mercoledì 19 Novembre 2025
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Russia-ucraina, raid incrociati: a Belgorod in 40mila senza luce

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Nelle ultime ore, un attacco ucraino ha colpito la rete elettrica della regione russa di Belgorod, al confine con l’Ucraina, lasciando senza corrente circa 40.000 persone. Il governatore Vyacheslav Gladkov ha parlato di «danni significativi» in sette comuni, spiegando che 34.000 utenti hanno riavuto la luce, mentre 5.400 restano al buio. L’attacco, parte dell’escalation contro infrastrutture critiche, ha provocato una rappresaglia russa: un raid contro un impianto energetico nella regione ucraina di Chernihiv. Il presidente Volodymyr Zelensky ha denunciato la nuova ondata di bombardamenti, definendola parte di una strategia sistematica del Cremlino.

Troppo mercurio nel tonno: in Francia le scuole lo escludono dalle mense

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Otto comuni francesi, tra cui Parigi e Lione, hanno temporaneamente vietato il tonno dai menù delle mense scolastiche per «impedire l’esposizione dei bambini al mercurio», un metallo neurotossico. La decisione, che coinvolge oltre 3,5 milioni di abitanti, arriva dopo l’allarme lanciato nell’ottobre 2024 dalle ONG Bloom e Foodwatch, che hanno fatto analizzare 148 scatolette di tonno da un laboratorio indipendente. Lo studio ha dimostrato che il 100% delle scatolette analizzate era contaminato da mercurio, sostanza classificata dall’OMS come una delle dieci «di maggiore preoccupazione per la salute pubblica».

A fronte dell’inazione del governo dopo la pubblicazione dello studio, le città firmatarie – Bègles, Grenoble, Lille, Lione, Montpellier, Mouans-Sartoux, Parigi e Rennes – hanno deciso di «non servire prodotti a base di tonno nei menù scolastici», agendo da «scudo sanitario» per tutelare i bambini. In un comunicato congiunto diffuso prima dell’inizio dell’anno scolastico, le amministrazioni hanno annunciato che la decisione non sarà ritirata fino a quando le norme sui tassi di mercurio non saranno ridotte. «Le prime vittime di questa norma, stabilita senza tenere conto della salute dei consumatori, sono i bambini, che possono superare molto rapidamente la dose settimanale tollerabile (TWI), cioè la quantità massima che può essere ingerita regolarmente nel corso della vita prima di essere esposti a un rischio per la salute», si legge all’interno della nota.

Attualmente le norme europee stabiliscono limiti differenziati: il limite generale è di 0,5 mg/kg, quello per le piccole specie è abbassato a 0,3 mg/kg, mentre per i grandi predatori come il tonno è elevato a 1 mg/kg. Tuttavia, come spiega Gilles Pérole, vicesindaco di Mouans-Sartoux: «Ciò che sorprende è che il tonno abbia diritto a un’esenzione in termini di livelli di mercurio rispetto ad altri pesci. Vogliamo applicare il principio di precauzione». L’assenza del tonno dai menù «non potrà essere rivista senza che il limite massimo di mercurio autorizzato nel tonno venga abbassato al livello più restrittivo esistente per il pesce, ovvero 0,3 mg/kg», precisano le autorità. Una richiesta che si basa anche sui calcoli delle ONG, secondo cui la soglia di 1 mg/kg calcolata sul “prodotto fresco” equivale a circa 2,7 mg/kg nella lattina, poiché il mercurio si concentra con la disidratazione.

Dall’altra parte, la Federation of Preserved Food Industries ha reagito difendendo il settore: «Le aziende rispettano le normative vigenti e nessun prodotto immesso sul mercato supera la soglia regolamentare di 1 mg/kg». Secondo l’associazione di categoria, il protocollo utilizzato dallo studio di Bloom «non sembra essere conforme agli standard attuali, il che spiegherebbe tali discrepanze». I dati italiani emersi dallo stesso studio non sono confortanti: tra le 28 scatolette acquistate in Italia, cinque hanno superato il limite legale di 1 mg/kg, il numero più alto tra tutti i paesi monitorati. Un risultato che sembrerebbe confermare l’urgenza di interventi normativi a livello europeo per proteggere i consumatori più vulnerabili, in primis i bambini.

