sabato 26 Aprile 2025
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Corea del Sud, aerei militari sganciano per errore bombe sulle case: 15 feriti

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Alcuni aerei da combattimento sudcoreani hanno sganciato oggi accidentalmente otto bombe su un quartiere civile, ferendo 15 persone e danneggiando abitazioni e una chiesa durante delle esercitazioni militari a Pocheon, a circa 40 chilometri dalla capitale Seul. Lo hanno riferito l’aeronautica militare e i vigili del fuoco coreani. L’aeronautica ha dichiarato che otto bombe Mk82 da 500 libbre (225 kg) lanciate da due jet KF-16 sono cadute fuori dal poligono di tiro durante esercitazioni. Un funzionario militare, che ha voluto rimanere anonimo, ha dichiarato che l’incidente sarebbe stato causato dall’errore di un pilota, che avrebbe inserito coordinate errate.

Metà delle emissioni globali di CO2 provengono da 36 compagnie petrolifere

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Un’analisi di Influence Map ha rivelato che la metà delle emissioni globali di anidride carbonica deriva dai combustibili fossili prodotti da sole 36 aziende. Lo studio prende in considerazione le emissioni dirette e indirette delle maggiori compagnie del settore fossile e, nello specifico, rivela che le 36 principali aziende hanno prodotto carbone, petrolio e gas responsabili di oltre 20 miliardi di tonnellate di CO2 nel 2023. Se Saudi Aramco, la compagnia più impattante, fosse un Paese, sarebbe il quarto più emissivo al mondo dopo Cina, Stati Uniti e India. I dati aggiornati al 2023, sostengono i ricercatori, rafforzano la necessità di chiedere conto alle compagnie fossili per il loro ruolo nella crisi climatica e potrebbero essere utilizzati in cause legali contro aziende e investitori, come già avvenuto con le versioni precedenti del rapporto.

Lo studio di Influence Map costituisce un aggiornamento del database Carbon Majors, una banca dati che raccoglie i numeri relativi alla produzione delle 169 maggiori compagnie attive nei settori di petrolio, gas, carbone e cemento, oltre a quelli di 11 entità non più operative. I dati raccolti vengono utilizzati per quantificare sia le emissioni operative dirette legate alla produzione, sia quelle derivanti dalla combustione dei prodotti commercializzati. L’aggiornamento del 2023 compie un passo avanti nell’individuazione delle maggiori compagnie impattanti del mondo: il nuovo studio, infatti, disaggrega i dati delle emissioni di carbone provenienti da Cina, Federazione Russa, Repubblica Ceca, Polonia, Ucraina e Kazakistan, attribuendoli alle singole aziende dei rispettivi Paesi. I nuovi dati rivelano che le aziende a proprietà statale risultano le più impattanti. Secondo il database, nel 2023, 68 entità statali avrebbero emesso 22,5 miliardi di tonnellate di CO2, pari al 52% delle emissioni globali di CO2.

Nel 2023, Carbon Majors ha tracciato un totale di 33,9 miliardi di tonnellate di emissioni provenienti dai 169 gruppi attivi, di cui il 78,4% derivante da combustibili fossili e cemento e la metà esatta attribuibile alle prime 36 entità; tra di esse figura anche l’italiana Eni che ricopre proprio la trentaseiesima posizione con 257 milioni di tonnellate di CO2 di emissioni, lo 0,56% delle emissioni totali per il settore. A livello storico, dal 1854 al 2023, Eni si colloca al trentaquattresimo posto tra le aziende del settore più impattanti. Lo studio si concentra sulle prime 20 entità produttrici di carbonio, responsabili collettivamente di 17,5 miliardi di tonnellate di CO2, pari al 40,8% delle emissioni globali. L’elenco, si legge nel rapporto, è dominato da entità statali, che costituiscono 16 delle prime 20, con una forte presenza delle aziende cinesi, otto delle quali hanno generato il 17,3% delle emissioni globali di CO2 da combustibili fossili e cemento. «Anche le aziende del carbone sono in primo piano, con sette nella top 20, di cui sei cinesi e una indiana», scrive il gruppo.

