’insegna di una «nuova adolescenza». La pace, tuttavia, è ancora lontana. Dopo 12 anni di sostanziale prigionia Assange non deve vedersela solo con le difficoltà quotidiane, ma anche con le aspettative di un mondo che scalpita per sentire la sua opinione su delle cose che non ha ancora avuto il tempo di assaporare. Ne abbiamo parlato con Gabriel Shipton, suo fratello. 

Prima di tutto: come sta Julian?

Se la cava, comunque sta molto meglio. Ora vive nella campagna australiana e sta ricostruendo la sua vita praticamente da zero, ripartendo da tutte quelle cose che noi diamo per scontate nella nostra quotidianità: i documenti, il numero di assistenza sanitaria, la cittadinanza per i figli e tutto questo genere di cose. Ora ha la sua patente di guida e va in giro: è un po’ come se fosse tornato adolescente, perché si è ritrovato tra le mani una libertà rinnovata, che gli è stata negata per tantissimo tempo. Quella libertà se la sta godendo: adesso qui in Australia è estate, quindi i bambini sono in vacanza. Si sta godendo la bella stagione.

Come passa le sue giornate? 

Sta passando il tempo in famiglia e coi bambini. Loro sono cresciuti a Fulham, a Londra. Julian sta mostrando loro l’Australia, li porta nei boschi, nella campagna australiana, insegna loro a riconoscere la flora e la fauna del Paese e a interfacciarsi con la natura della nostra terra. Julian sa molto dell’Australia. È il posto in cui è cresciuto ed è in grado di condividere con loro tutte le sue esperienze passate. Penso che stia davvero apprezzando questa quotidianità da padre: il poter fare tutte le cose più semplici che noi diamo per scontate.

Le ha mai raccontato del periodo di prigionia?

Sì, certamente. Io sono stato in contatto con lui durante tutta la sua prigionia e sono andato a trovarlo molte volte. Ci sono stati dei periodi molto bui in prigione, in cui lo tenevano in cella 24 ore al giorno, sotto sorveglianza costante nel timore che si suicidasse. Direi che gli effetti della prigionia prolungata si fanno sentire ancora oggi e ci sono sicuramente cicatrici che richiederanno più tempo per guarire.

Da quando ha messo piede in Australia, le informazioni sul suo conto scarseggiano. Può raccontarci del momento in cui è arrivato in Australia? Cosa è successo?

Io non ero presente in quel momento, non l’ho visto fino a circa una settimana dopo perché mi trovavo in Francia. La sensazione di vederlo camminare sulla pista in Australia, abbracciare sua moglie Stella e mio padre sulla terra australiana, è stata travolgente. Mi sono trovato in un vero e proprio turbinio di emozioni. Abbiamo lavorato così tanto per arrivare a questo punto e abbiamo dedicato le nostre vite a far uscire Julian dalla prigione. Mi ricordo di un momento, dopo che l’ho rivisto, in cui eravamo insieme sulla spiaggia a guardare i nostri bambini giocare tra le onde. Io gli ho messo il braccio intorno alle spalle, lui si è girato verso di me e ha detto: «è incredibile, vero?», e io ho risposto «sì, è davvero incredibile». Eravamo sopraffatti dalle emozioni. È stato un momento indescrivibile: non pensavamo che sarebbe mai stato libero e condividere quei momenti insieme è stato davvero speciale.

Quanto ha pesato il supporto del movimento Free Assange sulla sua liberazione?

Il movimento per la sua liberazione ha fatto una differenza enorme e ha influenzato anche i leader mondiali a muoversi per lui. Oggi non sarebbe libero se non ci fosse stata la mobilitazione. Il movimento ha fatto una differenza enorme anche per noi, quando facevamo campagna per Julian, perché ci mostrava che potevamo e dovevamo spingere ancora di più con la campagna per la sua liberazione. Anche uno dei giudici ha menzionato il movimento mondiale in una sentenza: se ti trovi migliaia di persone da tutta Europa che si presentano fuori dal tribunale, è difficile ignorarlo. 