Francia: il nuovo premier Lecornu si dimette dopo meno di 24 ore

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«Non c’erano le condizioni per restare primo ministro». A poche ore dalla creazione del nuovo governo, con la nomina di 18 ministri, su pressione delle forze alleate e dell’opinione pubblica, Sebastien Lecornu ha rassegnato le dimissioni al presidente francese Emmanuel Macron, che le ha accettate. La Francia ripiomba così nel vortice dell’instabilità politica. Lasciando l’Hôtel de Matignon appena 27 giorni dopo la sua nomina, Lecornu diventa il primo ministro con il mandato più breve della storia. L’inedita caduta anticipata testimonia un Paese esasperato da promesse disattese e una democrazia logorata da tensioni interne. Dal 2024 a oggi, la Quinta Repubblica sta conoscendo una vera e propria sindrome di instabilità: governi che cadono, fiducie perdute, contrasti interni che dilaniano coalizioni già fragili. Il governo, composto quasi interamente da uomini già noti all’establishment macronista, era stato presentato meno di 24 ore fa con enfasi come un segnale di “rottura”, ma ha generato al contrario reazioni di sdegno nell’alleanza tra la maggioranza presidenziale e la destra repubblicana. Sin dal momento della nomina, il nuovo esecutivo è apparso sull’orlo dell’implosione: critiche sono piovute da ogni lato. Bruno Retailleau, appena nominato ministro dell’Interno e figura influente del partito Les Républicains (LR), ha attaccato la squadra di governo, denunciando la quasi totalità di riconfermati o nominati vicini al presidente come una mera riedizione del passato. Così facendo, ha convocato un comitato strategico del partito per discutere la possibile uscita dalla coalizione, minacciando di trascinare l’intera alleanza in un crollo parlamentare.

Altri dirigenti repubblicani, come Xavier Bertrand, hanno detto che LR (Les Républicains) non può più restare in un governo che «non riflette la rottura promessa». Nel frattempo, l’opposizione di destra e di sinistra ha denunciato l’ennesima farsa: il Rassemblement National ha definito l’esecutivo «una nave alla deriva destinata a colare a picco» e Jordan Bardella ha chiesto che Macron sciolga l’Assemblea Nazionale. Intanto, socialisti e verdi hanno parlato di «implosione del fronte comune», cioè del fragile equilibrio politico che ancora reggeva il macronismo. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’assenza di sorpresa nella composizione del governo: un ritorno inatteso di Bruno Le Maire al dicastero della Difesa – nonostante i suoi anni come ministro dell’Economia e le critiche alla sua gestione finanziaria – ha fatto infuriare l’opinione pubblica, già stanca del rimpasto di volti riciclati. Macron e i suoi alleati sapevano che il rischio era alto, ma la rapidità con cui si è inaugurata la crisi ha sorpreso anche i più scettici. Non è la prima volta che il governo di Macron cede in breve tempo sotto i colpi della politica interna: quarta crisi di governo dal 2024 a oggi (Attal, Barnier, Bayrou, Lecornu), il neogoverno era atteso oggi pomeriggio all’Eliseo per il primo Consiglio dei ministri. All’orizzonte c’è – da tempo – una questione di fondo: come coniugare il progetto liberale del presidente con le esigenze sociali, territoriali e identitarie del Paese? La recente finanziaria, invece, ha fatto da detonatore. La proposta di bilancio – che prevedeva congelamenti di spesa sociale, tagli agli incentivi e un aumento delle franchigie mediche – ha catalizzato le tensioni attorno al potere centrale. Il parlamento, ostaggio di maggioranze fragili, ha minacciato di sfiduciare l’esecutivo, costringendo Macron a navigare a vista. Con la caduta anticipata di Lecornu, il presidente è costretto a rimodellare nuovamente il suo orizzonte politico, in un contesto che gli concede margini sempre più risicati. I giri di poltrone rischiano di accentuare l’immagine di un potere stanco, lontano dal Paese reale. Macron, nonostante l’esperienza e l’ancoraggio istituzionale, appare sempre più come un presidente in cerca di una rottura che non riesce o non vuole praticare.

