sabato 23 Novembre 2024
Home Blog Pagina 56

Uno studio scopre come le cellule “reprimono” i resti di antichi virus nel DNA

0

Sono stati svelati alcuni meccanismi chiave che permettono alle cellule di regolare l’attività dei geni, aprendo nuove potenziali strade per trattamenti innovativi contro malattie come il cancro e i disturbi neurologici. È quanto emerge da una nuova ricerca condotta da un gruppo di scienziati del Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare (EMBL), sottoposta a revisione paritaria e pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Communications. Gli scienziati hanno scoperto che particolari proteine, chiamate istoni, insieme a vecchie sequenze virali presenti nel nostro DNA, regolano l’e...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

Ddl 1660, una norma da stato di polizia: intervista all’avvocato Eugenio Losco

12

Dalla criminalizzazione di ogni forma di dissenso che esca dai binari del rassegnato corteo autorizzato dalla Questura (sempre che questo sia concesso, considerato quanto sta accadendo in vista di quelli per la Palestina), a nuove garanzie di impunità per gli agenti di polizia. Il Ddl 1660, impropriamente ribattezzato come al solito “Decreto Sicurezza”, è in realtà in tutto e per tutto un “Decreto Repressione”. Al suo interno, una fattispecie di reato nuova pensata per colpire ogni movimento che preoccupa il governo: operai, ecologisti, movimenti contro le grandi opere, contro la speculazione energetica e per il diritto alla casa. Una norma giudicata pericolosa anche dall’Unione delle Camere Penali, che ha proclamato un inusuale “stato di agitazione” degli avvocati contro la legge che è già stata approvata alla Camera e aspetta di approdare al Senato per il voto definitivo. Per spiegare ai lettori i caratteri preoccupanti di una legge che, se approvata in via definitiva, andrà ad apporre un nuovo chiodo sul diritto alla manifestazione del dissenso, L’Indipendente ha intervistato Eugenio Losco, avvocato da tempo attivo nella difesa di cause relative a proteste e movimenti sociali.

Partiamo dall’inizio, perché il ddl 1660 dovrebbe preoccupare più dei precedenti decreti sicurezza?

È un disegno di legge caratterizzato dalla volontà evidente di reprimere qualsiasi forma di lotta e di conflitto sociale, andando a colpire i vari movimenti e le lotte sociali in maniera specifica e dettagliata. C’è una norma studiata per reprimere gli eco-ambientalisti, una contro i lavoratori della logistica, una contro Ultima Generazione, una contro il movimento per la casa, una contro chi si oppone alle grandi opere, una contro i detenuti che protestano nelle carceri, e una contro gli immigrati nei centri di detenzione. Si tratta di un decreto repressivo concepito in modo organico, che costituisce quindi un salto di qualità rispetto ai precedenti decreti sicurezza.

Il decreto nella sua organicità si spinge oltre: mentre da una parte criminalizza il dissenso, dall’altra aumenta le difese dei corpi di polizia che hanno il compito di reprimere le proteste, è così?

Assolutamente. La pena per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, storicamente contestato in maniera molto vaga, viene aumentata di un terzo se commessa nei confronti di un poliziotto, senza possibilità di applicare le attenuanti generiche. La pena poi subisce un aggravio in caso di manifestazioni che contestano le grandi opere, una fattispecie pensata apposta per reprimere i movimenti che si oppongono alla TAV e al Ponte sullo Stretto. È stato poi introdotto un reato specifico di lesioni nei confronti di appartenenti alle forze dell’ordine, con pene molto gravi. Se normalmente una condanna per lesioni lievi prevede una pena bassa, se le stesse lesioni vengono inflitte a poliziotti la condanna varia da 2 a 5 anni. Se sono lesioni gravi, da 4 a 8 anni, mentre per lesioni gravissime si può arrivare a 16 anni di reclusione. A chiudere il cerchio viene poi concesso agli agenti di polizia il diritto di portare armi anche fuori servizio.