Da quando è stato liberato, Julian ha parlato in pubblico solo una volta, a Strasburgo, davanti alla Commissione per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa. È perché non si sente ancora pronto o gli è stato chiesto di non farlo?

Fosse stato per lui, non credo che avrebbe parlato così presto, nonostante l’invito del Consiglio d’Europa. Ora si sta riposando e si sta prendendo il tempo per fare cose normali e stare con la sua famiglia. Credo anche che prima di parlare in pubblico voglia prepararsi: su di lui c’è un’aspettativa forte. In tanti vorrebbero che ci raccontasse il mondo in cui viviamo ora, come si è visto dalle domande che gli hanno fatto a Strasburgo. Ma Julian deve prima conoscere quel mondo e familiarizzare con esso, se vuole riuscire a interfacciarsi con quello che sta succedendo e commentarlo nel modo in cui le persone si immaginano che lo faccia. Julian ha avuto solo un paio di mesi per entrare davvero in contatto con il mondo e con le nuove tecnologie, e vuole essere molto preparato prima di uscire e cominciare a parlare pubblicamente.

A questo punto immagino che non abbia progetti all’attivo

Sono sicuro che abbia qualche idea in mente e una serie di progetti che vorrebbe portare avanti, ma lascerò che sia lui a rivelarlo a tempo debito. Nel frattempo sta riposando, recuperando le energie e facendo ricerche per entrare davvero in contatto con il mondo e con le nuove tecnologie. Per esempio, si deve abituare al consumo dei media tramite i nostri telefoni. Prima che entrasse in prigione, non era così comune per le persone stare fissi sui propri smartphone tutto il tempo. Ora sta imparando a capire come una generazione diversa assimila le informazioni e quali sono le conseguenze di queste novità. Adesso, per esempio, si sta interessando all’IA e all’evoluzione dei social media, a TikTok.

Finora abbiamo parlato solo di suo fratello, ma vorrei conoscere anche il punto di vista di voi familiari di Julian: come avete vissuto questi lunghi anni?

Chris Hedges, giornalista statunitense che lavora spesso con i prigionieri e i loro cari, ha sempre detto che molte delle famiglie che incontra sono come se fossero in prigione coi loro parenti, perché tutte le loro attenzioni sono rivolte a quel familiare e a come mantenerlo in vita: così è stato anche per noi. Dedicare la vita a un familiare in carcere ha un impatto sulle tue relazioni, sulla tua famiglia: penso per esempio a mia figlia. Io ero spesso assente, viaggiavo, bussavo alle porte, dedicavo tempo alla campagna per Julian e questo sforzo ha avuto il suo prezzo. Per me, però, è sempre stata una cosa dolceamara: ho fatto nuove amicizie, ho scoperto di poter fare cose che non immaginavo e tutto ciò è avvenuto grazie alla campagna Julian. Ho imparato tantissimo e ho incontrato tante persone piene di amore e apprezzamento per ciò che abbiamo fatto noi e per Julian, e questo mi riempie davvero il cuore: è incoraggiante e ti fa andare avanti. Voglio dire, lo avremmo fatto comunque, ma sono tutte quelle nuove amicizie e quei sostenitori che ti tengono in piedi.

L’immagine di suo fratello è stata al centro di un fenomeno particolare: all’inizio, molti giornali hanno cavalcato l’onda e sfruttato le sue rivelazioni, per poi partecipare attivamente nella sua condanna e nella demonizzazione della sua persona. Cosa pensa della copertura mediatica sul tema?

Quando Wikileaks ha iniziato a fare le sue rivelazioni, Julian era una sorta di celebrità, un eroe che rivelava informazioni e con cui collaborare. Dopo tutto si vendevano quantità enormi di giornali con queste rivelazioni. Lentamente, la narrativa ha cominciato a cambiare. Sono iniziati gli attacchi e c’è stata una sorta di assassinio della figura di Julian Assange. Molte delle testate che avevano collaborato con lui sono diventate promotrici attive nella sua persecuzione. Penso che questo mutamento di prospettiva le abbia esposte e che ci abbia detto di più su di esse e su chi le influenzava.