Ora si apre una partita difficile per l’Eliseo. Macron può scegliere di affidare l’incarico a un esecutivo tecnico, ma rischierebbe una crisi di legittimità. Può tentare una nuova alleanza con centro e centrodestra, ma le tensioni dentro LR sono diventate esplosive. Può, infine, considerare un ricorso alle urne anticipato, cercando di resettare la mappa parlamentare, ma con il pericolo che il Rassemblement National possa trarre vantaggio. Le pressioni interne ai partiti macronisti saranno decisive: l’UDI (Union des démocrates et indépendants) ha già mostrato malumori, mentre i deputati di base chiedono risposte concrete, non solo rimpasti cosmetici. In un sistema dove l’Assemblea nazionale appare sempre più instabile, il 49, comma 3 – l’articolo che permette al governo di far approvare una legge senza voto – continua a rimanere una leva centrale, non senza polemiche. Jean-Noël Barrot ha sostenuto che «la vera rottura consisterebbe nell’abbandono del 49.3», ma in un Parlamento frammentato quell’idea è difficile da attuare. Se Macron cede su quel punto, rischia di essere percepito come un’espressione di debolezza; se lo mantiene, le obiezioni sull’autoritarismo legislativo si moltiplicherebbero. Per il futuro, la politica francese deve fare i conti con un elettorato sfiancato, un panorama istituzionale lacerato e il crescente peso del Rassemblement National, sempre pronto a capitalizzare ogni crisi. Se Macron non troverà una via d’uscita autorevole, il suo secondo quinquennio potrebbe concludersi non con la prospettiva della riforma, ma con la parabola del declino.

Premio Nobel per la Medicina 2025 a Brunkow, Ramsdell e Sakaguchi

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Il Premio Nobel per la Medicina 2025 è stato assegnato a Mary E. Brunkow, Fred Ramsdell e Shimon Sakaguchi per le loro scoperte fondamentali sulla tolleranza immunitaria periferica, il meccanismo che impedisce al sistema immunitario di attaccare i tessuti del proprio organismo. Questa “regola di ingaggio” immunitaria è cruciale per evitare le malattie autoimmuni e per permettere un funzionamento equilibrato del sistema difensivo umano. Sakaguchi trent’anni fa identificò un nuovo tipo di cellule immunitarie, le cellule T regolatorie, che proteggono l’organismo dalle malattie autoimmuni, superando la visione allora dominante che la tolleranza derivasse solo dall’eliminazione di cellule pericolose nel timo, l’organo dove maturano e si selezionano i linfociti T, fondamentali per la difesa dell’organismo. I vincitori riceveranno una medaglia d’oro e un premio in denaro, pari a circa un milione di euro complessivi. La cerimonia ufficiale di consegna dei Nobel si terrà a Stoccolma il 10 dicembre, anniversario della morte di Alfred Nobel.

USA, Casa Bianca annuncia i primi licenziamenti per lo shutdown

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Il presidente statunitense Donald Trump ha annunciato i primi licenziamenti di massa nei servizi federali a causa dello shutdown provocato dallo scontro al Congresso tra Repubblicani e Democratici sul bilancio federale. Trump ha attribuito ai Democratici la responsabilità delle perdite di posti di lavoro, sostenendo che i licenziamenti «sono già in corso». Il principale consigliere economico della Casa Bianca, Kevin Hassett, ha avvertito che, se i negoziati non faranno progressi, i tagli proseguiranno, pur esprimendo la speranza di evitarli. L’annuncio è arrivato mentre Trump partecipava a un evento alla Casa Bianca.