Il ddl si occupa anche di carceri e CPR, luoghi dove quest’anno si sono susseguite proteste, rivolte e suicidi. Un problema che il governo pare voler risolvere reprimendo le proteste anziché ragionando su come affrontare un problema sociale…

È esattamente così. Uno dei nuovi reati che più colpisce è sicuramente quello previsto dagli articoli 26 e 27 di questo disegno di legge, ossia il reato di rivolta in carcere, nei centri di detenzione amministrativa, nei CPR e negli hotspot. Non c’era nessun bisogno di introdurre un reato specifico di rivolta, dato che le azioni di protesta di questo tipo sono già fortemente sanzionate. È una norma bandiera, pensata a fini propagandistici, ma ciò che preoccupa di più è che all’interno di questi articoli è stato introdotto anche il reato di resistenza passiva. Un detenuto che rifiuterà di obbedire a un ordine impartito dalle autorità sarà punito come se avesse messo in atto un’azione violenta nei confronti degli agenti. La protesta passiva diventa reato di resistenza. Questo è piuttosto preoccupante, perché introduce nel nostro ordinamento una figura di reato inedita.

Su questo c’è il rischio che si torni ai regolamenti carcerari dell’epoca fascista, che imponevano un carcere fondato sulla punizione e la totale sottomissione del detenuto?

Sì, l’orientamento di questo governo sembra voler superare l’ordinamento penitenziario attuale che, quando è stato introdotto nel 1975, era all’avanguardia. Questo decreto mi sembra un esempio chiaro di tale volontà.

In che modo il ddl 1660 va a colpire i movimenti sociali?
Come dicevo, il disegno di legge è organico e prova a reprimere tutte le più forti lotte sociali degli ultimi anni. Il nuovo reato di occupazione, che prevede da 2 a 7 anni di carcere per chi occupa una casa, andando a colpire anche chi coopera con l’occupazione, appare come una norma ad hoc per colpire i militanti dei movimenti per il diritto alla casa.

La forte penalizzazione del blocco stradale, punibile con il carcere anche se attuato in forma pacifica, colpisce in maniera chirurgica una delle pratiche maggiormente utilizzate dagli operai della logistica. Il ministro Piantedosi ha dichiarato espressamente che l’introduzione di questo reato serve a impedire che le proteste dei lavoratori della logistica possano disturbare la distribuzione delle merci. Si tratta quindi di una norma che ha il duplice effetto di reprimere chi protesta e proteggere gli interessi della controparte, rappresentata dagli imprenditori, garantendo che i loro affari non siano disturbati dai blocchi operai. La soluzione del ministro ai quasi 240 scioperi di cui parla non è quella di indagare sul perché questi scioperi vengano fatti in un settore come la logistica, dove esiste un grave problema nell’applicazione dei contratti, ma di reprimere il diritto di sciopero.

Nella stessa cornice si inserisce l’aumento della pena di un terzo previsto per chi si oppone alle grandi opere definite strategiche, che mira a colpire i movimenti in difesa del territorio, come quelli contro la TAV, il Ponte, il MUOS o la speculazione energetica. Viene inoltre aumentata la possibilità di applicare i DASPO agli attivisti, impedendo loro, ad esempio, di avvicinarsi a opere di interesse strategico come ferrovie e trasporti urbani, o di partecipare alle manifestazioni.

In definitiva, queste sono tutte misure studiate in maniera metodica per colpire ogni forma di opposizione organizzata allo stato attuale delle cose. Si cerca anche il controllo totale della piazza e delle forme di protesta.

C’è poi il “terrorismo della parola”, la nuova norma che sanziona i materiali informativi scritti. Cosa implica?

Si tratta dell’introduzione del reato di “detenzione di materiale con finalità di terrorismo”. È un’altra misura che dimostra il livello di repressione pervasivo nel disegno di legge. Sarà considerato reato il semplice possesso di materiale che illustri la preparazione di congegni, armi o che parli di tecniche di sabotaggio, indipendentemente dal fatto che il soggetto intenda effettivamente mettere in pratica azioni concrete. La reclusione prevista va dai due ai sei anni. Si assiste a una forte anticipazione della punizione, nel senso che si punisce una condotta che, in termini giuridici, si definisce come “pericolo astratto”, mentre finora era richiesta almeno una minima concretezza.

Sembra che la direzione sia quella di concepire la sicurezza esclusivamente in termini di proibizione e punizione, ignorando completamente l’aspetto della sicurezza sociale. In questo modo, si passa da uno stato di diritto teorico a uno stato di polizia sempre più repressivo.

C’è senza dubbio un passaggio deciso verso un maggior autoritarismo, verso una modifica “all’ungherese” del nostro sistema. Poi sul fatto che non si investa per quanto riguarda il sociale, eccetera, non è il primo governo, forse tutti i governi recenti hanno fatto così. È ovvio che la questione di sicurezza non si risolve con la repressione, ma intervenendo nel sociale dove ce n’è bisogno. Ma questo non lo fa nessuno, né a destra né a sinistra.