Quanto è stato difficile mutare la narrativa su Julian?

È stato duro: abbiamo fatto dei film, sono stati scritti libri, e alla fine alcune di quelle testate giornalistiche, un po’ a malincuore, hanno iniziato a sostenere la liberazione di Julian. Ma ci sono voluti tempo e sforzi per smontare le calunnie e i danni che erano stati causati in precedenza. La persecuzione di Julian è stata possibile proprio grazie a queste calunnie nei media e al restringimento del suo supporto a causa di questi attacchi continui. Non voglio davvero nutrire rancore, ma penso che si debba guardare indietro e individuare il fenomeno con cui ci siamo interfacciati: prima vengono per i tuoi soldi, poi per la tua immagine e infine per la tua libertà. La persecuzione di Julian Assange dovrebbe essere una lezione per tutti noi: ci insegna che se vogliamo fare quello che ha fatto lui, dobbiamo proteggerci ed essere pronti.

[di Dario Lucisano]

Gaza, esercito israeliano si ritira da corridoio Netzarim

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L’esercito israeliano si sta ritirando dalla zona militarizzata del corridoio di Netzarim nella Striscia di Gaza. Lo riportano i media israeliani. Il corridoio, largo circa 6 km (3,7 miglia), divide trasversalmente in due la Striscia ed è stato creato durante il conflitto contro Hamas. Il ritiro avviene dopo che Israele e Hamas hanno effettuato il loro quinto scambio, con tre prigionieri israeliani liberati per 183 prigionieri palestinesi. Il ritiro sarà completato nelle prossime ore. I soldati israeliani resteranno a presidiare le aree di confine.

Blocchi, occupazioni e scioperi: la protesta degli studenti serbi non si ferma

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Dopo oltre tre mesi e i primi risultati ottenuti, le proteste per il disastro della stazione ferroviaria di Novi Sad, in Serbia, non accennano a fermarsi. I manifestanti hanno già ottenuto le dimissioni del primo ministro Vučević e del sindaco della stessa cittadina, ma un gran numero di persone, guidate da giovani e studenti, continua a invadere le strade di tutta la nazione, paralizzando il Paese. Le proteste degli studenti hanno raggiunto tutte le fasce della popolazione, generando un movimento composito e variegato che sta colpendo dritto al bersaglio i punti più critici del Paese. Le richieste sono molteplici, ma muovono da alcuni punti fermi: la pubblicazione di tutti i documenti relativi ai lavori della stazione ferroviaria, l’archiviazione delle accuse contro i manifestanti arrestati nel corso degli ultimi mesi, un aumento dei finanziamenti pubblici all’istruzione, l’individuazione e l’incriminazione dei responsabili dell’incidente e la fine della corruzione.

Le rivolte popolari serbe hanno preso il via dopo che, lo scorso novembre, è crollata una tettoia nella stazione ferroviaria di Novi Sad, uccidendo 15 persone (tra cui un bambino di 6 anni) e ferendone gravemente altre due. Quella vicenda, considerata il simbolo più tangibile della corruzione e dell’incuria che permeerebbero le istituzioni serbe, ha acceso la miccia di una protesta popolare senza precedenti. Da allora, il movimento sociale del Paese non si è fermato. Una delle ultime e più significative manifestazioni si è tenuta tra sabato 1 e domenica 2 febbraio, a tre mesi dalla tragedia, nella stessa Novi Sad. In quell’occasione, decine di migliaia di manifestanti hanno marciato verso la cittadina dalla capitale Belgrado, occupando per 24 ore tre ponti sul Danubio e paralizzando la circolazione. In generale, quella del blocco drastico delle infrastrutture critiche sembra essere una delle azioni dimostrative che il movimento mette più spesso in pratica. Precedentemente, il 27 gennaio, c’era stata la più simbolica delle interruzioni stradali, che aveva colpito nel cuore un incrocio dello svincolo autostradale Autokomanda, a Belgrado. Il nodo attaccato funge da punto di intersezione tra le strade del centro della città e collega la capitale al resto del Paese.