Le prime elezioni “democratiche” della nuova Siria escludono curdi e drusi: un dominio mascherato da voto

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I membri dei collegi elettorali siriani si sono riuniti domenica per votare i nuovi legislatori, chiamando il Paese a celebrare quello che viene presentato come un nuovo capitolo: le prime elezioni parlamentari dopo la caduta di Bashshār al-Assad, destituito lo scorso dicembre, dopo 24 anni ininterrotti al potere. Quello che appare come un passaggio verso la “democrazia” è in realtà una messa in scena ben orchestrata, che ha già sancito l’esclusione sistematica delle donne e di due tra le comunità più significative del mosaico siriano: i curdi e i drusi. In nome della “sicurezza nazionale” e della “transizione controllata”, vaste aree territoriali non sono state incluse nel processo elettorale, mentre i quartieri e le province tradizionalmente curde (nord-est) e la zona di Suwayda (drusa) risultano privi di una partecipazione vera. Dietro questa esclusione selettiva non c’è solo un calcolo tattico, ma una scelta politica precisa: le modalità di costruzione del nuovo Parlamento sono state costruite per garantire il controllo dall’alto. Le commissioni locali, strettamente monitorate dal governo centrale, hanno assunto il potere di selezionare i due terzi dei deputati candidabili. Il terzo restante sarà nominato direttamente da Al-Sharaa e dai vertici che egli controlla, con un meccanismo che maschera la ratifica come scelta popolare. Questo Parlamento avrà un mandato di 30 mesi, durante i quali il governo dovrebbe preparare il terreno per un voto popolare nelle prossime elezioni. Analisti e osservatori parlano senza mezzi termini di “elezioni farsa”: una sceneggiatura che garantisce continuità del potere, neutralizzazione del dissenso e marginalizzazione delle minoranze.

La persecuzione di curdi e drusi non è un incidente, è un tratto distintivo della nuova fase siriana. La provincia di Suwayda, abitata principalmente da drusi, è da mesi teatro di violenti scontri e numerosi drusi sono stati arrestati, organizzazioni culturali chiuse, giornali locali soppressi. Nel nord-est, eserciti locali fedeli al regime hanno imposto requisiti di “lealtà” per la partecipazione politica e confiscato terre a famiglie che non si adeguavano alla nuova linea centrale. L’obiettivo è evidente: soffocare ogni aspirazione autonomista e cancellare qualsiasi identità che non si conformi alla narrazione ufficiale dello Stato. Chi è l’architetto di questa transizione controllata? Dietro il volto istituzionale del presidente ad interim, Ahmed al-Sharaa, si cela una storia controversa che l’Occidente volutamente ha rimosso. Al-Sharaa – noto anche con il nome politico Abu Mohammad al-Julani – ha un passato legato al jihadismo: inserito nella lista dei terroristi dagli Stati Uniti, è diventato leader del gruppo Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), derivato da al-Nusra, e ha guidato le forze ribelli nella caduta di Assad, ricoprendo ruoli chiave in conflitti con le forze statali, dove ha mantenuto relazioni complesse con ambienti jihadisti e operazioni militari nella regione. La sua nomina a presidente transitorio – formalizzata nella “Conferenza per la Vittoria della Rivoluzione Siriana” il 29 gennaio 2025 – fu accolta con un misto di stupore e scetticismo. Il suo primo atto è stato quello di abolire la Costituzione del 2012, convocare istituzioni fittizie e annunciare una transizione di cinque anni. Ciò che colpisce è il modo con cui è stato gradualmente riabilitato dalle potenze occidentali: di fatto, in pochi mesi il “terrorista ripulito” è diventato un interlocutore legittimo sulla scena internazionale, arrivando fino all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, dove ha incontrato Emmanuel Macron, Giorgia Meloni, Volodymyr Zelensky e ha concesso un’intervista all’importante Middle East Institute, al termine della quale ha avuto il suo secondo incontro con Donald Trump. Gli Stati Uniti, a febbraio, hanno sospeso le sanzioni contro Damasco, accogliendo con favore un’agenda di riforme economiche purché aderisse ai parametri del mercato mondiale. Da quel momento, le élite diplomatiche e molti governi europei hanno iniziato a parlare di “stabilizzazione” e “riconciliazione”. Proprio a New York, ha ottenuto la “benedizione” degli apparati strategici e finanziari americani interessati alla ricostruzione della Siria. Di fronte all’ONU, il 25 settembre 2025, il Capo di Stato siriano ha rivendicato il nuovo corso del Paese, con inviti alla pacificazione nazionale, il disconoscimento dell’era Assad e il richiamo alla resistenza del popolo siriano.