Possiamo leggere questo nuovo decreto come una continuazione dei precedenti decreti sicurezza, dal decreto Minniti/Orlando al Decreto Salvini e al Decreto Caivano?

Sì, c’è sicuramente una continuità, ma questo decreto ha un impatto maggiore rispetto ai precedenti. Ha molti aspetti che richiamano un’impostazione quasi di stampo fascista. Penso, ad esempio, alle leggi che colpiscono determinate categorie in modo quasi discriminatorio, come le norme contro i Rom, la nuova definizione del reato di accattonaggio con l’aumento delle pene, o la modifica dell’articolo 146, che introduce la possibilità di applicare il carcere anche alle donne incinte o con figli minori di un anno. Oppure la norma che impone l’obbligo del permesso di soggiorno per ottenere una carta SIM e quindi un cellulare, rivolta agli immigrati.

Molti stanno denunciando principi di incostituzionalità nel ddl 1660. Lei cosa ne pensa: contiene norme contrarie alla Costituzione italiana?

Sarà sicuramente una questione da approfondire, ma a mio avviso ci sono punti che sono in aperto contrasto con la Costituzione. Pensiamo, ad esempio, all’articolo 3, che sancisce il principio di uguaglianza formale di tutti i cittadini davanti alla legge: come si concilia questo con il diritto dei poliziotti non in servizio a girare armati o con le norme specifiche rivolte ad alcune categorie sociali o etniche? C’è anche un problema di proporzionalità delle pene in relazione a certi reati, che è un altro principio costituzionale. Sono tutte questioni che potranno essere sollevate, ma purtroppo richiederanno tempi lunghi. Nel nostro ordinamento non esiste la possibilità di ricorrere direttamente alla Corte Costituzionale. Sarà necessario che un giudice sollevi la questione all’interno di un procedimento penale. Ma ci vorranno anni, e nel frattempo tutto questo impianto legislativo entrerà in vigore.

[di Monica Cillerai]

USA, iniziato sciopero ad oltranza dei lavoratori portuali

0

Negli Stati Uniti è in corso un importante sciopero dei lavoratori portuali lungo la costa orientale e del Golfo del Messico che sta già causando gravi disagi al trasporto marittimo. L’International Longshoremen’s Association, sindacato che rappresenta circa 50.000 membri, ha indetto la protesta dopo mesi di negoziati falliti per il rinnovo del contratto collettivo. Tra le principali richieste dei lavoratori vi sono un aumento salariale ed il divieto di implementare nuove tecnologie automatizzate nelle operazioni di carico e scarico, per evitare possibili licenziamenti. Lo sciopero, secondo fonti sindacali, proseguirà fino a quando non verrà raggiunto un nuovo accordo tra le parti.

Migranti, affondano due navi in Gibuti: 45 morti e 111 dispersi

0

Sono iniziate le ricerche degli oltre 100 migranti dispersi al largo delle coste del Paese africano del Gibuti, dopo che ieri due imbarcazioni sono affondate, causando la morte di 45 migranti. Secondo quanto comunica l’OIM, le navi erano partite dallo Yemen, e di preciso dallo stretto di Bab el Mandeb, sul Mar Rosso, e a bordo erano presenti 310 persone. Finora sono state tratte in salvo 154 persone. Ancora poco chiare le dinamiche della vicenda. Secondo quanto comunicano i sopravvissuti, i migranti sarebbero stati costretti dagli operatori delle imbarcazioni ad abbandonare le navi.

Mistero Unifil: cosa fanno i diecimila soldati dell’ONU presenti in Libano?