Un’altra pratica portata avanti è quella dell’occupazione delle sedi universitarie, tanto che dall’inizio della protesta, ne sono state occupate più di sessanta. A prendere le redini della protesta, dopo tutto, sono stati proprio gli studenti, creando sin da subito un movimento dal basso che è al tempo stesso, sostengono i manifestanti, strutturato e privo di verticismi di sorta. Gli studenti, di preciso, sono organizzati in plenum, sorte di consigli di facoltà che decidono come organizzare le manifestazioni e, nel frattempo, portare avanti in maniera alternativa le lezioni universitarie, ferme da settimane. I manifestanti rivendicano la struttura orizzontale dei plenum, privi di rappresentanti e leader, e piuttosto organizzati in assemblee in cui tutti i partecipanti hanno il diritto di esprimere la propria opinione. Generalmente, durante le azioni dimostrative, viene messo in piedi un servizio d’ordine, e vengono individuate aree destinate alla preparazione del cibo, alle tende e ai servizi igienici. Proprio questa decentralizzazione, ritengono gli studenti, sarebbe alla base dell’ampia adesione alle manifestazioni da parte del resto della popolazione. In generale, il supporto che sta arrivando dai lavoratori è ampio e variegato: molti docenti si sono uniti alla causa, scioperando insieme agli studenti, e anche gli avvocati hanno lanciato una sospensione dei lavori per un mese; secondo alcune testimonianze, gli abitanti locali sembrano abitualmente unirsi alle proteste sia in forma attiva che fornendo supporto, ad esempio portando cibo nelle aree ristoro.

I manifestanti, di preciso, accusano il governo di corruzione e di mancata trasparenza e chiedono che vengano individuati e processati i responsabili del crollo della tettoia. A tal proposito, la facoltà di ingegneria ha contribuito a fornire alle autorità le richieste di rilascio della documentazione sull’incidente, avanzando richieste specifiche sui documenti tecnici che mancherebbero all’appello. Per ora, il presidente Vučić ha rilasciato solo parte della documentazione relativa alla stazione e all’incidente. Gli studenti, inoltre, chiedono un aumento della spesa per l’istruzione del 20%, le dimissioni del sindaco di Novi Sad e del primo ministro, e il rilascio dei manifestanti incarcerati. Di questi ultimi, i primi due obiettivi sono stati raggiunti; per quanto riguarda il rilascio dei manifestanti, Vučić ha effettivamente dato la grazia a 13 persone coinvolte nelle proteste novembrine, ma non è chiaro quante siano ancora detenute.

In generale, la risposta del governo alle manifestazioni è duplice: da una parte c’è un parziale accoglimento delle istanze degli studenti, dall’altro un tentativo di discredito del movimento e di lanciare contro-iniziative per dimostrare che il governo gode ancora di un solido sostegno. Vučić, di preciso, sta cercando di convincere la popolazione che le proteste sono orchestrate dall’estero: “Tutto ciò che stanno facendo è un tentativo di rivoluzione colorata. E su questo non ci sono dubbi. Le manifestazioni vengono portate avanti grazie a ingerenze straniere, provenienti da diversi Paesi occidentali”, ha dichiarato ospite presso l’emittente Happy TV. Vučić non è stato esplicito nei propri riferimenti e non ha puntato il dito contro nessuno di preciso. L’Unione Europea, tuttavia, sta venendo accusata dai manifestanti e dai loro sostenitori per quella che in molti ritengono una sua ingiustificata assenza. Per ora, infatti, l’UE pare essersi limitata a sollecitare le autorità serbe a condurre un’indagine sugli episodi di violenza contro i manifestanti, esortando a evitare qualsiasi forma di repressione. Il «silenzio» dell’UE è stato oggetto di critiche da parte di diverse personalità serbe, che hanno inviato una lettera alle istituzioni comunitarie in cui chiedono loro di riconoscere le ragioni delle manifestazioni.