A orchestrare la legittimazione internazionale del nuovo leader troviamo Baihas Baghdadi, definito da molti “il banchiere di Allah”. Finanziere siriano naturalizzato spagnolo, fondatore della Baghdadi Capital, è stato lui a introdurre al-Sharaa nei circuiti della finanza globale e nei salotti diplomatici occidentali. Il suo debutto ufficiale è avvenuto proprio il 22 settembre 2025 al Concordia Summit di New York, evento parallelo all’Assemblea Generale dell’ONU, dove Baghdadi ha presentato il presidente siriano come l’uomo del “nuovo corso” e garante di stabilità per gli investitori stranieri. Da allora, i due si muovono come un binomio inscindibile: al-Sharaa come volto politico di una Siria “ripulita”, Baghdadi come suo ambasciatore economico. Accanto a loro, figure di primo piano della geopolitica e della finanza, come David Petraeus, ex capo della CIA e ora partner del fondo KKR, che non ha esitato a definire la Siria “un’opportunità strategica”. Il paradosso, che certifica il ribaltamento dell’immagine di al-Shaara è che proprio Petraeus, nel 2004, aveva ordinato il suo arresto in Iraq. Il messaggio è chiaro: il jihadista di ieri è diventato l’interlocutore gradito di oggi, purché si apra ai mercati. Il piano di riforme promosso da Al-Sharaa prevede, infatti, la privatizzazione massiccia di aziende strategiche, il taglio del pubblico impiego e la consegna del patrimonio statale a investitori stranieri. Oltre cento aziende pubbliche, nei comparti dell’energia, acciaio, cemento e infrastrutture, sono state messe sul mercato e un terzo dei dipendenti pubblici è stato licenziato o ricollocato in nuove strutture controllate dai privati. È un piano neoliberista che lavora sulla distruzione del vecchio modello centralizzato, trasformando lo Stato in un mediatore tra élite globali e residui istituzionali. Così, l’asse al-Sharaa-Baghdadi diventa il simbolo di un autoritarismo vestito da modernità: la Siria rinasce solo per essere venduta pezzo dopo pezzo. L’effetto pratico è la marginalizzazione delle popolazioni che non godono dei favori del nuovo potere. Le minoranze escluse e i territori non allineati sono destinati a restare zone extra-politiche, dove il controllo è imposto dall’alto. È un’operazione di ingegneria finanziaria che trasforma la ricostruzione in un colossale affare stimato in oltre un trilione di dollari. In questo contesto, le elezioni organizzate da Ahmed al-Sharaa rappresentano solo la facciata di un potere già consolidato che concentra nelle proprie mani ogni leva politica ed economica. E mentre l’Occidente applaude la “stabilizzazione” di un dominio mascherato da voto, un popolo stremato paga il prezzo della sua nuova sudditanza economica.