7

Forse non tutti lo sanno, ma nel Libano bombardato da Israele sono presenti ben 10.058 soldati provenienti da 50 diversi Paesi. Sono i membri della missione UNIFIL, istituita dall'ONU nel lontano 1978 con il compito, tra gli altri, di «ripristinare la pace e la sicurezza in Libano». Tra gli oltre diecimila effettivi sono presenti ben 1.068 soldati italiani, i quali costituiscono il secondo contingete più numeroso. Ma cosa fanno effettivamente? Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, all'indomani dei bombardamenti israeliani sul Libano, ha assicurato che i soldati italiani «sono al s...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

Israele dichiara “non grato” il capo dell’Onu, vietandogli l’ingresso

0

Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, è stato dichiarato «persona non grata» in Israele e gli è stato vietato l’ingresso nel Paese. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri Israel Katz, che ha aggiunto: «Chiunque non possa condannare inequivocabilmente l’odioso attacco dell’Iran a Israele, come hanno fatto quasi tutti i paesi del mondo, non merita di mettere piede sul suolo israeliano. Questo è un Segretario generale che deve ancora denunciare il massacro e le atrocità sessuali commesse dagli assassini di Hamas il 7 ottobre, né ha guidato alcun tentativo di dichiararli un’organizzazione terroristica».

Mangiare animali: il dubbio etico che tormentava Seneca e Tolstoj è ancora irrisolto

6

Nell’immaginario comune gli insetti sono considerati forme di vita prive di qualunque sensibilità. La morte di un insetto difficilmente ci turba, anche l’uomo più sensibile non ha alcuna esitazione nello schiacciare uno scarafaggio, eppure le ultime ricerche scientifiche hanno dimostrato come anche queste forme di vita elementari sono senzienti. Le api, per esempio, sarebbero in grado di contare, le mosche sono in grado di percepire il tempo e il suo trascorrere, le formiche, instancabili e tenaci, soccorrono i loro compagni in difficoltà. Lars Chittka, professore di ecologia comportamentale, ha dimostrato come le api conoscano il senso del gioco e del piacere e sperimentino una sensazione simile alla gioia.

«Abbiamo collegato una colonia di bombi a un’area dotata di palline mobili da un lato e a un’area di palline immobili dall’altro. Nel mezzo c’era un percorso libero che conduceva a una zona di alimentazione contenente soluzione zuccherina e polline. Ebbene, le api sono tornate molte volte e sono rimaste per prolungati periodi di tempo nell’area di gioco dove potevano fare rotolare le palline mobili, anche se nelle vicinanze veniva fornito cibo in abbondanza. Sembrava, insomma, esserci qualcosa di intrinsecamente piacevole nell’attività stessa».

Se le api conoscono una sensazione assimilabile al piacere, allo stesso modo percepiscono il dolore. Gli insetti provano sofferenza, possiedono meccanismi di regolazione della nocicezione che sono ciò che regola la percezione del dolore nel sistema nervoso umano. Un team di ricercatori australiani dell’Università di Sidney ha studiato la percezione del dolore cronico in una delle forme di vita più elementari di tutte: il moscerino della frutta. Ebbene dopo aver danneggiato il nervo di una gamba di un moscerino della frutta, l’animale ha sviluppato una ipersensibilità in quel punto, come accade nei pazienti affetti da dolore cronico. Se organismi semplici come gli insetti percepiscono la paura e il dolore, forme di vita più complesse come i volatili e i mammiferi hanno un complesso sistema emozionale assimilabile in tutto e per tutto a quello umano. I cani sanno cos’è la gioia e l’attaccamento, provano affetto, paura, rabbia, nervosismo, sono in grado di sviluppare un legame emotivo persistente e duraturo con gli esseri umani. Chiunque abbia vissuto con un cane o abbia avuto un animale domestico ne è consapevole. Eppure il rapporto simbiotico sviluppato tra l’uomo e il cane o il gatto (o il cavallo) non si è mai esteso ad altre forme di vita animale.

Un team di ricercatori australiani dell’Università di Sidney ha studiato la percezione del dolore cronico nel moscerino della frutta: dopo aver danneggiato il nervo di una gamba di un moscerino della frutta, l’animale ha sviluppato una ipersensibilità in quel punto

Fin dagli albori della civiltà l’uomo non ha potuto non domandarsi se fosse etico uccidere e macellare esseri senzienti. Gli animali soffrono? Provano dolore? Sono in grado di pensare? Provano emozioni assimilabili a quelle umane? Queste non sono semplici domande filosofiche e non investono soltanto il nostro rapporto con gli animali, ma coinvolgono questioni umane come il senso che attribuiamo alla giustizia e alla stessa vita. Il filosofo greco Pitagora, divenuto celebre per il suo vegetarianismo ante litteram, fu uno dei primi a esprimersi contro la violenza sugli animali. L’esempio di Pitagora fu imitato da Porfirio, da Teofrasto, da Empedocle. Quest’ultimo disse: «È una grande vergogna spargere il sangue e divorare le belle membra di animali ai quali è stata violentemente tolta la vita».