Proprio riguardo al carbone, lo studio rileva che nel 2023 esso sarebbe rimasto la principale fonte di emissioni, contribuendo per il 41,1% alle emissioni del database. Mentre le emissioni di carbone sono cresciute dell’1,9% su base annua, il cemento ha registrato il maggiore aumento relativo, pari al 6,5%. Al contrario, le emissioni di gas naturale sono diminuite del 3,7%, mentre il petrolio è rimasto stabile con un aumento minimo dello 0,3%. Complessivamente, le emissioni sono aumentate dello 0,7%.

[di Dario Lucisano]

Un rapporto afferma che la Romania non è più una democrazia, ma per l’UE va tutto bene

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La rivista economica britannica The Economist ha rilasciato il nuovo Global Democracy Index, l’indicatore sui livelli di democrazia globale, dove appare lo status aggiornato della Romania: il Paese è diventato il primo membro dell’UE a essere inserito nella lista dei “regimi ibridi”, con elementi tanto democratici quanto autoritari. L’aggiornamento arriva da uno dei giornali più noti e citati al mondo e dai media mainstream e segue le vicende che interessano il Paese dalle elezioni presidenziali dello scorso novembre. Il primo turno elettorale era stato vinto da Calin Georgescu, candidato indipendente accusato di essere filo-russo, ma pochi giorni dopo il risultato è stato annullato dalla Corte Costituzionale per presunte interferenze da parte della Russia. Il 26 febbraio, inoltre, Georgescu è stato arrestato con l’accusa di aver tentato di sovvertire l’ordine costituzionale e di aver promosso un’organizzazione a carattere fascista. Si trova ora sotto osservazione giudiziaria.

Il rapporto dell’Economist è stato pubblicato il 27 febbraio e denuncia una generale tendenza alla degradazione delle istituzioni democratiche. Esso si basa su 60 indicatori, raggruppati in cinque categorie: processo elettorale e pluralismo; libertà civili; funzionamento del governo; partecipazione politica; e cultura politica. Ogni categoria ha una valutazione su una scala da 0 a 10 e il punteggio complessivo è dato dalla media aritmetica dei cinque indici di categoria; a tale punteggio vengono apportati eventuali piccoli aggiustamenti sulla base di ulteriori fattori, quali lo svolgimento di elezioni, le eventuali influenze esterne e il funzionamento della rete civile. Sulla base dei punteggi, l’indice classifica poi i Paesi in quattro categorie: “piene democrazie” (Paesi con un punteggio superiore a 8), “democrazie imperfette” (punteggio compreso tra 6 e 8), “regimi ibridi” (da 4 a 6), “regimi autoritari” (meno di 4). L’Italia è classificata come democrazia imperfetta e occupa la trentasettesima posizione globale.

La Romania, si legge nel rapporto dell’Economist, è stata declassata da “democrazia imperfetta” a “regime ibrido”, dopo aver percorso per alcuni anni una traiettoria discendente. Il Paese, di preciso, è sceso di 12 posizioni in classifica «dopo aver annullato in modo controverso le elezioni presidenziali», arrivando a un punteggio di 5,99. A causare il tracollo del Paese nell’indice del settimanale britannico è stata dunque la decisione della Corte Costituzionale di annullare il primo turno delle elezioni presidenziali del 24 novembre, cancellare il ballottaggio previsto per l’8 dicembre e fare ripartire da zero il processo elettorale. La sentenza del massimo tribunale romeno viene definita «inconsistente»: la Corte, infatti, aveva motivato tale scelta facendo riferimento a una presunta campagna russa filo-Georgescu sui social network, e in particolare a video comparsi sulla piattaforma di TikTok.