[di Dario Lucisano]

Protesta dei trattori a Roma, presidio a Piazza Irnerio

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Sono arrivati a Roma i 23 trattori partiti questa mattina da Torrimpietra che hanno così ufficialmente avviato la manifestazione, che ha raggiunto Piazza Irnerio. Il corteo è composto da una delegazione di mezzi da Lazio, Emilia Romagna e Toscana ed è guidata da Salvatore Fais, socio fondatore di Agricoltori italiani. La protesta è arrivata nella Capitale per assenza di risposte da parte delle istituzioni: «Da un anno non è cambiato niente, stanno facendo i progetti all’estero», ha commentato Fais ai giornalisti sul posto. Sui trattori sono stati osservati anche striscioni con scritto «sua santità mi aspetta», riferito al Papa, e «ci volevate schiavi, ci trovate ribelli, difesa dell’agricoltura italiana».

Finto olio extravergine, Carapelli ancora nei guai: condannata a pagare 230mila euro

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Sono stati venduti ai francesi circa 700 quintali di olio che doveva essere extravergine d’oliva ma in realtà era olio semplice: è questa l’accusa che ha affrontato l’azienda Carapelli, la quale dovrà pagare una penale di oltre 230.000 euro. A stabilirlo è il giudice Susanna Zanda del Tribunale di Firenze, che ha depositato la sentenza di primo grado rigettando i ricorsi della società e condannandola al pagamento di ulteriori 14.000 euro di spese legali. Secondo la sentenza, che conclude un’indagine partita a novembre del 2017, i prodotti venduti non rispettavano i parametri previsti dalla normativa europea, confermando i «difetti di rancido» rilevati dalle autorità francesi. L’azienda ha precisato che starebbe provvedendo per replicare con “solide argomentazioni” al fine di ottenere la sospensione del provvedimento, anche se l’indagine, di fatto, sembra aggiungere un ulteriore tassello ad una scia di controversie che coinvolgono l’azienda dal 2010.

L’olio di oliva si divide in diverse categorie, stabilite in base a parametri chimici e sensoriali. L’olio extravergine di oliva è il più pregiato, ottenuto unicamente tramite processi meccanici e con un’acidità libera non superiore allo 0,8%. L’olio vergine di oliva è meno pregiato e può avere un’acidità fino al 2%. Infine, l’olio di oliva semplice è una miscela di oli raffinati e vergini, meno costoso e con caratteristiche organolettiche inferiori. Nel caso di Carapelli Firenze Spa (del gruppo Deoleo Global), secondo quanto riportato, le indagini sarebbero scattate a novembre del 2017, quando le autorità francesi hanno segnalato al ministero italiano il sospetto che un lotto di olio venduto come extravergine non rispettasse gli standard previsti dall’Unione Europea. Gli ispettori italiani hanno poi prelevato campioni di olio dalle bottiglie spedite in Francia e, sottoponendole ad analisi nel laboratorio di Perugia, hanno riscontrato che il prodotto non rientrava nei parametri richiesti per essere commercializzato come extravergine.

Tali studi sono state poi analizzati nel corso del provvedimento che ha portato alla sentenza emessa recentemente dal giudice Susanna Zanda, la quale ha confermato che l’olio Carapelli non rispettava i parametri UE e non poteva essere venduto come extravergine. La presenza del «difetto di rancido», rilevato sia dagli esperti francesi che dalle analisi italiane, ha portato alla condanna dell’azienda, che ora dovrà pagare una sanzione di 230 mila euro e coprire le spese legali. D’altra parte, la difesa di Carapelli ha sostenuto che il problema riscontrato fosse legato alla filiera di conservazione e non alla qualità intrinseca dell’olio, dichiarando che l’azienda starebbe lavorando per ottenere la sospensione del provvedimento: «La motivazione di giudizio riguarda un problema sensoriale di gusto, imputabile alla filiera di conservazione, che non rappresenta assolutamente un rischio per la salute dei consumatori», ha precisato in una nota.