Democrito invece era attratto dall’intelligenza, dall’ingegnosità di alcune specie: i ragni tessitori, i picchi, i castori che costruiscono vere e proprie dighe, manifestando una capacità di adattamento, di problem solving la definiremmo oggi, che desta meraviglia e stupore. Lo storico greco Plutarco invece ne fece una questione di sensibilità:  «Tu chiedi in base a quale ragionamento Pitagora si sia astenuto dal mangiare carne: io invece domando, pieno di meraviglia, con quale disposizione, animo o pensiero il primo uomo abbia toccato con la bocca il sangue e sfiorato con le labbra la carne di un animale ucciso, imbandendo le tavole con cadaveri e simulacri senza vita; e abbia altresì chiamato “cibi prelibati” quelle membra che solo poco prima muggivano, gridavano e si muovevano e vedevano. Come poté la vista sopportare l’uccisione di esseri che venivano sgozzati, scorticati e fatti a pezzi?».

Dello stesso pensiero era Seneca che sostenne che esiste un profondo legame tra l’uccidere gli animali e il massacrare i propri simili in guerra. Se l’uomo considera naturale la soppressione di una vita, lo spargimento di sangue prima o poi considererà naturale e inevitabile anche la soppressione di altre forme di vita, come quella umana. Circa 1800 anni dopo lo scrittore russo Lev Tolstoj fu dello stesso avviso: «Fino a quando ci saranno i macelli, ci saranno anche i campi di battaglia. La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali.» Dallo stato delle sue carceri, dei suoi ospizi, dei suoi ricoveri. Il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, pur ritenendo gli animali privi di facoltà razionali, li credeva capaci di emozioni profonde e si domandava: «Chi è crudele nei confronti degli animali come può essere una buona persona?» 

Gli esempi sarebbero infiniti e non sarebbe neanche auspicabile riportarli tutti, da Kant a Montaigne passando per Rousseau, di epoca in epoca, di stagione storica in stagione storica l’uomo si è sempre domandato con un senso di tristezza e di disagio perché venga inflitta, in modo deliberato o inconsapevole, per via della caccia, della macellazione o di altre pratiche simili, una grande sofferenza a creature dotate di sensibilità e di sentimenti anche complessi. 

Fu tuttavia il filosofo Jeremy Bentham a porre nella percezione della gioia e della sofferenza la qualità che accumuna i membri di ogni specie: «Che altro dovrebbe tracciare la linea invalicabile? La facoltà di ragionare o forse quella del linguaggio? Ma un cavallo o un cane adulti sono senza paragone animali più razionali, e più comunicativi, di un bambino di un giorno, o di una settimana, o persino di un mese. Ma anche ammesso che fosse altrimenti, cosa importerebbe? Il problema non è “Possono ragionare?”, né “Possono parlare?”, ma “Possono soffrire?”». 

Una formica aiuta la sua amica rimasta intrappolata nella rugiada

Se dovessimo sintetizzare gli interrogativi etici dell’animalismo possiamo rintracciare in questa linea di pensiero tre grandi domande: gli animali sono intelligenti? Gli animali provano emozioni e sentimenti? Gli animali sentono dolore? A sua volta queste tre grandi domande ne racchiudono altre. Ad esempio, esiste una definizione univoca di intelligenza? Cos’è il dolore? Cos’è il piacere?  Tutte queste domande alla fine però si riducono a un’unica domanda: cos’è la vita? Quale vita è degna di essere vissuta? Possiamo noi giudicare chi è meritevole di vivere? Lo sviluppo del linguaggio e di facoltà razionali complesse non sono più un discrimine che rende immeritevoli della vita. Chi è affetto da handicap neurologici o da altre alterazioni delle facoltà intellettive ha tutto il diritto di vivere come qualsiasi altro suo simile normodotato. Sorge spontanea la domanda: perché questo stesso diritto non viene riconosciuto alle altre creature senzienti di questo pianeta?