«Le prove erano, nella migliore delle ipotesi, discutibili», scrive l’Economist, anche perché, se si considera l’età media degli elettori di Georgescu, per lo più «anziani che consumano le loro notizie dalla televisione», è difficile immaginare che dei video su TikTok abbiano avuto un peso tanto importante. L’indice ci tiene comunque a precisare che «l’annullamento delle elezioni ha influito negativamente sul punteggio del Paese in termini di processo elettorale e pluralismo, ma i declassamenti ad altri punteggi si sarebbero verificati anche senza la debacle di fine anno». Insomma, tra livelli di corruzione in peggioramento e controverse pratiche governative, il Paese sarebbe comunque sceso di parecchie posizioni. «Esiste», inoltre, «il rischio che il punteggio della Romania possa scendere ulteriormente nel 2025», specialmente visto il riavvio del processo elettorale.

È interessante rilevare come questo rapporto sia stato redatto da uno dei media più noti e citati al mondo, particolarmente apprezzato dallo stesso panorama mainstream che ha applaudito la scelta della Corte romena, e non da una fonte giudicata filorussa”. L’analisi, inoltre, si basa sui soli fatti di fine 2024 e non tiene in considerazione lo sviluppo della vicenda in Romania. Il 26 febbraio, la polizia del Paese ha arrestato Georgescu mentre si trovava in auto per andare a presentare la sua nuova candidatura alla presidenza. Dopo essere stato prelevato, Georgescu è stato interrogato e ora si trova sotto controllo giudiziario, con il divieto di lasciare il Paese. Un comunicato stampa della polizia romena riporta che il politico, assieme ad altre 26 persone, è al centro di un procedimento penale «che indaga sui reati di iniziativa o creazione di un’organizzazione a carattere fascista, razzista o xenofobo» e di sovvertimento dell’ordine costituzionale.

[di Dario Lucisano]

Gaza, la Casa Bianca conferma “colloqui diretti” con Hamas

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La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha confermato che gli Stati Uniti stanno interloquendo direttamente con rappresentanti di Hamas. Il contenuto dei colloqui è ancora ignoto. Sebbene informati, i rappresentanti israeliani non partecipano al tavolo dei colloqui. Hamas non ha confermato la notizia. Questi colloqui rappresenterebbero i primi dialoghi diretti tra Hamas e gli USA da quando l’organizzazione è stata designata come terroristica nel 1997, malgrado i funzionari statunitensi siedano al tavolo delle trattative da mesi. Nel frattempo, Trump è tornato a minacciare Hamas, lanciando un ultimatum al gruppo: «Rilasciate tutti gli ostaggi ora, o per voi è finita», si legge in un post pubblicato sul social Truth.

USA: un mese di esenzione ai dazi a Canada e Messico sulle auto

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La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha annunciato un mese di esenzione dai dazi relativi ai prodotti del settore automobilistico importati da Canada e Messico. Le tariffe, del 25%, erano entrate in vigore ieri, martedì 4 marzo. La decisione di rinviare la loro applicazione, spiega Leavitt, arriva dopo le richieste dei grandi gruppi automobilistici. «Abbiamo parlato con i Big Three», ha detto Leavitt riferendosi ai colloqui avuti con Chrysler, Ford e General Motors. «Daremo un’esenzione di un mese su tutte le automobili per non causare svantaggi economici». In risposta ai dazi, Canada e Messico hanno annunciato tariffe di ritorsione.