Tuttavia, a prescindere dal risultato a cui porteranno tali indagini, una cosa rimane certa: la vicenda è l’ennesima di una lunga scia che, nel caso di Carapelli, è partita dal lontano 2010. In uno studio condotto quell’anno da ricercatori dell’università della California “Davis olive center”, è stato riscontrato che l’olio extravergine di oliva Carapelli era stato identificato come “erroneamente etichettato olio extra vergine di oliva”. Nel 2015, poi, la procura di Torino e poi quella di Firenze avevano aperto un’inchiesta per frode alimentare, basandosi su analisi dei carabinieri del Nas che avevano riscontrato irregolarità simili a quelle emerse nella recente sentenza. L’anno successivo, l’Antitrust aveva inflitto una multa da 300.000 euro per pubblicità ingannevole, provvedimento prima impugnato dall’azienda al Tar e poi dichiarato estinto nel 2022 in quanto, secondo quanto riportato, la società non aveva inteso proseguire nel giudizio. Anche un’inchiesta svolta a maggio 2021 dalla rivista Il Salvagente aveva rilevato alcuni difetti: tra i prodotti che non si sono dimostrati composti da olio extravergine nonostante fossero indicati come tali nell’etichetta ha figurato anche il Carapelli Frantolio.

[di Roberto Demaio]

Sudan, ancora combattimenti, centinaia di morti

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Negli ultimi giorni, centinaia di persone tra cui decine di bambini sono state uccise in Sudan. Lo riportano testimoni civili e operatori sanitari alle testate internazionali e le Nazioni Unite, aggiungendo che gli scontri si sono «intensificati in un conflitto interno che si avvicina al suo terzo anno». Dopo i bombardamenti già riportati settimana scorsa che hanno causato almeno 54 decessi a Omdurman, il ministero della Salute ha rivelato che un ospedale è stato bersagliato da colpi di mortaio causando 6 morti e 38 feriti, mentre a Kadugli le recenti lotte intestine hanno causato la morte di almeno 80 persone, secondo un rapporto delle Nazioni Unite.

USAID: perché Trump chiude un dipartimento chiave dell’imperialismo USA

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Dalla mezzanotte del 7 febbraio 2025 è entrato in vigore l'ordine di chiusura emesso da Donald Trump nei confronti della United States Agency for International Development (USAID), la principale agenzia "indipendente" del governo degli Stati Uniti, responsabile della gestione degli aiuti umanitari e dell'assistenza allo sviluppo ai Paesi esteri. «Venerdì 7 febbraio 2025, alle 23:59, tutto il personale ad assunzione diretta dell'USAID sarà posto in congedo amministrativo a livello globale» è il messaggio che compare sulla schermata del sito dell’agenzia quando si tenta di accedervi. Lungi dall’...

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Gli Stati baltici escono dalla rete elettrica russa

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Estonia, Lettonia e Lituania hanno iniziato a staccarsi dalla rete elettrica russa e a unirsi a quella dell’Unione Europea. Il processo di scollegamento dalla rete russa è avvenuto oggi, sabato 8 febbraio, ed è già ultimato. I tre Paesi operano ora in modalità isola. Le operazioni di collegamento alla rete comunitaria, invece, termineranno domani, mentre oggi sono in corso i primi test per la transizione. Le autorità hanno avvisato i propri cittadini di caricare i dispositivi, fare scorte di cibo e acqua e prepararsi come se fosse previsto un forte maltempo, evitando di utilizzare gli ascensori.