Se in passato l’uccisione degli animali per nutrirsi della loro carne era una questione di sopravvivenza, legata alla scarsità di cibo, lo sviluppo industriale e tecnologico ha reso l’uomo occidentale libero da qualsiasi dipendenza dalla carne animale. Sono innumerevoli le fonti alternative di proteine necessarie per il nostro sostentamento. Nell’utilizzo degli animali come fonte di cibo non vi è una motivazione di natura pratica. E non vi è neanche una mancanza di etica. Pochissimi consumatori di carne sarebbero in grado di uccidere un animale a sangue freddo, di macellare una mucca, di sgozzare un maiale, di decapitare un cavallo, eppure la maggior parte della popolazione consuma tranquillamente carne, si ciba di carne animale. Tutti sappiamo cosa accade nei macelli, conosciamo la violenza praticata in questi luoghi simili a un inferno sulla terra, ma il consumo di carne animale è rimasto quasi inalterato. 

E c’è in effetti un motivo molto semplice dietro: nella carne che acquistiamo comodamente impacchettata, tagliata o addirittura già cucinata, priva insomma di qualunque legame con la vita, non identifichiamo un essere senziente. A livello razionale siamo consapevoli che quella carne apparteneva a qualcuno, che una vita è stata soppressa, ma quest’informazione è un dato astratto che di rado ci sfiora la mente. La distrazione, la forza dell’abitudine, le tradizioni culinarie, la disponibilità della carne animale possono di più sull’etica e sulla sensibilità. Da qualunque angolazione vogliamo esaminare il problema, non ne usciamo bene, ma esserne consapevoli potrebbe almeno essere un inizio. Il rifiuto della violenza sugli animali, qualunque forma di violenza praticata contro esseri senzienti, è la conditio sine qua non per estirpare tutte le altre forme di violenza diffuse nel nostro pianeta.

[di Guendalina Middei, in arte Professor X]

La rivolta della Sardegna: consegnate 210.000 firme contro la speculazione energetica

5

Sindaci e cittadini, comitati e sindacati, politici e sigle indipendenti. Sono migliaia le persone che oggi, mercoledì 2 ottobre, hanno deciso di scendere in piazza a Cagliari per consegnare le oltre 210.000 firme a favore della proposta di legge “Pratobello 24” contro la speculazione energetica. Alla manifestazione, erano presenti cittadini da tutta la Sardegna, molti dei quali giunti nel capoluogo di regione a bordo di pullman organizzati. La legge ha sollevato non poche polemiche, ma alla fine è riuscita a riunire la maggior parte dei comitati e dei comuni della regione. «Oggi è una data che, secondo me, diventerà storica, perché stiamo consegnando 210.000 firme che di fatto bloccherebbero in maniera chiara e stabile la speculazione energetica», ha dichiarato a L’Indipendente l’avvocato Michele Zuddas, tra i promotori dell’iniziativa. «Consegneremo le firme al Presidente del Consiglio Regionale con l’auspicio che questa Regione si faccia interprete della volontà dei sardi e quindi blocchi davvero una volta per tutte la speculazione energetica».

La manifestazione di oggi è stata lanciata per consegnare le firme dell’iniziativa di legge popolare “Pratobello 24” e si è tenuta a Cagliari davanti al palazzo della regione. All’evento hanno partecipato migliaia di persone provenienti da tutta l’isola, e hanno parlato diversi esponenti di comitati. Tra la folla sono sventolate bandiere di ogni colore: presenti, tra i tanti, sigle sindacali come UIL, Cobas, e Confederazione sindacale sarda, ma anche sigle indipendentiste, firme locali e, naturalmente, tanti stendardi della Sardegna. Nel corso del presidio sono state distribuite dozzine di palloncini di colore arancione, simbolicamente composti da materiale biodegradabile e contenenti semi che ognuno poteva portare a casa. Le scatole che contenevano le firme sono state passate di mano in mano per la folla lungo un cordone rivolto verso il palazzo. Al termine dei vari atti dimostrativi, dall’interno dell’edificio hanno fatto entrare i rappresentanti per consegnare le firme e presentare la proposta.

Il comunicato di presentazione della manifestazione descrive la legge come una iniziativa “per tenere la Sardegna pulita per un futuro di agroforestazione e altre tecniche agroecologiche che ci procurino cibo buono, rigenerando il suolo e salvaguardando l’ambiente”. «Noi non siamo contro la transizione energetica», ha aggiunto Zuddas, «ma vogliamo che venga governata e gestita, e che venga rispettata la volontà dei sardi». La raccolta firme è stata lanciata lo scorso luglio e in soli tre mesi ha raccolto più di 210.000 firme in una regione che conta in totale circa 1,6 milioni di abitanti. Nello specifico, la legge si occupa di fotovoltaico ed eolico e intende assegnare il potere esclusivo relativo all’assegnazione dei progetti energetici alla Regione Sardegna.