USA e Israele hanno rifiutato il piano arabo per la ricostruzione di Gaza

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Gli Stati Uniti e Israele hanno rifiutato la proposta egiziana per la ricostruzione di Gaza, presentata ieri al Cairo in occasione di un vertice della Lega Araba. Il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale statunitense, Brian Hughes, ha dichiarato che il piano avanzato dai Paesi arabi non tiene conto del fatto che «Gaza è attualmente inabitabile», mentre Israel Katz, il ministro degli Esteri israeliano, ha accusato i Paesi arabi di non considerare «lo stato di cose dopo il 7 ottobre, rimanendo ancorati a prospettive obsolete». La proposta egiziana si articola in tre fasi, durerebbe complessivamente circa cinque anni e costerebbe 53 miliardi di dollari: durante la prima fase, che durerebbe sei mesi, Hamas cederebbe il potere a un’amministrazione tecnica ad interim e verrebbero installati 200.000 alloggi temporanei per la popolazione della Striscia. Nelle fasi successive, verrebbero rimosse le macerie e verrebbe ricostruita la Striscia, mentre il controllo di Gaza passerebbe nelle mani dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Il piano egiziano per la ricostruzione di Gaza è stato elaborato dai Paesi arabi in risposta al piano di Trump per rendere Gaza la futura “Riviera del Medio Oriente”. Il piano prevederebbe tre fasi, della durata complessiva variabile tra quattro e cinque anni. Dopo la prima fase preparatoria, in cui verrebbero spesi 3 miliardi, si passerebbe a una seconda fase di rimozione delle macerie e costruzione delle abitazioni; in questa fase, che dovrebbe costare complessivamente 20 miliardi, verrebbero costruite 400.000 case e, nell’arco di circa due anni e mezzo, verrebbero assicurati tetti per tutti i palestinesi. Sempre durante la seconda fase, verrebbero riparate le infrastrutture per l’erogazione dei servizi essenziali (acqua, elettricità, linea telefonica, smaltimento dei rifiuti) e verrebbero costruite aree industriali, porti e aeroporti, oltre ad aree dedicate alle attività produttive e commerciali come la pesca. Le bozze visionate dalla CNN parlano di un «piano ambizioso per sviluppare centri commerciali, un centro congressi internazionale e persino un aeroporto entro cinque anni», ma anche di «resort» e strutture turistiche per «valorizzare la costa mediterranea dell’enclave». La terza fase, che costerebbe in totale 30 miliardi, prevede infine il cambio di governance e porterebbe i cittadini alle urne.

La prima e la seconda fase hanno trovato l’appoggio di Hamas; anche la terza fase sembra essere stata accolta positivamente, ma non è ancora nota la posizione del gruppo riguardo a una possibile guida con l’ANP a capo. Tel Aviv, invece, si è sempre rifiutata di lasciare il controllo della Striscia tanto ad Hamas quanto all’ANP. Ieri, Katz ha ribadito la contrarietà di Israele a qualsiasi piano arabo senza fornire una vera e propria motivazione: secondo il ministro degli Esteri, «ora, con l’idea del presidente Trump, c’è l’opportunità per gli abitanti di Gaza di avere la libera scelta basata sul loro libero arbitrio. Invece, gli Stati arabi hanno rifiutato questa opportunità, senza darle una giusta possibilità, e continuano a muovere accuse infondate contro Israele». L’amministrazione statunitense, invece, ha sollevato un’obiezione pragmatica, sottolineando che Gaza è inabitabile «e i residenti non possono vivere dignitosamente in un territorio coperto di detriti e ordigni inesplosi». Per tale motivo, «il presidente Trump sostiene la sua visione di ricostruire Gaza libera da Hamas». Insomma, USA e Israele insistono con l’idea che i gazawi dovrebbero venire deportati in massa fuori dalla Striscia, pur sempre lasciando loro la possibilità di scegliere e ai Paesi arabi di proporre alternative. Di fronte alla scelta dei gazawi e alle alternative dei Paesi arabi, tuttavia, la loro risposta si traduce in un secco «no».

La situazione a Gaza e in Cisgiordania continua a essere critica. Nella Striscia, Israele ha interrotto l’ingresso di aiuti umanitari, bloccando i colloqui per la seconda fase della tregua. In Cisgiordania, invece, lo Stato ebraico ha invaso Jenin con i carri armati per la prima volta in vent’anni, ampliando la cosiddetta operazione Muro di Ferro. Oggi, l’esercito israeliano ha emesso ordini di demolizione per 17 case palestinesi nel campo profughi di Nur Shams, nel nord della Cisgiordania. In generale, dal lancio dell’operazione Muro di Ferro lo scorso gennaio, Israele ha sfollato 40.000 palestinesi, ucciso 700 cittadini e demolito oltre un centinaio di case.