Il governo Meloni è stato denunciato alla CPI per complicità con il genocidio israeliano

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Complicità con il governo di Israele nei crimini di guerra, contro l’umanità e di genocidio e mancanza di protezione alla Global Sumud Flotilla, la flotta civile intercettata e sequestrata illegalmente da Israele mentre portava aiuti umanitari a Gaza, in un atto «assimilabile alla pirateria»: queste le due azioni legali che il Gruppo Avvocati per la Palestina (GAP) ha presentato contro il governo italiano e Leonardo Spa, l’azienda produttrice di armi partecipata dallo Stato, di fronte alla Corte Penale Internazionale (CPI). La denuncia, che coinvolge la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nonchè il ministro degli Esteri Antonio Tajani, quello della Difesa Crosetto e l’AD di Leonardo Roberto Cingolani, accusa l’Italia di continuare la cooperazione militare con Israele e di aver sospeso solo parzialmente le esporazioni di armi. L’iniziativa, sostenuta da decine di avvocati, docenti universitari e parlamentari, nonchè da migliaia di cittadini italiani, contesta anche il blocco dei fondi all’UNRWA.

La denuncia del GAP intende fornire elementi aggiuntivi all’inchiesta della CPI sui crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati da Israele nella Striscia di Gaza, la quale ha già prodotto un mandato d’arresto internazionale nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della difesa Yoav Gallant (che l’Italia si è prontamente impegnata a non rispettare). Secondo quanto riporta il testo, infatti, «la denuncia si sofferma su alcune delle complicità internazionali, in particolare quelle del governo italiano, che hanno reso presumibilmente possibile la commissione di crimini di guerra e contro l’umanità dell’indagine sui quali questa Corte è da tempo incaricata, come pure l’attuazione del piano genocida sul quale è in corso il giudizio della Corte Internazionale di Giustizia». Allo stesso tempo, la denuncia «si inserisce nel caso di giurisdizione contenziosa promosso dal Sudafrica e in seguito da molteplici altri Stati di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia contro Israele, accusata di genocidio, dato che verte sulla complicità nello stesso da parte dell’Italia, che si concretizza nella fornitura di armamenti e in altri comportamenti volti ad agevolare la commissione dei crimini in questione».

Quanto messo in atto da Israele, denunciano gli avvocati del GAP, non sarebbe mai stato possibile senza la complicità da parte dell’Italia, che avrebbe fornito armamenti e altri strumenti per «agevolare» la commissione dei crimini dei quali Israele è accusato – dall’uccisione di oltre 60 mila civili, dei quali almeno un terzo bambini, nonchè delle morti per fame causate dalla carestia provocata da Israele stesso per via del blocco degli aiuti umanitari. «Sosteniamo che vi sia una presumibile complicità del governo italiano nei crimini israeliani menzionati e che la relativa responsabilità sorga presumibilmente in capo ai principali componenti del governo italiano e cioè il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il ministro degli Esteri nonchè vicepremier Antonio Tajani e il ministro della Difesa Guido Crosetto», questi ultimi colpevoli in quanto «titolari del potere decisionale in ordine alla cooperazione militare e di sicurezza con Israele e all’autorizzazione delle forniture di armi». I rappresentanti del governo, sostengono gli avvocati del GAP, dovrebbero essere giudicati «senza che possano opporre alcuna immunità di natura personale e funzionale», dal momento che le violazioni sarebbero avvenute «nel più evidente dispregio delle norme interne e internazionali». Insieme ai rappresentanti del governo, poi, andrebbe indagata anche la responsabilità nei crimini di guerra di Roberto Cingolani, amministratore delegato e direttore generale di Leonardo Spa – la principale azienda di produzione di armamenti italiana.