[di Dario Lucisano]

I nativi americani pretendono giustizia per la devastazione subita da uranio e test atomici

1

Una delegazione composta da membri della comunità della Nazione Navajo, dei Pueblo di Laguna e dei Pueblo di Acoma, così come delle tribù Hopi e Zuni, si è recata a Washington per incontrare il Presidente della Camera degli Stati Uniti, Mike Johnson. Il motivo della visita è stato discutere l’estensione del Radiation Exposure Compensation Act (RECA), una legge approvata per la prima volta nel 1990, che avrebbe dovuto garantire risarcimenti e prestazioni sanitarie alle vittime dell’esposizione alle radiazioni causata dall’estrazione dell’uranio e dai test nucleari, legati a un aumento significativo di malattie. Tuttavia, le vittime dell’esposizione all’uranio sono state trascurate dalla burocrazia e continuano a lottare per soddisfare le loro esigenze mediche. Al punto che, ad esempio, tra i minatori Navajo la probabilità di sviluppare il cancro o malattie rare è di 28,6 volte maggiore rispetto al resto della popolazione.

Il 24 settembre, la delegazione si è riunita nell’atrio del Cannon House Building con l’intento di consegnare direttamente al Presidente della Camera, Mike Johnson, le storie di sofferenza vissute dalle proprie comunità. La richiesta formulata è quella di estendere la durata del Radiation Exposure Compensation Act (RECA), in scadenza a giugno prossimo, affinché le persone malate non siano lasciate senza mezzi economici per le cure.

La marcia dei delegati indigeni si è conclusa con una conferenza stampa insieme ad alcuni senatori. Nella sala, le persone tenevano le foto dei loro familiari perduti a causa delle radiazioni. «Erano circa le 3 del mattino quando il sole è sorto nel New Mexico. Non era l’alba a cui eravamo abituati. Era il Trinity Test», ha detto Gabe Vasquez, riferendosi al  test atomico condotto nell’ambito del Progetto Manhattan, che portò alla costruzione della prima bomba atomica. Il 16 luglio 1945, nel deserto della Jornada del Muerto, in New Mexico, l’alba arrivò prima del solito. L’esplosione avvenne nel sito militare USAAF Alamogordo Bombing and Gunnery Range. Da quel momento, gli Stati Uniti hanno condotto circa un migliaio di test atomici, la maggior parte dei quali in siti militari situati nei deserti, ai confini delle riserve indiane.

Uno studio condotto dal Dipartimento dell’Energia nel 2022 ha rivelato che l’11% delle miniere di uranio si trova su terreni tribali e che queste miniere rappresentano la maggior parte della produzione di uranio degli Stati Uniti. Dei 75,9 milioni di tonnellate di minerale estratto per scopi legati alla difesa, quasi 52 milioni di tonnellate provengono dalle miniere situate sui territori Navajo e Pueblo. Lo studio si basa sul lavoro iniziato dal Dipartimento dell’Energia nel 2014, quando ha pubblicato vari rapporti sull’estrazione dell’uranio.

Anche a fini di controllo e repressione molte delle riserve indiane sono state collocate in prossimità di basi militari statunitensi. Proprio ai margini delle zone dei test atomici risiedono ampie comunità nativo-americane confinate all’interno di queste riserve. Inoltre, a causa delle difficili condizioni economiche, per decenni le comunità locali sono state impiegate principalmente come forza lavoro nell’estrazione dell’uranio. In particolare, le popolazioni indigene del Sud-Ovest degli Stati Uniti continuano a subire le conseguenze delle radiazioni e chiedono che il governo federale non le abbandoni.

[di Michele  Manfrin]

Stellantis, prolungata la sospensione della produzione a Mirafiori

0

La holding di produzione automobilistica Stellantis ha annunciato di avere prolungato la sospensione della produzione di Fiat 500 elettriche nello stabilimento di Mirafiori, a Torino. La produzione nello stabilimento italiano è in crisi da tempo, e l’azienda aveva precedentemente deciso di sospendere le attività nel Paese fino al 14 ottobre a causa degli scarsi ordini. Per tale motivo, l’Amministratore Delegato di Stellantis, Tavares, è stato chiamato a riferire in Parlamento l’11 ottobre. La nuova sospensione scadrà a novembre.