[di Dario Lucisano]

I primi esseri umani prosperavano nelle foreste pluviali

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Nonostante per secoli l’Africa orientale sia stata considerata la culla dell’umanità, con la savana come scenario principale dell’evoluzione dell’Homo sapiens, esiste una nuova teoria che sfida questa visione, secondo cui i primi essere umani si adattarono anche alle fittissime foreste pluviale dell’Africa occidentale: è quanto emerge dal lavoro di un gruppo di ricercatori guidato dall’archeologa Eleanor Scerri, il quale ha dettagliato i risultati ottenuti in un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Nature. La squadra ha scoperto tracce di strumenti di pietra risalenti a 150.000 anni fa in un sito della Costa d’Avorio, mostrando che i nostri antenati vivevano nel cuore delle giungle e che gli esseri umani si sarebbero in realtà adattati ad una varietà di ambienti diversi ben prima di quanto si pensasse: «Quello che stiamo vedendo è che, fin dalle prime fasi, la diversificazione ecologica è al centro della nostra specie», ha commentato l’archeologa Eleanor Scerri delll’Istituto Max Planck di Geoantropologia di Jena, in Germania.

Nel corso del XX secolo, le ricerche hanno concentrato l’attenzione sulla savana dell’Africa orientale come il luogo primario in cui Homo sapiens è emerso. Gli scienziati, infatti, basandosi su numerosi fossili e strumenti di pietra rinvenuti nella regione, hanno teorizzato che i primi esseri umani fossero ben adattati alla vita nelle praterie, in quanto la savana offriva condizioni favorevoli per la caccia a grandi branchi di mammiferi. Solo molto più tardi, invece, la nostra specie sarebbe diventata abbastanza versatile da sopravvivere in ambienti più complessi e ostili, come le foreste pluviali. Tuttavia, Eleanor Scerri e il suo team hanno messo in discussione questa visione, proponendo che la nostra specie si fosse evoluta in tutto il continente africano, adattandosi a diversi ambienti ecologici. Nel 2020, infatti, i ricercatori avevano iniziato gli scavi nel sito di Anyama e, sebbene la pandemia di Covid-19 abbia interrotto temporaneamente le indagini, gli scienziati sono comunque riusciti a datare alcuni reperti a circa 150.000 anni fa, grazie a sofisticate tecniche geocronologiche.

In particolare, secondo i risultati ottenuti analizzando i resti degli strumenti in pietra rinvenuti, esistevano habitat forestali in Africa occidentale che, sebbene spesso ignorati, hanno svolto un ruolo centrale nella storia della nostra specie. Inoltre, l’analisi chimica dei sedimenti ha confermato che, anche durante l’era glaciale, quando altre giungle africane si ritiravano, Anyama rimase una foresta tropicale lussureggiante. Anche Cecilia Padilla-Iglesias, antropologa dell’Università di Cambridge che non è stata coinvolta nel nuovo studio, ha affermato che il lavoro ha offerto una chiara prova che le persone vivevano in quelle giungle molto prima di quanto si pensasse in precedenza: «È importante perché conferma ciò che altre ricerche hanno previsto», ha dichiarato. Infine, Khady Niang, archeologo dell’Università Cheikh Anta Diop in Senegal e coautore, ha aggiunto che molti dei più antichi manufatti scoperti erano enormi strumenti da taglio realizzati in quarzo, ipotizzando che il popolo Anyama li usasse per scavare cibo o farsi strada attraverso la foresta pluviale: «Se ti muovi molto, hai bisogno di strumenti per tagliare gli alberi che ostacolano il tuo cammino», ha concluso.

[di Roberto Demaio]

Violenza sulle donne, aumentato il Reddito di libertà

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Il contributo mensile del Reddito di Libertà, destinato alle donne vittime di violenza e in condizioni di povertà, passa da 400 a 500 euro per un anno. La misura è seguita dai centri antiviolenza o dai servizi sociali ed è stata definita da un decreto firmato il 2 dicembre e pubblicato nelle ultime ore in Gazzetta Ufficiale. Il fondo prevede 30 milioni di euro ripartiti fino al 2026 e, secondo il Dipartimento per le Pari Opportunità, è «volto a sostenere l’emancipazione economica delle donne che si trovano in situazioni di violenza e che intendono fuoriuscirne».