Nonostante il governo italiano abbia ripetutamente negato di aver inviato armi a Tel Aviv, i container carichi di materiale bellico caricato dal nostro Paese sono a più riprese partiti dai porti italiani, anche dopo il 7 ottobre 2023. D’altronde, lo stesso sottosegretario Sili ha ammesso l’esistenza di tali operazioni (212 all’11 aprile 2024, per un totale di 4,3 milioni di euro), assicurando però che si trattava di licenze precedenti al 7 ottobre e che le armi inviate non avrebbero colpito i civili – senza fornire elementi a supporto di tali dichiarazioni. A supporto della propria denuncia, gli avvocati del GAP procedono a riassumere l’enorme mole di dati che costituirebbe prova della continua collaborazione militare dell’Italia con Israele (dalla vendita di cannoni utilizzati per bombardare Gaza dal mare all’assistenza tecnica fornita da Leonardo per l’assistenza tecnica da remoto, riparazione materiali e fornitura di ricambi per la flotta di velivoli M-346 impiegati per l’addestramento dell’aviazione israeliana, passando per la produzione della bomba GBU-39, «principale strumento del genocidio», e la presenza, segnalata dai portuali di tutta Italia, di container carichi di materiale bellico diretto verso Israele).

La denuncia, trasmessa in questi giorni al procuratore della Corte Penale Internazionale, è stata sottoscritta da personalità quali Stefania Ascari, Emanuele Dessì e Franco Russo (deputati), Pino Arlacchi (ex vicesegretario ONU), Luigi de Magistris e Domenico Gallo (magistrati), insieme a una lunga lista di avvocati e altre personalità note insieme a migliaia di cittadini. Essa allega un modulo (al fondo del documento) che può essere sottoscritto da chiunque, indipendentemente dalla propria professione, per sostenere simbolicamente la causa.

Francia: al via il governo Lecornu con nomina di 18 ministri

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Il presidente Emmanuel Macron ha annunciato la formazione del nuovo esecutivo guidato dal primo ministro Sébastien Lecornu, con 18 ministri al centro del governo. Gran parte della squadra è composta da volti già noti: su 18 nomine, 12 erano già nel precedente governo. Tra le conferme, Jean-Noël Barrot agli Esteri e Gérald Darmanin alla Giustizia restano al loro posto, mentre Bruno Retailleau assume il Viminale. Le novità includono il “macronista” Roland Lescure come ministro dell’Economia & Finanze, e il ritorno di Bruno Le Maire nel dicastero della Difesa. Il primo ministro ha invitato i ministri a farsi “negoziatori” in Parlamento e a costruire compromessi, nella consapevolezza di un’Assemblea Nazionale frammentata. Il vero banco di prova resta l’approvazione del bilancio 2026, in un contesto politico segnato da instabilità e divisioni profonde.

È entrato in vigore il trattato globale che ferma gli incentivi alla pesca dannosa

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È ufficialmente entrato in vigore l’atteso accordo globale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) sulle sovvenzioni alla pesca dannosa. Dopo oltre vent’anni di campagne e negoziati, il trattato vieta i finanziamenti pubblici che alimentano la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, oltre a quelli che favoriscono lo sfruttamento eccessivo degli stock ittici. Ratificato da 111 Paesi, l'accordo rappresenta una tappa storica per la tutela dell’ambiente marino e un passo concreto verso l’obiettivo di sviluppo sostenibile 14.6 delle Nazioni Unite.
L’accordo, adottato nel 2022 m...

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Nepal e India, piogge torrenziali causano almeno 62 morti

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Almeno 62 persone sono morte a causa delle frane provocate dalle piogge torrenziali che, da ieri sera, hanno colpito la provincia di Koshi, nel Nepal orientale, e nel confinante stato indiano del Bengala Occidentale. Lo scrive l’agenzia di stampa Press Trust of India. In Nepal si contano morti a Manebhanjyang, nel comune di Suryodaya, nel distretto di Ilam, e altri nelle aree di Pategaun, Mansebung, Deuma, Dhusuni, Ratmate e Ghosang. L’esercito nepalese ha inviato un elicottero per le operazioni di soccorso e le truppe sono state dispiegate nelle aree colpite, ma i soccorsi sono stati ostacolati dalle intemperie. Operazioni di soccorso senza sosta anche in India.