Rapporto Aifa: gli italiani consumano troppi antibiotici

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In Italia bisogna consumare meno antibiotici e farlo in modo più appropriato. È quanto emerge dai dati pubblicati nel «Rapporto sull’uso degli antibiotici» dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), riferiti all’anno 2023 e al consumo in quasi tutti gli scenari. L’utilizzo è in crescita e spesso inappropriato, con un aumento del 5,4% e picchi registrati in età pediatrica, nelle donne in età adulta e al Sud. Inoltre, viene sottolineato che il dato più preoccupante è quello che evidenzia come siano aumentate anche le prescrizioni delle molecole ad alto spettro, ovvero quelle più a rischio di generare resistenze microbiche. «L’antibiotico resistenza è una pandemia silente», ha commentato il presidente Aifa Robert Nisticò.

È uscito il secondo numero del mensile de L’Indipendente

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L’Indipendente torna questo mese con il secondo numero del nuovo mensile: 80 pagine di contenuti esclusivi in una rivista rilegata da leggere e conservare. Inchieste che svelano i lati oscuri del potere e dell’industria, guide per un consumo critico, reportage e approfondimenti per comprendere il mondo che ci circonda. Il mensile de L’Indipendente ha come sottotitolo i tre pilastri che ne definiscono la cifra giornalistica: inchieste, consumo critico, beni comuni. Ogni parola è stata scelta con cura, racchiudendo ciò che vogliamo fare e che, a differenza di altri media, possiamo fare, perché non abbiamo padroni, padrini o sponsor da compiacere.

Questi tre punti cardinali rappresentano il nostro impegno per il giornalismo che crediamo necessario: inchieste (per svelare i lati nascosti della politica e dell’economia), consumo critico (per vivere meglio, certo, ma anche per promuovere scelte consapevoli capaci di colpire gli interessi privilegiati) e beni comuni (perché la nostra missione è quella di leggere la realtà nell’interesse dei cittadini e non delle élite oligarchiche che controllano i media dominanti). Al suo interno ci saranno poi, naturalmente, approfondimenti sull’attualità e sui temi che caratterizzano da sempre la nostra agenda: esteri, geopolitica, ambiente, diritti sociali.

Questi sono solamente alcuni degli argomenti che potrete ritrovare nel nuovo numero:

  • Le banche (anche italiane) che finanziano riarmo e guerre: la nostra inchiesta di copertina svela come l’appoggio degli istituti di credito sia fondamentale per mantenere in piedi l’industria bellica e in quali banche mettere i propri risparmi se non si vuole essere complici della guerra.
  • La battaglia per il controllo dell’Artico: si tratta di una regione cruciale per gli interessi commerciali e securitari delle principali potenze al mondo, ora sfruttabile più facilmente grazie al cambiamento climatico.
  • La verità sul caffè in capsule: si tratta di un prodotto il cui consumo è in rapida crescita tra gli italiani, ma contenente sostanze potenzialmente dannose per la salute e con un impatto ecologico non indifferente.
  • XLaw, la polizia predittiva all’italiana: dopo essere stato in passato scartato dallo Stato italiano, XLaw torna con un nuovo nome e nuove funzioni per operare un controllo più ampio sulla società, nel nome della “sicurezza”.
  • Cina, la rivoluzione silenziosa degli Sdraiati: in Cina, il movimento degli Sdraiati rifiuta competizione estrema e lavoro eccessivo, costituendo una forma di resistenza contro il modello economico cinese e la pressione generazionale.
  • Le catastrofi nucleari sfiorate nei mari italiani: il traffico di navi atomiche nei porti italiani è sempre esistito, senza fermarsi mai veramente, nonostante i numerosi incidenti sfiorati nel corso degli anni che avrebbero potuto portare a stragi e disastri ambientali incommensurabili.

La nuova rivista de L’Indipendente è acquistabile (in formato cartaceo o digitale) sul nostro shop online, ed è disponibile anche tramite il nuovo abbonamento esclusivo alla rivista, con il quale potreste ricevere la versione cartacea a casa ogni mese per un anno al prezzo in offerta lancio di 70 euro, spese di spedizione incluse. Per riceverlo basta consultare la pagina: lindipendente.online/abbonamenti.